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Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattivita'(ADHD) nell'adulto e Disturbo da Uso di Sostanze.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Psichiatria Neurobiologia Farmacologia e

Biotecnologie

Direttore:

Chiar.mo

Prof. Liliana Dell’osso

Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattivita’

nell’adulto e Disturbo da Uso di Sostanze:

Rassegna critica della letteratura e indagine clinico-epidemiologica su 146 soggetti con Disturbo da Uso di Sostanze

.

Relatore Candidato

Chiar.mo Prof. Giulio Perugi

Dott. Giovanni Ciampa

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INDICE

I parte

Introduzione pag 4

Epidemiologia pag 9

Nosografia e Diagnosi pag 15 Comorbidità ADHD e DUS: pag 27 (correlati clinico-epidemiologici)

Comorbidità ADHD e DUS: pag 44 (correlati biologici)

Trattamento e gestione del paz. con

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II parte

Obiettivi dello studio pag 56

Materiale e metodo pag 57

Analisi statistica pag 59

Risultati pag 61 Discussione pag 68 Limitazioni pag 75 Conclusioni pag 77 Bibliografia pag 78 Tabelle pag 91

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Introduzione

L’abuso di sostanze produce un onere enorme in molte società. Negli Stati Uniti ad esempio l’impatto dell’abuso di sostanze su l’assistenza sanitaria, il sistema di giustizia penale e i relativi oneri economici sono stati stimati nel 2001 qualcosa come 414 bilioni di dollari. (Hegan et al., 2001). E’ dunque importante comprendere i patterns legati all’abuso di sostanze per il controllo, la prevenzione e per stimarne i costi. E’ necessario quindi che gli studi siano indirizzati sia verso la ricerca di base che verso la ricerca di fattori codeterminanti, siano essi socio-economici che comorbidità mediche. (kessler et al., 1999).

Studi epidemiologici in larga scala negli Stati Uniti hanno riportato che il Disturbo da Uso di Sostanze è associato ad un aumentata percentuale di comorbidità con disturbi psichiatrici (kessler et al., 2005). Dalla decade passata ha iniziato ha ricevere molta attenzione l’associazione tra Disturbo da Deficit dell' Attenzione ed Iperattività (ADHD) e Disturbi da

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uso di Sostanze (DUS). In effetti, alcuni autori avevano osservato una associazione tra ADHD, alcol o altre sostanze d’abuso con percentuali che andavano dal 35% al 70%. (Goodwin et al., 1975; Tarter et al., 1977).

L’ADHD è definito come un disturbo concernente le sfere emozionale, cognitiva e comportamentale, che si manifesta sotto forma di uno stato persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività, più frequenti e più gravi di quanto si osservi tipicamente in soggetti dello stesso livello di sviluppo. Storicamente è considerata una condizione caratteristica dell'età infantile ed adolescenziale, tuttavia sulla base di numerose osservazioni cliniche e di studi prospettici si è nel tempo delineata l’ipotesi di una continuità sindromica anche nell’età adulta, ipotesi oggi saldamente supportata da numerosi dati sperimentali.

Studi prospettici su bambini e adolescenti ADHD e retrospettivi su adulti con abuso di sostanze con o senza ADHD hanno in seguito mostrato un rischio per l’intero arco esistenziale di sviluppare un Disturbo da Uso di

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Sostanze all’incirca doppio nei soggetti con ADHD rispetto a non ADHD (Biederman and Wilens et al., 1995). Altri gruppi di ricerca descrivendo anch’essi un doppio rischio lifetime di DUS in pazienti con ADHD, osservavano che in pazienti con ADHD la comorbidità con altri disturbi psichiatrici accresceva il rischio di tossicodipendenza (Biederman and Wilens et al ., 1995; Disney et al., 1999).

Nonostante le ampie conoscenze acquisite fino ad ora, rimangono aperte questioni sui possibili meccanismi esplicativi:

ADHD e DUS ad esordio precoce come modalità diverse di espressione di uno stesso fattore di rischio bio-psico-sociale; mediazione all’uso di sostanze da parte di condizioni di comorbidità (Disturbo Bipolare, Disturbo della Condotta); ADHD e DUS come effetto di sintomi di scarso giudizio critico, impulsività, difficoltà di pianificazione; ipotesi dell’automedicazione (miglioramento dei sintomi psichiatrici) con l’uso di sostanze; mediazione di familiarità per dipendenza da sostanze.

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implicazioni prognostiche che il disturbo può determinare, considerando le attuali possibilità diagnostiche e terapeutiche che si associano alla possibilità di riconoscere e trattare adeguatamente i pazienti affetti (Biederman et al., 2004).

Tuttavia nonostante le ampie conoscenze acquisite fino a ora, è ad oggi presente una difficoltà marcata nel formulare la diagnosi di ADHD nel soggetto adulto. A ciò contribuiscono diversi fattori:

in primis i limiti imposti dai criteri diagnostici attualmente in vigore (DSM-IV-TR), questi sono sviluppati su studi clinici condotti esclusivamente su popolazioni in età scolare, prevedono che i sintomi siano comparsi prima dei 7 anni e non tengono conto dell’evoluzione clinico-sintomatologica del soggetto adulto.

In secondo luogo va considerato che i medici stessi non indagano questa sfera psicopatologica, focalizzandosi esclusivamente sul disturbo concomitante ritenuto di maggior rilievo.

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esacerbate: i pazienti adulti possano incontrare difficoltà a rammentare i sintomi prima dei 7 anni e questo fatto può risultare accentuato in quei soggetti che presentino deficit cognitivi causati dall’uso di droghe quali alcol, oppiacei, marijuana o metamfetamine (Levin et al., 2007). Per tali ragioni, nella stesura del DSM-V sarà contemplata una categoria diagnostica autonoma per l’ADHD dell’adulto, con il proposito di migliorarne l’individuazione e tracciarne linee guida di trattamento.

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Epidemiologia

L’ADHD ha una prevalenza elevata nella popolazione generale, stimata in percentuali che vanno dal 3% al 5% dei soggetti in età scolare, con una preponderanza del tipo combinato sugli altri due e con un rapporto di 4:1 tra sesso maschile rispetto al femminile. (APA: DSM-IV-TR., 2000). Alcuni più recenti studi stimano valori di prevalenza di ADHD in soggetti in età scolare intorno al 7%- 8 % (Barbaresi et al.,) e al 4%-5 % in soggetti in età adulta (Kessler et al., 2006).

In riferimento agli studi farmaco-epidemiologici, si stima che alla metà degli anni ‘80 il 2%-4% circa della popolazione scolare americana ricevesse cure psichiatriche con prescrizione di psicostimolanti, mentre alla fine degli anni ‘80 le campagne pubbliche ad opera della Chiesa Scientista avevano causato una riduzione dell'utilizzo clinico degli psicostimolanti stessi (Safer and Krager et al., 1992). Tra il 1990 e il 1995 vi è stato poi un nuovo aumento di 2,5 volte dell' uso di stimolanti

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negli Stati Uniti (Valentine et al., 1997).

Lo studio della prevalenza dell'ADHD nei paesi occidentali ha fornito risultati molto diversi, non tanto in relazione ad una presentazione clinica polimorfica o ad una differente diffusione del disturbo, ma piuttosto come conseguenza della disomogeneità degli approcci diagnostici, in particolare tra USA ed Europa.

La prevalenza del disturbo è maggiore negli Stati Uniti rispetto agli altri paesi, ed anche se è stato ipotizzato che questa differenza possa essere conseguenza di esposizioni a prodotti di tecnologie avanzate (additivi alimentari sintetici, benzina contenente piombo, coloranti), è assai probabile che sia dovuta ad una differente sensibilità diagnostica.Vi è inoltre la difficoltà di diagnosticare il disturbo in bambini di età inferiore ai 4-5 anni, perchè le caratteristiche comportamentali sono molto più variabili rispetto ai bambini più grandi.

Per quanto riguarda la popolazione adulta fino a qualche anno fa la prevalenza stimata di ADHD era ricavata utilizzando le informazioni

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sulla prevalenza dell'ADHD nell'infanzia (essendo universalmente accettato che la sintomatologia persista nel 50% dei casi e che il disturbo non compaia ex-novo negli adulti). (Biederman et al.,2000; Barkley et al., 2002; Weiss et al., 2003) o direttamente attraverso piccoli studi che ne stimavano una prevalenza in un range dall’ 1% al 6%. (Murphy et al., 1996; Heiligenstein et al.,1998; Weiss et al., 2003 ; Faraone and Biederman et al., 2005).

Altri studi più rappresentativi per la numerosità del campione hanno confermato i dati precedenti. Un’ indagine epidemiologica in uno studio patrocinato dal “World Health Organization World Mental Health Survey ”, condotto su una popolazione adulta dai 18 ai 44 anni (11422

soggetti), condotto in 10 paesi tra America ed Europa ha stimato una prevalenza di ADHD negli adulti secondo i criteri del DSM IV del 3,4%

(Fayyad et al., 2007). Un successivo studio condotto sempre dal “World Mental Health Survey Iniziative” replicando lo studio precedente ma

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estendendo l’osservazione ha 26 paesi, ha confermato un tasso di prevalenza del 3,4% di ADHD negli adulti. ( Ron de Graaf et al., 2008). Al contrario dati provenienti da indagini condotte su una popolazione coreana di 6081 persone tra i 18 e i 59 anni, stimerebbero tassi di prevalenza più bassi, intorno all’1,1% di ADHD negli adulti. (Parks et al., 2011).

Secondo alcuni autori i tassi di prevalenza provenienti da numerosi studi sarebbero in realtà sottostimati in quanto questo disturbo ha caratteristiche dimensionali ossia si può esserne affetti in misura maggiore o minore, pur tuttavia la sua classificazione (ICD-10 o DSM-IV) è di tipo categoriale. In effetti il 66% degli adulti con una diagnosi di ADHD in età scolare ha almeno un sintomo clinicamente significativo e responsabile di disabilità (Weiss et al., 1993). Seguendo la definizione del DSM-IV-TR uno screening per ADHD su 966 adulti rivela un tasso di prevalenza del disturbo pari a 2,9%. Tuttavia se si considerano i soggetti con disturbi sottosoglia, che non soddisfano pienamente i criteri

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per la diagnosi, il tasso di prevalenza cresce al 16,4% (Faraone et al., 2006).

Nella maggior parte dei paesi industrializzati l’uso di sostanze psicoattive illegali costituisce una seria sfida per la salute pubblica e di solito inizia durante l’adolescenza. Cosi in tutti i paesi è un imperativo valutare nella popolazione i tassi di consumo di droghe illecite tra gli adolescenti. Inoltre il monitoraggio delle tendenze nel corso del tempo possono riflettere gli effetti netti delle attività e dei programmi attuati per impedire l’uso delle sostanze negli adolescenti. (Michaud et al., 2006).

Il progetto europeo indagine scuola sull’alcol e altre droghe (ESPAD) raccoglie dati comparabili sull’uso di sostanze tra gli studenti europei al fine di monitorare le tendenze all’interno e tra i paesi.

La componente italiana dello studio ESPAD ha valutato ogni anno per 11 anni consecutivi (dal 1999 al 2009) campioni rappresentativi di giovani italiani che frequentano la scuola ottenendo una registrazione

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continua delle tendenze del consumo di droga.

Emerge dallo studio che il consumo di droga è altamente diffuso tra gli studenti delle scuole superiori, la cannabis risulterebbe la più diffusa, l’eroina la meno diffusa. Il genere femminile è meno vulnerabile per l’uso di droghe illecite. Negli ultimi anni si è assistito ad contemporanea riduzione dell’uso di eroina a favore di un aumento marcato dell’uso di sostanze allucinogene e di psicostimolanti. Questi dati sono in accordo con la letteratura internazionale. (De Preux et al., 2004; Csemy et al., 2002; Van de poel et al., 2009).

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Nosografia e diagnosi

L' ADHD è stato descritto per la prima volta, in ambito medico, all'inizio del XX secolo, quando a seguito della pandemia di encefalite di Von Economo, verificatasi dopo la prima guerra mondiale, alcuni bambini ed adolescenti svilupparono una sindrome comportamentale post-encefalitica caratterizzata da agitazione, difficoltà d'apprendimento, incoordinazione, aggressività ed impulsività.

Da allora questi bambini impulsivi sono stati etichettati come affetti da “ danno cerebrale minimo ” (anche in assenza di prove dirette di danno cerebrale), da “ disfunzione cerebrale minima ” (benchè un’anomalia neurologica conclamata produca disfunzioni simili), da “sindrome ipercinetica “ (DSM-II., 1968) (sebbene non siano coinvolti i soli sistemi motori), e da “ sindrome da iperattività “ (sebbene il 50% di tutti i maschi “ normali ” sia considerato iperattivo da genitori ed insegnanti. Sono stati anche utilizzati termini quali "deficit percentuale",

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"deficit d'integrazione psiconeurologica", "disturbo dell'impulso dell'iperattività" e "sindrome del bambino iperattivo” (Arnold e Jensen, et sl., 1995).

Per quanto riguarda la storia dell'ADHD in quanto “disturbo dell'età adulta”, esistono meno riferimenti. Anche lavori clinici e scientifici supportano l'esistenza di una “ versione adulta” dell' ADHD da almeno 40 anni, per non dire da almeno un secolo.

E' stato George Still a formulare per primo l'ipotesi che gli adulti possano essere affetti da ADHD come conseguenza di una cronicizzazione della sintomatologia disattentiva ed iperattivo-impulsiva presente sin dall'infanzia (Barkley et al., 2008).

I primi importanti dati a sostegno dell'ipotesi di Still risalgono alla fine degli anni sessanta, ovvero a studi che dimostravano la persistenza dei sintomi di iperattività e di “minimal brain damage” in molti soggetti adulti (Mendelson and Johnson et al., 1971); in seguito altri autori hanno dimostrato come i genitori di bambini iperattivi fossero stati iperattivi

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essi stessi nell'età infantile, e come soffrissero da adulti di sociopatia, isteria, e alcolismo (Cantwell et al., 1975); (Stewart and Morrison et al.,1973).

Negli anni settanta sono da segnalare i contributi di Shelley e Reister (1972), che hanno evidenziato in un gruppo di pazienti con ADHD la presenza di deboli segni di disturbi neurointegrativi come goffaggine motoria, difficoltà nel mantenere l'equilibrio, lateralità confusa, e problematiche di coordinazione.

Nello stesso periodo, Anneliese Pontius (Pontius et al., 1973), propose una disfunzione del lobo frontale e del caudato alla base del disturbo e Morrison e Minkoff (Morrison and Minkoff et al., 1975) osservarono ancora una volta la persistenza del disturbo nell'età adulta.

Risale invece al 1976 la prima osservazione sull'efficacia degli psicostimolanti (Metilfenidato) nel trattamento dell'ADHD nell' adulto (Wood and Reimherr et al., 1976), realizzata attraverso uno studio a doppio cieco controllato con placebo; altri studi negli anni settanta e

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nelle decadi successive hanno confermato l'efficacia dell' utilizzo degli psicostimolanti e degli antidepressivi per la terapia farmacologica nell'adulto. Un altro capitolo importante nella storia dell'ADHD nell'adulto è rappresentato dalla terapia non-stimolante a base di Atomoxetina, studiata in migliaia di adulti in trials clinici randomizzati e controllati verso placebo (Spencer and Biederman et al., 1998). In seguito, il Metilfenidato e i Sali misti di Amfetamine si sono dimostrati efficaci negli adulti con ADHD (Spencer and Biederman et al., 2001) (Spencer and Biederman et al., 2005). Questi farmaci, al pari dell'Atomoxetina, hanno ricevuto l'approvazione nel trattamento dell'adulto dalla Food and Drug Administration.

Il primo studio di neuro-imaging in soggetti adulti con ADHD, condotto da Zamektin (Zametkin and Nordahl et al., 1990) ha avuto una importanza storica; si è evidenziata una riduzione globale del metabolismo cerebrale negli adulti iperattivi, in particolare a carico della corteccia premotoria e prefrontale superiore. Grazie a questo lavoro, a

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partire dai primi anni ’90, l' ADHD ha iniziato ad essere riconosciuto sulle riviste cliniche e scientifiche come un disturbo psichiatrico dell'adulto distinto da altre condizioni diagnostische (Spencer, Biederman, Wilens and Faraone, 1994).

Attualmente il DSM IV che inquadra l'ADHD nell'ambito dei disturbi dell'infanzia e dell'adolescenza rispetto al DSM III-R ove non sono presenti i criteri per la diagnosi della forma residua o persistente nell'età adulta, specifica la definizione di “ADHD in remissione parziale” in adolescenti e adulti che non soddisfano più pienamente i criteri.

L'ICD 10, invece, offre una diagnosi di "sindrome ipercinetica" caratterizzata da impulsività, aggressività e disattenzione, accompagnate spesso da una storia di danno perinatale o neonatale.

Tuttavia i criteri del DSM-IV-TR (Tabella 1) per la diagnosi di ADHD sono argomento di controversie quando applicati all’adulto. Validati unicamente su bambini ed adolescenti, questi criteri, quando

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estesi agli adulti, mostrano alcuni limiti di sensibilità e specificità.

Il Criterio A impone la persistenza di almeno 6 sintomi di disattenzione e/o di iperattività-impulsività per almeno 6 mesi, con un'intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo. Il Criterio B colloca l’età di esordio di alcuni dei sintomi che causano compromissione al di sotto dei 7 anni. Il Criterio C indica la presenza di malfunzionamento in due o più contesti (lavoro, scuola, famiglia). Diversi Autori (Heiligenstein and Conyers et al., 1998); (Barkley et al., 2006) sottolineano che il pattern sintomatologico dell’adulto affetto da ADHD spesso si modifica nel tempo ed è per lo più caratterizzato dall’attenuazione di alcuni sintomi (iperattività ad impulsività) e dalla cronicizzazione e persistenza di altri (disattenzione). Inoltre la sovrapposizione di altre patologie psichiatriche come disturbi dell'umore, d'ansia e da uso di sostanze, può mascherare il deficit di attenzione e l’impulsività, favorendo una sottostima del disturbo. Infine le problematiche che i pazienti incontrano in età adulta riguardano

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contesti e situazioni (matrimonio, figli, lavoro) diversi da quelli dell’età evolutiva, con un impatto emotivo e pratico differente.

Per queste ragioni da diversi Autori (Murphy and Barkley et al., 1996); (Faraone and Biederman et al., 2000) è stata sollevata la necessità di criteri diagnostici specifici in base all’età del soggetto, validati da studi eseguiti esclusivamente su adulti.

Un altro limite è rappresentato dal fatto che, se i criteri del DSM-IV sono poco adattabili alla diagnosi nell’adulto, allora, gli studi di ricerca che li adottano, escludono dei potenziali casi di ADHD che non soddisfano pienamente i criteri, pur manifestando disadattamento in vari ambiti. E’ stato osservato, infatti, come la presenza di almeno 6 sintomi di inattenzione e/o iperattività-impulsività, sia un criterio eccessivamente restrittivo e scarsamente realistico nella popolazione adulta. Per tale motivo in letteratura si trovano molti studi che adottano sistemi diagnostici alternativi quali gli Utah criteria for adult ADHD proposti da Wender (Tabella 2).

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Il contributo di Wender è stato fondamentale, sebbene sia stato poi evidenziato come i criteri di UTAH escludano dalla diagnosi di ADHD in casi in cui risulti una comorbidità con depressione maggiore, psicosi, o gravi disturbi di personalità; questo fa sì che l’ADHD non venga diagnosticato in un numero significativo di pazienti, che invece trarrebbe beneficio dal trattamento (Barkley et al., 2008), questo in contrasto con studi (Barkley and Fischer et al., 2006); (Fischer and Barkley et al., 2002); (Murphy and Barkley et al., 1996) che indicano come una percentuale significativa di bambini e di adulti con ADHD sia affetta da depressione maggiore o distimia (22-27%) e disturbi di personalità (11-24%) sin dall'infanzia (Barkley et al., 2008).

In età evolutiva è solitamente suggerito un approccio diagnostico a più livelli attraverso interviste cliniche semistrutturate, anamnesi familiari, test neuropsicologici, scale di valutazione del comportamento per il paziente e per i genitori. Nell’adulto possono essere somministrate scale di autovalutazione, quali la Conner’s Adult ADHD Rating Scales

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(CAARS) e la Wender Utah Rating Scales (WURS) o altre che

necessitano della presenza di un familiare come la ADHD Rating

Scales-IV. L’uso di test neuropsicologici (Stroop tasks e Continous performance tests) è volto alla valutazione delle funzioni cognitive e possono risultare

utili anche nel monitoraggio dell’efficacia dei trattamenti.

Le problematiche principali nel formulare diagnosi di ADHD nell’adulto includono: piena rispondenza ai criteri diagnostici del DSM-IV, appropriatezza dell’evolutività dei sintomi, criterio dell’età, validità della diagnosi di ADHD non altrimenti specificato (NOS), comorbidità con altri disturbi mentali. Per i pazienti che presentano anche un DUS esistono ulteriori problematiche specifiche: l’abuso di alcol e sostanze può simulare i sintomi dell’ADHD, i dati complessivi necessari per la diagnosi possono risultare più difficili da reperire, infine, la diagnosi di ADHD è scarsamente conosciuta e raramente formulata dagli operatori sanitari deputati al trattamento dell’abuso di sostanze.

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rispettati tutti i criteri dell’ADHD nel bambino. Se questa condizione non è soddisfatta i soggetti con diagnosi di ADHD vengono classificati come ADHD NOS. Tale categoria, nella maggior parte dei casi, comprende ADHD a esordio tardivo e ADHD sottosoglia. Nel primo caso il paziente soddisfa tutti i criteri dell’ADHD nel bambino eccetto l’esordio prima dei 7 anni; nel secondo caso il paziente non ha mai ricevuto diagnosi di ADHD da bambino, ma si riscontrano comunque sintomi persistenti e invalidanti. Un dato interessante è che i soggetti con diagnosi di ADHD piena e quelli ad esordio tardivo presentano un pattern psicopatologico molto simili in termini di comorbidità, deficit funzionali e trasmissione e familiare. La maggior parte dei soggetti con ADHD a esordio tardivo (83%) riferisce l’inizio dei sintomi prima dei 12 anni (Faraone and Biederman et al., 2006). Questo suggerirebbe che il criterio dell’età attualmente in uso nel DSM-IV sia eccessivamente restrittivo.

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Nei soggetti con DUS esistono ulteriori problematiche diagnostiche. Di per sé molte sostanze d’abuso possono determinare la comparsa di sintomi che mimano l’ADHD (basti pensare a come la cocaina causi agitazione e irrequietezza psicomotoria o fenomeni simili possono verificarsi anche nelle sindromi astinenziali). Inoltre alcune delle problematiche già presenti negli adulti senza DUS, possono risultare esacerbate in quelli con DUS, i quali più spesso incontrano difficoltà nel rammentare i sintomi dell’infanzia a causa del deterioramento cognitivo legato all’uso cronico e continuativo di alcol e sostanze quali oppioidi, marijuana e metamfetamine.

Nel disturbo bipolare ci può essere sovrapposizione tra i sintomi dei vari disturbi. si riscontrano frequentemente iperattività, disattenzione, loquacità, malfunzionamento lavorativo e impulsività, sintomi propri anche dell’ADHD.

Attualmente non esistono test specifici che possano migliorare la sensibilità diagnostica, benché sia ormai chiaro come l’ADHD sia

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iperrappresentato nei soggetti con DUS e che la copresenza dell’ADHD aggravi la prognosi e riduca l’efficacia dei trattamenti.

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Comorbidità ADHD e DUS: correlati clinico-epidemiologici.

Il DUS è ampiamente diffuso nella popolazione generale e si stima che il 27% della popolazione adulta ne sia affetto (Kandel and Chen et al., 1997). Studi epidemiologici in larga scala negli Stati Uniti hanno riportato che il DUS è associato con una aumentata percentuale di comorbidità con altri disturbi psichiatrici includendo Disturbi dell’umore, Disturbi psicotici, Disturbi d’ansia, Disturbi di personalità e altri classi di disturbi. (Grant et al., 2004; Kessler et al., 2005).

Mentre appare chiaro che il DUS sia associato con un’aumentata comorbidità psichiatrica rispetto alla popolazione generale, controverso è se vi sia un reale aumentato rischio di sviluppare un DUS indipendentemente da disturbi psichiatrici.

Lo studio Epidemiologic Catchment Area survey riporta che tra individui con una diagnosi di disturbo mentale lifetime, il 28,9% ha un DUS nella vita rispetto ad una percentuale del 13,2% di quelli che non hanno una

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storia di disturbo mentale. (Regier et al.,1990). Lo studio evidenziò che una storia lifetime di qualsiasi disturbo mentale era associato a più di 2 volte il rischio di avere un Disturbo da Uso di Alcol e con più di 4 volte di avere il rischio di un DUS.

Studi clinici su campioni di individui con DUS in trattamento hanno mostrato che l’ADHD è un disturbo mentale comune in comorbidità (Levin et al.,1998; Schubiner et al., 2000), sebbene storicamente gli studi di comunità non abbiano mai incluso adulti con ADHD tra i disturbi mentali. (Regier et al.,1990; Kessler et al., 1994; Grant et al., 2004).

La National comorbidity survey replication (NCS-R) ha incluso la diagnosi di ADHD nel suo studio e ha stimato una prevalenza di adulti con ADHD fino al 4,4% (kessler et al., 2006). Considerando la percentuale di comorbidità tra ADHD e DUS, dallo studio NCS-R si trovò che il 15,2% di individui adulti con ADHD soddisfacevano i criteri per il DUS secondo il DSM-IV, rispetto al 5,6% di individui senza

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ADHD, risultando significativi con un odds ratio del 3%. (kessler et al., 2006). Complementarmente a questa osservazione, NCS-R, trovò che tra individui con DUS il 10,8% soddisfaceva i criteri ADHD nell’adulto rispetto alla prevalenza del 3,8% di individui senza DUS.

Altre osservazioni su campioni clinici d individui con DUS in trattamento hanno mostrato prevalenze di soggetti con ADHD in comorbidità in un range dal 10% al 24%. (Levin et al.,1998; Schubiner et al., 2000), ben tre volte superiore di quanto il disturbo non si riscontri nella popolazione generale. (Wilens et al., 2004). Inoltre è stato stimato che più del 25% degli adolescenti abusatori di sostanze soddisfano i criteri diagnostici per ADHD (Halikas et al.,1990; De milio et al., 1989). Per contro, oltre il 40% dei pazienti adulti con ADHD mostra un DUS in comorbidità, una percentuale che sale al 52% se andiamo a considerare la prevalenza lifetime, quindi doppia rispetto a quella della popolazione generale, sostanzialmente il triplo rispetto al tasso di prevalenza di DUS nella popolazione generale, stimato intorno al 14,6% (Kessler and Adler

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et al., 2006).

Dal confronto di 120 adulti con ADHD con 268 adulti senza ADHD (con un’età media di 40 anni) è emerso che la prevalenza life-time di DUS era del 52% nei pazienti con ADHD e del 27% in quelli senza (Biederman and Wilens et al. 1995). Risultati simili sono stati riscontrati anche da altri autori. (Shekim and Asarnow et al., 1990).

Sono comunque gli studi prospettici su bambini e adolescenti ADHD o retrospettivi su adulti con uso di sostanze con o senza ADHD a fornire i dati più interessanti:

Ad esempio Katusic e colleghi (2003) in un ampio studio caso-controllo, hanno seguito dall’età di 5 anni fino all’adolescenza 363 giovani con ADHD paragonati e appaiati con 726 controlli. I risultati ottenuti hanno dimostrato che l’ADHD era associato ad un aumento di 3 volte il rischio di DUS e, ancora, si osservava un esordio più precoce del DUS nel gruppo con ADHD.

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Un ulteriore rilievo interessante emerge da uno studio longitudinale di Molina e Pelham (2003), sull’uso di sostanze in 142 adolescenti confrontati con 100 controlli: la gravità dei sintomi inattentivi dell’ADHD sarebbe associata con l’aumento del rischio di DUS. Se si considera la frequente persistenza dei sintomi inattentivi nell’età giovane-adulta, età più a rischio per lo sviluppo di DUS, si può comprendere il possibile legame tra le due condizioni.

Un altro studio longitudinale (Elkins et al., 2007) prendeva in esame 1512 soggetti (760 femmine e 752 maschi) seguiti dall’età di 11 anni fino all’età di 18 anni per valutare la relazione tra ADHD, inizio all’ uso di sostanze e DUS. Dallo studio emergeva una correlazione significativa per il sottotipo iperattivo-impulsivo, sia nei maschi che nelle femmine, con inizio precoce all’uso di tutti i tipi di sostanze, alla dipendenza da nicotina e all’abuso/dipendenza da cannabis.

Nel valutare l’associazione tra ADHD e DUS, risultano interessanti gli studi familiari che depongono a favore di una matrice

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genetica comune tra i due disturbi. Già da tempo è stato osservata un’aggregazione familiare fra ADHD nel bambino e DUS nei parenti di primo e secondo grado (Cantwell et al., 1972). Da studi controllati risulta che i figli di soggetti con DUS non soltanto presenterebbero elevati tassi di ADHD, ma anche tratti cognitivi e comportamentali compatibili con l’ADHD, inclusi la bassa capacità attentiva, l’impulsività, l’aggressività e l’iperattività (Stanger and Higgins et al., 1999). Non va comunque trascurata la possibilità che negli adolescenti con ADHD l’esposizione a un DUS dei genitori, durante particolari periodi dello sviluppo (prima adolescenza), possa rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di DUS (Biederman and Mick et al., 2000).

In definitiva, la letteratura è concorde nell’affermare che esiste un legame bidirezionale tra DUS e ADHD nei soggetti affetti da questi due disturbi e che gli adulti con ADHD e DUS sono gravati da un outcome peggiore. Nel tentativo di spiegare il legame fra questi due disturbi

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bisogna tener conto del fatto che, secondo una prospettiva evolutiva, l’ADHD si manifesta prima del DUS; risulta pertanto improbabile che un DUS possa costituire un fattore di rischio per l’ADHD.

Non è però ancora chiaro in che misura l’ADHD possa essere considerato precursore di un DUS. E’ d’altra parte vero che i rischi correlati al DUS incrementano anche il rischio di ADHD.

La presenza di ADHD sembra compromettere la prognosi del DUS. Confrontando 130 adulti con ADHD e DUS con 71 soggetti adulti con DUS senza ADHD il tasso di remissione e la durata del DUS differivano significativamente nei due gruppi; il DUS aveva una durata media di 3 anni superiore, ed il tempo necessario per ottenere la remissione del DUS risultava maggiore del doppio nei soggetti con ADHD. La presenza dell’ADHD sembra influenzare anche la progressione del DUS. (Wilens et al.,1998).

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influenzando gravità, storia naturale, prognosi, trattamento del quadro clinico. La maggior parte dei soggetti con ADHD ha un altro disturbo psichiatrico associato, che può mascherare l'ADHD stesso; La letteratura riporta comorbidità con molte condizioni quali disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo da uso di sostanze, disturbi dell'umore, disturbi d'ansia, disturbo di Tourette, disturbi dell'apprendimento, ritardo mentale, e disturbo borderline di personalità. (Wilens et al., 2005; Izutsu et al., 2006). L’ADHD e le comorbidità ad esso correlate accelerano il passaggio dall’uso di droghe “leggere” e alcol, alla dipendenza dalle droghe “pesanti”: in particolare è stata osservata una latenza media di 1.2 anni nei soggetti con DUS e ADHD rispetto ai 3 anni dei soggetti senza ADHD (Wilens and Biederman et al., 1997).

Seguendo bambini in cui l’ADHD concomita con Disturbi della Condotta o Disturbo Bipolare si osserva un outcome peggiore relativamente allo sviluppo di DUS ed una morbilità maggiore. (Wilens

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and Biederman.,1998).

Studi di follow-up a lungo termine in bambini con ADHD evidenziano come in tarda adolescenza e all'inizio dell'età adulta, vi sia un rischio aumentato per Disturbi dell'Umore, Disturbo da uso di sostanze e Disturbo Antisociale di Personalità (Fischer and Barkley et al., 2002); (Mannuzza and Klein et al., 1993); (Rasmussen and Gillberg 2000). Uno studio di Biederman (2004) ha valutato l'impatto della comorbidità in una popolazione affetta da ADHD a confronto con un gruppo di controllo. E’ emerso che molti disturbi psichiatrici sono più comuni nei soggetti con ADHD. Inoltre si è osservato un tasso di comorbidità simile nei bambini e negli adulti con ADHD, dato che indicherebbe che tali condizioni psichiatriche sono associate già in età pediatrica.

In particolare uno studio osservazionale recente, svolto da Arias e colleghi (Arias and Gelernter et al., 2008) su un campione di 1761 soggetti adulti con diagnosi di dipendenza da cocaina e/o oppioidi, ha

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mostrato che nei soggetti affetti da ADHD si possono riscontrare un maggior numero di comorbidità con altri disturbi psichiatrici e un peggior decorso di malattia (numero più elevato di ricoveri per disturbi psichiatrici e DUS, tentativi di suicidio e atti di autolesionismo). I disturbi che si associavano significativamente all’ADHD in questa casistica sono: Disturbi della Condotta (14.1% vs 2.8%), Disturbo di Personalità Antisociale (27.2 % vs 13.4%), Disturbo Bipolare tipo I (18.5% vs 4.5%) e Disturbo Post-traumatico da Stress (24.2% vs 12.8%). Questa ricerca supporta l’ipotesi che l’ADHD possa influenzare un’età di inizio all’ uso di sostanze più precoce e l’ espressione di un più severo fenotipo dei disturbi in comorbidità con un più grave decorso del disturbo da dipendenza e del disturbo psichiatrico.

In questa stessa ricerca si dimostra come, in effetti, alcune caratteristiche del DUS siano correlate alla presenza di ADHD indipendentemente dalla presenza di altre comorbidità psichiatriche; l’ADHD influenza il quadro clinico del DUS determinandone un esordio

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più precoce (11.4 anni vs 13.2 anni), nonché l’associazione con la dipendenza da un maggior numero di sostanze (3.5 vs 2.9).

Altri studi in soggetti adulti affetti da ADHD, mostrano una consistente sovrarappresentazione di DUS ( tra il 17% e il 45% presenta abuso o dipendenza da alcol, tra il 9% e il 30% abuso o dipendenza da sostanze ed il rischio di sviluppare nel corso della vita un DUS è circa due volte superiore negli adulti con ADHD (52% vs 27%))(Biederman and Wilens et al. 1995).

Carrol e Rounsaville (1993) hanno dimostrato che, se confrontati con soggetti con abuso di cocaina senza ADHD, quelli con il disturbo risultavano essere più giovani al momento dell’osservazione e del trattamento, avevano un esordio più precoce e più spesso andavano incontro a assunzioni più frequenti ed ingenti della sostanza. Questi dati supportano l’idea che l’ADHD costituisca un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di DUS.

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sintomi di ADHD significativi giustifica a priori l’ammissione ad un programma metadonico anche se associato ad un peggiore aderenza al programma.

La presenza di ADHD in soggetti con abuso di sostanze presenta conseguenze sociali importanti, Schubiner et al. (2000) hanno riportato un maggior numero di incidenti stradali e un trattamento più precoce per DUS in adulti con ADHD rispetto ai soggetti senza ADHD.

In uno studio condotto su un campione di 102 soggetti di sesso maschile reclusi in penitenziario (Eyestone and Howell., 1994), il 25,5% dei soggetti, circa 5 volte di più rispetto alla popolazione generale, rispondeva ai criteri diagnostici per l'ADHD.

Ancora, alcuni studi sono stati condotti per determinare i costi occupazionali associati con l’ADHD; è emerso che i soggetti con ADHD frequentemente vengono licenziati, cambiano lavoro e hanno performance lavorative inferiori rispetto ai soggetti non-ADHD (Barkley

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et al., 2002).

Controverso è il ruolo svolto dal Disturbo della Condotta nella relazione ADHD e DUS visto l’associazione frequente con l’ADHD.

Si stima infatti che il 25-75% degli adolescenti con ADHD soddisfi anche i criteri per il Disturbo Oppositivo e per i Disturbi della Condotta (Barkley et al., 2006), e che tale condizione si associ ad una prognosi peggiore in termini di adattamento e di risposta ai trattamenti. In una ampia casistica di soggetti tra i 9 e i 16 anni con ADHD nel 48% dei casi si riscontrava un Disturbo dell'Umore, nel 36% un Disturbo Oppositivo-Disturbo della Condotta e nel 36% un Oppositivo-Disturbo d’Ansia (Bird and Gould et al. 1993).

Elkins (2007) in uno studio longitudinale che reclutava circa 1500 soggetti di 11 anni seguiti fino all’età di 18 anni mostrava come un precoce inizio all’ uso di sostanze (tabacco, droghe illecite) valutata in un primo follow-up a 14 anni correli significativamente con una diagnosi

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di ADHD nell’infanzia; tuttavia la diagnosi di DUS (a 18 anni) correla alla presenza di DC nell’infanzia ma non ADHD nell’infanzia.

Arias (2008) descrive in un campione di 1761 adulti con abuso di

sostanze in un indagine retrospettiva che la comorbidità tra ADHD e DC comporta un età di primo inizio di 10.29 anni. ( 10.75 solo considerando DC; 11.37 solo considerando ADHD; 13.15 in assenza di CD o ADHD ). Altre indagini hanno dimostrato che bambini con ADHD in comorbidità con Disturbo della Condotta hanno un decorso peggiore e minore risposta terapeutica dei bambini con ADHD senza Disturbo della Condotta (Biederman and Newcorn et al., 1991).

Brook (2010) ipotizza una relazione ADHD e DUS nell’adulto indiretta, per cui l’effetto ADHD sarebbe mediato dal CD che svolgerebbe un’azione diretta nel predire lo sviluppo di DUS in età adulta. Adolescenti con ADHD rimarrebbero a rischio per DUS attraverso l’effetto mediatore del CD.

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Un’osservazione interessante riguarda la differenza di genere, che sembra comportare un effetto sul disturbo; i Disturbi della Condotta hanno una prevalenza doppia nel sesso maschile rispetto a quello femminile. Dato che i disturbi della condotta costituiscono spesso il movente per cui questi bambini vengono identificati e sottoposti a trattamento, è probabile che in alcune bambine non venga diagnosticato il disturbo. Se si considera che i tassi di prevalenza dell’ADHD in età pediatrica per il sesso variano tra 3:1 e 10:1, si comprende come questa differenza possa almeno in parte essere giustificata dalla mancata identificazione di una certa quota di casi in soggetti di sesso femminile (Biederman et al., 2004).

Una differenza simile è riscontrabile nel Disturbo di Personalità Antisociale (diagnosi dell’età adulta); uomini con ADHD ricevono questa diagnosi più frequentemente delle donne. Per quanto riguarda la prevalenza di Disturbo Oppositivo-Provocatorio i tassi sono quasi identici nei due sessi, sia in età pediatrica sia in età adulta (Biederman et

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al., 2004).

L'ADHD e il Disturbo della Condotta per alcuni autori sono entità cliniche indistinguibili (completa sovrapposizione sintomatologica), per altri sono parzialmente o completamente indipendenti. L’ipotesi di una indipendenza parziale o completa tra ADHD e disturbi della condotta è supportata da ricerche che confrontano modelli di aggregazione familiare e prestazioni cognitive. (Loney et al., 1980) hanno osservato che la copresenza nell'infanzia dell'ADHD e del Disturbo della Condotta evolve, nell'adolescenza, verso comportamenti aggressivi e tendenza a delinquere; viceversa, l'ADHD senza Disturbo della Condotta può residuare in deficit cognitivi e scolastici. Simili risultati emergono da un controllo a lungo termine condotto da Mc Gee (1984).

I meccanismi mediante i quali la presenza di ADHD favorirebbe lo sviluppo di DUS sono sicuramente molteplici tuttavia molto rimane da

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comprendere.

Un possibile modello esplicativo prende in esame il concetto dell’automedicazione di sintomi depressivi, ansiosi e aggressivi, i dati per l’ADHD sono invece limitati. Wilens e colleghi (Wilens and Adler et al. 2008) ha preso in considerazione una popolazione di soggetti con ADHD, sia adolescenti sia adulti, confrontandoli con dei controlli, per comprendere le motivazioni all’uso delle droghe. La maggioranza dei soggetti utilizzava la sostanza con il proposito di controllare il proprio umore, di dormire, o senza una ragione precisa. Tuttavia non sono state rilevate differenze tra soggetti con ADHD e controlli, né tanto meno sono state trovate differenze nella scelta di una specifica droga.

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Comorbidità ADHD E DUS: correlati biologici.

Le manifestazione cliniche di ADHD e DUS (cioè impulsività e difficoltà scolastiche versus ricerca compulsiva e tolleranza per le droghe) sono sindromi correlate. L’addiction è una forma pervasiva e impulsiva di ricerca e di assunzione di droga, aspetti fenotipici che

condivide in comune con l’ADHD. (Jentsch and Taylor, 1999; Robinson

and Berridge, 2003). In secondo luogo, l’ADHD quando rimane non trattato è un significativo fattore di rischio per un successivo sviluppo di DUS (ADHD vs DUS). In terzo luogo individui con diagnosi di DUS spesso mostrano comportamenti sintomatici di ADHD; studi da modelli animali indicano che questi effetti potrebbero essere causati dall’introduzione di droghe (abuso di sostanze vs tratti simil ADHD). Infine l’ADHD è spesso trattato efficaciemente con farmaci (psicostimolanti) che determinerebbero comportamenti di abuso se non somministrati a basse dosi e attraverso vie di somministrazione che non

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producano livelli cerebrali di concentrazione tali da determinare fenomeni di ricompensa e abuso (Volkowand and Swanson, 2003).

I molteplici aspetti della relazione tra ADHD e DUS sono stati indagati sotto il profilo neurologico e cognitivo cercando basi comuni alla loro apparente comorbidità. Per esempio alcuni studi hanno proposto che l’ADHD possa essere caratterizzato da uno stato di aberrazione motivazionale e dei processi di rinforzo che determinerebbero alterazioni nelle funzioni esecutive con difficoltà nella pianificazione cognitivo-motoria, difficoltà nel mantenere l’attenzione e impulsività, fattori riconducibili ad una ipofunzione del tono dopaminergico. (Sagvolden et al., 2001).

Corrispettivamente alcune teorie descritte descrivono il DUS come il risultato di una disregolazione dei sistemi coivolti nella motivazione e nella ricompensa indotta dalla droga. È possibile dunque la tesi che un comune pattern di disfunzione dei sistemi neuronali, derivato da una parziale sovrapposizione di fattori genetici e neurochimici porti a

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caratteristici danneggiamenti del controllo cognitivo sul comportamento. Questo danno sul controllo determinerebbe segni e sintomi dell’ADHD, rappresentando inoltre un fattore di vulnerabilità per la successiva comparsa di DUS. (Koob and Le Moal, 1997;Robinson and Berridge, 2000; Jentsch and Taylor, 1999).

Sia nei pazienti con ADHD sia nei pazienti con DUS ( soprattutto in quelli che abusavano di stimolanti) si è evidenziano correlati sia anatomici che biochimici di una disfunzione a livello dell’area della corteccia frontale ventrolaterale. Questo suggerisce che un comune adattamento neuronale in quest’area medi il deficit del controllo inibitorio nei due disturbi. ( Miller and Cohen., 2001). Studi di neuro imaging hanno confermato una comune disfunzione in quest’area. Immagini molecolari hanno mostrato sia in soggetti con ADHD che soggetti DUS alterazione della produzione e della funzione della dopamina specie nelle aree striatali. (Ernst et al., 1998; Heinz et al., 2005; Ludolph et al., 2008; Martinez et al., 2007).

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Immagini funzionali hanno inoltre evidenziato una ipofunzione della regione anteriore del cingolo quando veniva richiesta una performance in cui sia i soggetti con ADHD che i soggetti con DUS dovevano elaborare una risposta inbitoria. (Hester and Caravan. ,2004; Leland et al., 2008). Prendendo come riferimento l’endofenotipo comune ai due disturbi, ossia il deficit di controllo inibitorio, alcuni studi si sono orientati alla ricerca di varianti genetiche. Il gene che ha ottenuto attenzione è il DAT 1, gene che codifica per la dopamina (Faraone et al., 2005). Un numero variabile di ripetizioni (polimorfismo nella regione 3 non tradotta) è stata associata a ADHD (Cornish et al., 2005; Gill et al., 1997; Lee et al., 2007; Roman et al., 2001; Swanson et al., 2000) e più recentemente con abuso da cocaina e dipendenza da nicotina (Guindalini et al., 2006; Stapleton et al., 2007).

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Trattamento e gestione del paziente con ADHD e DUS

Anche l'approccio terapeutico al paziente con ADHD in comorbidità con DUS prevede un trattamento multimodale. Sebbene non esistano linee guida specifiche, si può sostenere che ai pazienti di questo tipo debbano essere riservate alcune speciali considerazioni.

Il primo intervento dovrebbe essere volto alla condizione di uso-abuso o dipendenza dalla sostanza/e, e sarebbe opportuno un periodo di astinenza prima di procedere a valutazione e al trattamento dell’ADHD. Infatti, soltanto quando si sia intrapresa precedentemente una terapia per il DUS, l’aderenza allo stesso e l’efficacia del trattamento dell’ADHD risultano incrementate. Questo trattamento dovrebbe basarsi sull’integrazione di approcci differenti: terapie motivazionali, psicoterapia (in particolare cognitivo-comportamentale) e farmacoterapia.

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essa legate. Le possibili opzioni terapeutiche annoverano in primis i farmaci stimolanti, come il metilfenidato. Gli stimolanti incrementano la disponibilità di dopamina a livello sinaptico e questo si tradurrebbe in una riduzione di iperattività, impulsività e disattenzione associati all’ADHD, e migliorerebbe i comportamenti associati inclusi la capacità di eseguire compiti specifici, performance scolastiche e funzionamento sociale.

Sebbene gli stimolanti rappresentino il gold standard della farmacoterapia dell’ADHD, ci sono da tempo numerose evidenze circa l’efficacia di alcuni farmaci non stimolanti.

Questi includono antidepressivi triciclici, bupropione, modafinil, inibitori delle monoaminossidasi e atomoxetina. Gli studi che vanno a valutare la differente efficacia dei due tipi di farmaci esitano in risultati contraddittori e ancora non conclusivi, sembra comunque che gli stimolanti siano associati a migliore risposta.

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Nonostante questo il loro utilizzo in pazienti con ADHD e DUS suscita perplessità per la possibilità di aumentare il rischio di sviluppare condotte di abuso verso queste sostanze o di esacerbare un DUS preesistente. A tal proposito sono stati effettuati molti studi prospettici e naturalistici. I risultati sono contraddittori; alcuni suggeriscono che gli stimolanti costituirebbero un fattore di rischio per lo sviluppo di un DUS, altri che si tratterebbe di un trattamento inutile, e altri ancora che proteggerebbero i giovani soggetti con ADHD dallo sviluppo di un DUS. Una meta-analisi di Wilens et al. ( 2003) ha dimostrato chiaramente il ruolo protettivo della terapia stimolante in giovani con ADHD: nei bambini trattati si assiste ad una riduzione di circa la metà del rischio di sviluppare un DUS.

Un dato interessante è che l’effetto della terapia stimolante sul successivo sviluppo di un DUS differisce tra adolescenza e età adulta. Se nell’adolescenza i soggetti trattati avevano una riduzione del rischio di DUS di 5.8 volte rispetto a quelli non trattati, negli adulti questa

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riduzione veniva stimata solo di 1.4 volte (Faraone and Upadhyaya., 2007).

L’efficacia degli stimolanti sembra dipendere da diversi meccanismi di azione. Innanzitutto questi farmaci determinano una riduzione di alcuni sintomi dell’ADHD maggiormente legati allo sviluppo di DUS (quali bassa stima di sé, demoralizzazione e fallimento sociale e scolastico). In secondo luogo è possibile che gli stimolanti abbiano un effetto diretto sui circuiti neuronali dopaminergici di rinforzo, riducendo la sensibilità dei circuiti di reward dependance.

Rimane tuttavia da verificare se, nella pratica clinica, il trattamento con stimolanti è associato a tassi più elevati di uso illegale e abuso degli stessi in adolescenti e adulti con DUS. Dai numerose ricerche in proposito non emergono dati conclusivi. Ad esempio in uno studio longitudinale della durata di 10 anni su ragazzi con ADHD (56% del campione) confrontati con controlli senza ADHD (44% del campione), tutti trattati con stimolanti, si evidenziava che il 22% dei soggetti con

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ADHD faceva abuso dei trattamenti prescritti, contro il 5% dei soggetti dell’altro gruppo. La maggior parte dei pazienti con ADHD quindi dimostrava di fare un uso corretto delle prescrizioni. L’abuso di stimolanti si riscontra più frequentemente nei soggetti che presentano comorbidità per DUS o disturbo della condotta (Wilens and Gignac et al., 2006).

Dati longitudinali indicano che fino all'11% dei giovani affetti da ADHD vende i farmaci che dovrebbe assumere, e che il 22% dei pazienti con CD e disturbo da uso di sostanze li utilizza in modo scorretto (Wilens and Zusman et al., 2006). Va precisato che l'abuso o la dipendenza da psicostimolanti si manifesta generalmente in concomitanza di altre condizioni di addiction, ed è improbabile che un paziente che abuserà dei suoi farmaci stimolanti non sia già affetto da un disturbo da abuso di sostanze.

In generale fattori di rischio per un uso illecito di stimolanti sono: disturbi della condotta, DUS, uso di stimolanti a rilascio immediato,

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sesso maschile, razza Caucasica e presenza in famiglia di fratelli o sorelle che fanno uso di sostanze.

Pertanto ad oggi si ritiene che il trattamento farmacologico di prima scelta di adulti con ADHD e DUS non dovrebbe includere gli stimolanti, e dovrebbe basarsi su: bupropione, antidepressivi triciclici e atomoxetina. Gli stimolanti dovrebbero essere presi in considerazione soltanto in un secondo momento e tra questi in particolare pemolina, metilfenidato e destro-amfetamine valutando il crescente potenziale d’abuso.

Gli antidepressivi triciclici, quali desipramina e imipramina, si sono rivelati validi nel ridurre i sintomi dell’ADHD, sebbene siano scarsi i dati relativi in caso di comorbidità con DUS.

Il Bupropione ha dimostrato una discreta efficacia nei casi ADHD in comorbidità con DUS; Prince et al. (2002), in un trial in aperto della durata di 6 settimane, hanno valutato la risposta al farmaco in 32 soggetti con ADHD e DUS. Di questi un 41% ha abbandonato lo studio. Tuttavia

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lo si è riscontrata una significativa riduzione dei sintomi dell’ADHD e una, seppur minore, riduzione dell’abuso di sostanze.

Un altro farmaco che si è dimostrato efficace nella terapia dell’ADHD nell’adulto è l’atomoxetina, un inibitore altamente selettivo del reuptake della noradrenalina, molecola che non sembra presentare potenziale d’abuso. Heiligenstein et al. ( 2002) hanno evidenziato che, a dosi terapeutiche in soggetti adulti, l’atomoxetina adulti non presenta rischio di abuso, indicandola pertanto come promettente alternativa alla terapia stimolante. Inoltre l’atomoxetina può risultare efficace nel controllo di alcuni altri disturbi psichiatrici in comorbidità, come i disturbi d’ansia e il disturbo bipolare (Biederman and Wilens et al., 1995).

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Obiettivi dello studio

La letteratura riporta una stretta associazione fra l’ADHD e i Disturbi da Uso di sostanze (DUS). Tuttavia solo poche indagini sono state condotte in popolazioni di soggetti adulti affetti da DUS per riconoscere e caratterizzare gli individui affetti da ADHD.

A questo scopo abbiamo deciso di valutare la prevalenza di sintomi ascrivibili allo spettro ADHD in pazienti affetti da DUS e le caratteristiche cliniche ad essi associate.

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Materiale e Metodo

Per la ricerca abbiamo selezionato una casistica di 146 pazienti ambulatoriali consecutivi afferenti agli ambulatori ed al Day Hospital della Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa, agli ambulatori del Servizio per le tossicodipendenze (SerT) di Viareggio, ed agli ambulatori della Comunità Terapeutica Incontro di Pistoia e al C.E.I.S di Livorno per un periodo di circa 12 mesi. Tutti i pazienti hanno fornito un consenso informato per la partecipazione allo studio che era stato approvato dal comitato etico dell’Università di Pisa.

I dati clinici venivano raccolti mediante una scrupolosa intervista semi-strutturata. Per l’intervista basale occorreva circa 1 ora di tempo. Le interviste sono state condotte da due psichiatri con almeno cinque anni di esperienza nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi dell’umore e dei disturbi da uso di sostanze. Ogni clinico aveva seguito un programma di training per l’uso degli strumenti di intervista, che includeva l’osservazione diretta di intervistatori esperti, la supervisione

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durante le interviste e prove di inter-rater reliability. Dato che la raccolta delle informazioni dipendeva ampiamente da ciò che i pazienti erano in grado di ricordare, tutte le notizie sono state verificate dal coordinatore del progetto di ricerca allo scopo di ottenere un consensus agreement con gli psichiatri intervistatori. Quando sorgevano dubbi, i pazienti venivano ricontattati per ulteriori chiarimenti. In quasi tutti i casi, veniva revisionata la documentazione clinica del paziente e le informazioni mancanti recuperate da familiari o sanitari precedenti.

Sono stati somministrati i seguenti strumenti di rating: ASRS-v 1.1. (Adult ADHD Self-Report Scale) e DCTC (Diagnostic, Clinical and Therapeutic Checklist).

La DCTC è una intervista semi-strutturata sviluppata per formulare la diagnosi delle principali sindromi cliniche di Asse I e II, sulla base dei criteri previsti dal DSM-IV per le specifiche entità nosografiche. Essa permette di raccogliere sistematicamente informazioni demografiche, anamnestiche e cliniche. La DCTC consente di valutare l’andamento nel

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tempo della sintomatologia psichiatrica tramite la CGI e dell’adattamento sociale tramite la GAF e la Sheehan Disability Scale. E’ possibile registrare le comorbidita’ di Asse I del paziente e le eventuali terapie farmacologiche assunte. Vengono inoltre raccolte informazioni sui trattamenti precedenti o eventuali cambiamenti di terapia proposti in sede di valutazione.

Per la valutazione dell’ADHD i pazienti compilavano la Adult ADHD Self-Report Scale (ASRS-v1.1). Si tratta di uno strumento di autovalutazione costituito da 18 items che esplorano la sintomatologia degli ultimi 6 mesi. I primi 6 Items consentono di effettuare uno screening diagnostico per la presenza di ADHD nell’adulto. La diagnosi viene formulata quando si ottengono punteggi superiori ad un range prestabilito in 4 o più dei primi 6 items.

Analisi Statistiche

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sintomatologia ADHD rilevata mediante la ASRS erano confrontate fra i due gruppi di pazienti con (ADHD) e senza ADHD (no-ADHD). L’analisi comparativa per le caratteristiche epidemiologiche, cliniche e sintomatologiche dei diversi sottogruppi, è stata condotta utilizzando la cross-tabulation per le variabili categoriali. Abbiamo utilizzato livelli di significatività a doppia coda con soglia p < 0.5.

L’analisi fattoriale sugli items della ASRS è stata condotta con tecnica Varimax forzando il risultato a tre fattori.

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Risultati

Il campione in studio è costituito da 146 pazienti affetti da DUS, 111 maschi e 35 femmine. 28 soggetti presentano diagnosi di ADHD secondo la ASRS-v1.1. Tra i pazienti con una comorbidità per ADHD ed il resto della casistica (no-ADHD) non si osservano differenze per quanto riguarda età, sesso, stato civile, attività lavorativa ed istruzione (Tabella 4).

Per quanto riguarda il tipo di sostanze usate (Tabella 5), nei due gruppi di pazienti non appaiono differenze statisticamente significative, anche se nel gruppo no-ADHD si osserva una maggiore percentuale di pazienti abusatori per il THC (20.3 % vs 10.7 %).

Analizzando la comorbidità psichiatrica (Tabella 5) i pazienti con ADHD rispetto al gruppo noADHD mostrano una maggior prevalenza del Disturbo Bipolare (85.7% vs 38.1%; p= .01), e presentano al momento dell’osservazione un maggior numero di episodi maniacali (14,3% vs 2.5%; p= .009) e misti (46,4 % vs 23,7%; p= .02). Gli

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episodi depressivi maggiormente rappresentati nei soggetti con ADHD rispetto al gruppo no-ADHD (25% vs 11.9%; P=.08) tuttavia non raggiungono la significatività statistica.

Nell’ analizzare la prevalenza di Disturbi d’ansia e i Disturbi del Controllo degli Impulsi fra i pazienti ADHD e no-ADHD emergono differenze statisticamente significative solo per il Disturbo Ossessivo Compulsivo che risulta più frequente nei pazienti con ADHD (10.7% vs 1.7%; p=.02).

Anche per quanto riguarda i Disturbi del Comportamento Alimentare non si rilevano differenze statisticamente significative nei due gruppi.

Alla scala CGI-bipolar (Tabella 5) i pazienti con ADHD riportano dei punteggi tendenzialmente maggiori negli item “gravità maniacale”( M=1.04, ds= 1.34 vs M= 0.57 ds= 0.93; p=.03), “gravità stato misto”( M=1.71 ds= 1.90 vs M=0.95 ds= 1.47; p=.02) e “gravità depressione”( M=2.1 ds =1.5 vs M=1.5 DS=1.5; P=.04 ). Negli altri item non

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emergono differenze rilevanti.

Tramite la Sheehan Disability Scale sono stati valutati l’adattamento lavorativo, familiare e sociale. I pazienti ADHD non si differenziano da quelli del gruppo no-ADHD relativamente all’adattamento lavorativo, familiare e sociale.

Il punteggio della scala GAF non mostra differenze significative. (Tabella 5).

Abbiamo inoltre valutato nel campione in oggetto la risposta al trattamento pregresso con antidepressivi (Tabella 6). Non si osservano significative differenze per quanto riguarda “viraggio maniacale” e “instabilità dell’umore”, “resistenza al trattamento” ma i soggetti ADHD riportano maggiore “irritabilità” rispetto al gruppo no-ADHD (42.9 % vs 15.3 % ; P=.00).

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Abbiamo eseguito un’analisi fattoriale (Tabella 7) dei 18 item della ASRS utilizzando tutti i 146 pazienti dello studio per valutare la modalità con cui i diversi items si raggruppano tra loro nella nostra popolazione di abusers. I risultati dell’analisi suggeriscono che gli items possono essere raggruppati in tre fattori che spiegano il 48.7 % della varianza.

In particolare il primo fattore, che ha un Eingenvalue di 3.21 ed è in grado di spiegare il 17.8 % della varianza, può essere denominato “Inattenzione”; in esso, infatti, sono significativamente associati gli items :

-3 (.451), Problemi a ricordare appuntamenti e scadenze

-4 (.590), Evitare o ritardare lo svolgimento di un compito che richiede molto ragionamento

-5 (.406), Agitare mani o piedi quando deve stare seduto per molto tempo

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-7 (.722), Errori di distrazione nello svolgimento di un progetto difficile o noioso

-8 (.682), Difficoltà a mantenere l’attenzione durante un lavoro noioso o ripetitivo

-9 (.534), Difficoltà di concentrazione su ciò che viene detto dal proprio interlocutore

-10 (.715), Smarrire cose, o difficoltà a trovarle

-11 (.473) Distrazione dall’attività o dal rumore attorno a sè

Il secondo fattore, che ha un Eingenvalue di 2.9 ed è in grado di spiegare il 16.3 % della varianza, è denominabile “Iperattività-impulsività”, ed è composto dagli items:

-5 (.576), Agitare mani o piedi quando deve stare seduto per molto tempo

-6 (.429), Sentirsi eccessivamente attivo o costretto a fare qualcosa come se comandato da un motore

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-15 (.695), Parlare troppo in situazioni sociali

-16 (.771), Interrompere una persona quando deve ancora terminare di parlare

-17 (.415), Difficoltà ad attendere il proprio turno

-18 (.570). Interrompere gli altri quando sono molto occupati

Infine il terzo fattore, che ha un Eingenvalue di 2.6 ed è in grado di spiegare il 14.5 % della varianza ed è denominabile “Difficoltà di organizzazione”, è costituito dagli items:

-1 (.722), Difficoltà nel mettere a punto i dettagli di un progetto

-2 (.692), Difficoltà nell’ordinare oggetti mentre sta svolgendo un compito che richiede organizzazione

-4 (.527), Evitare o ritardare lo svolgimento di un compito che richiede molto ragionamento

-6 (.473), Sentirsi eccessivamente attivo o costretto a fare qualcosa come se comandato da un motore

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interlocutore

-13 (.514), Sentirsi non riposato o agitato -14 (.466). Difficoltà a rilassarsi

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Discussione

Nel campione in oggetto il 19.3% dei soggetti con Disturbo da Uso

di Sostanze presenta una diagnosi compatibile con ADHD in età adulta. Il dato è in accordo con quanto riportato in letteratura: la prevalenza dell’ADHD nei pazienti con DUS è circa tre volte maggiore rispetto alla popolazione generale (Levin et al., 1998), (King and Brooner et al., 1999), (Clure and Brady et al., 1999).

D’altro canto anche il tasso di DUS negli individui con ADHD può raggiungere il 40% (Kalbag and Levin et al., 2005), ben maggiore di quanto non si osservi nella popolazione generale (circa 14,6%, (Kessler and Adler et al., 2005).

Alcuni autori riportano che la diagnosi di ADHD è associata ad un esordio precoce ed un decorso più severo del DUS, con maggior numero di ricadute e tempi più lunghi necessari per la remissione (Carroll and Rounsaville et al., 1993),(Wise and Cuffe et al., 2001), (Stein and Marx

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et al., 2004) , (Wilens and Biederman et al., 1997).

Nel nostro studio non si osservano verosimilmente differenze apprezzabili all’analisi delle variabili socio-demografiche fra il gruppo ADHD e no-ADHD ne tantomeno differenze di decorso (esordio precoce, numero di ricoveri, tentativi anticonsevativi) probabilmente in parte per la limitata dimensione del campione.

Un recente studio di Arias et al. (Arias and Gelernter et al., 2008), condotto su un campione di 1761 pazienti con DUS, ha evidenziato, nei probandi con ADHD, un maggior utilizzo di sostanze in generale.

Alcuni autori hanno ipotizzato che i pazienti con ADHD possano utilizzare sostanze stimolanti, come la cocaina, per ridurre i sintomi propri del disturbo, tuttavia né nel nostro campione, né in altri studi presenti in letteratura (Biederman and Wilens et al., 1995), vengono riscontrate significative differenze nella tipologia di sostanza utilizzata in pazienti DUS con e senza ADHD.

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self-medication è più ragionevole proporre che l’utilizzo di sostanze nei pazienti ADHD sia facilitato dall’impulsività propria del disturbo (Arias and Gelernter et al., 2008) e dalla maggiore presenza di comorbidità per disturbi dell’umore. Nel nostro studio non si osservano verosimilmente differenze apprezzabili fra il gruppo ADHD e no-ADHD probabilmente in parte sia per la limitata dimensione del campione che per la tipologia dei pazienti abuser, prevalentemente dipendenti da oppioidi e gravati da un alto tasso di poliabuso.

Analizzando la comorbidità psichiatrica si evidenzia che il Disturbo Bipolare (DB) è più frequente nel gruppo ADHD rispetto al gruppo no-ADHD: ben l’85,7% dei pazienti con ADHD presentava un Disturbo Bipolare. Una maggiore frequenza di DB in soggetti con DUS e ADHD rispetto a DUS no-ADHD è stata riscontrata anche da Arias et al. (Arias and Gelernter et al., 2008).

Gli stessi autori riscontravano inoltre una maggiore frequenza di disturbi della condotta, di disturbo di personalità antisociale, diagnosi non

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indagate nel presente studio, e di disturbo da stress post-traumatico, da noi non riscontrato presumibilmente per la limitata dimensione campionaria. La comorbidità fra DB e ADHD è un dato di frequente riscontro in letteratura, individui con ADHD hanno alti tassi di DB ed anamnesi familiare positiva per DB (Dilsaver and Henderson-Fuller et al., 2003); (Secnik and Swensen et al., 2005). D’altro canto l’ADHD è spesso diagnosticato in pazienti con Disturbo Bipolare (Tamam and Karakus et al., 2008); (Sentissi and Navarro et al., 2008); (Tamam and Tuglu et al., 2006);(Sachs and Baldassano et al., 2000). La comorbidità per ADHD è particolarmente alta nelle casistiche pediatriche, raggiungendo il 38–98% (Tamam and Karakus et al., 2008); (Sachs and Baldassano et al., 2000), e decresce nella popolazione adulta fino al 9%– 35% (Tamam and Karakus et al., 2008); (Nierenberg and Miyahara et al., 2005); (Sentissi and Navarro et al., 2008); (Tamam and Tuglu et al., 2006).

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decorso peggiore rispetto ai no-ADHD; hanno al momento dell’osservazione un più alto tasso di episodi maniacali, stati misti e depressivi (sebbene questo ultimo dato non raggiunga la significatività statistica) ed una maggiore gravità degli stessi. In letteratura non si apprezzano studi che paragonino pazienti bipolari abuser con e senza comorbidità per ADHD, ma è ben noto che, in generale, soggetti BD con ADHD presentano un decorso peggiore rispetto ad individui BD non ADHD: l’esordio dei sintomi maniacali è precoce (Kent and Craddock et al., 2003); (Wingo and Ghaemi et al., 2007); (Nierenberg and Miyahara et al., 2005); (Masi et al., 2006); (Sachs and Baldassano et al., 2000); (Jaideep et al., 2006), anche di 3-5 anni (Nierenberg et al., 2005); (Masi et al., 2006). Inoltre si riscontra un decorso peggiore (Wingo and Ghaemi et al., 2007); (Nierenberg and Miyahara et al., 2005); (Tamam and Tuglu et al., 2006), più alti tassi di Disturbo Bipolare tipo I (Nierenberg and Miyahara et al., 2005), una maggiore frequenza di episodi depressivi (Tamam and Tuglu et al., 2006) e maniacali (Nierenberg and Miyahara et

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al., 2005), con una durata minore degli intervalli liberi da malattia (Nierenberg and Miyahara et al., 2005). Tutto questo ha portato a formulare l’ipotesi che il Disturbo Bipolare in comorbidità con ADHD sia in realtà un fenotipo distinto (Faraone and Biederman et al., 1997). Studi di familiarità sembrano confermare questa ipotesi. (Faraone and Biederman et al., 1994); (Wozniak and Biederman et al., 1995).

Abbiamo infine indagato la risposta agli antidepressivi nel campione in oggetto ; i pazienti con ADHD presentano maggiore irritabilità rispetto ai soggetti no-ADHD.

In letteratura è riportato che pazienti con ADHD e abuso di sostanze possono beneficiare di terapie a base di Bupropione, con miglioramento sia dei sintomi ADHD che del craving per le sostanze (Riggs and Leon et al., 1998); (Wilens and Spencer et al., 2001); (Levin and Evans et al., 2002); (Wilens and Prince et al., 2003), altri studi indicano una buona risposta al metilfenidato (Levin and Evans et al., 1998).

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diversi antidepressivi, ma la maggior parte dei soggetti aveva assunto SSRI. I dati in nostro possesso potrebbero suggerire una peggiore risposta agli antidepressivi SSRI in pazienti con DUS e ADHD, ma quanto riscontrato potrebbe essere una conseguenza del maggior tasso di individui con DB nei pazienti con DUS con ADHD. Ulteriori ricerche con campioni più estesi saranno necessarie per chiarire questo aspetto. L’analisi fattoriale della scala ASRS suggerisce come, in una popolazione di pazienti con abuso di sostanze, gli items che esplorano sintomi di ADHD si distribuiscano principalmente in tre gruppi: quello dell’inattenzione, dell’iperattività-impulsività e quello della disorganizzazione.

Il fattore del deficit di attenzione è quello più importante nella nostra casistica di pazienti adulti con DUS; questo dato è in accordo con quanto rilevato da altri autori (Heiligenstein and Conyers et al., 1998); (Fischer and Barkley et al., 2007); (Barkley and Fischer et al., 2006), secondo i quali con il passare dell’età la componente deficit dell’attenzione si

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mantiene, mentre l’iperattività tende a ridursi.

Nei nostri pazienti iperattività ed impulsività sono associate in un fattore unico che ha un peso analogo al fattore disorganizzazione. Nell’adulto con DUS inattenzione e difficoltà di organizzazione sembrano assumere un importanza rilevante venendo a costituire una parte essenziale del quadro sintomatologico. Questi risultati possono essere anche spiegati, almeno in parte, con le alterazioni cognitive legate all’uso cronico di sostanze psicotrope. Un’altra possibilità è che la gravità dei sintomi inattentivi sia la variabile che meglio correli con un aumentato rischio di sviluppare DUS in soggetti con ADHD, secondo quanto già sostenuto da altri autori (Molina and Pelham et al., 2003); (Wilens et al., 2004).

Limitazioni

La nostra ricerca presenta alcuni limiti metodologici che devono essere tenuti in considerazione nella valutazione dei risultati. L’indagine condotta è retrospettiva ed è soggetta ai bias di memoria per quanto

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riguarda la diagnosi e l’esordio della sintomatologia. Tale bias, comunque è condiviso dai 2 gruppi confrontati. Per quanto riguarda l’ADHD, inoltre, è verosimile una sottostima retrospettiva, vista la scarsa frequenza con la quale questa diagnosi viene riportata nel nostro paese. Inoltre i pazienti sono stati reclutati presso Ser.T, comunità e centri di assistenza di terzo livello, pertanto quanto osservato si riferisce ad un campione con particolare gravità psicopatologica, non necessariamente rappresentante dei pazienti con DUS che si riscontrano nella popolazione generale. Un’altra limitazione è legata al fatto che, essendo lo studio condotto da valutatori clinici esperti, essi non erano ciechi rispetto alle valutazioni diagnostiche. L’uso di strumenti standardizzati di valutazione riduce comunque questo tipo di limite.

Figura

Tabella 4. Aspetti demografici in pazienti Disturbo da Uso di Sostanze (DUS), con  ADHD (ADHD) o senza ADHD (noADHD)
Tabella 5. Aspetti diagnostici e clinici in pazienti con Disturbo da Uso di  Sostanze (DUS) con ADHD (ADHD) o senza ADHD (noADHD)
Tabella 5. Aspetti diagnostici e clinici in pazienti con Disturbo da Uso di  Sostanze (DUS) con ADHD (ADHD) o senza ADHD (noADHD)
Tabella 7. Analisi fattoriale degli item ASRS in 146 pazienti con DUS   Items ASRS  Fattore 1  Inattenzione Fattore 2  Iperattività/ Impulsività  Fattore 3  Mancanza di  Organizzazione 1-Difficoltà nel mettere a punto i dettagli di un progetto ,003 ,172  ,

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