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Metodi per l'estrazione di caratteristiche di molecole mediante la microscopia a forza atomica

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Academic year: 2021

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Introduzione

Nel campo biomedico l’interfacciamento tra classici dispositivi elettronici o meccanici e nuovi materiali biologici riveste un ruolo fondamentale per lo sviluppo di tecnologie innovative. Questo giustifica gli ampi investimenti ed i programmi di ricerca internazionali orientati a realizzare dispositivi robusti e di facile utilizzo, basati su materiali biologici che conservino, all’interno del dispositivo, le loro caratteristiche funzionali.

Altrettanto interesse industriale e scientifico riveste lo studio della biologia strutturale delle molecole e delle proteine in particolare.

Lo studio della biologia strutturale delle proteine impiega al momento le tecniche della diffrazione a raggi X e della NMR (Nuclear Magnetic Resonance), ma, in entrambi i casi, lo studio è molto oneroso sia in termini economici che di tempo. Una possibile alternativa a questo approccio è data dall’utilizzo della microscopia AFM (Atomic Force Microscopy).

Fino ad ora l’uso dell’AFM è stato possibile solo con pochi materiali biologici, in quanto (come verrà spiegato in seguito), se il campione non è ben fissato al supporto, viene portato via dalla sonda del microscopio.

In entrambi i casi citati (realizzazione di dispositivi e biologia strutturale) esiste il problema dell’immobilizzazione delle molecole su un materiale solido.

In questa ottica la ProteoGen Bio, società spin-off dell’Università di Pisa con sede a Pontedera, ha brevettato un nuovo sistema di ancoraggio di molecole proteiche su supporti solidi. Grazie a questo metodo è stato possibile fissare, su diverse tipologie di supporti, numerose molecole proteiche, tra queste è di grande interesse il caso della molecola enzimatica tripsina.

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Grafico 1: schema dei principali metodi di immobilizzazione di una molecola

Gli enzimi sono dei biocatalizzatori, di conseguenza possono avere molteplici applicazioni in campo industriale. Il loro utilizzo viene limitato dalla relativa instabilità di molti di essi, dal costo di purificazione e dal difficoltoso recupero degli enzimi stessi e dei prodotti di biocatalisi dalla miscela di reazione.

Per ovviare a questi inconvenienti si può ricorrere all'immobilizzazione di enzimi "naturali" in matrici solide. Col termine "enzima immobilizzato" si può indicare un enzima opportunamente modificato in modo da stabilizzarlo su fase solida, un enzima in soluzione utilizzato in reattori muniti di membrana di ultrafiltrazione non permeabile in grado di trattenere le molecole di enzima dentro il reattore o, ancora, un enzima la cui mobilità e solubilità è stata modificata tramite legame ad un'altra macromolecola.

Tra i metodi che prevedono il legame ad una macromolecola (carrier) è di sicura importanza quello covalente tra questa e l'enzima. Il legame covalente rende questo sistema di immobilizzazione stabile, anche in presenza dei substrati e in condizioni di alta forza ionica.

I metodi più diffusi per la formazione di associazioni covalenti ricorrono a reattivi chimici che richiedono talvolta, da un lato, condizioni estreme che potrebbero

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danneggiare l'enzima, dall'altro, l'indesiderato coinvolgimento di residui aminoacidi necessari per l'attività enzimatica.

Il metodo che la ProteoGen Bio ha brevettato si può sinteticamente schematizzare in quattro fasi rappresentate in fig. 1. La molecola enzimatica (in questo caso la tripsina) subisce un primo trattamento, nel quale viene legata ad un’altra molecola proprio in corrispondenza del sito attivo, questa operazione ha lo scopo di proteggere il sito attivo della molecola dalle successive trasformazioni.

Nella seconda fase si favorisce il legame tra le tripsine ed i carriers. Questo legame non va a crearsi in corrispondenza del sito attivo (protetto), che nella terza fase viene quindi liberato. Nella quarta fase le tripsine legate ai carriers si legano (grazie a questi ultimi) al substrato solido.

Sui supporti così realizzati sono stati fatti numerosi test, ed i risultati sono stati così positivi da permettere la realizzazione, e la successiva immissione sul mercato, di alcuni dispositivi basati sui tappeti di tripsine ottenuti. La attività endopeptidasica e la costante cinetica della tripsina così immobilizzata è risultata assai soddisfacente, inoltre è stato dimostrato che le tripsine così ancorate rimangono attive per un tempo molto lungo e si può sfruttare la loro funzione di biocatalizzatori ripetute volte. La possibilità di analizzare molecole di tripsina fissate ad un supporto si è rivelata oltremodo utile. Infatti le misure di attività hanno dimostrato che, essendo questa rimasta rilevante, l’ancoraggio non distorce la struttura molecolare. Inoltre esiste la disponibilità in letteratura della struttura completa di questa proteina. Queste considerazioni rendono la tripsina il candidato ideale per iniziare uno studio sull’imaging molecolare tramite microscopia AFM.

Tra i motivi che portano a preferire la microscopia a forza atomica alle altre ci sono le altissime risoluzioni raggiungibili, la possibilità di lavorare ‘in soluzione’, oltre a quella di potere individuare una stessa singola molecola immobilizzata ed analizzarla in tempi diversi per studiarne eventuali cambiamenti.

Tuttavia, nonostante le enormi capacità dello strumento, un’analisi di questo tipo evidenzia delle difficoltà, spesso dei veri e propri limiti, dell’AFM. Il principale di questi limiti è la distorsione nel segnale tipica di questo strumento, dipendente in prima approssimazione dalla morfologia della sonda utilizzata e mai totalmente

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Con il presente lavoro si è cercata una metodologia di studio delle immagini AFM che affianca alcuni degli algoritmi normalmente utilizzati nel filtraggio di immagini AFM alle informazioni sul campione e sullo strumento note a priori ed ad un nuovo software (sviluppato in cooperazione col gruppo di chimica strutturale dell’Università di Alessandria guidato dal prof. Cossi) in un unico algoritmo basato sulla tecnica della mutua informazione.

Figura 1: schematizzazione in diverse fasi del metodo di ancoraggio brevettato dalla ProteoGen Bio

Si costruirà un modello tridimensionale della tripsina con posizioni angolari (angoli di Eulero) variabili sul quale si eseguirà la simulazione della microscopia AFM. Per ottenere questa simulazione si utilizzeranno le caratteristiche proprie del microscopio AFM quali il tip.

L’immagine simulata sarà quindi confrontata con quella ottenuta al microscopio reale e sarà valutata la mutua informazione delle due immagini. L’algoritmo si propone poi di massimizzare la mutua informazione, ruotando il modello della tripsina sui tre assi, tramite le tecniche di ottimizzazione utilizzando in una prima fase di approssimazione una base di conoscenza ottenuta precedentemente ed in una seconda fase un ottimizzatore locale come il metodo di Powell per raggiungere l’approssimazione desiderata.

Nel primo capitolo di questo lavoro si fa il punto sullo stato dell’arte dell’osservazione microscopica dei materiali biologici; sono messe a confronto le tecniche di microscopia principali evidenziandone il funzionamento di massima per poi focalizzare l’attenzione sui pregi ed i difetti nelle applicazioni biologiche specifiche.

Il secondo capitolo mira ad una analisi più accurata sulla microscopia SPM (Scanning Probe Microscopy) ed in particolare sulla famiglia dell’ AFM (Atomic Force Microscopy). Lo scopo di questo capitolo è quello di evidenziare alcune delle

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caratteristiche tipiche di questo strumento che introducono la distorsione che ci proponiamo di superare.

Nel terzo capitolo è esposta nei dettagli l’attività di sviluppo; viene presentato l’algoritmo generale proposto e le tecniche di implementazione delle differenti fasi: creazione del modello tridimensionale, ricostruzione e modellizzazione del tip dell’AFM, simulazione dell’imaging AFM , tecniche di confronto ed ottimizzazione. Il quarto capitolo espone i risultati dell’approccio proposto ed affianca ai vari passaggi dell’algoritmo i tempi necessari per il loro utilizzo.

Nel quinto capitolo trovano posto le osservazioni conclusive riguardanti questo lavoro ponendo l’accento su tecniche e precauzioni necessarie all’uso del lavoro stesso e sulle sue applicazioni future.

Figura

Figura 1: schematizzazione in diverse fasi del metodo di ancoraggio brevettato dalla ProteoGen Bio
Figura 2: Tappeto di tripsine su supporto siliceo (immagine AFM acquisita presso l’università di

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