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Caratterizzazione di varietà frutticole autoctone della Garfagnana

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in

Produzioni agroalimentari e gestione degli agroecosistemi

Tesi di Laurea Magistrale

Caratterizzazione di varietà frutticole autoctone della

Garfagnana

Relatore: Prof. Damiano Remorini

Correlatore: Ivo Poli

Candidata: Elena Bernardini

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RIASSUNTO

Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito delle attività finalizzate al recupero e alla salvaguardia di varietà frutticole autoctone del territorio della Garfagnana che il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa persegue dal 2010, con la descrizione e la successiva iscrizione al Repertorio regionale delle risorse genetiche autoctone vegetali di interesse agrario. La recente individuazione di alcune interessanti varietà di fruttiferi non ancora descritti e conservati a Camporgiano (LU) presso il Centro La Piana, sezione della Banca Regionale del Germoplasma della Toscana, è stata l’occasione per intraprendere una nuova fase della suddetta attività.

Alcune varietà fruttifere autoctone (sei ciliegi, due peschi, tre peri e due meli), di comprovata presenza sul territorio locale e a rischio di estinzione, sono state individuate e descritte seguendo le norme raccomandate dall’UPOV (Union Internazionale pour la Protection des Obtentions Vègètales). Sono state, inoltre, effettuate ulteriori analisi con lo scopo di caratterizzare qualitativamente i frutti.

Lo scopo del lavoro di caratterizzazione delle varietà frutticole, oltre alla loro descrizione in funzione dell’iscrizione al repertorio regionale, è stato quello di verificare se potessero fornire interessanti risultati in termini di caratteristiche qualitative nell’ottica di una valorizzazione commerciale del prodotto.

Mediante sopralluoghi periodici sono stati rilevati, sulle piante madri, tutti i dati indispensabili per una puntuale descrizione dei loro principali dati morfologici, fenologici, ed agronomici. A corredo di tale attività è stato effettuato un puntuale e dettagliato reportage fotografico.

I frutti di tutte le varietà oggetto di studio sono stati raccolti e valutati, in laboratorio, per i principali caratteri qualitativi e nutrizionali (peso fresco alla raccolta, diametro del frutto, contenuto in solidi solubili, durezza della polpa, predisposizione al cracking, contenuto in fenoli totali, antociani, acido ascorbico, acidità titolabile e capacità antiossidante).

I dati emersi in seguito alle analisi di laboratorio sono stati valutati ed hanno fornito interessanti risultati che possono consentire una valorizzazione di alcuni di questi prodotti (in particolare alcune varietà di ciliegie) anche sotto l’aspetto commerciale.

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INDICE

Riassunto ... 2 Indice ... 3 1 INTRODUZIONE ... 5 1.1 Concetto di Biodiversità ... 5 1.2 Varietà antiche ... 7 1.3 Germoplasma Toscano ... 8

1.4 Varietà antiche della Garfagnana ... 11

1.5 Il territorio della Garfagnana ... 11

1.6 La qualità agro-alimentare ... 13

1.6.1 Il concetto di qualità ... 13

1.6.2 Le caratteristiche organolettiche ... 16

1.6.3 Valutazione della qualità dei frutti ... 19

1.6.4 Principi e metodi per la valutazione della qualità ... 19

1.6.5 Valutazione sensoriale ... 20

1.7 Biochimica dei composti ... 22

1.7.1 Antiossidanti ... 22

1.7.2 Effetto dei ROS sulla salute umana ... 27

1.7.3 Gli antiossidanti più comuni in natura ... 29

1.7.4 Gli antiossidanti vitaminici ... 29

1.7.5 Gli antiossidanti fenolici ... 30

1.8 Cracking dei frutti ... 32

1.9 Scopo della tesi ... 35

2 MATERIALI E METODI ... 37

2.1 Materiale vegetale ... 37

2.2 Schede Varietali ... 38

2.3 Campionamento del materiale vegetale ... 39

2.4 Analisi di laboratorio ... 40

2.4.1 Pezzatura dei frutti ... 40

2.4.2 Colore ... 41

2.4.3 Consistenza della polpa ... 41

2.4.4 Contenuto in solidi solubili ... 41

2.4.5 Cracking index ... 41

2.4.6 Acidità titolabile ... 42

2.4.7 Determinazione del contenuto in composti fenolici ... 42

2.4.8 Determinazione della capacità antiossidante ... 44

2.4.9 Contenuto in flavonoidi ... 45

2.4.10 Contenuto in antociani ... 45

2.4.11 Contenuto in acido ascorbico ... 46

2.5 Analisi statistica dei dati ... 47

3 RISULTATI E DISCUSSIONE ... 48

3.1 Scheda varietale melo ‘Renetta di Cerasa’ ... 48

3.2 Scheda varietale melo ‘Renetta Rugginosa’ ... 51

3.3 Scheda varietale pero ‘Lucchesi’ ... 53

3.4 Scheda varietale pero ‘Limone’ ... 55

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3.6 Scheda varietale ciliegio ‘Rigata del Grisanti’ ... 61

3.7 Scheda varietale ciliegio ‘Bianca del Grisanti’ ... 64

3.8 Scheda varietale ciliegio ‘Cuore’ ... 67

3.9 Scheda varietale ciliegio ‘Dell’Amos’ ... 70

3.10 Scheda varietale ciliegio ‘Rosa D’Achille’ ... 73

3.11 Scheda varietale ciliegio ‘Rumicona’ ... 75

3.12 Scheda varietale ‘Pesco del Sangue’ ... 77

3.13 Scheda varietale ‘Pesco della Calda’ ... 79

3.14 Qualità dei frutti ... 81

3.14.1 Peso medio ... 81

3.14.2 Contenuto in solidi solubili ... 82

3.14.3 Acidità titolabile ... 85 3.14.4 Acido ascorbico ... 87 3.14.5 Fenoli ... 88 3.14.6 Capacità antiossidante ... 90 3.14.7 Antociani ... 91 3.14.8 Cracking index ... 92 3.15 Comparazione risultati ... 94 4 CONCLUSIONI ... 97 5 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ... 99 6 SITOGRAFIA ... 109

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1 INTRODUZIONE

1.1 Concetto di Biodiversità

Il termine “biodiversità” venne coniato da Walter G. Rosen nel 1985 e cominciò ad essere utilizzato in occasione del Forum Nazionale sulla Biodiversità tenuto a Washington DC nel settembre del 1986. Il concetto divenne però di uso comune soltanto nel 1992 con la redazione della Convenzione sulla Biodiversità, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) al vertice di Rio de Janeiro (Padovani et al., 2009). Tale documento indica col termine “biodiversità” (forma abbreviata di “diversità biologica”) la “variabilità tra organismi viventi siano essi terrestri, marini o di altri ecosistemi acquatici, e i complessi sistemi ecologici di cui sono parte; includendo quindi sia la diversità interspecifica sia la diversità tra le specie ed i sistemi cui esse appartengono” (Solidea, 1993). In altre parole, la biodiversità comprende, a livelli diversi, i geni, le specie e gli ecosistemi.

Il termine biodiversità, si riferisce quindi alla diversità a tutti i livelli dell’organizzazione biologica. A distanza di anni dalla prima introduzione del termine, la conservazione della biodiversità è divenuta tema di grandissima importanza data l’attuale drammatica crescita del tasso di estinzione di specie vegetali ed animali.

La conservazione della biodiversità dovrebbe avere come unità di riferimento l’intera comunità che contiene, al suo interno, la biodiversità a livello di specie, di individuo e di gene (ARSIA, 1999).

Conseguentemente la diversità biologica può essere definita a tre diversi livelli gerarchici (European Commission DG Environment, 2001; Padovani et al., 2009):

• ecologica, intendendo con essa l’insieme dei diversi ecosistemi (naturali o meno) esistenti sulla terra secondo un punto di vista quali-quantitativo; • di specie, intendendo tutte le specie viventi sul pianeta con un interesse

particolare alle relazioni interspecifiche e tra le popolazioni;

genetica, che riguarda l’insieme delle informazioni genetiche contenute nel pool genetico di ogni singola specie.

L’agricoltura si colloca nella panoramica della biodiversità in modo bivalente; se da un lato causa e contribuisce l’erosione della diversità biologica, dall’altro si inserisce anche nel processo volto alla sua protezione; l’evoluzione delle attività agricole ha spesso avuto come effetto l’arricchimento del panorama ambientale, creando o mantenendo alcuni

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ecosistemi ed habitat, mentre in altre circostanze, ad esempio nelle zone umide, sarebbe auspicabile l’abbandono delle stesse attività agricole ai fini del recupero della biodiversità (European Commission DG Environment, 2001).

Alla fine degli anni novanta la Regione Toscana ha emanato la legge n° 50 del 16 luglio 1997, dal titolo "Tutela delle risorse genetiche autoctone”. Essa stabilisce un metodo per giungere all'individuazione del germoplasma "autoctono" regionale, sia attraverso la definizione delle caratteristiche morfologiche, sia dei luoghi di conservazione, coltivazione o allevamento tradizionali. Definisce come "risorsa genetica autoctona" tutte quelle "...specie, razze, varietà e cultivar di origine esterna, introdotte da lungo tempo nel territorio della regione ed integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e/o nel suo allevamento, nonché tutte le specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni ed ecotipi derivanti dalle precedenti per selezione massale sulla base di scelte fenotipiche oltre quelle già autoctone ma attualmente scomparse in Toscana e conservate in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca in altre regioni o paesi."

La tutela della biodiversità ambientale è ritenuta fondamentale per il mantenimento di sani equilibri ecologici sul nostro pianeta e questa tematica continua ad essere uno dei punti focali del dibattito scientifico internazionale e delle scelte di politica ambientale a differenti livelli (Grifoni et al., 2003).

La biodiversità, sia vegetale sia animale, può essere vista anche come processo evolutivo e di relazione fra diversità ambientali e culturali che comportano una grande varietà di prodotti agricoli e gastronomici connessi a un territorio specifico; tutelare la biodiversità significa, quindi, preservare un patrimonio genetico, economico, sociale e culturale di straordinario valore, fatto di eredità contadine e artigiane non sempre scritte, ma ricche e complesse. La scomparsa di varietà o di razze si traduce in una rinuncia ai sapori autentici legati al territorio e alla cultura dell’uomo che ha saputo selezionare nel tempo questo variegato insieme di sapori e saperi. I motivi di questa drastica riduzione sono da ricercare soprattutto nelle strategie della commercializzazione moderna che richiede prodotti sempre più uguali e costanti nel tempo, spesso a scapito anche della qualità, poiché la standardizzazione provoca un appiattimento della biodiversità.

Le strategie di marketing puntano sull’uniformità della produzione, contribuendo alla riduzione della biodiversità, scoraggiando i produttori agricoli a coltivare ciò che il mercato è indotto a non richiedere. L’Italia è il paese europeo più ricco di biodiversità per la straordinaria conformazione geomorfologica, per la diversità climatica e per le molteplici tipologie ambientali che vanno dagli habitat semi-desertici del Sud a quelli alpini del Nord.

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Si tratta di una biodiversità storica, legata quindi alla modificazione dei paesaggi e alla cultura di ogni regione. Tuttavia, gran parte di questa diversità ecologica oggi è in grave pericolo, proprio a seguito delle profonde trasformazioni che interessano il nostro territorio (Biscotti et al., 2010).

1.2 Varietà antiche

Da quando gli agricoltori hanno smesso di coltivare i frutti tipici della loro terra non hanno trovato la corrispondenza identitaria con la propria tradizione, smarrita insieme ai frutti perduti. Si è trattato di un campanello di allarme della perdita di gran parte dei frutti locali ed un chiaro segnale del fatto che, alle variegate tipologie di prodotti strettamente vincolate ai diversi tipi di terreno coltivato, alle stagioni, nonché alle memorie di una comunità o di un paese, sono subentrate varietà moderne per le quali ci sono le industrie alimentari e sementiere, ormai diventate grandi multinazionali, che in ogni momento possono imporre la frutta più richiesta dal mercato a discapito della biodiversità (Biscotti et al., 2010).

L’abbandono della coltivazione delle varietà antiche e tradizionali a scapito della produzione di varietà commerciali ha cambiato profondamente le esigenze della frutticoltura. La produzione industriale si è evoluta e affermata negli anni ed ha visto la stabilizzazione di requisiti e caratteristiche che le così dette varietà commerciali devono avere al fine di poter essere immesse sul mercato. Da ciò ne è derivata la coltivazione di poche varietà, molto produttive, standardizzate per peso ed epoca di maturazione, facili da trasportare e da conservare. Le vecchie varietà non avrebbero risposto certamente a molti di questi requisiti e in seguito all’ evoluzione del gusto e delle abitudini, sono state rapidamente abbandonate e molte sono andate irrimediabilmente perdute.

Il nome dei frutti antichi, così come lo troviamo in letteratura, è spesso collegato all’epoca di maturazione (Fico d’agosto) e alla località di provenienza (Pero Marchisciano), mentre altre volte il frutto riporta il nome del contadino (Pero Marcantonio) che lo trova o seleziona e lo coltiva (Biscotti et al., 2010).

I frutti del passato sono elementi basilari delle agricolture tradizionali, in grado talvolta di sopravvivere grazie al ritrovamento della struttura poderale che li caratterizzava, quali piccoli campi irregolari, separati da siepi e muretti a secco. Ogni frutto antico o locale non rispecchia solo i caratteri ambientali a cui è legato, ma risponde anche a precise tecniche agronomiche necessarie ad ottimizzare le risorse disponibili, comprese quelle

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umane. Non si devono dimenticare i limiti di queste agricolture, in realtà costruite su risorse scarse o poco disponibili e, pertanto, con risposte produttive non sempre sufficienti. Da sole, però, hanno, nella maggioranza dei casi, sfamato intere comunità con un’alimentazione varia e soprattutto sana; la diversità frutticola ha rappresentato infatti un’importante fonte alimentare, ricca anche sul piano nutrizionale.

I frutti antichi possono giocare un ruolo decisivo per il rilancio di un’agricoltura sostenibile, di un’agricoltura di tipicità che si opponga alle tendenze globalizzanti: il recupero di terreni marginali ed il rilascio di marchi DOP e IGP possono essere intesi come strategie per ritrovare qualità e tipicità in un’ottica di sostenibilità utile a contrastare gli impatti ambientali negativi, a preservare la capacità produttiva del terreno e a fare della tipicità la base strutturale dell’agricoltura italiana.

Un’agricoltura sostenibile necessita di varietà che fondamentalmente abbiano: • un’elevata resistenza a stress biotici e abiotici;

• un’elevata efficienza nell’utilizzazione dell’acqua nel terreno;

• un’elevata efficienza nell’assorbimento e nell’utilizzazione dei ridotti ma equilibrati apporti nutritivi.

I tre punti esposti evidenziano, non a caso, i caratteri tipici delle varietà locali, le quali si distinguevano per un’elevata efficienza nell’utilizzare gli scarsi apporti fertilizzanti (quello che riusciva a dare il letame), una notevole resistenza agli stress ambientali (freddi, prolungate siccità estive) ed una straordinaria serbevolezza (tanti frutti che si conservavano senza catene del freddo) (Biscotti et al., 2010).

1.3 Germoplasma Toscano

La Regione Toscana è da tempo impegnata in materia di tutela della biodiversità in campo agrario, zootecnico e forestale, come ben dimostra la già citata LR n°50 del 1997 intitolata “Tutela delle risorse genetiche autoctone”. In seguito alla sua emanazione e alla sua entrata in vigore tale legge è stata aggiornata ed ampliata nel 2004, con la LR 64 del 16 novembre dal titolo “Tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale” (Bartoli et al., 2010). Questa legge è stata emanata dalla Regione Toscana al fine di rafforzare la politica di difesa delle risorse genetiche autoctone, attraverso nuovi strumenti individuati che, sinergicamente attivati, scongiurano il rischio di erosione genetica e garantiscono la salvaguardia del diritto di

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proprietà delle comunità locali sulle razze e varietà autoctone, espressioni del territorio e della cultura locale.

Il sistema sviluppato in Toscana si articola principalmente su due livelli, uno indirizzato alla tutela e l’altro alla valorizzazione del patrimonio genetico locale. In favore della conservazione e della difesa delle razze e varietà locali della Regione, la LR 64/2004 ha previsto più strumenti, funzionalmente collegati tra loro quali:

• I Repertori regionali;

• La Banca Regionale del Germoplasma; • I Coltivatori Custodi;

• La Rete di conservazione e sicurezza.

Al fine di promuovere la valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali, la LR 64/2004 introduce:

• il Registro regionale delle varietà da conservazione; • il Contrassegno.

Il primo passo per avviare un processo di tutela della biodiversità è quello di conoscere le varietà e razze locali della propria Regione, ecco perché la necessità di istituire Repertori regionali. Questi rappresentano lo strumento base del sistema di tutela delle risorse genetiche autoctone regionali. Consistono in una banca dati sulle varietà e razze locali toscane, sono stati gestiti fino al 2012 dall’ARSIA, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale della Regione Toscana, e successivamente da Terre Regionali Toscane (ente pubblico della Regione Toscana).

Le varietà e razze locali catalogate e descritte nei Repertori sono state iscritte da Università, Istituti di Ricerca, associazioni di agricoltori, singoli cittadini, liberi professionisti, hobbisti e dall’ARSIA stessa. Per l’iscrizione occorre presentare un’apposita domanda, che prevede la caratterizzazione morfologica e la dimostrazione dell’“autoctonia” della varietà e della razza locale da iscrivere.

Le Commissioni tecnico-scientifiche preposte all’esame delle domande hanno elaborato delle schede morfologiche descrittive, comprendenti i principali descrittori per specie, allo scopo di facilitare la presentazione delle domande.

L’iscrizione al Repertorio regionale è subordinata alla presenza della caratterizzazione della razza o varietà locale, oggetto di domanda, sia dal punto di vista morfologico sia dal punto di vista del legame con la cultura rurale e la tradizione agraria e

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zootecnica locale. Inoltre, va individuato l’interesse esistente alla tutela della risorsa segnalata dal punto di vista economico, scientifico e culturale. Fondamentale è infine la determinazione del grado di rischio di estinzione. La documentazione che deriva dal lavoro di caratterizzazione e di indagine sul territorio viene sottoposta alla valutazione delle Commissioni tecnico-scientifiche esperte per Repertorio, nominate dalla Regione Toscana.

La conservazione delle varietà vegetali locali può essere ottenuta attraverso due strategie: la conservazione in situ e quella ex situ.

La conservazione ex situ prevede il mantenimento delle popolazioni in Banche del Germoplasma e si prefigura come una conservazione statica. Nella conservazione ex situ si cerca infatti di mantenere costanti le frequenze geniche che caratterizzano le popolazioni o l’identità genotipica dei singoli cloni che vengono conservati.

La conservazione in situ, diversamente, vede la presenza di Coltivatori Custodi e realizza il mantenimento delle varietà locali laddove hanno sviluppato le loro caratteristiche distintive, cioè nell’ambiente di adattamento. Conservare in situ le varietà locali significa quindi mantenerle nei campi degli agricoltori che le hanno selezionate (Vignozzi, 1999).

La Banca del Germoplasma ed i Coltivatori Custodi devono operare in stretta collaborazione e, all’interno della Rete, è ammesso lo scambio (v. LR 64/2004, art. 8 “Circolazione del materiale genetico”) di modiche quantità di materiale di moltiplicazione (pertanto anche di semi), svolto in ambito locale e senza scopo di lucro. La Banca del Germoplasma è il centro in cui si possono conservare un insieme di soggetti presenti sul territorio (Sezioni della Banca) che hanno come finalità istitutiva la conservazione del germoplasma e che annoverano, tra le proprie accessioni, le varietà locali a rischio di estinzione iscritte nel Repertorio regionale. La riproduzione delle varietà locali effettuata dai Coltivatori Custodi deve avvenire preferibilmente nelle zone originarie di prelievo del materiale di riproduzione della varietà tutelata o, al limite, nelle zone riconosciute come tradizionali luoghi di presenza della coltivazione stessa. L’incarico di Coltivatore Custode è conferito dalla Regione Toscana che tiene l’elenco.

La Rete regionale di conservazione e sicurezza è un elemento del nuovo sistema di conservazione e tutela della Toscana. Nasce per mettere in rete sia la Banca Regionale del Germoplasma, sia i Coltivatori Custodi, sia altri soggetti che possono essere interessati a vario titolo alla conservazione di una particolare varietà locale a rischio di estinzione (ARSIA, 2006).

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1.4 Varietà antiche della Garfagnana

Dal 1983 in Garfagnana è iniziato un percorso di ricerca delle varietà antiche, che un tempo erano coltivate in questi luoghi. Grazie all’attaccamento alle usanze della zona ed alle specie ricevute in eredità dalle famiglie, molti degli abitanti del territorio Garfagnino hanno conservato e riprodotto antiche varietà frutticole ed orticole, preferendole a quelle disponibili sul mercato, che, pur essendo, generalmente, più produttive, non rivestivano alcun valore culturale o di identità. Oggi, infatti, gli orti familiari di questo territorio costituiscono luoghi preziosi di conservazione, dove inconsapevolmente è stata svolta un’opera di salvaguardia della biodiversità.

Il processo di ricerca delle antiche varietà ha lo scopo di mantenere un alto livello di biodiversità rurale ed evitare la scomparsa di quel bagaglio di conoscenze sugli usi, i metodi di coltivazione, la cultura dei luoghi legata a piatti tipici particolari, alla cura delle malattie, ai saperi e alle tradizioni secolari. Il materiale genetico conservato viene così protetto da forme di contaminazione, alterazione o dispersione. Attualmente sono oltre 240 i tipi di frutti autoctoni ritrovati e che vengono in questi territori riprodotti per le loro particolari caratteristiche, quali resistenza alle malattie, aspetto, colore, epoca di maturazione, sapore, tradizioni.

Queste antiche varietà frutticole ancora presenti sul territorio, sono mantenute in conservazione presso il Centro “La Piana” di Camporgiano, una delle sedi della Banca Del Germoplasma. Il Centro “La Piana” opera in un ex vivaio forestale rilevato e recuperato dalla ex Comunità Montana e oggi gestito dall’Unione dei Comuni della Garfagnana. In Toscana esistono ben 11 banche simili. Lo scopo di questa attività è quello di preservare il patrimonio genetico vegetale del territorio. Attualmente oltre ai 240 fruttiferi il Centro “La Piana” ospita in conservazione 100 varietà orticole ed un vigneto di 1200 piante di 50 varietà locali. Ogni varietà recuperata è iscritta al Repertorio regionale delle risorse genetiche autoctone vegetali ed è sottoposto all’iter, spiegato precedentemente, attraverso il quale si realizza la conservazione di tali prodotti. Il materiale genetico garfagnino è conservato sia nella Banca del Germoplasma sia dai Coltivatori Custodi. Il materiale oggetto di questa tesi è infatti stato reperito in entrambi i luoghi.

1.5 Il territorio della Garfagnana

La Garfagnana è una valle della provincia di Lucca compresa tra le Alpi Apuane e l’Appennino Tosco Emiliano, confinante a nord-ovest con la Lunigiana, a ovest con la

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Versilia, a nord-est con la regione Emilia-Romagna (province di Modena e Reggio Emilia) e a sud con la media valle del Serchio. La valle è interamente attraversata dal fiume Serchio e dai suoi affluenti ed è ricchissima di boschi (Figura 1).

Vista la sua collocazione geografica, la Garfagnana offre un'insolita gamma di immagini e di colori e rappresenta l’emblema del delicato equilibrio tra risorse e presenza antropica dove l’uomo si è impegnato a preservare il territorio dalla distruzione (ARSIA, 2008).

Figura 1 - Trassilico Comune di Gallicano.

Nei piccoli paesi spesso arroccati su impervie colline, la popolazione ha coltivato, nel corso dei secoli, appezzamenti familiari sia per l’autosostentamento sia per la produzione di materiale ad uso medico. Gli agricoltori locali sentono tutt’oggi viscerale il ruolo di veri “custodi” della biodiversità garfagnina e le loro terre rappresentano un indicatore biologico della presenza di varietà antiche ancora idonee alla coltivazione.

Per quanto concerne l’aspetto climatico del territorio, questo gode di un clima caldo e temperato. La piovosità media annuale è pari a 921 mm e nei mesi estivi è nettamente inferiore a quella registrata nei mesi invernali. La temperatura media è di 12.7 °C. Come

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possiamo notare nella Tabella 1, esiste una differenza di 80 mm tra le piogge registrate nel mese più secco e quelle nel mese più piovoso. Le temperature medie hanno una variazione di 17.9 °C nel corso dell'anno.

Tabella 1 – Temperature (medie, minime e massime) e precipitazioni registrate dalla stazione climatica di Castelnuovo di Garfagnana (LU).

1.6 La qualità agro-alimentare

1.6.1 Il concetto di qualità

Il termine “qualità, spesso associato al cibo e all’alimentazione, non è di semplice definizione anche in relazione ai pochi studi che in passato sono stati condotti in questo settore. Oggi definire la qualità alimentare solo in termini di salubrità e sicurezza non è più sufficiente. In questo quadro, i consumatori hanno preso coscienza dell’influenza del cibo sullo stato d’animo, sull’umore, sull’efficienza al lavoro, sullo stile di vita; di conseguenza si sono venuti a determinare nuovi compromessi tra bisogni edonistici, necessità alimentari e garanzie di sicurezza (Giusti et al., 2007).

Di fatto, la qualità è frutto di un giudizio soggettivo che ognuno assegna al bene in funzione delle proprie preferenze. Il consumatore non conosce esattamente la qualità degli alimenti che acquista poiché spesso questi non possono essere valutati nemmeno dopo l’acquisto, per una serie di caratteristiche che non sono accertabili nemmeno ex-post (Ismea, 2006).

Queste considerazioni fanno capire l’importanza che un adeguato sistema di norme e controlli assume nella costruzione di un rapporto di fiducia con il consumatore per fare in modo che lo stesso apprezzi il valore e la qualità dei prodotti.

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Il tentativo riuscito in modo migliore per definire il concetto di qualità è contenuto nella norma UNI-ISO1 8402, del 1995, secondo la quale la qualità è “l’insieme delle

proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare le esigenze, espresse o implicite, di una potenziale utenza”. La vastità dei gusti e delle preferenze fa sì che non si possa individuare una definizione migliore (Costato, 2007).

La globalizzazione del mercato ha scaturito una nuova consapevolezza tra gli esperti, determinando la tendenza a riferirsi alla qualità degli alimenti in termini di “qualità totale degli alimenti”, la cosiddetta “Total Food Quality” (Giusti et al., 2007). È possibile definire questo nuovo concetto raggruppando e classificando i fattori base che costituiscono la qualità totale nel seguente modo:

• attributi organolettici e sensoriali, come colore, aspetto, tessitura, consistenza, succosità, gusto, astringenza ed aroma;

• sicurezza legata all’assenza di composti tossici normalmente contenuti nei cibi, di micotossine, di contaminanti, patogeni e di microrganismi tossigeni. Per poter essere definito sicuro un alimento non deve essere dannoso per la salute umana. L’art. 14 del reg. 178/2002, regolamento CE relativo ai principi e requisiti generali della legislazione alimentare, stabilisce che per determinare se un alimento sia dannoso per la salute occorre prendere in considerazione “non soltanto i probabili effetti immediati e/o a breve termine e/o a lungo termine dell’alimento sulla salute di una persona che lo consuma, ma anche su quella dei discendenti”. Occorre inoltre prendere in considerazione “i probabili effetti tossici cumulativi di un alimento”. L’articolo specifica inoltre che “gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato” (Galli Volonterio, 2005);

• valore nutrizionale e cioè il contenuto in calorie e composizione in proteine, aminoacidi, vitamine e minerali, così come in non-nutrienti con alta attività biologica (antiossidanti), composti derivanti dalle lavorazioni, di gestibilità e biodisponibilità; • proprietà funzionali legate alla facilità di uso dei differenti ingredienti (principalmente

di interesse industriale) con riguardo alla lavorazione e trasformazione;

• servizio e stabilità e cioè la resistenza a rapidi deterioramenti (è necessario prendere in considerazione le lavorazioni a cui gli alimenti sono sottoposti, la

1 UNI-ISO: International Organization of Standardization. Organizzazione fondata a Londra nel 1947,

alla quale aderiscono gli enti normatori di circa 90 Paesi, fra i quali l’Ente Italiano di Unificazione (UNI) e la Comunità europea (CE).

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conservazione, il trasporto e le condizioni di shelf-life);

• salute legata alla capacità di alcuni componenti alimentari di esercitare effetti benefici sulla salute del consumatore (probiotici, batteri, prebiotici, oligosaccaridi, flavonoidi, carotenoidi, vitamine e peptidi bioattivi);

• fattori psicologici connessi alla convenienza, al prezzo, alla facilità nell’uso, all’originalità.

In altre parole, la qualità totale è la combinazione di proprietà o attributi che potrebbero costituire una sorta di “certificato di accettabilità”. Le due parti contendenti, da un lato la scienza e la tecnologia e dall’altro il consumatore, contribuiscono in ugual modo a conferire il grado finale di accettabilità del prodotto.

Concludendo, si può affermare che la qualità totale è:

• in parte un concetto oggettivo: si stanno valutando proprietà come la qualità nutrizionale, la sicurezza d’uso, la shelf-life, etc. che non sono strettamente correlate alle caratteristiche sensoriali del prodotto percepite dall’uomo. In ogni caso, la definizione e la stima degli standard della qualità totale non sono solo legati alle materie prime impiegate, ma anche alle lavorazioni tecnologiche e alle preparazioni gastronomiche;

• in parte un concetto soggettivo: il consumatore è il principale strumento di valutazione delle proprietà sensoriali del prodotto, immediatamente percepite attraverso i sensi.

In particolare, i consumatori danno importanza, nel momento della scelta e dell’acquisto, alle proprietà sensoriali dei cibi. I cibi freschi contengono un complesso pool di composti (zuccheri semplici e complessi, antocianine, flavonoidi, acidi organici, composti volatili, etc.) che contribuiscono a determinare la tessitura, il colore, il gusto e gli aromi caratteristici.

Queste proprietà sensoriali sono spesso rimosse durante i processi di lavorazione e trasformazione dei cibi, per soddisfare i bisogni di una larga scala di distribuzione e la shelf-life dei prodotti, sia crudi che cucinati (Noth, 1989; Patsias et al., 2006). Infatti, molto spesso, la lunghezza della conservazione di alcuni prodotti, come nel caso di frutta e verdura, può risultare nella perdita del gusto, dell’aroma e del valore nutrizionale (es: perdita di vitamine, minerali ed antiossidanti) (Jun e Bangerth, 1996).

Lo sviluppo di tecniche agronomiche avanzate, di nuove metodologie di miglioramento genetico e di conservazione ha contribuito all’enorme disponibilità e diffusione dei prodotti alimentari, così che per molti di essi, in particolare per frutta e

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verdura, è ora possibile eliminare i limiti stagionali. A questo proposito, i consumatori stanno diventando sempre più attenti alla perdita di qualità dei prodotti lavorati o conservati, non solo da un punto di vista della qualità sensoriale, ma anche, e soprattutto, da quella nutrizionale.

1.6.2 Le caratteristiche organolettiche

La conoscenza delle proprietà̀ fisico-meccaniche degli alimenti è di notevole interesse pratico in quanto, oltre ad influire sull’accettabilità̀ del prodotto, è un mezzo per verificarne il comportamento in conservazione e/o trasformazione e per valutarne l’attitudine e la sensibilità̀ alla manipolazione.

Con il termine di caratteristiche organolettiche si intende il complesso delle proprietà apprezzabili sensorialmente che, interagendo tra di loro, determinano l’accettabilità del prodotto. Una classificazione ricorrente suddivide le caratteristiche organolettiche in tre gruppi principali: aspetto, sapore e consistenza.

a. L’aspetto: è definito nel suo insieme dalla pezzatura, forma, colore, morbidezza/compattezza, brillantezza, difetti interni ed esterni. Questa caratteristica determina la prima impressione che il consumatore riceve; vari studi indicano che circa il 40% dei consumatori decide cosa comprare solo in funzione di un giudizio visivo percepito direttamente al momento dell’acquisto. La forma è una delle sottocomponenti più facilmente percepibili, sebbene non sia un aspetto decisivo della qualità, ad eccezione di deformazioni o di altri difetti morfologici. Il colore del frutto è, tra le componenti della qualità, l’elemento che ha un ruolo più immediato sulla scelta del consumatore che esprime, infatti, un maggiore apprezzamento per un frutto particolarmente colorato (Ivascu et al., 2002). All’apprezzamento esercitato dal consumatore si affianca anche la funzione di rivelatore dello stato di maturazione di alcuni frutti, utile per il produttore. Quindi il colore può essere utilizzato come indice di raccolta (Génard et al.,1994) anche perché ha il vantaggio di non essere distruttivo. Il colore risulta essere correlato ad altri parametri di qualità (Génard et al., 1994): con l’avanzare della maturazione e dello sviluppo del frutto man mano che il colore di fondo tende a diventare più aranciato, la consistenza del frutto tende a diminuire mentre il residuo secco rifrattometrico aumenta (Eccher Zerbini et al., 1991). La pezzatura è uno dei parametri decisivi per la scelta dell’epoca di raccolta e,

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in molti casi, è direttamente associata ad altri aspetti come il sapore o la tessitura.

b. Il sapore è determinato da dolcezza, asprezza (acidità), astringenza, amarezza, aroma (componenti volatili), odori e sapori sgradevoli. Attraverso la combinazione delle sensazioni ricevute mediante i sensi del gusto e dell’olfatto, è possibile definire il sapore di un prodotto. Ai fini della qualità organolettica dei frutti, il rapporto zuccheri/acidi risulta importante poiché regola la gradevolezza del frutto rendendo il gusto più o meno ben contrastato, non piatto. Dal bilanciamento tra acidi (in particolare malico, citrico e succinico) e zuccheri dipende l’equilibrio organolettico dei frutti (Selli e Sansavini, 1993). L’astringenza ed il sapore amaro sono dovuti a diversi composti organici; in particolare, l’astringenza è tipicamente indotta dai tannini, mentre l’amaro è imputabile alla presenza del flavonoide naringenina. Questi aspetti, normalmente, costituiscono uno svantaggio, tanto che si cerca di eliminarli attraverso programmi di miglioramento genetico, fatta eccezione per alcuni prodotti ortofrutticoli, nei quali assumono un importante valore per la qualità dei frutti o delle porzioni edibili. L’aroma è definito dalla sensazione soggettiva prodotta dall’odorato. Quando si parla di aroma, in genere si fa riferimento alle sostanze volatili che lo costituiscono. È quindi una sensazione olfattiva come l’odore, ma, considerate le diverse condizioni di temperatura, umidità e parziale scomposizione e solubilizzazione (masticazione) in cui si viene a trovare il cibo in bocca, risulta più intenso o presenta addirittura caratteri diversi rispetto all’odore annusato esternamente (Zerbini, 1996). I composti volatili appartengono a diverse classi chimiche (aldeidi, alcoli, acidi, chetoni, esteri, acetali, idrocarburi, fenoli) e, pur essendo generalmente presenti nei frutti in concentrazioni assai ridotte, influenzano il giudizio sull’accettabilità e il gradimento. Nel corso della maturazione dei frutti si assiste ad una evoluzione delle sostanze volatili la cui concentrazione varia dal punto di vista quantitativo e qualitativo (Farina et al., 2011) con una diminuzione dei composti che caratterizzano l’aroma erbaceo, ed un aumento di quelli responsabili dell’aroma fruttato e/o floreale. Dal punto di vista quali-quantitativo la composizione aromatica di un frutto è fortemente legata alla

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specie, alla cultivar e al tessuto preso in esame (epicarpo o mesocarpo) (Farina et al., 2011).

c. La consistenza è una proprietà del frutto che esprime il complesso degli attributi strutturali del prodotto e le modalità con cui essi interagiscono con la sensazione tattile. La consistenza della polpa diminuisce con l’avanzare della maturazione, quindi con un ritardo nella raccolta (Forlani et al., 2001; Cirillo et al., 2001), in modo variabile in funzione delle diverse specie e cultivar (Ravaglia et al., 1996). L’intenerimento della polpa è dovuto alla progressiva degradazione, per idrolisi, delle protopectine in pectine solubili (Selli e Sansavini 1993) che permette alle cellule di scorrere più facilmente le une rispetto alle altre e quindi ai frutti di ammorbidirsi. Per la maggior parte dei frutti nella scelta del momento di raccolta è importante trovare un compromesso tra idoneo colore di fondo e consistenza della polpa. L’importanza di una scelta corretta è fondamentale per le successive operazioni di manipolazione, ma anche per la successiva conservazione dei frutti. Infatti, quando il colore indica che i frutti hanno raggiunto soddisfacenti caratteristiche organolettiche, la consistenza è spesso tale da non consentire manipolazioni prive di conseguenze. La consistenza della polpa viene comunemente misurata con un dinamometro chiamato penetrometro che misura la forza necessaria a far penetrare un puntale calibrato sino ad una certa profondità entro la polpa del frutto (Alavoine et al., 1988). La succosità è la sensazione percepita in bocca del liquido che si forma a seguito della masticazione dei tessuti di un frutto o di un ortaggio. La quantità di succo di molti frutti aumenta con la maturazione degli stessi sulla pianta. Questa caratteristica può essere misurata attraverso un esame soggettivo, ma la tendenza attuale verte all’utilizzo di tecniche strumentali e chimiche, le cosiddette metodologie oggettive. Quest’ultime rappresentano ad oggi un metodo di valutazione complementare e non sostitutivo di quello sensoriale, in quanto, allo stato attuale delle conoscenze, sono ancora in buona parte ignorate le correlazioni tra le proprietà chimico-fisiche dell’alimento e le sensazioni percepite dall’uomo.

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1.6.3 Valutazione della qualità dei frutti

Con la diffusione della GDO gli standard commerciali, con i quali la frutta viene classificata, si sono fondati su poche caratteristiche come pezzatura, colore ed aspetto (Jackson et al., 1987; Bünnemann, 1990). Tuttavia, attualmente l’attenzione del consumatore si concentra non soltanto sulle caratteristiche sopra citate, ma anche su aspetti sensoriali. La qualità sensoriale, legata a fattori olfattivi, gustativi e visivi, è infatti una delle motivazioni più sentite dal consumatore nell’effettuare una scelta.

Le caratteristiche sensoriali di un frutto sono influenzate da diverse variabili tra cui assume primaria importanza il grado di maturazione alla raccolta del prodotto stesso (Eccher Zerbini et al., 2002; Ventura et al., 1992). Le evoluzioni fisiologiche subite dal frutto durante l’accrescimento e la maturazione sono complesse e molteplici e sono associate ad un’evoluzione di numerosi parametri chimico-fisici e sensoriali (Eccher Zerbini et al., 2002). In realtà esiste uno stretto legame tra la qualità dei frutti, il livello di maturazione e il momento di raccolta (Eccher Zerbini et al., 2002; Selli e Sansavini 1993); proprio per questo esistono degli indici di maturazione, comunemente impiegati nel comparto frutticolo, che permettono di individuare il momento migliore per la raccolta.

1.6.4 Principi e metodi per la valutazione della qualità

Valutare significa “attribuire un valore”, a tal proposito sono stati messi a punto differenti test ed indicatori quantitativi per descrivere obbiettivamente la qualità o per facilitare il raggiungimento di un livello costante e soddisfacente di qualità.

È molto importante analizzare e studiare specifici composti, la presenza dei quali nei cibi è un indice di qualità o una condizione di eccellenza; composti che, talvolta, possono anche portare alla luce incorrette procedure e condizioni di lavorazione, responsabili di alterazioni degli alimenti. Molti studi, infatti, hanno evidenziato l’importanza del contenuto in polifenoli negli alimenti (Kurilich et al., 2002), i quali possono influenzare le proprietà nutrizionali (Bendini et al., 2007; Ray et al., 1999; Rice-Evans et al., 1996), la salute umana (Friedman, 2007; German e Walzem, 2000), le caratteristiche organolettiche (astringenza, gusto, colore) (Bors et al., 1996; Haslam e Lilley, 1988) e la shelf-life (Bors et al., 1996; Papadopulos e Boskou, 1991; Rice-Evans et al., 1996). La valutazione di queste molecole può distinguere e caratterizzare univocamente il prodotto.

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1.6.5 Valutazione sensoriale

Il consumatore considera di buona qualità i frutti di bell’aspetto, compatti e con un buon aroma e sapore. Il primo acquisto si basa sulle qualità visive e sulla consistenza al tatto. Torna poi ad acquistare lo stesso tipo di prodotto se è soddisfatto dalle altre qualità sensoriali. Al contrario i produttori e i commercianti sono interessati maggiormente alla qualità estetica e alla consistenza insieme a una lunga postharvest life. Sarebbe auspicabile che questi facessero più attenzione all’aroma, al sapore e al valore nutrizionale dei prodotti agricoli. Favorire questi aspetti della qualità d’altra parte significa coltivare varietà meno resistenti alle manipolazioni e spostare il periodo di raccolta verso quello della maturità effettiva. Questo implica un incremento dei costi e maggiori perdite. Il consumatore dunque dovrebbe essere disposto a pagare un prezzo superiore per consumare prodotti agricoli con un’alta qualità olfattiva, gustativa e nutrizionale (Shewfelt, 1999; Kader, 2002).

L'evoluzione dei mercati, dei consumi e l'introduzione del concetto di "qualità" hanno portato produttori e GDO a confrontarsi direttamente con il pubblico, cercando di attuare tecniche attraverso le quali immedesimarsi nei consumatori stessi. Con la messa in atto di queste tecniche si è potuta assottigliare la distanza tra produttore e consumatore, offrendo sul mercato prodotti che non fossero solo accettabili dal punto di vista della salubrità̀ e del valore nutrizionale (parametri ottenibili dalle analisi chimiche e microbiologiche), ma che fossero accettati dal gusto e ancor di più dalla vista (primo strumento che influenza la scelta del consumatore) e complessivamente dai cinque sensi dell'uomo. (Reggidori, 2006). Nel momento in cui il consumatore acquista un alimento, si trova ad eseguire inconsapevolmente un’analisi sensoriale del prodotto stesso, che lo indirizza o lo devia successivamente all’acquisto di questo.

L'analisi sensoriale viene definita come una “disciplina scientifica usata per misurare, analizzare ed interpretare le sensazioni suscitate dalle caratteristiche degli alimenti che vengono percepite dai sensi della vista, olfatto, gusto, tatto e udito” cercando di liberare le risposte dalle opinioni personali e dai fattori psicologici ed ambientali che possono influenzarle (Lanza, 2009).

L’evoluzione dell’approccio sensoriale è risultato un fattore determinante nella valutazione dei prodotti grazie all’ultilizzo di panel test, o test sensoriali, sempre più utilizzati oggi giorno nel comparto frutticolo, attraverso i quali vengono espressi giudizi da più persone, i risultati ottenuti sono affidabili in quanto questo studio sistematico, viene condotto in condizioni statisticamente valide relative alle reazioni di gruppi rappresentativi

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di consumatori o di persone esperte, chiamate ad esprimere la loro opinione circa le caratteristiche organolettiche dei cibi. Il panel test si realizza attraverso un gruppo panel che funziona come uno strumento analitico in grado di valutare qualsiasi alimento senza dare giudizi di qualità. I soggetti vengono selezionati sulla base della loro attitudine a discriminare e della loro costanza nella discriminazione. Generalmente i gruppi sono formati da un numero di 10 persone e da un coordinatore responsabile (panel leader) con buone conoscenze scientifiche, buona esperienza del controllo qualità degli alimenti, conoscenza delle tecniche impiegate in azienda, spiccata capacità organizzativa e conoscenza statistica. Il "giudice" viene definito dalla norma ISO 8586.

Nel comparto frutticolo i panel test hanno l’obiettivo primario di verificare l'indice di gradimento dei frutti (Reggidori, 2006) e le connessioni tra la composizione intrinseca e le caratteristiche sensoriali degli stessi (Castellari et al., 2006). Per semplificare i risultati ottenuti dai test, solitamente, si adotta una rappresentazione grafica che mostra ai vertici di un poligono le caratteristiche vagliate e il relativo valore (Figura 2).

Figura 2 – Esempio di rappresentazione grafica del profilo sensoriale di un frutto.

Anche nella fase post-raccolta è importante fare ricorso all'analisi sensoriale per valutare la conservazione (Lanza et al., 1995; Marsh et al., 2004;) e la shelf life (Lanza et al., 2009), oltre che per evidenziare il ruolo delle tecnologie di lavorazione nel mantenimento della qualità.

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Negli ultimi anni per studiare la qualità dei frutti ci si è avvalsi di un binomio analitico strumentale-sensoriale. In numerosi studi questo è stato ampiamente applicato a specie frutticole come melo (Karlsen et al., 1999; Donati et al., 2006), pesco (Colaric et al., 2005), nettarine (Farina et al., 2009), ciliegio (Lugli et al., 2006), agrumi (Lanza et al., 2009), actinidia (Marsh et al., 2004;) noce (Sinesio et al., 1996) e nespolo (Farina et al., 2011).

1.7 Biochimica dei composti

1.7.1 Antiossidanti

Gli antiossidanti cominciarono ad essere studiati verso la fine del diciannovesimo secolo con l’identificazione di un gruppo di composti, non meglio classificati, caratterizzati dalla capacità di cedere elettroni più facilmente rispetto ad altre specie presenti. Oggi le sostanze antiossidanti sono considerate indispensabili per il corretto funzionamento dell’organismo e vengono utilizzate anche come integratori alimentari per la loro azione protettiva nei confronti di tumori e patologie cardiovascolari; sono inoltre comprese in formulazioni cosmetiche per la loro azione anti-invecchiamento.

Le sostanze antiossidanti proteggono i tessuti cellulari degli esseri viventi dagli stress ossidativi provocati da radicali liberi che nella maggior parte dei casi sono forme parzialmente ridotte dell’ossigeno.

Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dell’azoto (RNS), sono prodotti del normale metabolismo cellulare e svolgono un duplice ruolo, benefico e deleterio, a seconda della loro concentrazione e localizzazione nell’organismo (Tabella 2). Effetti non dannosi delle ROS si osservano a concentrazione bassa o moderata: quando sono coinvolte nella difesa nei confronti di agenti infettivi e nella trasduzione di segnali cellulari (Valko et al., 2007).

Tabella 2 - Alcune specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dell’azoto (RNS).

Gli effetti dannosi di ROS e RNS si osservano quando si incorre nello “stress ossidativo.

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Nelle piante lo stress ossidativo è il risultato di uno sbilanciamento nell’accumulo e nella rimozione all’interno dei tessuti vegetali, di composti ossidanti come i radicali liberi e le specie reattive dell’ossigeno. Queste specie reattive dell’ossigeno definite con l’acronimo R.O.S. (Reactive Oxigen Species) comprendono il perossido d’idrogeno (H2O2), l'anione superossido (O2 -), il radicale ossidrile (•OH) e altre molecole altamente ossidanti.

I radicali liberi sono, per definizione, specie chimiche molto reattive per la presenza di uno o più elettroni spaiati; questo rende la molecola altamente reattiva, energizzata ed instabile dal momento che cercherà di cedere o, come più comunemente avviene, di acquistare un elettrone a spese di un’altra molecola, al fine di ottenere un assetto stabile. I radicali che si possono spontaneamente formare nei sistemi viventi sono numerosi, e quelli di maggiore interesse biologico sono le Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS), cioè quelli nelle quali l’elettrone spaiato è sull’ossigeno come ad esempio il radicale superossido ( . O2 - ), idrossilico ( . OH), idroperossilico ( . HOO), perossilico ( . ROO) e alcossile ( . RO). Esistono anche Specie Reattive dell’Azoto (RNS) quali l’ossido nitrico (NO), il biossido d'azoto (NO2) e il perossido nitrico (OONO- ); queste molecole, pur potendo essere paragonabili per pericolosità alle ROS, sono molto meno frequenti nelle piante rispetto ad animali e microrganismi.

L’ossigeno si trova in natura sotto forma di molecole biatomiche che presentano due elettroni spaiati di spin uguali sistemati su due orbitali diversi (tripletto), e che quindi possiedono caratteristiche paramagnetiche. Questa caratteristica rende l’ossigeno particolarmente propenso a formare legami covalenti, ma, in caso di riduzione incompleta, si possono generare le ROS. I radicali reagiscono velocemente con altri composti, per acquisire gli elettroni necessari alla stabilità chimica. Questi composti perdono quindi il loro elettrone e divengono essi stessi radicali, iniziando una reazione a catena. Quando questo processo prende il via si determina nella cellula una cascata di reazioni che inizia con la perossidazione dei lipidi di membrana e la sua destabilizzazione e continua con l’ossidazione di altri componenti cellulari come proteine e DNA, fino alla distruzione dell’intera cellula (Smirnoff, 1993)

Le maggiori fonti di ROS nelle cellule vegetali sono i cloroplasti, i mitocondri ed i perossisomi (Van der Bosch et al., 1992; Inzé e Van Montagu, 1995; Asada, 1999). In questi organelli sono tipicamente presenti i trasferimenti di elettroni, che avvengono nella catena fotosintetica di trasporto elettronico nei cloroplasti e nella catena respiratoria di trasporto elettronico nei mitocondri.

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In particolare i mitocondri, subito dopo i cloroplasti, sono il sito più importante per la produzione di ROS nelle cellule vegetali (Møller, 2001).

Nei cloroplasti la continua produzione di ossigeno che avviene al PSII, soprattutto in condizioni di elevata irradianza e ridotta fotoassimilazione di CO2, può generare facilmente

delle specie ROS, le quali devono essere prontamente allontanate o eliminate. Non solo la luce, ma moltissime altre vie metaboliche del cloroplasto capaci di generare specie ROS, influenzano lo stato redox che viene quindi ad essere un fondamentale sensore della generale attività dell'organello. Ovviamente il cloroplasto non è un sistema chiuso ma risente e influenza, lo stato generale di tutta la cellula (Barkan and Goldschmidt-Clermont, 2000).

Le ROS svolgono tuttavia anche un ruolo positivo nella cellula in quanto coinvolte nella mediazione della comunicazione intra- ed intercellulare in seguito all’esposizione delle piante a stress ambientali e a patogeni (Noctor e Foyer, 1988).

Il sistema più comune di protezione nei confronti delle specie reattive dell’ossigeno è quello che utilizza enzimi deputati alla conversione dei ROS in prodotti meno reattivi e tossici per la cellula. Se in passato questi ROS erano considerati solamente dannosi per le cellule, ora è riconosciuto che la regolazione redox che coinvolge i prodotti dello stress ossidativo è anche un fattore importante di modulazione delle attività cellulare (Allen and Tresini, 2000). Per assicurare il mantenimento dei livelli basali di ROS, necessari per il loro normale funzionamento, le piante hanno un sistema di antiossidanti enzimatici e non enzimatici che mantengono ai giusti livelli le quantità di ROS presenti nei tessuti. Il sistema di antiossidanti vegetali è caratterizzato da ridondanza e multifunzionalità delle molecole ed enzimi coinvolti, consentendo il mantenimento di un elevato grado di potere antiossidante, anche quando alcune componenti scarseggiano o non sono proprio presenti (Mittler, 2002;. Van Breusegem et al, 2008).

I ROS possono causare severi danni a carico di DNA, lipidi e proteine inibendo le loro normali funzioni.

La concentrazione dei ROS, normalmente generati attraverso il metabolismo cellulare, può essere incrementata da agenti esterni: radiazioni ionizzanti, inquinanti a base di composti clorurati, ioni metallici e barbiturati possono direttamente o indirettamente generare specie reattive dell’ossigeno all’interno delle cellule (Valko et al., 2006).

L’anione superossido O2• - viene considerato il ROS “primario”, da cui, mediante reazioni con altre molecole, si possono generare i ROS “secondari”. Le maggiori fonti di

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anione superossido, in circostanze normali, sono le catene di trasporto elettronico, che possono favorire il trasferimento di un elettrone all’ossigeno molecolare.

O2 +e- →O2•-

I ROS secondari si possono poi generare per successive reazioni, così come schematizzato di seguito. L’enzima superossido dismutasi (SOD) catalizza la riduzione dell’anione superossido a perossido di idrogeno. La SOD opera in coniugazione con gli enzimi catalasi (CAT) e glutatione perossidasi (GSH-PX) che procedono alla riduzione del perossido di idrogeno ad acqua ed ossigeno.

Queste specie chimiche, le ROS, si generano per una incompleta riduzione dell'ossigeno ad H2O (Figura 3).

Figura 3 - Reazione di riduzione parziale dell’ossigeno molecolare sino ad acqua.

Infatti, per la riduzione completa dell’ossigeno sino ad acqua sono necessari 4 elettroni. Quando invece si ha una riduzione con 1, 2 o 3 elettroni si ha la formazione di specie radicaliche che presentano un elettrone spaiato e che risultano molto instabili. Le specie radicaliche ossidano quindi le molecole biologiche con cui vengono a contatto in modo da ottenere l’elettrone/i mancante.

In relazione al meccanismo d’azione, gli antiossidanti si possono distinguere in due tipologie:

1. “Chain breaker”. Agiscono da inattivatori di radicali liberi donando idrogeno o trasferendo un singolo elettrone alle specie radicaliche. Sono composti che, grazie al potenziale di riduzione negativo, sono in grado di fornire ai radicali liberi gli 8 elettroni di cui sono privi, ripristinando così l'equilibrio chimico del sistema in cui agiscono. La loro efficacia dipende dalla stabilità dei radicali nei quali si

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trasformano; pertanto, più efficiente è la delocalizzazione degli elettroni spaiati prodotti nella reazione con i radicali liberi, maggiore è il loro potere antiossidante. Gli antiossidanti di questo tipo possono disattivare le specie radicaliche tramite due meccanismi fondamentali: per trasferimento di un atomo di idrogeno (Hydrogen Atom Transfer: HAT) o per trasferimento di un singolo elettrone (Single Electron Transfer: SET). Il risultato finale è lo stesso, ma le cinetiche ed il potenziale delle reazioni sono diversi (Prior et al., 2005).

2. “Metal scavenger”. Prevengono la formazione di radicali liberi agendo da agenti chelanti dei metalli. Ioni metallici quali ferro o rame sono potenti pro-ossidanti che accelerano l’energia di attivazione delle reazioni di iniziazione dell’ossidazione lipidica, generando radicali alchilichi a partire da acidi grassi o inducendo la formazione di ossigeno singoletto (molto più reattivo del normale ossigeno tripletto presente nell’aria che respiriamo) mediata dall’anione superossido.

Il danno da stress ossidativo nelle piante è stato associato a molteplici cause tra cui alcune fisiologiche quali la senescenza (Thompson et al., 1987) e la risposta alle infezioni patogene (Apostol et al., 1989). La maggior parte delle cause associate ai danni ossidativi sono ascrivibili a condizioni ambientali estreme. Questi stress spesso sono maggiori per le piante in comparazione con gli altri eucarioti; questo perché́ esse sono organismi sessili continuamente esposte alle variazioni ambientali e perché́ le piante consumano ossigeno molecolare durante la respirazione e lo generano nel processo di fotosintesi (Scandalios, 1993). Le condizioni ambientali che provocano lo stress ossidativo sono innumerevoli: inquinamento dell’aria, erbicidi (Orr and Hess, 1982), metalli pesanti (De Vos et al., 1992), carenze nutritive (Cakmak and Marschner, 1988), temperature estreme (Kendall and McKersie, 1989).

Esistono numerose e differenti molecole antiossidanti all’interno dei frutti ed è molto difficile misurare ciascuna componente antiossidante separatamente. Tuttavia, sono stati sviluppati numerosi metodi per valutare la capacità antiossidante totale in frutti freschi ed ortaggi e nei loro derivati. Tra questi si ricordano i seguenti: 2,2-azinobis (3-etil- benzotiazolina-6-acido sulfonico) (ABTS) (Leong e Shui, 2002; Miller e Rice-Evans, 1997); 2,2-difenyl-1-picrylidrazile (DPPH) (Brand-Williams et al., 1995; Gil et al., 2002); potere antiossidante ferro-riducente (Ferric Reducing Antioxidant Power, FRAP) (Benzie e Strain, 1999; Guo et al., 2003; Jimenez-Escrig et al., 2001), e la capacità di assorbimento

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dell’ossigeno radicale (Oxygen Radical Absorption Capacity, ORAC) (Cao et al., 1993; Ou et al., 2001; Prior et al., 2003).

1.7.2 Effetto dei ROS sulla salute umana

L’elevata reattività̀ dei ROS provoca inevitabilmente danni sulla salute umana. Tra le diverse patologie che sono state associate all’elevata concentrazione di specie reattive dell’ossigeno spicca il cancro, la cui causa principale è la mutazione del DNA ad opera di radicali come •OH.

Non sono da trascurare però anche altre patologie provocate dai ROS, come le malattie cardiovascolari.

Il processo dell’invecchiamento può̀ essere considerato un progressivo declino delle funzioni fisiologiche dell’organismo. Secondo la teoria proposta da Harman nel 1956 la causa dell’invecchiamento è da imputare all’ossigeno: in condizioni normali, il passaggio di elettroni dalle catene di trasporto elettronico all’ossigeno, che porta alla formazione di anione superossido, è limitato ed i meccanismi di riparazione degli eventuali danni provocati dai ROS sono efficienti. Tali meccanismi sembrano però diventare meno efficaci con l’età: numerosi studi hanno riportato accumulo di 8-idrossi-2’-deossiguanosina (8-OHdG), biomarker per la valutazione del danno ossidativo, nel DNA mitocondriale di individui anziani.

Il danno ossidativo aumenta inoltre con l’età̀ e viene considerato un importante fattore in diverse malattie neurodegenerative, come le sindromi di Alzheimer e Parkinson, tipiche delle persone anziane (Valko et al., 2006).

Per combattere il danno da stress ossidativo il corpo umano può utilizzare vari enzimi:

1. la superossido dismutasi, (SOD) che catalizza la reazione di dismutazione del radicale superossido, importante iniziatore di catena radicalica (Laguerre et al., 2007; Suntres, 2011);

2. la catalasi, (CAT) che a sua volta dismuta il perossido di idrogeno, formatosi dalla precedente reazione come da altre reazioni biologiche, in acqua e ossigeno (Laguerre et al., 2007; Suntres, 2011);

3. la glutatione perossidasi (in molti casi selenio-dipendente), che riduce gli idroperossidi organici.

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Questi enzimi sono attivi in molteplici organismi viventi e svolgono in tutti la medesima azione volta alla trasformazione di composti da radicali liberi a molecole con potere ossidante inferiore non più̀ in grado di danneggiare le cellule (Smirnoff, 1993).

Una seconda linea di difesa dell’organismo umano è formata dai composti antiossidanti endogeni a basso peso molecolare, che reagiscono con i composti ossidanti riducendone il potenziale nocivo. Tra questi possiamo ricordare il glutatione, l’ubichinolo e l’acido urico.

Un ruolo chiave per la protezione del danno causato dalle ROS è svolto dalle sostanze antiossidanti di origine vegetale che assumiamo con la dieta. Frutta e vegetali contengono molti composti, tra cui fenoli, tioli, carotenoidi, tocoferoli e glucosinolati, che esercitano un effetto chemio-protettivo attraverso uno svariato numero di meccanismi (Dragsted et al., 1993).

In realtà, però, esistono altri requisiti fondamentali affinché tali composti svolgano attività antiossidante: essi devono, innanzitutto, riuscire a reagire con i radicali liberi ad una velocità notevolmente maggiore di quella fra radicali stessi e substrato (Wright et al., 2001); devono trovarsi nelle vicinanze o avere una buona mobilità verso i siti di produzione di radicali perossidi, perché questi possano essere facilmente intercettati (Laguerre et al., 2007). Devono, infine, formare un nuovo radicale stabile e quindi scarsamente reattivo, per effetto della delocalizzazione dell’elettrone spaiato sull’anello aromatico oppure per la difficile accessibilità del radicale stericamente impedito, in modo che non reagisca a sua volta con altri acidi grassi insaturi (Rice-Evans et al., 1997; Capella et al., 1997; Sanchez-Moreno et al., 1998; Laguerre et al., 2007).

Tra le differenti molecole con potere antiossidante contenute in frutta e verdura le sostanze fenoliche, come i flavonoidi, sono le più̀ comuni e presentano una elevata capacità antiossidante (Scalzo et al., 2005).

I tocoferoli rappresentano un’importante classe di otto composti, gli alfa-, beta-, gamma-, delta-tocoferoli ed i corrispondenti tocotrienoli, compresi nel termine generico di vitamina E (Burton e Ingold, 1981; Cunha et al., 2006), che contengono un anello 6-cromanolo e una lunga catena laterale fitilica, caratterizzata da elevata idrofobicità (Cunha et al., 2006): sono presenti naturalmente negli oli vegetali e vengono considerati come i principali agenti antiossidanti presenti nei lipidi e negli oli e grassi vegetali (Vertuani et al., 2004; Cunha et al., 2006). Data la loro idrofobicità, i tocoferoli si associano alle membrane cellulari, ai lipidi di riserva ed alle lipoproteine nel sangue e, proprio grazie a questa liposolubilità, rappresentano alcuni dei più potenti antiossidanti: il loro meccanismo di

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azione prevede la neutralizzazione dei radicali liberi, proteggendo, di conseguenza, gli acidi grassi insaturi dall’ossidazione e prevenendo il danno ossidativo (Lehninger, 1979; Bindoli e Cavallini, 1980; Pokorny et al., 2001; Gurr et al., 2002; Cabras e Martelli, 2004; Cunha et al., 2006).

Alla capacità antiossidante partecipa sicuramente anche la Vitamina C che risulta essere uno delle componenti che influiscono maggiormente sui fattori di qualità delle colture orticole e della frutta (Lee et al., 2000; Proteggente et al., 2002). L’acido ascorbico, essendo una molecola idrosolubile, sembra agire nella fase liquida della cellula proteggendo i tessuti dall’azione delle ROS (Kaur e Kapoor; 2001).

1.7.3 Gli antiossidanti più comuni in natura

La maggior parte degli antiossidanti che si conoscono appartengono al regno vegetale. Molte piante sintetizzano questi composti per soddisfare varie necessità fisiologiche: la difesa contro parassiti, agenti tossici, condizioni ambientali inadeguate, raggi ultravioletti; l'attrazione degli impollinatori (gli antociani e i flavonoidi sono responsabili della colorazione di fiori e foglie); il supporto strutturale (lignina e tannini); la regolazione mediante fitormoni (flavonoidi ed altre sostanze fenoliche semplici).

Queste funzioni avvengono a spese del metabolismo primario delle piante (accrescimento e riproduzione) in quanto parte degli assimilati sono destinati allo svolgimento delle suddette attività (metabolismo secondario).

Una funzione particolarmente importante del metabolismo secondario è la protezione da stress ossidativi, infatti le piante che hanno uno spiccato metabolismo secondario sono tendenzialmente più ricche in sostanze antiossidanti.

Gli antiossidanti naturali, ampiamente presenti in alimenti quali frutti e vegetali, ricadono essenzialmente in tre grandi gruppi: le vitamine, i composti fenolici e i carotenoidi. L’acido ascorbico ed i fenoli sono i più noti tra gli antiossidanti idrofili, i carotenoidi tra quelli lipofili (Halliwell, 1996). Anche alcuni minerali (selenio, rame e zinco) svolgono indirettamente funzioni antiossidanti, poiché partecipano alla regolazione di enzimi coinvolti nel meccanismo di difesa antiossidante.

1.7.4 Gli antiossidanti vitaminici 1.7.4.1 Vitamina C

Comunemente nota come acido ascorbico (γ-lattone dell’acido 2-chetogulonico), è caratterizzata da uno spiccato potere riducente. Il suo prodotto di ossidazione è l’acido

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L-deidroascorbico. Le piante ed alcuni organismi animali sono in grado di sintetizzarla a partire dai glucidi, mentre l’uomo deve introdurla con gli alimenti. Nelle piante è coinvolta, insieme alla glutatione-perossidasi, nella detossificazione del perossido d’idrogeno nei cloroplasti. La vitamina C è il più potente antiossidante idrosolubile presente nel plasma sanguigno e agisce anche come rigeneratore di vitamina E (Niki et al.,1995) e di specie cationiche radicaliche di carotenoidi (Mortensen et al., 2001). È noto l’effetto sinergico delle vitamine E, C e del β-carotene come scavengers nei confronti di specie reattive dell’azoto (Böhm et al., 1998 a, b).

1.7.4.2 Tocoferoli (Vitamina E)

Antiossidanti liposolubili prodotti dagli organismi fotosintetizzanti, appartenenti alla classe dei tocoli. Chimicamente, sono derivati del benzodiidropirano: presentano in posizione 6 un ossidrile e in posizione 2 un gruppo metilico e una catena isoprenoide a 16 atomi di carbonio. I tocoli sono distinti in tocoferoli (catena isoprenoide satura) e tocotrienoli (catena isoprenoide insatura). Ogni tocolo include quattro derivati (α, β, γ and δ) che si differenziano per la presenza di diversi sostituenti metilici sull’anello. Gli organismi animali ed i batteri non sono in grado di sintetizzarli e devono introdurli con gli alimenti (Hidalgo et al., 2006).

1.7.4.3 Carotenoidi

Molecole lipofile, molte delle quali derivanti dalla struttura isoprenica a 40 atomi di carbonio. Presentano quindi un sistema di doppi legami coniugati alle cui estremità sono presenti gruppi ciclici, che possono essere sostituiti da gruppi funzionali contenenti ossigeno. I carotenoidi si distinguono in caroteni, quando la loro struttura presenta solo atomi di carbonio e idrogeno, e xantofille, se possiedono anche funzioni ossigenate. Solo piante, funghi, batteri e alghe sono in grado di sintetizzarli.

1.7.5 Gli antiossidanti fenolici

Sono una classe di composti organici naturali caratterizzati dalla presenza di almeno un anello aromatico, mono o pluri-sostituito da gruppi ossidrilici.

I flavonoidi (Figura 4) rappresentano i polifenoli più̀ abbondanti nelle piante. Strutturalmente sono caratterizzati da due anelli benzenici legati da una catena lineare di tre atomi di carbonio, che può formare un anello a 6 atomi con un gruppo ossidrilico di uno degli anelli benzenici (D'Archivio et al., 2007).

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