• Non ci sono risultati.

Gestione dei rischi catastrofali: cat bonds e resilience bonds

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Gestione dei rischi catastrofali: cat bonds e resilience bonds"

Copied!
122
0
0

Testo completo

(1)

1

U

NIVERSITÀ

D

I

P

ISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea

Gestione dei rischi catastrofali:

Cat bond e Resilience bond

Relatore: Candidato:

Prof. Vannucci Emanuele Scaramelli Gianluca

(2)

2

Indice

Introduzione………...4

Abstract………..…7

Capitolo 1 – Rischio Catastrofale………..………...10

1.1 Definizione di rischio catastrofale………...10

1.2 Solvency II: vigilanza Europea in campo assicurativo………12

1.3 Rischio catastrofale in Italia………17

1.4 Analisi internazionale e italiana delle catastrofi………..20

Capitolo 2 – La riassicurazione………25

2.1 Cenni storici della riassicurazione tradizionale………25

2.2 Forme della riassicurazione……….29

2.3 Riassicurazione finanziaria………..34

Capitolo 3 – Catastrophe bond e Resilience bond………41

3.1 La cartolarizzazione dei rischi catastrofali………..41

3.2 Catastrophe bond……….43

3.2.1 Struttura tipica dei catastrophe bond………..43

3.2.2 I Catastophe bond come una nuova asset class……….49

3.2.3 Il mercato dei Cat Bond………..52

3.3 I Resilence Bond: “From Post-Disaster to Pre-Disaster” ………..55

3.3.1 Struttura tipica e principali differenze con i Cat bond………...55

3.3.2 Il mercato dei Resilience bond: “from idea to program” …...64

3.3.3 Forest Resilient Bond………..64

3.4 Altri strumenti finanziari specifici per la gestione dei rischi catastrofali……69

(3)

3

3.4.2 Cat-E-Puts o contingent capital………70

Capitolo 4 – Catastrophe modelling……….72

4.1 Evoluzione e ruolo dei modelli catastrofali nelle assicurazioni………...72

4.2 Struttura dei Cat models………...75

4.3 La rappresentazione dell’incertezza nei modelli catastrofali………...79

4.4 Exceedance Probability Curve……….81

4.5 Stakeholders e la curva EP………...86

Capitolo 5 - Caso operativo: scelta tra un Cat Bond e un Resilience Bond……….89

5.1 Analisi del rischio alluvionale………..89

5.2 Rischio di alluvioni in Europa e in Italia……….92

5.3 Alluvioni in Toscana………....95

5.4 Utilizzo di Cat Bond per assicurare il rischio alluvionali……….101

5.4.1 1° caso. Provincia di Massa………...103

5.4.2 2° caso. Provincia di Pisa………...104

5.4.3 3° caso. Provincia di Pistoia………...105

5.5 Ipotetico utilizzo di un Resilience Bond………107

5.5.1 1° caso. Provincia di Massa………...110

5.5.2 2° caso. Provincia di Pisa………...112

5.5.3 3° caso. Provincia di Pistoia………...113

Conclusioni……….118

(4)

4

INTRODUZIONE

Le catastrofi naturali sono eventi aleatori a bassa frequenza, ma spesso improvvisi, parzialmente incontrollabili e disastrosi, sia in termini di vite umane, sia in termini di perdite materiali. Da molti anni, la teoria probabilistica ha tentato di studiarne il comportamento tramite i dati storici, per mettere in atto strategie di prevenzione e di contenimento delle conseguenze.

Da una prima considerazione, i rischi catastrofali sembrerebbero non convenienti per le imprese di assicurazione perché nel caso di evento le catastrofi colpiscono

contemporaneamente più persone, comportano indennizzi elevati e aumentano il rischio di insolvenza. In realtà, risultano accettati dalle più grandi compagnie assicurative e vengono gestiti secondo una logica di ripartizione con il mercato riassicurativo o con il mercato finanziario.

Il presente elaborato si compone di cinque capitoli. Nel primo capitolo, per chiarire la tipologia di rischio a cui si fa riferimento, viene data una definizione di rischio catastrofale, e vengono descritte brevemente le fasi storiche della direttiva europea Solvency, il sistema di vigilanza europea sulla solvibilità in campo assicurativo. Viene fatta, successivamente, una panoramica internazionale delle catastrofi e una descrizione sulle principali catastrofi che colpiscono l’Italia: terremoti e soprattutto alluvioni.

Nel secondo capitolo vedremo come le compagnie di assicurazione affrontano questa tipologia di rischio con l’obiettivo di non farlo gravare direttamente sulle proprie strutture patrimoniali. In tal senso, verrà analizzato dettagliatamente il contratto di riassicurazione: dalle origini storiche ai fini perseguiti e alle varie forme di riassicurazione che un’impresa assicurativa può attuare per trasferire il rischio catastrofale. La riassicurazione permette alla compagnia di assicurazione di assorbire perdite maggiori, ridurre la quantità di capitale

(5)

5

necessaria per fornire copertura, e all’assicuratore diretto rimane un rischio inferiore in portafoglio. Scomponendo il rischio si riduce quindi la variabilità del risarcimento e l’esigenza di capitali.

Per tentare di superare quelli che sono i limiti dell'assicurazione e della riassicurazione, si ricerca una soluzione alternativa, orientata ad una migliore gestione dei rischi in

portafoglio, trasferendoli a terzi soggetti con quantità di capitali superiori: infatti, nel terzo capitolo analizzeremo quali sono gli strumenti innovativi che nascono per gestire i rischi catastrofali trasferendo il rischio al mercato finanziario.Ci soffermeremo sui cat bond, quindi su come sono strutturati, sul procedimento con il quale vengono emessi, su quali sono i loro vantaggi principali. Il capitolo procede poi con una dettagliata analisi di uno strumento ancora più innovativo per il trasferimento dei rischi catastrofali al mercato dei capitali, il Resilience bond: cercheremo di capire quali sono le differenze di struttura con i catastrophe bond tradizionali e la stretta connessione tra ingegneria e assicurazione

necessaria per realizzarli.

Nel quarto capitolo, si analizzano brevemente i “cat models”, cioè i modelli che le imprese di assicurazione e riassicurazione utilizzano per determinare la misurazione dei pericoli e le probabilità degli eventi catastrofici. I modelli catastrofali rappresentano l’ultima frontiere delle nuove tecniche informatico-probabilistiche applicate alle recentissime scoperte, nell’ambito delle scienze, della mappatura del territorio che hanno permesso la nascita di un modo scientifico per misurare il rischio catastrofale. I modelli catastrofali sono stati sviluppati essenzialmente per il mondo assicurativo e riassicurativo, per valutare le strategie da adottare in tema di diversificazione e mitigazione del rischio di portafoglio, per la quantificazione dei premi assicurativi, per prendere decisioni nei confronti dei mercati riassicurativi e per valutare se utilizzare una riassicurazione classica o altri

(6)

6 strumenti finanziari volti alla copertura del rischio.

Attraverso la curva EP (exceedance probability curve) è possibile determinare la misura del rischio che bisogna trasferire al mercato dei capitali e quindi agli eventuali investitori e riassicuratori per tenere sotto controllo il pericolo di insolvenza dell’impresa di

assicurazione.

Nel quinto ed ultimo capitolo, verrà analizzato il rischio alluvioni prima in Italia e poi, più nel dettaglio, nella regione Toscana. In particolare, grazie a quanto messo a disposizione dal Sir Toscana (Servizio Idrologico della Regione Toscana) verranno proposte delle simulazioni di emissioni di cat bond e di resilience bond da parte di alcune delle province Toscane. Prendendo in considerazione costi e flussi di cassa di investitori e pubbliche amministrazioni infatti è possibile dare, alla fine di questa breve analisi, una valutazione sulla convenienza economica dell’operazione.

(7)

7

ABSTRACT

A natural disaster is a major adverse event with low frequency that causes disastrous events partially out of control, in terms of loss of lives and damaged properties. For several decades, probabilistic theory tried to study their behaviour with historical data, making possible implementation strategies to prevent and contain the consequences.

From a first consideration, the catastrophic risks would not seem convenient for insurance companies because catastrophes affect at the same time more people and bring high compensation and increase the risk of insolvency. In reality, they are accepted by the largest insurance companies and are managed according to a logic of distribution with the reinsurance market or with the financial market.

This paper consists of five chapters. In the first chapter, to clarify the type of risk to which reference is made, a definition of catastrophe risk is given, and the historical phases of the Solvency, the European supervision system in the insurance field, are briefly described. Then we carry out an analysis on international overview of the catastrophes and a description of the main catastrophes that usually affect Italy: earthquakes and above all floods.

In the second chapter we will see how insurance companies approach this type of risk. In this sense, the reinsurance contract will be analysed in detail: from the historical origins, to the aims pursued and to the various forms of reinsurance that an insurance company can implement to transfer the catastrophe risk. Reinsurance allows the insurance company to absorb greater losses, reduce the amount of capital needed to provide cover, and the direct insurer remains a lower risk in the portfolio. Decreasing the risk therefore reduces the variability of the compensation and the need for capital.

(8)

8

To try to overcome the limits of insurance and reinsurance, an alternative solution is sought, aimed at better management of the risks in the portfolio, transferring them to third parties with larger amounts of capital: in fact, in the third chapter we will analyse some innovative tools that are created to manage catastrophic risks by transferring risk to the financial market. We will focus on the cat bond, how they are structured, how they are issued and what their main advantages are. The chapter proceeds with a detailed analysis of a more innovative tool for the transfer of catastrophic risks to the capital market, the Resilience bond: we will try to understand what their structure differences are with traditional catastrophe bond and the close connection between engineering and insurance required to carry them out.

In the fourth chapter, the "cat models" are briefly analysed: they are the models that the insurance and reinsurance companies use to determine the measurement of the dangers and the probabilities of catastrophic events. Catastrophe models have been developed

essentially for the insurance and reinsurance world, to assess the strategies to be adopted in terms of diversification and mitigation of portfolio risk, to quantify insurance premiums, to make decisions with respect to reinsurance markets and to evaluate whether to use a classic reinsurance or other financial instrument aimed at hedging the risk.

Through the EP curve (exceedance probability curve), it is possible to determine the measure of the risk that must be transferred to the capital market and therefore to any investors and reinsurers to keep the risk of insolvency of the insurance company under control.

In the fifth and last chapter, the flood risk will be analysed first in Italy and then, more in detail, in the Tuscany region. In particular, we will try to make simulations of issues of cat bond and resilience bond by some of the Tuscan provinces. Taking into consideration the

(9)

9

costs and cash flows of investors and public administrations, it is possible to give an evaluation of the economic convenience of the transaction at the end of this brief analysis.

(10)

10

CAPITOLO 1

RISCHIO CATASTROFALE

1.1 Definizione del rischio catastrofale

Con il termine catastrofe si indica un fenomeno raro che causa numerosi ed elevati danni sia di tipo materiale sia in termini di vite umane. Sono eventi aleatori che si verificano con una bassa frequenza, ma che producono danni di dimensione estremamente rilevanti: sono, infatti, chiamati fenomeni di tipo “Low Frequency, High Impact” (bassa frequenza, ampio numero di unità assicurate colpite). Proprio per questo le catastrofi risultano difficili da prevedere e la gestione dei rischi che da esse originano risulta molto complessa.

Esistono due caratteristiche specifiche che un evento deve possedere per essere chiamato rischio catastrofale:

• Accumulazione dei sinistri nel tempo e nello spazio: il verificarsi della catastrofe deve causare una moltitudine di sinistri in tempi e in luoghi differenti, in modo che la somma dei singoli danni sia molto elevata.

• Eccezionalità della causa: tutti i sinistri devono essere riconducibili ad un unico fenomeno che deve essere di natura straordinaria.

Le catastrofi non rispettano le leggi della statistica classica, perché non sono distribuite tipicamente secondo una distribuzione gaussiana, e questo determina molte difficoltà nella previsione di questi eventi. Queste caratteristiche permettono di escludere dalla categoria dei rischi catastrofali sia quegli eventi di grande dimensione, ma che provocano un solo danno, sia le catastrofi determinate da fenomeni che provocano una pluralità di danni, ma che sono oggetto di una normale copertura assicurativa.

(11)

11

Una principale distinzione da effettuare è quella fra catastrofe naturale e catastrofe tecnica: • Catastrofi naturali (o “Act of God”): sono fenomeni catastrofali provocati da forze

della natura, a volte amplificati dall’attività umana. Spesso questi fenomeni non sono controllabili dall’uomo e si può soltanto cercare di limitare i danni potenziali utilizzando delle adeguate misure di prevenzione. I danni che provocano dipendono non solo dalle misure di prevenzioni adottate, ma anche dalla violenza degli

elementi naturali, dalle tecniche di costruzione degli edifici, dalla struttura delle zone colpite e da altri fattori casuali (nei terremoti, ad esempio, l’ora in cui si verifica l’evento è di notevole importanza, in quanto incide sul numero delle vittime).

Sono catastrofi naturali i terremoti, i maremoti, le tempeste, le alluvioni, le eruzioni vulcaniche, le valanghe e le grandinate.

• Catastrofi tecniche (o “man-made”): sono fenomeni catastrofali provocate

dall’uomo e riconducibili alle sue attività: possono essere causate da tutte le forme di veicoli circolanti, come auto, treni, aerei, navi, da grandi incendi industriali o da crolli, e negli ultimi anni hanno ricoperto una grande rilevanza anche gli attentati terroristici e l’inquinamento causato dalle attività industriali.

A differenza di quelle naturali, le catastrofi man-made riguardano in genere un singolo oggetto assicurato di grande entità e coinvolgono zone più ristrette.

(12)

12

1.2 Solvency II: vigilanza europea in campo assicurativo

Solvency II (ufficialmente Direttiva 2009/138/CE) è una direttiva dell'Unione Europea che

ha lo scopo di estendere la normativa di Basilea II al settore assicurativo.

Risalgono ai primi anni ’70 dello scorso secolo i primi esperimenti di regolazione dei profili di solvibilità nelle imprese assicuratrici, con le direttive europee 73/239/CEE per il ramo Danni e 79/267/CEE per il ramo vita, disciplina nota anche come Solvency 0. Gli interventi messi in atto dal legislatore comunitario avevano lo scopo di armonizzare le legislazioni dei diversi Stati Membri con riferimento alle norme applicabili ai contratti di assicurazione e alle norme di accesso all’attività assicurativa, introducendo, per la prima volta, il concetto di “Margine minimo di solvibilità” delle imprese di assicurazione. Da sempre, infatti, uno dei principali obiettivi perseguiti del management di un’impresa è quello della sopravvivenza della stessa: cioè la preservazione del suo capitale sociale e la permanenza, della stessa, sul mercato. Il perseguimento di tale obiettivo ha generato, anche a livello europeo, l’esigenza di fornire degli strumenti alle imprese di assicurazione per tenere maggiormente sotto controllo la loro solvibilità. La tendenza è venuta crescendo nel tempo, traducendosi nell’emanazione di direttive sempre più improntate alla

liberalizzazione ed all’armonizzazione del mercato, garantendo così la massima trasparenza e competitività.

La direttiva 73/239/CEE all’art.16 e la direttiva 79/267/CEE all’art.18 definisce il margine di solvibilità come “una riserva complementare che rappresenta il patrimonio

dell’impresa, libero da qualsiasi impegno prevedibile, al netto degli elementi immateriali, che le imprese di assicurazione devono detenere per far fronte ai rischi dell’esercizio”.

L’obbligo di un margine di solvibilità rappresentano un fondamentale strumento di protezione per i clienti, perché, in caso di riduzione dell’attività assicurativa, le imprese possiedono una riserva di fondi propri per proteggere gli interessi degli assicurati.

(13)

13

Nonostante l’innovazione portata rispetto alla normativa vigente, Solvency 0 presentava ancora delle importanti lacune. In quest’ottica, a livello comunitario, si è reso necessario un ulteriore cambiamento, rappresentato dalla disciplina Solvency 1.

Con l’espressione Solvency 1 si fa riferimento ad un progetto dell’Unione Europea, costituita da due direttive europee emanate nel 2002, una per il Ramo Vita e una per il Ramo Danni, allo scopo di affrontare il tema della solvibilità e la capacità delle imprese di assicurazione di affrontare condizioni di difficoltà.

Solvency 1 si contraddistingue per il rispetto di un requisito patrimoniale minimo, da criteri

di quantificazione prudenziale degli impegni assunti nei confronti degli assicurati e dai limiti quantitativi e qualitativi agli attivi acquisiti a copertura delle passività.

Le norme del regime Solvency I hanno lasciato pressoché invariate le modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori, correggendone, tuttavia, alcune componenti al fine di riflettere al meglio la rischiosità effettiva dell’impresa soggetta, per esempio elevando il fondo minimo di garanzia, la soglia di calcolo del margine di solvibilità dei rami danni o la composizione del capitale disponibile. La normativa rafforza la vigilanza imponendo l’obbligo di mantenere i requisiti di solvibilità su base continuativa, e non solo alla data di redazione del bilancio, ed estende la facoltà di intervento delle Autorità di controllo.

Le regole di Solvency I rappresentano, però, solo l’inizio per ottenere assetti patrimoniali più solidi. Infatti, se da un lato il progetto presenta notevoli vantaggi in termini di

semplicità, comparabilità tra le imprese e robustezza, dall’altro sono diversi i punti di debolezza di tale normativa:

• non considera l'insieme dei rischi cui è esposta un'impresa dal lato dell'attivo e del passivo;

(14)

14

• non tiene conto dei rischi specifici di una compagnia (a parità di premi e di sinistri, la rischiosità di due imprese può essere molto diversa);

• non tiene conto delle interconnessioni fra le regole relative a riserve tecniche, attivi a copertura e margine di solvibilità;

• non tiene conto della qualità del risk management / controllo interno delle diverse imprese.

Questi limiti, insieme alla crisi finanziaria mondiale del 2008, hanno portato la Commissione Europea a svolgere una totale revisione del sistema, allineandola alla normativa Basilea II, intervenendo su tutti gli aspetti quantitativi e qualitativi che influivano sulla solvibilità delle imprese.

Il 17 dicembre 2009 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il testo della Direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione, comunemente nota come Direttiva “ Solvency II ”. L’intento era quello di promuovere una profonda innovazione delle regole di vigilanza prudenziale in ambito assicurativo e di propagare sempre una maggiore convergenza della normativa a livello internazionale e intersettoriale, al fine di garantire un “level playing field” che consenta a tutti i competitor di operare in condizioni regolamentari equivalenti. Quel testo conteneva i principi generali della futura regolamentazione: modalità di calcolo dei nuovi requisiti di capitale, indirizzi in materia di corporate governance e di controllo dei rischi delle imprese assicuratrici, obblighi informativi. Con la direttiva Omnibus II (2014) è stato compiuto un altro passo in avanti adattando, tra l’altro, le disposizioni prudenziali ai nuovi assetti di vigilanza determinati dalla nascita dell’Eiopa (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) che dal primo gennaio 2011 ha il compito di sorvegliare il mercato continentale delle polizze, in

(15)

15

coordinamento con le Autorità nazionali. Successivamente, sono stati emanati gli atti delegati con cui hanno preso forma le misure tecniche indispensabili per l’avvio del nuovo sistema di regolamentazione prudenziale. Finalmente, con il primo gennaio 2016,

la nuova disciplina è entrata in vigore e Solvency II ha preso il posto di 14 direttive

precedenti e di 28 regolamentazioni nazionali sostituite da un’unica normativa per l’intera area dell’Unione Europea.

Figura 1 - Solvency II – Le tappe (Fonte: Guida Solvency II, www.ivass.it)

Solvency II delinea il nuovo sistema di vigilanza basandosi su tre pilastri: un primo pilastro

contenente disposizioni relative alle risorse finanziarie, alle norme prudenziali sulle riserve, alle attività ed il margine di solvibilità. Il secondo pilastro riguardante le norme di controllo interno, di gestione dei rischi ed il loro controllo da parte dell’Autorità di

(16)

16

comprendente tutto ciò che riguarda la corretta informazione e la trasparenza da parte degli operatori.

Per quanto riguarda la trattazione del rischio catastrofale, la direttiva europea Solvency II, è ancora molto lacunosa; infatti, tale tipo di rischio viene preso in considerazione soltanto nel calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità di base:

• dall’articolo 105 comma 2 si evince che “il modulo del rischio di sottoscrizione per

l’assicurazione non vita riflette il rischio derivante da obbligazioni di

assicurazione non vita, tenuto conto dei pericoli coperti e delle procedure utilizzate nell’esercizio dell’attività” ed è calcolato come combinazione dei requisiti

patrimoniali di alcuni sotto moduli, tra i quali viene citato “il rischio di perdita o di

variazione sfavorevole del valore delle passività assicurative, derivante da un’incertezza significativa delle ipotesi in materia di fissazione dei prezzi e di costituzione delle riserve in rapporto ad eventi estremi o eccezionali (rischio di catastrofe per l’assicurazione non vita)”;

• dall’articolo 105 comma 3 si evince che “il modulo del rischio di sottoscrizione per

l’assicurazione vita riflette il rischio derivante da obbligazioni di assicurazione vita, tenuto conto dei pericoli coperti e delle procedure utilizzate nell’esercizio dell’attività” ed è calcolato come combinazione dei requisiti patrimoniali di alcuni

sotto moduli, tra i quali viene citato “il rischio di perdita o di variazione

sfavorevole del valore delle passività assicurative, derivante da un’incertezza significativa delle ipotesi in materia di fissazione dei prezzi e di costituzione delle riserve in rapporto ad eventi estremi o sporadici (rischio di catastrofe per

(17)

17

1.3 Rischio catastrofale in Italia

Nell’ordinamento giuridico italiano, nonostante il fatto che le calamità naturali accadano abbastanza frequentemente, non è presente tuttora una legge organica che disciplini in via generale gli interventi dello Stato quando il Governo dichiara lo “ stato di calamità ”. Esistono solo alcune disposizioni legislative per quanto riguarda il pronto intervento per gestire l’emergenza che si crea quando la popolazione è colpita da calamità naturali; non esiste, tuttavia, alcuna norma che obblighi in via generale il Governo di risarcire i cittadini a causa dei danni che hanno subito in seguito ad una calamità, anche se esiste una

procedura consolidata in base alla quale il Governo stanzia ingenti somme di denaro, in seguito al verificarsi di una catastrofe, ma la maggioranza dei danneggiati ricevono questi indennizzi in ritardo e quasi sempre inferiori ai danni realmente subiti. Oltre a questa situazione, un’altra principale causa della scarsità di domanda delle coperture assicurative contro i rischi catastrofali da parte dei cittadini italiani è il fatto che non si sente il bisogno di coprirsi da tali eventi con un’assicurazione, confidando eccessivamente sull’intervento dello Stato. ANIA (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici) dimostra questa situazione nel contesto attuale del mercato assicurativo: i beni dei privati cittadini e i beni delle maggior parte delle PMI italiane sono quasi totalmente scoperti contro i rischi catastrofali, come terremoti e alluvioni, mentre solo le grandi aziende sono assicurate adeguatamente contro le calamità naturali (le società multinazionali sono molto caute nel proteggersi da questa tipologia di rischi a causa dei quali potrebbero sostenere grosse perdite).

Un altro importante motivo della scarsa distribuzione fra i cittadini privati delle coperture assicurative contro le calamità naturali è dovuto al fatto che le compagnie di assicurazione non hanno mai avuto interesse ad offrire questa tipologia di coperture.

(18)

18

Le principali cause di questa politica conservativa delle compagnie di assicurazione sono date:

• dalla difficoltà tecnica di determinare le zone territoriali che possono essere colpite da un singolo evento e le frequenze dell’evento stesso. A tal proposito, bisogna comunque notare che si hanno delle buone conoscenze sulle zone territoriali per quanto riguarda il rischio di terremoto (il 67% dei comuni italiani si trova in zona sismica) e il rischio di frane e alluvioni (circa il 50% delle imprese italiane si trova in aree a pericolo di frane e alluvioni), mentre sono poche e inadeguate le

informazioni per i rischi di tempeste, di valanghe e di grandinate;

• dalla mancanza di mezzi per determinare dei premi adeguati che vengano

corrisposti da tutti gli assicuranti, a causa del fatto che il verificarsi di alcuni eventi catastrofali è ipotizzabile solo in alcuni territori (ad esempio, pensiamo alla

situazione molto pericolosa dei fabbricati che si trovano alle falde del Vesuvio, che sono sottoposti di continuo al rischio di frane e alluvioni, situazione non certo paragonabile con il rischio corso dai fabbricati ubicati nel centro di Milano); • dalla impossibilità, di conseguenza, di creare una mutualità che permetta di

assicurare le situazioni rischiose a premi che siano accettabili, compensando l’insufficienza tecnica inevitabile di questi premi con premi di importo maggiore ai rischi reali nelle ubicazioni meno soggette a tali rischi. Questa mutualità, infatti, si può ottenere solo in presenza di forme di assicurazione obbligatoria o semi

obbligatoria.

La scarsità dell’offerta è dovuta anche al fatto che in Italia la gravità dei rischi è superiore rispetto a quella degli altri Paesi europei, poiché:

(19)

19

• sono presenti quattro vulcani attivi, due dei quali (Vesuvio ed Etna) si trovano in territori ad altissima densità abitativa;

• il dissesto idrogeologico del suolo è ad un livello molto alto, sia a causa delle molteplici zone collinari e montagnose, sia a causa del disboscamento selvaggio a cui abbiamo assistito negli ultimi 100 anni;

• l’abusivismo nelle costruzioni ha raggiunto livelli che non sono più sopportabili (con costruzioni effettuate nei letti dei fiumi).

(20)

20

1.4 Analisi internazionale e italiana delle catastrofi

Negli ultimi decenni gli eventi catastrofali hanno mostrato un andamento progressivamente crescente sia nel loro numero sia nei valori dei danni prodotti.

Figura 2 - Il trend 1970-2018 degli eventi catastrofali (Fonte: Swiss Re institute)

Come si nota dalla figura 2, dal 1970 al 1985 il trend delle catastrofi, sia naturali che man-made, è stato pressoché costante. Dal 1985 in poi, invece, si assiste ad un aumento piuttosto accelerato del numero di eventi disastrosi. Il numero di catastrofi, infatti, è aumentato più del 100% in poco più di 20 anni. Le principali cause di questo trend vengono trovate, dalle compagnie assicurative e riassicurative, nell’aumento della concentrazione della popolazione mondiale, nel processo sempre crescente

dell’urbanizzazione e nei cambiamenti climatici. La migrazione dalle campagne e la concentrazione di un numero sempre maggiore di persone nelle grandi città crea un rischio potenziale enorme. Il trend dell’urbanizzazione sta accelerando: mentre nel 1950 solo 750 milioni di persone su 2.5 miliardi vivevano nelle grandi città, ora sono circa 2.6 miliardi su 5.7 e nel 2025 si presume che saranno 5 miliardi su 8.3.

Sulla base di questi dati, il numero delle città superiori ad un milione di abitanti si è quasi quadruplicato: da 83 nel 1950 a 325 di oggi.

(21)

21

Notiamo dai dati, quindi, come la concentrazione di persone nelle regioni urbane è maggiore e qualora si verifichi una catastrofe essa provochi ingenti danni e vittime. L’esposizione delle regioni urbane deriva sia dalle catastrofi naturali, come il terremoto di Kobe nel 1995 che ha causato, in pochi secondi, perdite superiori di 100 miliardi di dollari, con solo 3 miliardi assicurati, sia dalle catastrofi tecniche, provocate dall’uomo come gli attentati terroristici, che si concentrano maggiormente nelle zone urbane proprio per aumentare l’impatto economico e sociale dei loro attacchi: ad esempio, gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti ha provocato 3 mila vittime e circa 100 miliardi di dollari di danni.

Gli eventi catastrofali non causano solo danni economici alla proprietà e alle infrastrutture, ma anche un notevole numero di vittime.

Figura 3 - Numero di vittime, 1970-2018 (Fonte: Swiss Re Institute)

Come si nota nella figura 3, il trend delle vittime sta lentamente calando, questo per effetto del miglioramento delle misure di prevenzione e di sicurezza che i paesi maggiormente esposti hanno adottato negli ultimi anni.

Il valore complessivo dei danni provocati è in crescita, e con esso è in crescita anche l’ammontare delle perdite assicurative collegate a eventi catastrofali (Figura 4).

(22)

22

Figura 4 - Danni complessivi e assicurati in mld $ dal 1980 al 2015 (Fonte: Munich Re NatCatSERVICE).

Le perdite delle compagnie assicurative derivanti da eventi catastrofali, dal 1989 in poi, hanno cominciato a raggiungere soglie sempre maggiori.

I danni provocati dalle catastrofi, seppur assicurati, non sono coperti interamente dalle compagnie di assicurazione e / o riassicurazione per cui solo una piccola parte di essi sono risarciti agli assicurati. Infatti, il settore assicurativo e riassicurativo non dispongono di risorse necessarie per far fronte ai maggiori eventi catastrofali e risarcire tutto il danno assicurato. Il più naturale candidato a coprire i danni delle catastrofi è senz’altro il mercato di capitali.

L’Italia anche per la sua posizione geografica è da sempre soggetta a fenomeni catastrofali, in particolar modo terremoti e alluvioni. Circa il 40% delle abitazioni si trovano in zone in cui è presente il rischio sismico, e il 45,3% dei comuni è a rischio alluvione. L’Italia è uno dei Paesi a maggior rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica.

(23)

23

dorsale appenninica, in Calabria e in Sicilia, e in alcune aree settentrionali come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Gli elementi che rendono imprevedibili i terremoti, nonostante le zone più a rischio siano ormai conosciute da tempo, sono

principalmente tre: il tempo esatto in cui si verificano, la localizzazione esatta e l’intensità del sisma.

Il fenomeno delle alluvioni è compreso all’interno del più vasto rischio meteo-idrogeologico. Rientrano in questa categoria non solo le alluvioni, ma anche temporali, grandine, cicloni, mareggiate, ondate di calore, frane e valanghe. L’Italia è un paese a forte rischio meteo-idrogeologico. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente e la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentando

(24)

24

Figura 5 - Rischio sismico nelle regioni italiane (Fonte: Schede di geografia.net)

(25)

25

CAPITOLO 2

LA RIASSICURAZIONE

2.1 Cenni storici della riassicurazione tradizionale

Da una prima valutazione, i rischi catastrofali sembrerebbero non convenienti per le imprese di assicurazione, ma in realtà, risultano accettati dalle più grandi compagnie, e vengono gestiti in base ad una logica di ripartizione con il mercato riassicurativo, tramite la riassicurazione o con il mercato finanziario, tramite soluzioni innovative tra cui i cat bond e i resilience bond.

Le compagnie di assicurazione gestiscono questi particolari rischi in vario modo: prima di tutto cercano di diversificare al massimo i rischi, cercando di limitare la concentrazione di rischi in zone a forte rischio. Non conviene, cioè, coprire il rischio di terremoti o alluvioni in aree geografiche con alte probabilità di manifestazione dell’evento in questione. Le imprese di assicurazione utilizzano il meccanismo di trasferimento di quote al mercato riassicurativo, mantenendo quindi solo una quota del rischio assicurato. Inoltre, si stanno sviluppando sempre più forme di trasferimento del rischio al mercato finanziario tramite strumenti innovativi, come i resilience bond che, diffusi fra gli investitori, hanno una performance direttamente ricollegabile al verificarsi di un determinato evento catastrofale.

Il primo contratto di riassicurazione di cui si prova documentazione certa trae origine dallo sviluppo dell’assicurazione trasporti marittimi che fu determinato dallo sviluppo delle attività commerciali in Europa verso la fine del Medio Evo. Le città del Mediterraneo diventarono importanti centri commerciali che estesero i loro rapporti di affari con i paesi orientali. Il noleggio delle navi ed i commerci ricevettero un importante stimolo dal

Rinascimento italiano. In quel periodo il tipo di commercio principale, il trasporto di merci via mare, prevedeva un contratto di prestito che ebbe un ruolo fondamentale per la nascita del primo sistema assicurativo: il primo contratto assicurativo venne chiamato “Bottomry

(26)

26

bond” e nacque per finanziare l’acquisto di merci e assicurare il rischio del trasporto che

gravava sulle grandi rotte o su carichi imponenti e preziosi. Si prevedeva una sorta di contratto di prestito, in cui il finanziatore, che venne poi rimpiazzato dall’assicurato, prestava denaro al mercante (l’assicurato) che voleva trasportare per mare la sua merce. Se la merce avesse raggiunto la destinazione intatta, il prestito doveva essere restituito con gli interessi, se, invece, la nave fosse affondata, il mercante avrebbe potuto tenersi il prestito. Sulla base di questo contratto di prestito, nasce quella che oggi prende il nome di

riassicurazione. Il primo contratto di riassicurazione fu stipulato a Genova il 12 Luglio 1370: esso riguardava il trasporto merci da Genova a Sluis nelle Fiandre. Esso stabiliva che l’assicuratore trasferisse la parte più rischiosa del viaggio da Cadiz (Andalusia) a Sluis ad un altro assicuratore, “ripigliando sichurtà”, cioè riassicurandosi. Tale accordo permetteva all’assicurato diretto di ridurre una parte del rischio assunto. L’accordo venne stipulato tra l’assicuratore, che trasferiva il rischio, e il riassicuratore, che lo assumeva, senza che venisse stabilita una relazione tra il riassicuratore e l’assicurato originale.

Col passare del tempo la riassicurazione divenne una pratica comune e un comportamento normale per le compagnie di assicurazione che trasferivano la parte di rischio più

pericolosa. Dalla metà del 1500 le assicurazioni dei trasporti marittimi furono

istituzionalizzate a tal punto che gli assicuratori iniziarono ad utilizzare forme di polizze prestampate, la prima delle quali è di origine spagnola, stipulata a Siviglia nel 1552. Dal 1746 al 1864 la riassicurazione venne messa al bando in Inghilterra, a seguito delle pratiche abusive sul mercato riassicurativo inglese, dichiarando illegali certe assicurazioni marittime e vietando la riassicurazione salvo in casi di morte, di insolvenza o di bancarotta dell’assicuratore originale. Tale ordinanza rimase in vigore fino a quando venne abolita dalla regina Vittoria. Nel resto dell’Europa la riassicurazione non subì la squalifica che le era stata imposta in Inghilterra nel ramo marittimo, ma veniva utilizzata più come

(27)

27 espediente che come un normale istituto.

Solo quando, nelle prime decadi del 1700, le compagnie di assicurazioni avevano ormai fatto la loro comparsa in Europa e in America, possiamo dire che prese piede la

riassicurazione come la conosciamo oggi. In Italia la prima compagnia di riassicurazione professionale fu la Ausonia, che fu fondata nel 1898, e cominciò a sottoscrivere i primi affari riassicurativi solo nel 1924.

2.2 Definizione di riassicurazione

Il contratto assicurativo è un contratto in base al quale la compagnia di assicurazione (assicuratore) accetta un rischio di un assicurato, concordando di risarcirlo nel caso in cui subisca danni conseguenti ad uno specifico evento futuro e incerto. L'assicurato, dietro pagamento di somme prefissate(“premio assicurativo”), la cui entità dipende dalla

probabilità del verificarsi degli eventi considerati, intende quindi tutelarsi dal rischio di un certo evento e dalle perdite che ne conseguono. Il funzionamento del meccanismo

assicurativo è reso possibile grazie all'aggregazione di numerosi rischi individuali, omogenei e indipendenti. Spesso, però, l’ampiezza delle perdite potrebbe non permettere un’adeguata compensazione dei rischi, nonostante l’ampiezza dei portafogli e la notevole disponibilità patrimoniale, e potrebbe rendere incapace la compagnia di sostenere i pagamenti dei sinistri. È per questo motivo che le compagnie di assicurazione, ricorrendo alla riassicurazione, si assicurano a loro volta.

La riassicurazione è quindi, un contratto sulla base del quale un assicurato, detto

riassicurato o cedente, mediante il pagamento di un premio, ottiene che un riassicuratore gli garantisce tutto o una parte di rischio che egli abbia assunto o possa assumere, riducendo la propria esposizione aleatoria.

(28)

28

ridurre il requisito patrimoniale richiesto da Solvency II, ossia l'accantonamento di capitale necessario per la copertura dei possibili rischi.

Le imprese di assicurazione possono svolgere il ruolo di assicuratore indiretto; tuttavia, esistono molti riassicuratori professionali , cioè imprese che svolgono esclusivamente l’attività di riassicurazione: le due principali compagnie riassicurative a livello mondiale sono Munich Re, con sede a Monaco di Baviera e Swiss Re, con sede a Zurigo, controllano più del 48% dell’intero mercato.

(29)

29

2.2 Forme della Riassicurazione

Le forme di riassicurazione utilizzate dalle compagnie di assicurazione possono essere raggruppate in due tipologie fondamentali e tradizionali: quelli facoltativi (individuali) e quelli obbligatori o per trattati (globali).

Figura 7 - Tipologie tradizionali di riassicurazione (Fonte: G.Di Groppello, Principi di tecnica assicurativa, pp.41).

La riassicurazione facoltativa è la forma di riassicurazione più antica, e riguarda specifici rischi, singoli rischi che la compagnia decide di cedere. Si svolge attraverso l’offerta del rischio ad uno o più potenziali riassicuratori. La compagnia cedente fornisce tutte le informazioni relative al rischio (valori assicurati, tassi di premio, franchigie, mezzi di prevenzione, sinistralità etc…). Il riassicuratore, dopo aver analizzato attentamente tutti i dati ricevuti, ha la facoltà di accettare o meno una parte del rischio.

Gli scopi della riassicurazione facoltativa sono principalmente: • riassicurare rischi speciali non previsti nei trattati;

• riassicurare somme che sono in eccedenza ai limiti previsti dei trattati in essere; • ridurre l’esposizione della cedente e dei riassicuratori;

(30)

30

L’uso della riassicurazione facoltativa ha alcuni aspetti negativi:

• l’ammontare del lavoro amministrativo necessario nella fase di collocamento e di gestione del facoltativo;

• il tempo necessario per il collocamento;

• la polizza non può essere emessa prima che non sia concluso il contratto di riassicurazione;

• le commissioni dal riassicuratore all’assicurato sono basse.

Per semplificare lo svolgimento dell’attività di riassicurazione, esiste la riassicurazione obbligatoria o “trattati di riassicurazione”: sono riassicurazioni globali, legate ad un trattato, cioè un accordo che impegna la compagnia a cedere e il riassicuratore ad accettare i rischi, che rientrano in un ambito di ramo o sotto ramo, o in un ambito territoriale, oppure in un massimale o una somma assicurata non superiore ad un limite indicato.

La riassicurazione per trattato è quella maggiormente utilizzata, perché la riassicurazione facoltativa non è pratica quando si tratta di una singola classe o linea di business. Inoltre, il riassicuratore non esamina individualmente ciascun rischio e non può rifiutare di coprire un rischio all’interno del trattato: per questo la riassicurazione obbligatoria è meno costosa e più facile da gestire e amministrare, rispetto alla riassicurazione facoltativa.

Entrambe le tipologie di riassicurazione, facoltativa e per trattato, possono suddividersi in due principali forme: proporzionale e non proporzionale.

La riassicurazione facoltativa si dice proporzionale quando si cede nella stessa proporzione il rischio, il premio e il recupero dei sinistri, nel caso in cui questo avvenga; mentre si parla di riassicurazione facoltativa non proporzionale quando non vengono rispettati questi

(31)

31

criteri di proporzione e la valutazione del rischio da sopportare e del premio del riassicuratore, viene svolta in base alle curve di esperienza.

Il trattato di riassicurazione proporzionale è un accordo che impegna l’assicuratore cedente a cedere, e il riassicuratore ad accettare, una quota prefissata di ogni rischio

originariamente sottoscritto dalla cedente. Ciò significa che una protezione automatica dei rischi viene garantita ovvero che l’assicuratore cedente può dare immediata copertura di ogni rischio che desidera sottoscrivere purché rientri nei termini indicati dal trattato. Il riassicuratore, quindi, condivide proporzionalmente i premi incassati (meno le

commissioni), così come i sinistri e le altre spese sostenute dall’assicuratore cedente relative ai rischi ceduti al trattato e non ha il potere di rifiutare il rischio o i rischi, fintanto che esso ricada nei termini indicati nel trattato. Egli è obbligato ad accettare buoni e cattivi rischi e diviene totalmente dipendente dalla capacità di giudizio di sottoscrizione

dell’assicuratore cedente.

Esistono tre tipi di trattato di riassicurazione proporzionale:

• Trattato quota: è un accordo nel quale la compagnia cedente si obbliga a cedere e il riassicuratore si obbliga ad accettare una proporzione prefissata di ogni rischio originariamente sottoscritto dalla cedente. Il riassicuratore condivide

proporzionalmente tutti i sinistri e riceve la stessa proporzione dei premi meno le commissioni.

• Trattato eccedente: riesce a migliorare l’equilibrio del portafoglio conservato dalla cedente, dato che non conserva una percentuale fissa di tutti i rischi, ma una percentuale variabile in funzione del rischio assicurato: l’assicuratore cedente definisce il pieno di conservazione, cioè l’importo massimo che la cedente vuole

(32)

32

conservare per ogni singolo rischio, e l’eccedenza invece, sarà riassicurata proporzionalmente.

• Trattato facoltativo-obbligatorio: definito così perché una via di mezzo tra una riassicurazione facoltativa e un trattato, e prevede che l’assicuratore cedente abbia la facoltà di cedere i rischi, ma il riassicuratore ha l’obbligo di accettare una quota dei rischi specifici sottoscritti dall’assicuratore cedente.

Il trattato di riassicurazione non proporzionale, infine, è un accordo fra riassicurato (compagnia di assicurazione) e riassicuratore, dove quest’ultimo si impegna a pagare al riassicurato tutti i sinistri superiori ad un limite specifico prestabilito dal riassicurato e relativo ad un portafoglio di sinistri protetti. Le diversità del tipo di limite specifico contraddistingue la diversità del tipo di contratto non proporzionale.

Il tipo di limite può essere monetario, (con un trattato excess loss, per rischio/per evento (working cover) o catastrofale (cat cover)), percentuale (con un trattato stop loss o eccesso di perdita) o per anno (con un trattato per eccesso di danno aggregato (aggregate xl) o per eccesso danni multiramo (umbrella xl)).

I trattati non proporzionali utilizzati per la mitigazione del rischio catastrofale sono il trattato excess loss, nella forma di cat cover, e il trattato stop loss: analizziamoli brevemente.

Il trattato Eccesso danni (excess loss) è un accordo tra riassicurato e riassicuratore dove il riassicuratore si impegna a pagare tutti i sinistri che superino un limite specifico (punto di eccesso o attachment point) rispetto ad un rischio singolo o ad un singolo evento,

solitamente fino al raggiungimento di un tetto massimo, detto exit point. La zona di perdita che si colloca tra l’attachment point e l’exit point viene in genere chiamata “layer”.

(33)

33

riassicurato decide che l’ammontare che può sopportare nel caso di sinistro dovuto ad un singolo evento sia di 100 milioni. Se avviene un sinistro di 300 milioni, il riassicurato dovrà pagare 100 milioni e i riassicuratori 200 milioni. Se invece il sinistro sarà di 75 milioni, esso verrà interamente pagato dal riassicurato e nulla verrà richiesto ai riassicuratori. I riassicuratori pagheranno tutti i sinistri superiori al conservato del riassicurato. Nel caso della presenza di un exit point, ad esempio supponiamo che i riassicuratori si accordano a pagare fino ad un massimo di 300 milioni in eccesso a 100 milioni, se il sinistro è più di 400 milioni, sarà il riassicurato che avrà a carico non solo la franchigia di 100 milioni, ma anche l’ammontare superiore ai 400 milioni.

Una particolare tipologia dei trattati excess loss è il Cat cover, molto interessante per l’argomento che stiamo trattando perché protegge il riassicurato contro il rischio dei cumuli nell’evento di una catastrofe (terremoti, alluvioni, uragani, etc.…). L’impresa di riassicurazione si impegna a coprire eventi che colpiscono, nello stesso momento, una moltitudine di assicuratori. I premi pagati per questa tipologia di trattato vengono calcolati con metodi diversi da quelli tradizionali, proprio per la particolarità degli eventi che si vanno a coprire. Il premio, quindi, può essere calcolato o utilizzando l’esperienza passata o basandosi sul tasso di esposizione. Nel primo caso si parla di un metodo statistico, in quanto vengono analizzati gli eventi passati dello stesso tipo. Nel secondo caso,

solitamente utilizzato quando non sono a disposizione abbastanza dati per fare un’analisi statistica, il riassicuratore fa riferimento a portafogli similari con una esperienza di perdita ritenuta sufficiente.

Mentre il trattato eccesso danni copre le perdite derivanti da un singolo evento, i contratti

stop loss sono utilizzati a copertura di un aggregato di perdite: copre il riassicurato contro

l’eventualità che la globalità dei suoi sinistri rispetto ai premi, in una determinata classe di affari, superi una percentuale prefissata. Il riassicuratore quindi non dovrà pagare nulla se

(34)

34

nel corso dell’anno il rapporto sinistri / premi non supera la percentuale prefissata, la cosiddetta franchigia.

Fino a qualche decennio fa, queste tipologie di trattati erano considerati come gli unici strumenti da utilizzare per la copertura dei rischi catastrofali. Dagli anni ’90, come

abbiamo visto nel capitolo 1.3, l’andamento delle perdite catastrofali raggiunsero un’entità tale da mettere in difficoltà la capacità del mercato riassicurativo: le perdite potenziali di un uragano o di un terremoto possono arrivare anche a 100 miliardi di dollari. Per questo motivo, negli ultimi anni, il mercato dei capitali è diventato il naturale candidato per la copertura dei rischi catastrofali, grazie alle sue dimensioni di svariati miliardi di dollari.

2.3 Riassicurazione finanziaria

Il mercato riassicurativo, così come lo abbiamo visto nel capitolo precedente, ha mostrato evidenti segnali di difficoltà già in occasione delle catastrofi dell’inizio degli anni Novanta. I prezzi medi del mercato riassicurativo sono cresciuti del 126% tra il 1985 e il 1994, mentre l’attachment point medio è salito del 73% nello stesso periodo. Ciò ha avuto importanti ripercussioni nello stesso mercato diretto, con una profonda riduzione della capacità di assunzione degli assicuratori. A seguito dell’uragano “Andrew” e del terremoto di Northridge, molti assicuratori americani hanno smesso di fornire coperture per i rischi catastrofali, o hanno apportato severe restrizioni alle proprie polizze. Pertanto, il ricorso a forme alternative del rischio non è stata una questione di scelta, ma una necessità.

Il mercato dei capitali costituisce sicuramente il canale preferenziale per la copertura delle perdite catastrofali, grazie alle sue notevoli dimensioni. Secondo varie fonti, i capitali investiti nei mercati finanziari di tutto il mondo assommano in media a circa 33’000 miliardi di dollari, con una fluttuazione media giornaliera di 140 miliardi. Ciò significa

(35)

35

che, nel caso in cui il rischio catastrofale fosse interamente trasferito al mercato dei capitali, la massima perdita probabile di un terremoto, ad esempio, non intaccherebbe la ricchezza degli investitori più di una normale giornata negativa di Borsa. Il mercato finanziario potrebbe facilmente assorbire anche i rischi puri non catastrofali. Inoltre, le dimensioni dei mercati finanziari si espandono continuamente, a causa di fenomeni quali l’ingresso delle economie di sviluppo nel sistema finanziario mondiale, il progressivo affermarsi delle public companies, la raccolta di quote sempre maggiori del risparmio delle famiglie come conseguenza del progressivo venir meno dei sistemi pubblici. Quindi, i mercati dei capitali sarebbero in grado di coprire anche perdite catastrofali sempre più alte.

Affinché i rischi catastrofali e gli altri rischi puri possano essere trasferiti ai mercati finanziari, occorre che siano soddisfatti due requisiti:

• Il rischio deve essere incorporato in un’attività finanziaria;

• Tale attività finanziaria deve dare un contributo positivo al profilo di rischio e rendimento del portafoglio degli investitori.

La prima condizione è in parte di natura tecnica. Per attività finanziaria si intende, molto genericamente, un qualunque contratto bilaterale che porti, al verificarsi di date condizioni, al passaggio di flussi di cassa fra le parti. Anche una polizza assicurativa, in questo senso, è un’attività finanziaria. In generale, tutte le attività finanziarie comportano un rischio, perché l’effettivo incasso del rendimento sperato può non verificarsi, o per le

caratteristiche stesse dell’attività, oppure a causa dell’inadempienza della controparte. Un’attività finanziaria che incorpori un rischio puro sarà semplicemente un contratto in cui il rendimento è legato al livello di perdite subite da un portafoglio di esposizioni, oltre che eventualmente da altri fattori.

(36)

36

L’obiettivo è quello di costruire un’attività finanziaria con una struttura diversa dalla polizza assicurativa, al fine di realizzare almeno una di queste condizioni:

• Disporre di un contratto che, a differenza delle polizze, possa essere negoziato in Borsa: ci si attende, così, di sfruttare l’efficienza e la capacità di questi mercati; • Disporre di un contratto che conceda a chi trasferisce il rischio condizioni migliori

rispetto alla polizza per quanto riguarda il costo, l’efficacia della copertura e la flessibilità.

Per costruire un’attività finanziaria con queste caratteristiche, bisogna risolvere

fondamentalmente un problema di conciliazione tra esigenze contrastanti fra chi desidera trasferire il rischio e i potenziali acquirenti.

Le soluzioni adottate nei primi anni di partecipazione dei mercati finanziari al trasferimento dei rischi puri sono due:

• Un portafoglio di esposizioni specifiche alla parte che cede il rischio (soluzione

firm specific);

• Un portafoglio di esposizioni di un più ampio gruppo di soggetti, da cui si ricava un indice di perdite (soluzione index-linked).

Le soluzioni firm specific riproducono esattamente, per chi trasferisce il rischio, la

posizione dell’assicurato in una polizza assicurativa. Ciò significa che il trasferimento del rischio, all’interno dei limiti del contratto, è integrale, e si riceverà copertura per le perdite effettivamente subite. Tuttavia, si avrebbero gli stessi problemi che caratterizzano il trasferimento assicurativo, cioè un pericolo di azzardo morale (moral hazard) e di selezione avversa (adverse selection). Può accadere, infatti, che l’assicurato non faccia tutto ciò che è in suo potere per contenere l’ammontare delle perdite. Infatti, il solo fatto che il rischio sia coperto da un terzo disincentiva qualsiasi azione di contenimento del

(37)

37

rischio, e in questo modo le perdite saranno immediatamente maggiori di quelle attese in assenza di copertura, con un danno per l’assicuratore, cioè della controparte dell’attività finanziaria. Il pericolo di selezione avversa, invece, è dovuto all’asimmetria informativa fra chi cede il rischio e chi lo assume, e crea un pericolo per quanto riguarda l’effettiva entità delle esposizioni: questo perché tale problema incentiva a trasferire rischi di cattiva qualità, con la stessa conseguenza che l’assicuratore sostenga perdite superiori a quelle attese.

Gli assicuratori cercano di sopportare l’azzardo morale e la selezione avversa rendendo l’assicurato partecipe delle perdite attraverso l’utilizzo di franchigie o di altre limitazioni, e riducendo il più possibile l’asimmetria informativa con adeguate e continue analisi del rischio.

Le soluzioni index-linked, invece, riescono a superare i problemi di azzardo morale e selezione avversa, in quanto il rendimento dell’attività finanziaria dipende solo in minima parte dalle perdite effettive di chi cede il rischio.

Ad esempio, il rendimento di un’attività finanziaria emessa da un dato assicuratore per la copertura di un gruppo di esposizioni in una data zona geografica, in uno schema

index-linked può essere connesso alle perdite subite in quella zona da tutti gli assicuratori nazionali. Se la quota di mercato dell’assicuratore è relativamente piccola, il pericolo di azzardo morale si riduce perché la negligenza dell’assicuratore nel contenimento delle perdite ha minore influenza sul valore dell’indice.

Anche il problema della selezione avversa perde di importanza perché qui ciò che conta è l’informazione disponibile sul settore assicurativo nel suo insieme, rispetto alla quale l’asimmetria fra le due parti sarà in genere molto inferiore che nel caso firm-specific.

Per utilizzare le soluzioni index-linked è necessario che tra le perdite del portafoglio di chi vuole trasferire il rischio e quelle dell’indice esista una buona correlazione, cioè che le

(38)

38

perdite firm-specific abbiano un simile andamento con quelle dell’indice. Tuttavia, la correlazione non è mai perfetta, e in occasione di un sinistro può accadere che non ci sia un completo trasferimento del rischio, ossia che la variazione dell’indice non sia sufficiente a coprire le perdite effettivamente subite.

Questa possibile situazione rappresenta un nuovo rischio da dover considerare, denominato rischio base (basic risk). Pertanto, anche se le soluzioni index-linked superano i rischi iniziali, di azzardo morale e di selezione avversa, fanno sorgere un basic risk.

Ciò porta ad una situazione in cui chi desidera trasferire il rischio preferisce le soluzioni firm-specific a quelle index-linked, in modo da evitare il basic risk, mentre chi vuole investire in attività finanziarie che incorporano un rischio puro, preferisce le soluzioni index-linked a quelle firm-specific, in modo da evitare l’azzardo morale e la selezione avversa.

Per trasferire i rischi puri ai mercati finanziari, bisogna rendere coerenti queste esigenze opposte riducendo al minimo i costi: una prima soluzione è stata la creazione di attività finanziarie diverse, alcune firm-specific e altre index-linked, da collocare in mercati differenti.

Le attività finanziarie firm-specific non sono adatte alla negoziazione nei mercati di Borsa, perché l’acquisto deve essere sempre preceduto da un’analisi del rischio in esse

incorporato, e questo processo è incompatibile con queste tipologie di mercato che si basano sulla minimizzazione dei costi di transazione, mentre possono concludersi nei mercati over the counter, perché in tali mercati operano istituzioni finanziarie che hanno le risorse sufficienti per farsi carico di costose analisi del rischio.

Le attività finanziarie index-linked sono invece più adatte alla negoziazione nei mercati di borsa (come ad esempio il “Chicago Board of Trade” e il “Bermuda Commodities

(39)

39

Exchange”), dove vengono negoziati contratti standardizzati, con quotazioni pubbliche, all’interno di un sistema di controlli e di garanzie per il buon fine dei contratti: tutto ciò contribuisce alla riduzione al minimo dei costi di transazione.

In una posizione intermedia si trova il mercato primario per le obbligazioni che

incorporano i rischi puri (catastrophe bond), l’attività che viene chiamata securitisation (o cartolarizzazione).

Questo mercato è in grado di sopportare costi di transazione relativamente alti, ed è composto da operatori con caratteristiche differenti. Attualmente vengono emesse obbligazioni sia nella forma firm-specific, sia nella forma index-linked.

Oltre a questa differenziazione degli strumenti tecnici di trasferimento, lo sviluppo di nuovi mercati per il trasferimento dei rischi puri dipende dalla capacità di minimizzare il trade-off tra basic risk e il pericolo di azzardo morale e di selezione avversa. Questo risultato si può raggiungere attraverso due modalità:

• la costruzione di indici di perdita adeguati: il basic risk sarà tanto più basso quanto maggiore sarà la somiglianza tra il portafoglio di polizze che intendo coprire e il portafoglio di polizze degli assicuratori che compongono l’indice. E la somiglianza è da valutarsi in base alle condizioni contrattuali e alla distribuzione geografica delle polizze, e alle tipologie di assicurati. Se i due portafogli sono simili rispetto a queste caratteristiche, l’eventuale differenza delle perdite sarà causata solamente dalla qualità dei rischi assunti o dalle politiche di liquidazione dei sinistri o di mitigazione delle perdite.

• La riduzione delle asimmetrie informative: è necessario che sul mercato ci siano soggetti in grado di eseguire quantificazioni oggettive ed attendibili dei rischi. Uno dei fattori che sono stati determinanti per la securitization del rischio catastrofale è

(40)

40

stato certamente il perfezionamento delle tecniche di analisi degli eventi

atmosferici e dei terremoti, che ha permesso la costruzione di modelli di calcolo delle perdite molto efficaci: oggi infatti sono molte le società specializzate in grado di compiere analisi del rischio catastrofale fornendo delle stime precise

dell’impatto potenziale di determinati tipi di eventi su specifici portafogli di esposizioni. Le asimmetrie informative possono essere ulteriormente ridotte attraverso la partecipazione alle transazioni di istituzioni autorevoli come le agenzie di rating e le banche di investimento, che assicurano una corretta costruzione delle attività finanziarie e la congruità dei rendimenti.

(41)

41

CAPITOLO 3

CATASTROPHE BOND E RESILIENCE BOND

3.1 La cartolarizzazione dei rischi catastrofali

Tra le varie proposte che abbiamo introdotto nel capitolo precedente, al fine di trovare una efficiente copertura dei rischi catastrofali, quella che si è rilevata di maggior successo è la cartolarizzazione, tramite l’operazione di “securitisation”, dei portafogli di rischi

catastrofali, in modo da collocarli sul mercato come titoli. Queste tipologie di emissioni hanno avuto un notevole successo perché permettono all’investitore di diversificare il proprio portafoglio. Infatti, i titoli collegati a eventi catastrofali non sono quasi mai correlati con gli avvenimenti che riguardano i mercati finanziari. Questi prestiti offrono agli investitori un rendimento variabile in funzione del verificarsi di un evento assicurato. In base alla struttura del prestito, in caso di sinistro, gli investitori possono perdere in tutto o in parte il proprio diritto agli interessi per la durata residua del prestito, oppure, in caso estremo, una parte del capitale che hanno messo a disposizione.

Solitamente, il capitale così raccolto viene impiegato per costituire una compagnia di riassicurazione specializzata, nota come special purpose vehicle (SPV), che propone una polizza convenzionale di riassicurazione. In tale modo, si garantisce che la transazione venga riconosciuta dagli organi di vigilanza e dal punto di vista fiscale come intervento di riassicurazione.

La SPV copre la necessità derivanti dall’accordo di retrocessione attraverso l’emissione di titoli. L’introito derivante dall’emissione di titoli viene investito in titoli di alta qualità (rating AAA), attraverso una società collaterale gestita da un management separato che assicura l’adeguata amministrazione e l’uso delle attività della società. Le attività della

(42)

42

società collaterale permettono di garantire i pagamenti della SPV, quindi della copertura totale della compagnia assicurativa. Il ricavo dell’investimento effettuato dalla società collaterale è basato sul tasso di interesse di riferimento, ad esempio il Libor. Ciò è

possibile attraverso un interest swap tra la società collaterale e una controparte disposta a scambiare il ricavo derivante dall’investimento con il tasso di riferimento, assicurando un tasso di interesse fisso agli investitori. La riassicurazione e la retrocessione dei premi è effettuata tramite gli investitori attraverso un tasso di rendimento, nella forma di uno

spread, e offre agli investitori un incentivo a investire in questi titoli.

Il principale vantaggio offerto da queste soluzioni, paragonandole alla riassicurazione tradizionale, consiste nella possibilità di disporre di una linea di credito, perché il capitale viene messo a disposizione prima del verificarsi del danno e investito in titoli sicuri a breve termine.

(43)

43

Figura 8 - Funzionamento di un modello di securitisation (Fonte: “La securitisation dei crediti bancari”)

Nei paragrafi seguenti introduciamo i principali strumenti utilizzati per la cartolarizzazione dei rischi catastrofali.

3.2 Catastrophe bond

3.2.1 Struttura tipica dei catastrophe bond

I Catastrophe bond, chiamati anche Acts of God Bond sono uno dei principali strumenti per la securitisation del rischio assicurativo, il cui tratto caratteristico è che al verificarsi di dati eventi dannosi e nei limiti stabiliti dal contratto, i sottoscrittori subiscono una decurtazione delle proprie entrate in proporzione alle perdite.

(44)

44

assicuratori e anche da assicurati, con lo scopo di costituire una fonte di finanziamento per perdite derivanti da eventi dannosi.

I cat bond sono piazzati presso gli investitori finanziari, secondo le normali procedure usate per qualsiasi emissione obbligazionaria. In particolare, l’emissione di questa particolare obbligazione coinvolge tre soggetti:

• Una compagnia di assicurazione o riassicurazione, detta sponsoring firm, che possiede un rischio catastrofale e vuole trasferirlo al mercato finanziario tramite

securitisation.

• Una società giuridicamente autonoma, lo SPV (special purpose vehicle), che offre copertura acquistando quindi i titoli dallo sponsoring firm e finanziandosi tramite l’emissione di catastrophe bond.

• Gli investitori che decidono di acquistare i titoli.

Figura 9 - Struttura di un Cat bond (Fonte: www.refocuspartners.com/rebound)

Lo SPV ha un ruolo fondamentale nell’emissione del cat bond, in quando svolge sostanzialmente tre operazioni:

(45)

45

1. Emette un prestito obbligazionario, nelle cui condizioni è stabilito che il pagamento dell’interesse, la restituzione del capitale o entrambi, siano legati inversamente al valore che assumerà in futuro una grandezza rappresentativa di un determinato rischio. Tale grandezza è un indice di settore per una certa zona geografica, tipo di esposizione e periodo di tempo, se si sceglie una formula index-linked, o la somma delle perdite della sponsoring firm per un certo portafoglio di esposizioni, nel caso di formule firm specific. I capitali raccolti dallo SPV si intendono a disposizione per il finanziamento di un determinato rischio e, in caso di evento dannoso, le somme vengono stornate per la copertura delle perdite.

2. Contemporaneamente all’emissione dei cat bond, lo SPV conclude con la

sponsoring firm un contratto di riassicurazione, con condizioni coerenti con il

prestito, in particolare:

• L’ammontare della copertura coincide con il valore nominale del prestito o è una percentuale elevata dello stesso (80-90%);

• La durata del contratto di riassicurazione non supera quella del prestito; • Il rischio coperto è lo stesso del cat bond e le perdite sono calcolate in base

alle stesse grandezze;

• Il tipo di copertura riflette in modo in cui i sottoscrittori partecipano alle perdite;

3. Lo SPV investe i capitali raccolti in attività finanziarie liquide, che svolgono la funzione di collaterale per il prestito e, allo stesso tempo, di fondo per il

finanziamento delle perdite della sponsoring firm. Le attività nel quale questa società investe i proventi dell’emissione devono essere attività liquide e di primissima qualità, normalmente dotate di un rating pari a AAA.

(46)

46

Figura 10: Struttura tipica dei rapporti relativi all’emissione di catastrophe bond (Fonte: “Il risk management fra assicurazione e finanza”)

Mediante l’insieme di operazioni che abbiamo descritto, lo SPV si dota delle seguenti entrate:

• I capitali raccolti mediante il prestito obbligazionario; • I premi assicurativi pagati dallo sponsoring firm; • Il rendimento del collaterale;

Le uscite sono date, invece, da:

• Gli interessi del prestito obbligazionario e il rimborso del prestito a scadenza; • Gli indennizzi da versare alla sponsoring firm in caso di sinistro.

Come si nota, le due uscite sono in parte alternative, perché se non si verifica nessun sinistro, lo SPV non deve nulla allo sponsoring firm e utilizza il fondo solo per soddisfare gli obbligazionisti secondo le normali condizioni del contratto; se invece si verificasse il

(47)

47

sinistro, gli obbligazionisti perderebbero tutto o in parte il diritto ad ulteriori pagamenti, e il fondo verrebbe utilizzato per il pagamento degli indennizzi della sponsoring firm.

Se i premi pagati dalla sponsoring firm sono proporzionati al rendimento promesso agli obbligazionisti in caso di assenza dei sinistri, lo SPV sarà in grado di adempiere in ogni caso alle sue obbligazioni. Ciò annulla la probabilità di insolvenza, nell’ipotesi di una gestione corretta dello SPV.

I sottoscrittori dei cat bond subiscono ovviamente, un rischio maggiore rispetto alle

normali obbligazioni, che viene compensato da un tasso di interesse significativamente più alto di quello del mercato. Il tasso di interesse può essere fisso o variabile. Il differenziale tra il tasso pagato ai sottoscrittori e il tasso di mercato che si sarebbe pagato per un normale prestito obbligazionario di simile durata costituisce, in pratica, il premio che si paga agli investitori per il rischio superiore che si assumono.

Il tasso cedolare ricevuto dagli investitori di un cat bond è generalmente suddiviso in due componenti.

Innanzitutto, poiché gli investitori contribuiscono con il proprio denaro per uno o più anni, ricevono i pagamenti degli interessi per il valore temporale del loro denaro, che di solito si basa sul tasso LIBOR. Tecnicamente, il valore temporale del denaro dovrebbe basarsi su un tasso privo di rischio, ma il tasso LIBOR è leggermente superiore perché comprende anche una modesta entità di rischio di credito. Pertanto, la portata di un rendimento più elevato è giustificata da un rischio di credito nel mercato dei cat bond.

Inoltre, gli investitori sono soggetti ad una potenziale perdita, pertanto ricevono anche una cedola aggiuntiva che compensa l’assunzione di questo rischio. Il tasso cedolare

aggiuntivo, indicato come una percentuale dell’importo dell’obbligazione, può essere indicato come “premium risk”, “spread risk”, o semplicemente “spread”.

Riferimenti

Documenti correlati

The EU has been temporizing with a compromise that retains the current regime (i.e., the efficiency strategy) but at the same time cannot be regarded as lasting, as it seems to

• Les populations rurales et l'administration royale en Bas-Languedoc (1230-1300), in Actes de la table ronde "La société rurale et les institutions gouvernementales au

Le previsioni dell’OCSE mostrano che, in assenza di misure correttive, la spesa sanitaria pubblica italiana, inclusiva di quella destinata alla non autosufficienza, crescerà dal

On the basis of the obtained results, bonds convertible to raw materials are the most beneficial type of bonds for the mining company from the point of view of

− STANDARD: si determina il TOTALE DEI COSTI DI LEASING dato da tutti i costi del leasing (maxicanone, canoni periodici, spese di incasso, spese istruttoria al lordo dell’eventuale

Le variabili esogene sono spiegate al di fuori del modello, vengono prese come date quando studiamo il modello. Nella nostra analisi, il consumo è una

Tasso di cambio reale euro/dollaro: riflette il prezzo relativo di tutti i beni prodotti nell’Eurozona in termini di tutti i beni prodotti negli US. ε =

Condizione di Marshall-Lerner: la bilancia commerciale migliora a seguito di un deprezzamento reale ( ∂NX. ∂ε