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Il controllo di gestione nelle pubbliche amministrazioni: esperienza di tirocinio curriculare presso l'Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

IL CONTROLLO DI GESTIONE

NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

ESPERIENZA DI TIROCINIO CURRICULARE PRESSO

L’AUTORITA’ DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR TIRRENO SETTENTRIONALE

Candidato Relatore

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INDICE

CAPITOLO 1 DALLE AUTORITÀ PORTUALI ALLE AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE IL QUADRO DI RIFERIMENTO

1.1.LE AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE PRIMA E DOPO IL D.LGS.169/2016 ... 3

1.2.TENDENZE MANAGERIALI NELLA GESTIONE DEGLI ENTI E DELLE AZIENDE PUBBLICHE ... 5

1.2.1 Il sistema di programmazione e controllo proposto da Anthony,un modello a cui ispirarsi ... 6

1.3. IL QUADRO DI RIFERIMENTO PER IL CONTROLLO DI GESTIONE NELLE AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE ... 10

1.3.1. Il controllo di gestione nelle P.A., punti focali del D.Lgs. 29/1993 ... 11

1.3.2. Misurazione, valutazione e trasparenza delle performance, applicazioni ed evoluzioni nell’ultimo decennio ... 13

CAPITOLO 2 IL CONTROLLO DI GESTIONE: CARATTERI DISCRIMINANTI E SPECIFICITÀ PER LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI 2.1.LA STRUTTURA DEL CONTROLLO DI GESTIONE: LA PIANIFICAZIONE, PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO ... 20

2.1.2. Il controllo burocratico nelle pubbliche amministrazioni ... 27

2.1.3. Struttura organizzativa ed informativo-contabile a supporto del controllo ... 30

2.1.4. La matrice rischi-controlli nelle pubbliche amministrazioni ... 33

2.2.IL SISTEMA DI CONTABILITÀ ANALITICA ... 36

2.2.1. Dalla pianificazione strategica alla programmazione economico-finanziaria ... 39

2.2.2. L’attribuzione dei costi nel sistema di contabilità analitica ... 43

2.3.FINALITÀ, LOGICHE ED IMPLICAZIONI DEL SISTEMA DI BUDGETING ... 44

2.4.IL REPORTING E L’INTERPRETAZIONE DELLE PERFORMANCE ... 48

2.4.1. Criticità del sistema dei controlli e utilità dell’audit nelle pubbliche amministrazioni ... 49

2.4.2. La valutazione del processo come elemento qualificante di audit ... 51

2.5.SISTEMA DI VALUTAZIONE E MISURAZIONE DELLE PERFORMANCE ... 53

2.6.IL SISTEMA DEGLI INDICATORI PER LA VERIFICA DELL’ANDAMENTO DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA ... 59

CAPITOLO 3 SPUNTI DI RIFLESSIONE E INDIRIZZI PRATICI TRATTI DA SISTEMICOMPARABILI A QUELLI DELLE ADSP PER IL CONTROLLO DI GESTIONE 3.1. LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA PROPOSTA DALL’ADSP DEL MAO ... 63

3.2. IL PIANO DELLE PERFORMANCE PRESENTATO DALL’UNIVERSITÀ DI PISA ... 77

3.3. IL MANUALE OPERATIVO PER IL CONTROLLO DI GESTIONE PRESENTATO DALL’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA ... 83

3.3.1. Il processo di pianificazione, programmazione e budgeting ... 83

3.3.2. Struttura organizzativa e livelli di controllo dell’ASI ... 85

3.3.3 Linee di flusso degli obiettivi e dei risultati ... 90

3.3.4. Modalità di rilevazione e ripartizione dei costi ... 91

3.3.5. Gli indicatori specifici per misurare efficacia, efficienza ed economicità ... 92

3.3.6. I destinatari delle informazioni del controllo di gestione, la frequenza delle rilevazioni e la reportistica ... 95

CAPITOLO 4 IMPLEMENTAZIONE DEL CONTROLLO DI GESTIONE NELL’ADSP DEL MAR TIRRENO SETTENTRIONALE: PROSPETTIVE E CRITICITÀ 4.1. LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN RIFERIMENTO AL PIANO OPERATIVO TRIENNALE 2018-2020 ... 99

4.1.1. Obiettivi di rilevanza strategica ... 101

4.2. UN POSSIBILE MODELLO PER IL SISTEMA DI MISURAZIONE E VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE ... 109

4.2.1. Oggetto, finalità e definizioni ... 109

4.2.2. Assegnazione e monitoraggio degli obiettivi ... 110

4.2.3. Misurazione e valutazione delle performance ... 111

4.3. PRINCIPI CHIAVE PER UN EFFICACE SISTEMA DI MONITORAGGIO DEI RISULTATI ... 113

4.3.1. Misurare ciò che ha valore e non attribuire valore a ciò che viene misurato ... 115

4.3.2. Pensare in primis ai risultati prima di arrivare alla misurazione ... 116

4.3.3. Identificare i risultati sui processi ... 118

4.4.4. Identificazione degli indicatori di risultato ... 120

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. BIBLIOGRAFIA ... 127

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Capitolo 1: Dalle Autorità Portuali alle Autorità di Sistema Portuale–

Il quadro di riferimento

1.1. Le Autorità di Sistema Portuale prima e dopo il D.Lgs. 169/2016

In riferimento al quadro storico e normativo che negli anni ha inficiato il riordino legislativo in ambito portuale, possiamo in prima approssimazione, ancor prima di entrare nel cuore della materia e del tema del controllo di gestione, distinguere due sostanziali fonti normative di rilievo per descrivere la natura dell’ente pubblico che oggi conosciamo come Autorità di Sistema Portuale.

La prima è certamente individuabile nella Legge 84/1994, la quale in materia di riordino della legislazione portuale, istituisce l’ente pubblico riconosciuto con il nome di Autorità Portuale nei principali porti italiani, riconoscendone personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia amministrativa, di bilancio e finanziaria nei limiti previsti dalla stessa legge. Ad esse fu attribuito da parte dell’allora Ministero dei Trasporti e della Navigazione una molteplicità di funzioni, ravvisabili in via riassuntiva nella programmazione, coordinamento e controllo delle operazioni portuali, delle attività commerciali ed industriali esercitati nei porti; ponendosi con poteri di regolamentazione e di ordinanza, anche in riferimento alla sicurezza ed alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell’ambito portuale. La peculiarità della suddetta Legge, come possiamo apprendere direttamente dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, afferma essere “improntata all’adeguamento delle attività portuali agli obiettivi del piano generale dei trasporti, dettando contestualmente princìpi direttivi in ordine all’aggiornamento e alla definizione degli strumenti attuativi del piano stesso, nonché all’adozione e modifica dei piani regionali dei trasporti”. La prima Autorità Portuale ad insediarsi fu proprio quella di Livorno (che prenderò successivamente in

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considerazione nell’elaborato di tesi) agli inizi del 1995, seguita da quella di Piombino nel 1996; raggiungendo sul panorama nazionale un numero complessivo di 23 Autorità Portuali fino al 2016, anno della svolta legislativa verso le attuali Autorità di Sistema Portuale.

Il 28 Luglio del 2016, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto di “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle Autorità Portuali”, presentato dal Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione; inserendosi nelle politiche intraprese dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, e con il piano strategico nazionale per il rilancio della portualità e della logistica nazionale.

Tale razionalizzazione ha riorganizzato i 57 porti di rilevanza nazionale in 15 nuove Autorità di Sistema Portuale sostituenti le 23 Autorità Portuali, alle quali è stato affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema porti della propria area. In corrispondenza a tale normativa nasce anche il Comitato di Gestione, costituito da un presidente nominato dal Ministero dei Trasporti e da componenti scelti dagli Enti Locali (Regione o Comune) del territorio e un componente nominato dall’Autorità Marittima. Alle nuove Autorità di Sistema sono stati attribuiti specifici compiti, come alle precedenti Autorità Portuali, di affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso degli utenti portuali di servizi di interesse generale, né coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali; confermando in parallelo che alle stesse è impedito svolgere, né in via diretta né tramite società partecipate, operazioni portuali e attività ad esse strettamente connesse: parafrasando il teso del provvedimento legislativo, “esse possono disciplinare lo svolgimento di attività e servizi di interesse comune e utili per il più efficace compimento delle funzioni attribuite, in collaborazione con Regioni, Enti Locali e amministrazioni pubbliche”.

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1.2. Tendenze manageriali nella gestione degli enti e delle aziende pubbliche

Il mutuato scenario normativo in tema di controllo, evidenziato nei successivi paragrafi, ha certamente implicato e portato con sé aspetti positivi e talvolta negativi su cui è necessario focalizzarsi per generare un’effettiva “cultura di cambiamento” in tema di controlli interni. Riguardo il cambiamento culturale delle amministrazioni pubbliche Italiane, gli autori Pavan e Reginato riassumono chiaramente i caratteri distintivi di tale passaggio: nel modello tradizionale di amministrazione pubblica prevalgono i valori di lealtà, di rispetto formale della norma, di carriere per anzianità e si assiste spesso a situazioni di demotivazione, disinteresse per i risultati, contrapposizione individuale o sindacale nei confronti dell’organizzazione e dei suoi vertici. Per quanto invece concerne gli elementi distintivi della nuova cultura aziendale nel nuovo modello di azienda pubblica, è possibile individuare i vari canoni di produttività nell’allestimento di beni economici di rilevanza sociale, di appartenenza alla specifica comunità di lavoro e di riconoscimento nei fini concretamente da questa perseguiti, volgendo ad una attenzione maggiore riposta nell’utilizzo delle risorse pubbliche, un maggior coordinamento tra le funzioni; aspetti tutti capaci di implementare una maggior coerenza tra l’attribuzione degli obiettivi ai responsabili e tra le risorse strumentali ed umane assegnate per raggiungere gli obiettivi stessi. Tale approccio ha permesso di incrementare e migliorare la programmazione di lungo periodo, adottando un’ottica più manageriale e meno formale, implicando una maggior diffusione della logica e dalla cultura aziendale, inserendo allo stesso modo figure professionali maggiormente coerenti e predisposte al cambiamento.

In direzione diametralmente opposta, le criticità rilevate da tale nuovo modello sono ravvisabili in primis nell’eccessiva enfasi posta sulle regole, facendo prevalere un’eccessiva

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volgendo al prevalere di logiche autorizzative riguardo le operazioni contabili, costituendo una dannosa moltiplicazione di spese ed estendendo in modo inefficiente l’approvazione dei preventivi di spesa pubblica.

Il problema principale nei fatti riguarda, parafrasando il dottor Pezzani, “gli scarsi legami con l’attività strategica e di programmazione, poiché tende a prevalere l’attenzione al rispetto delle procedure, la limitata attenzione all’esame dei consuntivi e lo scarso, talvolta inutilizzato, sistema di reporting; fattispecie che di fatto indeboliscono l’orientamento delle attività di lungo periodo che rischiano di essere formulate tramite la reiterazione del budget annuale e

non incorporano realmente gli obiettivi di cambiamento a medio-lungo tempo”1. Nello

scenario attuale, l’orientamento prevalente è quello di accelerare l’introduzione di logiche manageriali focalizzando l’attenzione verso la dimensione strategica; sia apportando modifiche ai sistemi contabili, sia innovandosi dal punto di vista organizzativo. Tale strategia è determinata dalla costruzione di un modello decisionale coerente, in grado di garantire un coordinamento sempre maggiore tra le varie funzioni, migliorando la velocità dei flussi informativi ed orientando la gestione in un’ottica di medio-lungo periodo; definendo in tale indirizzo gli obiettivi prioritari ed i criteri di misurazione ex-ante per poter poi operare un raffronto in relazione ai risultati effettivamente conseguiti.

1.2.1 Il sistema di programmazione e controllo proposto da Anthony, un modello a cui ispirarsi

Prima ancora di aver contribuito a formalizzare un modello di controllo, va ascritto al docente dell’Università di Harvard, Robert N. Anthony (1916-2006) il merito di aver riconosciuto al sistema di programmazione e controllo l’identità di sistema. Anthony, infatti, parla di sistema

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di programmazione e controllo individuandolo come uno dei molteplici sottosistemi aziendali che, in quanto tali, sono frutto di elementi e componenti diversi operanti però in maniera unitaria.

Partendo da tale presupposto, Anthony suggerisce un’articolazione del sistema di controllo in tre grandi ripartizioni, fasi che considererò come linee guida nello svolgimento del mio elaborato di tesi:

1) Pianificazione strategica: definita come il processo decisionale riguardante gli

obiettivi dell’organizzazione, l’eventuale cambiamento degli stessi, le risorse da impiegare per il loro raggiungimento e le strategie che dovrebbero informare l’acquisizione, l’uso e l’assegnazione di tali risorse. Secondo il teorico, dunque, il processo di pianificazione si sostanzia nella definizione degli obiettivi e delle soluzioni strategiche idonee a conseguirli in una dimensione che è, eminentemente, quella aziendale: si tratta di una specificazione di non poco conto poiché lo stesso Autore evidenzia l’esistenza di due forme di pianificazione; una a livello corporate e una interpretabile come parte integrante del controllo e dell’amministrazione, ovvero la programmazione. In tal senso, differenti sono i soggetti a cui competono le due forme di pianificazione, nonché l’individuabilità delle stesse come autonome parti del più ampio sistema di pianificazione, programmazione e controllo.

La definizione di pianificazione strategica a cui Anthony fa riferimento è quella di pianificazione a livello aziendale in quanto dotata di autonomia rispetto al controllo, rappresentando una delle tre parti del processo di pianificazione e controllo riferibile all’alta direzione. Per sua natura, la pianificazione strategica rappresenta un processo fondato su elevata creatività e un limitato grado di sistematizzazione e sull’uso di informazioni relative sia all’ambiente esterno sia all’ambiente interno, caratteristiche

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significative se si pensa ad essa come un momento utile a definire gli obiettivi di medio/lungo termine, con un orizzonte temporale dai tre ai cinque anni, tramite l’implementazione di uno specifico piano strategico definente la strategia aziendale.

2) Controllo direzionale (task control): questa seconda ripartizione individuata da

Anthony si presenta come il processo attraverso il quale i manager verificano che le risorse siano state utilizzate in maniera efficace ed efficiente per il raggiungimento degli obiettivi prefessati. Nel fornire questa concezione del controllo direzionale, Anthony ne tratteggia alcuni caratteri fondamentali, quali la finalizzazione verso il controllo del grado di raggiungimento degli obiettivi aziendali e la focalizzazione sull’efficacia e l’efficienza nell’utilizzo di risorse. Non solo, nel definirne gli aspetti peculiari l’Autore ne riconosce la natura di sistema e i collegati requisiti distintivi; motivo per cui il sistema di controllo direzionale viene qualificato come “totale” in quanto chiamato ad abbracciare tutti gli aspetti dell’attività aziendale e a fornire

informazioni ai manager in merito ad ogni singola parte d’azienda2. L’autore parla

anche di processo “ritmico” perché strutturato su vere e proprie tabelle di marcia che definiscono la sequenza con cui affrontare determinati step del processo stesso. In ultima analisi, Anthony definisce il sistema di controllo direzionale come “coordinato e integrato” intendendo, con tale espressione, che sebbene le informazioni prodotte possono riguardare aspetti diversi, in base alle ragioni per cui sono prodotte, è necessario mantenere un adeguato livello di coordinamento ed integrazione delle stesse. Il controllo direzionale viene presentato come un tutt’uno con quella che Anthony definisce “pianificazione collegata con l’amministrazione corrente

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dell’impresa”; ovvero tale sistema non può esistere come entità a sé stante rispetto alla pianificazione strategica. Tuttavia, il concetto di pianificazione qui accolto esula dall’attività di definizione degli obiettivi strategici e delle strategie idonee al loro perseguimento che è ambito di operatività della pianificazione strategica.

3) Controllo operativo: individuato come il processo tramite il quale si verifica che i

compiti specifici siano svolti in maniera efficace ed efficiente. Da tale definizione emerge, con estrema chiarezza, l’evidente intenzione di tenere distinte due forme di controllo dai caratteri e dalla natura del tutto diversi. Il fattore di discriminazione è individuato dall’autore nell’oggetto delle due forme di controllo, nonché nel livello di specificazione dei compiti sui quali l’attività di controllo viene esercitata. Con riferimento all’oggetto del controllo operativo, questo è identificato negli specifici compiti dei dipendenti, mentre il controllo direzionale fa riferimento all’attività dei dirigenti.

Il modello di Anthony risulta, dunque, strutturato su una tripartizione del sistema di pianificazione, programmazione e controllo; la quale scaturisce dall’esigenza di mantenere distinte attività dai caratteri fortemente differenziati per scopi e modalità di svolgimento. Inoltre, l’esigenza di attribuirne la competenza a soggetti organizzativamente inquadrabili in differenti posizioni aziendali, agevola una così rigida articolazione. A partire dalle considerazioni sopra riportate, a consuntivo, sarà poi possibile valutare un’ipotetica revisione e riconsiderazione delle strategie e degli indirizzi visti nella prima fase di pianificazione, in un continuum organizzativo efficace ed efficiente.

In ultima istanza, è possibile raffigurare i tre momenti distribuendoli all’interno di una piramide, la quale scandisce dal vertice alla base i momenti salienti del modello di Anthony.

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1.3. Il quadro di riferimento per il controllo di gestione

nelle Autorità di Sistema Portuale

La lunga storia della legislazione italiana in materia di controlli interni alla Pubblica Amministrazione può essere sostanzialmente divisa in due grandi fasi; le riforme precedenti agli anni novanta e quelle introdotte a partire dal 1990 nell’ambito di un proficuo fermento normativo finalizzato alla trasformazione culturale della pubblica amministrazione non più orientata al compito ma al risultato, rilevando poi anche nell’ultima decade un continuum che avrò modo di evidenziare più avanti.

Dall’inizio degli anni novanta fino ad oggi, una serie di riforme ha avviato un processo di rinnovamento che va a scardinare i principi e la prassi fino ad allora in vigore, al fine di giungere ad un approccio più aziendalistico nella gestione delle agenzie pubbliche, le cui tappe fondamentali sono di seguito elencate:

- Decreto Legislativo 29/1993 sulla privatizzazione del pubblico impiego e sulla introduzione dei controlli interni per tutte le amministrazioni, all’interno delle quali il controllo si pone come obiettivo non solo quello di valutare ma anche di indirizzare e correggere le attività dei vari uffici componenti l’organizzazione in relazione agli obiettivi a ciascuno assegnati e di cui risultano responsabili i rispettivi dirigenti. In questo momento l’efficienza diventa un valore della pubblica amministrazione ed il mancato conseguimento degli obiettivi trova un suo preciso ed identificabile responsabile. In sintesi, viene qui introdotta la distinzione tra il livello di indirizzo

Pianificazione strategica Controllo direzionale Controllo operativo

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politico e quello di Amministrazione tecnico-gestionale, dove i dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa ed efficacia della loro gestione.

- Decreto Legislativo 286/1999, in attuazione alla Legge Bassanini, che rielabora il sistema dei controlli interni identificando specifiche tipologie di controllo assegnate a specifici soggetti. Sostanzialmente le finalità di tale provvedimento consistono nell’attuare un sistema di riordino e potenziamento degli strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche.

- Decreto Legislativo 150/2009, il quale prendendo atto dalle criticità evidenziate dalle suddette precedenti leggi, ha ridisegnato nuovamente il sistema di programmazione degli obiettivi e di valutazione dei risultati, introducendo quello che è stato definito ciclo di gestione delle performance.

Nei prossimi paragrafi del capitolo vediamo come queste legiferazioni hanno influenzato i sistemi di controllo della P.A., e nella fattispecie, delle Autorità di Sistema Portuale.

1.3.1. Il controllo di gestione nelle P.A., punti focali del D.Lgs. 29/1993

Con il D.Lgs 29/1993 viene introdotto all’interno della pubblica amministrazione il “controllo di gestione”, inteso come un insieme coordinato di sistemi, condotte e prassi validi a realizzare specifici obiettivi, ravvisabili nello svolgimento delle attività secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità; di ottimizzazione nell’uso delle risorse ed attenzione agli sprechi, irregolarità ed abusi; di conformità alle norme e di utilizzo idoneo ed affidabile di un sistema di dati finanziari. Il controllo quindi, in questa sede, non è più solo in funzione di un giudizio, ma di un auto-miglioramento a valere nel tempo, dal momento in cui è la stessa normativa ad introdurre la responsabilità dei dirigenti delle P.A. per i risultati da essi ottenuti; intento volto a trasformare la figura del dirigente burocrate in un “manager” che svolgendo un’attività gestionale di un’azienda pubblica secondo logiche e tecniche mutuate dal settore privato,

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mira al conseguimento del miglior risultato possibile. Il suddetto controllo di gestione necessitava talvolta di un adeguato utilizzo di tecnologie, modalità logistiche e di personale professionalmente preparato; problematiche ricorrenti che hanno manifestato la necessità di disciplinare in maniera ancor più corretta e profonda il sistema dei controlli interni, fino a giungere al D.Lgs 286/1999. Quest’ultima normativa nasce con lo scopo di riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalla P.A.; sostanzialmente determinando dettagliate sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie di specifici funzionari. Con tale provvedimento varia anche la concezione di controllo di gestione, la cui interpretazione supera la normale accezione di controllo, comprendendo in tal senso tutte le fasi gestionali; il quale viene disegnato dall’art.4 in correlazione a differenti utilità: creazione di uno o più uffici responsabili del controllo a livello di progettazione che di esercizio, la realizzazione di una mappatura delle finalità operative ed amministrative riferite all’intera organizzazione, la determinazione degli obiettivi gestionali e responsabili, ed infine l’individuazione di indicatori per misurare i livelli di efficienza, efficacia ed economicità. L’impostazione del D.Lgs. 286/1999 pertanto mette in evidenza il carattere sistemico dei controlli interni sia nella fase di progettazione sia in quella della concreta implementazione: tali sistemi costituiscono strutture dinamiche pluridimensionali aventi nella loro dimensione organizzativa e culturale i fattori critici dai quali dipende l’efficacia e la funzionalità concreta del complesso. Da questo momento in poi vengono progressivamente abbandonati da parte della legislazione nazionale i modelli di amministrazione burocratica, per passare a logiche manageriali più simili a quelle delle imprese private, implicando un continuo riscontro tra programmazione e pianificazione nell’ottica del raggiungimento dei risultati previsti e del miglioramento continuo delle performance, ormai da considerarsi un elemento imprescindibile dell’azione amministrativa.

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1.3.2. Misurazione, valutazione e trasparenza delle performance, applicazioni ed evoluzioni nell’ultimo decennio

Il Decreto Legislativo 150/2009, noto come “Decreto Brunetta”, ha ridisegnato nuovamente nella pubblica amministrazione il sistema di programmazione degli obiettivi e di valutazione dei risultati, introducendo quello che è stato definito “ciclo di gestione delle performance”. Il sistema dei controlli interni ridisegnato dal D.Lgs. 150/2009 riunisce le attività nell’ambito di un solo meccanismo definito “ciclo di gestione delle performance”, includente il controllo di gestione, la valutazione dirigenziale (a cui si aggiunge quella personale) ed il controllo strategico; lasciando fuori dal perimetro il controllo di regolarità amministrativo-contabile, segnando in questo modo una netta demarcazione tra controlli gestionali e controlli di conformità.

Tra le principali innovazioni apportate dal suddetto provvedimento legislativo, fra le quale possiamo annoverare il rafforzamento dell’autonomia dei dirigenti e le garanzie di selettività

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per l’ambito attuativo delle Autorità di Sistema Portuale l’introduzione dell’Organismo Indipendente di Valutazione delle performance (OIV); costituito in applicazione dell’art. 14 della suddetta normativa, rappresentante un organo collegiale o monocratico dotato di professionalità e di competenza, la cui funzione è volta a verificare il funzionamento del sistema complessivo di valutazione, garantendo la correttezza del processo di misurazione e valutazione. Tale istituto si avvale di indicatori di efficienza, efficacia ed economicità e di alcuni organi di supporto, tra i quali il controllo di gestione assume un ruolo determinante. La propria funzione si snoda cronologicamente nelle fasi di stesura del piano delle performance da parte dell’organo di indirizzo strategico, e successivamente nella redazione della relazione annuale sul funzionamento complessivo del sistema di valutazione, trasparenza ed integrità dei controlli interni, con riferimento al ciclo della performance antecedente.

Particolare riferimento all’Art.6, Comma 2, il quale attribuisce agli organi di indirizzo politico amministrativo di “avvalersi delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione presenti nell’amministrazione”; implicando una gestione dei programmi e degli interventi orientata al raggiungimento degli obiettivi, la misurazione delle performance, la valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi e la rendicontazione delle performance ai fini del controllo interno. Nella fattispecie, la misurazione e valutazione delle performance rappresentano attività volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali; motivo per cui ciascuna di esse è tenuta a svolgere tale operato con riferimento all’amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti.

In sintesi, l’adozione di un “sistema di misurazione e valutazione delle performance”, considerato come documento metodologico volto ad illustrare il processo attraverso il quale l’amministrazione attua il ciclo di gestione delle performance, definendo il piano delle

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performance e la relazione sulle stesse; pone un obiettivo prioritario, consistente nell’innescare un processo di miglioramento continuo delle strutture dell’Ente, individuando standard di efficienza, efficacia e qualità dei servizi e delle prestazioni erogate, a cui tendere nel medio periodo attraverso la valorizzazione del personale, elemento fondamentale e decisivo di ogni processo di cambiamento.

In conclusione, è possibile fornire un semplice prospetto dei punti focali di tale provvedimento legislativo, qui di seguito evidenziato:

- Art. 4, ciclo di gestione delle performance: “le amministrazioni pubbliche sviluppano, in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del bilancio, il ciclo di gestione delle performance”, il quale si articola nelle fasi di definizione e assegnazione degli obiettivi da raggiungere e nel relativo collegamento con l’allocazione delle risorse, per poi procedere con il relativo monitoraggio in corso d’esercizio e misurazione a consuntivo, al fine di utilizzare dei sistemi premianti (secondo criteri di valorizzazione del merito) e di rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, agli stakeholder ed agli utenti destinatari dei servizi.

- Art. 5, obiettivi e indicatori: “gli obiettivi sono programmati su base triennale e definiti, prima dell’inizio del rispettivo esercizio, dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, sentiti i vertici dell’amministrazione che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative. Gli obiettivi sono definiti in coerenza con quelli di bilancio indicati nei documenti programmatici, ed il loro conseguimento costituisce condizione per l’erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione integrativa”.

- Art. 10, piano della performance e relazione sulla performance: “al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed attendibilità dei documenti di rappresentazione della performance, le amministrazioni pubbliche devono produrre” entro il 31 Gennaio un documento programmatico triennale, denominato “piano delle performance”, da adottare in coerenza con i contenuti ed il ciclo della programmazione finanziaria e di

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bilancio, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi; ed entro il 30 Giugno un documento, denominato “relazione sulla performance”, volto ad evidenziare a consuntivo, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti e il bilancio di genere realizzato, approvato dall’organo di indirizzo politico-amministrativo e validata dall’OIV.

La performance3 viene valutata al fine di migliorare la qualità dei servizi e la

competenza dei dipendenti, presupposto fondamentale per concepire l’amministrazione come sistema di interdipendenze e non più come assemblaggio di funzioni produttive e funzioni di supporto: la novità dell’assetto configurato in questo senso nel D.Lgs 150/2009 risiede proprio nel riconoscimento implicito ed esplicito di questa interdipendenza. Al fine di rendere effettiva tale relazione, le Pubbliche Amministrazioni devono quindi gestire la propria performance tramite una definizione degli obiettivi strategici ed operativi (collegandoli alle risorse), di un sistema di misurazione composto da indicatori per il monitoraggio e la valutazione, e la programmazione di azioni correttive per colmare gli scostamenti.

- Capo III, Trasparenza: intesa come accessibilità totale anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo di risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti , allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei princìpi di buon andamento e imparzialità.

- Art. 14, Organismo Indipendente di Valutazione delle performance (OIV): ogni singola amministrazione, singolarmente o in forma associata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si dota di tale organismo; costituito in forma collegiale con tre componenti. L’OIV monitora il funzionamento complessivo del sistema di valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni, ed elabora una relazione annuale riguardo lo stato dello stesso, anche formulando proposte e raccomandazioni ai vertici

3 F. Monteduro, definizione di performance: contributo che un’entità apporta attraverso la propria azione al

raggiungimento delle finalità e degli obiettivi, ed in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata costituita.

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amministrativi; comunicando tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti organi di Governo interni, nonché alla Corte dei Conti. Inoltre, lo stesso valida la relazione sulla performance a condizione che la stessa sia redatta in forma sintetica e di immediata comprensione ai cittadini e agli altri utenti finali.

Il sistema dei controlli interni gestionali così concepito, nonostante le suddette precisazioni, ha raggiunto nel breve termine un livello generale non soddisfacente, in quanto sono risultate carenze nel quadro normativo di riferimento ed un basso di livello di fiducia degli organi di indirizzo politico-amministrativo sull’utilità e sui benefici collettivi di un sistema di controlli efficiente4. Il quadro normativo italiano è risultato adatto sul piano teorico a garantire il

corretto funzionamento del sistema dei controlli interni, risultando però non pienamente integrato con le logiche del rischio (inteso in senso privatistico), motivo per cui al D.Lgs. 150/2009 è seguita la revisione strutturale apportata dal D.Lgs. 74/2017, che ha apportato importanti modifiche ravvisabili nei seguenti punti focali:

- In riferimento all’art. 5, D.Lgs. 150/2009, gli obiettivi si articolano “generali” e “specifici”. I primi si identificano in coerenza con le priorità delle politiche pubbliche nazionali nel quadro del programma di Governo; i secondi vengono individuati dalla singola pubblica amministrazione, in coerenza con la direttiva annuale adottata nel piano delle performance di cui sopra. Ciascuno di essi deve rilevarsi pertinente rispetto ai bisogni della collettività e alla missione istituzionale, specifico e misurabile in termini concreti tale da determinare un significativo miglioramento della qualità dei servizi erogati, ed infine correlati alla quantità e qualità delle risorse disponibili.

- Il rispetto della normativa in tema di valutazione delle performance costituisce non solo condizione necessaria per l’erogazione di premi, ma rileva anche ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale e del conferimento degli incarichi dirigenziali.

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- Riconoscimento per la prima volta di un ruolo attivo dei cittadini ai fini della valutazione delle performance organizzative, mediante la definizione di sistemi di rilevamento della soddisfazione degli utenti in merito alla qualità dei servizi resi. - Nella misurazione delle performance individuale del personale dirigente è attribuito

un peso prevalente ai risultati della misurazione e valutazione delle performance dell’ambito organizzativo di cui hanno essi diretta responsabilità.

Attraverso il ciclo di gestione delle performance5 è quindi possibile ottenere migliorie

sostanziali sul piano della pianificazione, misurazione, valutazione, rendicontazione e dei sistemi di premio; motivo per cui è possibile affermare che esso si pone in un’ottica di risultato e di trasparenza.

Il nuovo sistema dei controlli interni prevede dunque quattro tipologie di controlli:

1. Controllo di regolarità amministrativa e contabile: volto a garantire la legittimità, regolarità e la correttezza dell’aziona amministrativa; le cui verifiche devono necessariamente rispettare i principi generali della revisione aziendale certificati dagli ordini e dai collegi professionali operanti nel settore6. Tale processo di riforma e

modernizzazione all’interno delle Amministrazioni Pubbliche verte intorno alla cosiddetta “concezione aziendale”, il cui concetto non implica la negazione della natura tipica degli enti pubblici rispetto a quello delle aziende private, bensì considerare tali enti come strutture capaci di erogare servizi secondo le tipiche logiche di programmazione aziendale; motivo per cui diventano elementi imprescindibili criteri e principi quali l’efficienza, l’efficacia e l’economicità, i quali divengono “canoni di legalità”, con la conseguenza che la mancanza di strumenti di controllo interno possono essere sanzionati come atti o comportamenti illegittimi.

2. Controllo di gestione: rappresenta l’attività tramite la quale i dirigenti ed i responsabili operativi ricevono gli elementi qualitativi e quantitativi sull’andamento dell’azione amministrativa affinché possano portarla al raggiungimento degli obiettivi previsti dal programma. Tale attività si concretizza nell’analisi delle risorse acquisite e nella

5 Performance qui intesa come contributo ad un risultato atteso, composta da conoscenze e comportamenti

oggetto di valutazione e condivisione

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comparazione tra i costi e le quantità/qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza ed il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiettivi. Questa tipologia di controllo comprende le analisi, le valutazioni, le decisioni e le procedure idonee a migliorare in itinere la probabilità che i comportamenti organizzativi siano in linea con gli obiettivi allo scopo di soddisfare i principi di economicità, efficienza ed efficacia. Il presupposto sostanziale su cui si basano i controlli interni è costituito dal fatto che le amministrazioni, per impiegare al meglio le risorse assegnate, devono essere organizzate nella maniera più economica permettendo così di soddisfare i bisogni attesi dai cittadini con il minimo dispendio di risorse. L’elemento fondamentale del controllo di gestione è certamente la fase di retroazione, ovvero il processo di feedback consistente nel misurare i risultati effettivamente raggiunti, nel confrontare obiettivi e risultati, e nell’impostare le azioni correttive per ridurre o eliminare in futuro gli scostamenti indesiderati. Come riportato in un paper prodotto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, “una corretta definizione della struttura organizzativa deve corrispondere perfettamente alle esigenze gestionali e permettere una razionale distribuzione della responsabilità e delle autorità nell’ambito dell’ente, attraverso un insieme di azioni messe in atto secondo un preciso schema per il raggiungimento di obiettivi predefiniti. L’ente deve provvedere altresì ad individuare le responsabilità di spesa, di costo e di ricavo da assegnare ad ogni singolo settore, area o servizio organizzativo”.

3. Controllo strategico: tipologia di controllo volta a verificare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi prestabiliti. L’attività di valutazione e controllo strategico mira a verificare l’effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico, allineando quindi gli obiettivi operativi a quelli strategici. La valutazione viene quindi implementata nel tempo, considerando la compatibilità tra le scelte strategiche di lungo periodo e le risorse finanziarie ed umane a disposizione, rispetto alle necessità dei clienti finali. Tale attività rappresenta il “trait d’union” tra l’agire politico e l’agire amministrativo, in quanto la valutazione è volta a fornire un report, sia in itinere che

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risponde essenzialmente a due diverse necessità: adeguare le scelte politiche alle esigenze della collettività, restituendo così ad essi valore in termini di benessere sociale; ed in secondo luogo, permettere di alimentare riflessioni su quali scelte politiche siano più efficienti e grazie a quali strumenti.

4. Valutazione dei dirigenti: tale attività consiste nell’analisi sia preventiva che consuntiva delle conformità e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane, finanziarie e materiali assegnate; inoltre va ad identificare gli eventuali fattori ostativi, le eventuali responsabilità ed i possibili rimedi. Attraverso la separazione dei poteri di indirizzo e controllo da quelli di gestione amministrativa, i dirigenti diventano direttamente responsabili, rispetto agli obiettivi dell’ente, della conformità amministrativa e dell’efficienza/efficacia della loro gestione. La logica di fondo di tale dettato normativo è che se si misura la performance, si responsabilizza il personale sui risultati e questo costituisce un incentivo a creare valore. La valutazione del personale nelle organizzazioni risponde principalmente a tre responsabilità, ravvisabili nella gestione dei rapporti di impiego nelle sue componenti essenziali (istituti premiali, retributivi e non), nella gestione del lavoro interno (carriera, rotazioni, mobilità interna), e nell’individuazione e gestione delle politiche di miglioramento (formazione, autoanalisi).

Capitolo 2: Il controllo di gestione: caratteri discriminanti e specificità

per le pubbliche amministrazioni

2.1. La struttura del controllo di gestione:

la pianificazione, programmazione e controllo

Nelle diverse realtà organizzative, l’attività direzionale si identifica con un processo circolare di pianificazione, programmazione e controllo; un ciclo virtuoso avviato con la definizione

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degli obiettivi e concluso con la verifica del grado di raggiungimento degli stessi e l’eventuale adozione di azioni correttive.

Alla pianificazione, vera e propria conditio sine qua non per un efficace controllo di gestione, compete la definizione degli obiettivi e delle azioni di lungo periodo, formalizzate all’interno dei piani strategici ed aventi lo scopo di stabilire gli obiettivi che l’organizzazione sarà chiamata a raggiungere in una prospettiva pluriennale, ed allo stesso tempo le soluzioni tecnologiche che dovrebbero assicurarne il proseguimento. In dottrina, la pianificazione strategica viene definita come una disciplina capace di addestrare all’impiego di metodi mirati a migliorare la razionalità delle decisioni o delle azioni nella gestione sistemica e integrata degli affari pubblici. Questa definizione di pianificazione risponde quindi all’esigenza di orientare l’attività di Amministrazione Pubblica, e fornisce quel quadro di riferimento necessario per strutturare il controllo di gestione. Talvolta la pianificazione strategica corre il rischio di rimanere lettera morta se non viene tradotta in obiettivi e piani d’azione di breve periodo: è con riferimento a questo passaggio che il sistema di programmazione e controllo assume particolare rilevanza, caratterizzandosi in termini di flessibilità gestionale, nel senso che il programma -strumento centrale della pianificazione strategica- deve esser predisposto in modo da poterlo adottare senza sostanziali problematiche relative ai mutamenti esterni ed interni caratterizzanti l’operato dell’Amministrazione Pubblica. La programmazione infatti rappresenta il processo tramite il quale vengono delineati gli obiettivi strategici ad intervalli di tempo più brevi rispetto a quelli previsti nell’ambito della pianificazione, tramite la quale si articolano gli obiettivi strategici di lungo periodo in obiettivi specifici e di breve periodo il cui raggiungimento è

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demandato all’organizzazione e alle singole aree aziendali. Esiste quindi un rapporto di

sostanziale strumentalità della programmazione rispetto alla pianificazione7.

Inoltre, è possibile riconoscere il fulcro della pianificazione strategica nella determinazione degli obiettivi, i quali saranno successivamente oggetto di valutazione in itinere e finale: questi devono risultare sostanzialmente connessi ad un sistema di responsabilità e ad un sistema di attribuzione di risorse e di costi. In tal senso, l’organizzazione dovrebbe esser strutturata ed analizzata per Centri di Responsabilità, quali basi conoscitive per impostare ed attuare la contabilità analitica, oggetto della trattazione nei prossimi paragrafi.

Il Centro di Responsabilità all’interno di un’organizzazione si configura come un’unità organizzativa svolgente specifiche funzioni, ove opera un gruppo di persone guidate da un responsabile e alla quale sono attribuite specifiche risorse, obiettivi e costi connessi allo svolgimento delle attività dedicate; mentre la struttura del centro stesso implica l’esistenza di una struttura organizzativa avente le caratteristiche idonee per promuovere ed attuare la responsabilizzazione formale, cioè l’attribuzione delle responsabilità per i risultati parziali del processo gestionale. E’ rilevante quindi che sia applicato il processo di delega e quindi il decentramento organizzativo.

Al fine di procedere ad una corretta valutazione dei risultati e quindi dell’andamento della gestione in relazione agli obiettivi programmati, è necessario che gli obiettivi individuati per ciascun Centro di Responsabilità siano:

- Chiaramente esplicitati: l’obiettivo deve esser noto e compreso a tutti coloro che si attivano all’interno di un Centro di Responsabilità

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- Misurabili: ai fini del controllo, l’obiettivo deve esser misurabile nel senso di espressione dello stesso in una specifica unità di misura che trovi riscontro nel sistema contabile ed extra-contabile impostato dall’organizzazione

- Conformi: l’obiettivo deve risultare in linea sia con le potenzialità dell’organizzazione e del servizio a cui si riferisce sia con le risorse finanziarie, umane e strumentali dell’organizzazione e del relativo Centro di Responsabilità

- Flessibili: requisito essenziale affinché un obiettivo possa esser modificato in itinere, laddove possibile, in funzione delle varie esigenze che dovessero presentarsi

A queste funzionalità e peculiarità così importanti si accosta un processo di verifica del grado di coerenza fra gli stessi tramite il controllo, necessario per garantire l’efficacia tale rapporto di strumentalità. Esso viene avviato in sede di definizione degli obiettivi di breve periodo, quando è chiamato a verificare la loro coerenza con quelli di lungo periodo per poi svilupparsi durante l’azione ed al termine del periodo di osservazione. Così facendo, esso garantisce la costante verifica del grado di rispondenza dei risultati conseguiti tramite la gestione aziendale con gli obiettivi di breve periodo definiti in fase di programmazione. In questa fase eventuali disallineamenti tra il sistema degli obiettivi in fase di programmazione ed i risultati conseguiti sono oggetto di discussione ed interpretazione finalizzate all’individuazione delle azioni correttive e necessarie a garantire il riallineamento oppure a stimolare un effetto apprendimento per il futuro. E’ possibile pertanto affermare che programmazione e controllo rappresentino un unicum, il cui funzionamento è essenziale per garantire il proseguimento degli obiettivi strategici aziendali definiti in fase di pianificazione ed in ultima istanza, il conseguimento di un vantaggio competitivo duraturo e difendibile nel tempo.

Pur nella sostanziale varietà che ha caratterizzato i contributi sul tema, è chiara la tendenza ad interpretare il sistema di programmazione e controllo come un insieme di regole e principi finalizzati a supportare ed orientare i processi decisionali aziendali verso il perseguimento

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degli obiettivi dell’organizzazione. In questa veste quindi, il sistema di programmazione e

controllo diviene uno strumento di governo e guida dell’azienda8, al quale sono riconosciute

diverse finalità:

• Monitoraggio e supporto dell’attività decisionale: sostanziate una serie di procedure favorenti informazioni atte a rendere il processo decisionale più efficace. A preventivo, essi consentono di valutare i programmi operativi di gestione dal punto di vista economico-finanziario e di valutarne la validità e fattibilità; a consuntivo essi invece forniscono informazioni utili per l’azione futura.

• Coordinamento: il coordinamento dell’attività di gestione si realizza definendo gli obiettivi e operando controlli sul loro grado di raggiungimento a livello di unità organizzativa o di centri di responsabilità.

• Responsabilizzazione: tale sistema è di supporto alla delega, ogni persona viene responsabilizzata al raggiungimento di certi obiettivi.

• Orientamento: fissando gli obiettivi ed esplicitando le priorità dell’attività aziendale si finalizza il comportamento degli individui in modo tale che esso sia il più possibile coerente con la missione e gli obiettivi aziendali.

• Funzione motivazionale: responsabilizzando le persone in termini di obiettivi che siano da essi condivisi ed interiorizzati, aumentano le probabilità che il loro comportamento sia in linea con quello strumentale al raggiungimento degli stessi.

• Apprendimento: il confronto tra i risultati programmati con quelli effettivi, l’analisi degli scostamenti e la comprensione delle cause dei risultati, permettono accumuli di esperienza di elevato valore.

• Cultura meritocratica diffusa: garantendo la formalizzazione degli obiettivi e monitorandone il raggiungimento tramite misurazioni obiettive ed imparziali, esso consente di attivare meccanismi di incentivazione finalizzati a premiare coloro i quali hanno contribuito fattivamente al perseguimento degli scopi organizzativi

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2.1.1. Il controllo strategico e manageriale

L’idea di un sistema di controllo deputato al monitoraggio della strategia aziendale e dei risultati conseguiti tramite la sua implementazione affonda le sue radici nella percezione che il solo sistema di controllo di gestione non sia sufficiente per gestire le organizzazioni nei moderni contesti di mercato: focalizzare l’attenzione sul breve periodo, sull’analisi ed il monitoraggio di variabili eminentemente interne, rischia di indurre l’azienda ad approntare una gestione sostanzialmente volta al perseguimento di risultati economico-finanziari immediati, pregiudicando quelli conseguibili nel medio e nel lungo periodo. Inoltre l’eccessiva focalizzazione su variabili interne legate all’efficacia ed efficienza dei processi aziendali, rischia di condurre a sottovalutare le dinamiche legate alle variabili esterne, ravvisabili negli stakeholder che spesso si rivelano centrali nell’influenzare la gestione

aziendale ed i collegati risultati. A partire dai contributi di Johnson e Kaplan9, la letteratura ha

iniziato a proporre l’adozione di sistemi di controllo strategico idonei a supportare i processi decisionali di formulazione della strategia aziendale tramite la produzione di informazioni

multidimensionali10. Il concetto di controllo strategico non è più solamente circoscritto alla

sola funzione di misurare i risultati conseguiti tramite l’implementazione delle strategie aziendali, a questa funzione si accosta quella consistente nel garantire un costante monitoraggio sulle variabili interne e soprattutto quelle esterne in grado di influenzare l’efficacia della strategia aziendale deliberata dal management aziendale.

In altre parole, da sistema deputato al controllo sul grado di raggiungimento degli obiettivi strategici, il controllo strategico diviene un sistema atto a produrre informazioni idonee a

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supportare i processi di formulazione e di revisione strategica. In ultima approssimazione, il sistema di programmazione e controllo strategico rappresenta un sistema unico che consente, da un lato, il controllo sull’andamento della gestione aziendale per supportare i processi decisionali di breve periodo, e dall’altro, il monitoraggio delle variabili ambientali interne ed esterne che possono influenzare le scelte strategiche aziendali.

Alla luce di quanto detto precedentemente, il sistema di programmazione e controllo diviene solo uno dei meccanismi tramite i quali il management può generare comportamenti orientati agli obiettivi. Nel più ampio quadro del sistema di controllo manageriale al controllo dei risultati si accosta, in prima approssimazione, il controllo delle azioni. Esso è relativo all’insieme delle forme di controllo capaci di indurre i dipendenti a porre in essere azioni idonee a produrre benefici o che gli stessi evitino di attuare azioni dannose sulle stesse, in restrizioni fisiche o amministrative. Tale forma di controllo è particolarmente efficace perché, essendo realizzabile ex-ante ed in itinere, consente di prevenire tali ipotesi; seppur comportando ingenti costi diretti, quali quelli relativi al personale addetto all’espletamento dei controlli o all’esigenza di estendere il controllo quando aumentano le dimensioni aziendali, e indiretti quali l’eccessiva rigidità dei comportamenti o ritardi nei processi decisionali ed operativi11.

Oltre al controllo delle azioni e dei risultati, il sistema di controllo manageriale si serve anche del controllo del personale e della cultura interna. Differentemente dalle altre forme di controllo però, il controllo di quest’ultime si caratterizzano per un minor grado di focalizzazione su aspetti specifici della gestione aziendale, siano essi le azioni poste in essere o i singoli risultati conseguiti il loro espletamento: essi hanno l’obiettivo di favorire all’interno

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dell’organizzazione, la conoscenza, l’interiorizzazione e l’istituzionalizzazione dei valori dell’organizzazione in maniera tale che gli individui operino coerentemente agli stessi obiettivi preposti. Operativamente, il controllo del personale e della cultura interna trova concretizzazione tramite i processi di selezione e formazione del personale o tramite il ricorso

a codici di condotta e sistemi premianti a livello di singolo individuo e/o gruppo12.

2.1.2. Il controllo burocratico nelle pubbliche amministrazioni

E’ possibile in questa sede individuare due modelli di amministrazione pubblica corrispondenti due tipi di controllo, ravvisabili nel modello di amministrazione classico ed il modello aziendale: il primo si avvale di un controllo di natura burocratica, mentre il secondo adopera una tipologia di controllo differente, definita come manageriale o aziendale.

Il modello classico nasce tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in parallelo allo sviluppo dei primi apparati statali, in un contesto certamente stabile e poco complesso. Si trattava di un modello chiuso, formale e neutrale, in quanto gli obiettivi venivano individuati seguendo esclusivamente la razionalità politica, separando nettamente sfera politica e sfera amministrativa; pertanto la politica si faceva carico di stabilire tramite atti di legge le regole di comportamento degli organi tecnici, il cui apparato amministrativo doveva poi trasformare in concreto gli obiettivi in risultati. Tale modello presenta dei limiti sia a livello concettuale sia organizzativo: sul piano strettamente teorico, il modello burocratico infatti si focalizza eccessivamente sull’atto amministrativo, mostrando una scarsa o nulla propensione al risultato, caratterizzando un’eccessiva ingerenza della politica sulle strategie e sull’operato dei dirigenti. Uno dei principali fattori che infatti ha implicato il passaggio ad un modello

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manageriale, è stata la mancata percezione dei bisogni dei cittadini, ravvisabile chiaramente in un’inefficienza e incapacità nel riscontrarne le cause.

In dottrina il controllo burocratico è stato definito dall’autore Borgonovi come un “insieme di meccanismi tesi a garantire la funzionalità e la rettitudine dell’apparato amministrativo, verificando il mero rispetto delle norme e riconducendo l’attività amministrativa entro gli schemi predisposti, senza verificare, l’effettiva rispondenza tra l’attività amministrativa e le

esigenze da soddisfare13”. In conclusione, l’oggetto preponderante del controllo burocratico

è individuabile nella verifica del rispetto formale dei singoli atti, frutto di una focalizzazione su essi e non sui risultati; la cui attività amministrativa non si sovrappone alle scelte del vertice ma costituisce un mezzo per realizzare i programmi pubblici in conformità agli iter procedurali previsti dalla politica. Si può sostanzialmente parlare di azione amministrativa realmente corretta quando la stessa resta confinata all’interno di ciò che è stato preventivato, senza apportare alcuna innovazione e senza lasciare margini di discrezionalità ai singoli, rinunciando a priori a qualsiasi nuova soluzione in grado di risolvere le complessità emergenti. A questa tipologia di controllo sono riconducibili le diverse verifiche di legittimità poste in essere nell’Amministrazione Pubblica sui vari atti, sia in fase istruttoria, sia in fase di valutazione dell’efficacia effettuate dagli organi interni ed esterni; come ad esempio le verifiche apportate dagli uffici di ragioneria sui provvedimenti di spesa e l’attività di controllo della Corte dei Conti e dei Comitati Regionali di Controllo.

Per quanto concerne il controllo manageriale, in misura diametralmente opposta a quello burocratico, viene implicato un modello aziendale di amministrazione, intesa come sistema coordinato di informazioni, decisioni e operazioni il cui funzionamento deve esser valutato

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non in sé, ma in relazione alla sua capacità di produrre risultati utili per i destinatari dell’azione amministrativa. L’idea di fondo di tale modello è che per obiettivi diversi siano necessari strumenti diversi, motivo per cui non può esistere un modello operativo predefinito valido per il conseguimento degli obiettivi; deve esser reso semplicemente flessibile per potersi adattare meglio alle sfide della complessità che il mercato propone.

I fattori strutturali che hanno determinato il passaggio da una logica burocratica e meramente ispettiva ad un modello manageriale, sono riscontrabili in diverse motivazioni:

- Miglioramento dei processi di trasformazione dei fattori produttivi in servizi

- Raggiungimento degli obiettivi maggiormente legato alla pianificazione strategica ed alla capacità operativa, graduale involuzione degli aspetti ideali o ideologici

- Concorrenza nei servizi pubblici e necessità di maggior coordinamento orizzontale - Maggior focalizzazione sul risultato e non più solo esclusivamente sull’atto in quanto

tale con maggior ascolto delle istanze e dei bisogni dei cittadini

- Superamento delle complessità burocratiche, come fattore chiave per l’esser competitivi; ricerca della minor dispersione della ricchezza, in parallelo alla crisi della burocrazia come classe sociale

Il controllo manageriale quindi consiste nell’applicazione di metodi e strumenti necessari a valutare la razionalità tecnica, la convenienza economica, le ricadute in termini di benessere della collettività ed infine la sussistenza dell’equilibrio tra diritti e doveri del cittadino rispetto alle organizzazioni politiche ed alle istituzioni.

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Importante talvolta ricordare che il controllo burocratico svolge ancora una propria funzione all’interno dell’Amministrazione Pubblica, in quegli ambiti dove si svolgono funzioni prevalentemente di garanzia e dove i margini di discrezionalità sono ridotti, motivo per cui è consono avvalersi di procedure standard quali ad esempio l’ambito delle certificazioni e quello delle autorizzazioni.

In ultima sintesi, è possibile definire il controllo manageriale come l’anello di congiunzione tra l’apparato burocratico e quello politico, senza il quale i controlli rischiano di rilevare scarsa efficacia nell’attuale contesto istituzionale.

2.1.3. Struttura organizzativa ed informativo-contabile a supporto del controllo

Il sistema di programmazione e controllo accolto in questa sede è basato su una distinzione fondamentale dal punto di vista strutturale, dal punto di vista organizzativo e dal punto di vista informativo-contabile.

La struttura organizzativa del controllo si riferisce all’insieme delle responsabilità economiche e al modo in cui le stesse sono distribuite all’interno dell’organizzazione. Essa necessita della

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preventiva individuazione dei ruoli e delle relazioni intercorrenti tra le singole unità organizzative ai quali assegnare gli obiettivi e rispetto ai quali monitorarne il grado di raggiungimento. Tali centri di responsabilità vengono guidati da un responsabile, il quale deve disporre delle leve decisionali e gestionali necessarie per poter influenzare i risultati conseguiti dal centro di cui è a capo.

Per fornire un quadro chiaro e ben definito dei propri elementi strutturali, sono riassunti qui di seguito gli elementi costitutivi della struttura organizzativa del controllo:

• Il sistema dei ruoli, dei compiti attribuiti alle persone degli organi definiti per far fronte alle attività aziendali

• Le linee di autorità e le altre relazioni formalizzate

• I centri di responsabilità corrispondenti a unità organizzative definite ai fini del controllo di gestione, cioè al fine di indirizzare i comportamenti dei responsabili e delle altre persone inserite in quelle stesse unità organizzative verso gli obiettivi aziendali specificatamente attribuiti

Nella definizione della struttura organizzativa del controllo occorre quindi prendere in esame aspetti legati sia alla profondità con cui il controllo deve spingersi ai vari livelli della struttura, sia alla coerenza tra obiettivi assegnati e leve economiche a disposizione dei responsabili delle unità organizzative14.

La struttura informativo-contabile del controllo invece attiene alle metodologie ed ai modelli di riferimento per il trattamento dei dati e all’efficacia in termini di accuratezza, e più in generale, qualità delle informazioni prodotte in rapporto alle possibili utilizzazioni gestionali;

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supportando il management tramite i diversi sistemi di misurazione fisico-tecnica ed economico-finanziaria degli obiettivi e dei risultati gestionali15. L’elemento centrale della struttura informativa è rappresentato dal sistema delle rilevazioni di contabilità gestionale che esprimono, a consuntivo, i risultati delle operazioni di gestione; riferite sia agli aspetti di dettaglio con particolare riferimento a costi, ricavi e risultati particolari, oltre che alle sottostanti quantità, qualità e tempi a livello fisico-tecnico (contabilità analitica) sia agli aspetti di sintesi a livello economico-finanziario (contabilità generale). Il sistema delle rilevazioni di contabilità gestionale esprime il consuntivo della gestione, ma rappresenta anche la necessaria base di partenza per la definizione degli obiettivi a livello analitico (standard di quantità, qualità e tempi a livello fisico-tecnico) e a livello complessivo aziendale (piani e budget nella necessaria sintesi economico-finanziaria).

Dal successivo confronto tra i risultati della contabilità gestionale e gli obiettivi espressi nel sistema dei piani, dei budget e degli standard deriva la terza tipologia di misurazioni, al fine di rappresentare e analizzare gli scostamenti complessivi e quelli elementari, interpretare le cause ed attuare le azioni correttive: l’analisi degli scostamenti ed il correlato sistema di reporting sono l’essenza del controllo di gestione inteso come controllo-guida volto ad

indirizzare i comportamenti delle persone16. Essi devono indirizzare anche il processo di

formulazione della strategia e la definizione degli obiettivi, dal livello strategico a quello operativo: l’analisi degli scostamenti esprime, in tal senso, anche il sistema di analisi, preventivazione e simulazione delle prospettive, con particolare riferimento alle condizioni organizzative interne, agli scenari ambientali ed alle necessarie sintesi economico-finanziarie.

15 Brunetti G., Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, cit

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2.1.4. La matrice rischi-controlli nelle pubbliche amministrazioni

Ciascuna Pubblica Amministrazione si relaziona rispetto all’ambiente di riferimento esterno secondo una logica di sistema aperto, poiché il funzionamento di un singolo ente dipende da un sistema molto più ampio. L’ambiente esterno all’ente locale è una variabile indipendente, mentre il singolo ente rappresenta la variabile dipendente ed è influenzata da ciò che avviene nell’ambiente esterno; motivo per cui è possibile individuare una serie di fattori condizionanti le dinamiche interne all’ente, quali fattori socio-ambientali, economici, politico-istituzionali e tecnologici-organizzativi. Sostanzialmente i cambiamenti nell’ambiente circostante hanno un impatto diretto sull’ente, poiché impattanti su un rapporto di interscambio continuo, motivo per cui è necessario ottimizzare il rapporto tra il sistema degli obiettivi da raggiungere ed il sistema delle risorse professionali a disposizione dell’Amministrazione Pubblica. Nelle organizzazioni pubbliche prevale, in misura ancora più forte rispetto alle imprese con scopo di lucro, una visione tradizionale del risk management, concentrata quasi esclusivamente sui rischi puri, ovvero sulle minacce: l’obiettivo dello stesso risk management nella fattispecie non si identifica soltanto con l’analisi del grado di rischio a cui è esposta un’organizzazione pubblica/privata, prevedendo una valutazione del presidio dei rischi collegato al sistema dei controlli esistenti e l’introduzione di misure volte a prevenire, contenere e contrastare i rischi identificati. A tal proposito, una combinazione di controlli preventivi e di identificazione ex-post garantisce l’efficacia dell’intero sistema di gestione del rischio; implicando che sia effettuato il matching tra le informazioni emerse dalla valutazione dei rischi e quelle emerse dall’assessment dei controlli interni.

A tale scopo, un efficace strumento è rappresentato dalla matrice rischi/controlli, una metodologia di gestione del rischio capace di fornire una visione immediata del livello di presidio dei controlli sui rischi; come possibile evincere dalla seguente figura:

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Nel quadrante in alto a destra ed in quello in basso a sinistra si posizionano i rischi correttamente presidiati, ossia quelli per i quali il livello dei controlli è commisurato alla gravità del rischio: in questa tipologia di rischi non sono necessarie ulteriori azioni di contrasto, in quanto il sistema dei controlli interni è già capace di intervenire nell’ottica di un utilizzo efficace ed efficiente delle risorse. Nel quadrante in alto a sinistra invece, si posizionano i rischi eccessivamente presidiati, ovvero quei rischi che, pur presentando un grado di gravità basso, vengono sottoposti a controlli eccessivi, il cui eccesso di punti di controllo rappresenta una situazione potenzialmente dannosa in quanto foriera di inefficienze. A tal proposito, è opportuno sottolineare come l’amministrazione debba focalizzarsi non su tutti i rischi ma su quelli significativi, ovvero quelli costituenti un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’organo di indirizzo politico. Infine, nel quadrante in basso a destra della matrice si posizionano i rischi più critici, ossia quelli che presentano un elevato livello di gravità ai quali corrisponde l’incapacità del sistema di controllo interno di presidiarli correttamente: questi rischi critici necessitano di un’azione prioritaria, in quanto dall’azione di mitigazione degli stessi dipendono il successo e le performance future dell’ente.

L’analisi del rischio si articola in tre differenti fasi:

Riferimenti

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