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Verso una psicopatologia specifica del disturbo da uso di sostanze. Studio prospettico sulla stabilità-instabilità dei sintomi psicopatologici dopo tre mesi di non uso di sostanze in comunità terapeutica.

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CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA

VERSO UNA PSICOPATOLOGIA SPECIFICA DEL DISTURBO DA USO DI SOSTANZE. STUDIO PROSPETTICO SULLA STABILITÀ/INSTABILITÀ DEI SINTOMI PSICOPATOLOGICI DOPO TRE MESI DI NON USO DI SOSTANZE IN COMUNITÀ TERAPEUTICA

Candidato

Chiara Iantomasi Prof. Icro Maremmani Relatore

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Indice

1 INTRODUZIONE ... 5

1.1 DISTURBO DA USO DI SOSTANZE (DUS) ... 5

1.1.1 Evoluzione delle diagnosi connesse alla dipendenza ... 7

1.2 FISIOPATOLOGIA DELLA DIPENDENZA E CONDIZIONI PSICHIATRICHE CONNESSE ... 10

1.2.1 Umore e ansia ... 13

1.2.2 Impulsività e perdita del controllo ... 16

1.2.3 Psicosi ... 18

1.3 RAPPORTO TRA DIPENDENZA E PSICOPATOLOGIA ... 20

1.3.1 Verso una visione unificata ... 21

1.3.2 Limiti della visione unificata ... 23

1.4 TIPIZZAZIONE DELLA PSICOPATOLOGIA DEGLI EROINOMANI ... 25

1.5 STABILITÀ DEL PROFILO PSICOPATOLOGICO ... 40

1.5.1 Indipendenza dalla scelta del trattamento ... 41

1.5.2 Indipendenza dallo stato di intossicazione-astinenza ... 42

1.5.3 Indipendenza dal tipo di sostanza utilizzata ... 43

2 SCOPO DELLA RICERCA ... 45

3 MATERIALE E METODO ... 45

3.1 DISEGNO DELLO STUDIO ... 45

3.2 CAMPIONE ... 46

3.3 STRUMENTI DI INDAGINE ... 47

3.3.1 SCL-90 ... 47

3.3.1.1 Sentimenti di autosvalutazione e sentirsi in trappola (W/BT) ... 48

3.3.1.2 Sintomi Somatici (SS) ... 49

3.3.1.3 Sensitività-Psicoticismo(S/P) ... 49

3.3.1.4 Ansia Panica (PA) ... 50

3.3.1.5 Violenza-Suicidio (V/S) ... 50

3.3.2 Questionario anagrafico-clinico ... 50

3.4 ANALISI DEI DATI ... 51

4 RISULTATI ... 52

4.1 GRAVITÀ E TIPOLOGIA DELLA PSICOPATOLOGIA ALL’INGRESSO IN TRATTAMENTO ... 52

4.2 VARIAZIONI DELLA GRAVITÀ DELLA PSICOPATOLOGIA DOPO TRE MESI DI NON USO DI SOSTANZE DURANTE IL TRATTAMENTO IN CT ... 52

4.3 VARIAZIONI DELLA TIPOLOGIA PSICOPATOLOGICA DOPO TRE MESI DI NON USO DI SOSTANZE IN CT ... 53

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5 DISCUSSIONE ... 55

6 CONCLUSIONI ... 58

TABELLA 1. STRUTTURA DELLA PSICOPATOLOGIA DELLA DIPENDENZA ... 72

TABELLA 2. DIMENSIONI PSICOPATOLOGICHE DEL DISTURBO DA USO DI SOSTANZE ... 73

TABELLA 3. VARIAZIONI DELLA GRAVITÀ DELLA PSICOPATOLOGIA IN PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO DA USO DI SOSTANZE DOPO TRE MESI DI NON UTILIZZO DI SOSTANZE IN COMUNITÀ TERAPEUTICA ... 76

TABELLA 4. VARIAZIONI DELLA GRAVITÀ DELLA PSICOPATOLOGIA IN PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO DA USO DI SOSTANZE DOPO TRE MESI DI NON UTILIZZO DI SOSTANZE IN COMUNITÀ TERAPEUTICA ... 77

TABELLA 5. VARIAZIONI DELLA TIPOLOGIA DELLA PSICOPATOLOGIA IN PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO DA USO DI SOSTANZE DOPO TRE MESI DI NON UTILIZZO DI SOSTANZE IN COMUNITÀ TERAPEUTICA ... 78

TABELLA 6. GRAVITÀ DELLA PSICOPATOLOGIA ALL’INGRESSO IN TRATTAMENTO IN PAZIENTI STABILI E INSTABILI DAL PUNTO DI VISTA DELLA TIPOLOGIA PSICOPATOLOGICA ... 79

TABELLA 7. FATTORI PREDITTIVI DI STABILITÀ DELLA TIPOLOGIA PSICOPATOLOGICA IN PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO DA USO DI SOSTANZE DOPO TRE MESI DI NON UTILIZZO DI SOSTANZE IN COMUNITÀ TERAPEUTICA ... 80

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Riassunto

I sintomi psicopatologici nel Disturbo da Uso di Sostanze (DUS) sono generalmente considerati come appartenenti alla sfera della personalità e della comorbidità con I Disturbi Mentali, ponendo una serie di dubbi sull’esistenza di una specifica psicopatologia del DUS. Il gruppo di ricerca VP Dole dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana si occupa da tempo dell’individuazione di una possibile psicopatologia dipendente dai processi tossicomanici e non dall’eventuale comorbidità psichiatrica e che si caratterizzerebbe nei domini dell’umore, dell’ansia e del discontrollo degli impulsi.

Operando una analisi fattoriale su pazienti tossicodipendenti da eroina al loro ingresso in trattamento è stato possibile evidenziare una soluzione fattoriale a 5 fattori. Il primo rappresenta una dimensione depressiva ‘autosvalorizzazione e intrappolamento’ (W/B), il secondo ‘Sintomi somatici’ (SS) è molto simile alla sindrome d’astinenza da oppiacei; il terzo identifica una dimensione di ‘sensitività-psicoticismo’ (S/P); il quarto di ‘ansia panica’ (PA) e il quindi di ‘violenza-suicidio’ (V/S).

Le stesse dimensioni sono state evidenziate in un campione di soggetti all’ingresso in Comunità Terapeutica, e sono risultate indipendenti anche dallo stato di intossicazione/astinenza e dalla sostanza primaria di utilizzo.

Procedendo nella valutazione della specificità delle dimensioni psicopatologiche evidenziate, è stato predisposto un protocollo di studio multicentrico, naturalistico, osservazionale, con doppia valutazione di soggetti in trattamento presso 8 Comunità Terapeutiche Italiane partecipanti

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al progetto VOECT (Evaluation of Therapeutic Community Treatments and Outcomes), a cui hanno preso parte 2533 pazienti. Lo scopo di questo studio è stato di

• stimare la grandezza delle variazioni della gravità e della tipologia della psicopatologia in soggetti che restavano astinenti dalle sostanze da cui erano dipendenti per un periodo di 3 mesi

• ricercare predittori anagrafici e clinici di queste variazioni

I risultati hanno evidenziato come, nonostante che la gravità della sintomatologia psicopatologica dei pazienti si situi al disotto della media del campione di standardizzazione all’ingresso in trattamento, una riduzioni della psicopatologia durante 3 mesi di astensione dalla sostanza nel programma residenziale si osservi in tutte le dimensioni indagate. In particolare, la gravità della psicopatologia sembra diminuire con l’astensione dalle sostanze d’abuso, durante un trattamento in CT, mentre la tipologia della psicopatologia rimane stabile specialmente per le dimensioni PA, S/P e V/S se dominanti all’inizio della permanenza in CT dopo disintossicazione da eroina, alcol o cocaina. Le dimensioni W/BT e SS, essendo le meno stabili potrebbero essere proposte come variabili di stato della psicopatologia del DUS, considerando quindi PA, S/P e V/S come variabili di tratto.

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5 1 Introduzione

1.1 Disturbo da Uso di Sostanze (DUS)

Il Disturbo da Uso di Sostanze (DUS) è un disturbo mentale cronico ad andamento recidivante, che si manifesta attraverso sintomi quali tolleranza, dipendenza, disadattamento sociale, complicanze di ordine somatico e sintomi psicopatologici dovuti o meno alla presenza di una Doppia Diagnosi (DD). Secondo la classificazione del DSM, la tossicodipendenza, per la quale saranno utilizzati, in seguito, i termini di Disturbo da Uso di Sostanze e “addiction” per indicarne la gravità, è stata considerata a lungo il sintomo di un disturbo della personalità, per poi assurgere al ruolo di una malattia psichiatrica indipendente. Sebbene nel corso degli anni, la possibilità di porre diagnosi sia passata dalla necessaria constatazione di dipendenza fisica e sintomi di astinenza alla ricerca di comportamenti legati al craving e al discontrollo comportamentale, a oggi non è ancora stata identificata e descritta una psicopatologia che sia propria del Disturbo da Uso di Sostanze, in quanto tale. Appare, tuttavia, improbabile che il Disturbo da Uso di Sostanze sia l’unica patologia mentale a essere priva di una psicopatologia propria e che ogni aspetto legato alle dimensioni di impulsività, pensiero e affettività debba, per forza, essere inquadrato come indotto dalla sostanza, limitatamente alle fasi di intossicazione-astinenza, o dalla comorbidità psichiatrica. Il termine “craving” è utilizzato per identificare il desiderio irrefrenabile della sostanza d’abuso ed è, da poco, entrato a far parte della lista dei criteri necessari alla diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze. Benché tale aspetto sia centrale nel percorso tossicomanico e fondamentale per la clinica, non esistono studi né

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scale volte all’identificazione dei comportamenti legati alla presenza di craving. Di fatto, il craving è studiato attraverso scale quantitative senza tener conto dell’aspetto qualitativo e cioè della sua traduzione sul piano comportamentale. Va di seguito che non esiste, a tutt’oggi, un corpo dottrinario che prenda in considerazione i rapporti tra la psicopatologia dell’addiction e i comportamenti da craving. La presenza di sintomi, sindromi o franchi disturbi psichiatrici, nelle persone affette da disturbo da uso di sostanze, è decisamente elevata. Le indagini nella popolazione generale rivelano valori di comorbidità attorno al 50% sia per la presenza di disturbi mentali in persone con disturbi da uso di sostanze, sia per la presenza di disturbi da uso di sostanze in persone con disturbi mentali (Kessler e Coll., 1994; Kessler e Coll., 1996), con prevalenza superiore per la dipendenza rispetto al misuso (Kessler e Coll., 1996; Merikangas e Coll., 1998; Swendsen & Merikangas 2000). Le indagini condotte nelle popolazioni cliniche indicano prevalenze molto superiori, fino al 95% di comorbidità psichiatrica in persone con dipendenza da sostanze (Milby e Coll., 1996; Brooner e Coll., 1997). I disturbi più frequentemente chiamati in causa sono quelli dell’ansia, dell’umore e di personalità, in particolare antisociale. La relazione tra il disturbo da uso di sostanze e i disturbi psichiatrici è complessa.

Nella tabella 1 sono riportati condizioni psicologiche e psichiatriche preesistenti, effetti psichici dovuti all’uso di sostanze, processi di dipendenza e conseguenze psichiatriche; la valutazione di questi fattori ci permette di sostenere la tesi dell’esistenza di una psicopatologia specifica del Disturbo da Uso di Sostanze.

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1.1.1 Evoluzione delle diagnosi connesse alla dipendenza

Nel DSM I e II (A.P.A. 1952; 1968) la dipendenza era trattata come disturbo della personalità.

Nel DSM III (American Psychiatric Association,1980) i disturbi da uso di sostanze erano distinti in diagnosi d’abuso e diagnosi di dipendenza invece nel DSM III R (A.P.A. 1987) la diagnosi veniva fatta sulla base di segni e sintomi fisici e comportamentali.

Nel DSM IV (A.P.A. 1994) e nel DSM IV TR (A.P.A. 2000) sono state fatte delle migliorie.

Nel DSM IV TR si fa una distinzione tra disturbi da uso di sostanze (Abuso e Dipendenza) e disturbi indotti da sostanze (Intossicazione e astinenza, ansia, umore, altri disturbi); in base al DSM IV TR si può fare diagnosi di dipendenza quando sono presenti minimo tre criteri tra tolleranza, astinenza e altri comportamenti connessi ad un non controllato uso di sostanze.

È stato dimostrato un alto grado di comorbidità tra i disturbi da uso di sostanze ed altri disturbi psichiatrici. Le varie ipotesi eziologiche a riguardo sono:

1. La dipendenza può essere causata da un disturbo mentale preesistente; 2. La dipendenza può essere alla base dell’insorgenza di altri disturbi

mentali;

3. La dipendenza e gli altri disturbi psichiatrici hanno le stesse cause. Quest’ultima ipotesi fa riferimento a errori di campionatura che possono aver portato ad una errata conclusione.

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Tutte le precedenti ipotesi contribuiscono alla spiegazione della comorbidità dipendenze-disturbi psichiatrici.

Il DSM III fu la prima edizione ad aver trattato la diagnosi di disturbo psichiatrico in presenza di una dipendenza da sostanze. L’affidabilità di queste diagnosi è debole in quanto gli effetti delle sostanze (uso, astinenza, dipendenza) non possono essere distinti in maniera netta dagli effetti di disturbi psichiatrici preesistenti o da condizioni psicologiche precedenti l’ uso di sostanze (Ross e Coll., 1995).

Il DSM IV introduce il concetto di “effetti attesi da intossicazione ed astinenza” ma continua a basarsi su una diagnosi clinica.

Nel DSM III e IV per migliorare l’affidabilità delle diagnosi psichiatriche della dipendenza sono stati introdotti dei test specifici: test per i Disturbi da Uso di Alcool e Disabilità Associate (AUDADIS) (Grant & Hasin 1992),la Valutazione Semi-Strutturata per la Genetica dell’Alcoolismo (SSAGA) (Bucholz e Coll., 1994), la Likert scale (Ries e Coll., 2001) ed il test per l’Indagine Psichiatrica per i Disturbi Mentali e da uso di Sostanze (PRISM) (Hasin e Coll., 1996). In particolare, la PRISM ha mostrato un’ottima affidabilità per la depressione grave indotta da sostanze (Samet e Coll., 2004). Questa miglioria non si applica ai disturbi quali la distimia; mentre l’ affidabilità della diagnosi di disturbi primari e permanenti da ansia è buona, quella mostrata per il disturbo da ansia indotta da uso di sostanze è molto scarsa (Hasin e Coll., 2006).

Un ulteriore limite che riguarda gli studi sulla comorbidità psichiatrica è che viene esclusa la sintomatologia pre-iniziale formulando delle diagnosi categoriche che sono poco sensibili.

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Si è dimostrata una elevata frequenza di sintomi non inclusi del DSM per l’abuso-dipendenza.

A conferma di ciò si ricorda lo studio riguardo le condizioni affettive dello “spettro bipolare soft” presenti nei pazienti con disturbi connessi all’ alcool e agli oppiacei che sottolinea un’alta frequenza soprattutto del bipolare II e dei ciclotimici (Maremmani e Coll., 2003).

Un altro studio ha mostrato le differenze psicopatologiche rilevate tra gli alcoolisti ed i gruppi di controllo, queste differenze riguardano i disturbi dell’umore, dell’ansia e rientrano nella pre-diagnosi (Fein e Coll., 2007).

Il DSM V tiene conto anche del livello sub-sindromico (Nunes & Rounsaville 2006).

La probabilità di divenire dipendenti da sostanze d’ abuso è legata a vari fattori; delle specifiche vulnerabilità psicologiche in assenza di diagnosi psichiatriche potrebbero costituire terreno fertile per influenzare la volontà del soggetto di provare droghe con conseguente dipendenza.

La ricerca di sensazioni, l’impulsività, la disinibizione comportamentale, i temperamenti ciclotimici sono ritenuti predittivi di un conseguente comportamento di dipendenza e di dipendenza da droghe (Akiskal & Mallya 1987; Placidi e Coll., 1998; Sher e Coll., 2000; Maremmani e Coll., 2003; Gerra e Coll., 2004; Akiskal e Coll., 2005; Akiskal e Coll., 2005)

La predisposizione genetica ricopre un ruolo importante. Studi condotti sui gemelli indicano una concordanza che rientra in un range dal 30 al 60% (Reich e Coll., 1998; Kendler e Coll., 2000; Tsuang e Coll., 2001; Kreek e Coll., 2005). Ciò che viene ereditato non è di per sé la dipendenza, ma fattori di predisposizione connessi alla vulnerabilità verso tale disturbo. La

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vulnerabilità può essere specifica per tipo di sostanza, influenzando il metabolismo delle droghe e i recettori delle droghe, ma anche condivisa con altri disturbi mentali (in particolare affettivi), la ricompensa, la resilienza allo stress, la reattività umorale, lo squilibrio nel controllo dell’impulsività (Young e Coll., 2000; Fu e Coll., 2002; Kendler e Coll., 2003; Hasler e Coll., 2006; Ducci & Goldman 2008). Nel campo della dipendenza da sostanze e nella ricerca sul disturbo dell’umore, alcuni di questi tratti sono stati considerati come endofenotipi, collocati tra la clinica e la genetica e i processi neurobiologici che sono alla base della manifestazione di simili disturbi (Hasler e Coll., 2006; Verdejo-García e Coll., 2008).

1.2 Fisiopatologia della dipendenza e condizioni psichiatriche connesse

Le sostanze d’abuso attivano ed inibiscono specifici recettori e circuiti neuronali con conseguenti effetti psichici.

Studi farmacologici, di microdialisi e di neuroimaging, hanno stabilito che le proprietà auto-somministranti di droghe che provocano dipendenza sono associate con l’aumento di dopamina nelle sinapsi formate dai neuroni dell’area tegumentale ventrale del mesencefalo nello striato ventrale (più specificamente nella corteccia del nucleo accumbens) (Di Chiara & Imperato 1988; Pontieri e Coll., 1995; Drevets e Coll., 2001).

Dunque, la sostanza d’abuso è in grado di interferire con un processo che naturalmente si verifica in risposta a eventi motivazionali rilevanti e orientati a garantire il comportamento adattivo. L’aumentata disponibilità di dopamina nella corteccia del nucleo accumbens è associata con l’attivazione di processi finalizzati ad assegnare “la salienza” dei segnali temporalmente e spazialmente associati con la sopravvivenza e il comportamento relativo al

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benessere, incluso il nutrirsi e i rapporti sessuali, la competizione e ciò che è rassicurante (Kelley & Berridge 2002; Hyman 2005; Berridge 2007).

Nel caso di disponibilità e uso di droghe, questa salienza sembrerebbe essere responsabile della caratteristica guidata dallo stimolo del comportamento che crea dipendenza. Lo stimolo, gli eventi e le situazioni naturalmente o artificialmente associati con l’effetto (ricompensa) della droga diventano stimoli condizionati, capaci di indurre desiderio e risposte automatiche di ricerca ed uso di sostanze (Kalivas & Volkow 2005).

Questi sono associati con cambiamenti persistenti nel cervello (mutamenti dell’espressione del gene; cambiamenti nell’architettura e morfologia dei neuroni come una forma di plasticità neuronale) particolarmente nelle aree connesse ai processi della memoria (Pierce & Kalivas 1997; Robinson & Berridge 2001; Carlezon & Nestler 2002; Vezina 2004). Queste aree potrebbero essere attivate sia negli animali che negli umani, attraverso la presentazione di stimoli precedentemente associati con le sostanze abusate, anche molto tempo dopo l’interruzione di uso droghe (Nestler 2002; Robbins & Everitt 2002; Volkow e Coll., 2002).

Sebbene il rilascio di dopamina nella corteccia del nucleo accumbens sembri giocare un ruolo predominante nell’apprendimento associativo, altre aree del cervello e circuiti neuronali sono coinvolti in ulteriori processi che comportano il passaggio dal semplice utilizzo allo stato di dipendenza. In particolare, le cortecce orbitali ventrali e cingolate anteriori nella corteccia prefrontale sono coinvolte nell’attivazione in risposta agli stimoli che sono stati misurati con la salienza (Childress e Coll., 1999; Garavan e Coll., 2000; Wexler e Coll., 2001).

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Per mezzo di tecniche di neuroimaging è stata possibile l’attivazione di queste aree così da essere visualizzate in concomitanza all’esperienza individuale del desiderio nei soggetti esposti a stimoli appropriati. L’entità dell’attivazione metabolica nelle cortecce sia orbito-frontale che anteriore cingolata è proporzionale all’intensità del desiderio indotto attraverso un segnale (Volkow e Coll., 1991; Wexler e Coll., 2001; Volkow e Coll., 2003). Al contrario, il neuroimaging in tossicodipendenti cronici rivela un’immagine di ipo-attività (Volkow e Coll., 1991; Volkow e Coll., 1992; Volkow e Coll., 1992; Volkow e Coll., 1997). L’ipo-attività è inoltre confermata dall’inibizione osservata in risposta a ricompense biologicamente rilevanti, quali i segnali connessi al sesso (Garavan e Coll., 2000) e situazioni sperimentali di presa di decisioni (Kaufman e Coll., 2003).

Inoltre, l’ipoattività sembra essere associata al livello striatale con una riduzione tanto nel rilascio di dopamina quanto nel numero dei recettori della dopamina D2 (Volkow e Coll., 1990; Volkow e Coll., 1993; Volkow e Coll., 2007). Emerge che, nei dipendenti cronici, si crea una condizione di eccessiva reattività agli stimoli connessi alle droghe e una diminuita risposta alla ricompensa naturale o ad altri interessi.

Le droghe di cui si fa abuso, inclusa la cocaina, la metamfetamina e altri stimolanti, attivano l’asse ipotalamico pituitario adrenale (HPA), il quale può essere coinvolto nell’effetto ricompensa e nell’acquisizione di droghe autosomministrate (Piazza & Le Moal 1998; Goeders 2003). Altre droghe come l’alcool, i barbiturici, le benzodiazepine e l’eroina inibiscono l’asse HPA. Per di più, l’astinenza da etanolo, cocaina, oppiacei, nicotina e cannabinoidi è associata alla produzione ed al rilascio di corticotropina (CRF) in zone del

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cervello extra-ipotalamiche. (Sarnyai e Coll., 2001; Weiss e Coll., 2001). I fattori di stress possono sensibilizzare i sistemi CRF extra-ipotalamici, i quali potrebbero risultare in un potenziamento degli effetti ricompensa delle droghe di cui si abusa e influenzare il desiderio e il comportamento di dipendenza (Stam e Coll., 2000). Vi è anche una prova del ruolo svolto dai peptidi CRF nelle sindromi da astinenza prolungata da droghe e nella ricaduta al consumo di droghe (Zhou e Coll., 1996; Frederick e Coll., 1998; Koob 1999; Weiss e Coll., 2001; Koob 2003). I circuiti neuronali e le regioni cerebrali responsabili della dipendenza da droghe sono gli stessi circuiti e le stesse regioni coinvolte in importanti funzioni cognitive ed affettive alla base del benessere psicologico.

Le alterazioni a questi livelli spiegano sia i sintomi tipici della dipendenza che le disfunzioni affettive, cognitive e comportamentali.

Per quanto riguarda l’analisi dettagliata di tali disfunzioni e la relativa clinica, i risultati sono:

1.2.1 Umore e ansia

Le regioni del cervello che caratterizzano la dipendenza da sostanze, incluse le cortecce prefrontali e orbito-frontali e le regioni limbiche sono altrettanto coinvolte nella regolazione dell’umore e del comportamento aggressivo (Baker e Coll., 1997; Dougherty e Coll., 1999; Pietrini e Coll., 2000). Le lesioni nella corteccia orbitale prefrontale potrebbero risultare in una disinibizione comportamentale, impulsività, scarsa capacità di organizzazione, scarsa capacità di giudizio, irritabilità e attrazione verso il rischio, comportamenti che fanno riferimento alla mania (Clark & Davison 1987; Starkstein e Coll., 1987; Stuss 1991; Paradiso e Coll., 1999). Allo stesso tempo studi di neuroimaging hanno mostrato un’attenuazione nel

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funzionamento nelle cortecce laterale e mediale prefrontale e nelle regioni limbiche in quei pazienti affetti da mania (Baxter e Coll., 1985; Baxter e Coll., 1989; Drevets e Coll., 1992; Migliorelli e Coll., 1993; Blumberg e Coll., 1999; Blumberg e Coll., 2003; Elliott e Coll., 2004).

Inoltre, gli studi di neuroimaging condotti su pazienti depressi hanno mostrato un’associazione tra la depressione e le anormalità prefrontali, con una rottura delle reti cortico-limbiche e frontostriatali (Robbins e Coll., 1992). Gli studi di neuro-imaging funzionale nei casi di forte depressione hanno mostrato un ridotto flusso sanguigno e metabolismo del glucosio nella corteccia dorsolaterale prefrontale, nella corteccia mediale frontale e nella corteccia orbitofrontale (Baxter e Coll., 1989; Austin e Coll., 1992; Mayberg 1994; Drevets e Coll., 1999; Drevets 2007), anormalità condivise con i disturbi da dipendenza. I test cognitivi neuropsicologici su pazienti con disturbi dell’umore hanno confermato forti analogie con i disturbi da dipendenze, confermando un comune funzionamento anormale di queste regioni corticali (George e Coll., 1997; Kronhaus e Coll., 2006; Raust e Coll., 2007). La disregolazione dei circuiti dopaminergici osservati nella dipendenza da sostanze (Volkow e Coll., 1990; Volkow e Coll., 1993; Volkow e Coll., 1997) è connessa con le alterazioni dell’umore dei pazienti con dipendenze.

Una sindrome da deficienza della ricompensa caratterizzata da reattività ridotta, tristezza e anedonia, un’incapacità di generare ricompensa da stimoli non correlati alle droghe, è stata descritta in pazienti a seguito di un cronico abuso di sostanze (Blum e Coll., 2000). Dall’altro lato, la disregolazione della dopamina è stata massicciamente coinvolta nella patofisiologia dei disturbi dell’umore (Berk e Coll., 2007).

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Il sistema dello stress neuroendocrino è fortemente implicato nella regolazione dell’umore e nei disturbi dell’umore e dell’ansia, da un lato, (Nemeroff 1992; Stam e Coll., 2000) e nella dipendenza dall’altro (Elman e Coll., 1999; Sarnyai e Coll., 2001; Weiss e Coll., 2001). È riconosciuto che i soggetti con dipendenze manifestano una particolare e persistente suscettibilità ai fattori di stress e ad eventi stressanti che attivano la cascata ormonale dello stress. Questa situazione espone l’individuo sia alla ricaduta che ad altre condizioni psichiatriche sensibili allo stress incluse la depressione e l’ansia (Nemeroff 1992; Stam e Coll., 2000). Infine, un ulteriore nesso neurobiologico tra la dipendenza e i disturbi da ansia/umore a livello molecolare intracellulare potrebbe riguardare il coinvolgimento dei fattori di trascrizione. È stato osservato che, come conseguenza di un ripetuto uso di droghe, il CREB (cAMP Response Element-Binding) viene attivato nel nucleo accumbens (Turgeon e Coll., 1997; Nestler 2004). Il CREB aumenta la trascrizione della dinorfina agonista oppioide endogena K (Cole e Coll., 1995; Carlezon e Coll., 1998).

L’ aumento dell’attivazione di CREB potrebbe davvero essere coinvolto negli stati affettivi alterati che accompagnano i disturbi da dipendenza dato che la stimolazione dei recettori oppioidi K è aumentata negli stati di ansia, depressione ed umore disforico (Carlezon & Konradi 2004).

La frequenza dell’associazione tra dipendenza e disturbi di umore/ansia potrebbe essere spiegata dalle suddette somiglianze e interazioni neurobiologiche. Certamente, la presenza di una disregolazione affettiva, di impulsività, di discontrollo, i disturbi inquadrati nello spettro bipolare dell’umore, potrebbero facilitare l’incontro con una sostanza e l’escalation alla

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dipendenza da essa (Akiskal e Coll., 1995; Perugi & Akiskal 2002; Camacho & Akiskal 2005; Maremmani e Coll., 2006). Si precisa che le alterazioni dell’umore potrebbero essere anche manifestate a seguito di un abuso di sostanze e di dipendenza. In aggiunta all’euforia, all’ansia e alla rabbia associate con le intossicazioni da stimolanti, e la depressione, l’ansia e l’umore disforico che accompagnano gli oppioidi, gli stimolanti e l’astinenza da alcool o sedativi, la persistenza di uno stato depressivo è stata osservata in soggetti con dipendenza da alcool (Schuckit e Coll., 1997; Brook e Coll., 2002; Gilder e Coll., 2004; Conner e Coll., 2005). Per di più, l’induzione farmacologica di umore disforico, di stati misti, di mania e di rapidi cambiamenti dell’umore attraverso l’abuso di sostanze è stata ripetutamente riportata in soggetti con disturbi bipolari, rappresentando uno specifico fattore di rischio per l’aumento della gravità della malattia (Strakowski e Coll., 2000).

L’alcool e gli stimolanti sono le principali sostanze coinvolte negli ultimi, benché l’implicazione di cannabis e nicotina sia stata ugualmente ipotizzata (Henquet e Coll., 2006). “Cambiamenti” simili mostrati a seguito di uso di sostanze sono stati associati con una specifica predisposizione bipolare, sostituendo quindi la dicotomia tra euforia indotta e spontanea (Perugi e Coll., 2002) e interrogando il concetto del DSM di “disturbo dell’umore indotto da sostanze” (Akiskal e Coll., 2003).

1.2.2 Impulsività e perdita del controllo

È stato ampiamente dimostrato che i soggetti affetti da dipendenza mostrano una considerevole difficoltà quando si trovano ad affrontare determinate scelte che implicano un potenziale beneficio personale. Essi

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mostrano una tendenza a scegliere una ricompensa immediata di scarsa entità piuttosto che una ricompensa più stabile e costante il cui raggiungimento è ritardato nel tempo. Ciò è stato osservato in diversi domini non necessariamente connessi all’abuso di droghe, includendo il denaro, la salute e la libertà. La performance registrata da parte di fumatori, alcolisti, dipendenti da cocaina e oppiacei in test comportamentali atti alla valutazione dell’impulsività, quali l’Iowa Gambling Task, Stroop Test, Delay discounting e altri test di inibizione comportamentale, indica un aumento nel livello di impulsività (Madden e Coll., 1997; Vuchinich & Simpson 1998; Kirby e Coll., 1999; Bickel & Marsch 2001; Petry 2001; Fillmore & Rush 2002; Petry 2003; Reynolds e Coll., 2004). La risposta alterata ottenuta ai summenzionati test potrebbe, in realtà, essere associata ad un disturbo mentale o condizioni psicologiche preesistente (Dawes e Coll., 1997; Tarter e Coll., 2004; Kirisci e Coll., 2006; Nigg e Coll., 2006). Nei casi di uso di nicotina, alcool, eroina e cocaina si è vista una azione diretta tra uso di droghe ed aumento dell’impulsività (Petry 2001; Bornovalova e Coll., 2005; Reynolds 2006; Vassileva e Coll., 2007). Oltretutto è stato osservato che i tassi di non considerazione potrebbero decrescere con il tempo dopo l’interruzione dell’uso di sostanze (Bretteville-Jensen 1999; Petry 2001). Le stesse aree del cervello coinvolte nella dipendenza da droghe e nel condizionamento della risposta fisiologica agli stimoli, la decodifica delle emozioni e la segnalazione della valenza (positiva o negativa) della risposta immediata, inclusi il nucleo accumbens, l’amigdala, il pallidum ventrale e i rispettivi circuiti neurali, sono implicati nell’impulsività (McClure e Coll., 2004). La corteccia prefrontale è un’altra regione del cervello connessa alla dipendenza e all’impulsività. Di

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conseguenza, i pazienti con lesioni della corteccia ventro-mediale prefrontale manifestano limitazioni nella presa di decisioni e un modello di disturbo del comportamento quali la perdita di responsabilità famigliari, la perdita di denaro, l’asocialità, l’abuso di sostanze o la dipendenza da droghe e altre azioni impulsive che portano a conseguenze negative. Un ridotto funzionamento del così detto “sistema riflessivo” porta a un comportamento eccessivamente dipendente da un input da altre aree (i.e. l’amigdala). L’impulsività è, dunque, strettamente connessa a un disequilibrio tra due sistemi neurali (impulsivo e riflessivo) (Bechara 2005).

Ad oggi si sa che se le alterazioni del sistema impulsivo riflessivo facilitano l’incontro con le sostanze e l’escalation del loro uso fino a creare dipendenza, i processi neurobiologici connessi alla dipendenza potrebbero modificare ulteriormente tali sistemi, promuovendo l’estensione di “perdita di controllo” da una specifica area problematica del comportamento (perdita del controllo con l’abuso di droghe) ad una più generalizzata perdita o riduzione del controllo inibitorio e dell’impulsività su un ampio, non specificato insieme di comportamenti.

1.2.3 Psicosi

Tra le sindromi psichiatriche, la psicosi è meno frequentemente associata a stati di dipendenza. La psicosi indotta da stimolanti può essere attribuita all’azione di queste sostanze sui circuiti di dopamina ai livelli meso -limbici e meso-prefrontali (Hietala e Coll., 1995; Breier e Coll., 1997; Lindstrom e Coll., 1999; Abi-Dargham e Coll., 2000).

Poiché i sintomi psicotici sono solitamente manifestati a seguito di ripetute somministrazioni di psico-stimolanti, è stata postulata una ipotesi

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basata su un meccanismo di sensibilizzazione (Yui e Coll., 1999), in seguito testata e confermata, negli umani usando il PET e il metodo 11C-Raclopride (Boileau e Coll., 2006). Altri studi hanno misurato il rapporto dose-effetto degli stimolanti con il principio di paranoia (Kalayasiri e Coll., 2006; Kalayasiri e Coll., 2006).

La stretta associazione tra psicosi e dipendenza è confermata dai cambiamenti della percezione e test della realtà solitamente precedenti il principio di allucinazioni sono ascritti ad una indiscriminata attribuzione stimolo-indipendente della salienza agli oggetti esterni e alle rappresentazioni interne; si pensa che questi effetti siano conseguenti ad una interferenza con i normali processi di associazione dell’apprendimento di uno status iperdopaminergico al livello limbico (Kapur 2003). Queste spiegazioni potrebbero essere estese anche ad altre condizioni psicotiche, incluse quelle associate con l’uso di cannabis o altre simili condizioni psichiatriche, quali la mania (Henquet e Coll., 2006).

Comunque, le somiglianze tra l’ipotizzata fisiopatologia della dipendenza e la psicosi non dovrebbero trascurare i fatti secondo i quali le sostanze potrebbero indurre la psicosi anche in assenza di una dipendenza (si veda il metilfenidato nell’ADHD) e che la psicosi non sia associata con sostanze che inducono stati di dipendenza, come l’eroina.

Si è visto che i sintomi di ansia, dell’umore e del controllo degli impulsi (tristezza, irritabilità, disinteresse nelle attività, instabilità affettiva, disforia, irrequietezza, impulsività, difficoltà di attenzione e concentrazione) sono quasi sempre associati alla dipendenza.

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1.3 Rapporto tra dipendenza e psicopatologia

Nella tabella 1 è mostrata l’inclusione di questi sintomi nella clinica dei disturbi da dipendenza; ciò si basa su:

• Pre-esistenza di precursori psicologici / psichiatrici: condizioni quali gli assetti temperamentali, i disturbi mentali pre-iniziali e conclamati che aumentano la vulnerabilità all’uso di sostanze e/o la progressione verso la dipendenza. Tali condizioni potrebbero facilitare l’incontro con le sostanze, come nel caso di disturbi del comportamento o antisociali e di manifestazioni pre-iniziali, o promuovere l’uso di sostanze come osservato nei disturbi del controllo degli impulsi e dell’umore. Gli ultimi potrebbero essere giustificati da una sottovalutazione delle conseguenze da uso di sostanze, dal bisogno di auto-curare un umore disforico (Khantzian 1985), o per la caratteristica auto-stimolante e di auto-miglioramento del predisponente background psicobiologico, come nel caso delle condizioni connesse allo spettro bipolare caratterizzate da instabilità umorale, induzione ambientale di pensiero e comportamento disinibiti e scarsa intuizione. In questi casi, diagnosticati spesso come disturbi della personalità borderline (Akiskal e Coll., 1977; Akiskal e Coll., 1995; Henry e Coll., 2001), la spinta all’auto-miglioramento è facilmente fornita dall’abuso di sostanze. • Le alterazioni di base indotte dalle sostanze che creano dipendenza

potrebbero spiegare le ripetute manifestazioni quotidiane dello status cognitivo ed affettivo alterato come l’irritabilità, i problemi del sonno, l’ansia ed i problemi di attenzione / concentrazione (Martinotti e Coll., 2008).

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• Le manifestazioni psicopatologiche stabili dipendono dalla prolungata interazione delle sostanze con un determinato substrato neurobiologico e la sua reazione reattiva (processi di dipendenza) i cambiamenti potrebbero spiegare sia l’insorgenza di una dipendenza comportamentale sia il peggioramento e/ o l’ insorgenza di altri sintomi psichiatrici.

• Le condizioni predisponenti psicologiche e psichiatriche potrebbero facilitare l’uso di sostanze e attivare processi di dipendenza, il processo di dipendenza a sua volta, agendo sullo stesso background neuronale peggiora le condizioni psichiatriche sui medesimi domini. Tale interazione potrebbe almeno spiegare, in parte, il circolo che si auto-protrae della dipendenza come un disturbo cronico di ricaduta.

1.3.1 Verso una visione unificata

Sulle basi neurobiologiche e psicopatologiche è possibile una prospettiva unificata e integrativa che spiega la patofisiologia e la fenomenologia della dipendenza, includendo i precursori psicologici/psichiatrici, gli effetti acuti da sostanze, i processi di dipendenza e le conseguenze psichiatriche. Questa prospettiva non intende negare l’esistenza della comorbidità, ma piuttosto tentare di spiegare perché la dissociazione dalla psicopatologia a sé stante da quella indotta da sostanze o connessa alla dipendenza potrebbe risultare scarsamente attuabile nella pratica clinica, addirittura apparendo come un inutile esercizio teorico.

Il presumere un’unificata prospettiva estensiva e trasversale nella psicopatologia della dipendenza, un dettagliato bilancio della storia del paziente, la storia familiare, un’osservazione clinica e un follow-up futuro

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potrebbe contribuire alla valutazione dei sintomi coerenti con i precursori psicologici/psichiatrici, gli effetti delle sostanze, i processi di dipendenza e le conseguenze psichiatriche e alla prescrizione di una cura appropriata ed esauriente. Come regola generale, i trattamenti farmacologici solitamente non tengono in considerazione la stretta divisione tra dipendenza e comorbidità. La terapia di mantenimento a base di metadone o buprenorfina, la cura più efficace e diffusa per la dipendenza da oppiacei, è stata associata con i miglioramenti non solo per il desiderio e l’uso di eroina, ma anche nella correlata psicopatologia (Maremmani e Coll., 1993; Maremmani e Coll., 2000; Maremmani e Coll., 2008). In aggiunta questi farmaci sono stati presi in considerazione anche per la cura di alcuni disturbi mentali (Emrich e Coll., 1982; Schmauss e Coll., 1987; Feinberg & Hartman 1991; Laqueille e Coll., 1996; Pani e Coll., 1999; Nunes e Coll., 2004) ed uno specifico approccio integrato alla cura della dipendenza da oppiacei è stato proposto per massimizzare gli effetti degli ansiolitici, degli stabilizzatori anti-disforici e dell’umore prima dell’assuefazione ai convenzionali stabilizzatori dell’umore e ad altri farmaci indicati (Nunes e Coll., 2004; Maremmani e Coll., 2006).

Nella prospettiva dello sviluppo del DSM V, punti controversi che si scontrano con l’approccio ottimale alla comorbidità psichiatrica nella dipendenza (Saunders & Schuckit 2006) sono oggetto di aperto dibattito. Questi punti includono una componente dimensionale nella diagnosi dei disturbi da uso di sostanze (Helzer e Coll., 2006; Helzer e Coll., 2007) la gamma dei sintomi da considerare per la diagnosi (Schuckit & Saunders 2006) , un miglioramento e il dettaglio dei criteri per la comorbidità psichiatrica (Nunes & Rounsaville 2006; Schuckit & Saunders 2006). I rischi e i costi legati

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all’implementazione di grandi cambiamenti nei criteri diagnostici del DSM IV TR sono stati ugualmente indicati, quali le difficoltà nel confrontare la ricerca vecchia e quella nuova, i cambiamenti nei tassi di prevalenza, il bisogno di sviluppare nuovi strumenti diagnostici etc (Nunes & Rounsaville 2006).

Sebbene non si includano sintomi dei domini dell’ansia, dell’umore e del controllo degli impulsi nei criteri diagnostici, una menzione della loro presenza e delle possibili ragioni connesse nella descrizione del DSM V della Dipendenza da Sostanze porterebbe i clinici a trattenersi dal fare diagnosi multiple, doppie e potenzialmente inadeguate.

1.3.2 Limiti della visione unificata

Le sostanze psicoattive mostrano numerose differenze: l’eroina produce un effetto calmante, la cocaina produce eccitazione, la nicotina sembra non indurre disturbi mentali (Hughes e Coll., 2008).

Queste differenti proprietà sono spiegate dalle diverse interazioni delle sostanze psicoattive con le strutture e le funzioni del cervello. I modelli esplicativi della morbidità potrebbero applicarsi in maniera variabile alle diverse sostanze e “l’errata diagnosi” (dovuta all’ erronea attribuzione di disturbi psichiatrici comorbili dei sintomi che appartengono alla dipendenza) potrebbe variare in base alla sostanza. Ad esempio, il modello di auto-cura potrebbe essere adattato meglio alla nicotina, la cui efficacia è stata mostrata nella schizofrenia e nell’ADHD (Sacco e Coll., 2005; Baker e Coll., 2006; Kuehn 2006), anziché ad altre sostanze.

È stato confermato che le manifestazioni psichiatriche hanno un ruolo fondamentale nei pazienti con disturbo da dipendenza da sostanze, essi hanno

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una maggiore comorbidità con i disturbi dell’umore, dell’ansia, del controllo degli impulsi (Regier e Coll., 1990; Kessler e Coll., 1994). Inoltre, è stata osservata una maggiore frequenza di associazione con i disturbi psicotici (Clerici e Coll., 1989; Ross e Coll., 2005).

Ci sono quattro punti da analizzare:

1. la pregressa presenza di un disturbo psichiatrico potrebbe essere la causa o potrebbe facilitare l’insorgenza della dipendenza;

2. i disturbi da uso di sostanze potrebbero essere causa dell’insorgenza di altri disturbi mentali;

3. alla base dei disturbi psichiatrici e alla base dell’uso di sostanze potrebbero esserci le stesse cause;

4. potrebbero esserci errori nel campionamento, nella scelta degli strumenti diagnostici e nell’analisi con conseguenti falsi risultati. In letteratura ci sono molti studi che indagano sulle correlazioni tra l’uso delle sostanze e la psicopatologia; al contrario la letteratura non risolve il dubbio sul possibile legame o meno tra sintomi psichiatrici (specialmente per quanto riguarda l’umore, l’ansia ed il controllo degli impulsi) ed i sintomi centrali della dipendenza (Pani e Coll., 2010).

Infatti, l’applicazione del modello classico di comorbidità psichiatrica nel campo della dipendenza è stato il target della critica concentrata su questioni quali l’alta frequenza di tale associazione, che fa porre la domanda sull’indipendenza delle due condizioni, la difficoltà di sbrigliare quelli che si suppone siano sintomi psichiatrici indipendenti e sindromi da quella che è la psicopatologia centrale della dipendenza, e il sovrapporsi tra i substrati

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biologici e la neurofisiologia dei processi di dipendenza e i sintomi psichiatrici associati con la dipendenza (Maremmani e Coll., 2006; Pani e Coll., 2010).

Su queste basi è stata proposta una prospettiva unificata, prevedendo l’inclusione dei sintomi dei domini dell’ansia, dell’umore e del controllo degli impulsi nella psicopatologia della dipendenza e considerando anche quei sintomi e quelle sindromi che sono al di sotto della soglia per un definito disturbo mentale accessorio, anche se essi condizionano pesantemente la vita quotidiana dei pazienti e spesso richiedono interventi (Maremmani e Coll., 2006; Pani e Coll., 2010).

Dato un simile background e l’incertezza sulla corretta classificazione della sintomatologia come intrinseca del disturbo da dipendenza o come dovuta alla comorbidità è consigliato approcciare la psicopatologia delle persone con dipendenza basandosi sui sintomi espressi dai pazienti piuttosto che iniziare da un livello sindromico prestabilito quale quella della nosografia del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). Partendo da questa base, l’identificazione, nei soggetti con dipendenza, di quelle che sono probabilmente dimensioni composite psicologiche/psichiatriche risultanti dall’associazione spontanea tra sintomi dovrebbe essere considerata una priorità.

1.4 Tipizzazione della psicopatologia degli eroinomani

Per mezzo del questionario dei Sintomi Auto-valutati (SCL 90) sono state studiate le dimensioni psicopatologiche di un campione di 1055 pazienti con dipendenza da eroina (884 maschi e 171 femmine) di età compresa tra i 16

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ed i 59 anni all’inizio della terapia ed il loro rapporto con l’età, il sesso e la durata della dipendenza.

I criteri di inclusione utilizzati comprendono la diagnosi di dipendenza da eroina in base al DSM-IV e la durata della malattia da almeno un anno.

Il campione valutato all’inizio della terapia è stato raccolto presso il dataset della dipendenza di Pisa.

L’età media 30 ± 7 anni (range dai 16 ai 59), 884 (83.8%) erano maschi, 133 (12.6%) con un basso livello di istruzione (inferiore agli 8 anni), 691 (65.5%) mai sposati, 483 (45.8%) disoccupati e 25 (2.4%) inabili al lavoro a causa di problemi di salute.

Tra quelli con un impiego, 295 (28.0%) avevano un lavoro da impiegato e 276 (26.2%) un lavoro da operaio. La durata media della dipendenza è stata di 7.20 ± 6.0 anni. Un totale di 502 (47.6%) ha avuto una dipendenza inferiore ai 5 anni, 272 (25.8%) tra i 5 e i 10 anni, 152 (14.4%) tra i 10 e i 15 anni, 100 (9.5%) tra i 15 e i 20 anni, 29 (2.7%) tra i 20 e i 28 anni.

Tutti questi pazienti erano italiani e sono stati inclusi solo una volta nel campione.

170 (16.1%) hanno iniziato la cura per la prima volta.

La SCL-90 è stata concepita come un questionario di 90 item e valuta la presenza e la gravità dei sintomi di disagio psichico nell'ultima settimana (incluso il giorno in cui avviene la valutazione) (Derogatis e Coll., 1974).

Ad ogni item viene attribuito un punteggio su una scala Likert a cinque punti che va da "Per niente" a "Moltissimo".

Lo strumento si differenzia da altri questionari autosomministrati per la rilevazione del disagio psichico dal momento che misura tanto i sintomi

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internalizzanti (quali depressione, somatizzazione, manifestazioni di ansia) quanto quelli esternalizzanti (quali aggressività, ostilità, impulsività), arrivando a coprire quasi interamente lo spettro psicopatologico.

Le risposte del soggetto vengono interpretate sulla base di nove dimensioni sintomatologiche primarie elencate di seguito:

• Somatizzazione: riflette il disagio derivante dalla percezione di disfunzioni corporee e include sintomi incentrati sugli apparati cardiovascolare, gastrointestinale e respiratorio, oltre a sintomi algici e agli equivalenti somatici dell'ansia;

• Ossessività compulsività: include i sintomi che sono comunemente identificati con la sindrome stessa; gli item indagano la presenza di pensieri, impulsi e azioni sperimentati soggettivamente come persistenti e irresistibili e che sono di natura egodistonica o indesiderati;

• Sensitività interpersonale: si focalizza sui sentimenti di inadeguatezza e inferiorità, autosvalutazione, marcato disagio nelle interazioni interpersonali, estrema ipersensitività rispetto al Sé e aspettative negative riguardo ai comportamenti interpersonali;

• Depressione: i sintomi di questa scala coprono le manifestazioni cliniche della depressione e includono affetti disforici, ritiro dell'interesse nella vita, mancanza di motivazione e perdita di energia vitale, disperazione, pensieri suicidari e altri correlati cognitivi e somatici della depressione; • Ansia: include segni generali di ansia quali nervosismo, tensione e tremori così come attacchi di panico e sentimenti di terrore, apprensione e paura;

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• Ostilità: riflette pensieri, sentimenti o azioni caratteristici della rabbia di cui coprono tutte le modalità di espressione e manifestazione quali aggressività, irritabilità e rancore;

• Ansia fobica: si riferisce a una risposta persistente di paura - per una specifica persona, uno specifico luogo, oggetto o situazione - che viene riconosciuta come irrazionale e sproporzionata allo stimolo e conduce a comportamenti di evitamento o fuga;

• Ideazione paranoide: pensiero proiettivo, ostilità, sospettosità, grandiosità, autoriferimento, paura di perdita dell'autonomia e deliri sono concepite come espressioni primarie di questa sottoscala;

• Psicoticismo: include item indicativi di uno stile di vita introverso, isolato, schizoide, così come sintomi di primo rango della schizofrenia, quali allucinazioni e disturbi del controllo del pensiero ed è concepita come un continuum che oscilla da una moderata alienazione interpersonale fino alla franca psicosi.

Oltre ai punteggi relativi alle specifiche dimensioni sintomatologiche è altresì possibile ottenere tre indici globali creati essenzialmente per fornire maggiore flessibilità nella valutazione complessiva dello stato psicopatologico del paziente e disporre di indicatori di gravità sintomatologica e disagio psichico.

Essi sono:

Global Severity Index (GSI): rappresenta il migliore indice generale dell'intensità o della profondità attuale del disturbo. Esso combina informazioni riguardanti il numero di sintomi riferiti e l'intensità del disagio percepito.

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Positive Symptom Total (PST): costituisce una misura dello stile di risposta e indica se il rispondente ha accentuato o minimizzato il proprio disagio sintomatologico; esso riflette cioè il livello medio di disagio relativamente ai soli sintomi che il soggetto si è attribuito e, come tale, può essere interpretato come un indice dell'intensità sintomatologica;

Positive Symptom Distress Index (PSDI): riflette semplicemente il numero di sintomi riferiti dal soggetto, indipendentemente dall'intensità del disagio ad essi associato. Può essere interpretato come una misura della varietà/ampiezza del quadro sintomatologico.

Un’analisi esplorativa di fattore è stata eseguita sui 90 elementi della SCL. La ratio di pazienti/elementi (11:1) è alta abbastanza da permettere questa analisi in quanto più alta della ratio raccomandata di 10:1. I fattori sono stati estratti usando un’analisi della componente principale (PCA; tipo 2) e ruotando poi questa ortogonalmente per ottenere una struttura semplice.

Questa semplificazione equivale a massimizzare la varianza del carico al quadrato per ciascuna colonna. Per limitare il numero di fattore, il criterio impiegato è stato un autovalore >1.5. Il carico di elementi con valori assoluti di >0.40 sono stati usati per descrivere i fattori. Questa procedura rende possibile minimizzare il caricamento incrociato degli elementi sui fattori. Al fine di rendere i punteggi dei fattori confrontabili, essi sono stati standardizzati in punteggi “z”. A tutti i soggetti è stato assegnato uno dei cinque sottotipi sulla base del più alto punteggio di fattore raggiunto (fattore dominante SCL-90). Questa procedura permette di classificare i soggetti sulla base del cluster sintomatologico più alto. In questo modo è possibile risolvere

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il problema dell’identificazione di un punto estremo per l’inclusione dei pazienti in differenti cluster identificati.

Per poter verificare quanto distinti siano i sottotipi, sono stati analizzati i punteggi “z” di media e il 95% dei CI tra i fattori per ciascun gruppo dominante. È stata eseguita un’analisi discriminante utilizzando i punteggi dei cinque fattori per prevedere l’adesione a ciascun gruppo dominante. In ultimo, è stato fatto un confronto dell’età, del sesso e della durata della dipendenza tra i vari gruppi di fattori SCL-90 dominanti. Variabili continue sono state confrontate tra i gruppi attraverso dell’ANOVA a senso unico seguita dal test post hoc Student-Newman-Keuls F o dal test Kruskal-Wallis quando adatto, e da quelli categorici attraverso l’analisi χ². Tutte le analisi statistiche sono state effettuate usando l’SPSS v. 4.0 (SPSS, Chicago, IL, USA).

Non è stata analizzata la correlazione di età e genere con la SCL-90 prima dell’analisi di fattore perché la SCL-90 è una scala di sintomi e non un test psicologico. Ne risulta che la risposta della scala non è influenzata da età e genere ma dal livello di gravità dei disturbi psichiatrici. L’analisi di fattore è impiegata per riassumere le correlazioni empiriche degli elementi della SCL-90 in dimensioni psicologiche. Dunque, età e genere non entrano nell’analisi di fattore. Comunque, esplorare il rapporto tra le dimensioni psicopatologiche derivata dall’analisi di fattore e dall’età e dal genere è di interesse clinico, poiché potrebbe fornire indizi utili sui profili della psicopatologia specifica per genere e per età in pazienti con dipendenze.

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Usando una PCA esplorativa dei 90 elementi del SCL-90 è stata identificata una soluzione da 5 fattori per il 37.8% della varianza degli elementi (Tabella 2).

1. “Autosvalorizzazione - Intrappolamento”, 29.9% della varianza 2. “Sintomi Somatici” , 4.2% della varianza

3. “ Sensitività - Psicoticismo” , 3.0% della varianza 4. “ Ansia Panica” , 2.15% della varianza

5. “Violenza- Suicidio”, 2.0% della varianza

Il fattore predominante (Autosvalorizzazione-Intrappolamento) comprende sintomi depressivi, ossessivo-compulsivi e psicotici.

Persone depresse con disturbo della dipendenza che vogliono intraprendere un percorso terapeutico spesso riportano sensazioni di autosvalorizzazione. Questi pazienti si sentono abbandonati, senza interessi e senza alcun obiettivo; riportano sensi di colpa e presentano una carica sessuale bassa o assente.

I sintomi ossessivo – compulsivi presentano difficoltà nel prendere decisioni, nel concentrarsi e nel prendere una decisione, inoltre i pazienti presentano una incapacità nella gestione dei pensieri.

In tutti i fattori sono assenti le limitazioni della memoria.

I disturbi del pensiero consistono in sensazioni di solitudine anche quando si interagisce con altre persone.

In ultimo, ma non meno importante, è il sentimento di inferiorità di questi soggetti che si sentono nervosi (ansia libera) e non amano stare soli (ansia fobica).

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Il secondo fattore (somatizzazione) è caratterizzato da tratti ansiosi e somatici, i quali sono una caratteristica dell’astinenza da oppiacei.

Il paziente riferisce dolori muscolari, mal di schiena, pesantezza agli arti, astenia, parestesia. Possibilità di vampate di calore e brividi, nausea e mal di stomaco.

Il sonno appare disturbato e risulta difficile addormentarsi. Si osserva un calo dell’appetito.

Aumento della sensitività interpersonale con conseguente aumento dell’irritabilità.

Il terzo fattore (sensitività e psicoticismo ): i pazienti hanno la convinzione che gli altri controllino ed influenzino i loro pensieri; si delineano dei tratti ossessivo – compulsivi nel fare le cose per la paura di commettere errori; ci potrebbe essere un distacco dalla realtà.

Il quarto fattore (ansia fobica) si riassume con una paura generalizzata insieme al bisogno di evitare luoghi e situazioni per prevenire il panico.

Il quinto fattore (violenza – suicidio) include tratti di aggressività anche verso sé stessi. Questi soggetti soffrono di scoppi di rabbia. Sono eccitati ed inquieti.

Le cinque dimensioni individuate grazie alla nuova fattorializzazione dell’SCL-90 negli eroinomani, all’ingresso in trattamento, non mostrano correlazioni né col genere dei nostri pazienti né con la lunghezza della loro dipendenza da eroina; l’unica variabile che ha differenziato in maniera significativa i gruppi dei pazienti è stata l’ età.

Il rapporto femmine/maschi è 1:3.7 per la dimensione “Violenza-Suicidio”; 1:4.5 per la dimensione “Autosvalorizzazione-Intrappolamento”;

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1:5 per la dimensione “Ansia fobica”; 1:6.4 per la dimensione “Sintomi Somatici”; 1:7.1 per la dimensione “Sensitività Psicoticismo”. Tuttavia, i soggetti più giovani si caratterizzano per le dimensioni “Violenza-Suicidio”, “Sensitività-Psicoticismo” e “Ansia Panico”; quelli più anziani per i “Sintomi Somatici” e “Autosvalorizzazione-Intrappolamento”.

La presenza di un fattore della dimensione depressiva negli oppiomani all’inizio del trattamento non è qualcosa di sorprendente. Esso può essere giustificato da condizioni psicologiche/psichiatriche che precedono o seguono l’abuso della sostanza e la dipendenza. Precursori come la ricerca di sensazioni, l’impulsività, la disinibizione comportamentale, temperamenti iper-ritmici e ciclotimici, tipicamente incorniciati nello spettro dell’umore bipolare, sono tutti stati considerati come predittivi del conseguente comportamento da dipendenza (Akiskal & Mallya 1987; Gerra e Coll., 2004): essi sono tutti candidati che si classificano come possibili facilitatori dell’incontro con le sostanze e dell’escalation alla dipendenza (Akiskal e Coll., 1995; Perugi e Coll., 2002; Camacho & Akiskal 2005; Maremmani e Coll., 2006). Per di più, le alterazioni dell’umore possono seguire l’abuso di sostanze e la dipendenza. Oltre alla depressione, all’ansia e all’umore disforico che accompagnano l’oppioide, l’astinenza da stimolanti, da alcool o da sedativi, è stata osservata la persistenza di uno stato depressivo connesso al ripetuto uso di sostanze con l’alcool e altre sostanze (Schuckit e Coll., 1997; Brook e Coll., 2002) ed è stata avanzata un’ipotesi che è quella di una sindrome da deficienza della ricompensa con anedonia e una difficoltà a trarre piacere da stimoli non connessi alle droghe, entrambe prominenti (Blum e Coll., 2000).

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L’associazione tra disturbi dell’umore e la dipendenza potrebbe implicare una stretta interazione a livello neurobiologico tra fattori predisponenti, processi di dipendenza e conseguenze di questa; distinguere clinicamente una depressione connessa alla dipendenza e una indipendente potrebbe rivelarsi qualcosa di non semplice (Pani e Coll., 2010).

La condizione depressiva degli oppiomani quando richiedono una cura potrebbe svilupparsi in una interazione multifattoriale con una presentazione clinica basata su diverse caratteristiche depressive, la più prominente delle quali sono i sentimenti di autosvalorizzazione-intrappolamento in un angolo.

La seconda dimensione psicologica/psichiatrica mostrata dagli oppiomani quando iniziano un trattamento può essere riconosciuta da sintomi somatici. Questi sono coerenti con quelli osservati all’interno della sindrome da astinenza da oppiacei e sono associati all’ansia. L’ansia è di nuovo una caratteristica principale nella quarta dimensione che risulta da un’analisi fattoriale, nella forma di sintomi connessi all’ansia fobica. L’ansia e l’ansia fobica potrebbero essere correlati alla sindrome da astinenza. La patofisiologia dell’astinenza in realtà si sovrappone con quella del disturbo da panico, come circuito noradrenergico intorno al locus coeruleus è coinvolto in entrambi i casi: l’aspetto cognitivo (deficienza della sostanza vs. paura di morire o di perdere il controllo) solitamente fa la differenza, ma la maggior parte dei soggetti dipendenti confondono i sintomi da panico con l’astinenza.

Comunque, l’ansia non è peculiare nell’astinenza da oppiacei, un’origine connessa alla sostanza è stata indicata nel 20% dei casi di panico, nel 25% in quelli delle fobie sociali, nel 40% in quelli di disturbi

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compulsivi e nel 50% in quelli di agorafobia (Schuckit e Coll., 1997; Torrens e Coll., 2004).

La terza dimensione psicologica/psichiatrica mostrata dagli oppiomani a inizio trattamento è caratterizzata da sensitività e psicoticismo. Il rapporto tra i sintomi psicotici e l’uso di sostanze è stato ampiamente indagato. Il caso più tipico di psicosi in persone con dipendenza è la comparsa di una sindrome simile alla schizofrenia in coloro che abusano cronicamente di stimolanti. Sintomi psicotici sono riportati nel 40% di persone che abusano di stimolanti (Caton e Coll., 2005; Schuckit & Saunders 2006) e nella metà dei dipendenti cronici da cocaina (Brady e Coll., 1991; Satel & Edell 1991). Tali sintomi sono stati osservati anche in assenza di una vulnerabilità psichiatrica connessa a sostanze (Bartlett e Coll., 1997) e può, infatti, essere indotta sperimentalmente (Kalayasiri e Coll., 2006) (Griffith 1970).

I sintomi psicotici potrebbero anche essere associati con l’uso di cannabinoidi, dove i sintomi solitamente prodotti dalla cannabis, quali ansia, spersonalizzazione e derealizzazione (Thomas 1996) aumentano e si riscontra un’associazione con allucinazioni e visioni (Chaudry e Coll., 1991; Hall e Coll., 2004) .

Anche l’alcool è stato associato alla comparsa di sintomi psicotici sia durante la fase di intossicazione che in quella di astinenza (Tien & Anthony 1990) (Tsuang & Lohr 2002).

Comunque, la prevalenza di disturbi psicotici negli oppiomani è bassa. Ciò potrebbe dipendere da una varietà di fattori, quali la difficoltà che gli psicotici cronici manifestano nella regolare interazione con l’ambiente resa inevitabile dal loro bisogno di rifornirsi di droga, o dal glissare su queste il che

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deriva dagli effetti anti-disforici degli oppioidi e dagli oppioidi di effetto prolungato come il metadone nel mascherare la tendenza alla psicosi di alcuni pazienti. Quest’ultima spiegazione è coerente con l’esistenza di una sindrome di astinenza da oppiacei (Levinson e Coll., 1995). La maggioranza dei soggetti psicotici che sviluppano dipendenza da oppioidi hanno più probabilità che venga diagnosticata loro una sofferenza da immagini borderline, disturbi psicotici intermittenti quali il bipolarismo I, o immagini atipiche che comprendono una psicosi prodotta da sostanze. Per di più, dato l’alto tasso di un attuale abuso di droghe psicotomimetiche, quali la cannabis, delle lievi sindromi psicotiche potrebbero essere frequenti su basi psicometriche, anche quando sottostimate su basi cliniche (Thomas 1996; Hall e Coll., 2004).

In ultimo, la quinta dimensione psicologica/psichiatrica mostrata dagli oppiomani all’inizio della cura è più agevolmente identificata attraverso comportamenti violenti e aggressività diretta a sé stessi. Aggressività e comportamenti autolesionistici non sono incompatibili, spesso corrono paralleli, in quanto entrambi alimentati da impulsività, che spesso riflette la gravità dell’intossicazione da oppiacei (Maremmani e Coll., 2007).

La performance di fumatori, alcoolisti, cocainomani e oppiomani nello svolgimento di compiti comportamentali studiati per misurare l’impulsività, quali l’Iowa Gambling Task, lo Stroop Test e atri test di inibizione comportamentale, indica un aumento nel livello di impulsività (Vuchinich & Simpson 1998; Bickel e Coll., 1999). La risposta alterata a questi test potrebbe facilmente dipendere da un soggiacente, disturbo mentale precedentemente attivo o condizioni psichiche precoci (Dawes e Coll., 1997; Nigg e Coll., 2006). In aggiunta, i dati coerenti con l’azione diretta di droghe nell’indurre

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impulsività sono stati riportati per i casi di uso di nicotina, alcool, eroina e cocaina (Bickel e Coll., 1999; Petry 2001; Vassileva e Coll., 2007).

Le persone con strutture di una personalità impulsiva e un più precoce coinvolgimento nell’uso di droghe sono quelle che sembrano sviluppare le più gravi sindromi da astinenza, suggerendo che l’equilibrio e il controllo da parte dell’oppiaceo sull’aggressività condividano le stesse radici. Prima del manifestarsi della dipendenza, i soggetti impulsivi mostrano una tendenza all’aggressione, ma anche una disposizione verso il rischio, incluso quello dell’uso di droghe.

Nel contesto dell’uso di droghe, questi soggetti mostrano una tendenza a spostarsi più velocemente verso una più rapida transizione alla tolleranza (assuefazione) e ad un uso regolare di droga. Una volta che la dipendenza si è sviluppata, i due tipi di danno corrono paralleli e rispecchiano la gravità della dipendenza stessa, insieme al comportamento perturbatore associato con la ricerca di droga. Anche nel caso dell’impulsività, di rabbia e violenza, è spesso impossibile distinguere quelle che sono condizioni psicologiche/psichiatriche precoci da quelle che seguono gli effetti delle sostanze, i processi di dipendenza, le conseguenze psichiatriche e le loro interazioni.

Fra i dati demografici, lo stato civile, il grado di istruzione, le condizioni economiche e la condizione abitativa (da solo o in famiglia) non hanno mostrato relazioni con le dimensioni sintomatologiche .

Tutti e cinque i sottogruppi sintomatologici tendono a usare alcol, depressori del SNC, cannabinoidi, inalanti e metadone illegale come co-sostanze d’abuso. I pazienti che si caratterizzano per “Ansia Panico” dichiarano di usare, con maggiore frequenza, anche stimolanti del SNC,

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mentre quelli che si caratterizzano per i “Sintomi Somatici” tendono a non usare allucinogeni.

Il poliabuso è massimo negli eroinomani con comorbidità per disturbi d’ansia e depressivi . L’uso della combinazione eroina-cocaina si ritrova nella comorbidità psichiatrica degli eroinomani, ma correla negativamente con il loro giudizio di gravità .

D’altra parte, gli psicostimolanti sono in grado di scatenare attacchi di panico ma probabilmente anche uno scompenso oppiaceo può farlo, come si deduce dal fatto che gli antagonisti oppiacei possono indurre attacchi di panico in soggetti non tossicodipendenti e che gli agonisti oppiacei hanno un effetto antipanico.

Nessuna correlazione è stata osservata con l’assunzione di eroina, giornaliera o meno; con la modalità d’uso ‘da stabile’, mantenendo cioè una sufficiente integrazione sociale; con l’essere arrivati allo stadio finale della tossicodipendenza da eroina, caratterizzato dalla perdita di controllo sulla sostanza e ripetuti fallimenti terapeutici. L’assenza di correlazione è stata verificata anche con la presenza di problemi psicosociali precedenti l’uso di eroina e con il fatto che il soggetto abbia o meno interrotto l’uso di sostanza spontaneamente durante la sua storia tossicomanica.

Nei pazienti di questo studio, la storia dei precedenti trattamenti e la presenza o meno di una doppia diagnosi non mostrano correlazioni con la sotto-tipizzazione psicopatologica operata.

Stratificando le diagnosi, i pazienti bipolari tendono ad essere più rappresentati negli eroinomani caratterizzati da “Violenza-Suicidio” e meno rappresentati in quelli caratterizzati da “Sensitività-Psicoticismo”.

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Nel periodo di somministrazione del questionario non era in corso alcuna sindrome di astinenza o intossicazione ma l’assenza di analisi delle urine complete ha ostacolato l’affidabilità diagnostica per alcuni soggetti.

I profili dei 1055 soggetti sono stati basati su un’autovalutazione che potrebbe non coincidere per alcuni elementi del SCL-90 con una valutazione oggettiva da parte di un operatore. Ciò può accadere in quanto si tratterebbe di una stima oggettiva eterogenea.

Altro limite è che lo studio comprende soggetti eroinomani che sono in cura e taluni sintomi variano in base allo stadio della malattia, ne conseguirebbe una sovra- o sotto- stadiazione del campione.

Non è stata possibile una diagnosi psichiatrica su basi metodologiche poiché le fonti dei dati sono eterogenee.

Per concludere, l’analisi fattoriale dei risultati dell’ SCL-90 su un campione di eroinomani ha identificato cinque domini psicopatologici; questi sono capaci di differenziare i tossicodipendenti dai pazienti affetti da depressione maggiore.

Pertanto, sembra esistere una psicopatologia propria della tossicodipendenza che si manifesta attraverso particolari sintomi affettivi, ansiosi e di discontrollo degli impulsi.

Per i pazienti con malattie mentali o per i pazienti con una disposizione subclinica a disturbi mentali, l’abuso di droghe potrebbe giocare un ruolo amplificatore, portando a quadri clinici conclamati o più gravi. La combinazione tra sindromi pre-iniziali e l’amplificazione connessa all’eroina potrebbe portare a ciò che originariamente è stato etichettato come una personalità tendente alla dipendenza, la quale è stata per lo più derivata

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dall’osservazione di persone che si erano già sottoposte ad un’esposizione cronica a sostanze e sviluppato malattie da dipendenza. In chiusura, l’interazione tra i differenti fattori summenzionati dovrebbe essere considerata nella spiegazione della presenza di una psicopatologia negli oppiomani che richiedono una cura.

Inoltre, l’ipotesi che la disregolazione dell’umore, dell’ansia e del controllo degli impulsi sia proprio al centro sia delle origini che della fenomenologia clinica della dipendenza dovrebbe essere presa in considerazione, così come il ruolo cruciale giocato dalle manifestazioni psichiatriche man mano che la dipendenza avanza (Pani e Coll., 2010)

È necessaria un’ulteriore ricerca che confermi i risultati della nostra ipotesi in modo da chiarire le differenze tra i gruppi.

1.5 Stabilità del profilo psicopatologico

Il problema principale legato all'identificazione di una specifica psicopatologia dell'HUD (dipendenza da eroina) è la necessità di determinare se questa soluzione a cinque fattori ottenuta da un campione di individui dipendenti da eroina (HUD) che iniziano la terapia con oppioidi agonisti fosse il primo risultato della condizione specifica di questi brevetti o se sussiste indipendentemente dalla richiesta di trattamento.

Si sono considerate delle variabili come la scelta del trattamento, il principio attivo, i problemi psichiatrici nel corso della vita, la sostanza scelta e le principali condizioni psichiatriche. Per fare ciò si sono usate due diverse coorti di pazienti:

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