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Stage IV Chronic Kidney Disease in a patient with type 2 diabetes

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Academic year: 2021

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CASO CLINICO DI NEFROPATIA DIABETICA

Donna di 54 anni con 15 anni di storia di diabete mellito di tipo II.

 Quattro anni prima era stata fatta diagnosi di microalbuminuria (a quel tempo la creatininemia era di 1,1 mg/dl).

 Ora la proteinuria giornaliera è aumentata fino a 1,8 g/die (è raro che una proteinuria del diabetico arrivi al range nefrosico, 3,5 g/die).

Contemporaneamente la creatininemia aumenta a 3,1 g/dl.

C’è quindi stata una progressione rapida della nefropatia diabetica.

Ricordiamo che l’evoluzione della nefropatia diabetica comporta due aspetti: • progressione della proteinuria;

• progressiva riduzione del filtrato glomerulare e aumento della creatinina La progressione di queste due alterazioni non è sempre parallela.

In questo caso c’è stata una progressione abbastanza rapida del calo del filtrato glomerulare (GFR), che risulta essere piuttosto ridotto (26 mL/min).

Ricordiamo che:

GFR > 90 mL/min è normale. Nelle prime fasi della nefropata diabetica la GFR è normale o aumentata  iperfiltrazione del diabetico nelle fasi iniziali. Se è

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presente microalbuminuria/proteinuria siamo nello stadio I dell’insufficienza renale cronica che modernamente definiamo malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) per sottolineare il danno renale (aumentata permeabilità della membrana glomerulare  albuminuria) anche in presenza di normale velocità di filtrazione glomerulare.

GFR 60-90 mL/min non è associato a conseguenze cliniche, la maggior parte degli anziani non nefropatici presenta GFR in questo range. Se è presente

microalbuminuria/proteinuria siamo nello stadio II della CKD GFR < 60 mL/min è patologico e si associa a complicanze.

GFR 30-60 mL/min in questo range si trova la maggior parte dei pazienti con insufficienza renale cronica che presentano le tipiche complicanze croniche (anemia, ipertensione e aterosclerosi accelerata, iperpotassiemia e acidosi metabolica, iperfosfatemia, osteopatia da iperparatiroidismo secondario), stadio III della CKD

GFR < 30mL/min grave insufficienza renale con difficile controllo delle complicanze, stadio IV della CKD.

GFR < 15mL/min insufficienza renale terminale (End-Stage Renal Disease, ESRD). con necessità di preparare alla dialisi (terapia sostitutiva della funzione renale) o al trapianto, stadio V della CKD . Clinicamente il paziente può presentare il quadro dell’uremia terminale.

Le strade sono tre:

1. terapia conservativa, ovvero si aspetta e si vede; 2. dialisi (emodialisi o dialisi peritoneale domiciliare) 3. trapianto

La nostra paziente però ha GFR di 26mL/min, ed è quindi sicuramente destinato ad una terapia conservativa. Gli obiettivi della terapia, fondamentalmente, sono tre.

Il primo è il controllo delle complicanze che sono piuttosto serie e gravi

L’altro è ovviamente cercare di rallentare la progressione. I meccanismi per farlo sono uso di ACE inibitori; controllo della pressione arteriosa; controllo del contenuto proteico della dieta ad una quantità minima per mantenere il bilancio azotato e prevenire la malnutrizione, 0.8 g/kg/die, controllo del contenuto di fosfati nella dieta. Ulteriore obiettivo terapeutico per queste persone è un aggressivo trattamento dei rischi cardiovascolari. Questi pazienti hanno un aumento dei fattori di rischio cardiovascolare che aumenta la prevalenza di questi eventi riducendone l’aspettativa di vita.

CONTROLLO DELLE COMPLICANZE, RALLENTARE LA PROGRESSIONE E IL CONTROLLO DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE.

Terapia farmacologica

I farmaci che questa signora del caso clinico sta assumendo correntemente sono gli ipoglicemizzanti orali, gli ACE inibitori, la statina e i diuretici tiazidici.

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Abbiamo detto che gli ACE inibitori vanno usati con molta cautela, perché

potrebbero far precipitare ulteriormente filtrato glomerulare già ridotto e questo porterebbe ad effetti gravissimi in questa signora. Devono essere usati con grande cautela. Per la statina non c’è problema, non ha alcuna interferenza con la

funzione renale; anzi, è doveroso utilizzarla. Per quanto riguarda il diuretico tiazidico semplicemente non funzionerà. Per avere un effetto diuretico bisognerà utilizzare la Furosemide (diuretico dell’ansa) ad alto dosaggio (l’efficacia della furosemide è ridotta in caso di riduzione del GFR e la dose deve essere

aumentata). In farmacia troveremo Lasix compresse da 25mg e fiale 20mg, che sono quelle solite, e accanto troveremo delle confezioni piuttosto voluminose di fiale da 250mg, da 500mg e compresse da 250mg che sono appunto destinate a questo tipo di pazienti. Chi ha un’insufficienza renale avanzata, decuplica la dose di furosemide perché semplicemente ha pochi nefroni funzionanti e di

conseguenza la dose deve essere aumentata in maniera adeguata. Questo è un problema quando ci si trova con un paziente del genere che presenta un edema polmonare acuto, di cui abbiamo già parlato. Ci troviamo in una situazione per cui abbiamo bisogno di un effetto diuretico importante e rapido ma incontriamo una forte resistenza. Dall’altra parte bisogna fare attenzione ad utilizzare i diuretici, perché si potrebbe generare un’insufficienza renale acuta pre-renale, a volte si dice insufficienza renale acuta su cronica.

L’altro problema è l’ipoglicemizzante orale, con filtrati di questo tipo non si possono utilizzare gli ipoglicemizzanti orali, bensì si utilizza l’insulina. Forse le Glinidi potrebbero ancora essere usate ma il filtrato è piuttosto basso, quindi meglio l’insulina.

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I questa slide si trova un condensato delle diverse funzioni del rene e la relazione tra struttura del nefrone e la funzionalità renale.

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Il dosaggio della creatininemia rappresenta il principale strumento per la valutazione della funzione renale; è necessario quindi conoscere alcuni aspetti del suo metabolismo.

METABOLISMO DELLA CREATININA

PRODUZIONE MUSCOLARE  ESCREZIONE RENALE

La creatinina è un metabolita del muscolo scheletrico. Viene rilasciata dal

muscolo in quantità proporzionale alla sua massa ed eliminata con le urine. Filtra liberamente attraverso la membrana glomerulare e non viene riassorbita dai tubuli. La creatininuria è quindi un indice di quantità di massa muscolare

presente in una persona. La creatininemia rappresenta il risultato del bilancio tra produzione muscolare (generalmente costante nel tempo) e escrezione renale (varia in base alla GFR). Quando il rene comincia ad avere un filtrato ridotto la creatinina si accumula.

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Il concetto base è che non esiste una linearità assoluta tra l’aumento della

creatinina plasmatica e la riduzione del filtrato glomerulare. Il filtrato glomerulare si misura con la clearance della creatinina, il gold standard è la clearance della inulina e se volete esiste anche un tracciante radioattivo, il 51Cromo-EDTA. Di

prassi quando si pubblicano studi sul filtrato glomerulare viene richiesta questa metodica accurata con il 51Cr-EDTA che è un tracciante radioattivo. Il numerino in

alto a sinistra sta a significare che si tratta di un isotopo del cromo (emissione beta e gamma).

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Quando si misura il filtrato glomerulare, ci si avvale di due formule:

La MDRD (modification of diet in renal disease) che è stata prodotta dalla società americana di malattie renali (in quadri di danno lieve tende però a sottostimare la funzionalità renale)

La Cockcroft-Gault

Vengono utilizzate senza preferenza per una o per l’altra (specificando quale si usa): il principio di fondo è usare una formula che tenga conto della massa muscolare del soggetto, l’età e il sesso (una minima differenza per la razza non rilevante); la Cockcroft-Gault inserisce anche il peso del pz (è però da aggiustare il parametro in caso di pz obeso od edematoso perché il coefficiente è pensato su una composizione corporea ideale). Sono sicuramente delle formule imprecise ma sono sufficienti per indicare molto bene la clearance della creatinina e la velocità di filtrato glomerulare. Si ragiona sempre in questi termini, come filtrato calcolato quando vogliamo valutare la funzione renale.

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Creatinina, GFR e danno renale

Soffermiamoci un momento sul dato GFR: la velocità di filtrazione glomerulare è un dato fondamentale per le valutazioni nefrologiche; il fisiologo insegna

giustamente ad associare GFR e clearance della creatinina, ma nella pratica clinica questo è molto scomodo e dispendioso: ad oggi si utilizzano delle formule matematiche che prendono inconsiderazione diversi parametri che ci

permettono di valutare GFR a partire solamente dalla creatinina sierica. Quello che è importante capire è che creatinina sierica e GFR non hanno un rapporto lineare:

A livelli fisiologici di creatinina, un aumento di 0,2 mg/dl della creatinina (da 0.8 a 1 mg/dl) non modifica di molto il GFR

A livelli più alti, lo stesso aumento di creatinina sierica (da 1,5 a 1,7mg/dl) implica un grave peggioramento del GFR

Nel nostro caso, l’aumento di creatinina sierica è stato di fatto drammatico: 4 anni fa la creatinina era 1,1mg/dl (a cui si associa una GFR di circa 100

ml/min), oggi una creatinina di 1,8 mg/dl [in realtà nel caso clinico la creatinina risulta 3,1 mg/dL] comporta una GFR di 26 ml/min (stato predialitico). È fondamentale

quindi non soffermarsi alla semplice variazione quantitativa della creatinina

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sierica, ma di contestualizzare l’avvenimento.

Cos’è la creatinina? È un metabolita del muscolo. La fosfocreatina è un substrato energetico di pronto utilizzo del muscolo; la creatina è un precursore della

fosfocreatina. La creatinina è il metabolita finale di questo sistema energetico: la sua produzione muscolare è costante nel tempo ed è uno specchio della quantità di muscolo; tanta più massa muscolare uno ha e tanto maggiore è la creatinina uno produce (tanto più non viene catabolizzata ma solo escreta). È quindi un ottimo marker di funzione muscolare oltre che di massa muscolare (volendo si può misurare la creatininuria per misurare la massa muscolare).

I livelli di creatinina dipenderanno quindi da due variabili:

La funzione renale, se è ottimale la velocità di escrezione della creatinina è normale e viene correttamente eliminata

La massa muscolare; a parità di funzione renale ottimale, una donna con scarsa massa muscolare può avere tranquillamente 0,7 mg/dl di creatinina, un culturista maschio può avere anche 1,4 ma questo non significa che abbia una funzione renale peggiore della donna

Se mettete assieme il filtrato glomerulare, normale è sopra i 90 ml/min, sotto i 60ml/min inizia ad essere significativamente ridotto e sotto i 30 ml/min

gravemente ridotto, la relazione è tutt’altro che lineare. Noi infatti potremmo avere una creatinina discretamente conservata per filtrati glomerulari

significativamente compromessi. Quando il filtrato è decisamente compromesso, mettiamo 40 ml/min, ogni piccola variazione di filtrato ecco che provoca una impennata della creatinina.

La creatinina, quindi, ci da soltanto un’idea di quello che succede nel rene perché il suo livello è determinato anche dalla quantità di muscolo scheletrico che ha una persona. Un valore di creatinina di 1,3 mg/dl può essere perfettamente normale in un culturista alto 1,90 m che pesa 120kg con larga prevalenza di massa magra (muscolo), mentre lo stesso valore in un’anziana di 40 kg indica una condizione profondamente diversa. Bisognerebbe fare il filtrato glomerulare a tutti ma questo non si può fare, per cui si sono introdotte queste formule per stimare la GFR.

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Queste sono le fasi dell’insufficienza renale cronica.

La gravità si incrementa sensibilmente dallo Stadio III in cui abbiamo un filtrato sotto i 60mL/min. Al di sotto dei 60 significa che le complicanze cominciano ad essere evidenti. Ovviamente lo saranno ancor di più sotto i 30 e i 15,

rispettivamente Stadio IV e Stadio V. Stadio I: >90mL/min

Stadio II: 89-60mL/min Stadio III: 59-30mL/min Stadio IV: 29-15mL/min Stadio V: <15mL/min

La prevalenza dell’insufficienza renale cronica è piuttosto elevata, nella

popolazione globale è tra il 10-13%, paragonabile a quella del diabete di tipo II. Le cause di gran lunga più frequenti sono Diabete e Ipertensione.

Riflessione sui filtrati normali. Perché segnalano uno Stadio I o addirittura Stadio II con filtrati tra 60 e 90 o perfino sopra i 90? Qual è il significato? Sopra i 90 è normale, addirittura uno che ha 100-110 è iperfiltrante. Si dice che malgrado un

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filtrato normale un soggetto può avere un’insufficienza renale cronica in Stadio I o II, qualora presenti dei segni e delle evidenze di danno renale. Questa definizione a volte si impara a memoria senza porre la giusta attenzione al significato. Cosa significa avere un danno renale con filtrato normale? Significa per esempio avere la microalbuminuria, un diabetico che ha un filtrato normale o addirittura che è iperfiltrante, ma ha la microalbuminuria è in Stadio I.

Questo non vuol dire che dobbiamo sovraccaricare gli ambulatori specialistici di nefrologia, semplicemente si tratta di allertare il medico di medicina generale al fine che ponga attenzione al fatto che la signora ha una nefropatia in fase iniziale che sta progredendo. Il fine è allertare il curante, oltre alla paziente.

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Nella maggioranza dei casi questo famoso danno renale significa avere

proteinuria o ematuria. Le glomerulonefriti, che a volte portano ad ematuria glomerulare, sono molto rare. Un’altra causa può essere qualcosa di evidenziabile all’ecografia, per esempio un rene policistico.

Nella maggioranza dei casi però riferendoci al danno renale stiamo parlando di proteinuria.

La distribuzione di questi pazienti con insufficienza renale cronica ci dice che per lo più si trovano in Stadio III.

Abbiamo la proteinuria e l’ematuria come segni di danno renale. Abbiamo parlato abbastanza di proteinuria nelle lezioni sul diabete, si divide in microalbuminuria, macroalbuminuria e range nefrosico.

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Ematuria

Dal punto di vista internistico possiamo dividere l’ematuria in:

INTRARENALE o glomerulare, che si evidenzia al microscopio con cilindri eritrocitari ed emazie dismorfiche. → segno di glomerulopatia.

Quando sono presenti ematuria glomerulare e proteinuria contemporaneamente la presenza di danno glomerulare è certa.

[DA SLIDE: All’interno di questa categoria le cause di sanguinamento sono diverse: Trauma renale

Calcoli renali e cristalli

Glomerulonefriti (specialmente da deposito di IgA) Nefrite tubulo-interstiziale

Rene policistico Necrosi papillare Infezione (pielonefriti) Neoplasia renale]

Extrarenale, più numerose sia come frequenza che come eziologia. A questa categoria appartengono:

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Calcoli nelle vie urinarie

Neoplasia (tipicamente si presenta con ematuria isolata, senza sintomi, a differenza delle altre due)

Una nicchia è rappresentata dalle ematurie glomerulari che però riguardano più che altro l’IRA e la sindrome nefritica

Trauma da catetere

Farmaci: captopril, cefalosporine, ciprofloxacina,FANS, furosemide Esposizione ad agenti tossici]

La presenza di sangue nelle urine può derivare da un punto qualsiasi del tratto urinario. Una prima divisione si può fare tra:

l’ematuria visibile (in cui vengono colorate le urine)

non visibile (dove il ritrovamento di materiale ematico avviene tramite stick o microscopio).

L’ematuria è a sua volta suddivisa in:

sintomatica (associata a disuria, pollachiura)

calcolosi delle vie urinarie, infezione delle vie urinarie

asintomatica potrebbe esserci un problema neoplastico a livello di rene o vescica). Nello studio del paziente bisogna:

Escludere cause transitorie come mestruazioni ed intenso esercizio fisico Valutare GFR, creatinina e proteinuria

Considerare la possibilità di tumore, soprattutto in assenza di altri segni e sintomi In pz in terapia anticoagulante/antiaggregante, non attribuire l’evento ai farmaci in prima battuta, ma

indagare approfonditamente il caso

Analisi delle urine alla ricerca di cellule infiammatorie/tumorali, cilindri o cristalli Interpellare il nefrologo se il quadro clinico è in rapido peggioramento o se presenti proteinuria, cilindri o cellule dismorfiche

Pazienti con un solo episodio di ematuria (visibile o non visibile sintomatica) e pazienti con ematuria non visibile asintomatica e persistente richiedono delle indagini più approfondite, che saranno prescritte

dall’urologo se

Pz di qualsiasi età con ematuria visibile o ematuria non visibile sintomatica Pz sopra i 40 anni con ematuria asintomatica non visibile persistente dal nefrologo se

Pz di età inferiore a 40 anni, con ematuria visibile, urine marroni e recente infezione

Pz di età inferiore a 40 anni, con ematuria non visibile asintomatica persistente, PA>140/90, GFR<60 ml/min, ACR>30 o PCR>50

Tutti gli altri casi dovranno essere seguiti con un controllo annuale che prevede stick urine, valutazione della PA, GFR e proteinuria.]

Una valutazione dell’ematuria suggerisce ovviamente una nefrolitiasi quando

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inizialmente c’è un dolore monolaterale tipico. Se questo dolore è assente il

sospetto è quello di infezioni delle vie urinarie e a quel punto si farà l’urino-coltura o lo stick urine che se positivo per globuli bianchi o per nitriti ci può indirizzare verso l’infezione urinaria e poi l’urino-coltura ci può avviare verso la terapia specifica.

Legenda slide

AXR radiografia diretta dell’addome

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Nell’immagine sottostante troviamo uno schemino sul colore delle urine. Ci distrae un po’ perché stiamo parlando di situazioni abbastanza rare, però insomma il colore delle urine è importante perché esiste un’ematuria che si evidenzia con urine del colore delle provette in immagine, oppure ancora

sappiamo che quando c’è un ittero colestatico ci può essere una bilirubinuria che non va confusa con l’ematuria.

Una valutazione dell’ematuria suggerisce ovviamente una nefrolitiasi quando inizialmente c’è un dolore monolaterale tipico. Se questo dolore è assente il sospetto è quello di infezioni delle vie urinarie e a quel punto si farà l’urino-coltura o lo stick urine che se positivo per globuli bianchi o per nitriti ci può indirizzare verso l’infezione urinaria e poi l’urino-coltura ci può avviare verso la terapia specifica.

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L’ematuria può essere di origine renale, le cause sono diverse (vedi immagine precedente).

Un’ematuria di origine glomerulare è piuttosto rara ed è sempre indice di glomerulopatia. Di solito un’ematuria di origine renale è associata a queste alterazioni che sono:

i globuli rossi dismorfici all’osservazione diretta, in immagine vediamo un tipico vetrino di urina

e poi ci sono i cilindri eritrocitari che sono tipici dell’ematuria glomerulare. Ovviamente ci possono essere in accompagnamento altri elementi che possono suggerire una glomerulopatia, l’albuminuria per esempio. Quando noi vediamo ematuria glomerulare più albuminuria sappiamo che è assolutamente certa la presenza di un danno glomerulare.

Ci sono inoltre altre situazioni che si associano all’ematuria che vanno considerate quali l’ipertensione e l’edema.

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Le glomerulopatie sono caratterizzate da un aumento della permeabilità della membrana glomerulare e che si possono manifestare in 2 modi:

Aumento di permeabilità per le proteine come l’albumina che normalmente non la attraversano, si parla di sindrome nefrosica quando la proteinuria è abbondante Aumento di permeabilità ai GR, quindi ematuria, che può essere macro o

microscopica. Si parla di ematuria glomerulare quando i GR sono dismorfici al microscopio, dove si vedono anche i cilindri eritrocitari. Le cause più frequenti di ematuria non sono comunque le glomerulonefriti ma le infezioni, le neoplasie e i calcoli.

È meglio avere una ematuria con dolore perché se è senza dolore allora

generalmente è una neoplasia. Un assunto dei vecchi clinici era che se la ematuria avveniva dopo il dolore (tipo colica) era segno di una calcolosi, ma se prima

arrivava l’ematuria e poi il dolore era segno di una probabile neoplasia (un coagulo che si forma in un uretere).

Gli altri elementi che possono far sospettare una glomerulopatia, come la post-streptococcica o la nefropatia da IgA, sono l’ipertensione e gli edemi, quindi sindrome nefritica.

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CAUSE INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

Torniamo all’IRC: le cause di gran lunga più frequenti sono il diabete e

l’ipertensione. Poi ci sono altre cause meno frequenti tra cui le cause glomerulari che sono rappresentate al 7%, le cause ereditarie, il rene policistico 3%, anche se c’è variabilità. Può ancora essere esito di pielonefriti frequenti, neoplasie…

Un’insufficienza post renale da uropatia ostruttiva è acuta, però se non c’è un intervento abbastanza rapido nell’arco di giorni, può generare un danno renale permanente. Quindi un’uropatia ostruttiva non risolta può essere causa di

insufficienza renale cronica. Ricordiamoci che una persona ha un filtrato normale o quasi normale anche con un rene solo, per cui se l’ostruzione è monolaterale la creatinina si muove poco. Bisogna avere un grado di intuizione clinica elevato per poter fare quell’esame strumentale che permette di valutare l’uropatia ostruttiva che è l’ecografia, tramite la quale si vedrà dilatazione delle vie escretrici a monte dell’ostruzione.

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COMPLICANZE INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

L’argomento principale è quello delle complicanze dell’insufficienza renale cronica.

Innanzitutto, la domanda tipica è proprio quali siano le complicanze. Presentate un po’ in maniera disordinata sono:

tutto il grande capitolo delle osteodistrofie;

il capitolo delle disionie, particolarmente l’iperkaliemia;

il capitolo dell’anemia, dovuta a ridotta produzione di eritropoietina;

le alterazioni dell’equilibrio acido-base, si configura un’acidosi metabolica che può essere ad anion gap mantenuto o aumentato a seconda della situazione; l’ipertensione, che è sia causa che conseguenza: una persona con rene policistico che progredisce e causa IRC, svilupperà ipertensione, per la riduzione della

funzione renale;

l’uremia: la sindrome uremica causa coagulopatie, sanguinamenti, pericarditi, alterazioni del bilancio idroelettrolitico (che si evidenziano abbastanza tardi), insorgenza o aggravamento dell’insufficienza cardiaca ed edemi.

Una cosa importante da fissare fin da subito è che esistono gli ambulatori di nefrologia che gestiscono queste complicanze. Nella maggioranza dei casi i

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pazienti si trovano in Stadio III e IV. In questi due stadi noi non vediamo la

sindrome uremica, per cui una classica domanda che posso fare è “quali siano le complicanze in Stadio III” perché il paziente non ha né i sintomi dell’uremia (non ha la sindrome uremica) né presenta alterazioni dei volumi idrici, del sodio generalmente. Soltanto in Stadio V (qualche volta IV) abbiamo la sindrome

uremica e l’incapacità di eliminare i fluidi tramite l’eliminazione del sodio, quindi ci si troverà in una situazione di accumulo di liquidi, espansione dell’interstizio ecc…

Queste alterazioni terminali, la sindrome uremica e l’incapacità di eliminare fluidi e sodio, sono tipici dello Stadio V e qualche volta IV. Però le classiche complicanze dell’insufficienza renale cronica, quelle che devono essere gestite in un paziente domiciliare-ambulatoriale, sono quelle tipiche dello Stadio III, ovvero tutte le altre citate in precedenza.

È molto importante, oltre ad avere in testa la lista delle complicanze, avere in testa anche la loro progressione e le interazioni che sviluppano.

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In figura si vede in ascissa la velocità di filtrazione: la sindrome uremica (che è molto popolare tra coloro che studiano l’IRC) riguarda soltanto la fase finale e in realtà non la si vede nemmeno perché deve essere prevenuta con gli interventi. Quello che è importante sapere è che:

la maggior parte delle complicanze avvengono nello stadio terzo (tra 60 e 30) Prima l’ipertensione

osteopatia da aumento del PTH anemia

aumento del fosforo ➔ gestite a livello ambulatoriale

➔ Nota bene che in questa fase il soggetto non ha sintomi classici dell’uremia e non

presenta alterazione dei volumi idrici.

➔ la qualità di vita è discreta in questo stadio purché vengano controllati i parametri sopracitati.

Più tardive sono l’acidosi e iperkaliemia.

Per l’iperkaliemia si evita l’utilizzo di diuretici che favoriscano l’accumulo di potassio, quindi si utilizza la furosemide in modo appropriato, in modo che svolga la sua azione

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Infine soltanto in Stadio V (qualche volta IV) abbiamo la sindrome uremica e l’incapacità di eliminare i fluidi tramite l’eliminazione del sodio, quindi ci si troverà in una situazione di accumulo di liquidi, espansione dell’interstizio ecc

Le complicanze più gravi sono l’iperkaliemia, che provoca aritmie fatali e

l’accumulo di liquidi e di sodio che determinano insufficienza cardiaca congestizia. Importante è anche la tendenza al sanguinamento perché può essere causa di perdite importanti.

Se dobbiamo immaginare l’atteggiamento del medico nei confronti dei pz in questi 5 stadi:

PRIMO E SECONDO STADIO → a eggiamento di prevenzione secondaria con l’obiettivo di rallentare la progressione. È compito del medico di medicina generale, non del nefrologo, controllo dell’ipertensione (sempre), controllo della glicemia

(quando necessario) ed avere un’attenzione molto elevata per i rischi cardiovascolari

TERZO STADIO → valutare, monitorizzare e trattare le complicanze (paratormone, anemia, fosforo, acidosi, potassio). Interviene il nefrologo.

STADIO QUARTO → preparare il pz alla dialisi

STADIO QUINTO → terapia sos tu va, ossia dialisi o avviare il pz verso il trapianto o fare terapia

palliativa.

Interviene il nefrologo ospedaliero.

Il concetto di cure palliative ora non si applica più soltanto al neoplastico, ma anche a queste malattie croniche nelle fasi terminali, in tutti quei soggetti dove la dialisi e trapianto non sono indicati. A questi possiamo aggiungere anche

scompenso cardiaco terminale e cirrosi epatica terminale

Però il concetto cardine: queste complicanze si sviluppano nel tempo e non contemporaneamente.

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Sindrome uremica è un termine arcaico che nacque dal pensiero che l’accumulo di urea fosse la causa di tutto. In realtà la causa di tutte queste manifestazioni non è ancora ben definita, ci sono tanti metaboliti che vengono accumulati non soltanto l’urea, noi vediamo che aumenta quest’ultima ma è solo una delle cause. Quindi si dice Sindrome Uremica quell’ insieme di manifestazioni cliniche causate

dall’accumulo di metaboliti che non vengono escreti e che si accumulano particolarmente in Stadio IV o V. La vera sindrome uremica con la pericardite, l’alterazione della coagulabilità, l’encefalopatia, la gastroenterite ecc… si vede fondamentalmente nella fase terminale. Ovviamente quando si sviluppa la

sindrome uremica sussiste l’indicazione alla dialisi, il paziente deve essere trattato in modo aggressivo.

La qualità di vita fino allo Stadio III è discreta purché vengano controllati questi parametri:

l’ipertensione, l’osteopatia, l’anemia e l’iperkaliemia.

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diuretici, farmaci che favoriscano l’accumulo di potassio. Quindi utilizzare la furosemide in modo appropriato, a dosaggio giusto in modo che abbia la sua azione diuretica e anche ipopotassiemica.

Nella tabellina in immagine sopra riportata vediamo per ogni stadio quali sono gli obiettivi dell’intervento sanitario:

Stadio I e II: il compito non è del nefrologo bensì del medico di medicina generale, in queste fasi bisogna rallentare la progressione e ridurre il rischio cardiovascolare; Stadio III: comincia ad intervenire il nefrologo per valutare e trattare le

complicanze

Stadio IV e V: comincia ad intervenire il nefrologo ospedaliero, ovvero quello che fa la dialisi, avvia verso il trapianto o implementa la terapia palliativa conservativa. La Sindrome Uremica è molto variegata, ormai in verità la si vede raramente perché i nefrologi sono molto attenti a far sì che il paziente non arrivi ad una sindrome uremica manifesta, il paziente già anticipatamente viene preparato alla dialisi o indirizzato al trapianto. L’espressione della sindrome è molto variegata, possiamo leggerne gli aspetti principali nell’immagine riportata.

In particolare, evidenziamo le sierositi, come la pleurite, la pericardite, l’accumulo di liquidi e di sodio, di conseguenza l’edema polmonare, la riduzione del sensorio, l’accumulo di metaboliti e di ioni, iperuricemia, acidosi metabolica, ipercaliemia, l’apparato riproduttivo viene intaccato, il prurito. Infatti, la sindrome uremica è una delle cause internistiche di prurito anche se facilmente identificabile in quanto facendo una creatinina ne capiamo subito la causa.

Queste manifestazioni sono presentate in disordine è chiaro che le complicanze più gravi, quelle in grado di compromettere la vita, sono l’ipercaliemia che provoca delle aritmie fatali e inoltre l’accumulo di liquidi e di sodio che determinano l’insufficienza cardiaca, la congestione.

Ancora importante è la tendenza al sanguinamento perché può essere causa di perdite ematiche importanti.

Il paziente comunque non sta bene, sicuramente presenta una riduzione del sensorio, nausea, vomito, anoressia…

Le indicazioni alla dialisi che fissiamo fin d’ora sono: l’Ipercaliemia con o senza acidosi metabolica,

la congestione quindi l’incapacità del diuretico di eliminare fluidi

e poi una sindrome uremica evidente, neurologica, pericardite e pleurite… La definizione di End Stage Renal Disease propone le tre vie di uscita che sono appunto: dialisi, trapianto o cure palliative.

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Questo è la serie di indicazioni per la preparazione al trapianto renale per quanto riguarda il setting, l’educazione del paziente e la tempistica.

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Ipertensione e rene

C’è un vecchissimo studio del 1966 su Circulation, dove viene sottolineato che il rene è sia vittima che colpevole, cioè l’IRC può essere conseguenza di

ipertensione o l’ipertensione può essere una complicanza di insufficienza renale. Ad esempio, un pz con rene policistico, che non ha nessun motivo per essere iperteso, sviluppa un’insufficienza renale cronica, ecco che svilupperà come conseguenza dell’IRC l’ipertensione arteriosa.

L’ipertensione arteriosa è la complicanza più tipica e precoce della insufficienza renale cronica: la pressione deve essere mantenuta al di sotto dei 130/80. Stare sotto questo livello pressorio riduce la progressione della malattia renale anche nei pz negli stadi più avanzati. Una pressione arteriosa normale è una qualsiasi pressione che sta sotto i 140 di sistolica E sotto i 90 di diastolica: una persona è ipertesa, in assenza di comorbidità, sia che abbia solo la sistolica sopra il cut-off (es. 140/85), sia che abbia solo la diastolica superiore (es. 130/90).

Ci sono due comorbidità che imporrebbero dei criteri più restrittivi, e queste sono:

Diabete mellito Insufficienza renale

Pz che hanno queste due comorbidità dovrebbero essere mantenuti a pressioni

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un po’ più basse (130/80). TERAPIA

ACE INIBITORI o SARTANI sono OBBLIGATORI per fermare la progressione. MA hanno un doppio effetto: da una parte sono utilissimi, dall’altra possono, a causa della modulazione dell’emodinamica renale che determinano, far calare il filtrato provocando insufficienza renale acuta su cronica.

Da tenere monitorati:

GFR (e quindi crea nina sierica) → perché gli ACE inibitori possono far precipitare ulteriormente il filtrato glomerulare già ridotto e questo porterebbe ad effetti gravissimi.

potassio → ACE-inibitore tende ad aumentare il potassio nel sangue. FOCUS: MECCANISMO FILTRAZIONE GLOMERULARE

La GFR e la pressione di filtrazione glomerulare sono determinate dalla vasocostrizione delle arterie afferenti ed efferenti il glomerulo:

Quando l’arteriola efferente viene costretta aumenta la velocità di filtrazione glomerulare e la pressione di filtrazione glomerulare, quando viene rilasciata pressione e velocità di filtrazione si riducono

L’angiotensina II è un mediatore che costringe l’arteriola efferente, quindi qualsiasi mediatore che va ad aumentare il RAS e quindi l’angiotensina II, aumenta il filtrato glomerulare costringendo l’arteriola efferente. Questo è molto utile quando c’è un’ipovolemia, un’emorragia, perché mantiene il filtrato; risulta però essere un meccanismo negativo per esempio nello scompenso cardiaco, nella cirrosi epatica, ma anche nell’insufficienza renale cronica perché uno dei meccanismi per

rallentare la progressione della nefropatia cronica è quello di ridurre la pressione di filtrazione intraglomerulare e quindi rilasciare l’arteriola efferente.

Il rilassamento dell’arteriola efferente avviene con ACE-inibitori o con sartani: la somministrazione di uno o dell’altro (non si danno mai assieme anche se sono stati fatti degli studi), ha come effetto quello di rilasciare l’arteriola efferente e quindi di ridurre la velocità di progressione del danno; risultano per questo motivo essere dei farmaci di fatto obbligatori nella gestione di questi quadri clinici, con il tempo si crea un effetto protettivo sul glomerulo.

Se inizio un ACE-inibitore, come in questa signora, partendo da

valori di creatinina di 1,1 mg/dl, dopo una settimana troverò la

creatinina lievemente aumentata, per esempio 1,2. A causa

della loro farmacodinamica, gli ACE inibitori possono indurre

un

iniziale aumento, fino al 30%, della creatinina sierica. Incrementi maggiori di creatinina devono spingere a ricercare una possibile stenosi dell’arteria renale. Questo

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nell’IRC in stadio III e IV, però, l’utilizzo va riservato allo specialista nefrologo, poiché le oscillazioni sono importanti.

L’ACE-inibitore NON va usato quando c’è IRA perché potrebbe aggravare anche di molto la situazione; nel caso della signora, se ricevesse un eccesso di diuretico e avesse IRA su IRC ecco che il farmaco andrebbe sospeso fino alla stabilizzazione del filtrato.

DIURETICI

Diuretico tiazidico vs diuretico dell’ansa: in queste fasi di patologia il tiazidico non è efficace. Sotto i 30 ml/min di solito i diuretici vengono abbandonati, non sono più utili, MA possono essere somministrati diuretici dell’ansa]. Il diuretico dell’ansa è più valido, ma deve essere somministrato a dosi massicce: il nefrone, quando è diminuito di numero e di funzione, diventa relativamente insensibile alla

furosemide; la formulazione delle compresse e delle fiale ha concentrazione 10-20 volte superiore quella standard. Fondamentale bilanciare la dose del diuretico in modo da non disidratare il pz e determinare una insufficienza renale acuta su cronica.

Un’altra situazione molto comune in cui va usata la furosemide ad alto dosaggio nell’insufficienza renale cronica è lo scompenso cardiaco. Se ci trovassimo in pronto soccorso o in guardia medica e ci chiamassero per un edema polmonare acuto intanto che si aspetta l’ambulanza va aumentata la furosemide come primo soccorso, che è anche un farmaco relativamente sicuro.

CALCIO ANTAGONISTI e BETA BLOCCANTI

Se così facendo non si raggiungesse il target pressorio, è indicato introdurre un beta-bloccante, un calcio antagonista diidropiridinico (come nifedipina o amlodipina) o entrambi, poiché risultano di fatto neutri sul filtrato glomerulare.

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Flogosi Sistemica

Perché il paziente con insufficienza renale cronica, soprattutto se dializzato, ha un eccesso di mortalità cardiovascolare? L’IRC ha un effetto modesto sull’assetto lipidico. La causa principale dell’eccesso di mortalità cardiovascolare è

sicuramente l’attivazione della flogosi sistemica. Le malattie croniche

degenerative sono diventate il problema principale nella nostra società: dopo i 70 anni la maggior parte delle persone ha una, due, tre, quattro malattie croniche contemporaneamente.

La flogosi cronica porta a: ATEROSCLEROSI

Come conseguenza dell’IRC si ha un’aterosclerosi accelerata data da una flogosi cronica attiva. La flogosi cronica a basso grado prolungata è una delle cause più studiate di aterosclerosi: l’IRC è il paradigma di questa situazione. In più per la genesi della aterosclerosi gioca un ruolo anche l’ipertensione.

COMPLICANZE CARDIOVASCOLARI

L

e malattie croniche degenerative che sono diventate il problema principale nella nostra società considerato che dopo i 70 anni la maggior parte delle persone ha una, due, tre, quattro malattie croniche contemporaneamente. Tra queste le principali sono l’insufficienza renale cronica, il diabete di tipo II, l’ipertensione, la

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cardiopatia ischemica, la broncopatia cronica ostruttiva e infine qualche volta le malattie reumatiche, per cui la comorbidità è lo scenario sanitario dei nostri tempi. Tutte queste sei patologie hanno un minimo comun denominatore che è quello della attivazione cronica della flogosi. Questa attivazione cronica, associata a dei meccanismi peculiari per ciascuna malattia, è la vera causa dell’eccesso di mortalità cardiovascolare che osserviamo in tutte queste malattie. Il nefropatico cronico, il paziente con bronchite cronica ostruttiva, il paziente con artrite reumatoide. Tutti questi soggetti hanno una flogosi sistemica attivata e di conseguenza un eccesso di mortalità cardiovascolare.

ALTERAZIONI METABOLICHE, per cui c’è una progressione più rapida della malnutrizione: una perdita di massa muscolare con riduzione dell’introito energetico secondario all’IRC porta ad uno stato di malnutrizione che può compromettere l’aspettativa di vita (cachessia).

TERAPIE PER RIDURRE LA FLOGOSI

Non ci sono farmaci specifici che agiscono su di essa. Un primo studio è quello che presentava effetti favorevoli da un anticorpo monoclonale anti IL1. Siamo però ancora in fase assolutamente iniziale con questo tipo di terapia.

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Sindromi cardiorenali

Esiste una relazione stretta tra patologia cardiaca ed insufficienza renale, sia cronica che acuta.

Esistono 4 sindromi cardiorenali, ma quella che interessa l’IRC è quella di tipo IV, ossia quando si sviluppa uno scompenso cardiaco cronico in corso di IRC. → si tratta di insufficienza cardiaca con frazione d’eiezione mantenuta, con difetto diastolico.

Esistono numerosi casi (quasi la metà) in cui lo scompenso cardiaco clinico hanno frazione d’eiezione mantenuta: questi sono caratterizzati da un difetto diastolico di riempimento dovuto ad una rigidità delle pareti per ipertrofia delle pareti del ventricolo sx. La causa tipica di ipertrofia delle pareti del ventricolo sx è

l’ipertensione arteriosa, per cui ecco che questa sindrome cardiorenale di tipo IV, quindi lo scompenso cardiaco che si sviluppa in corso di IRC è tipicamente uno scompenso di tipo diastolico causato da ipertrofia del ventricolo sx secondaria all’IA.

Ovviamente fattori che peggiorano la situazione sono: L’espansione del volume circolante

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del cuore.

Ovviamente a tutto questo si aggiunge la possibile cardiopatia ischemica: le due strade sono indipendenti e in parte sovrapposte, per cui è piuttosto frequente lo sviluppo di scompenso cardiaco in corso di IRC. Ovviamente ci deve essere un meticoloso controllo dei fattori di rischio cardiovascolare.

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TERAPIA

Sapendo che l’eccesso di mortalità è dovuto al rischio cardiovascolare, è bene ridurre tutti i fattori che lo aumentano. Questo si raggiunge con modifiche dello stile di vita quali:

Smettere di fumare

Ridurre l’introduzione di sodio a livelli <2.4 g/die

Controllare la proteinuria che costituisce un importante fattore di progressione della nefropatia. Si utilizza una dieta con introito di circa 0,8 g/kg/die e

sartani/ace inibitori.

Mantenere un BMI di 22-25.

Fare esercizio fisico tipo cardio di moderata intensità per 30-60 min per 4-7 giorni a settimana

Mantenere la PA <130/80 utilizzando ACE-inibitore, sartani, diuretici dell’ansa, beta-bloccanti, calcio antagonisti (singolarmente o in combinazione). In caso di proteinuria sono indicati ACE- inibitori o sartani

È utile utilizzare la metformina in pz con IRC in stadio I, II e III per mantenere l’emoglobina glicata <7%; il repaglinide è utilizzabile nello stadio IV. La

metformina non può essere somministrata sotto i 30 ml/min di filtrato per il rischio di acidosi lattica.

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Il controllo del colesterolo continua a seguire le linee guida della popolazione generale anche se le statine sono assolutamente obbligatorie per vari motivi: la terapia con le statine combinata con l’ezetimibe ha dimostrato un

miglioramento degli outcome cardiovascolari nei pazienti con CKD da moderata a severa, così come nei pazienti in dialisi, sebbene il beneficio in questi ultimi fosse minore;

l’uso della terapia per abbassare l’iperlipidemia è appropriato in tutti gli stadi di CKD.

La somministrazione di ferro o di fattori stimolanti l’eritropoiesi è raccomandata, tenendo conto che il livello di emoglobina non deve superare 10-12 g/dl se si utilizzano fattori stimolanti l’eritropoiesi

L’aspirina (81mg/die) è raccomandata se non altre controindicazioni.

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Anemia

La patogenesi dell’anemia nell’insufficienza renale cronica in Stadio III è molto evidente, è dovuta alla riduzione della sintesi dell’eritropoietina e quindi il supplemento con EPO è molto semplice. Però una delle cose a cui bisogna prestare attenzione è lo stato di deplezione dei depositi di ferro. Questo perché se noi diamo eritropoietina ad un paziente che ha già una sideropenia

peggioriamo la sideropenia senza migliorare significativamente l’assetto emoglobinico.

Per cui il supplemento con ferro che accompagna l’eritropoietina è la regola da seguire per trattare l’anemia in questi pazienti.

Il supplemento di ferro dev’essere fatto il più possibile per via orale e monitorizzato non attraverso la sideremia, bensì con la transferrina che è il marker dei depositi di ferro.

Qual è il livello di emoglobina ideale? Nella donna è più o meno 12,5g/dL, nell’uomo è 13-14g/dL.

Il raggiungimento di livelli normali di emoglobina nel nefropatico è stato associato ad un eccesso di mortalità cardiovascolare. Significa che c’è una relazione tra il fatto di avere un’emoglobina normale/alta con la malattia

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cardiovascolare. Resta la accomandazione, basata su un dato empirico visto che non c’è una fisiopatologia ben precisa su questo, iniziare con l’eritropoietina quando l’emoglobina scende sotto i 10g/dL, ma con nun target al di sotto degli 11g/dL.

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Praticamente il livello di emoglobina ideale è tra gli 11 e i 10g/dL. È ormai acquisito che in questi ambulatori nefrologici il target sia sotto gli 11g/dL. Abbiamo dato un contributo qualche anno fa su questa cosa qui, dimostrando che i livelli di Hb di 14 (normali) erano associati ad un’insulino-resistenza

maggiore rispetto a livelli di 12. La causa per cui questo succede è multifattoriale e include anche gli effetti metabolici [correlati] ad alti livelli di Hb. In

coonclusione, un livello di Hb alto è associato ad un’insulino-resistenza più alta, uno più basso ad una maggiore insulino-sensibilità.

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Iperparatiroidismo secondario, Calcio e Fosforo

Una delle complicanze tipiche [dell’IRC] è l’iperparatiroidismo secondario. Voi sapete cos’è l’iperparotiroidismo primitivo: è un’adenoma delle paratiroidi che produce in modo autonomo il paratormone (PTH), in maniera svincolata dal livello di Calcio, quindi aumenta la calcemia. Quindi l’associazione

ipercalcemia-iperparatiroidismo è inevitabilmente patognomonica di ipercalcemia-iperparatiroidismo primaria, ossia adenoma delle paratiroidi nella maggioranza dei casi.

Il metabolismo del PTH e quello del Ca2+sono regolati in modo finissimo: quando

il Ca2+scende il PTH aumenta, quando il Ca2+aumenta il PTH viene soppresso.

Quindi, un’ipercalcemia autonoma associata a PTH soppresso, che è una risposta fisiologia delle paratiroidi all’ipercalcemia ha un significato prognostico piuttosto grave perché di solito è associata ad una neoplasia.

Quindi nell’IRC abbiamo un iperparatiroidismo con una calcemia ai limiti della norma o a volte un po’ bassa. Praticamente le paratiroidi funzionano

perfettamente e ipersecernono PTH in risposta ad una tendenza alla calcemia bassa. Quindi il problema del nefropatico è la tendenza ad avere un’ipocalcemia, che però di solito non è mai molto ridotta, perché viene mantenuta

dall’iperparatiroidismo. La calcemia è mantenuta grazie al fatto che il PTH agisce sugli osteoclasti facendo liberare una grande quantità di Ca2+, appunto, per

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sostenere la calcemia. Questo è un fenomeno compensatorio che deve essere prontamente interrotto perché progredisce rapidamente verso un’osteopenia ed un’osteodistrofia. Adesso non vediamo più quelle classiche osteodistrofie che vedete sui libri, con formazioni di cisti, tumori bruni, aree di fibrosi: adesso l’osteodistrofia del nefropatico viene curata bene, e non va mai oltre la classica osteopenia/osteoporosi, sebbene le manifestazioni cliniche con la tendenza alla frattura spontanea o patologica siano ancor oggi concrete.

Il nocciolo della questione è tenere sotto controllo la calcemia.

Ma qual è la causa dell’ipocalcemia? Non è ancora ben chiaro : quello che invece è molto chiaro è il rapporto molto stretto con la fosforemia; quindi, verosimilmente, il primum movens è l’incapacità del rene ad eliminare fosfati.

L’intervento più efficace per prevenire l’osteodistrofia è tenere sotto controllo la fosfatemia. E come facciamo a fare ciò? Dobbiamo ridurre l’assorbimento

intestinale di fosfati. E come si fa? Cercando di avere una dieta povera di fosfati o utilizzando dei farmaci, i cosiddetti chelanti dei fosfati. Per questo motivo la dietista è importante nella cura del paziente nefropatico ed ogni ambulatorio di nefrologia, oltre ad avvalersi del nefrologo, ha un dietista che ha come obiettivo quello di impostare una dieta povera di fosfati.

Ci può essere anche iperparatiroidismo terziario quando la stimolazione cronica delle paratiroidi provoca lo sviluppo di adenomi che producono PTH in maniera svincolata dalla calcemia. È molto raro. La regola è che di solito ci sia un

iperparatiroidismo secondario.

Quindi la chiave per controllare bene il nefropatico è quella di implementare una dieta povera di fosfati.

Il compito del dietista, in parallelo a quello del medico, in un ambulatorio di nefrologia è fondamentale, perché deve intervenire su più aspetti.

Tornando all’iperparatiroidismo secondario, esso causato dalla tendenza ad avere un’ipocalcemia del nefropatico.

La tendenza all’ipocalcemia è dovuta fondamentalmente a 2 meccanismi:

C’è una tendenza a trattenere fosforo (P) e per mantenere il rapporto Ca2+/P che

serve abbassare la Calcemia.

Ipovitaminosi D: (parte dx dell’immagine) la vit. D viene assunta dal cibo non in forma attiva (c’è il problema dell’attivazione da parte dei raggi solari etc.). Il colecalciferolo, che è la forma inattiva della vit. D, deve essere idrossilato in posizione 1 e 25 per essere attivato. Il compito dell’idrossilazione in posizione 1 è dato dal fegato (l’1-idrossi-colecalciferolo è fatto dal fegato), mentre

l’idrossilazione in posizione 25 è compito del rene, quindi la forma attiva è l’1,25-diidrossi-colecalciferolo [1,25(OH)–vit.D].

In farmacia nella maggior parte dei casi si trova la vit. D in forma non attiva, il precursore (ossia l’1(OH)vitD è la forma più frequente) ed è evidente che questa non funziona nel nefropatico.

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Per cui è di gran moda dare la vit D e la si dà in forma non attiva, perché dare l’1,25(OH)vitD in forma non controllata è pericoloso perché aumenta la calcemia. L’1,25(OH)vit D è molto potente, per cui si dà in gocce e in piccole quantità, perché stimola enormemente l’assorbimento di Ca2+a livello intestinale per cui

darlo come farmaco da banco non è assolutamente prudente. Il nefropatico non ha bisogno dell’ 1(OH)vitD perché non è capace di trasformalo nella sua forma attiva, ma deve ricevere la forma attivata, quindi 1,25(OH)-vitD per appunto bypassare questo blocco di idrossilazione.

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Quindi la supplementazione con vit. D attivata fa parte della terapia del

nefropatico, oltre all’intervento dietologico del tener sotto controllo il fosforo. Questo permetterà un controllo adeguato dell’osteodistrofia renale.

I chelanti del fosfato vengono usati poco per i loro effetti collaterali.

Un’altra possibilità è dare direttamente del Calcio carbonato per aumentare i livelli di Ca2+; questo viene utilizzato regolarmente negli ambulatori.

Esiste un farmaco di nuova introduzione, il Cinacalcet¸ che sopprime la

produzione di PTH, però viene usato solo su pazienti selezionati, praticamente in dialisi. Nella stragrande maggioranza dei casi (le forme meno gravi) il controllo della tendenza all’ipocalcemia è multifattoriale e parte da una meticolosa attenzione alla dieta: si parte da questo, si cercano di ridurre i fosfati;

somministrando direttamente calcio carbonato: all’evenienza, per cercare di aumentare direttamente [il Ca2+] e somministrando di vitD attivata.

Queste sono gli strumenti per prevenire l’osteodistrofia associata all’iperparatiroidismo causato dall’ipocalcemia.

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Il controllo dei fosfati si realizza con due sistemi: Restrizione dietetica dei cibi che contengono fosforo

Latticini (formaggi e latte)

Cibi processati: salami, prosciutti Soft drinks: coca cola e simili Proteine animali

Noci

Preferire le proteine vegetali a quelle animali.

Il controllo della fosfatemia, in caso di forti riduzioni di GFR, può essere problematico anche in presenza di restrizioni alimentari. Utile in questo caso somministrare con i pasti calcio carbonato.

Anche il calcio acetato, che è un chelante del fosforo, può essere utilizzato ma ha effetti collaterali.

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L’iperkaliemia è una tipica complicanza e va trattata con molta attenzione. Nell’insufficienza renale, sia acuta che cronica, noi avremo una iperkaliemia da ridotta escrezione renale, non ci sono altre cause nell’IR. In altre patologie potremmo avere altre situazioni di iperkaliemia come per esempio:

Emolisi

Danno dei tessuti Acidosi

Alcuni farmaci ACE-inibitori

I diuretici risparmiatori di potassio (molto usati nell’IA e nello scompenso cardiaco)

Il moduretic è un farmaco molto usato nell’ipertensione arteriosa ed è

un’associazione tra un diuretico tiazidico (idroclorotiazide) ed un risparmiatore di potassio (amiloride), il suo utilizzo è stata una causa molto frequente di

iperpotassiemia. Attualmente viene molto utilizzato lo spironolattone

(antialdosteronico), che viene anche detto risparmiatore di potassio e che ha indicazioni molto ampie nella cirrosi epatica e nello scompenso cardiaco. Questi farmaci hanno come controindicazione assoluta o relativa l’insufficienza renale cronica, quindi vanno utilizzati con molta attenzione: si andrebbe a creare

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iperpotassiemia su due fronti (il farmaco + l’insufficienza renale).

Quando vedete un’iperkaliemia molto sostenuta (poniamo 6,5), che pone a grave rischio di aritmie, la terapia d’emergenza è quella di somministrare una fiala di calcio gluconato per stabilizzare le membrane. Però prima di somministrare queste fiale di calcio gluconato bisogna accertarsi che si tratti di una vera iperkaliemia e non una pseudoiperkaliemia. Il potassio è contenuto nelle cellule, per cui se vi è una citolisi di qualsiasi tipo ecco che il potassio esce: un prelievo difficoltoso, col laccio mantenuto per lungo tempo (emostasi), con molti movimenti dell’ago nella sede del prelievo (traumatismo), con aghi troppo sottili (pressione negativa su una sezione ridotta che provoca flusso turbolento), una agitazione violenta della

provetta provocano emolisi. In questo caso il laboratorio restituisce un potassio di 7-8 mg/dl, che potrebbe spaventare moltissimo ed invece è il risultato di un prelievo non corretto. Alcuni laboratori possono anche dare indicazione

dell’emolisi nel campione ricevuto, ma questo non è sicuro e pertanto conviene non attendersi questo dato. L’emolisi si nota dal colore del plasma o del siero che, invece di essere giallo e trasparente, è rosato o rosso.

Cosa fare? Se l’emolisi è evidente bisogna ripetere l’esame, se non è evidente e il dubbio persiste, si fa un ECG.

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ECG iperkaliemia

Esistono dei segni tipici di iperkaliemia all’ECG: Aumentato voltaggio dell’onda T Onda T allargata

Prolungamento PR o PQ Slargamento del QRS Fibrillazione ventricolare

Regola generale dice che la quantità di potassio nel sangue è proporzionale all’area sotto l’onda T: più potassio c’è nel sangue più alta e slargata è l’onda T. Al contrario, quando c’è un’ipokaliemia, l’onda T è appiattita.

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TERAPIA

Come si abbassa il potassio nel sangue? In una situazione di emergenza bisogna stabilizzare il miocardio con del calcio gluconato, monitorizzando sempre con l’ECG.

CALCIO GLUCONATO: da 1 a 3 grammi (1-3 fiale da 10 ml al 10%) eventualmente ripetibile, stabilizza il potenziale di membrana delle cellule cardiache e previene gli effetti dell’iperkaliemia sulla eccitabilità. Il calcio cloruro, ugualmente efficace, provoca danni alla parete dei vasi periferici e dei tessuti in caso di stravaso. L’azione del calcio si esplica entro 3 minuti dalla somministrazione e si protrae per 30-60 minuti. Attenzione: Non riduce il potassio sierico.

Poi, per abbassare il potassio ci sono due sistemi:

Trasportare il potassio all’interno delle cellule, possibile con Somministrazione di insulina, che è il mediatore più attivo nell’internalizzazione del potassio;

La correzione dell’acidosi, nel caso ci sia, con del bicarbonato di sodio

Eliminare potassio

Il metodo con latenza maggiore consiste nell’utilizzare resine a scambio cationico che possono essere somministrate per

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os o per clisma, chelano gli ioni potassio e sono molto efficaci, maneggevoli e non tossiche. Bisogna fare attenzione che il transito intestinale sia però mantenuto, non ci deve essere ristagno di queste sostanze a livello di stomaco o intestino perché sono tossiche a livello locale. Funziona molto bene, ma la correzione del potassio avverrà in 6-12-24 h

Furosemide che ha come effetto collaterale l’ipopotassiemia, quindi la possiamo utilizzare anche nell’iperkaliemia, ma non sarà così rapida

Dialisi, che è il metodo più rapido ed efficace.

Nelle situazioni non di emergenza e nel cronico si usano le resine a scambio cationico.

FOCUS SU IPOKALIEMIA [APPUNTI]

L’ipokaliemia (ipoK+) è abbastanza frequente e nella maggioranza dei casi è dovuta a:

Effetto collaterale della terapia diuretica: sia con i tiazidici che con la furosemide; Vomito e diarrea

Altri casi: sono un pochino più rari.

L’ipoK+ va corretta con terapia sostitutiva, cioè con la somministrazione di K+,

quando è possibile si somministra K+o KCl (cloruro di potassio) per os. Quando

l’ipoK+ è importante invece si somministra per ev. Una cosa che dovete acquisire

sin da subito è che un bolo di K+è letale. Per questo motivo, in quasi tutti i reparti

non esistono le fiale di KCl perché sono estremamente pericolose, ma esistono le bottiglie da 0,5L con il K+in soluzione con le quali è impossibile fare i boli, mentre

in terapia intensiva è d’uso comune, aggiungere alla fisiologica una quantità di K+

necessaria e quindi esistono le fiale di K+.

La velocità d’infusione del K+ dev’essere sicuramente inferiore ai 20 mmol/h e non deve mai essere concentrata a più di 40 mmol/L.

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Acidosi Metabolica

L’equilibrio acido-base è un argomento estremamente complesso a livello renale (sono in pochi quelli che riescono ad essere in confidenza con questo

argomento), ma, semplificando, l’acidosi metabolica è una delle complicanze tipica dell’insufficienza renale cronica/acuta.

Qual è il paradigma dell’acidosi metabolica? acidosi + riduzione dei bicarbonati.

Questa acidosi si può ottenere con due meccanismi:

Sono stati persi bicarbonati (anion gap mantenuto)

[detta anche ipercloremica perché si compensa la perdita dei bicarbonati con il riassorbimento aumentato di cloro.]

Causa tipica è la diarrea: il colon produce bicarbonato e se c’è una diarrea ecco che vengono perduti e si ha un’acidosi metabolica da perdita.

acidosi renale tubulare Farmaci (acetazolamide) Morbo di Addison

Fistola pancreatica

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Sono stati utilizzati per tamponare degli acidi esogeni (anion gap aumentato)

Tipica è la chetoacidosi diabetica (o alcolica) in cui vengono prodotti chetoacidi e quindi i bicarbonati si abbassano perché hanno tamponato questi acidi

Si produce acido lattico nello shock settico, nelle infezioni e nelle ischemie tissutali: i bicarbonati vanno a tamponare Produzione di urati in insufficienza renale

Farmaci/tossine (salicilato, glicole etilenico, metanolo)

Queste due situazioni si distinguono in base all’anion gap (differenza tra i cationi plasmatici: sodio e potassio, e gli anioni plasmatici: cloro e ione bicarbonato): quando c’è un anion gap aumentato vuol dire che esistono degli acidi organici in circolo non misurati, per cui si dice che l’acidosi metabolica della diarrea è ad anion gap mantenuto perché c’è una semplice perdita di bicarbonati, mentre la chetoacidosi diabetica ha l’anion gap aumentato perché ci sono questi corpi chetonici che non vengono valutati (valori normali: 10-18 mmol/l).

Si ha acidosi metabolica nell’IRC per due motivi:

Ridotto riassorbimento di bicarbona a livello tubulare → paradigma di questo è l’acidosi tubulare renale, però una

componente di ridotto assorbimento di bicarbonati si ha in quasi tutte le IRC. Questa sarebbe un’acidosi metabolica ad anion gap mantenuto.

Ridotta escrezione di acidi organici (ura , fosfa ) → acidosi metabolica ad anion gap aumentato.

In definitiva nell’insufficienza renale sia acuta che cronica possiamo avere acidosi metabolica con un anion gap variabile, dipende dal contributo di questi due meccanismi.

Un tutorial sull’anion gap si trova su questo video https://www.youtube.com/watch?v=sQnEFVNrY74]

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COME FUNZIONA il COMPENSO RENALE NELL’ACIDOSI RESPIRATORIA? Nell’acidosi respiratoria c’è un accumulo di CO2 che poi si trasforma in

bicarbonato, per cui si avrà un pH basso e dei bicarbonati aumentati, con ipercapnia. Ma qual è il meccanismo che fa aumentare i bicarbonati? È per l’appunto il compenso renale: il rene ha il ruolo di trattenere o di eliminare i bicarbonati.

Una caratterista del compenso dell’acidosi respiratoria è di avere una certa latenza nell’accumulo dei bicarbonati, per cui l’acidosi respiratoria acuta è caratterizzata da bicarbonati normali e ipercapnia, perché il rene ha bisogno di ore/giorni per aumentare i bicarbonati. Mentre l’acidosi respiratoria cronica, vedi BPCO, è caratterizzata da acidosi con bicarbonati molto elevati, perché il rene ha già messo in atto i meccanismi di compenso.

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EFFETTI

È importante trattare l’acidosi metabolica perché ha degli effetti a distanza estremamente negativi: quando è prolungata, è una causa determinante per: osteopenia, cioè ha effetto catabolico rapido sull’osso e sul muscolo.

Rapida progressione verso la malnutrizione. ipoalbuminemia,

danno tubulointerstiziale,

alterazione della funzionalità cardiaca, insulinoresistenza,

Modifiche dei livelli di GH ed ormoni tiroidei.

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TERAPIA

L’unico modo per trattare l’acidosi metabolica in modo incisivo è somministrare bicarbonato di sodio. Questo può essere controproducente in un pz con IA e tendenza allo scompenso cardiaco, perché il sodio può aumentare la pressione arteriosa e a causare espansione volemica; tuttavia in questo momento è più urgente risolvere l’acidosi. Il target è portare i livelli di carbonato sopra i 22. Il citrato, altra fonte alcalina, NON deve essere utilizzato nella CKD perché può aumentare drammaticamente l’assorbimento dell’alluminio e portare a tossicità e osteomalacia.

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La questione della malnutrizione è un problema importante e a questa contribuiscono vari fattori:

flogosi attivata: in primis; riduzione dell’appetito; inattività;

acidosi: accelera la malnutrizione bruscamente.

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Dieta del nefropatico

Perché si parla di dieta ipoproteica nel nefropatico? Se fate un esperimento e in una persona sana fate un carico proteico (servite una fiorentina da mezzo kg) e nelle ore successive misurate con 51CrEDTA il filtrato glomerulare (VFG),

osservate che il carico di amminoacidi stimolerà il VFG in maniera acuta. In una dieta iperproteica in qualsiasi persona provoca una stimolazione cronica ad avere un filtrato glomerulare elevato, che è proprio il contrario rispetto a quello che fa l’ACE-inibitore. L’Ace-I, regolando l’emodinamica glomerulare, cioè dilatando l’arteriola efferente, provoca un filtrato più basso, una ridotta pressione di filtrazione, quindi in qualche modo è nefro-protettivo. Mentre la dieta

iperproteica fa il contrario, cioè stressa il glomerulo con un’aumentata pressione di filtrazione.

Il problema è quanto, poiché se voi date una dieta ipoproteica spinta al

nefropatico provocate una malnutrizione grave che è altrettanto dannosa. Allora sono state fatte tonnellate di studi clinici e questo è quello che succede:

confrontando una dieta normale (= 1.3 g/kg/die) con una dieta ipoproteica (=0,6 g/kg/die), si vede come nell’arco di 36 mesi la caduta del GFR non è tanto

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simile alla dieta normale, per poi differenziarsi. L’effetto della dieta ipoproteica spinta è abbastanza modesto in prospettiva: c’è, è significativo e riproducibile, ma è quantitativamente poco. Per dirlo in maniera esplicita, se voi fate fare una dieta ipoproteica per 5 anni ad un paziente stadio III, voi gli ritardate l’ingresso in dialisi di 2 mesi, che non è granché, al prezzo –tra l’altro– di un rischio di malnutrizione molto elevato.

Quindi è molto logico dare delle diete ipoproteiche al nefropatico, per ridurre la pressione di filtrazione e quindi per proteggere il glomerulo.

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Dieta ipoproteica.

Per cui si è arrivati ad un compromesso, cioè che bisogna evitare la dieta ipoproteica nel nefropatico, ma è sufficiente implementare con una dieta normoproteica di 0,8 g/kg/die, che è il fabbisogno minimo di una persona sana. Vi assicuro che per una persona malata è difficile arrivare a 0,8.

Le linee guida sono queste: ecco una tabellina (a fianco) che dice cosa deve fare una dietista in un ambulatorio nefrologico. Quindi deve consigliare:

non più di 0,8 g/kg/die di proteine;

queste proteine devono essere preferibilmente di origine vegetale.

Perché di origine vegetale? Perché nelle proteine animali ci sono alti livelli di fosfati mentre in quelle vegetali i fosfati sono bassi. Per cui il segreto è dare proteine vegetali per tenere bassi i fosfati.

Quindi la dieta deve essere normoproteica con proteine prevalentemente vegetali, ovviamente viene applicata la solita restrizione sodica, per motivi evidenti; cercare di non somministrare cibi ricchi di K+; bisogna essere generosi

con il Ca2+, e mantenere un in-take di Ca2+di questo tipo (da slide: 1,5 g/die).

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Praticamente il fosforo è contenuto nelle proteine di origine animale compresi i latticini (ad es. anche nel formaggio ce n’è tanto). Poi le calorie ovviamente devono essere adeguate, quindi né in eccesso né in difetto.

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Attività fisica

Una delle cose importanti che il medico deve sapere e a cui ci deve porre la giusta attenzione è il beneficio dell’attività fisica nei malati cronici.

L’esercizio fisico è diventato materia di prescrizione medica (tanto che la Scuola di Specialità in Medicina dello Sport oggi si chiama Medicina dello Sport e

dell’esercizio fisico), cioè il medico deve prescrivere l’attività fisica (ad es. 30 minuti di camminata veloce al giorno per 5 giorni a settimana) perché è di sicuro beneficio per il paziente. Questo vale per tutti i tipi di malati cronici. Si è vista una clamorosa riduzione della progressione della malattia nel bronchitico cronico che ha un programma di esercizio fisico attivo (con riduzione della caduta del FEV1 in maniera progressiva; un altro studio dimostra addirittura una “non

progressione”). La stessa cosa vale per il cardiopatico e per la pneumologia. L’esercizio fisico è importante nel mantenimento della stabilizzazione del paziente malato cronico.

Questo studio (slide) mostra una cosa molto interessante. Se voi implementate una very low protein diet, come si usava una volta (0,6 g/kg/die), in pazienti con IRC e li dividete in 2 gruppi: quelli a cui veniva prescritto un programma

d’esercizio fisico (istogrammi blu), quelli a cui non veniva prescritto (istogrammi rossi), si vede come in quelli in cui veniva prescritta una very low protein diet

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senza esercizio fisico perdevano una quantità di massa magra molto elevata in 12 settimane. Valutare il contenuto di K+intracellulare è forse il metodo più accurato

per misurare la massa muscolare, anche se è una valutazione molto complicata (non si fa correntemente).

Quindi implementare 0,6 g/kg/die di proteine senza esercizio fisico fa perdere massa muscolare; è un chiarissimo intervento catabolico, che provoca

malnutrizione. Però se queste persone seguivano un programma di esercizio fisico, riuscivano a mantenere completamente la massa muscolare e aumentavano la forza. Per cui l’attività fisica, fatta in maniera regolare da questi pazienti cronici, è fondamentale per abbassare il rischio CV e per mantenere lo stato nutrizionale. È potente l’interazione tra dieta (cioè l’introito di proteine) e la successiva attività fisica.

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Per quanto riguarda l’iperlipidemia, le statine sono assolutamente obbligatorie per vari motivi.

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Prescrizioni farmacologiche nel paziente con IRC Tabellina dell’Oxford.

Molti farmaci devono avere una riduzione del dosaggio, in particolare gli antibiotici; in dosaggio dev’essere regolato in base alle VFG (esistono delle tabelline).

Non vale solo per gli antibiotici che devono essere modulati, ma anche per la digitale, p. es.

Ancora: l’eparina, i nuovi anticoagulanti orali (Dabigatran in particolare), gli oppiacei, il litio, devono essere modulati in base alla funzione renale.

Questi discorsi non valgono per la dialisi, perché la dialisi implica dosaggi normali di farmaci perché ovviamente c’è un meccanismo autonomo di clearance dei vari farmaci.

Discorso opposto vale per la furosemide; ha un dosaggio che va aumentato (e non diminuito, a differenza della maggioranza degli altri farmaci).

PRESCRIVERE FARMACI NELL’INSUFFICIENZA RENALE

Molti farmaci devono avere la dose aggiustata in base al filtrato glomerulare. Se il pz è in dialisi l’aggiustamento si valuta in base all’efficacia della dialisi stessa

.

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Antibiotici, soprattutto amminoglicosidici e cefalosporine Eparina

Litio Oppiacei

Digossina: Le formulazioni della digitale (Lanoxin ®) in compresse sono 3: 0,25; 0,125; 0,0625. Quelle a dosaggio più basso sono indicate per i pazienti con IRC.

Nuovi anticoagulanti orali (particolarmente il Dabigatran).

Nella maggior parte dei farmaci il dosaggio va calibrato in base alla funzione renale, quindi bisogna conoscere questo dato.

Il miglior testo da consultare è il Renal Drug Handbook, che quasi tutte le farmacie e gli ospedali dovrebbero avere. Questo contiene le modificazioni da operare nel dosaggio di quasi tutti i farmaci.

Un’altra considerazione riguarda la furosemide il cui dosaggio va aumentato. La terza considerazione è forse la più importante: farmaci comunissimi come i FANS pongono a serio rischio la funzione renale perché l’inibizione della sintesi di alcune prostaglandine, che vasodilatano l’arteriola afferente, fa sì che l’assunzione di FANS possa costringere l’arteriola rapidamente provocando IRA.

Per esempio, il trattamento corrente per un attacco acuto di gotta è

somministrazione di un FANS (indometacina) per via endovenosa, a meno che questa persona non abbia un IR, a quel punto uso altri farmaci. Non uso la colchicina che può dare danno renale, ma uso gli steroidi che non hanno effetto sull’insufficienza renale.

Per cui la prescrizione di FANS di qualsiasi tipo deve essere fatta con molta cautela, o non fatta, nel paziente con insufficienza renale.

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Questo è uno schema riassuntivo delle strategie terapeutiche e gli obiettivi di tali terapie nella Insufficienza Renale Cronica.

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