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Terapia topica del melanoma cutaneo: nuovi formulati a base di nanomicelle Ph-sensibili

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di laurea magistrale in Farmacia

Tesi di laurea:

TERAPIA TOPICA DEL MELANOMA CUTANEO: NUOVI

FORMULATI A BASE DI NANOMICELLE PH-SENSIBILI

Relatori: Candidato:

Dott.ssa Silvia Tampucci Mattia Vergazzoli Dott.ssa Daniela Monti

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Indice

Introduzione ... 3

1. Struttura della pelle ... 4

1.1 Epidermide ... 6 1.2 Derma ... 9 1.3 Ipoderma ... 10 1.4 Annessi cutanei ... 11 2. Permeazione cutanea ... 12 2.1 Vie di penetrazione ... 13

2.2 Meccanismo di passaggio attraverso la cute ... 14

2.3 Principali fattori che influenzano l’assorbimento cutaneo ... 17

2.3.1 Caratteristiche chimico – fisiche del farmaco. ... 18

2.3.2 Formulazione del veicolo ... 19

2.3.3 Condizioni dello strato corneo ... 20

3. Metodi per valutare la penetrazione e la permeazione cutanea in vitro... 23

3.1 Studi in vitro ... 24

4. Cheratosi attinica ed evoluzioni in cancro della cute ... 28

4.1 Epidemiologia delle AK ... 31

4.2 Fisiopatologia delle AK e forme cancerose ... 32

4.3 Terapie farmacologiche ... 35

5. Nanosistemi per il drug delivery ... 37

5.1 Meccanismo di rilascio dei sistemi nanostrutturati ... 40

6. Nanomicelle ... 41

6.1 Nanomicelle con tensioattivi ... 42

6.2 Nanomicelle polimeriche ... 43

6.3 Metodi di preparazione ... 44

6.4 Applicazione cutanea ... 47

7. Liquidi ionici ... 49

7.1 Proprietà fisico – chimiche ... 49

7.2 Applicazioni in ambito di ricerca ... 50

7.3 Applicazione industriale dei liquidi ionici ... 51

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7.4.1 Liquidi ionici tensioattivi ph-sensibili ... 53

Parte sperimentale ... 54

1. Scopo della tesi ... 55

2. Materiali ... 57 2.1 Liquidi ionici ... 57 2.2 Imiquimod ... 59 2.2.1 Meccanismo di azione ... 61 2.3 Vitamina E-TPGS... 62 3. Metodi ... 65

3.1 Preparazione delle nanomicelle ... 65

3.2 Caratteristiche fisico-chimiche delle nanomicelle ... 66

3.2.1 Analisi dimensionale ... 66

3.2.2 Entrapment e loading ... 67

3.3 Analisi HPLC ... 68

3.4 Studio di rilascio in vitro del farmaco dalle nanomicelle ... 68

3.5 Studi di permeazione e penetrazione ex vivo... 69

3.5.1 Determinazione della quantità di farmaco accumulata nella cute ... 71

3.6 Valutazione della stabilità ... 72

3.7 Liofilizzazione ... 72

4. Risultati ... 74

Bibliografia ... 81

Tabelle ... 89

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1. Struttura della pelle

Fig.1 - Struttura della cute

La pelle è lo strato più esterno del nostro apparato tegumentario e il più esteso del nostro organismo con un’area di 1.8 m2. Con il suo range di

peso tra gli 8 e i 10 kg rappresenta l’organo più pesante dopo la muscolatura scheletrica e con il suo spessore fra gli 0.5 e i 4 mm quello più sottile. Lo spessore cambia a seconda della regione anatomica, è massimo nella nuca, nel palmo delle mani e dei piedi mentre è minimo sulle palpebre e nella zona auricolare posteriore. Può variare a seconda dell’età, del sesso e della taglia, ma in generale si può asserire che la pelle maschile è più spessa di quella femminile. Svolge varie funzioni:

1. Protezione in quanto barriera anatomica contro microorganismi esterni, raggi UV, agenti tossici e attacchi meccanici.

2. Controllo della perdita di liquidi e sostanze varie nonché del bilanciamento degli elettroliti attraverso la sudorazione.

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3. Sensoriale.

4. Regolazione termica.

La cute gode di proprietà di autoriparazione rigenerandosi in seguito a lesione e di estensibilità adattandosi alla dimensione del nostro corpo. Nello strato più interno contiene fino al 70 % di acqua con pH analogo a quello fisiologico mentre salendo verso gli strati più esterni il contenuto si abbassa di una percentuale che varia dal 10 al 15 % e il pH diviene più acido: tra il 4.2 e il 5.6.

Organo dinamico, la pelle è soggetta a cambiamenti continui nel corso della vita dell’organismo e ad invecchiamento, generato da notevoli fattori genetici e ambientali. La struttura comprende 3 strati funzionali:

❖ Epidermide, strato più esterno, funge da barriera.

❖ Derma, strato intermedio di tipo connettivo, agisce da sostegno.

❖ Ipoderma, strato più profondo adiacente a tessuti adiposi e muscolari sottocutanei, con azione di ammortizzatore meccanico, isolante termico e riserva calorica.

La pelle è dotata di annessi cutanei che partendo dai tessuti sottocutanei si sviluppano fino allo strato più esterno quali follicoli piliferi, ghiandole sudoripare apocrine ed eccrine; è inoltre dotata di terminazioni nervose che ne costituiscono un vasto organo di senso.

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1.1 Epidermide

Fig.2 - Organizzazione strutturale epidermide

È un epitelio squamoso stratificato derivato per lo più dell’ectoderma, composto da vari tipi di cellule tra cui melanociti e cellule sensitive di Merkel, originati entrambi dalla cresta neurale, cellule di Langerhans generate dal midollo osseo. È un tessuto non vascolarizzato il cui nutrimento dipende dalla diffusione di metaboliti e ossigeno dai capillari del derma, con uno spessore che varia tra i 0.05 e 1.5 mm. La sua divisione in strati rispecchia il ciclo vitale delle cellule epiteliali presenti: i cheratinociti. Gli strati sono dall’interno all’esterno:

❖ Basale

❖ Spinoso o di Malpighi ❖ Granuloso

❖ Lucido ❖ Corneo

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Strato basale

Si trova a contatto col derma, è costituito da numerose cellule di forma cubica e cilindrica, con intensa attività proliferativa legate fra loro grazie a desmosomi completi e unite alla membrana basale grazie a emi-desmosomi. Qui i cheratinociti vengono prodotti da cellule staminali e risalgono verso la superficie per sostituire quelli persi per esfoliazione. A questo livello abbiamo cellule di Merkel (sensibilità cutanea) e melanina contenuta nei melanosomi che, trasferita nei cheratinociti, è stoccata in granuli.

Strato spinoso

Costituito da 8-10 strati di cellule poliedriche, dotati di estroflessioni che le legano fra di loro. Contengono complessi melanosomici, cellule di Langerhans con funzione immunologica e corpi lamellari, organelli che producono lipidi e glicoproteine riversate poi negli strati superiori per formare la barriera epidermica.

Strato granuloso

Formato da cellule appiattite, è riccamente costituito da granuli di cheratoialina, proteina importante per la sintesi di cheratina e filagrina; è in questo strato che il materiale lipidico prodotto dai corpi lamellari va a formare il cemento intercorneocitario. Come ultimo strato di cellule nucleate, contribuisce e svolge un ruolo fondamentale nel processo di cheratinizzazione e apoptosi.

Strato lucido

Non è sempre evidenziabile tranne che nei palmi di mani e piedi o nelle punte delle dita, è composto da cellule appiattite anucleate contenenti

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eleidina, sostanza ricca di lipidi e zolfo che rifrange la luce e derivata dal catabolismo di cheratoialina e tonofilamenti.

Strato corneo

Costituito da più di 25 strati di corneociti composti per un 70% di proteine fibrose (α-cheratina e β-cheratina), lipidi per un 20% e proteine non fibrose. Sono cellule cheratiniche morte, appiattite, anucleate immerse in una matrice di doppi strati lipidici lamellari posta come interfaccia tra il cemento intercorneocitario e il rivestimento corneo, contenente ceramidi, colesterolo e acidi grassi a lunga catena in rapporto molare 1:1:1, ideale per la funzionalità della barriera. Sono rivestiti da un involucro esterno proteico e insolubile maggiormente formato da involucrina e loricrina e ancorati tra loro grazie a corneodesmosomi. In un processo germinativo di circa 2 settimane tali cellule vengono rinnovate per esfoliazione. La composizione lipidica degli strati segue la differenziazione cellulare. Mentre negli strati basale e spinoso troviamo steroli liberi e fosfolipidi già nello strato granuloso abbiamo una diminuzione di questi e una presenza più marcata di glicosfingolipidi ed esteri del colesterolo, arrivando infine alle formazioni lipidiche dello strato corneo appena descritte. Mentre l’assenza di zuccheri e fosforo rende lo strato più resistente ai batteri e il film lipidico un gel a temperatura corporea, il rivestimento dei corneociti è invece importante per l’omeostasi cutanea. Lo strato corneo ha un contenuto di acqua ridotto rispetto agli strati inferiori di una cifra variabile fra il 40 e 60 %, anche se comunque lo stato di idratazione è fondamentale per la funzione fisiologica della barriera.

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1.2 Derma

Fig.3 - Collocazione derma.

Tessuto derivante del mesoderma principalmente, funge da supporto per l’epidermide a cui si lega attraverso la membrana basale. Ha uno spessore che varia tra gli 0,6 e 4 mm a seconda della regione anatomica e figura come una membrana biancastra ed elastica. Contiene infatti per il 70% collagene, poi fibre elastiche, vasi sanguigni, fibre muscolari e fibroblasti, responsabili della sintesi di procollagene che viene in seguito idrolizzato in collagene per fornire una struttura reticolata ad elevata resistenza meccanica. Il gel in cui le fibre sono inserite aiuta a mantenere adeguata

viscosità e idratazione ed è formato da glicosamminoglicani

(principalmente acido ialuronico e dermatansolfato) e proteoglicani, prodotti proprio dagli stessi fibroblasti. Il derma è composto da due parti:

❖ Papillare, formato da tessuto connettivo lasso, collagene, fibre elastiche e capillari, particolare per la presenza di sporgenze coniche chiamate papille dermiche le quali ingranano con le creste epiteliali dell’epidermide a formare la giunzione dermo -epidermica.

❖ Reticolare, costituito da tessuto connettivo denso contenenti vasi sanguigni e linfatici, mastociti e terminazioni nervose. Qui il collagene forma dei fasci robusti intrecciati parallelamente alla superficie della cute e tra questi si intersecano fibre elastiche che conferiranno maggior o minor estendibilità. Queste sono particolarmente

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numerose intorno agli annessi cutanei che attraversano lo strato e si spingono in profondità quali follicoli piliferi e ghiandole.

1.3 Ipoderma

L’ipoderma o strato sottocutaneo, è lo strato più profondo della cute e mette in relazione il derma con i tessuti sottostanti quali fasce muscolari e il periostio, membrana connettivale che ricopre le ossa ad eccezione delle zone tendinee o cartilaginee. Il suo spessore varia tra i 0,5 e i 2 cm risultando minore ove il contatto con l’osso diretto è maggiore ad esempio il naso o i padiglioni auricolari e maggiore in zone come i glutei e i palmi di mani e piedi. Di solito è evidenziabile un piano che separa derma e strati connettivali profondi, formato da connettivo lasso, che permette lo scorrimento reciproco fra questi due elementi, consentendo il sollevamento della cute in pliche; spesso però l’organizzazione di questo strato è più complessa a causa del deposito di adipe e prende il nome di pannicolo adiposo sottocutaneo, una struttura che permette di aggiungere alle capacità di sostegno, ammortizzazione, termoregolazione anche la possibilità di avere una riserva energetica ( equivalente a 45-90000 calorie per un uomo di 70 kg). Lo strato contiene le basi dei follicoli piliferi, i nervi cutanei e le porzioni secretrici delle ghiandole sudoripare inoltre, la presenza di plessi capillari che vanno a addentrarsi poi nel derma e che formano un reticolo intorno agli annessi cutanei ne fanno anche un tessuto fortemente vascolarizzato.

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1.4 Annessi cutanei

Peli: si distribuiscono sull’intera superficie cutanea con maggiore o minore

densità ad eccezione del palmo delle mani e della pianta dei piedi. Sono numerosi sul volto e sul cuoio capelluto. Il bulbo pilifero è accolto in una invaginazione tra epidermide e derma, che prende il nome di follicolo pilifero. Il fusto del pelo consiste in una cuticola esterna che riveste una corteccia di cheratinociti e un midollo interno di cellule vitali. Ogni follicolo pilifero è fiancheggiato da una cellula germinativa e da melanociti, mentre lungo il fusto corre il muscolo erettore del pelo.

Ghiandole sebacee: sono ghiandole acinose, formate da alveoli

sacciformi a secrezione olocrina (sebo), la quale viene riversata all’interno del follicolo pilifero attraverso un dotto escretore unico. La secrezione è continua ed è formata principalmente da steroli, acidi grassi, trigliceridi, squalene ed esteri cerosi, caratterizzante un classico segnale ormonale. Si occupa inoltre della difesa dai batteri e dagli UV, mantenere l’idratazione e lubrificare i peli. Il meccanismo di secrezione comprende un progressivo accumulo di sebo all’interno delle cellule secernenti, le quali aumentano di dimensione fino a scoppiare; per questo all’interno del sebo vanno anche residui, continuamente rimpiazzati da nuova produzione cellulare.

Ghiandole sudoripare: sono ghiandole tubulari semplici e si dividono in

apocrine ed eccrine. Le prime si trovano nella zona sottocutanea e il loro dotto sfocia direttamente nel follicolo pilifero; il loro secreto, viscoso e opaco, viene liberato tramite l’eliminazione del citoplasma apicale e spinto sulla superficie cutanea dalla contrazione di muscoli mioepiteliali a terminazione adrenergica. Sono strutture messe in funzione da maturazione sessuale e si trovano principalmente nel cavo ascellare,

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areole mammari, zone pubiche e del perineo. Le ultime producono sudore a pH tra 4 e 6.5, una soluzione acquosa diluita contenente l’1% di soluti; di questi, il 75% sono dati da sostanze inorganiche (prevalentemente NaCl) e il 25% da sostanze organiche (urea, acido urico, creatinina, acido lattico). Secesso in maniera discontinua, il sudore ha varie funzioni: termoregolazione, regolazione dell’equilibrio idrico fisiologico, eliminazione di sostanze cataboliche e un fondamentale apporto al film idrolipidico cutaneo. Composte di una parte avvolta a gomitolo rappresentante l’unità secernente e di un dotto escretore che si apre sulla superficie cutanea, sono ghiandole ricche di vasi e terminazioni nervose principalmente adrenergiche.

2. Permeazione cutanea

La pelle costituisce una barriera all’ingresso di sostanze estranee al nostro corpo. Può essere considerata come una membrana semipermeabile notevolmente selettiva con un sistema immunitario molto attivo, ma anche la via di penetrazione di principi attivi. L’assorbimento percutaneo si verifica con un meccanismo di diffusione passiva determinato dal gradiente di concentrazione del principio attivo tra la superficie della pelle e gli strati più interni.

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2.1 Vie di penetrazione

L’ostacolo maggiore alla penetrazione cutanea è rappresentato dallo strato corneo e il passaggio di sostanze all’interno di esso può avvenire con processi precisi:

❖ Via transcellulare: passaggio all’interno del corneocita ❖ Via intercellulare: passaggio tra i corneociti

❖ Via pilosebacea o di shunt: passaggio attraverso annessi cutanei come follicoli o ghiandole.

Gli annessi cutanei possono essere utili per l’immagazzinamento di più ampie molecole come proteine ma il trasporto attraverso lo strato corneo ricopre sicuramente il ruolo più importante in quanto solo lo 0.1-0.5% della superficie corporea può essere utilizzata per la via pilosebacea. Detto ciò è importante conoscere i fenomeni di partizione delle molecole della sostanza tra i compartimenti lipofili e idrofili della cute, per capire quale sarà la via preferita. (Elias et al. 1977; Elias, 1981; Elias 1983; Potts, 1989; Scheuplein e Blank, 1971; Sweeney e Downing, 1970; Stoughton, 1989; Nasca et al. 2011). In molti casi le vie lipidiche ovvero intercellulari sono le più utilizzate, anche se la maggior parte dei farmaci può diffondere sia attraverso questa via sia sfruttando la frazione proteica dei cheratinociti, ovvero la via transcellulare. I processi farmacodinamici di penetrazione, permeazione e assorbimento sono pertanto influenzati dalla struttura cutanea, dalla struttura chimico-fisica della formulazione usata come veicolo e dalla natura del principio attivo, oltre che dalla dose applicata.

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Fig.5 - Principali vie di penetrazione attraverso la cute

Di solito comunque nonostante non sia rilevante, la via pilosebacea è utile nelle prime fasi dell’assorbimento perché molto rapida, anche se di piccola entità. In seguito, superata la fase di raggiungimento dello stato stazionario, le altre vie diventano preponderanti con velocità di assorbimento costanti.

2.2 Meccanismo di passaggio attraverso la cute

Il trasporto attraverso lo strato corneo è un processo di diffusione passiva: la quantità (Q) di materiale che attraversa una barriera di area A nell’unità di tempo è detta Flusso, J:

𝐽 = 𝑑𝑄

𝐴 𝑑𝑡

Il flusso è proporzionale al gradiente di concentrazione dC/dx, a sua volta dato dal rapporto della differenza delle due concentrazioni ai lati della barriera e lo spessore di quest’ultima (X).

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𝐽 = −𝐷𝑑𝑐 𝑑𝑥

dove D rappresenta il coefficiente di diffusione del penetrante, C la concentrazione, X la distanza percorsa dal permeante attraverso la barriera. Da qui la I legge di Fick può essere riscritta come:

𝐽 = 𝑑𝑄

𝐴 𝑑𝑡 =

(𝐶1 − 𝐶2) ℎ dove:

dQ/dt = velocità di permeazione della sostanza attiva

(C1-C2) = concentrazione del farmaco ai lati della membrana D = coefficiente di diffusione della sostanza attiva

A = superficie interessata dall’assorbimento H = spessore dello strato corneo

D in particolare ci da informazioni riguardo la resistenza della barriera al passaggio attraverso di essa, ed è dato dalla legge di Stokes-Einstein:

𝐷 = 𝐾𝑇

6𝜋𝑣𝑟

dove K è la costante di Boltzman; T è la temperatura assoluta; r il raggio idrodinamico del principio attivo che diffonde; v è la viscosità. Il coefficiente di diffusione è, quindi, inversamente proporzionale alla viscosità del mezzo. La dipendenza di D dal peso molecolare è minima, poiché è necessaria una grande variazione di questo per influenzare significativamente il raggio medio r (Wurster, 1965). Elemento fondamentale del processo di diffusione è il coefficiente di ripartizione K, ottenuto dal rapporto tra la solubilità della sostanza nello strato corneo (di natura lipofila) e nel veicolo, indicando

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l’affinità del principio attivo per lo strato corneo (Rougier et al. 1990). Visto che non si conoscono C1 e C2, ma si conoscono le concentrazioni nella fase donatrice (veicolo o formulazione) e nella fase ricevente (fluidi biologici), si assume che all’interfaccia fase donatrice e barriera-fase ricevente esiste un equilibrio termodinamico, che può essere descritto per mezzo del coefficiente di ripartizione del diffondente tra membrana e fase donatrice o ricevente come segue:

𝐾 = 𝐶1 𝐶𝑑 = 𝐶2 𝐶𝑟 = 𝐶𝑑 𝐶𝑟

In cui Cd e Cr sono le concentrazioni della sostanza attiva nella fase donatrice e nella fase ricevente. Un basso valore di K corrisponde ad una tendenza della sostanza a rimanere nel veicolo; un elevato valore di K, d’altra parte, indica una limitata affinità per il veicolo ed una elevata velocità di rilascio. Quindi, considerando che Cd = KC1 e Cr = KC2, la I equazione di Fick diventa:

𝑑𝑄 𝐴 𝑑𝑡 =

𝐾 × 𝐷 × (𝐶𝑑 − 𝐶𝑟)

Poiché la concentrazione della sostanza attiva nei fluidi biologici è molto più piccola di quella nel veicolo, Cr può essere considerata irrilevante e la formula può essere riscritta:

𝑑𝑄 𝐴 𝑑𝑡=

𝐾 × 𝐷 × 𝐶𝑑 ℎ

Inoltre, il coefficiente di ripartizione K, il coefficiente di diffusione D e lo spessore h possono essere raggruppati nel coefficiente di permeabilità, P:

𝑃 = 𝐾 × 𝐷 ℎ

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Quindi il flusso può essere riportato come segue:

𝐽 = 𝑑𝑄

𝐴 𝑑𝑡 = 𝑃 × 𝐶𝑑

Durante gli studi in vitro è possibile seguire nel tempo la permeazione cutanea di una sostanza attiva attraverso la barriera dello strato corneo, monitorando la quantità di prodotto presente nella fase ricevente, da cui viene costruito un grafico riportando la concentrazione di principio attivo che diffonde attraverso la barriera. Il periodo in cui non è ancora stato raggiunto lo stato stazionario è denominato “lag time”, una misura del tempo necessario al principio attivo per saturare la barriera cutanea, ed è influenzato notevolmente dallo spessore della membrana e dal coefficiente di diffusione del principio attivo secondo la seguente relazione:

𝐿𝑎𝑔 𝑇𝑖𝑚𝑒 = ℎ2 6𝐷 Fase che è seguita da un flusso costante.

2.3

Principali fattori che influenzano l’assorbimento

cutaneo

L’ assorbimento transepidermico è influenzabile da vari fattori fra cui le caratteristiche chimico- fisiche del farmaco, la formulazione del veicolo e le condizioni dello strato corneo.

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2.3.1 Caratteristiche chimico – fisiche del farmaco.

Le specifiche proprietà di ogni molecola applicata sulla cute ne modificano l'assorbimento: peso, solubilità in acqua, pH, stabilità, concentrazione, coefficiente di ripartizione e capacità di legame con componenti della pelle (binding), (Michael et al. 1975).

Solubilità: la solubilità di un farmaco in acqua è sicuramente importante per creare un sistema transdermico poiché la velocità di dissoluzione lenta potrebbe causare problemi nell’assorbimento. Di fatto farmaci poco solubili in acqua danno origine spesso a depositi che rilasciano il farmaco in maniera costante, ma che altrettanto spesso non raggiungono una quantità di cessione sufficiente.

pH: lo stato di dissociazione di un farmaco, influenzato dalle condizioni di pH, è importante da prevedere per il passaggio attraverso lo strato corneo; passano infatti più facilmente farmaci in forma non ionizzata, perché più liposolubili.

Peso molecolare: il passaggio attraverso membrane biologiche ne può essere ostacolato, di solito diffondono liberamente attraverso lo strato corneo molecole aventi un peso massimo di 800 Da.

Concentrazione: per un passaggio ottimale dovrebbe essere tenuta a saturazione. Influenza il passaggio dentro e fuori il veicolo poiché naturalmente l’aumento del gradiente di concentrazione aumenta la quantità di farmaco trasferibile per unità di tempo.

Stabilità: molti enzimi metabolici cutanei potrebbero influenzarla, prevalentemente, con reazioni di ossidoriduzione che portano alla diminuzione della biodisponibilità.

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Coefficiente di ripartizione: o coefficiente di distribuzione, rappresenta il rapporto tra le concentrazioni di un composto all'interno delle due fasi di una miscela di due liquidi immiscibili all'equilibrio e aiuta a prevedere l’assorbimento cutaneo e/o la distribuzione preferenziale del farmaco all’interno di sistemi biologici.

Binding: per tanti tipi di sostanza chimiche è una capacità che si sta rivelando importante quella di legarsi a particolari componenti della pelle (es. proteine o lipidi) con possibilità di creare riserve di farmaco cutanee utilizzando gli annessi cutanei e rilasciare il farmaco in maniera graduale.

2.3.2 Formulazione del veicolo

Il veicolo è definito dal tipo di preparazione e dagli eccipienti. Il veicolo e gli eccipienti possono influenzare la velocità e l’intensità dell’assorbimento e conseguentemente la biodisponibilità e l’efficacia; sono infatti in grado di influire su caratteristiche dello strato corneo quali la sua idratazione (Scarpignato 2001). Veicoli a base acquosa non sono occlusivi e non aiutano l’assorbimento di sostanze per uso topico, ma permettono ai farmaci idrofili di solubilizzarsi in più alte concentrazioni, permettendo di bilanciare l’aspetto non occlusivo. Veicoli lipofili provvedono, invece, ad un effetto occlusivo e agiscono come umettanti per promuovere la penetrazione cutanea. Per idratare la pelle si possono usare, per esempio, veicoli con caratteristiche tali che la loro applicazione formi una pellicola in grado di impedire l'evaporazione dell'acqua. In questo modo l'acqua che è presente negli strati più profondi della pelle raggiunge gli strati superficiali aumentandone l'idratazione che passa dal normale 10% a circa 50%; in queste condizioni la penetrazione di corticosteroidi attraverso la cute può aumentare di circa 100 volte (Clementi e Fumagalli, UTE). Viceversa, la

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cessione di principi attivi lipofili può risultare molto ridotta a causa dell’elevata affinità per il mezzo disperdente; i glicoli, sotto forma liquida come il glicol propilenico o semisolida come il glicol polietilenico, influenzano la ripartizione tra veicolo e strato corneo aumentando la solubilità dei farmaci lipofili all’interno di esso. Assorbono, infatti, acqua endogena dall’epidermide e diminuiscono l’idratazione dello strato corneo. Al contrario i solventi aprotici come il dimetilsolfossido, DMSO, aumentano significativamente la velocità di penetrazione dei farmaci idrofili attraverso la cute, in quanto il loro carattere di igroscopicità provoca una forte idratazione dello strato corneo; sono però dotati di una certa tossicità ed il loro uso è limitato. Facendo considerazioni sul pH, ad esempio l’assorbimento di principi attivi con caratteristiche acide potrà essere aumentato usando un veicolo acido in quanto quest’ultimo favorirà la forma indissociata, priva di carica. Gli emulsionanti e tutte le sostanze tensioattive in genere offrono la possibilità di accelerare la penetrazione di un farmaco svolgendo un’azione complementare al veicolo. Tra le diverse forme farmaceutiche gli idrogeli, le sospensioni acquose e le emulsioni O/A si comportano sulla pelle come mezzi acquosi, mentre gli unguenti, le paste anidre e le emulsioni A/O funzionano come sistemi lipidici.

2.3.3 Condizioni dello strato corneo

Riveste molta importanza il grado di idratazione della cute (10-15% circa) che favorisce la velocità di assorbimento delle sostanze idrosolubili: la porzione proteica si rigonfia per assorbimento di acqua, aumentando la grandezza dei pori. La presenza di sostanze igroscopiche permette di trattenere acqua sufficiente a conferire alla cute elasticità e morbidezza, mentre il film idrolipidico che avvolge lo SC evita la perdita delle sostanze

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igroscopiche solubili in acqua (Rawlings et al. 2004). Il grado d’idratazione dello strato corneo dipende dalla quantità di acqua assorbita dagli strati sottostanti, dalla quantità di acqua persa per evaporazione, determinata da fattori ambientali quali temperatura, umidità e ventilazione e dalla capacità di questo strato di trattenere l'acqua (Middleton 1986). La regolazione dell'idratazione della cute è dovuta al NMF (fattore di idratazione naturale), un insieme di sostanze solubili in acqua presenti nello strato più esterno della cute. Queste sostanze, in parte provengono dalla secrezione delle ghiandole sudoripare e sebacee, e in parte dalla degradazione della cheratina e dei lipidi. La composizione del NMF è data da: aminoacidi 40%, acido piroglutamico 12%, lattato di sodio 12%, urea 7%, glucidi 4%, sali 25% (Marty, 2002). Queste sostanze, oltre all’idratazione, regolano anche il pH cutaneo in un range tra 5.5 – 6.5 (funzione tampone). Nello spazio intercellulare il basso contenuto di acqua legata ai gruppi polari non altera l'organizzazione dei lipidi e non ne riduce la permeabilità. Tuttavia, sembra esistere un meccanismo omeostatico che previene l’iperidratazione della cute; l'occlusione può aumentare notevolmente l'assorbimento di sostanze idrofile, ma in molti casi si tratta di un effetto riserva (Marriot et al., 1992). Un altro fattore importante è la temperatura: aumentando la temperatura si ha una diminuzione di viscosità del veicolo, con conseguente aumento della diffusione attraverso di esso. Alterazioni dell'umidità esterna possono influire sulla proteolisi della fìlaggrina, sulla sintesi di lipidi, DNA e proteine all'interno dei cheratinociti. Inoltre, l’assorbimento è molto influenzato dalle caratteristiche anatomiche della cute al sito di assorbimento: decresce progressivamente dalle palpebre alla pianta del piede, perché la permeabilità è inversamente proporzionale allo spessore. Subentrano poi, altri fattori che determinano il grado di penetrazione come la densità degli annessi cutanei, l’area superficiale dei corneociti, il contenuto di lipidi intercellulari. Alterazioni della barriera cutanea sia attraverso metodi chimici che fisici, possono produrre un'alterazione del TEWL (transepidermal water

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loss) in seguito a variazioni di tipo strutturale, con variazioni nel processo di assorbimento transdermico. Altri aspetti connessi con le condizioni dello strato corneo, che possono alterarne la permeabilità sono:

❖ integrità dello strato corneo: La pelle costituisce una una robusta barriera alla penetrazione solo se integra: tagli, abrasioni, lesioni ulcerative, ustioni creano discontinuità dello strato corneo attraverso cui i farmaci possono rapidamente diffondere nel tessuto connettivale sottostante e da qui raggiungere la circolazione sistemica.

❖ Presenza di patologie cutanee: possono influenzare direttamente la composizione di proteine e lipidi (ittiosi, dermatite atopica e dermatite da contatto), (Williams, 1992) o causare modificazioni dello strato corneo per alterazione del processo di proliferazione dei corneociti (psoriasi), (Christophers, 1993). L’esposizione ai raggi UV invece, comporta una modificazione dello strato corneo che può essere acuta o cronica: nel primo caso abbiamo una riduzione della funzione barriera associata ad intensa desquamazione, nel secondo, un incremento della barriera per aumento del contenuto lipidico della pelle. (Parrish, 1983)

❖ Età, razza e variabilità individuale: La cute dell'infante ha uno strato corneo molto più sottile e idratato rispetto all'adulto il che conduce a una aumentata capacità di assorbimento. Nell’anziano il tournover dello strato corneo è ridotto, come ridotti sono lo spessore epidermico e la capacità di ripristino della barriera in seguito a danneggiamento; lo strato corneo invece risulta ispessito e meno permeabile, portando al rallentamento dell’assorbimento cutaneo. Sesso e razza non comportano grosse differenze o, quantomeno, non sistematiche, sebbene, ad esempio, rispetto agli europei, gli africani e gli asiatici mostrino una minore capacità assorbente per i nicotinati, cosi come gli stessi individui di colore presentano una

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maggior stratificazione dello strato corneo rispetto ai caucasici, portando ad una diminuzione della permeabilità. A parità di età, sesso e sito di applicazione, l’assorbimento cutaneo può variare per cause costituzionali ed endocrine. L’assorbimento cutaneo di sostanze attive da formulazioni topiche costituisce circa l’1-5 % della dose applicata quindi, visto il successo dei sistemi transdermici, diventa fondamentale l’utilizzo di sistemi per aumentare la permeazione cutanea.

3. Metodi per valutare la penetrazione e

la permeazione cutanea in vitro

Gli studi di permeazione e penetrazione dei farmaci possono essere condotti in vivo seguendo protocolli sperimentali ed in vitro mediante celle di diffusione. Con la sperimentazione in vitro è possibile definire la cinetica di permeazione delle sostanze attive attraverso cute isolata eliminando i problemi derivanti dalla farmacocinetica della molecola in esame. La sperimentazione in vivo, invece, permette di quantificare e verificare la biodisponibilità e la tossicità di un farmaco sia a livello topico che sistemico. Generalmente questo tipo di sperimentazione viene limitato, per quanto possibile, a causa degli alti costi e dei problemi etici che può sollevare. I metodi in vitro, quindi, pur non sostituendo gli studi in vivo, possono essere utili nella fase preformulativa e di sviluppo formulativo.

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3.1 Studi in vitro

Gli studi in vitro possono essere condotti su cute umana, cute animale o cute ricostituita. La cute umana rappresenterebbe il metodo più valido per valutare la capacità dei farmaci di penetrare e permeare la cute, ma i problemi legati alla difficile reperibilità e alla difficile riproducibilità dei dati ottenuti causata dall’enorme variabilità della pelle umana, ha reso necessaria la ricerca di modelli animali, in particolare topi “hairless”, ratti, cavie, conigli e maiali. La pelle animale può essere scelta, a seconda delle esigenze sperimentali e delle caratteristiche richieste, non solo in base alla specie ma anche in base all’età ed al sesso (Hiroaki Todo, 2017). Il problema maggiore, quando viene usata la pelle di animali come modello di cute umana, è la sopravalutazione della permeabilità cutanea, conseguente anche a condizioni sperimentali non conformi alla situazione fisiologica, ad esempio l’idratazione elevata dovuta all’esposizione prolungata della pelle di roditore alla fase ricevente e donatrice del sistema di diffusione. Ciò comporta una marcata riduzione delle proprietà di barriera della cute. Alla pelle del topo, che presenta marcate differenze in ambito di

spessore del derma (minore di quello umano) e

composizione/organizzazione dei lipidi nonostante similarità dello strato corneo, si preferisce quella del maiale come modello alternativo. Le caratteristiche istologiche della cute di maiale sembrano comparabili a quelle della cute umana con notevoli similitudini nello spessore e nella composizione dell’epidermide, nella densità follicolare, nella struttura del derma, nel contenuto lipidico e nella morfologia generale.

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Fig.6 Pelle umana (sx) a confronto con pelle di maiale (dx)

In studi comparativi utilizzando vari substrati (Dick e Scott, 1992), si è determinata la permeabilità in vitro di composti idrofili e lipofili attraverso cute del maiale, umana e di topo con risultati simili tra cute del maiale, parte addominale della pelle umana e parte dorsale di pelle di ratto. La pelle dell'orecchio di maiale è stata utilizzata nell'ambito di studi in vitro come sostituto rispetto alla cute dell'uomo. La struttura di questo tessuto è stata studiata sia qualitativamente che quantitativamente e dalle informazioni disponibili sugli studi comparati di penetrazione nell’uomo e nel maiale risulta che, rispetto alla pelle proveniente da altre zone del corpo di questo animale, quella dell’orecchio rappresenta il modello migliore che possa essere utilizzato per gli studi di penetrazione transdermica (Jacobi et. al, 2007). La cute di orecchio di maiale è istologicamente simile alla pelle dell'uomo (Fig. 7): lo spessore dello SC è di 21-26 µm, rispetto a quello umano il cui spessore varia in un range di 6-19 µm, in base alla regione del corpo considerata; sono stati ritrovati cheratinociti a livello 20 dell'epidermide vitale e, al confine con il derma, sono state individuate cellule basali. Lo spessore dell’epidermide vitale di circa 72 µm è comparabile con quello nell’uomo a livello delle spalle di 70 µm. I sottostanti strati di pelle, principalmente costituiti dal derma, sono spessi circa 1,86 mm, mentre negli esseri umani, lo spessore massimo che raggiunge il derma è stato osservato a livello della schiena pari a 1.8-1.9 mm; nelle altre regioni del corpo si arriva ad uno spessore di 1 mm. Come

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nell’uomo le ghiandole sebacee sono associate al follicolo pilifero e le ghiandole sudoripare osservate nel derma sono connesse alla superficie cutanea attraverso un condotto, similarmente all’organizzazione delle ghiandole sudoripare eccrine umane. Paragonabile tra le due specie è l'intensa densità di follicoli piliferi che, nella pelle dell'orecchio del maiale è di 20/cm2, mentre nell'uomo soprattutto a livello del cuoio capelluto si

osserva una densità di follicoli piliferi massima di 14-32/cm2. L’estensione

dei peli e degli infundiboli (parte tra pelo e follicolo) attraverso il derma è molto simile fra le due specie, differisce il diametro sia del pelo, che degli orifizi infundibolari in quanto più largo nella pelle dell’orecchio del maiale. Il muscolo erettore del pelo, invece, si estende obliquamente fino al follicolo pilifero nel quale si inserisce ed è composto, come nella pelle umana, di desmina, caldesmone e α-actina (Debeer et. Al 2013). Nell’ipoderma suino, che appare come un tessuto connettivo riccamente vascolarizzato, sono presenti in larga parte adipociti che, come nella pelle umana, hanno concentrazioni scarse di vimentina e proteine S100. Le principali differenze a livello istologico rispetto alla pelle umana riguardano un minore spessore dello strato granuloso, una ridotta quantità di melanina e melanociti a livello dello strato basale, una più ampia distribuzione di ghiandole sudoripare apocrine (vs eccrine) e ghiandole sebacee più piccole e più sparse.

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Fig.7: aspetti istologici della cute suina (A) e umana (B) in dettaglio. HF: follicolo

pilifero, Mu: muscolo erettore del pelo, SwG: ghiandola sudoripara. SG: ghiandola sebacea, Ad: adipociti.

La permeabilità cutanea umana è risultata simile, conducendo vari studi di permeazioni, a quello dello strato corneo suino; similare, infatti, è il contenuto lipidico della pelle delle due specie, vero regolatore della permeabilità, cosi come lo spessore e gli aspetti morfologici. Analogamente agli umani, infatti, le classi di lipidi sono prevalentemente ceramidi, acidi grassi liberi e colesterolo; diversa invece è la distribuzione che negli umani appare come un denso reticolo ortorombico mentre nei suini i lipidi sono disposti a formare un reticolo esagonale. In generale, quindi, viste le caratteristiche istologiche e la facilità nella reperibilità e nella standardizzazione dal punto di vista dell’età, del sesso, peso dell’animale e regione anatomica considerata, la pelle dell’orecchio di suino è un substrato notevolmente valido per gli studi di permeazione in vitro. In uno studio condotto da Singh et. al (2002), la pelle di orecchio del maiale è stata utilizzata come modello in vitro per testare il rischio di assorbimento cutaneo di tre agenti chimici tossici: eptano, esadecano e xilene in confronto con gli stessi esperimenti eseguiti con cute umana. Mediante i profili di permeazione attraverso cute sia umana che suina, sono stati quantificati flusso e coefficiente di permeabilità dei 22 tre composti e i dati ottenuti mostravano valori di “factors of difference” (FOD) per la

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permeabilità attraverso i due tessuti, sottoposti allo studio, pari a 1.71, 1.28 e 1.16 per eptano, esadecano e xilene, rispettivamente. Il FOD, calcolato come il rapporto tra il coefficiente di permeabilità attraverso la pelle dell’orecchio del maiale e il coefficiente di permeabilità per la pelle umana, era inferiore a 2 e questo avvalora l’ipotesi che la pelle dell’orecchio del maiale possa essere utilizzata come sostituto, su cui condurre studi di permeazione e penetrazione, rispetto alla pelle dell’uomo.

4. Cheratosi attinica ed evoluzioni in

cancro della cute

La cheratosi attinica costituisce la forma più comune di “precancerosi” cutanea e nasce, principalmente, dalla prolungata esposizione alla luce solare in rapporto con la fotosensibilità individuale. Sebbene la maggior parte delle AK (actinic keratosis) possono rimanere benigne, circa il 10 % ha la possibilità di divenire un carcinoma a cellule squamose (iSCC) con possibilità di invadere i tessuti circostanti (40-60%) e dare metastasi agli organi interni (2-10%). Si manifestano sulla superficie della cute e si tratta di macule o papule ben demarcate di colore rosso-bruno, ricoperte da squame bianco giallastre tenacemente aderenti, secche e ruvide al tatto. Il loro spessore si aggira da 1 a 20 mm e appaiono, solitamente in numero maggiore di uno, sulle aree del corpo più frequentemente esposte al sole come il viso, le orecchie, il cuoio capelluto, le labbra, il dorso delle mani e degli avambracci, le spalle e il collo. Dal punto di vista anatomico - fisiologico le cheratosi sono caratterizzate da due alterazioni principali:

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❖ l’ipercheratosi orizzontale di tipo paracheratosica e ortocheratosica con epidermide atrofica o acantosica con presenza, a livello basale, di cheratinociti neoplastici che mostrano un aumentato pleiomorfismo cellulare e nucleare e mitosi diffuse.

❖ Presenza di infiltrato linfocitario, che potrebbe avere un ruolo nella progressione della malattia.

Inoltre, segno particolare della AK, è l’elastosi solare, condizione degenerativa che colpisce il connettivo, costituente fondamentale del derma e segno evidente dell’effetto di photoaging provocato dalla esposizione cronica alla luce solare (Paolino et. al, 2017).

fig.7: presentazione istologica di cheratosi attinica. In evidenza oltre all’ipercheratosi e

l’infiltrato linfocitario anche l’elastosi solare e la presenza di atipicità nelle cellule negli strati basali dell’epidermide

Le AK sono tradizionalmente classificate come AK I se l’atipicità dei cheratinociti basali coinvolge solo il terzo inferiore dell’epidermide, AK II se coinvolge i due terzi inferiori dell’epidermide, Ak III se le cellule atipiche si estendono agli strati superiori. Si distinguono tre forme cancerose che prendono il nome dalle cellule che sono coinvolte, in termini di origine e comportamento biologico (Singh et al., 2017):

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❖ Spinalioma, anche detto Carcinoma Spinocellulare o Carcinoma Squamoso (SCC);

❖ Basalioma, ovvero Carcinoma delle Cellule Basali (BCC); ❖ Melanoma.

La trasformazione delle AK nelle forme cancerose sono state studiate con attenzione negli ultimi anni. Uno studio di Fernandez Figueras (2017) sul progresso delle AK in SCC ha dimostrato che in SCC vulvari, cervicali e orofaringei le cellule atipiche presenti nelle AK I sono tra i più comuni precursori del carcinoma, seguendo un “percorso differenziato” come visibile in figura 8. Secondo i risultati ottenuti, però, la trasformazione immediata di AK I in SCC non può essere accertata sulla base di caratteristiche cliniche o istopatologiche. In altre parole, non si possono prevedere i progressi delle AK indipendentemente dal grado. L’idea, però, che la progressione da AK a carcinoma si verifichi solo dopo una trasformazione quasi completa dell’epidermide, ovvero seguendo il percorso classico da AK I ad AK III acquisendo poi la capacità di invadere il derma, rimane comunque radicata nella mente di molti dermatologi.

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4.1 Epidemiologia delle AK

L'epidemiologia di cheratosi attinica varia nel mondo intero secondo il tipo genetico della popolazione e le loro abitudini di stile di vita, specificamente tempo passato al sole. La cheratosi attinica pregiudica più spesso i soggetti con fototipo chiaro (1 e 2) ed è direttamente collegata all'esposizione cumulativa a radiazione UV. Di conseguenza, l'incidenza di cheratosi attinica è alta per le persone che:

❖ Siano anziane (di solito colpisce dai 40 agli 80 anni) ❖ Vivano vicino all'equatore

❖ Spendano molto tempo all'aperto (per esempio occupazione o hobby all'aperto)

Le Ak colpiscono però anche soggetti con il sistema immunitario indebolito a causa di terapie immunosoppressive, trapianto d’organo o di malattie che danneggiano la risposta immunitaria (ad es. AIDS). La malattia ha decorso lento e le sue cause, come accennato precedentemente, sono dovute a un’esposizione prolungata al sole con effetto cumulativo e conseguente danneggiamento al DNA cellulare. Essendo, inoltre, il tipo di danno dose dipendente, la frequenza e il grado di intensità con cui si presenta la patologia sono direttamente proporzionali alla quantità di radiazioni assorbite. A causa del rischio per cui la cheratosi attinica possa evolvere in cancro, le linee guida attuali raccomandano, non solo il trattamento tempestivo, ma soprattutto un trattamento mirato delle lesioni dato il loro continuo evolversi. Oggi questa correlazione prende il nome di “concetto della cancerizzazione di campo” (in inglese “field cancerization”), secondo cui nella pelle circostante un tumore cutaneo possono essere già presenti cellule maligne che potrebbero svilupparsi in nuove neoplasie (Apalla et. al, 2017). Questo è un dato importante che permette di definire la cheratosi

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attinica come “precancerosi” di natura epiteliale delle aree cutanee foto- esposte. In letteratura (Didona et al, 2018) sono elencati i più importanti fattori di rischio del cancro della pelle:

❖ Esposizione alle radiazioni ultraviolette

❖ Alterazione del normale processo di morte cellulare programmata (apoptosi).

❖ Iperproliferazione delle cellule dell’epidermide.

❖ Altri agenti causali: papilloma virus (HPV), fumo di sigaretta, alterazioni genetiche, esposizione a cancerogeni.

La prognosi di AK è generalmente positiva anche senza trattamento sistemico, ma il tasso di trasformazione in forme cancerose rimane tuttavia molto variabile. In generale l'incidenza globale delle lesioni cutanee maligne e pre-maligne, compreso cheratosi attinica ed altri tipi, è aumentato dal 3% a 8% dagli anni 60.

4.2 Fisiopatologia delle AK e forme cancerose

I raggi ultravioletti (UV) sono in grado di produrre mutazioni genetiche che colpiscono i geni responsabili della proliferazione delle cellule della pelle, attraverso due vie: una diretta e una indiretta (Fig. 9). Le radiazioni UV-A (320 – 400 nm) inducono stress foto-ossidativo; esse mediano un danno indiretto sulla pelle attraverso la creazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) responsabili dell’alterazione degli acidi nucleici. Lo spettro di radiazioni UV-B (290 – 320 nm) è direttamente coinvolto nella formazione di dimeri della timina sia a livello del DNA che del RNA.

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Fig.9: Correlazione tra il danno mediato dalle radiazioni UV e lo sviluppo di tumori della

cute

In una Review di Melnikova e Ananthaswamy (2004) è riportato un aumento dei livelli della proteina p53, che una volta attivata attraverso fosforilazione, determina l’arresto del ciclo cellulare e dà il via ad una cascata di eventi biochimici che ha come scopo quello di rimuovere le lesioni indotte dall’esposizione alle radiazioni prima che la cellula vada incontro a mitosi e/o il DNA venga sintetizzato. Questa via metabolica è in grado di indurre l’apoptosi in quelle cellule che presentano un danneggiamento eccessivo, per questo una modifica di p53 conduce inevitabilmente i cheratinociti ad un processo di crescita patologico e ad iperplasia dell’epidermide (Didona et al, 2018). Nell’ambito della cheratosi attinica è stata riscontrata la presenza della proteina p53 mutata ed un incremento dell’espressione dell’enzima COX-2 (Yalçin et. al, 2012). Tra i vari casi di SCC, BCC e AK, oggetti dello studio, l’espressione della proteina p53 è stata osservata per il 98% in BCC, per l’88.9% in SCC e in tutti i casi di AK, mentre l’aumento dell’espressione della COX-2 è stato riscontrato per il 90%, 100% e 88.9% rispettivamente nei casi di basalioma, spinalioma e cheratosi attinica. Per la determinazione quali-quantitativa delle due specie è stato utilizzato un metodo di colorazione

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immunoistochimico in cui la colorazione del nucleo cellulare è stata presa come punto di riferimento per la determinazione della proteina p53 e la colorazione del citoplasma per la rilevazione dell’enzima COX-2. Gli studiosi hanno stimato una scala di valutazione da 0 (nessuna colorazione) a 4 (colorazione intensa) e il valore massimo è stato riscontrato nel 76- 100% delle cellule analizzate. L’esistenza del gene p53 mutato in tutti i casi di AK ha supportato l’idea che questa proteina giochi un ruolo nella fase iniziale di carcinogenesi dei tumori della pelle non melanomatosi e il fatto che COX-2 aumentasse in linea con l’incremento di p53 nei casi di BCC e di SCC, indica che la sovra espressione della cicloossigenasi di tipo 2 possa essere causata proprio da p53. Il gene mutato nell’uomo è comune per più del 50% dei carcinomi e la modifica più frequente che si verifica nei tumori della pelle, in cui sono coinvolti i cheratinociti, consiste in un cambiamento di base CC-TT. La p53, avendo un’emivita di 6-30 minuti, in condizioni normali non viene osservata nei tessuti, ma quando è mutata ha un’emivita nettamente più lunga e si accumula a livello nucleare. Le COX di tipo 1 e 2 sono presenti nei tumori non melanomatosi della pelle (Thomas et. al, 2017), ma COX-2 è l’isoenzima più responsivo al danno mediato dalle radiazioni UV, tanto che già una singola dose UV (dose minima per sviluppare eritema) porta a un incremento sostanziale nell’espressione di COX-2, senza determinare altrettanti cambiamenti nell’espressione di COX-1. L’aumento di COX-2 causa un aumento della quantità di prostaglandine sintetizzate, in particolare di prostaglandina di tipo 2 (PGE2), e di conseguenza si osserva una sovra espressione del tutto proporzionale dei recettori per PGE2: EP1, 2 e 4. Il pathway COX-2/PGE2/EP è responsabile delle classiche manifestazioni infiammatorie: rubor, calor, dolor e functio lesa, ma nel contesto dei tumori della pelle questa via metabolica promuove la proliferazione dei cheratinociti.

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4.3 Terapie farmacologiche

Date le multiple possibilità terapeutiche nella cura delle AK, la scelta della giusta terapia è influenzata da numerosi fattori quali ad esempio il numero e la distribuzione delle lesioni, le caratteristiche di queste ultime, le preferenze terapeutiche del paziente, tolleranza di effetti collaterali, disponibilità del trattamento scelto e il costo. Possono essere usati metodi fisici e chimici (Segatto et. al, 2012). I primi riguardano soprattutto:

❖ Crioterapia, soprattutto per lesioni isolate, è usata frequentemente perché è rapida, poco costosa e non richiede anestesia locale. Attraverso l’utilizzo di azoto liquido le lesioni vengono congelate e si promuove la loro necrosi.

❖ Curetage (raschiamento delle cicatrici, esclude l’intervento chirurgico per rimuovere le lesioni), escissione, peeling chimici, laser.

Lo svantaggio di questi metodi è di non essere specifici, il rischio è quello di distruggere non solo le cellule atipiche, ma anche quelle sane circostanti la lesione e di incorrere in difetti estetici da ipopigmentazione sulla parte trattata. La via topica è particolarmente indicata per il trattamento di aree con AK multiple, lesioni subcliniche che non vengono rilevate tramite ispezione visiva o palpazione e “field cancerization”. Include agenti topici come:

❖ Imiquimod

❖ 5- fluorouracile (5-FU) ❖ Diclofenac sodico

❖ altri agenti topici sotto studio per il trattamento di AK come: ingenolo mebutato, resiquimod, acido betulinico, piroxicam, 5-FU combinato con acido salicilico e il fitoterapico epigallocatechina gallato

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Le terapie topiche hanno molti vantaggi: non invasive, efficaci contro lesioni sub-cliniche e autosomministrabili; tuttavia, l’aderenza del paziente è generalmente bassa a causa degli effetti collaterali (irritabilità, erosione, ulcerazioni in casi gravi) e della lunga durata del trattamento. Per scegliere quale tra questi rappresenti la via migliore per il trattamento della cheratosi attinica è importante mettere a confronto i risultati di ciascuno in termini di efficacia e tossicità. Dal punto di vista dell'efficacia non sono state osservate differenze statisticamente significative; ma ben diversi sono i dati relativi la clearance e il rischio di reazioni avverse.

Il 5-FU è stato il primo farmaco approvato nel 1962 (Nelson, 2011) e di solito usato come unguento al 5%. Inibisce la timidilato sintetasi, inserendo un atomo di fluoro in posizione 5 sulla molecola dell'uracile e simulando proprio le caratteristiche strutturali della timina. Le cellule tumorali, in questo modo riconoscono comunque il 5-FU, ma, nel momento in cui viene metabolizzato, vengono distrutte portando alla morte delle cellule cheratosiche. Applicata alle lesioni AK, una crema al 5-FU causa infiammazione e necrosi della lesione. In genere sono necessarie dalle 4 alle 6 settimane (le prime 4 di trattamento attivo) affinché la pelle progredisca attraverso eritema, vesciche, necrosi con erosione e infine riepitelizzazione. In pazienti con AK estese l’area può divenire notevolmente infiammata e non è raro che il trattamento possa causare forte dolore e bruciore nella parte lesa (Stockfleth 2016).

Il diclofenac, invece, viene usato comunemente nella terapia della cheratosi attinica ed è presente sul mercato sotto forma di gel contenente il 3% di farmaco e il 2.5% di acido ialuronico (nome commerciale di SolarazeTM). La terapia prevede la somministrazione due volte al giorno per

60-90 giorni (Thomas et. al, 2017).

L’imiquimod è stato approvato per la prima volta nel 1997 come antivirale, e successivamente è stato riconosciuto il sia per il trattamento della AK, sia in caso di BCC. È una valida alternativa al 5- FU e, di solito, viene usato in

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crema al 5% con il nome di AldaraTM su un’area interessata di ≤ 25 cm2

circa due volte a settimana per 16 settimane. È un modificatore topico della risposta immunitaria che stimola l’induzione locale di citochine con conseguente reazione infiammatoria caratterizzata da eritema, prurito, erosione, ulcerazione e croste. Alcuni pazienti, durante il trattamento, possono manifestare sintomi simil-influenzali, come febbre, brividi, mialgia e malessere oltre a irritazione cutanea, fortemente dipendente dalle dosi e condizioni del sistema immunitario del paziente. Il tempo di guarigione delle lesioni trattate con imiquimod è di circa 2 settimane, la sua efficacia è stata valutata in numerosi studi randomizzati e meta-analisi (Hadley et al. 2006).

Mettendo a confronto l’utilizzo di Diclofenac con l’Imiquimod abbiamo dei pro e dei contro in entrambi i casi: l’Imiquimod spesso è responsabile di una reazione cutanea molto intensa che, se da un lato è efficace a risolvere la patologia, dall’altro è una causa che induce alla interruzione precoce del trattamento. Il secondo invece è estremamente ben tollerato, ma l’efficacia può essere limitata dalla necessità di protrarre il trattamento

per 90 giorni circa.

5. Nanosistemi per il drug delivery

Negli ultimi anni l’impiego delle nanotecnologie ha portato allo sviluppo di sistemi nanostrutturati impiegati nel drug delivery per la loro capacità di controllare la cinetica di rilascio e la distribuzione nei tessuti di principi attivi. I “drug delivery systems” sono quei sistemi in grado di rilasciare farmaci in maniera controllata, ossia con velocità di rilascio programmate, con dosi ben precise, per periodi di tempo predefiniti e in aree specifiche. Essi consentono di aumentare la compliance del paziente riducendo la

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frequenza della somministrazione dei farmaci (Papakostas et al.). I sistemi convenzionali di somministrazione cutanea o topica, purtroppo, soffrono di limitazioni farmacocinetiche, ovvero non vi è sincronia tra il tempo richiesto affinché la concentrazione del principio attivo raggiunga il valore soglia utile ai fini terapeutici ed il profilo di rilascio del farmaco che segue meccanismi diffusionali. In tal modo, il farmaco si distribuisce più o meno estesamente a livello sistemico e, affinché venga raggiunta una concentrazione di farmaco efficace nel sito d’azione per il periodo di trattamento terapeutico, è necessaria la somministrazione di dosi elevate e ripetute con il conseguente instaurarsi di effetti tossici secondari (Leroux, et al., 1996). L’utilizzo di nanocarriers ci permette, quindi, di sfruttare la loro capacità di trasportare e rilasciare in modo selettivo i farmaci nel sito d’azione aumentando l’efficacia terapeutica.

Fig.10 alcuni esempi di sistemi nanostrutturati

In fig.10 abbiamo esempi di nanosistemi in relazione al target per il quale sono stati ideati, il cancro. Per ottenere un buon dispositivo di “drug delivery” bisogna controllare ed ottimizzare il caricamento ed il rilascio del farmaco. Il primo si può ottenere per incorporazione all’interno della nanoparticella sia per legame covalente che per legame elettrostatico o ancora per adsorbimento sulla superficie di un dato principio farmaceutico,

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mentre il rilascio nel corpo, che in genere è piuttosto rapido, avviene invece per diffusione attraverso le nanoparticelle (Serenelli 2011).

Nonostante i notevoli passi avanti fatti in questo campo nell’ultimo decennio, l’adeguato trattamento di patologie, quali il tumore, rimane legato all’individuazione di materiali ad elevato grado di biocompatibilità e in grado riconoscere e rilasciare il farmaco nel nostro organismo, in modo da minimizzare gli effetti collaterali. In molti casi, infatti, il sistema di rilascio deve svolgere la sua funzione in risposta alle condizioni fisiologiche del sito specifico, modulando i tempi di rilascio in dipendenza delle variabili fisiche dell’ambiente che lo circonda (Archana, et al.,2012). Le micelle, in particolare, sono nanosistemi composti comunemente da copolimeri a blocchi, costituiti da un segmento idrofilico (polietilenglicole) coniugato ad una catena polimerica idrofobica (poliesteri, poliacrilati, polipeptidi). Questi polimeri tendono ad organizzarsi in strutture ordinate di tipo “core-shell”, in cui il core o nucleo è formato dalla frazione idrofobica e può essere caricato con farmaci lipofili, mentre l’involucro esterno di natura idrofilica conferisce solubilità al sistema, prolungando così l’emivita in circolo delle molecole veicolate (Kwon G.S et al., 1995). Gli agenti terapeutici contenuti all’interno delle micelle possono essere rilasciati per diffusione attraverso la matrice idrofobica o a seguito del disassemblamento della micella stessa, indotto solitamente da particolari stimoli microambientali come variazioni di pH e temperatura. Grazie alla peculiare struttura delle nanomicelle, questi sistemi vescicolari possono trasportare farmaci lipofili, poco solubili nei fluidi biologici, migliorando così la solubilità in acqua del farmaco. (Han et al., 2015)

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5.1 Meccanismo di rilascio dei sistemi nanostrutturati

I sistemi nanostrutturati sono capaci, inoltre, di accumularsi in aree patologiche ben definite, sfruttandone le peculiari caratteristiche fisiologiche e strutturali. L’aumentata permeabilità vascolare, che si riscontra a livello delle masse tumorali e dei tessuti in stato infiammatorio, permette infatti ai carriers di dimensioni comprese tra 10 e 300 nm di attraversare l’endotelio ed occupare gli interstizi cellulari (Patra et al. 2018). Polimeri sensibili a variazioni di pH o temperatura possono essere impiegati per liberare il principio attivo in distretti infiammati e tessuti tumorali.

Il farmaco caricato nelle micelle viene rilasciato a seguito dell’interazione con la superficie cellulare: generalmente si verifica la fusione della sua porzione lipidica con la membrana citoplasmatica con conseguente trasferimento del principio attivo nello spazio intracellulare, oppure le micelle vengono assorbite dalle cellule attraverso un processo di endocitosi (Luo, et al., 2002). Sebbene il processo di endocitosi inizi vicino al pH fisiologico di 7.4, scende ad un pH inferiore di circa 5.5-6.0 negli endosomi e si avvicina a pH 4.5-5.0 nei lisosomi (Mellman, Fuchs et al., 1986). Sistemi nanostrutturati sensibili al pH vengono ampiamente usati nel trattamento di neoplasie grazie alla loro capacità di attraversare l’endotelio altamente permeabile dei vasi sanguigni tumorali e di accumularsi a livello dei tessuti malati rilasciando in modo selettivo il loro contenuto nel tessuto tumorale o all'interno delle cellule tumorali. (Van Vlerken, et al.,2007). La composizione chimica del polimero risulta, quindi, determinante per permettere la realizzazione della cinetica di cessione del farmaco desiderata con conseguente ottimizzazione del suo profilo di attività. (Vilar et al., 2012. Il cambiamento di acidità è uno stimolo particolarmente utile da considerare nello sviluppo di veicoli di farmaci a causa dei numerosi

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gradienti di pH che esistono negli stati sia normali che patofisiologici). In uno studio di Wang del 2019, è stato sintetizzato un nuovo copolimero a blocchi rispondente al pH, poli (etilenglicole) poli (ε-caprolattone) -poli (L-istidina) (PEG-PCL-PHis) e progettato per il rilascio di farmaci anticancro con eccellente biocompatibilità, biodegradabilità e forte efficienza di caricamento del farmaco (in questo caso doxorubicina o DOX). Le micelle create con il copolimero e caricate con DOX sono state analizzate morfologicamente con tecnica di analisi DLS e la cinetica di rilascio è stata valutata mediante il metodo della dialisi.

6. Nanomicelle

Le nanomicelle sono principalmente utilizzate per preparare soluzioni acquose di farmaci insolubili in acqua. Queste particelle nanostrutturate sono formate da molecole anfifiliche (tensioattivi o polimeri) che si auto-assemblano in acqua formando catene idrofile che coprono il nucleo idrofobico e evitando, in questo modo, il diretto contatto con l’acqua e riducendo l’energia libera interfacciale del sistema. Le micelle possono avere varie dimensioni (10-110 nm) e forme come una struttura sferica, cilindrica e a stella, ciò dipende dal peso molecolare del nucleo e corona. Il punto chiave per la formazione delle micelle è conosciuto come concentrazione micellare critica (CMC) che è la concentrazione alla quale l’interfaccia diventa satura di monomeri; al di sopra di questo punto un incremento della concentrazione di polimero/tensioattivo in soluzione porta alla formazione delle micelle. Queste strutture permettono l’incapsulamento di farmaci lipofili aumentando la loro solubilità in acqua grazie alla formazione di interazioni idrofobiche insieme a interazione di Van der Waals e legami a idrogeno (Figura 11) (Vaishya et al., 2014).

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Fig.11 formazione di micelle con farmaco incapsulato

6.1 Nanomicelle con tensioattivi

I tensioattivi sono molecole anfifiliche con testa idrofila e coda idrofobica. La testa idrofila può essere caricata (anionica o cationica), zwitterionica o non ionica. Sodio dodecil solfato (SDS, tensioattivo anionico), dodeciltrimetilammonio bromuro (DTAB, tensioattivo cationico), 33 etileneossido (N-dodecile, tetra, C12E4), Vitamina E-TPGS (d- alfa tocoferil PEG 1000 succinato), octoxinolo-40 (tensioattivi non ionici), e la diotanoil fosfatidilcolina (tensioattivi zwitterionici) sono i tensioattivi più comuni utilizzati per preparare le nanomicelle. La coda di tensioattivi è di solito una lunga catena di idrocarburi e comprende raramente una catena silossanica, alogenata o ossigenata. Le micelle sono il risultato di due fenomeni: a) auto-associazione di code di tensioattivi a causa di interazioni idrofobiche b) forze repulsive (interazioni steriche e elettrostatiche) tra le teste idrofile che evitano la separazione di fase; è necessario comunque che i tensioattivi vengano disciolti in acqua a una concentrazione al di sopra della CMC ed è richiesto anche un equilibrio tra le varie interazioni (Cholkar et al., 2014). Un equilibrio corretto tra queste forze contribuisce a ridurre l'energia libera del sistema, dovuta alla rimozione di frammenti lipofili dall'ambiente acquoso e alla reintroduzione dei legami a idrogeno in

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acqua. Altro parametro importante è il numero di aggregazione che rappresenta il numero medio di monomeri tensioattivi in ciascuna micella.

6.2 Nanomicelle polimeriche

Sono sistemi colloidali costituiti da polimeri naturali o sintetici aventi dimensioni comprese tra 50 e 500 nm. L’interesse per questi nanocarriers trova il razionale nella versatilità formulativa e nella possibilità di modificazione superficiale attuata per modulare i parametri farmacocinetici. I polimeri hanno due segmenti distinti: uno idrofobico che si auto-assembla a formare il nucleo e uno idrofilo che forma la corona delle micelle. Per la formazione di quest’ultime è necessario il superamento della CMC e anche CMT (temperatura micellare critica): le micelle, infatti, possono essere ottenute dalla solubilizzazione diretta delle catene polimeriche nel mezzo acquoso al di sopra della CMC o al di sopra della CMT. I polimeri più utilizzati sono poli (lattide), poli (propilen ossido) (PPO), poli (glicolide), poli (lattide-co-glicolide), e poli (𝜖-caprolattone) (PCL), che dovrebbero essere biodegradabili e/o biocompatibili. In particolare, poli (etilenglicole) (PEG) è il segmento idrofilo più utilizzato per la sua eccellente solubilità in acqua e biocompatibilità. Di solito, comunque, per la preparazione dei sistemi nanomicellari, vengono usati copolimeri anfifilici a due blocchi (idrofilo-idrofobo) o a tre blocchi (idrofilo-idrofobo-idrofilo). Rispetto alle micelle tensioattive, questi sono caratterizzati da una bassa CMC, un’eccellente cinetica e stabilità termodinamica in soluzione. Infatti, il punto di dissociazione delle singole catene polimeriche dalle micelle polimeriche più basso rende le micelle cineticamente stabili e la stabilità termodinamica viene raggiunta sia grazie alle interazioni dei blocchi formanti il nucleo che

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