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Nuove strategie formulative per la terapia topica del melanoma cutaneo

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Specialistica in Farmacia

Tesi di Laurea

NUOVE STRATEGIE FORMULATIVE PER LA TERAPIA

TOPICA DEL MELANOMA CUTANEO

Relatore: Candidato:

Dott.ssa Silvia Tampucci Benedetta Criscuolo

SSD: CHIM-09

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Ringraziamenti

Questa tesi segna il raggiungimento di un importante traguardo per me, a conclusione di lungo ed intenso percorso di studi.

Ritengo, opportuno, per tanto, rivolgere alcuni ringraziamenti.

Innanzitutto ringrazio la Dottoressa Silvia Tampucci per la sua professionalità, disponibilità e cortesia con cui mi ha seguita durante la preparazioni della tesi.

Ringrazio i miei genitori per avermi supportato, per avermi incoraggiato in questo lungo percorso ricco di ostacoli e per aver sempre creduto in me.

Ringrazio i miei parenti, gli amici più cari ed il mio ragazzo per aver sopportato le mie crisi d’ansia in questi anni e per essere stati sempre al mio fianco.

Ringrazio infine una persona speciale che da Lassù mi ha guidata e non mi ha mai abbandonata, e che spero possa essere fiera di me e della persona che sono diventata grazie ai suoi insegnamenti.

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Indice

1.0. Melanoma cutaneo ... 1 1.1. Definizione e patogenesi ... 1 1.2. Epidemiologia ... 4 1.3. Diagnosi ... 7 1.4. Trattamento chirurgico ... 9 1.5. Chemioterapia classica ... 10 1.5.1. Cobimetinib ... 10 1.5.2. Dabrafenib ... 11 1.5.3. Ipilimumab ... 11 1.5.4. Nivolumab ... 12 1.5.5. Trametinib ... 12 1.5.6. Vemurafenib ... 13 2.0. Terapia Topica ... 14 2.1. Farmacoterapia classica ... 14 2.2.1. 5-Fluorouracile ... 14 2.2.2. Imiquimod ... 15 2.2.3. Diclofenac ... 16 2.2.4. Ingenolo mebutato ... 17 2.2.5. Retinoidi ... 18 3.0. Terapie innovative ... 19 3.1. Nanotecnologie ... 19

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3.2. Terapia fototermica ... 20

3.3. Terapia fotodinamica ... 21

4.0. Studi recenti ... 22

4.1. Paclitaxel incapsulato in micelle polimeriche a base di Pluronic® ... 22

4.2. Sistemi nanostrutturati per la somministrazione topica di Crocina ... 24

4.3. Formulazioni nano-vescicolari di Artemisone ... 28

4.4. Nanoparticelle contenenti Dacarbazina e formulazione di una nanoemulsione ... 30

4.5. SLN e niosomi a base di estratti di Withania Somnifera ... 33

4.6. Utilizzo topico di Itraconazolo contro il melanoma cutaneo ... 37

5.0. Conclusioni ... 41

Bibliografia ... 42

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1.0. Melanoma cutaneo

1.1. Definizione e Patogenesi

Esistono tre principali tipologie di tumore della pelle, denominati in base al tipo di cellule da cui derivano e al comportamento clinico: carcinoma a cellule basali (BCC), carcinoma a cellule squamose (SCC) e melanoma maligno.

I primi due tipi rientrano nella categoria del tumore della pelle non melanocitario; in particolare, il carcinoma delle cellule basali cresce molto lentamente e può danneggiare il tessuto limitrofo, ma non è in grado di diffondersi nelle aree circostanti [Cakir, et al,

2012].

Esistono invece 4 sottotipi di melanoma cutaneo invasivo che sono suddivisi sulla base dei loro diversi modelli istologici, si parla di melanoma a diffusione superficiale, melanoma nodulare, melanoma lentigo maligna e melanoma lentigginoso acrale.

Il melanoma è uno dei più aggressivi tumori della pelle con un tasso di incidenza in rapido aumento e che è in grado di metastatizzare facilmente; le metastasi più frequenti sono ai linfonodi extra-regionali, al polmone, al fegato, al cervello, alle ossa.

Questo tipo di tumore cutaneo, può interessare i nevi displastici (DN) o un singolo melanocita, inducendo una trasformazione maligna di queste cellule, situate tra l‟epidermide (strato cutaneo più superficiale) e il derma e negli spazi intercellulari formati dai cheratinociti dello strato basale (o germinativo), che sono responsabili della protezione di questi ultimi dalle radiazioni UV dannose e della produzione di melanina, la quale può essere ritrovata in capelli, occhi e pelle [Eggermont, et al, 2014].

Secondo l‟Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC), un nevo si definisce displastico quando la presenza di una componente maculare, in una determinata area, è associata ad almeno tre delle seguenti caratteristiche: a) bordo non ben definito; b) dimensione maggiore o uguale a 5 mm; c) colore variegato; d) contorno irregolare; e) eritema [Gandini, et al, 2005].

I nevi displastici sono da considerarsi precursori potenziali e non sempre sono effettivi nell‟insorgenza di tale patologia, diversi studi hanno, infatti, dimostrato che raramente i nevi displastici mutano in melanoma e sempre più spesso la comparsa di questi tumori si manifesta ex-novo.

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2 Fig. 1- Strati cutanei superficiali

I cheratinociti regolano la fisiologia dei melanociti secernendo specifici fattori di azione paracrina [Hirobe, 2011], responsabili della stimolazione a cascata della segnalazione EPK/ MAP-chinasi che regola la differenziazione e la proliferazione dei melanociti; è interessante notare, infatti, come l‟iperattivazione del percorso EPK/MAP-chinasi si riscontri nel 90% dei melanomi [Wellbrock, et al, 2016].

L‟esposizione eccessiva alle radiazioni ultraviolette (UV) è considerata la causa primaria di tumore della pelle, la cui incidenza è associata ad aberrazioni genetiche indotte proprio dalle radiazioni UV che portano ad una crescita incontrollata dei melanociti [Zhang, et al,

2016]. Il cancro della pelle si verifica anche a causa dei difetti nelle vie apoptotiche o

nell‟anormale aumento e sopravvivenza delle cellule dell‟epidermide [Erb, et al, 2005 ]. Non è ancora chiaro se UVA, UVB o entrambi siano significativi nello sviluppo della patologia; entrambi i fattori UV portano a mutazioni genetiche specifiche come la trasformazione dalla cisteina (C) alla timina (T) e transizioni da CC a TT [Jhappan, et al,

2005]. L'esposizione alle radiazioni UVB è associata a insorgenza di scottature e vesciche,

implicate nel rischio di melanoma per soggetti esposti; UVB è un noto mutageno che induce, oltre alla sintesi di foto-prodotti, la formazione di dimeri pirimidinici. La radiazione UVA invece penetra più in profondità causando un danno al DNA diverso da quello provocato da UVB, determinando, infatti, immunosoppressione.

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A complicare la situazione c‟è il fatto che la riparazione del DNA avviene in maniera differente a seconda del tipo di radiazione che lo provoca.

Per una migliore comprensione della proliferazione delle cellule tumorali è importante capire il significato di BRAF e protein-chinasi. Il BRAF è un gene che è stato ritrovato nelle cellule tumorali ed è responsabile della produzione di una proteina chiamata B-RAF, coinvolta a sua volta nell‟invio di segnali di attivazione della proliferazione nelle cellule umane; tale gene è quindi implicato nella proliferazione dei melanociti assieme al riarrangiamento genico del cromosoma 9p21 il quale porta alla produzione della proteina AKT3 che regola la segnalazione cellulare in risposta a fattori di crescita, ed è coinvolta in differenti processi biologici come la proliferazione cellulare, la differenziazione, l‟apoptosi, la tumorigenesi.

L‟alterazione dell‟apoptosi e della sopravvivenza del melanoma sono correlate al silenziamento o alla modificazione di due importanti geni che conferiscono suscettibilità al melanoma stesso, CDKN2A e CDK4, entrambi importanti nel controllo della divisione cellulare poiché codificano per due importanti proteine: la proteina P16 responsabile della via del retinoblastoma e la proteina P14ARF che svolge un importante ruolo nel pathway di P53. La proteina P14ARF risulta, infatti, essere un fattore di trascrizione responsabile della regolazione del ciclo cellulare ed in grado di ricoprire la funzione di soppressore tumorale. La maggior parte dei dati suggerisce che i nevi displastici e variazioni genetiche sono fattori di rischio indipendenti per il melanoma; non sembrano, infatti, congregarsi con le mutazioni dei geni CDKN2A e CDK4 [Puig, et al, 1997].

Oltre a quanto detto sopra, anche l‟epigenetica gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella progressione della patologia, diversi microRNA (miR) sono stati implicati nel ciclo cellulare e nella progressione, nella migrazione cellulare, nell‟invasione ed evasione della riposta immunitaria e nella soppressione dell‟apoptosi per lo sviluppo e la progressione del melanoma. Alcuni di questi microRNA sottoregolati e coinvolti nel ciclo cellulare e nella progressione sono miR-193b e miR-206 [ Chen, et al, 2010; Georgantas, et al, 2014 ]. MiR-211 e miR-30b/30d sono coinvolti nell‟invasione cellulare, mentre il miR-21 sovraregolato e il miR-205 sottoregolato sono coinvolti nella soppressione dell‟apoptosi per lo sviluppo del melanoma.

Anche la modificazione degli istoni può essere importante per la patogenesi del melanoma; ad esempio l‟attivatore dell‟Enhancer dello Zeste homolog 2 (EZH2) regola l‟espressione

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genica mediante metilazione della lisina 27 sull‟istone H3 e la sua sovraespressione è associata ad un tasso di proliferazione e ad un aumento dello spessore del tumore.

Numerosi studi si stanno proprio concentrando sullo sviluppo di inibitori EZH2 mostrando in alcuni casi risultati promettenti in relazione allo sviluppo del melanoma [De Unamuno,

et al, 2015].

Altri importanti agenti di genesi tumorale, oltre a quanto visto sopra, includono il papillomavirus umano, consumo di tabacco, agenti mutageni e suscettibilità genetica

[Marks, et al, 2010].

Una miglior comprensione dell‟inizio e del progresso, genetico ed epigenetico, del melanoma è fondamentale per l‟identificazione di nuovi biomarcatori e terapie contro questo tipo di tumore.

Nonostante i recenti progressi nella chemioterapia e nelle immunoterapie anti-melanoma, i farmaci disponibili sono relativamente tossici e reattivi solo ad un gruppo limitato di lesioni della cute. Tuttavia, recentemente la terapia topica ha mostrato buoni risultati per il trattamento di molti tumori cutanei; inoltre, studi recenti in vitro su linee cellulari di melanoma hanno consentito di valutare l'efficacia e la sicurezza di composti di origine naturale per il trattamento del melanoma cutaneo.

1.2. Epidemiologia

La malattia è considerata incurabile e i pazienti con dermatite metastatica hanno un tasso di sopravvivenza non superiore ai cinque anni.

Il melanoma viene diagnosticato ad un‟età media di 57 anni, sebbene l‟incidenza aumenti tra i 25 e i 50 anni [Rastrelli, et al, 2013].

Secondo il database del National Cancer Institute degli Stati Uniti, il melanoma è uno dei tipi più comuni di cancro con oltre 60.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno solo in America [ Chaudhuri, et al, 2010].

Negli ultimi decenni, l‟incidenza del melanoma maligno è aumentata, soprattutto tra i soggetti più giovani, ad un ritmo allarmante, superando la maggior parte dei tumori maligni a causa della sua elevata capacita metastatica, rappresentando il 4% dei tumori della pelle e causando il 79 % dei decessi [Siegel, et al, 2014] .

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In Italia, l‟incidenza del melanoma maligno è da anni in costante ascesa, sia negli uomini, +3,1 %/anno, sia nelle donne, + 2,6 %/anno, determinando attualmente oltre 2.000 decessi registrati annualmente (Figura 2) [ Niezgoda, et al, 2015; AIRTUM, AIOM, 2016].

Fig. 2 - Incidenza e mortalità per melanoma nella popolazione italiana maschile e femminile. (AIRTUM: stima dei trend tumorali di incidenza e mortalita 1999-2016. Tassi standardizzati popolazione europea. APC = Annual Percent Change (variazione percentuale media annua), I = incidenza, M = mortalità, AIRTUM, AIOM, 2016.

Studi recenti hanno evidenziato il ruolo di fattori genetici nel rischio UV-mediato di insorgenza di patologie cutanee [D’Orazio, et al, 2013]. In particolare, il polimorfismo del gene codificante per il recettore melanocortinico (MC1R) è correlato al sensibilità della cute alle radiazioni ultraviolette e al rischio di cancro della pelle. Negli individui con il gene mutato i melanociti hanno una capacità inferiore di bloccare il danno al DNA indotto dalla radiazione UV tramite la via di riparazione per escissione di nucleotidi (NER).

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Divesi studi hanno sostenuto l‟esistenza di un periodo critico di esposizione alle radiazioni solari che porta al melanoma, in particolare durante l‟infanzia [ Weinstock, et al, 1989 ]. Nel 1994, Whiteman e Green [Whiteman e Green, 1994] effettuarono uno studio di caso-controllo su scottature e melanoma, ma a causa dell‟eterogeneità dei dati non poterono arrivare alla conclusione che le scottature infantili fossero più rilevanti rispetto a quelle in età adulta; uno studio recente, effettuato in Germania e basatosi su 22 casi, ha portato invece alla conclusione che le scottature sono ugualemente rilevanti, indipendentemente dall‟età in cui si verificano [Elwood, et al, 1997; Pfahlberg, et al, 2001].

Altri studi epidemiologici hanno esaminato modelli di esposizione al sole al fine di mettere in relazione l‟esposizione intermittente e l‟esposizione cronica con la comparsa di melanoma [Elwood, et al, 1997; Halman, et al, 1986 ].

In una meta-analisi di 23 studi, il rapporto di probabilità per il rischio di melanoma associato ad una esposizione intermittente ai raggi solari è risultato di 1.71, mentre quello associato ad una esposizone cronica di 0.76, dove per esposizione intermittente si intendeva un‟esposizione a scopo ricreativo, associata a vacanze, oppure un aumento dell‟esposizione collegata ai cambiamenti di indumenti durane l‟alternarsi delle stagioni, mentre per esposizione cronica si faceva riferimento a soggetti che svolgono lavori che li vedono spesso a diretto contatto con i raggi solari e per molte ore.

Elwood e i suoi colleghi, evidenziarono che il rischio della comparsa di un melanoma era strettamente legato al fenotipo, riscontrando che la probabilità di comparsa della patologia era maggiore nei soggetti che si scottavano facilmente al sole e si abbronzavano poco rispetto al numero di scottature. Da uno studio correlato, è emerso che pazienti affetti da melanoma sono risultati avere una dose minima di eritema (MED, dose minima di radiazione ultravioletta che colpisce la superficie cutanea che provoca un‟eritema visibile dopo 24 ore ) inferiore rispetto ai controlli suggerendo l‟importanza della sensibilità al sole

[Elwood, et al, 1997; Beitner, et al,1981] .

Fino a poco tempo fa i dati riguardanti l‟esposizione al sole negli Stati Uniti erano limitati. Nel 2000 un sondaggio effettuato su circa 2324 bagnanti nel sud del New England ha valutato il comportamento di tali soggetti nei confronti del sole. Tra i bagnanti, il 60% erano di sesso femminile e il 35% aveva un'età compresa tra 16 e 24 anni ed un totale del 25% aveva avuto più di tre brutte vesciche dovute a scottature solari in passato; il 45% di questi aveva usato una cabina abbronzante o lampada solare (14% nell'ultimo anno). E' interessante notare che l'83% delle persone non evitava spesso il sole di mezzogiorno e

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solo il 45% usava spesso filtri solari; di questi, solo la metà usava filtri solari con un SPF di almeno 15 su tutte aree cutanee esposte al sole, mentre un gran numero di individui non era propenso ad usare protezioni solari [Weinstock et al, 2000].

Infine, tra oltre 100.000 individui adulti provenienti da tutti i 50 stati intervistati dal Centers for Disease Control, il 31.7% ha fatto riferimento a scottature solari nell'ultimo anno mentre il 57.5% dei giovani adulti (di età compresta tra i 18 e i 29 anni) ha riportato un'ustione nell'ultimo anno [Saraiya et al . 2002]. In ogni caso, una curva dose-risposta per il numero delle scottature che portano alla comparsa di melanoma non è stata chiaramente stabilita, e di conseguenza non esiste una reale correlazione tra le scottature e la comparsa di melanoma .

1.3. Diagnosi

Il fattore di rischio più importante è l‟esposizione cronica ai raggi ultravioletti .

La diagnosi è solitamente sospettata in individui anziani, dalla pelle chiara, con lesioni squamose e indurite presenti sulle aree maggiormente esposte al sole, principalmente sulla testa e sul collo.

Un grande passo in avanti nella individuazione e controllo delle lesioni a rischio e nella diagnosi precoce del melanoma, è stato compiuto con l'avvento di una tecnica di valutazione dei nei chiamata Dermatoscopia [Pehamberger, et al, 1993].

Si tratta di una tecnica indolore, di rapida esecuzione e senza controindicazioni, che utilizza un microscopio posto a contatto della pelle, con cui si ottiene un'immagine interna del neo ingrandita fino a 10 volte, che consente di vedere degli elementi strutturali particolari, non apprezzabili ad occhio nudo, in base ai quali si può valutare il grado di atipia della lesione esaminata.

L'innovazione tecnologica e l'avvento della informatizzazione e dei moderni software di gestione dati in campo medico, ha consentito un'altro passo avanti, con la recente ideazione di un Videodermatoscopio Digitale ad Alta Definizione che utilizza una telecamera a fibre ottiche collegata al computer con cui è possibile riportare su di un monitor l'immagine clinica e dermatoscopica dei nei; il computer, munito di un particolare software di gestione dati, permette di creare per ogni paziente una cartella personalizzata in cui si raccolgono i dati anamnestici ed una mappa delle lesioni neviche atipiche [Blum, et al, 2004].

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Di ogni neo viene memorizzata l'immagine clinica e dermatoscopica, che sarà così facilmente confrontabile con altre immagini della stessa lesione, raccolte in controlli successivi, così da apprezzarne ogni minimo cambiamento.

Questa raffinata tecnologia, se applicata correttamente, aumenta del 30% la capacità di diagnosi precoce del melanoma rispetto alla sola visita clinica.

L‟acuratezza della diagnosi clinica può essere migliorata attraverso l‟ingrandimento, ma è comunque necessario effettuare una biopsia con conferma istopatologica per avere una diagnosi definitiva.

Le caratteristiche principali di un melanoma possono essere descritte con la regola del‟ABCDE :

A come asimmetria: i melanomi sono di solito asimmetrici. Una metà della macchia cutanea potrebbe essere più grande dell‟altra.

B come bordi: i bordi del melanoma sono irregolari, “a carta geografica”, al contrario di quelli dei normali nei.

C come colore: il melanoma è spesso policromo, ovvero presenta colori diversi come nero, bruno, rosso e rosa.

D come dimensione: una lesione cutanea sospetta che abbia un diametro superiore ai 5 millimetri deve essere verificata da uno specialista.

E come evoluzione: la lesione cutanea che tenda a modificare la propria forma, il colore o la superficie dovrebbe essere ritenuta sospetta e da verificare.

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Altri metodi di diagnosi oltre all‟ingrandimento attraverso il dermatoscopio e la biopsia possono essere rappresentati anche dalla risonanza magnetica (RM) con gadolinio, uno dei metodi più sensibili per rilevare metastasi celebrali e per distinguere le metastasi da melanoma da altri tipi di metastasi [Mosai, et al, 2013].

Inoltre è possibile ottenere un‟accurata diagnosi citologica del melanoma metastatico mediante la tecnica dell‟ago aspirato (FNAC) associato agli ultrasuoni o alla tomografia computerizzata (CT) [Voit, et al, 2011].

Infine, un‟altro metodo di diagnosi prevede l‟ultilizzo di studi di imaging, da eseguire generalmente in presenza di sintomi specifici, il miglior modo per individuare il melanoma metastatico a distanza (DMM) infatti, è l‟esplorazione corporea mediante PET/CT, un‟esame che combina la tomografia computerizzata (CT) con la tomografia con 2-(18F)-fluoro-2-deossi-D-glucosio (PET) [Peric, et al, 2011].

1.4. Trattamento chirurgico

Il trattamento clinico più comune per il melanoma è una chirurgia combinata con radiazioni e chemioterapia e viene utilizzata per il trattamento cutaneo localizzato, la metasectomia infatti consiste nell‟escissione chirurgica, è impiegata nei i pazienti che presentano metastasi solitaria del melanoma e rappresenta la modalità d‟azione primaria

[Batus, et al, 2013 ] .

Nei pazienti, aventi solo tra 1 e 3 metastasi contemporaneamente in un determinato sito, il trattamento chirurgico potrebbe impedire la diffusione di metastasi ad altri siti.

Nel caso in cui il trattamento chirurgico fallisca, il paziente verrà sottoposto alla terapia sistemica [Ollila, 2006].

Affinché un paziente possa essere sottoposto alla chirurgia curativa, si considerano i seguenti fattori prognostici: sito coinvolto; numero di metastasi; numero di organi coinvolti; intervallo senza malattia; LDH; tempo di raddoppiamento del tumore; status di performance.

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1.5. Chemioterapia classica

Il trattamento chemioterapico consiste nel rallentare o arrestare la crescita delle cellule tumorali che possono dividersi rapidamente, le sostanze chimiche utilizzate hanno però come effetto collaterale il danno delle cellule sane.

I farmaci chemioterapici per il melanoma maligno includono la dacarbazina (DZ), la temo-zolomide (TMZ), il paclitaxel e composti del platino; il tasso di risposta globale ad un singolo agente è inferiore al 20% e possono insorgere numerosi effetti collaterali che influenzano negativamente i risultati di ulteriori trattamenti [Mouawad, et al, 2010;

Middleton, et al, 2000].

Il targeting CTLA-4 o PD-1/PD-L1 offre una modalità terapeutica efficiente per il melanoma e ha un‟efficacia potenziale per la cura di altri tumori; sfortunatamente queste terapie non sono efficaci per tutti i pazienti, pertanto, un miglior targeting del trattamento e il superameneto della resistenza alla chemioterapia sono vitali per migliorare l‟efficacia complessiva del trattamento del melanoma [Luke, et al, 2013 ; Markman, et al, 2013;

Kapse-Mistry, et al, 2014 ] .

Altri farmaci disponibili sul mercato per il trattamento chemioterapico sono: Cobimetinib, Ipilimumab, Nivolumab, Trametinib e Vemurafenib ecc. [Hanson, et al, 2002].

1.5.1. Cobimetinib

Cobimetinib è un inibitore reversibile, selettivo, allosterico, per via orale, che blocca la via della proteina chinasi mitogeno-attivata (MAPK) attraverso il blocco del segnale extracellulare della chinasi regolata da (MEK) 1 e MEK/2. Questo si traduce in inibizione della fosforilazione del segnale extracellulare regolata da chinasi (ERK)1 e ERK/2. Cobimetinib, pertanto, blocca la proliferazione cellulare indotta dalla via metabolica delle MAP-chinasi attraverso l‟inibizione del meccanismo di trasduzione del segnale MEK1/2. In modelli preclinici, agendo selettivamente e simultaneamente sulle proteine BRAFV600 mutate e sulle proteine MEK nelle cellule del melanoma, l‟associazione di cobimetinib e vemurafenib ha dimostrato di inibire la riattivazione della via metabolica della MAP-chinasi attraverso MEK1/2, comportando un‟inibizione più potente della trasduzione del segnale intracellulare e una riduzione della proliferazione delle cellule tumorali.

L'assunzione avviene per via orale con posologia generalmente di una volta al giorno per i primi 21 giorni di un ciclo di trattamento di 28 giorni e successiva sospensione per 1

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settimana. I medici raccomandano di prenderlo sempre alla stessa ora per ogni trattamento quotidiano [Takahashi, et al, 2016; Cobimetinib, Riassunto delle caratteristiche del

prodotto].

1.5.2. Dabrafenib

Dabrafenib è un inibitore delle AF chinasi. Le mutazioni oncogene di B AF portano ad una attivazione costitutiva della via RAS/RAF/MEK/ERK. Le mutazioni BRAF sono state identificate ad alta frequenza in specifici tumori, incluso il 50 circa dei melanomi. La mutazione B AF più comunemente osservata è la V600E, che rappresenta il 90 circa delle mutazioni BRAF che sono state osservate nel melanoma.

Questo medicinale è anche usato per quei pazienti che non possono essere sottoposti a rimozione chirurgica o le cui cellule tumorali si sono già diffuse ad altri siti del corpo e aiuta inoltre a rallentare la proliferazione e/o minimizzare le cellule tumorali che si diffondono sotto terapia antitumorale. Dabrafenib viene somministrato al paziente due volte al giorno all'incirca a distanza di 12 ore e di solito è assunto per via orale

[Dabrafenib, Riassunto delle caratteristiche del prodotto].

1.5.3. Ipilimumab

Ipilimumab è un inibitore del chec point immunitario dell'antigene 4 del linfocita T citotossico (CTLA-4) che blocca il segnale inibitorio delle cellule T indotto dalla via del CTLA-4, aumentando il numero di cellule T effettrici reattive che si mobilitano per sferrare un attacco immunitario diretto delle cellule T alle cellule tumorali. Il blocco del CTLA-4 può anche ridurre la funzione delle cellule T regolatrici, il che può contribuire ad una risposta immunitaria anti tumorale. Ipilimumab può selettivamente eliminare le cellule T regolatrici nella sede del tumore, portando ad un aumento del rapporto intratumorale cellule T effettrici/cellule T regolatrici che conduce alla morte della cellula tumorale. Questo farmaco viene somministrato per via endovenosa, in un periodo di 90 minuti ogni 3 settimane, per un totale di 4 dosi. I pazienti devono completare l intero trattamento di induzione (4 dosi) in base alla tollerabilità, indipendentemente dalla comparsa di nuove lesioni o dalla crescita delle lesioni esistenti [Ipilimumab, Riassunto delle caratteristiche del prodotto].

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1.5.4. Nivolumab

Nivolumab è un anticorpo monoclonale immunoglobulina G4 (IgG4) umano (HuMAb), che si lega al recettore programmed death-1 (morte programmata 1, PD-1) e blocca la sua interazione con il PD-L1 ed il PD-L2. Il recettore PD-1 è un regolatore negativo dell attività delle cellule T che è stato dimostrato essere coinvolto nel controllo delle risposte immunitarie T cellulari. L'interazione del PD-1 con i ligandi PD-L1 e PD-L2, che sono espressi dalle cellule presentanti l'antigene e che possono essere espressi dalla cellula tumorale o da altre cellule nel microambiente tumorale, comporta l'inibizione della proliferazione delle cellule T e della secrezione delle citochine. Nivolumab potenzia le risposte delle cellule T, incluse le risposte anti-tumorali, attraverso il blocco del legame del PD1 ai ligandi PD-L1 e PD-L2. In modelli singenici murini, il blocco dell attività del PD-1 ha portato ad una diminuzione della crescita del tumore.

L inibizione mediata dall associazione di nivolumab PD-1) ad ipilimumab (anti-CTLA-4) migliora le risposte anti-tumorali nel melanoma metastatico. In modelli singenici murini di tumore, il duplice blocco di PD-1 e CTLA-4 ha indotto un attività anti-tumorale sinergica.

La dose raccomandata di nivolumab è o di 240 mg di nivolumab ogni 2 settimane o di 480 mg ogni 4 settimane a seconda dell'indicazione del medico [Nivolumab, Riassunto delle caratteristiche del prodotto].

1.5.5. Trametinib

Trametinib è un inibitore allosterico, reversibile, altamente selettivo della chinasi 1 regolata dal segnale e tracellulare attivata da mitogeno (MEK1) e dell‟attivazione di MEK2 e dell‟attività chinasica. Le proteine MEK sono componenti della via delle chinasi regolata dal segnale e tracellulare (E K). Nel melanoma e in altri tumori questa via è spesso attivata da forme mutate di BRAF che attivano MEK.

Trametinib inibisce l‟attivazione di MEK attraverso la proteina B AF e inibisce l‟attività di MEK chinasi. Trametinib inibisce la crescita delle linee cellulari di melanoma con mutazione BRAF V600 e dimostra un effetto antitumorale nei modelli animali di melanoma con mutazione BRAF V600.

Il trattamento con trametinib deve essere iniziato e supervisionato solo da un medico esperto nella somministrazione di medicinali antitumorali.

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La dose raccomandata di trametinib è di 2 mg una volta al giorno e si raccomanda che i pazienti continuino il trattamento con trametinib fino a quando non ne traggano più beneficio o fino allo sviluppo di una tossicità inaccettabile [Trametinib, Riassunto delle caratteristiche del prodotto].

1.5.6. Vemurafenib

Vemurafenib è un inibitore della serina-treonina chinasi BRAF.

Le mutazioni nel gene BRAF si traducono in proteine BRAF attivate in maniera costitutiva che possono causare la proliferazione cellulare senza fattori di crescita associati.

I dati preclinici generati in saggi biochimici hanno dimostrato che vemurafenib può inibire in modo potente le chinasi BRAF attivate da mutazioni del codone 600.

La dose raccomandata di vemurafenib è di 960 mg (4 compresse da 240 mg) due volte al giorno (equivalente ad un dosaggio giornaliero complessivo di 1.920 mg). Vemurafenib può essere assunto con o senza cibo, tuttavia deve essere evitata una costante assunzione di entrambe le dosi giornaliere a stomaco vuoto. Il trattamento deve protrarsi fino alla progressione di malattia o allo sviluppo di un livello inaccettabile di tossicita

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2.0. Terapia Topica

2.1. Farmacoterapia classica

La farmacoterapia classica prevede l„introduzione di farmaci topici per il trattamento dei tumori della pelle. I più utilizzati sono descritti di seguito:

2.1.1. 5-Fluorouracile

Fig.4 - Struttura chimica del 5-Fluorouracile

Formulazioni topiche allo 0.5% (crema), 1% (crema), 2% (soluzione) e 5% (crema e soluzione) a base di 5-Fluororuracile (5-FU) sono approvate per il trattamento dei tumori della pelle quali, cheratosi attinica, carcinoma superficiale delle cellule basali e malattia di Bowen.

Il 5-FU è una pirimidina fluorourata appartenente alla categoria degli antimetaboliti, strutturalmente simile all'uracile. Non è ancora stato chiarito l esatto meccanismo (o meccanismi) d'azione, ma si presume che il farmaco agisca come antimetabolita in tre differenti modi. Il desossiribonucleotide del farmaco, 5-fluoro-2 -desossiuridina-5 -fosfato, inibisce la timidilato sintetasi, inibendo perciò la metilazione dell acido desossiuridilico ad acido timidilico e quindi interferendo con la sintesi del DNA. Inoltre, il fluorouracile viene incorporato, per una piccola frazione, nell'RNA, producendo un RNA anormale; in ultimo, inibisce l'utilizzazione di uracile presintetizzato nella sintesi dell NA, bloccando l uracile fosfatasi. Dal momento che DNA e NA sono essenziali per la divisione e crescita cellulare, il fluorouracile può provocare una crescita sbilanciata e morte della cellula. E stato dimostrato che la somministrazione per via parenterale di fluorouracile inibisce la crescita di neoplasie nell'uomo.

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La terapia topica consiste in applicazioni giornaliere con e senza bendaggio occlusivo per un periodo di 3-4 settimane. Gli effetti indesiderati piu comuni associati al trattamento con 5-FU comprendono eritema, erosioni, vesciche e necrosi [ Micali, et al, 2010; Stockfleth, et

al, 2011 ].

Il suo utilizzo è inoltre sconsigliato in gravidanza in quanto risulta essere teratogeno e classificato nella categoria di gravidanza X dalla FDA.

2.1.2. Imiquimod

Fig. 5 – Struttura chimica di Imiquimod

Formulazioni topiche a base di imiquimod 2.5% (crema), 3.75% e 5% (crema) sono state approvate da FDA per il trattamento del carcinoma basocellulare superficiale.

Imiquimod (IQ) è noto per i suoi effetti anti-angiogenici e pro-apoptotici [Desai, et al,

2012 ].

L‟imiquimod appartiene alla classe delle imidazochinoline, molecole organiche eterocicliche sintetiche con capacità immunostimolante. un agonista sintetico dei toll-li e receptors (TL ) (in particolare del TL 7, ma con attività an- che sul TL 8), la cui efficacia nel contrastare la crescita delle neoplasie epiteliali e nell‟inibire la replicazione virale, anche attraverso l‟applicazione topica, è stata dimostrata sia in modelli sperimentali sia nell‟uomo. ecentemente sono stati descritti altri meccanismi d‟azione di imiquimod, oltre a quello legato all‟espressione, in risposta all‟attivazione dei TL , di numerosi prodotti genici coinvolti nella regolazione di funzioni dell‟immunità innata, quali IFNα,

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TNFα e numerose altre citochine pro-infiammatorie [Lacarubba, et al, 2008, Berman, et

al, 2008; Pierserico, Brumana, 2014].

L‟uso topico di Imiquimod è generalmente ben tollerato, presenta effetti collaterali molto comuni come moderate reazioni cutanee tra cui bruciore, prurito, eritema, erosione, essudazione che spesso si estendono oltre il sito di apllicazione, è importante inoltre ricordare di evitare l‟esposizione del punto di applicazione ai raggi solari in quanto è stato riscontrato un‟aumento della sucettibilità alle scottature ed è invece suggerito l‟utilizzo di schermi solari [Micali,et al, 2010 ].

2.1.3. Diclofenac

Fig. 6 – Struttura chimica di Diclofenac

Diclofenac al 3% (gel) in associazione con 2.5% di acido ialuronico è impiegato per il trattamento di cheratosi attinica ed è risultato efficace inoltre contro la malattia di Bowen. Il Diclofenac è un inibitore non specifico della cicloossigenasi 2 (COX2). L'over-espressione della COX2, riscontrata nei carcinomi cutanei, è indice della reazione infiammatoria indotta dalla cronica esposizione agli UV e porta alla generazione di metaboliti dell'acido arachidonico capaci di alterare il ciclo cellulare [Nelson, 2011,

Shoimer, et al, 2010; Maltusch, et al,2011 ].

Una metanalisi di tre studi verso placebo mostra che la risoluzione completa delle lesioni si osserva in circa il 40% dei casi, esattamente nel 30% dei pazienti trattati per tre mesi e nel 40% dei trattati per sei mesi in un'analisi per protocol. I risultati positivi raddoppiano se si considerano anche le risposte parziali. Non sono riportate differenze nella risposta in

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relazione all'area trattata. L'applicazione consigliata è due volte al giorno per 60-90 giorni

[AIFA].

La tollerabilità è buona anche dopo trattamento di aree ampie e gli effetti collaterali sono lievi e principalmente legati a una modica irritazione nel sito di applicazione

[Nelson,2011]. Sono descritti rari casi di dermatiti da contatto o di fotodermatiti. L'uso

dovrebbe essere escluso in pazienti con sensibilità ai FANS. E‟ importante sottolineare che l‟uso del DHA deve essere evitato nei pazienti che presentano diatesi emorragica, disfunzione epatica o iper-senibilità [Micali, et al, 2010 ].

2.1.4. Ingenolo mebutato

Fig. 7 – Struttura chimica di Ingenolo mebutato

Per il trattamento della cheratosi attinica si trovano in commercio due formulazioni in gel di ingenolo mebutato 0.015 % e 0.05%.

L‟ingenolo mebutato è un macrolide diterpene estratto dal lattice della Euphorbia Peplus. Il meccanismo di azione è basato su una citotossicità diretta, seguita da una reazione infiammatoria con infiltrato di neutrofili che contribuisce all‟eliminazione di cellule neoplastiche residue. L‟effetto citotossico è causato dalla necrosi delle cellule per una alterazione delle membrana cellulare e allo swelling mitocondriale [ Rosen, et al, 2012;

Micali, et al, 2014 ].

Il più comune evento avverso è la comparsa di un notevole eritema con desquamazione che può evolvere in vescicole, bolle e pustole con erosioni, ulcerazioni e croste. I sintomi

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scompaiono generalmente senza bisogno di terapia specifica in 2-4 settimane senza lasciare esiti cicatriziali. L‟uso clinico ha recentemente portato EMA alla modifica della scheda tecnica con l‟aggiunta di due eventi avversi classificati come rari e cioè: la comparsa di una alterata pigmentazione della cute (ipo o iperpigmentazione) che può permanere anche a un anno e la comparsa di angioedema. Si segnala inoltre il rischio di congiuntivite e ustioni corneali in seguito al contatto accidentale di ingenolo mebutato con gli occhi [AIFA]

2.1.5. Retinoidi

Fig. 8 – Struttura chimica del Retinolo (vitamina A), Tretionina, Adapalene e Tazarotene

I Retinoidi come la tretionina o acido retinoico ( forma acida della vitamina A ), Adapalene e Tazarotene ( retinoidi di terza generazione ) vengono utilizzati off-label per il trattamento di cheratosi attinica, lentigo maligna e carcinoma a cellule basali.

I retinoidi agiscono interferendo con i processi di proliferazione e differenziazione cellulare attraverso il loro legami con i recettori cellulari e nucleari [ Micali,et al,2014]. L‟Isotreonina, isomero cis della stessa tretinoina, è un‟ agonista aspecifico del recettore dell‟acido retinoico ( A ) , mentre il Tazarotene e l‟Adapalene si legano selettivamente ai sottotipi β e γ del RAR; il legame dei retinoidi ai recettori nucleari determina apoptosi delle cellule tumorali poiché interferisce nella proliferazione tumorale, in particolare nella fase di carcinogenesi [Mukherjee, et al, 2006 ].

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Gli effetti collaterali più comuni derivanti dall‟ultilizzo di queste formulazioni includono reazioni locali come eritema, secchezza, desquamazione, bruciore e prurito. E' necessario evitare l'esposizione diretta ai raggi ultravioletti, visto il potere fotosensibilizzante dei farmaci. A causa della loro teratogenicità, seppur bassa, nelle donne devono essere associati a contraccettivi.

3.0. Terapie innovative

3.1. Natoteconologie

La nanotecnologia è un campo della scienza applicata incentrato sul design, la sintesi, sviluppo, fabbricazione, caratterizzazione e applicazione di materiali e dispositivi su scala nanometrica. Ha il potenziale per avere un impatto significativo sulla sanità, di fornire cambiamenti nella diagnosi e nel monitoraggio della malattia, nella medicina rigenerativa, nel drug delivery e nella scienza biomedica.

Nell'ambiente sanitario, l'uso della nanotecnologia può creare nuove alternative per il trattamento più efficienti, con riduzione degli effetti collaterali e della spesa sanitaria. Recentemente le nanotecnologie sono state applicate alla maggior parte delle terapie convenzionali per il melanoma.

I recenti e rapidi progressi nella nanotecnologia per il trattamento del tumore sono incoraggianti; si è infatti visto che il nanodelivery di farmaci per la chemioterapia, la terapia fototermica (PTT) e la terapia fotodinamica (PDT), ha migliorato l'efficacia del trattamento [ Klein, et al, 2011].

Inoltre, la terapia mirata con le nanotecnologie consente di bloccare le vie biochimiche o le proteine mutanti che sono necessari per la crescita delle cellule tumorali.

Le nanostrutture sono molto importanti a causa delle loro proprietà intrinseche come l‟elevato rapporto superficie/volume, il diametro della fibra, la porosità, la stabilità, l'idrofilia e la permeabilità. Tra la le varie tecniche di sintesi di questi materiali troviamo l‟elettrofilatura, che rappresenta la più promettente tecnica per la progettazione di scaffold a base di polimeri sia naturali che sintetici e per progettare organi artificiali per l‟ingegneria tissutale o per la somministrazioni di farmaci [Liu, et al, 2007]. Questa tecnica

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si basa sull‟applicazione dell‟alta tensione, con l‟obbiettivo di creare un getto elettricamente carico che viene fatto passare attraverso un ago metallico da cui poi uscirà, attraverso una pompa, una soluzione polimerica che verrà raccolta in un collettore [Barnes,et al , 2007 ].

L‟elettrofilatura viene solitamente eseguita a partire da soluzioni liquide ottenute sciogliendo la sostanza organica di interesse in concentrazioni molto elevate, grazie infatti al campo elettrostatico generato dall‟alta tensione, dalla punta dell‟ago si forma un cono, definito dalcono di Taylor, da cui viene espulsa la soluzione polimerica, il getto liquido uscente si solidifica grazie alla rapida evaporazione del solvente, le fibre polimeriche solide formate varranno poi raccolte dal collettore posto di fronte alla punta dell‟ago , in questo modo si creano fibre con dimensioni che vanno dai nanometri ai micrometri con un elevato rapporto superficie/volume e notevole porosità [Zamani, et al, 2013]

Le nanoparticelle sono state definite come particelle aventi una dimensione media tra 1 e 100 nm e il loro utilizzo per la permeazione topica di farmaci si basa sulla loro capacità di penetrazione attraverso tre diversi siti: i follicoli piliferi aperti, la superficie dello strato corneo e ultimi ma non meno importanti, i solchi

[Aboofazeli, et al, 1994].

3.2. Terapia Fototermica

La terapia fototermica (PTT) usa solitamente una luce infrarossa dotata di una forte capacità di penetrazione come sorgente luminosa per irradiare i nanomateriali assorbiti dalle cellule tumorali; questa energia luminosa viene trasfomata in calore determinando denaturazione delle proteine e necrosi cellulare.

Una notevole varietà di nanomateriali inorganici e organici sono stati applicati nello studio della terapia fototermica a causa delle loro buone capacità di conversione della luce in calore.

Negli ultimi anni i nanomateriali d'oro sono stati al centro dell‟attenzione da parte della ricerca a causa dei loro numerosi vantaggi, quali facilità di sintesi, ottima caratterizzazione, eccellente capacità di conversione della luce in calore e buona biocompatibilità [Silva, et

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Studi recenti hanno dimostrato la biocompatibilità, la biodegradabilità e la capacità di assorbimento nell‟infrarosso dei nanomateriali fototermici ed è stato scoperto che la PTT oltre all‟effetto di ablazione termica può inibire anche le metastasi tumorali e superare anche la resistenza dei tumori ai farmaci; resta solo da stabilire se questi effetti siano applicabili al trattamento del melanoma.

3.3. Terapia Fotodinamica

La Terapia Fotodinamica (Photodynamic Therapy, PDT) è un trattamento binario che si basa sull‟utilizzo di un farmaco in combinazione con la luce per provocare un effetto citotossico in un tessuto particolare. Il farmaco (fotosensibilizzante), non tossico o di tossicità trascurabile in assenza di luce, viene introdotto nell‟organismo e si accumula preferenzialmente nel tessuto da distruggere (tumori o più in generale tessuti in proliferazione rapida, tessuti con infezioni di origine batterica, fungina, etc.). L‟irraggiamento del tessuto da trattare con un fascio di fotoni di appropriata lunghezza d‟onda attiva il farmaco, causando la produzione delle specie chimiche responsabili dell‟effetto citotossico che può portare alla morte della cellula [Calixto, et al, 2016].

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4.0 Studi recenti

4.1. Paclitaxel incapsulato in micelle polimeriche a

base di Pluronic®

Poiché la maggior parte degli agenti chemioterapici convenzionali sono risultati avere profili farmacocinetici non ottimali ed una distribuzione non specifica nell‟organismo con conseguente tossicità sistemica associata a gravi effetti collaterali, è stato essenziale progettare nuovi sistemi di rilascio per la cura del tumore.

In questo studio sono stati progettati sistemi di rilascio nanostrutturati per il rilascio di farmaci utilizzando copolimeri a base di Pluronic.

I Pluronic sono polimeri sintetici anfifilici a base di blocchi idrofilici di polietilene ossido (PEO) e blocchi idrofobici di polipropilene ossido (PPO disposti in una struttura a triblocco: PEO-PPO-PEO. I segmenti di PPO comprendono un nucleo idrofobico per l incorporazione di farmaci idrofobici, mentre la corona idrofila di PEO previene l‟aggregazione, l‟adsorbimento di proteine e il riconoscimento del sistema reticoloendoteliale (RES) [Griset, et al, 2009] .

E‟ stato inotre riscontrato che la capacità di aggregazione di gruppi binari di Pluronics sembra essere dipendente dall'estremità PPO. Nello studio in esame pertanto due diversi Pluronics, il P123 (PEO20-PPO65-PEO20) ed il F127 (PEO100-PPO69-PEO100) sono stati scelti come nanovettori per l‟incapsulamento di Paclita el (PTX) al fine di unire i vantaggi di questi due copolimeri, caratterizzati da bassa citotossicità e scarsa immunogenicità, per le quali ne viene suggerito l‟utilizzo per applicazione topica e sistemica.

Infatti, anche se i copolimeri PEO-PPO-PEO non sono degradabili, le molecole con peso molecolare inferiore a 15 kDa vengono generamente filtrate dal rene ed eliminate con le urine [Huang, et al, 2009; Grindel, et al, 2002] .

Questi copolimeri a bocchi, hanno dimostrato di essere inibitori della P-glicoproteina (P-gp), delle proteine multidrug resistance (MRPs) e della proteina di resistenza al cancro al seno (BCRP) che sensibilizzano i tumori multiresistenti (MDR) a doxorubicina, paclitaxel, vinblastina e altri agenti antitumorali. E' stato inoltre provato che micelle polimeriche a base di Pluronic con aggiunta di PTX (PF-PTX) hanno un tempo di circolazione sistemica

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relativamente più lungo, una velocità di eliminazione plasmatica più lenta e un accumulo di PTX più alto nel polmoni rispetto a quello del Taxol®, formulazione commerciale del Paclitaxel [Han, et al, 2006; Zhang, et al, 2010].

Fig. 9 (A) - Rappresentazione della strategia di sviluppo di micelle plimeriche contenenti PTX a base di Pluronic P123/F127 e immagine TEM di PF-PTX. Fig. 9(B) - Variazione dell'intensità di fluorescenza (I1/I3) vs. concentrazione della miscela di Pluronic P123/ F127.

La preparazione di PF-PTX è stata effettuata mediante il metodo di idratazione a film sottile. Brevemente, 4 mg di Paclitaxel e 270 mg di miscela Pluronic P123 e F127 (2:1, w/w), sono stati disciolti in 10 ml di acetonitrile in pallone; successivamente il solvente è stato fatto evaporare con evaporatore rotante e il residuo di acetonitrile rimanente nel film rimosso sottovuoto durante la notte a temperatura ambiente.

Il film sottile risultante era idratato con 4 ml di acqua a 60° per 30 minuti in modo da ottenere una soluzione micellare polimerica che veniva poi filtrata attraverso una membrana di 0.22 µm per rimuovere il farmaco non incorporato ed infine sottoposta a liofilizzazione .

Le micelle così preparate avevano una bassa CMC, un'elevata efficienza di intrappolamento, una buona stabilità ed una capacità di rilascio di PTX pH dipendente.

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Lo studio di citotossicità in vitro su una linea cellulare di melanoma metastatico polmonare nel topo ha dimostrato che le formulazioni a base di PF-PTX erano in grado di migliorare la citotossicità rispetto al Taxolo e di raggiungere il citoplasma dopo 1 h di incubazione nelle cellule di melanoma B16F10.

Inoltre, gli studi di biodistribuzione hanno dimostrato che PF-PTX rimaneva per un tempo prolungato nella circolazione sanguigna e portava ad un maggiore aumento dell'accumulo di PTX nel tumori rispetto al Taxolo.

4.2. Sistemi nanostrutturati per la

somministrazione topica di Crocina

La Crocina (C44H64O24), risultato della reazione di esterificazione tra il β-D-gentiobiosio e

il carotenoide crocetina, è un carotenoide solubile in acqua, presente nello zafferano (Crocus Sativus L.), è un composto altamente bioattivo che ha un ampio spettro di attività biologiche tra cui un effetto antigenotossico, citotossico, antiossidante, antinocicettivo, antiinfiammatorio, antiarterosclerotico, antidiabetico, ipotensivo, ipolipidemico, ipoglicemico e antidepressivo.

L‟efficacia antitumorale dello zafferano e dei suoi composti consiste nell'inibire la promozione dei tumori e nella prevenzione di modifiche chimiche al DNA che possono attivare i geni del cancro o indurre nuove mutazioni che causano il cancro. In particolare è stato dimostrato un effetto inibitorio della crocina sulla promozione del tumore della pelle nei topi [Chermahini, et al, 2010; Abdullaev, et al, 2003].

L'impiego nella terapia topica è limitato dalle sue caratteristiche chimico-fisiche e dalla sua scarsa stabilità a variazioni di pH, calore e stress ossidativo; inoltre l'assorbimento è rapido e bassa la biodisponibiltà.

Al fine di aumentarne la stabilità ed ottenere un veicolo idoneo alla somministrazione, la crocina è stata inclusa in dispersioni lipidiche nanostrutturate (NLD).

Le dispersioni lipidiche nanostrutturate (NLD) sono generate dall‟autoassemblaggio in acqua di lipidi anfifilici come i monogliceridi insaturi a catena lunga (come la monooleina). In particolare, nelle NLD, la dispersione del monogliceride da origine a nanostrutture cristalline liquide liotropiche complesse, come la fase micellare, lamellare,

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esagonale e cubica, per cui la scelta dell‟agente emulsionante da utilizzare in associazione con la monooleina, influenza sia la morfologia che le proprietà delle NLD [Kumari, et al,

2010 ; Thaipong, et al, 2006; Chen, et al, 2008 ].

Le NLD possono essere quindi cosiderate come nanoveicoli avanzati in grado di solubilizzzare molecole idrofiliche e lipofile in un ambiente fisiologico controllandone il rilascio e proteggendole dalla degradazione.

Le NLD sono state preparate mescolando monooleina (4.5% p / p) ed emulsionante con una quantità nota di crocina ed inseguito addizionate di acqua bidistillata a 70 °C. L'emulsionante era alternativamente costituito da colato di sodio (0.15% p/p) o una miscela di sodio colato (0.15% p/p) e caseinato di sodio (0.07% p /p). Dopo l'emulsificazione, le dispersioni erano sottoposte a omogeneizzazione a 60 ° C per 1 minuto e successivamente raffreddate, filtrate con filtri a membrana con dimensione dei pori da 0,6 μm per rimuovere la possibile presenza di aggregati lipidici. L‟efficienza di incapsulamento (EE) e la capacità di carico (LC) venivano determinate su NLD filtrate, centrifugando un‟ aliquota di 100 microlitri a 8000 rpm per 20 minuti. La quantità di Crocina intrappolata era determinata solubilizzando la fase lipidica nel supernatante con una quantità nota di etanolo (1:10, v/v), mentre la quantità di crocina libera era determinata direttamente nel filtrato costituito dalla fase acquosa. Supernatante e filtrato sono stati poi analizzati per conoscere il contenuto di crocina mediante cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC).

I parametri di incapsulamento sono stati così determinati :

 EE = L CRO/ T CRO x 100 (1)

 LC = L CRO/ T LIPID x 100 (2)

Dove, L CRO corrisponde alla quantità di farmaco incapsulata in NLD, mentre T CRO e T LIPID corrispondono rispettivamente al peso totale della crocina e dei lipidi utilizzati per la preparazione delle dispersioni lipidiche nanostrutturate .

Tutti i dati sono stati ottenuti attraverso quattro determinazioni effettuate su 6 diversi lotti dello stesso tipo di dispersione, la stabilità chimica è stata valutata su formulazioni filtrate

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e conservate a 25° C, lontano dalla luce per 3 mesi, determinado il contenuto di crocina con un'analisi HPLC .

Sono state prodotte due tipologie di NLD, baste sull‟ultilizzo di monooleina associata a materiali di derivazione naturale, come il colato di sodio e il caseinato di sodio, entrambi impiegati come stabilizzanti.

L‟uso del colato di sodio ha portato alla produzione di dispesioni trasparenti denominate NLD-A, mentre l‟uso del caseinato di sodio in associazione al colato di sodio ha portato alla formazione di dispersioni lattiginose opache denominate NLD-B.

La prima differenza riscontrata attraverso una valutazione macroscopica tra queste due diverse preparazioni è stata la variazione di colorazione da bianco a giallo dovuta alla presenza di CRO.

La seconda differenza riscontrata nelle due dispersioni derivava invece dalla presenza dei diversi stabilizzanti, il colato di sodio era infatti responsabile della formazione di poche strutture cubiche (Fig. 10A) e di vescicole unilamellari più abbondanti (Fig. 10B), mentre l‟associazione di colato di sodio e caseinato di sodio ha portato alla formazione di un sistema eterogeneo costituito da enormi strutture cubiche (Fig. 10C) e da vescicole unilamellari, vescicole bilamellari, vescicole invaginate e alcune zone spugnose (Fig. 10D).

La freccia in figura 10D indica un‟area spugnosa mentre le strutture cubiche dopo filtrazione del campione non erano più rilevabili mediante cryo-TEM.

Nel caso di NLD contenenti crocina, nelle NLD-A ci sono solo vescicole unilamellari, mentre nel caso delle NLD-B possono essere osservate vescicole unilamellari, bilamellari e invaginate, esasomi (Fig. 11B), strutture spugnose (Fig. 11C) e cubosomi (Fig. 11D).

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Fig. 10 - Immagini al micoscopio elettronico a Fig 11 - Immagini al microscopio elettronico trasmissionecriogenica (cyo-TEM) di NLD-A a trasmissione criogenica ( cyo-TEM) di

vuote (A, B) e NLD-B vuote (C, D) prima (A, C) NLD-A filtrate (A) e NLD-B filtrate (B,D). e dopo (B, D) filtrazione.

Gli studi di stabilità hanno dimostrato la capacità di NLD-B nel controllo della degradazione della CRO rispetto a NLD-A e il saggio ORAC ha evidenziato un'interessante e prolungata attività antiossidante della CRO, una volta veicolata dalla NLD, ed il test MTT, eseguito su una linea cellulare di melanoma umano, ha mostrato un aumento dell'effetto antiproliferativo CRO dopo l'incorporazione in NLD. Questi risultati potrebbero essere attribuiti all'effetto protettivo delle NLD nei confronti dei fenomeni di idrolisi e fotoinstabilità della CRO, che potrebbero quindi rappresentare un ottimo veicolo per la formulazione della molecola.

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4.3.

Formulazioni

nanovescicolari

contenenti

Artemisone

Fig. 12 - Struttura di Artemisina e del 10-amminoartemisinina artemisone

L‟Artemisinina ed i suoi derivati sono attualmente usati in combinazione con altri farmaci antimalarici per il trattamento della malaria da Plasmodium Falciparum, oltre ad avere un importante attività contro altri parassiti e a possedere anche propietà antitumorali

[Crespo-Ortiz, et al, 2012; Efferth, et al, 2003; Reungpatthanaphong, et al, 2002; Woerdenbag, et al, 1993]. Tuttavia, l‟Artemisinina stessa e gli attuali derivati clinici hanno un‟emivita

breve, possiedono neurotossicità sia in vitro che in vivo e hanno una biodisponibilità relativamente bassa; proprio a causa di queste problematiche, sono stati elaborati nuovi derivati [Golenser, et al, 2006; Haynes, et al, 2006].

L‟Artemisone, derivato dell‟Artemisinina (Fig. 12), farmaco antimalarico perossidico cinese, ha un elevato potenziale terapeutico ed un‟azione antitumorale nei confronti di diverse linee cellulari tumorali; in particolare, alcuni studi hanno evidenziato che quando viene incapsulato in nanoparticelle lipidiche solide (solid lipid nanoparticles, SLNs) e niosomi la sua attività citotossica nei confronti delle cellule A-375 di melanoma umano è superiore rispetto a quella del farmaco libero, mentre la tossicità nei confronti delle cellule sane è minima.

In uno studio recente Dwivedi et al. (2016) hanno analizzato la capacità di formulazioni nanovescicolari (SLN e niosomi) contenenti Artemisone di veicolare il farmaco negli strati cutanei, sito bersaglio della terapia topica contro il melanoma.

Gli studi sono stati condotti su cute femminile caucasica ottenuti da interventi di addominoplastica e utilizzati per studi di permeazione cutanea in vitro utilizzando le celle

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di Franz. Per determinare la concentrazione di Artemisone nei vari strati della cute al termine degli esperimenti di permeazione veniva utilizzata la tecnica del tape-stripping per rimuovere lo strato corneo dall‟epidermide vitale [Pellet, et al, 1997; Fox, et al, 2011] La quantità di Artemisone presente nel compartimento ricevente era determinata analiticamente mediante HPLC e riportata come quantità di farmaco diffuso per unità di superficie attraverso la pelle dopo 12 ore; per gli studi di tape-stripping venne determinata la concentranzione di artemisone prensente nell‟epidermide priva dello strato corneo dopo opportuna estrazione del farmaco.

I dati ottenuti suggerivano che le formulazioni nano-vescicolari fossero molto efficaci nel rilasicare Artemisone nel sito di consegna bersaglio ovvero agli strati della pelle importanti per lo sviluppo del melanoma .Lo studio ha evidenziato che l‟incapsulazione di Artemisone in SLN favoriva l‟accumulo di farmaco negli strati cutanei, in particolare nello strato corneo-epidermide, ma anche in quantità apprezzabili nell‟epidermide-derma. La formulazione SNL permetteva il raggiungimento, nello strato corneo-epidermide, di concentrazioni di farmaco superiori rispetto a quella a base di niosomi (62.632 g/ml e 12.792 g/ml, rispettivamente).

Fig. 13 - Illustrazione rappresentante la concentrazione di Artemisone (ATM, µg/ml), presente nello strato corneo-epidermide (blu) e nello strato epidermide-derma (arancione) ottenuta da artemisone contenuto in niosomi e in SLNs, e Artemisone di controllo I (relativo ad Artemisone-niosoma) e artemisone di controllo II (relativo ad Artemiosone-SLNs), entrambi contenenti la quantità di farmaco corrispondente a quella incapsulata e 10% di etanolo ed acqua. I valori della media e della mediana della concentrazione sono rapprsentati rispetivamente come dei triangoli e quadrati, mentre il valore anomalo è rappresentato dal cerchio.

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In generale, entrambe le formulazioni miglioravano la penetrazione dell‟Artemisone negli strati cutanei garantendo un potenziamento dell‟attività di quest‟ultimo nella terapia del melanoma.

4.4. Nanoparticelle contenenti Dacarbazina e

formulazione di una nanoemulsione

Fig.14 – Struttura chimica Dacarbazina

La Dacarbazina (DZ) è uno dei membri della classe di farmaci antitumorali noti come agenti alchilanti, che uccide le cellule cancerose mediante l'aggiunta di un gruppo alchilico al DNA della cellula tumorale [ Demetri, et al, 2017].

L'uso di Dacarbazina nel trattamento del melanoma è limitato a causa dei suoi vari svantaggi, tra i quali la somministrazione per via endovenosa, che rappresenta una via dolorosa di somministrazione, scarsamente gradita dal paziente per la poca compliance

[Ohtsubo , et al, 2017].

In secondo luogo, la velocità di assorbimento di DZ è in generale lenta ed irregolare a causa della sua scarsa solubilità in acqua; infine, DZ è instabile e sensibile alla luce e causa mielosoppressione e il suo utilizzo sotto forma di terapia combinata è ulteriormente limitato dalla sua breve emivita. Inoltre, come altri farmaci antitumorali, mostra anche effetti tossici non specifici sulle cellule sane.

L'incapsulazione di DZ in nanocarriers per il delivery alle cellule cancerose potrebbe rappresentare un metodo per minimizzare queste problematiche [Bei, et al, 2009].

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A questo scopo, in uno studio di Hafeez e Kazmi del 2017 sono state preparate nanoparticelle lipidiche di DZ (DZNP) e successivamente formulate in nanoemulsione (DZNC) per la somministrazione topica di DZ per il trattamento del melanoma

Una nano-crema è molto efficace nei cosmetici e nella cura personale a causa delle piccole dimensioni delle goccioline nell'intervallo di nanoparticelle (100-600 nm), che consento alla crema stessa di diffondersi e depositarsi uniformemente sulla superficie della pelle e di aumentare l‟efficacia del rilascio di principi attivi sulla superficie della pelle [Sharma, et

al, 2011; Bouchemal, et al, 2004].

Le nanoparticelle di DZ sono state caratterizzate in termini di dimensioni ed efficienza di incapsulazione del farmaco. La nanoemulsione è stata caratterizzata determinandone pH, spalmabilità e viscosità. Inoltre, sia DZNP che DZNC sono state analizzate in termini di diametro delle particelle, indice di polidispersività, potenziale zeta e morfologia con microscopio a trasmissione (TEM). Infine è stato eseguito uno studio di permeazione sia da DZNP che da DZNC attraverso cute porcina per derminare la quantità di farmaco in grado di permeare la cute ed è stato indagato il potenziale citotossico tramite saggio MTT. I risultati ottenuti con lo studio portano a concludere che l'emulsione a base di nanopartcelle di DZ per applicazione topica per il trattamento del melanoma sembra una buona alternativa alla terapia sistemica in quanto le dimensioni delle nanoparticelle erano 16.3 ± 8.1 nm, idonee per infiltrazione nelle cellule di melanoma, e l'efficacia di incapsulazione era del 67.4 ± 3.5% con una capacità di carico di 6.73 mg per 10 mg di nanoparticelle.

L'osservazione delle dimensioni delle particelle e delle immagini TEM ha confermato una forma sferica, generalmente nell'intervallo di 10-20 nm, compatibile per la penetrazione all'interno della cellula cancerosa (Fig. 15).

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Fig.15 - Microscopia Elettronica di Trasmissione (TEM) di nanoparticelle

Lo studio di permeazione ha evidenziato una buona capacità del farmaco di permeare attraverso la cute sia quando veicolato in nanoparticelle che quando formulato nell'emulsione, rispetto al farmaco libero in sospensione (Fig. 16)

Fig 16 - Studi di rilascio in vitro di nanoparticelle caricate con dacarbazina e sue formulazioni.

Infine, la vitalità cellulare delle cellule di melanoma (%) è risultata essere più bassa in DZNP rispetto al semplice farmaco dacarbazina, segno di una maggiore efficacia di DZNP rispetto alla dacarbazina non incapsulata. Inoltre, rispetto ad una crema priva di farmaco (bianco) DZNC mostrava un eccellente effetto citotossico sulle cellule di melanoma a conferma del fatto che una nanoemulsione possa rappresentare un sistema di drug delivery adatto per il trattamento del melanoma (Fig. 17 e 18).

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Fig. 17 - Potenziale citotossicità di dacarbazina caricata in nanoparticelle.

Fig. 18 - Potenziale citotossicitiàdi dacarbazina caricata in nanoparticelle confrontata con crema bianca.

4.5. SLN e niosomi a base di estratti di Withania

Somnifera

Withania Somnifera (noto anche come Ashwagandha, ginseng indiano o ciliegio invernale) è una pianta ben nota nel sistema ayurvedico della medicina naturale per le sue diverse proprietà medicinali, tra cui proprietà antitumorali.

Alcune delle proprietà medicinali di W. Somnifera che sono state identificate fino ad oggi includono proprietà antidiabetiche, antipertensive, antibatteriche, antiaging e antitumorali e

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l'estratto vegetale è attualmente disponibile sul mercato sotto forma di polvere, tonico e come capsule [Fernando, et al, 2013].

Gli estratti delle foglie delle piante hanno un alto potere antiossidante e contengono un'alta concentrazione di composti bioattivi [Kulkarni, et al, 2008], di cui i principali sono lattoni steroidei noti come witanolidi, in particolare witaferina A e witanolide A sono presenti nelle foglie della pianta [Ganzera, et al, 2003].

In uno studio recente [Chinembiri et al., 2017] sono stati preparati tre diversi estratti grezzi di W. Somnifera e incapsulati in niosomi e SLN in modo da poterli utilizzare in studi di permeazione attraverso celle di Franz per verificarne l'efficacia come sistema di drug delivery topico. Per preparare i tre estratti grezzi sono stati usati come solventi acqua, etanolo ed etanolo / acqua (50:50) ed è stata effettuata un‟estrazione mediante so hlet per 24 ore. Gli estratti erano poi essiccati e conservati a -20°C al riparo dalla luce. Tutti gli estratti erano poi caratterizzati mediante analisi HPLC per il titolo in witaferina A e witanolide A .

Per ciascun estratto sono stati preparati sia niosomi che SLN con il metodo dell'iniezione di solvente, successivamente caratterizzati per le loro proprietà fisico-chimiche quali morfologia, dimensione delle particelle, potenziale zeta, indice di polidispersività (PDI), pH ed efficacia di incapsulazione (witaferina A e witanolide A).

Una valutazione della stabilità a 3 mesi è stata condotta su niosomi e SLN liofilizzati ad una temperatura di 22 ° C cossrispondente alla temperatura ambientale circostante.

Sono quindi stati condotti studi di permeazione cutanea attraverso cute addominale femminile, ottenuta da pazienti con addominoplastica; la pelle raccolta era ispezionata per valutare la presenza di eventuali imperfezioni quali fori e smagliature in modo da poter escludere tali aree dai campioni di pelle sperimentale.

Gli studi di diffusione nelle celle di Franz furono condotti attraverso una membrana sintetica per determinare il rilascio di witaferina A e witanolide A da niosomi e SLN, mentre studi gli di permeazione cutanea attraverso cute umana vennero condotti per valutare la permeazione dei witanolidi attraverso la pelle.

Per effettuare questi due studi sono state utilizzate celle di Franz a diffusione statica con un'area di diffusione di 1,075 cm2 e capacità del ricevente di almeno 2 ml, le formulazioni sono state preriscaldate a 32 ° C (temperatura sulla superficie della pelle) e una soluzione tampone fosfato (0,06 M NaOH e 0,08 M KH PO, pH 7,4) è stata preriscaldata a 37 ° C

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(temperatura fisiologica) in modo da imitare le condizioni in vivo [Williams, 2003; Clares,

et al, 2014].

La fase ricevente è stata estratta a intervalli di tempo predeterminati e sostituita con tampone fresco ed è stata quindi analizzata utilizzando HPLC; i prelievi per studi di diffusione della membrana sono state effettuate ogni ora fino a 6 ore mentre è stata eseguita una singola estrazione dopo 12 ore per gli studi di permeazione cutanea.

Per determinare il quantitativo di witaferina A e witanolide A penetrati attraverso i vari strati cutanei è stata usata la tecnica del tape-stripping; questa tecnica funziona rimuovendo selettivamente lo strato superiore della pelle e analizzando la quantità di composto all'interno dello strato sottoposto a stripping [Surber, et al, 1999; Brain, et al, 2002]. Gli studi effettuati hanno evidenziato che sia withaferina A che withanolide A venivano rilasciati sia dalle SLN che dai niosomi dopo 6 ore di studio di permeazione attraverso membrana sintetica (tabella 1), mentre non si ritrovavano in fase ricevente da nessuna delle formulazioni saggiate dopo 12 ore di studio di permeazione attraverso cute umana.

Tabella 1 - Quantità totale di composto marcatore rilasciato dalla quantità iniziale nella formulazione del donatore e quantità media cumulativa del composto marcatore rilasciato dopo gli studi di

diffusione della membrana a 6 ore ± deviazione standard (n = 10)

Inoltre, le SLN al 50% di etanolo erano l'unica formulazione in grado di veicolare sia withaferina A che withanolide A allo strato corneo-epidermide e all'epidermide-derma. In generale le SLN rendevano disponibili agli strati cutanei più profondi i witanolidi, mentre i niosomi facevano sì che essi raggiungengessero solo gli strati della cute più superficiali quali strato corneo ed epidermide (tabella 2).

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