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Emogasanalisi su sangue venoso nella Testudo hermanni

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea in Medicina Veterinaria

TESI DI LAUREA

Emogasanalisi su sangue venoso

nella Testudo hermanni

CANDIDATO RELATORE

Niccolò Pagnini Prof.ssa Grazia Guidi

CORRELATORE

Dott.ssa Anna Pasquini

ANNO ACCADEMICO 2016 - 2017

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INDICE

Riassunto/abstract 3

CAPITOLO 1: EMOGASANALISI 6

1.1 Cenni di storia dell'emogasanalisi 6

1.2 Parametri considerati e loro significato clinico 11

1.2.1 pH 12 1.2.2 pCO₂ 15 1.2.3 Equilibrio elettrolitico 16 1.2.4 Equilibrio Acido-Base 21 1.2.5 Metaboliti 24 1.3 Emogasanalizzatore 27 1.3.1 Elettrodi 27

1.3.2 Sistema ottico spettrofotometrico 38

1.3.3 Curva di dissociazione dell'ossigeno 41

1.3.4 Formule di correzione in base alla temperatura 44

1.4 Errore preanalitico 45

1.5 Preparazione corretta del campione 46

1.6 Intervalli di riferimento 47

CAPITOLO 2: IL PAZIENTE RETTILE: TESTUDO HERMANNI 52

2.1 Cenni di filogenesi, anatomia e fisiologia 52

2.2 La detenzione di T. hermanni in cattività secondo la legislazione corrente 57

2.3 Principali differenze dal paziente mammifero 59

2.3.1 Endotermia ed ectotermia e principali differenze nella correzione dei valori 59

2.3.2 Equilibrio Acido-Base 61

2.3.3 Apparato respiratorio e curva di dissociazione dell'ossigeno 63

CAPITOLO 3: DESCRIZIONE DELLO STUDIO 70

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3.2 Materiali e metodi 71

3.2.1 Soggetti: criteri di inclusione 71

3.2.2 Prelievo e preparazione del campione 71

3.2.3 Metodo analitico 72

3.2.4 Test statistici 73

CAPITOLO 4: RISULTATI 75

CAPITOLO 5: DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 86

5.1 Discussione 86

5.2 Conclusioni 93

BIBLIOGRAFIA 94

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RIASSUNTO

Parole chiave: Emogasanalisi, sangue venoso, medicina dei rettili, Testudo hermanni, intervalli di riferimento

La tartaruga di Hermann (Testudo hermanni) è al momento inclusa nella lista rossa delle specie minacciate della International Union of Conservation of Nature (IUCN), con il grado NT (Near Threatened); ogni informazione utile per garantire il progresso nel campo medico riguardante tale specie è quindi fondamentale al fine di preservare la popolazione attualmente esistente. L'emogasanalisi venosa è un esame fondamentale in urgenza, grazie al quale possiamo stabilire in tempi brevi e con modeste quantità di sangue, le pressioni parziali dei gas ematici, il bilancio idro-elettrolitico e lo stato acido base di un paziente. L'emogasanalisi nei cheloni è stata finora principalmente studiata nelle specie marine per valutare, ad esempio, l'impatto dei metodi di cattura o l’effetto della fluidoterapia sull'equilibrio acido-base dei soggetti, e per indagare un eventuale uso prognostico dei parametri disponibili.

Lo scopo di questo studio è stato quello di ricavare intervalli di riferimento di pH, pCO₂, cK⁺, cNa⁺, cCa⁺⁺, cCl⁻, cGlu, cLac, cBase, mOsm, cHCO₃⁻, ctCO₂ ed Anion Gap nel sangue venoso di Testudo hermanni tramite emogasanalisi effettuate con lo strumento Radiometer™ABL735GLAXP®. Sono stati inoltre discussi gli errori preanalitici che possono influenzare il risultato dell'analisi e le caratteristiche salienti della fisiologia dei cheloni per interpretare correttamente questo esame.

I campioni sono stati prelevati da 43 individui sani alla fine del mese di Luglio ed alla fine del mese di Settembre; immediatamente dopo il prelievo è stata eseguita l'emogasanalisi. I dati ottenuti per ogni parametro sono stati analizzati in modo da verificarne la distribuzione e calcolare i rispettivi intervalli di riferimento. I valori sono risultati sovrapponibili od aventi minime differenze con i valori attesi e stimati presenti in letteratura per i seguenti analiti: cK⁺, cNa⁺, cCl⁻, mOsm; la cGlu è risultata essere discordante rispetto ai valori presenti in letteratura; per i restanti analiti presi in considerazione in questo studio non esistono intervalli di riferimento in letteratura riguardanti la Testudo hermanni.

ABSTRACT

Keywords: Blood gas analysis, venous blood, reptile medicine, Testudo hermanni, reference intervals

Hermann's tortoise ( Testudo hermanni) is included in the red list of endangered species by the International Union of Conservation of Nature (IUNC), classified NT (Near Threatened); informations useful to promote the knowledge of medicine addressing that species are of critical relevance to preserve the actual population.

Blood gas analysis is a fundamental exham in emergency medicine, useful to assess partial blood gases pressures, acid-base status ed the electrolyte balance, using a small amount of blood and in a short time. Blood gas analysis in chelonians has been studied in marine species to value the impact of different capture techniques and the effect of fluid-therapy on che acid-base status, and also to see if that could be useful as a prognostic indicator.

The aim of this study is to obtain the reference value of pH, pCO₂, cK⁺, cNa⁺, cCa⁺⁺, cCl⁻, cGlu, cLac, cBase, mOsm, cHCO₃⁻, ctCO₂ and Anion Gap for venous blood of Testudo hermanni using the blood gas analyzer Radiometer™ABL735GLAXP®. Preanalytical errors and chelonian physiology have been discussed in order to give the correct interpretation of the analysis.

Samples were collected from 43 healthy individuals both at the end of July and September; immediately after the sample collection blood gas test was performed. Data obtained were analyzed in order to verify the distribution and to obtain the reference intervals. Values obtained were similar to those found in literature for the analytes cK⁺, cNa⁺, cCl⁻, mOsm; cGlu value was different from those reported in literature; for the rest of the analytes reference intervals for

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CAPITOLO 1: EMOGASANALISI

1.1) Cenni di storia dell'emogasanalisi

L'emogasanalisi è un esame effettuato per stabilire il pH e le pressioni parziali dei gas disciolti in un determinato campione di sangue, sia esso arterioso o venoso. Moderni strumenti possono fornire, oltre ai dati sopracitati, numerosi parametri aggiuntivi, come ad esempio la saturazione dell'emoglobina, il glucosio ed alcuni elettroliti, tra cui sodio e potassio.⁽¹⁾⁽²⁾

Le nozioni fondamentali che portarono allo sviluppo delle prime teorie e tecniche per la misurazione di tali parametri sono esposte nella Legge di azione di massa, formulata alla fine del 1800, la quale asseriva che la velocità di una reazione chimica è proporzionale alle concentrazioni dei reagenti. Considerando quindi una reazione tipo

A + B ↔ C + D

la concentrazione di ogni reagente varierà fino al raggiungimento di un equilibrio, il quale soddisferà la seguente equazione:

K = [C][D]/[A][B]

dove K è la costante di equilibrio della reazione. Considerando quindi un generico acido (AH) l'equazione prende la seguente forma:

Ka = [H⁺][A⁻]/[AH]

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applicò per spiegare la capacità del sangue umano di annullare le variazioni di pH, applicando la legge di azione di massa alle specie carboniche e correlando così la concentrazione di protoni, bicarbonati ed anidride carbonica. L'equazione ottenuta era la seguente

[H⁺] = K [HA]/[A⁻]

e mostra che, quando [HA] = [A⁻], piccole variazioni di acidità o basicità non facevano variare la concentrazione di ioni idrogeno in modo significativo.

Nel medesimo periodo (1909) Sörensen introduceva la notazione di “esponente dello ione idrogeno”, che altra non è se non la corrente definizione di pH, cioè il logaritmo in base dieci dell'attività degli idrogenioni moltiplicato per -1

( pH = - log₁₀ aH⁺)

Nel 1917 Hasselbalch scrisse l'equazione di Henderson in termini logaritmici e l'applicò al sistema CO₂/HCO₃⁻, ottenendo così quella che ad oggi è universalmente conosciuta come equazione di Henderson-Hasselbalch

pH = pKa + log([HCO₃⁻]/[CO₂])

Per la misura del pH si passò da elettrodi ad idrogeno a quelli a vetro, i quali negli anni '30 iniziarono ad essere prodotti come elettrodi capillari ma non ancora termostatati, e per la misura della CO₂ si ricorreva alla metodologia prima volumetrica e poi manometrica della quantità del gas liberata dal sangue a seguito di aggiunta di un acido (definita col nome di tecnica di Van Slyke). Il valore dei bicarbonati era calcolato in seguito partendo dai valori ottenuti di pH e CO₂. Il valore della pCO₂ per la valutazione delle modificazioni dell'equilibrio acido base dovute a disturbi respiratori non è mai stato messo in dubbio, mentre invece l'espressione della componente metabolica di tali disordini ha suscitato diverse controversie ed è stata espressa negli anni con metodi diversi. Nel 1948 Hastings e Singer proposero un nuovo valore per la valutazione della componente metabolica, le “basi tampone” ( Buffer bases o BB ), espresse sul sangue intero.

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Questa era definita come la somma del bicarbonato e degli ioni non volatili; una grandezza simile varrà proposta in seguito, negli anni '80, ad opera di Stewart, e sarà definita SID ( Strong Ion Difference), cioè come la differenza tra gli anioni ed i cationi forti.⁽³⁾⁽⁴⁾

Nel 1952/1953 si diffuse a Copenhagen un'epidemia di poliomelite con diversi casi di paralisi bulbare, i quali determinavano anche paralisi respiratoria e rendevano necessaria la respirazione artificiale per molti soggetti. In principio molti pazienti morivano nonostante l'ossigenoterapia messa in atto e si notò che i bicarbonati nel loro sangue erano molto elevati. Venne quindi fatta una diagnosi di ritenzione di anidride carbonica, i pazienti vennero tracheostomizzati e ventilati manualmente; si rendeva quindi necessario conoscerne le dinamiche respiratorie e i loro equilibri acido base per poter effettuare una corretta ventilazione manuale. I valori di pH e di CO₂ venivano calcolati tramite elettrodo capillare in vetro e con la tecnica di Van Slyke, ma il direttore del laboratorio centrale, P. Astrup, dovette cercare una soluzione per il trasporto coibentato dei campioni di sangue fino al laboratorio, dove tali analisi erano effettuate in condizioni di temperatura controllata. Per ovviare a questo problema il dottor Astrup prese spunto da un'idea di Hasselbalch, la misura del pH “ridotto”, cioè dopo equilibrazione in ambiente controllato con pressione parziale di CO₂ a 40 mmHg. Osservò quindi che titolando il sangue intero od il plasma con varie pressioni parziali di anidride carbonica, il pH subiva una variazione in funzione lineare col logaritmo di pCO₂, almeno nel campo di utilità, tra 10 e 100 mmHg, dando così vita a quella che è passata alla storia come tecnica di Astrup.⁽⁵⁾⁽³⁾

Negli stessi anni in Danimarca O. Siggaard-Andersen ed i suoi collaboratori elaboravano ulteriormente i parametri considerati per i primi esami emogasanalitici conducendo esperimenti su sangue interno e plasma in vitro, creando grafici e relazioni matematiche tra pH, pCO₂ ed HCO₃⁻. Grazie a questi studi proposero come nuovo valore per la misura di squilibri di origine metabolica il Base Excess ( BE ), che venne definito come la quantità di acido o di base, espressa in mmol/l, necessaria a riportare un campione di sangue a pH di 7,40 dopo equilibrazione della pCO₂ a 40 mmHg. Era evidente la relazione tra il BE e

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il valore precedentemente suggerito da Hastings e Singer, in quanto il primo rappresentava il valore, espresso in mmol/l, di quanto si discostava il BB al momento della misurazione rispetto a quello fisiologico, seguendo quindi la seguente equivalenza

BE = BBₐ – BBᵢ

dove BBₐ è il buffer base attuale ed il BBᵢ è il buffer base ideale. Ulteriori studi portarono Siggaard-Andersen alla pubblicazione del normogramma ad allineamento, dove il BE era ottenuto da pH, pCO₂ ed Hb, e della Siggaard-Andersen Acid Base chart, dove erano illustrati i campi di ciascuno degli squilibri acido base sia acuti che cronici.⁽³⁾⁽⁵⁾

Il metodo di derivazione visiva della pCO₂ ottenuto nel metodo di Astrup era comunque lungo, laborioso ed indiretto, soggetto a molteplici possibilità di avere un errore sia preanalitico che analitico. Fin dal 1926 sono riportati tentativi di sviluppare un elettrodo per la misurazione della pCO₂, ma fu solo nel 1954 che Stow teorizzò la necessità di separare l'elettrodo di misura dal campione tramite una membrana semipermeabile. In questo modo l'elettrodo della pCO₂ misurava direttamente dal campione le variazioni di pH dopo la diffusione dal campione di CO₂ attraverso la membrana semipermeabile. Severinghaus ebbe il merito di tradurre in realtà le indicazioni date da Stow, realizzando il primo elettrodo per la pCO₂ che porta il suo nome, utilizzando come membrana semipermeabile il Teflon.⁽⁵⁾

Contemporaneamente alle ricerche su un elettrodo per la pCO₂, sempre negli Stati Uniti, Clark metteva a punto un metodo polarografico per la misura della pO₂, applicando una membrana di separazione in polietilene tra il campione ed il sistema di misurazione.⁽⁵⁾

Nel 1957 K. E. Jörgensen insieme a P. Astrup proposero il calcolo del Bicarbonato Standard, cioè il calcolo del bicarbonato dopo che il campione era stato equilibrato con pressione parziale di CO₂ a 40 mmHg ad una temperatura di 37°C. In questo modo ogni eventuale alterazione del bicarbonato dovuta ad una

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componente non respiratoria sarebbe stata annullata.⁽³⁾

Nel corso degli anni '60 fu introdotto il concetto di Base Excess Standard (SBE), cioè una modifica del BE che tiene di conto delle modifiche respiratorie pure e della redistribuzione dei bicarbonati in tutto il liquido extracellulare (di cui il sangue è solo una parte); in questo modo il SBE è indipendente dalle variazioni di pCO₂.⁽³⁾

Sempre negli anni '60 si sviluppò, negli Stati Uniti, una corrente di pensiero che non condivideva le metodologie della scuola danese. I principali contributori di questa teoria (conosciuta come “scuola di Boston”) erano W.B. Schwartz ed A.S. Relman, e sostenevano che ogni disturbo respiratorio inducesse una risposta metabolica atta a riportare il pH in condizioni di neutralità. I parametri presi in considerazione erano i medesimi (pH, pCO₂ ed HCO₃⁻). Il grande merito di questa linea interpretativa fu quello di definire le risposte ed i gradi di compenso attesi in termini di range di significatività di tali variazioni.⁽³⁾

Nel 1973 si ha una grande rivoluzione nella tecnologia riguardante gli apparecchi per l'emogasanalisi, in quanto si ha il primo step nel percorso di automatizzazione del procedimento di analisi. Una conseguenza di questa innovazione è però il tramonto della metodica di Astrup, in quanto difficilmente automatizzabile.⁽⁵⁾ Negli anni '80 P. Stewart introdusse un nuovo concetto, quello di Strong Ion Difference (SID), che è la differenza fra anioni e cationi forti, dove per anione e catione forte si intende una molecola completamente dissociata; la SID è quindi rappresentata dalla seguente formula

SID = ∑ [Na⁺], [K⁺], [Ca²⁺], [Mg²⁺] - ∑ [Cl⁻], [lattato⁻], [chetoacidi⁻], [SO₄²⁻] La SID, insieme alla pCO₂ ed alla concentrazione totale di acidi deboli (Aₜₒₜ), erano considerate variabili indipendenti, a differenza ad esempio di pH e del contenuto di bicarbonato, che sono variabili dipendenti.

La differenza rappresentata dalla SID, che è fisiologicamente negativa, deve essere controbilanciata da una pari valenza negativa, che altro non è che il Buffer Base. Questo parametro è considerato fondamentale per riuscire a spiegare sia le

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conseguenze di un disturbo metabolico primario sia le modificazioni indotte da una risposta compensatoria metabolica.⁽⁴⁾

Un'altra importante novità introdotta negli anni '80 è stata quella dell'aggiunta, tra i parametri valutati dai nuovi emogasanalizzatori automatici, anche degli elettroliti. Ciò avvenne in quanto si arrivò alla conclusione che lo stato acido base e l'equilibrio elettrolitico sono interdipendenti tra loro, e non possono essere oggetto di valutazione indipendente uno dall'altro. Grazie all'aggiunta di questo tipo di misurazione si è arrivati a poter calcolare anche l'Anion Gap, che altro non è che la differenza tra cationi misurati ed anioni misurati.⁽⁵⁾⁽¹⁾

Durante gli anni '90 si ebbe un ulteriore incremento dei dati forniti dall'emogasanalizzatore, tra i quali bilirubina, glucosio, lattati e creatinina.⁽⁵⁾ Inizia inoltre ad essere utilizzato questo esame in medicina veterinaria, principalmente in grosse strutture universitarie. Dagli anni 2000 si ha un aumento della disponibilità di apparecchi sempre più contenuti sia come dimensioni che come prezzo, e l'emogasanalizzatore diventa di uso comune nella pratica clinica quotidiana.

1.2) Parametri considerati e loro significato clinico

I moderni emogasanalizzatori sono dotati di diversi sistemi che permettono di avere la gestione delle varie processazioni del campione completamente automatizzata; sono inoltre presenti vari sistemi di auto calibrazione, correzione, lavaggio e ricalibrazione che seguono il tragitto del campione all'interno dell'apparecchio e che riducono notevolmente la necessità di intervento da parte dell'operatore.⁽⁵⁾⁽⁶⁾

I parametri forniti dagli emogasanalizzatori sono suddivisibili generalmente in cinque categorie: valori dei gas ematici, valori ossimetrici, valori degli elettroliti, valori dei metaboliti e stato acido base. Sono inoltre presenti alcuni dati di fondamentale importanza per la corretta processazione del campione, i quali devono essere inseriti manualmente dall'operatore: questi dati sono la temperatura del campione, il tipo di campione e la FiO₂. La temperatura serve per permettere

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allo strumento di effettuare le correzioni dei valori, come verrà illustrato nel paragrafo 1.3.4, in quanto il campione verrà portato alla temperatura di 37°C all'interno dell'emogasanalizzatore. Il tipo di campione serve a specificare se il sangue è di tipo venoso, arterioso o misto, in modo da visualizzare i corretti range di riferimento. La FiO₂ è invece la frazione di ossigeno inspirata e varia a seconda che il paziente respiri aria ambientale o che sia sottoposto ad esempio ad ossigenoterapia.

Di seguito verranno illustrati soltanto alcuni dei parametri forniti dagli emogasanalizzatori, in quanto a non tutti i parametri è stata attribuita la medesima salienza per lo studio intrapreso.

1.2.1) pH

Il pH è definito come il negativo del logaritmo in base dieci dell'attività dello ione idrogeno, come espresso dalla seguente formula

pH = - log aH⁺

Rappresenta quindi l'attività ionica, una quantità non misurabile in maniera sperimentale. Per ovviare a questo inconveniente la IUPAC ha quindi deciso di adottare una scala per la sua misura.⁽⁷⁾

Applicando il concetto di pH agli equilibri tra bicarbonati ed anidride carbonica presenti nel sangue otteniamo l'equazione di Henderson-Hasselbalch

pH = pKa + log ([HCO⁻₃]/[CO₂])

Il pH del sangue diviene quindi un chiaro indicatore dei vari processi acidificanti ed alcalinizzanti dell'organismo.⁽¹⁾⁽⁸⁾

Il pH è il primo paramentro, insieme a pCO₂ ed HCO⁻₃, ad essere preso in considerazione quando ci si approccia alla lettura di un esame dei gas ematici: questo perché ci da subito una chiara indicazione della direzione presa dal

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disordine principale.⁽¹⁾⁽⁸⁾

Il pH deve essere valutato insieme alla pressione parziale di anidride carbonica ed al valore dei bicarbonati: questo perché la prima, se alterata, può far sospettare una componente respiratoria del problema, mentre se ad essere alterato è il secondo valore è più probabile che il disturbo presente sia di natura metabolica.⁽¹⁾ Devono essere però tenute ben presenti tutte le reazioni chimiche che avvengono contestualmente all'equilibrio tra anidride carbonica disciolta e bicarbonati, illustrate dalla seguente equazione

CO₂ + H₂O ↔ H₂CO₃ ↔ H⁺ + HCO⁻₃

Data la legge di massa, sappiamo che, all'aumentare della concentrazione di una delle specie chimiche da un lato dell'equazione, per mantenere l'equilibrio chimico, anche le specie dal lato opposto devono parimenti aumentare; avremo così che un aumento dei bicarbonati del sangue sposterà l'equilibrio verso sinistra, portando ad un aumento della produzione di anidride carbonica, la quale, se non viene adeguatamente eliminata, ad esempio con un aumento della ventilazione, potrà portare ad acidosi paradossa.⁽¹⁾

Le variazioni del pH dal valore fisiologico di 7,40 prendono il nome rispettivamente di acidemia, quando il valore diminuisce, e di alcalemia, quando il valore aumenta. Si definisce invece come acidosi ed alcalosi la tendenza del pH a modificarsi in una delle due direzioni, senza però che il valore sia effettivamente modificato, come ad esempio quando entrano in gioco in maniera efficace i sistemi tampone del sangue.⁽⁶⁾ L'instaurarsi di un'acidosi può portare a diverse modifiche: ridotta forza e ridotta contrattilità muscolare, vasocostrizione, ridotto output cardiaco, aumento delle richieste energetiche congiunta ad una riduzione dell'uptake cellulare di glucosio; altre conseguenze possono essere l'iperkaliemia, dovuta ad un aumento della fuoriuscita di potassio dalle cellule, che porta ad uno stato catabolico tale da dare ottundimento fino a portare al coma.⁽¹⁾⁽⁹⁾⁽¹⁰⁾

Una condizione di acidosi può essere a sua volta divisa in due categorie: acidosi respiratoria ed acidosi metabolica. Un'acidosi respiratoria si verifica quando il pH

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scende sotto il valore di 7,40 ed abbiamo una pCO₂ elevata, con presenza o meno di compensazione sotto forma di aumento dei bicarbonati. In generale qualsiasi situazione di ipoventilazione porta ad una minore eliminazione di CO₂ con conseguente accumulo di anidride carbonica e sviluppo quindi di acidosi respiratoria.⁽⁶⁾⁽⁸⁾⁽¹⁰⁾ Tra le principali cause di ipoventilazione si annoverano:

depressione del sistema nervoso centrale, data anche da cause iatrogene come farmaci anestetici; disordini neuromuscolari; ostruzione delle vie aeree superiori od inferiori; grave polmoniti od edema polmonare; ostruzioni al movimento del diaframma o dei muscoli accessori della respirazione, come ad esempio in un'ernia diaframmatica od in una dilatazione gastrica.⁽⁸⁾⁽¹⁰⁾

Un'acidosi metabolica si presenta quando il pH scende al di sotto del valore di neutralità congiuntamente ad un abbassamento dei valori dei bicarbonati e ad un abbassamento del BE; quest'ultimo valore risulta particolarmente importante in quanto prende in considerazione tutti i sistemi tampone del sangue, dando quindi una misura attendibile dell'effettiva componente metabolica di un disturbo acido-base. Questa condizione può essere dovuta ad un aumento della produzione di ioni H⁺, partendo da composti acidi sia endogeni che esogeni, oppure ad una diminuzione dell'escrezione renale degli stessi ioni, dovuta ad un danno renale.⁽⁹⁾ ⁽¹⁰⁾

Tra le principali cause di acidosi metabolica si annoverano:

perdita di bicarbonati a livello intestinale e renale, acidosi lattica, insufficienza renale, rabdomiolisi, chetoacidosi diabetica, avvelenamento da salicilati e glicole etilenico.⁽¹⁰⁾

L'alcalosi è invece il disturbo metabolico opposto all'acidosi, caratterizzato da un aumento del pH al di sopra del valore neutro di 7,40. Anche i processi di alcalosi possono essere distinti in metabolici e respiratori.⁽⁶⁾⁽⁹⁾⁽¹⁰⁾

Un'alcalosi respiratoria è caratterizzata da un aumento del pH correlato ad una diminuzione della CO₂, in genere dovuto ad iperventilazione, mediante la quale in paziente elimina notevoli quantità di CO₂ riducendo la quota dell'acido disciolta nel sangue. Le possibili cause di iperventilazione sono molteplici, come ad esempio attacchi di panico e di ansia, ipossia, patologie polmonari, stati settici,

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encefalopatia epatica ed altre malattie del sistema nervoso centrale.⁽⁹⁾⁽¹⁰⁾

Un'alcalosi metabolica è un disturbo nel quale si nota un aumento del pH unito ad un aumento dei bicarbonati e del BE. Può essere dovuta a vari disturbi, come ad esempio:

perdita di H⁺, per esempio con episodi di vomito, oppure aumento dei bicarbonati per via principalmente esogena, uso recente di diuretici, specialmente di diuretici dell'ansa, eccesso di attività mineralcorticoide.⁽⁸⁾⁽¹⁰⁾

1.2.2) pCO₂

La pCO₂ è la pressione parziale di anidride carbonica disciolta nel sangue, definita come la pressione che ha il gas in completo equilibrio con la soluzione.⁽⁷⁾

L'anidride carbonica è presente in quantità trascurabile nell'aria inspirata; la stessa ha una rapida diffusione attraverso le membrane cellulari, e l'apporto del metabolismo cellulare alla sua produzione può essere considerato pressoché costante: ne consegue che il valore di pCO₂ riflette l'adeguatezza della ventilazione alveolare in rapporto alla velocità del metabolismo, dove la ventilazione alveolare è definita come il volume di gas che raggiunge gli alveoli nell'unità di tempo.⁽⁸⁾⁽¹²⁾

La pressione parziale di anidride carbonica è uno dei parametri valutati per primi al momento dell'interpretazione di un esame emogasanalitico, in quanto è indice diretto della componente respiratoria di un eventuale disordine nell'equilibrio acido-base.⁽³⁾⁽⁶⁾⁽⁸⁾

Variazioni di pCO₂ possono essere due: se la quantità di anidride carbonica aumenta andiamo incontro ad ipercapnia, mentre se diminuisce andiamo incontro ad ipocapnia. Queste variazioni, essendo l'espirazione l'unico modo efficace di espulsione di CO₂ dell'organismo, si possono tradurre con un'iperventilazione in caso di ipocapnia ed un'ipoventilazione nel caso di ipercapnia.⁽⁶⁾⁽⁸⁾

Un disturbo acido-base primario su base respiratoria con valore di pCO₂ aumentato viene definito acidosi respiratoria, men tre uno con valore di pCO₂

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diminuito viene definito alcalosi respiratoria: entrambi i disturbi sono stati descritti nel paragrafo precedente, relativo alle modificazioni del pH. È opportuno ricordare che i valori di pCO₂ alterati provocano delle variazioni anche nei valori di pO₂, in quanto promuovono lo shift della curva di dissociazione dell'ossigeno. Se la curva si sposta a sinistra, ad esempio a seguito di ipocapnia, porterà ad un'aumento di assunzione dell'ossigeno a livello polmonare, migliorando l'ossigenazione del sangue, ma al contempo renderà più difficile il rilascio delle stesse molecole da parte dell'emoglobina, portando ad ipossia tissutale. Viceversa una situazione di ipercapnia promuoverà lo spostamento della curva a destra, aumentando la capacità dell'emoglobina di rilasciare O₂ ai tessuti ma diminuendo l'uptake di ossigeno a livello polmonare.⁽¹²⁾

1.2.3) Equilibrio elettrolitico

Concentrazione plasmatica di sodio

Il sodio è il catione principalmente rappresentato all'interno dello spazio extracellulare: nonostante la permeabilità a questo ione delle membrane cellulari, questa condizione è mantenuta grazie alle pompe Na⁺/K⁺. Di tutto il sodio presente all'interno dell'organismo, circa il 70% è attivo osmoticamente, mentre il restante 30% è nel tessuto osseo sotto forma di sali insolubili. Le funzioni del sodio all'interno dell'organismo sono molteplici: contribuisce alla polarizzazione delle membrane cellulari ed alla conseguente depolarizzazione durante la trasmissione degli impulsi nervosi; mantiene costante il bilancio idrico dell'organismo, essendo di fondamentale importanza per la distribuzione di acqua al suo interno; contribuisce al mantenimento dell'equilibrio acido-base.⁽¹³⁾

La condizione dove abbiamo un'eccessiva presenza di Na⁺ all'interno dell'organismo è definita come ipernatriemia, mentre la condizione dove vi è una diminuita concentrazione del medesimo ione è definita come iponatriemia. Le principali cause di ipernatriemia sono le seguenti: un deficit puro di acqua, dato ad esempio da un'ipodipsia primaria, diabete insipido, febbre o ridotto intake di liquidi; una perdita di fluidi ipotonica, che può essere extrarenale, come ad

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esempio una perdita a livello gastroenterico, una perdita dal terzo spazio o cutanea, oppure renale, come la diuresi osmotica nel diabete mellito e condizioni di CKD; un uptake di soluti impermeabili, come negli episodi di intossicazione da sale, durante la somministrazione di fluidi ipertonici, iperadrenocorticismo ed iperaldosteronismo. I principali segni clinici che indicano una condizione di ipernatriemia sono neurologici e sono legati ad una movimentazione osmotica di acqua al di fuori delle cellule. La rapida diminuzione di volume associata con la perdita di acqua intracellulare può portare alla rottura di vasi a livello cerebrale ed alla conseguente emorragia. La sintomatologia è maggiormente presente non in base alla gravità della situazione di ipernatriemia ma in base alla rapidità con cui questo stato si instaura: se l'aumento della concentrazione di sodio non è repentino le cellule cerebrali hanno il tempo di adattarsi e produrre dei soluti intracellulari, evitando al paziente non solo la possibilità di avere emorragie, ma mantenendolo anche in uno stato di paucisintomaticità. Altri segni associabili allo stato di ipernatriemia sono anoressia, letargia, vomito, debolezza muscolare, atassia, coma fino alla morte.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Le principali cause di iponatriemia sono divise in tre categorie: cause di iponatriemia con osmolalità plasmatica invariata, che comprendono iperlipemia ed iperproteinemia; cause con osmolalità plasmatica aumentata, che comprendono iperglicemia e somministrazione di mannitolo; cause con osmolalità plasmatica diminuita, che comprendono ipoadrenocorticismo, somministrazione di diuretici, scottature, pancreatiti, peritoniti, vomito, diarrea, polidipsia psicogena, somministrazione di fluidi ipotonici, gravi epatopatie e sindrome nefrosica. Come per l'ipernatriemia, anche nell'iponatriemia la gravità della sintomatologia varia in base alla rapidità di onset della condizione: più il processo è rapido, più grave sarà la sintomatologia. Nel caso dell'iponatriemia le conseguenze a livello cerebrale sono edema ed intossicazione da acqua. Altri segni correlabili con l'iponatriemia sono letargia, nausea, vomito ed aumento del peso corporeo.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

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Concentrazione plasmatica di potassio

Il potassio è il catione maggiormente rappresentato nello spazio intracellulare. È quindi importante per il mantenimento del volume della cellula, oltre che per il suo corretto accrescimento, in quanto è necessario per il corretto funzionamento degli enzimi che sintetizzano acidi nucleici, glicogeno e proteine. Le altre fondamentali funzioni del potassio sono il mantenimento della polarizzazione delle membrane cellulari e della depolarizzazione durante la trasmissione di un impulso elettrico ed il mantenimento del corretto equilibrio acido-base. Il potassio contenuto dello spazio extracellulare è molto ridotto rispetto a quello nello spazio intracellulare, e di questo va tenuto debitamente conto, in quanto un campione emolitico potrebbe avere dei valori falsamente elevati di potassio al suo interno.⁽¹²⁾ ⁽¹³⁾

Gli stati di aumentata e diminuita concentrazione di potassio sono definiti rispettivamente come iperkaliemia ed ipokaliemia. Le principali cause di iperkaliemia comprendono un aumento di introduzione nell'organismo; una migrazione dello ione dallo spazio intracellulare a quello extracellulare a seguito ad esempio di acidosi minerale acuta, carenza di insulina o paralisi periodica iperkaliemica; una diminuzione dell'eliminazione dello ione a livello urinario, a causa ad esempio di un'ostruzione ureterale, una rottura della vescica, ipoadrenocorticismo. I principali segni clinici associati all'iperkaliemia sono debolezza muscolare, modificazioni nel tracciato elettrocardiografico, dovute a modificazioni nella conduttività e contrattilità cardiaca. Le principali cause di ipokaliemia comprendono una ridotta assunzione; una migrazione dello ione dallo spazio extracellulare a quello intracellulare, dovuto ad alkalemia, somministrazione di fluidi contenenti glucosio od insulina, all'azione delle catecolamine oppure a sovradosaggi di albuterolo; un aumento nella perdita dello ione dall'organismo, come ad esempio avviene durante episodi diarroici oppure dopo ripetuti episodi di vomito, con stati di CKD, specialmente nei felini, con eccesso di mineralcorticoidi ed a causa di trattamenti emodialitici. I pazienti che presentano uno stato di ipokaliemia generalmente non mostrano sintomi clinici evidenti, ma qualora si manifestassero in genere sono rappresentati maggiormente

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da debolezza muscolare, poliuria, polidipsia ed incapacità di concentrare efficacemente le urine.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Concentrazione plasmatica di cloro

Il cloro è l'anione più rappresentato all'interno dei fluidi extracellulare, costituendo approssimativamente due terzi degli anioni totali del plasma. Le principali funzioni del cloro sono quelle di mantenere costante l'osmolalità e quella di partecipare alla regolazione dell'equilibrio acido-base, insieme al sodio, al quale è strettamente connesso.⁽¹³⁾

Il cloro, considerato come parametro indipendente, ha scarso significato clinico; tuttavia bassi valori di cloro possono causare spasmi muscolari, anoressia ed apatia. Cambiamenti nella concentrazione di cloro possono essere causati sia da delle modificazioni nel bilancio idrico dell'organismo sia da perdite od aumentata assunzione dello ione stesso. Ne caso in cui le variazioni di concenrazione del cloro siano dovute a modificazione dell'equilibrio idrico, oltre al cloro saranno presenti anche modificazioni nella concentrazione di sodio: per questo motivo tutte le variazioni di cloro devono essere valutate congiuntamente alle variazioni di concentrazione di sodio. Per ottenere un valore di concentrazione di cloro che tenga di conto delle modificazioni del bilancio idrico è possibile calcolare il valore di cloro “corretto”, grazie all'applicazione della seguente formula

Cl⁻(corretto) = Cl⁻(misurato) x [Na⁺(normale)/Na⁺(misurato)]

Dove Cl⁻(misurato) ed Na⁺(misurato) sono le concentrazioni di cloro e sodio misurate dal campione e Na⁺(normale) è la concentrazione media normale di sodio.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Situazioni di variata concentrazione di cloro sono definite come ipocloremia, quando la concentrazione risulta essere diminuita, ed ipercloremia, quando la concentrazione risulta essere aumentata; le variazioni di concentrazioni vengono sempre considerate sul valore di cloro corretto. Le principali cause di ipocloremia sono una perdita ecessiva di cloro relativamente alla concentrazione di sodio,

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dovuta ad esempio a vomito, terapie con diuretici dell'ansa, acidosi respiratoria cronica, iperadrenocorticismo ed esercizio fisico; oppure terapie con soluzioni contenenti concentrazioni di sodio troppo elevate rispetto alle concentrazioni di cloro come ad esempio il bicarbonato di sodio. Non sono associati segni clinici all'ipocloremia pura, ma spesso si rendono manifesti i segni relativi allo stato di alcalosi metabolica che spesso si instaura insieme all'ipocloremia.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Le principali cause di ipercloremia sono perdita eccessiva di sodio in relazione alla concentrazione di cloro, come ad esempio durante episodi diarroici; eccessiva assunzione di cloro in relazione alla concentrazione di sodio, come durante terapie con KCl, intossicazione da sale o fluidoterapia con soluzioni saline ipertoniche; ritenzione di cloro a livello renale, come ad esempio in corso di insufficienza renale, acidosi tubulare renale, ipoadrenocorticismo, diabete mellito o acidosi respiratoria cronica. In maniera simile a quanto detto per l'ipocloremia, anche l'ipercloremia non è associata a nessun particolare segno clinico, se non quelli associati alla situazione di acidosi metabolica che spesso si instaura in concomitanza allo squilibrio nella concentrazione dello ione.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Concentrazione plasmatica di calcio ionizzato

Il calcio svolge diverse funzioni basilari e fondamentali per il corretto funzionamento dell'organismo, tra le quali si annoverano i processi di coagulazione del sangue, catalizzazione di reazioni enzimatiche, stabilità delle membrane cellulari, conduzione dello stimolo nervoso, contrazione muscolare, secrezioni ormonali e formazione e riassorbimento del tessuto osseo. Il calcio ionizzato, o Ca²⁺, è la forma biologicamente attiva del calcio; regola la sua omeostasi grazie a dei recettori specifici presenti sulle membrane cellulari. Il calcio ionizzato deve essere misurato direttamente ed è considerato un indicatore più accurato del calcio totale per quanto riguarda il reale stato di concentrazione dello ione nell'organismo, in quanto, essendo la forma attiva, fornisce un'indicazione più accurata e precisa degli effettivi squilibri di concentrazione all'interno del plasma.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

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normale valore fisiologico vengono definite come ipercalcemia: i principali segni clinici associati a questo disturbo comprendono polidipsia, poliuria, anoressia, disidratazione, letargia, debolezza, vomito, azotemia prerenale ed insufficienza renale cronica; altri segni meno comuni dei precedenti sono costipazione, aritmie cardiache, urolitiasi e morte. La condizione opposta, ovvero quando la concentrazione di calcio ionizzato è inferiore al normale valore fisiologico, è definita ipocalcemia. I segni clinici più comunemente associati a questo disturbo sono tremori muscolari, crampi muscolari, stati eccitatori, aumento dell'aggressività, ipersensibilità; occasionalmente si possono manifestare anche letargia, anoressia, prolasso della terza palpebra nel gatto, tachicardia, poliuria o polidipsia, arresto respiratorio e morte.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

1.2.4) Equilibrio acido-base

Concentrazione plasmatica di bicarbonato

La concentrazione plasmatica di bicarbonato è un valore calcolato in base ai valori misurati di pH e di pCO₂. È considerato come uno dei primi tre valori da prendere in considerazione nella lettura di un esame emogasanalitico secondo il metodo tradizionale, ed in particolare la sua concentrazione viene usata per stabilire la componente metabolica di un eventuale disturbo acido-base. In realtà, come precedentemente illustrato, il valore di cHCO₃⁻ non è indipendente, come invece è il valore di pCO₂, in quanto un aumento della CO₂ porta ad un aumento di concentrazione di H₂CO₃ con conseguente aumento anche della concentrazione dei bicarbonati a causa dello spostamento dell'equilibrio della reazione verso destra. ⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Il valore di concentrazione plasmatica del bicarbonato viene utilizzato per calcolare il gap anionico, un altro parametro importante per descrivere

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efficacemente un disordine acido-base. Un valore di concentrazione plasmatica di bicarbonato troppo elevato può essere indicatore di un processo di alcalosi metabolica oppure di un processo di compensazione di un'acidosi respiratoria; un valore invece troppo basso può essere indicatore di un'acidosi metabolica oppure di un processo di compensazione di un'alcalosi respiratoria.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Anion Gap

L'anion gap, o gap anionico, è la differenza che intercorre tra la somma dei valori dei cationi misurati e la somma dei valori degli anioni misurati. Perchè esista equilibrio chimico le valenze all'interno del sangue devono essere bilanciate tra loro, quindi non ci dovrebbe essere una specie tra le due più rappresentata dell'altra, ma i parametri generalmente misurati dagli emogasanalizzatori comprendono sodio, potassio, cloro ed anidride carbonica totale, quindi l'equazione utilizzata per determinare l'anion gap risulta essere la seguente

AG = (Na⁺ + K⁺) - (Cl⁻ + HCO₃⁻)

In genere, usando solo questi valori, la somma dei cationi è superiore a quella degli anioni.⁽¹³⁾

L'equazione per il calcolo reale tiene anche in considerazione sia i cationi non misurati che gli anioni non misurati, e prende la forma seguente

AG = (Na⁺ + K⁺ + UC) - (Cl⁻ + HCO₃⁻ + UA)

Dove UC sono i cationi non misurati ed UA sono gli anioni non misurati. Osservando questa equazione ci si rende subito conto di come, a seguito di due semplici procedimenti matematici, essa possa prendere la forma seguente

UC – UA = (Na⁺ + K⁺) - (Cl⁻ + HCO₃⁻)

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misurati e gli anioni non misurati. Tenendo di conto che delle variazioni abbastanza importanti nei cationi non misurati, tali da modificare il valore di anion gap, risultano essere in genere non compatibili con la vita, se ne deduce che lo studio di questo valore prende principalmente in considerazione le variazioni negli anioni non misurati.⁽¹³⁾

L'anion gap può essere usato efficacemente sia per individuare disturbi acido-base misti sia per distinguere due tipi diversi di acidosi metabolica: un primo tipo definita organica, caratterizzata dall'aumento dell'anion gap dovuto ad un aumento degli aicid organici, ed un secondo tipo definita come secretiva, che non vede incrementare il valore di anion gap e che è dovuta principalmente a perdita di bicarbonato.⁽¹²⁾⁽¹³⁾

Deficit di basi

Il deficit di basi, o base excess, è definito come la concentrazione di basi titolabili quando il sangue viene titolato con una base od un acido forte ad un pH plasmatico di 7,4, in condizioni di pCO₂ di 40 mmHg, temperatura di 37℃ e saturazione di ossigeno effettiva. Questo valore rappresenta la deviazione delle basi tampone nel sangue, cioè della somma di bicarbonato, emoglobina, le proteine plasmatiche ed il fosfato, rispetto al loro valore normale. Questo valore viene considerato l'indice più accurato per valutare la componente metabolica in uno squilibrio acido-base, in quanto permette di stimare l'impatto di tutte le basi tampone, e non solo del bicarbonato. Quando abbiano un deficit di basi ridotto ciò significa che la quantità di basi tampone è diminuita, ed è una condizione indicativa di acidosi metabolica; al contrario, quando questo valore è aumentato, avremo in corso una situazione dove sussiste un aumento delle basi tampone, ed il disturbo acido-base in corso sarà un'alcalosi metabolica.⁽³⁾⁽¹²⁾

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1.2.4) Metaboliti

Concentrazione plasmatica di glucosio

Il glucosio rappresenta la principale fonte energetica delle cellule; penetra al loro interno attraverso la membrana cellulare grazie ad un sistema di diffusione facilitata, il quale è potenziato in alcuni tessuti dall'effetto dell'insulina. La concentrazione plasmatica del glucosio deve essere mantenuta costante, in modo da mantenere costante l'apporto di energia alle cellule, in particolar modo per il sistema nervoso centrale, in quanto il metabolismo in tale distretto dipende esclusivamente dal glucosio. Cause di aumentato valore di concentrazione plasmatica di glucosio, situazione descritta col nome di iperglicemia, comprendono l'assunzione di cibo meno di 4 ore prima del prelievo; l'azione di ormoni iperglicemizzanti come catecolamine, corticosteroidi e progestinici; diabete mellito di tipo primo e di tipo secondo; farmaci, come cortisonici e progestinici, o l'istaurarsi dell'effetto Somogyi a seguito di eccessiva somministrazione di insulina. Cause di diminuito valore di concentrazione plasmatica di glucosio, cioè di ipoglicemia, comprendono una ridotta produzione, ad esempio a causa di gravi epatopatie o malnutrizione; eccessivo consumo nei tessuti, come ad esempio in corso di sepsi; riduzione dell'azione degli ormoni antagonisti dell'insulina, come durante ipoadrenocorticismo; eccessiva secrezione di insulina ed eccessivo rilascio della stessa.⁽³⁾⁽¹⁴⁾

Concentrazione plasmatica di lattato

Il lattato è il prodotto finale della glicolisi anaerobia, e la lattatemia rappresenta la sua concentrazione all'interno del sangue. Durante il ciclo cellulare, in condizioni di anaerobiosi, il piruvato viene ridotto ad L-lattato, il quale entra nel torrente circolatorio e viene poi captato dal fegato oppure eliminato per via renale. Generalmente il lattato ha un'emivita breve, minore di un'ora, pertanto un valore molto alto della sua concentrazione plasmatica è indice di ipossia tissutale protratta. Le principali cause di aumento del lattato sono le seguenti: esercizio fisico protratto, riduzione dell'ematosi, anemie acute, shock cardiocircolatorio e

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paratopie gastroenteriche, come torsioni o volvoli. Le cause di diminuzione del valore dei lattati in genere sono dovuti ad artefatti, come ad esempio nel caso di campioni emolitici; tenendo inoltre in considerazione il fatto che generalmente il valore minimo di lattatemia è di 0 mmol/l, ne consegue che una diminuzione di tale valore assume ben poco significato clinico. È opportuno anche considerare che il valore di lattatemia è stato correlato alla mortalità ospedaliera, sia in studi riguardanti la medicina umana che quella veterinaria, e può quindi essere utilizzato come indice prognostico.⁽¹²⁾⁽¹⁴⁾

1.3) Emogasanalizzatore

L'emogasanalizzatore utilizzato per questo studio è un apparecchio studiato e costruito per la medicina umana. Possiede un computer interno che gestisce la ricezione del campione, i processi analitici, la calibrazione, la diagnostica interna e l'elaborazione dei dati. È dotato di uno schermo touch screen nella parte superiore, utilizzato per inserire i dati identificativi del campione insieme a quelli relativi alle misure della temperatura e della FiO₂; vicino allo schermo è presente un alloggiamento per la siringa dalla quale viene prelevato il sangue da analizzare. Sono presenti sia nella parte superiore che in quella anteriore vari scompartimenti nei quali sono alloggiati i serbatori e le cartucce di liquidi e gas di calibrazione; nella parte superiore è anche presente una stampante a calore per la stampa del risultato dell'esame.

I sistemi di misurazione presenti sono due: un gruppo di elettrodi, utilizzati per le misurazioni di pH, pCO₂, pO₂, elettroliti ed alcuni metaboliti, ed un sistema ottico spettrofotometrico, per la misura dell'emoglobina e della bilirubina.

1.3.1) Elettrodi

Un elettrodo è un conduttore di prima specie utilizzato per stabilire un contatto elettrico all'interno di un circuito con una parte non metallica dello stesso. A volte

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viene usato impropriamente il termine elettrodo per indicare tutta la semicella, ovvero l'elettrodo e la sua membrana.

Nell'emogasanalizzatore usato per questo studio gli elettrodi sono senza fili, in modo da limitare il rumore che generano al momento del loro utilizzo, sono dotati di preamplificatori e seguono il seguente schema generale:

Fig.1: schema generale di un elettrodo (immagine tratta da Radiometer™ 2009) - Un contatto elettrico, che permette il passaggio della corrente elettrica, precedentemente amplificata;

- Un anello per la codifica con colore, necessario per una facile identificazione dei vari elettrodi presenti;

- La copertura dell'elettrodo, che contiene la membrana e la soluzione elettrolitica e protegge l'elettrodo stesso;

- La membrana, una pellicola che separa il campione dalla soluzione elettrolitica e permette la migrazione selettiva soltanto di alcuni elementi;

- La soluzione elettrolitica, necessaria per garantire il contatto elettrico tra il campione e l'elettrodo stesso⁽¹¹⁾

I tipi di misurazione possibili sono due: potenziometria ed amperometria. La prima registra il potenziale di una catena di elettrodi utilizzando un voltometro ed usa poi l'equazione di Nerst per correlarlo alla concentrazione del campione; la seconda invece è l'intensità della corrente elettrica che scorre all'interno di una

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catena di elettrodi, la quale è proporzionale alla concentrazione di sostanza campione ossidata o ridotta all'interno di uno degli elettrodi della catena.⁽¹¹⁾

Utilizzando il metodo di potenziometria si ha una catena composta dal campione, due membrane che lo separano dai due elettrodi compresi nella catena, un elettrodo, un elettrodo di riferimento, la soluzione elettrolitica ed un voltometro.

Fig. 2: schema di un circuito di un elettrodo potenziometrico (tratto da Radiometer™ 2009)

Ogni elemento all'interno di questa catena contribuisce con il suo voltaggio alla caduta di potenziale totale, quindi dobbiamo considerare che i due elettrodi, se immersi in soluzioni elettrolitiche appropriate, hanno dei potenziali separati, e che anche le membrane tra il campione e la soluzione elettrolitica hanno dei potenziali distinti.⁽¹¹⁾

Quindi il potenziale totale della catena è la somma di questi potenziali separati, ed è ciò che viene effettivamente registrato dal voltometro

Eₜₒₜ = Eₛₐ – Eₖ

Dove Eₜₒₜ è il potenziale totale della catena, Eₛₐ è il potenziale sconosciuto del campione e Eₖ è il potenziale conosciuto dell'elettrodo di riferimento, che rimane costante tra due calibrazioni successive. È dunque possibile calcolare il potenziale del campione, in quanto gli altri due componenti dell'equazione sono noti, ed in

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seguito viene applicata al potenziale del campione l'equazione di Nernst, in modo da poter determinare l'attività delle specie chimiche studiate

Eₛₐ = E₀ + [(2,3RT/nF)log aₓ]

Dove E₀ è il potenziale standard dell'elettrodo, R è la costante universale dei gas, T è la temperatura del bagnomaria dell'analizzatore espressa in gradi Kelvin, n è la carica ionica, F è la costante di Faraday ed aₓ è l'attività della specie in esame.⁽¹¹⁾ L'equazione di Nernst esprime così l'attività dell'elemento preso in esame, in quanto il potenziale del campione è stato ricavato precedentemente e tutti gli altri dati tranne l'attività stessa della specie sono noti. Questa metodologia non misura effettivamente la concentrazione della specie chimica considerata, bensì la sua attività, ma essendo quest'attività presente in un mezzo non ideale, questa diventa un'espressione della concentrazione effettiva, e le due grandezze sono correlate dalla seguente equazione

aₓ = γcₓ

Dove aₓ è l'attività della specie in esame, γ è il suo coefficiente di attività, uguale ad 1 nei sistemi ideali, e cₓ è la concentrazione della specie espressa in mmol/l.⁽¹¹⁾ Il metodo di misura della potenziometria è applicato agli elettrodi di pH, pCO₂ ed a quelli degli elettroliti.⁽¹¹⁾

L'altro metodo di misura è l'amperometria. In questo tipo di misurazione abbiamo una catena formata dal campione, dai due elettrodi, anodo e catodo, da un amperometro, una fonte di voltaggio, le membrane e la soluzione elettrolitica.

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Fig. 3: schema di un circuito in un elettrodo amperometrico (tratto da Radiometer™ 2009)

Il catodo è l'elettrodo negativo dove avviene la reazione di riduzione, l'anodo è l'elettrodo positivo dove avviene la reazione di ossidazione, la soluzione elettrolitica fornisce contatto elettrico tra il catodo e l'anodo, la membrana serve a far passare selettivamente alcune molecole dal campione all'interno della soluzione elettrolitica, il voltaggio applicato è necessario per l'avvenire delle reazione di ossidazione e di riduzione e l'amperometro misura l'intensità della corrente che passa attraverso il circuito.⁽¹¹⁾

Al fine di semplificare la spiegazione del funzionamento del metodo amperometrico verranno prese in esame due specie chimiche identificate come A ed X; la molecola A viene ridotta ad A⁻ al catodo, mentre la molecola X viene ossidata ad X⁺ al catodo. La membrana è selettiva e consente solo il passaggio della molecola A all'interno della soluzione elettrolitica. Andrà incontro ad una reazione di riduzione presso al catodo, secondo la seguente equazione

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La riduzione di A produrrà un flusso di elettroni, e quindi una corrente elettrica, all'interno del circuito. Per poter chiudere il circuito è però necessaria una fonte di elettroni, quindi una reazione di ossidazione della molecola X presso l'anodo, secondo la seguente equazione

X → X⁺ + e⁻

L'intensità della corrente prodotta è direttamente proporzionale alla quantità della specie ridotta, in questo caso della molecola A; verrà quindi calcolata la sua concentrazione. L'amperometria è utilizzata per le misurazione di pO₂, glucosio e lattato.⁽¹¹⁾

L'elettrodo di riferimento è utilizzato nelle misurazioni di pH e degli elettroliti, e serve a fornire una misura di pH stabile e costante tra una calibrazione e l'altra.

Fig. 4: schema di un elettrodo di riferimento (tratto da Radiometer™ 2009) La sua misurazione di pH non è alterata dal campione, e si mantiene costante poiché l'elettrodo è costituito da una barra di Ag rivestita da Ag, in modo da garantire il rapporto Ag/Ag⁺ dando così il valore di riferimento. Le equazioni chimiche che descrivono l'attività delle molecole all'interno dell'elettrodo di

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riferimento sono le seguenti

AgCl ↔ Ag⁺ + Cl⁻ Ag⁺ + e⁻ ↔ Ag

La soluzione elettrolitica è 4M formiato di sodio ed è mantenuta ad un valore di pH di 5,5 grazie all'aggiunta di acido idroclorico; funge da ponte salino tra il campione e la barretta di argento. La membrana consta di tre differenti strati: la membrana interna serve a limitare la diffusione di molecole ed a stabilizzare il sistema costituito dai tre strati; la membrana intermedia serve a prevenire eventuali interferenze date da proteine; la membrana esterna serve a ridurre gli scambi tra il campione e la soluzione di formiato di sodio.⁽¹¹⁾

L'elettrodo per il pH è un elettrodo di vetro ed utilizza il sistema di misura potenziometrico. Alla sua estremità è presente una membrana di vetro che sigilla all'interno dell'elettrodo la soluzione buffer, mantenendola ad un pH noto.⁽¹¹⁾

Fig.5: schema di un elettrodo per la misurazione del pH (tratto da Radiometer™ 2009)

È presente una bolla d'aria che permette l'espansione della soluzione buffer quando questa viene riscaldata a 37℃, durante il funzionamento dell'elettrodo. Esiste una differenza di potenziale sulla membrana di vetro, la quale è dovuta ad una variazione del bilanciamento delle cariche sulla membrana di vetro stessa. La membrana è sensibile agli ioni H⁺, e gli ioni metallici del vetro sono scambiati con protoni provenienti da entrambi i lati della membrana, cioè sia da quello del

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campione che da quello della soluzione buffer.⁽¹¹⁾

Se il quantitativo di ioni H⁺, e di conseguenza il pH, differisce tra un lato e l'altro della membrana di vetro, si genererà una differenza di potenziale; se il pH da entrambi i lati della membrana dovesse invece essere identico, la differenza di potenziale dovrebbe essere nulla.

La differenza di potenziale totale della catena di elettrodi è la somma totale di tutte le differenze di potenziale delle componenti della catena stessa ed è rappresentata dalla seguente equazione

Eₜₒₜ = Eₛₐ + (Eₖ + Eₘ + Eₑ)mV

Dove Eₜₒₜ è il potenziale totale della catena, Eₛₐ è il potenziale del campione, Eₖ è il potenziale dell'elettrodo di riferimento, Eₘ è il potenziale della membrana dell'elettrodo di riferimento e Eₑ è il potenziale della soluzione buffer all'interno dell'elettrodo del pH. Come possiamo notare tutte le quantità che compongono questa equazione sono note e definite tranne il potenziale del campione; possiamo quindi riscrivere la precedente equazione in funzione della sua incognita

Eₛₐ = Eₜₒₜ - (Eₖ + Eₘ + Eₑ)mV

Essendo la sensibilità dell'elettrtodo a 37℃ pari a -61,5 mV per punto di pH, possiamo, considerando il pH = - log[H⁺], trasformare la concentrazione degli ioni in attività ed applicare l'equazione di Nernst

Eₛₐ = E₀ – 61,5 pH

Il pH del campione viene quindi calcolato tramite la seguente equazione pH(sample) = {[E(pH sample)- E(pH Cal1)]/(-61,5 x Sens)} + pH Cal1 Dove E(pH sample) è il potenziale della catena dell'elettrodo misurato dal

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campione, E(pH Cal1) è il potenziale della catena dell'elettrodo dopo una calibrazione sulla soluzione 1, -61,5 è la sensibilità teorica dell'elettrodo a 37℃, Sens è la sensibilità relativa della catena dell'elettrodo e pH Cal1 è il pH della soluzione 1.⁽¹¹⁾

L'elettrodo per la misurazione della pCO₂ fonde elementi presenti nell'elettrodo di riferimento con quelli presenti nell'elettrodo per il pH.

Fig.6: schema di un elettrodo per la misurazione della pCO₂ (tratto da Radiometer™ 2009)

È presente una barra di Ag rivestita di Ag immersa in una soluzione buffer ricca di bicarbonati. Ad un polo dell'elettrodo è presente una membrana di silicone spessa 20μm montata su una rete di nylon spessa 50μm. La rete ha una duplice funzione: serve sia come rinforzo per la membrana di silicone sia per creare uno strato di elettroliti tra la membrana e la punta di vetro dell'elettrodo. La soluzione elettrolitica è inoltre addizionata con glicerolo, in modo da impedire la formazione di bolle d'aria contribuendo alla stabilità totale.⁽¹¹⁾

La membrana permette il passaggio soltanto di molecole neutre, come CO₂, O₂ od N₂, impedendo invece il transito a quelle polarizzate, come H⁺. Grazie a questo meccanismo la CO₂ presente nel campione migra attraverso la membrana e si diffonde nella soluzione elettrolitica fino a raggiungere l'equilibrio. Una volta raggiunto l'equilibrio inizierà la formazione di acido carbonico secondo la seguente equazione chimica

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H₂O + CO₂ ↔ H₂CO₃

In seguito l'acido carbonico inizierà a dissociarsi seguendo la seguente equazione chimica

H₂CO₃ ↔ H⁺ + HCO⁻₃

creando un gradiente di concentrazione di ioni H⁺ dal lato interno della membrana. A causa della impermeabilità della stessa ai suddetti ioni, i gradienti da un lato e dall'altro della membrana non potranno equilibrarsi e questo creerà una differenza di potenziale sulla membrana stessa, rilevata da un voltometro.⁽¹¹⁾ A questo punto si applica l'equazione di Nernst per calcolare il pH a partire dal potenziale, esattamente come avviene nell'elettrodo per il pH

Eₛₐ = E₀ – 61,5 pH

Il valore di pH viene poi correlato al valore di pressione parziale di anidride carbonica grazie alla seguente equazione

pH = pKₐ + log cHCO⁻₃/(pCO₂ x αco₂)

Dove pKₐ è la costante di dissociazione dell'acido carbonico in acqua e αco₂ è la costante di dissociazione dell'anidride carbonica in acqua. Tentendo di conto che [HCO⁻₃] è molto superiore a [H⁺], può essere considerata costante; inoltre anche αco₂ è da considerarsi costante a temperature costanti: date queste premesse, l'equazione sopra riportata può essere semplificata nel modo seguente

pH = K´ - log pCO₂

Dove K´ è una costante che incorpora sia la costante di dissociazione dell'acido carbonico in acqua, sia la costante di dissociazione dell'anidride carbonica in

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acqua sia la concentrazione dei bicarbonati.⁽¹¹⁾

Il calcolo finale del valore di pCO₂ è ottenuto mediante la seguente equazione

pCO₂(sample, upd.i) = pCO₂(gas)x10^ECO₂(sample, upd.i) – ECO₂(gas1)/SenspCO₂(prev)- SenspCO₂(theo)

Dove pCO₂(sample, upd.i) è il valore non corretto di pCO₂ calcolato da ECO₂(sample, upd.i) aggiornando il numero “i”, ECO₂(sample, upd.i) è il potenziale dell'elettrodo della pCO₂ derivato dall'aggiornamento del numero “i” con una misurazione del campione, ECO₂(gas1) è il potenziale dell'elettrodo della pCO₂ derivato da una misurazione sul gas1, pCO₂(gas) è la pressione parziale di anidride carbonica del gas1, SenspCO₂(theo) è la sensibilità teorica dell'elettrodo e SenspCO₂(prev) è la sensibilità relativa dell'elettrodo.⁽¹¹⁾

Gli elettrodi per la misura degli elettroliti sono quattro: quello per il potassio, quello per il sodio, quello per il calcio e quello per il cloro. Il loro funzionamento è pressoché analogo: sono infatti sempre presenti delle membrane contenenti dei carrier ionici per l'elettrolita oggetto della misurazione. Il materiale di costruzione della membrana varia a seconda del tipo di elettrodo: quello per potassio, calcio e cloro è costituito da una membrana di PVC rivestita di cellofan, mentre quello del calcio da ceramica. All'interno di ogni elettrodo è presente una soluzione elettrolitica contenente una quantità stabilita e conosciuta dell'analita, e quando il campione viene a contatto con la membrana dell'elettrodo la differenza dell'attività tra gli elettroliti contenuti nel campione e di quelli della soluzione all'interno dell'elettrodo crea sulla membrana stessa una differenza di potenziale.⁽¹¹⁾

Come per l'elettrodo del pH, sappiamo che il potenziale totale dell'elettrolita sotto esame si ottiene per sottrazione dal potenziale totale della catena dell'elettrodo, costituito dalla somma di tutti i potenziali all'interno della catena stessa, e dai potenziali conosciuti degli altri elementi presenti, secondo la seguente formula

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Possiamo anche applicare, esattamente come per l'elettrodo del pH, l'equazione di Nernst

Eₛₐ = E₀ + [(2,3RT/nF)log aₓ]

Dove E₀ è il potenziale standard dell'elettrodo, R è la costante universale dei gas, T è la temperatura del bagnomaria dell'analizzatore espressa in gradi Kelvin, n è la carica ionica, F è la costante di Faraday ed aₓ è l'attività della specie in esame.⁽¹¹⁾ La misurazione degli elettroliti nel campione avviene seguendo la seguente equazione

cX(sample) = cX(cal1)x10^EX(sample) – EX(cal. prev)/SensX(prev) – SensX(theo)

Dove EX(sample) è il potenziale del campione misurato dalla catena dell'elettrodo, EX(cal. Prev) è il potenziale misurato dalla catena dell'elettrodo nella precedente calibrazione sulla soluzione 1, EX(cal. Prev) è l'effettiva concentrazione degli ioni nella soluzione di calibrazione 1, SensX(theo) è la sensibilità teorica dell'elettrodo e SensX(prev) è la sensibilità dell'elettrodo durante l'ultima calibrazione a due punti.⁽¹¹⁾

Gli elettrodi per i metaboliti eseguono le misurazioni usando il metodo amperometrico. Sia l'elettrodo per il glucosio che quello per i lattati hanno la medesima struttura: sono presenti un catodo in argento ed un anodo in platino. L'elettrodo è protetto da una camicia contenente una soluzione elettrolitica ed ha ad un'estremità una membrana multistrato. Gli strati costituenti la membrana sono tre: uno esterno permeabile al glucosio, uno intermedio costituito da enzimi ed uno interno permeabile all'H₂O₂.

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Fig. 7: schema di un elettrodo per il glucosio (tratto da Radiometer™ 2009) È applicato all'intera catena un voltaggio di polarizzazione di 675 mV e l'intensità di corrente è misurata da un amperometro.⁽¹¹⁾

Il glucosio ed il lattato migrano attraverso la membrana esterna e sostano nello spazio intermedio alle membrane dell'elettrodo, dove è presente la soluzione elettrolitica. Qui avvengono delle reazioni mediate dagli elettroliti presenti, in particolare le seguenti due

glucosio + O₂ → acido glucoico + H₂O₂ lattato + O₂ → piruvato + H₂O₂

L'ossigeno necessario a queste reazioni è fornito sia dalla membrana esterna sia da quella interna, tramite l'ossidazione dell'H₂O₂ all'anodo di platino; l' H₂O₂ prodotto migra a sua volta attraverso la membrana interna e viene ossidato presso il medesimo anodo. Per completare il circuito avviene presso il catodo di argento una reazione di riduzione che porta l'Ag⁺ ad Ag neutro.

Quando è applicato alla catena dell'elettrodo un potenziale, l'ossidazione dell' H₂O₂ produce una corrente, che viene misurata dall'amperometro e che è direttamente proporzionale alla quantità di H₂O₂, la quale è proporzionale a quella di glucosio in un caso e lattato nell'altro.⁽¹¹⁾

La concentrazione totale di glucosio o di lattato all'interno del campione è misurata grazie alla seguente equazione

(38)

cX(sample) = [I(sample) – I₀(final)]/Sens

Dove I(sample) è l'intensità di corrente misurata dall'elettrodo sul campione, I₀(final) è la corrente zero estrapolata dall'ultimo aggiornamento del campione e Sens è la sensibilità relativa dell'elettrodo.⁽¹¹⁾

1.3.2) Sistema ottico spettrofotometrico

Il sistema ottico si basa su uno spettrofotometro a lunghezza d'onda 128 con un range di misurazione da 478 a 672 nanometri. È connesso tramite una fibra ottica ad un emolizzatore e ad una camera di misurazione ed è utilizzato per ottenere i seguenti parametri: ctHb, sO₂, FO₂Hb, FCOHb, FFHb, FMetHb, FhbF e ctBil.⁽¹¹⁾

Fig. 8:schema di un circuito spettrofotometrico (immagine tratta da Radiometer™ 2009)

Il metodo utilizzato per le misurazioni è una spettroscopia per assorbimento nello spettro del visibile. Come primo step il campione è trasportato all'interno della cuvette, situata all'interno dell'emolizzatore, e portato a temperatura di 37℃.

(39)

Viene raggiunta la pressione di 1 atm nella cuvette, in modo da eliminare eventuali bolle d'aria e di favorire il processo di emolisi, e poi 1μl del campione viene emolizzato applicando ultrasuoni alla frequenza di 30kHz. Con questa metodica vengono rotte le pareti dei globuli rossi; il liquido intracellulare dopo l'emolisi si riversa nel plasma e contribuisce a diluire la bilirubina presente nel campione, ma verranno in seguito applicati dei metodi di correzione per tenere di conto di questa diluizione. A seguito dell'emolisi viene diretta dentro la cuvette la luce di una lampada alogena della potenza di 4W tramite un filtro infrarosso ed una lente biconvessa. Questa luce ha un'intensità costante e viene convogliata allo spettrofotometro tramite una fibra ottica. La luce passa attraverso una piccola apertura e viene indirizzata verso uno specchio ed una grata concava: la grata divide il fascio luminoso in 128 lunghezze d'onda e lo specchio le indirizza verso un conglomerato di fotodiodi; i diodi sono 128, esattamente uno per ogni lunghezza d'onda, e convertono i segnali monocromatici in arrivo in corrente. La corrente generata viene misurata in ciascuno dei diodi, formando la base dello spettro di assorbimento del campione, il quale viene poi inviato al computer dell'emogasanalizzatore per le analisi dei valori ossimetrici.⁽¹¹⁾

La spettroscopia ad assorbimento si basa sulla legge di Lambert-Beer, la quale afferma che l'assorbanza misurata su di un singolo composto è direttamente proporzionale alla sua stessa concentrazione ed alla lunghezza del tragitto della luce attraverso il composto

Aλy = ελy x cy x l

Dove Aλy è l'assorbanza del composto y alla lunghezza d'onda λ, ελy è il coefficiente di estinzione del composto y alla lunghezza d'onda λ, cy è la concentrazione del composto y nel campione ed l è la lunghezzza del tragitto della luce.⁽¹¹⁾

L'assorbanza è definita come il logaritmo del rapporto tra l'intensità della luce prima e dopo aver attraversato un composto; in pratica è il logaritmo del rapporto tra l'intensità della luce che attraversa l'acqua e l'intensità della luce che attraversa

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il composto preso in esame

A = log I₀/I

Dove I₀ è l'intensità della luce attraverso l'acqua e I è l'intensità della luce che attraversa il composto. Essendo l'assorbanza una quantità additiva, per un campione contenente più di un composto otticamente attivo l'assorbanza totale sarà determinata dalla sommatoria delle singole assorbanze di ogni componente; quindi l'assorbanza totale di un campione con Y composti otticamente attivi misurati a n lunghezze d'onda sarà descritta dalla seguente formula

Per stabilire però il contributo di ogni singola specie all'assorbanza totale, che è fondamentale per stabilire la concentrazione della singola specie in esame, è necessario applicare un'altra formula, di derivazione dalla precedente

I parametri dell'ossigenazione sono quindi calcolati, grazie ai risultati delle formule precedenti, nei seguenti modi

ctHb(meas) = cO₂Hb + cCOHb + cHHb + cMetHb sO2 = cO₂Hb/ceHb

(41)

ctBil(P) = ctBil(B)/1-Hct(calc)

Dove ctBil(P) è la concentrazione totale della bilirubina nel plasma, ctBil(B) è la concentrazione dopo la diluizione del campione a seguito del processo di emolisi e Hct(calc) è la frazione di ematocrito calcolata. La formula usata per il calcolo dell'ematocrito a partire dalla concentrazione totale di emoglobina è la seguente

Hct(calc) = (0,0301/g/dL) x ctHb

È inoltre importante sottolineare che la concentrazione totale di bilirubina non viene calcolata se il valore di concentrazione totale di emoglobina eccede 15.5 mmol/l.⁽¹¹⁾

1.3.3) Curva di dissociazione dell'ossigeno

La curva di dissociazione dell'ossigeno, o curva di dissociazione dell'ossiemoglobina, è una curva sigmoide che rappresenta la percentuale di emoglobina ossigenata in rapporto alla quantità totale di emoglobina disponibile a formare legami con molecole di ossigeno.⁽⁶⁾⁽¹²⁾

Riferimenti

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