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NUOVI INIBITORI ENZIMATICI PER IL TRATTAMENTO DEL MORBO DI ALZHEIMER

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Specialistica in Farmacia

NUOVI INIBITORI ENZIMATICI PER IL TRATTAMENTO

DEL MORBO DI ALZHEIMER

Candidata:

Francesca Piccoli Bechini

Relatori:

Prof.ssa Sabrina Taliani

Dott.ssa Silvia Salerno

(2)

1

I n d i c e

1) Introduzione

03

2) PDE

16

2.1) Inibitori della PDE studiati per il trattamento dell'Alzheimer

22

2.1.1) Inibitori della PDE1

22

2.1.2) Inibitori della PDE2

26

2.1.3) Inibitori della PDE3

31

2.1.4) Inibitori della PDE4

35

2.1.5) Inibitori della PDE5

42

2.1.6) Inibitori della PDE7

47

2.1.7) Inibitori della PDE9

49

2.1.8) Inibitori della PDE10

54

2.2) Altre subfamiglie PDE e loro applicazioni

56

2.3) Prospettive

57

3) Inibitori BACE-1: da molecole single target a composti

multi target per la Malattia di Alzheim

59

(3)

2

3.1.1) Aminoidantoine; Aminossazoline; Aminotiazoline e

Iminopirimidoni 65

3.1.2) Aminotiazine

73

3.1.3) Imminotiazinoni diossido

79

3.1.4) Iminoidantoine

81

3.1.5) Amminossazine

82

3.1.6) Amminochinoline

83

3.1.7) Acil guanidine macrocicliche

84

3.1.8) Varie

85

3.2) Approcci SB per la ricerca di inibitori BACE-1

85

3.3) Composti multitarget di BACE-1

91

3.3.1) Inibitori duali BACE-1/Acetilcolinesterasi (AchE)

93

3.3.2)inibitori duali BACE-1/GSK-3β

100

3.4) Conclusioni e Prospettive

104

(4)

3

1. INTRODUZIONE

La malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo di Alzheimer (AD), [1] o semplicemente Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile (oltre i 65 anni, ma può manifestarsi anche in epoca precedente). [2]

“Si stima che 5,3 milioni di americani abbiano il morbo di Alzheimer; 5,1 milioni hanno un'età ≥65 anni e circa 200.000 hanno un'età <65 anni e hanno AD più giovane. Entro la metà del secolo, il numero di persone che vivono con AD negli Stati Uniti è destinato a crescere di quasi 10 milioni, alimentato in gran parte dall'invecchiamento della generazione del baby boom. Oggi, in America ogni 67 secondi qualcuno sviluppa il morbo di Alzheimer. Entro il 2050, si prevede che un nuovo caso di AD si sviluppi ogni 33 secondi, causando circa 1 milione di nuovi casi all'anno e che la prevalenza stimata sia compresa tra 11 e 16 milioni. Nel 2013, i certificati di morte ufficiali hanno registrato 84.767 decessi da AD, rendendo AD la sesta principale causa di morte negli Stati Uniti e la quinta principale causa di morte negli americani di età ≥65 anni. Tra il 2000 e il 2013, i decessi dovuti a malattie cardiache, ictus e cancro alla prostata sono diminuiti rispettivamente del 14%, 23% e 11%, mentre i decessi per AD sono aumentati del 71%. Il numero effettivo di decessi a cui contribuisce l'AD (o i decessi con AD) è probabilmente molto maggiore del numero di decessi registrati da AD sui certificati di morte. Nel 2015, circa 700.000 americani di età ≥65 anni moriranno con l'AD, e molti di loro moriranno per le complicazioni causate dall'AD”.

Le fasi iniziali della malattia di Alzheimer sono difficili da diagnosticare. Una diagnosi definitiva è posta solitamente una volta che si verifica una significativa compromissione

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4

cognitiva e una percepibile riduzione di capacità di svolgere le attività della vita quotidiana, anche se la persona è ancora in grado di gestirsi autonomamente. Il deterioramento della memoria e il peggioramento dei disturbi cognitivi e non cognitivi, associati alla malattia, riducono progressivamente l'autonomia nella vita quotidiana. [3]

L' aspettativa di vita della popolazione con la malattia si riduce, [4-5-6] con un tempo di vita media di circa sette anni dopo la diagnosi. [4] Meno del 3% della popolazione vive più di quattordici anni. [7] Malattie caratteristiche significativamente associate alla ridotta sopravvivenza sono un aumento dellagravità del deficit cognitivo, diminuzione del livello funzionale, diverse cadute e disturbi neurologici. Altre patologie concomitanti, come problemi cardiaci, diabete o storia di abuso di alcool sono correlate con una sopravvivenza più breve. [5-8-9] L'aspettativa di vita è particolarmente ridotta rispetto alla popolazione sana quando la malattia di Alzheimer colpisce coloro che sono più giovani. [6] Gli uomini hanno una prognosi di sopravvivenza meno favorevole rispetto alle donne. [7-10]

La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la limitata e, comunque, non risolutiva efficacia delle terapie disponibili e le enormi risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive, organizzative ed economiche), che ricadono in gran parte sui familiari dei malati, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo. La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer. [11]

Nel 1901 il dottor Alois Alzheimer, interrogò una sua paziente di 51 anni, la signora Auguste Deter (Figura 1). Le mostrò parecchi oggetti e successivamente le domandò che cosa le era stato indicato. Lei non poteva però ricordare. Inizialmente registrò il suo comportamento come "disordine da amnesia di scrittura", ma la signora Auguste D. fu la prima paziente a cui venne diagnosticata quella che in seguito sarebbe stata conosciuta come malattia di Alzheimer.

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5

Figura 1. La signora Auguste Deter (1850-1906), paziente del dottor Alois Alzheimer, il

primo caso documentato della malattia.

Negli anni successivi vennero riportati in letteratura altri undici casi simili; nel 1910 la patologia venne inserita per la prima volta dal grande psichiatra tedesco Emil Kraepelinnel sul classico Manuale di Psichiatria, venendo da lui definita come "Malattia di Alzheimer", o "Demenza Presenile". Il termine, inizialmente utilizzato solo per le rare forme "early-onset" (ovvero, con esordio clinico prima dei 65 anni), dopo il 1977 è stato ufficialmente esteso a tutte le forme di Alzheimer [11-12-13]

La malattia di Alzheimer è definibile come un processo degenerativo che pregiudica progressivamente le cellule cerebrali, rendendo a poco a poco l'individuo che ne è affetto incapace di una vita normale e provocandone alla fine la morte. In Italia ne soffrono circa 492000 persone [14] e 26,6 milioni nel mondo secondo uno studio [15] della Johns

Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, Stati Uniti, con una netta

prevalenza di donne (presumibilmente per via della maggior vita media delle donne rispetto agli uomini [16] ).

Definita anche "demenza di Alzheimer", viene appunto catalogata tra le demenze, essendo un deterioramento cognitivo cronico progressivo. Tra tutte le demenze quella di Alzheimer

(7)

6

è la più comune, rappresentando, a seconda della casistica, l'80-85% di tutti i casi di demenza.

A livello epidemiologico, tranne che in rare forme genetiche familiari "early-onset", il fattore maggiormente correlato all'incidenza della patologia è l'età. Molto rara sotto i 65 anni, la sua incidenza aumenta progressivamente con l'aumentare dell'età, per raggiungere una diffusione significativa nella popolazione oltre gli 85 anni.

Da rilevazioni europee, nella popolazione generale l'incidenza (cioè il numero di nuovi casi all'anno) è di 2,5 casi ogni 1000 persone per la fascia di età tra i 65 e i 69 anni; sale a 9 casi su 1000 persone tra i 75 e i 79 anni, e a 40,2 casi su 1000 persone tra gli 85 e gli 89 anni (Tabella 1). [17]

Età Nuovi casi per migliaia di

persone all'anno 65-69 3 70-74 6 75-79 9 80-84 23 85-89 40 90 69

Tabella 1. Incidenza nelle persone sopra i 65 anni

Il decorso della malattia può essere diverso, nei tempi e nelle modalità sintomatologiche, per ogni singolo paziente; esistono comunque una serie di sintomi comuni, che si trovano

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7

frequentemente associati nelle varie fasi con cui, clinicamente, si suddivide per convenzione il decorso della malattia. A una prima fase lieve, fa seguito la fase intermedia, e quindi la fase avanzata/severa; il tempo di permanenza in ciascuna di queste fasi è variabile da soggetto a soggetto, e può in certi casi durare anche diversi anni (Figura 2).

Figura 2. L'atrofia del cervello umano nei vari stadi della malattia di Alzheimer

La malattia viene spesso anticipata dal cosiddetto mild cognitive impairment (MCI), un leggero calo di prestazioni in diverse funzioni cognitive in particolare legate alla memoria, all'orientamento o alle capacità verbali. Tale calo cognitivo, che è comunque frequente nella popolazione anziana, non è necessariamente indicativo di demenza incipiente, ma può in alcuni casi essere seguito dall'avvio delle fasi iniziali dell'Alzheimer.

(9)

8

progressiva e altri deficit cognitivi. Il deficit di memoria è prima circoscritto a sporadici episodi nella vita quotidiana, ovvero disturbi di quella che viene chiamata on-going

memory (ricordarsi cosa si è mangiato a pranzo, cosa si è fatto durante il giorno) e della

memoria prospettica (che riguarda l'organizzazione del futuro prossimo, come ricordarsi di andare a un appuntamento); poi man mano il deficit aumenta e la perdita della memoria arriva a colpire anche la memoria episodica retrograda (riguardante fatti della propria vita o eventi pubblici del passato) e la memoria semantica (le conoscenze acquisite), mentre la memoria procedurale (che riguarda l'esecuzione automatica di azioni) viene relativamente risparmiata fino alle fasi intermedio-avanzate della malattia.

A partire dalle fasi lievi e intermedie possono poi manifestarsi crescenti difficoltà di produzione del linguaggio, con incapacità nella definizione di nomi di persone od oggetti, e frustranti tentativi di "trovare le parole", seguiti poi nelle fasi più avanzate da disorganizzazione nella produzione di frasi e uso sovente scorretto del linguaggio (confusione sui significati delle parole, ecc.). Sempre nelle fasi lievi-intermedie, la pianificazione e gestione di compiti complessi (gestione di documenti, attività lavorative di concetto, gestione del denaro, guida dell'automobile, cucinare, ecc.) cominciano a diventare progressivamente più impegnative e difficili, fino a richiedere assistenza continuativa o divenire impossibili.

Nelle fasi intermedie e avanzate, inoltre, possono manifestarsi problematiche comportamentali (vagabondaggio, coazione a ripetere movimenti o azioni, reazioni comportamentali incoerenti) o psichiatriche (confusione, ansia, depressione, e occasionalmente, deliri e allucinazione). Il disorientamento nello spazio, nel tempo o nella persona (ovvero la mancata o confusa consapevolezza di dove si è situati nel tempo, nei luoghi e/o nelle identità personali, proprie o di altri, comprese le difficoltà di riconoscimento degli altri significativi) è sintomo frequente a partire dalle fasi

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intermedie-9

avanzate. In tali fasi si aggiungono difficoltà progressive anche nella cura della persona (lavarsi, vestirsi, assumere farmaci, ecc.).

Ai deficit cognitivi e comportamentali, nelle fasi più avanzate si aggiungono infine complicanze mediche internistiche, che portano a una compromissione progressiva della salute. Una persona colpita dalla malattia può vivere anche una decina di anni dopo la diagnosi clinica di malattia conclamata.

Come sottolineato, col progredire della malattia le persone non solo presentano deficit di memoria, ma risultano deficitarie nelle funzioni strumentali mediate dalla corteccia associativa e possono pertanto presentare afasia e aprassia, fino a presentare disturbi neurologici e poi internistici; pertanto i pazienti, nelle fasi intermedie e avanzate, necessitano di continua assistenza personale (solitamente erogata da familiari e badanti, i cosiddetti caregiver, che sono a loro volta sottoposti ai forti stress tipici di chi assiste i malati di Alzheimer).

Come abbiamo visto la degenerazione del cervello nei malati di Alzheimer è graduale, colpisce tutte le parti del cervello ma in maniera progressiva e questo produce quei comportamenti diversi che acquisiscono di solito le persone; utile quindi distinguere, ai fini descrittivi, tra lobi frontali, parietali, temporali e occipitali (Figura 3).

(11)

10 Figura 3. Parti del cervello colpite da Alzheimer

I lobi parietali sono spesso danneggiati nella malattia di Alzheimer. Il linguaggio è localizzato nella corteccia parietale e nella parte superiore dell’adiacente lobo temporale. Lesioni a carico di uno dei lobi parietali causano tipicamente difficoltà visuo-spaziali e topografiche. Quando è compromesso il lobo parietale dominante, compaiono deficit complessi del linguaggio tra cui dislessia e disgrafia. Anche il coordinamento motorio è disturbato. Lesioni a carico del lobo parietale non dominante disturbano la consapevolezza dello schema corporeo e della sua relazione con lo spazio esterno, questo può provocare disprassia nel vestirsi e spogliarsi e il mancato riconoscimento di visi familiari (compreso il proprio)

I sintomi che conseguono al danneggiamento dei lobi temporali riflettono le funzioni di quella zona: elaborazione dell’informazione uditiva e vestibolare, memoria (dell’ippocampo), funzioni motorie che riguardano la mimica, il mangiare e le risposte emotive al dolore e al piacere. (Figura 4).

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11

Figura 4. Confronto fra corteccia cerebrale e ippocampo (area dell'acquisizione di

memoria) normali e in soggetti con Alzheimer

La perdita di neuroni nel lobo temporale dominante può causare disturbi del linguaggio con problemi nella comprensione, incapacità di leggere e scrivere e difficoltà nella costruzione di oggetti comuni. Quando sono interessati entrambi i lobi temporali c’è una perdita di memoria devastante. Inoltre le lesioni temporali causano turbe persistenti nel temperamento e nel controllo degli impulsi aggressivi. Tutti i sintomi di lesioni dei lobi occipitali riguardano le funzioni visive, quindi incapacità di leggere, mantenendo magari la capacità di scrivere, mentre lesioni ai lobi frontali producono i segni più distintivi di cerebropatia focale. La perdita della loro funzione produce disinibizione e perdita del controllo sociale e morale, è disturbata anche la capacità di mantenere l’attenzione e portare a termine sequenze di attività finalizzate.

(13)

12

peso e nel volume del cervello, dovuta ad atrofia corticale, visibile anche in un allargamento dei solchi e corrispondente appiattimento dellecirconvoluzioni (Figura 5).

Figura 5. Cervello sano e con alzheimer in stadio avanzato

A livello microscopico e cellulare, sono riscontrabili depauperamento neuronale, placche senili, (dette anche placche amiloidi) ammassi neurofibrillari, angiopatia congofila (amiloidea) (Figura 6).

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Figura 6. Immagine istopatologica di placche senili nella corteccia cerebrale di una persona affetta da Malattia di Alzheimer.

Dall'analisi post-mortem di tessuti cerebrali di pazienti affetti da Alzheimer (solo in tale momento si può confermare la diagnosi clinica da un punto di vista anatomo-patologico), si è potuto riscontrare un accumulo extracellulare di una proteina, chiamata Beta-amiloide

Il meccanismo patogenico dell'AD è altamente complicato e non ancora pienamente compreso ma sono state proposte diverse ipotesi sulla fisiopatologia dell'Alzheimer, (fra cui bassi livelli di acetilcolina, deposizione di placche beta amiloide, aggregazione della proteina tau, stress ossidativo e accumulo di biometalli) per facilitare lo sviluppo di nuovi farmaci.

La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello (neurotrasmettitore fondamentale per la comunicazione tra neuroni, e dunque per la

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14

memoria e ogni altra facoltà intellettiva). (Figura 7) La conseguenza di queste modificazioni cerebrali è l'impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi e quindi la morte dello stesso (perdita di memoria, progressiva incapacità di imparare nuovi concetti, diminuzione delle capacità percettive, incertezze nei ragionamenti che richiedono giudizio logico), con conseguente atrofia progressiva del cervello nel suo complesso .

Figura 7. Vescicole di Acetilcolina

Recentemente, l'ipotesi patologica di Aβ ha suscitato grande interesse, in quanto le placche Aβ e i grovigli neurofibrillari (“I grovigli neurofibrillari sono stati paragonati a fantasmi o a pietre tombali dei neuroni morti”) sono le principali caratteristiche presenti nel cervello dei pazienti con AD (Figura 8).

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Figura 8. Frammenti amiloidi e ammassi neurofibrillari

Tuttavia, diversi composti promettenti, attivi sulle placche Aβ, come Bapineuzumab e Solanuzumab, non hanno superato la sperimentazione clinica di fase III. Sebbene la causa del fallimento di questi farmaci non sia del tutto chiara, un possibile motivo potrebbe essere che il trattamento della demenza sintomatica, come ad esempio delle placche di β-amiloide (Aβ), sia in uno stadio troppo avanzato per poter contrastare la progressione dell'AD. Inoltre, circa il 20-25% dei pazienti è stato osservato con l'ausilio della tomografia a emissione di positroni, mostrando l’assenza di placche Aβ. [18]

Quindi, la scoperta di agenti anti-AD, incluse terapie non-Aβ-dirette, ha ancora un lunga strada da percorrere.

Attualmente, i farmaci anti-AD clinicamente disponibili sono: tre inibitori dell'acetilcolina (donepezil, rivastigmina e galantamina) e un antagonista del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA) (memantina). [12] Tuttavia questi farmaci migliorano solo la cognizione e il grado di demenza nei pazienti con AD, senza contrastarne la progressione. Pertanto, la necessità di sviluppare nuovi farmaci anti-AD è estremamente importante.

In questa tesi verranno riassunti i progressi effettuati nell’uso degli inibitori delle PDE e BACE per il miglioramento del deficit di memoria nell’ambito dell’AD, in studi preclinici o clinici.

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16

2. PDE

Le fosfodiesterasi (PDE) sono una famiglia di super enzimi responsabili dell'idrolisi di due secondi messaggeri: adenosina monofosfato ciclico (cAMP) e guanosina monofosfato ciclico (cGMP). Poiché numerose sottofamiglie PDE sono altamente espresse nel cervello umano, la loro inibizione risulta coinvolta nei processi neurodegenerativi tramite la regolazione della concentrazione di cAMP e/o cGMP (Figura 9)

Figura 9. Coinvolgimento delle PDE nei processi cognitivi

Attualmente, le PDE sono considerate un target promettente per il trattamento dell’AD, poiché molti inibitori delle PDE sono risultati in grado di provocare, un notevole miglioramento da un punto di vista cognitivo, in diversi studi preclinici; inoltre 15 di essi sono stati sottoposti a studi clinici. Interessante quindi riassumere i progressi e i risultati incoraggianti mostrati dagli inibitori delle PDE quali agenti anti-AD, in studi preclinici e clinici ed esaminate le affinità di legame, la farmacocinetica, i meccanismi e le limitazioni di questi inibitori delle PDE nel trattamento dell'AD.

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secondi messaggeri: adenosina monofosfato ciclico (cAMP) e guanosina monofosfato ciclico (cGMP). [13]

La superfamiglia PDE è codificata da 21 geni identificati e può essere divisa in 11 sottotipi (PDE1-11). Tra questi sottotipi, le PDE 4, 7 e 8 idrolizzano cAMP, mentre le PDE 5, 6 e 9 cGMP.

Le restanti famiglie PDE sono in grado di degradare sia cGMP che cAMP. Poiché cAMP e cGMP sono essenziali nella segnalazione e nella funzione cellulare, gli inibitori della PDE sono utilizzati per regolare molti processi biologici tramite l’aumento dei livelli cellulari di cAMP e cGMP. Finora, diversi inibitori PDE sono stati approvati per il trattamento della disfunzione erettile, ipertensione polmonare, malattia polmonare ostruttiva cronica e insufficienza cardiaca (Tabella 2). [14] L'esempio più riuscito di questa classe di farmaci è il Sildenafil, un inibitore della PDE5 usato per il trattamento della disfunzione erettile maschile (Viagra) e dell'ipertensione polmonare (Revatio).

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Le PDE sono altamente espresse nel cervello umano e i loro inibitori regolano i processi neurodegenerativi aumentando le concentrazioni di cAMP e cGMP nel tessuto cerebrale (Figura 10).

Figura 10. Relazione tra l'inibizione della PDE e la via di segnalazione cAMP o cGMP

nel cervello: PDE, fosfodiesterasi; AC, adenilato ciclasi; GC, guanilato ciclasi; ATP, trifosfato di adenosina; GTP, guanosina trifosfato; PKA, proteina chinasi A; PKG, proteina chinasi G; P, fosforilato; CREB, proteina di legame dell'elemento di risposta all’cAMP.

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cAMP, sintetizzato a partire dall’ATP dall’adenilato ciclasi (AC), attiva la proteina chinasi A (PKA) e fosforila la proteina legante l'elemento di risposta all’cAMP (CREB), considerato un interruttore molecolare necessario per l'apprendimento e la memoria. Diversi studi preclinici e clinici hanno dimostrato che l’alterazione della fosforilazione di CREB gioca un ruolo importante nei disturbi neurodegenerativi, in particolare nell’AD.[15] La riduzione dei livelli di cAMP può causare una diminuzione della concentrazione di CREB, influenzando la trascrizione dei geni correlati alla plasticità sinaptica e alla loro sopravvivenza, come il fattore neurotrofico cerebrale (BDNF), portando alla perdita di plasticità sinaptica e alla diminuzione della memoria nell' AD. [16]

Allo stesso modo, cGMP, che è sintetizzato a partire dal guanosintrifosfato (GTP) dalla guanilato ciclasi (GC), può essere attivato dall'ossido nitrico (NO) attraverso il pathway NO/cGMP, che attiva la proteina chinasi G (PKG) e la conseguente fosforilazione di CREB, aumentando così i livelli della proteina antiapoptotica Bcl-2. [17-19]

Dal primo studio preclinico su Rolipram (inibitore della PDE4) che ha indicato che l'inibizione delle PDE potrebbe avere effetti promettenti sul miglioramento del deficit di memoria nell'AD,[19] diversi inibitori delle PDE hanno mostrato notevoli effetti in modelli animali correlati all'AD, tra cui il labirinto acquatico di Morris (strumento usato negli esperimenti psicologici per studiare la memoria spaziale utilizzando topi o ratti), evitamento passivo (l'animale impara a non rispondere allo stimolo per evitare la punizione) e test di riconoscimento dell'oggetto (Tabella 3).

In considerazione dei risultati incoraggianti ottenuti negli studi preclinici, diversi inibitori della PDE sono stati sottoposti a studi clinici per il trattamento dei disturbi cognitivi nei pazienti con AD (Tabella 4). La maggior parte di questi inibitori ha mostrato notevoli profili di sicurezza e tollerabilità negli studi di fase I. Inoltre, oltre 10 inibitori delle PDE sono stati sottoposti a studi clinici di fase II/III/IV.

(21)

20

(22)

21

(23)

22

2.1.

INIBITORI DELLE PDE STUDIATI PER IL

TRATTAMENTO DELL'AD

2.1.1 Inibitori delle PDE1 PDE1 è una famiglia di PDE Ca2+

/calmodulina dipendente con tre isoforme (PDE1A, -1B e -1C) che idrolizzano sia cGMP che cAMP. PDE1B e PDE1C sono le due principali isoforme presenti negli esseri umani, mentre PDE1A ha un'espressione relativamente bassa. Ogni isoforma è anche espressa in modo tessuto-specifico. Nel nucleo caudato e nel nucleo accumbens, ad esempio, la PDE1B è l'isoforma più abbondante tra tutte le specie PDE con livelli 10 e 100 volte maggiori di quelli di PDE1C e PDE1A, rispettivamente. Nella corteccia e nell'ippocampo, i livelli di PDE1B e PDE1C sono all’incirca gli stessi. A livello periferico, PDE1C è l'isoforma principale di PDE1, ed è espressa principalmente nel cuore, nella vescica e nei polmoni (Figura S1). [20]

La sua distribuzione specifica nel cervello e la sua regolazione dai livelli di calcio intracellulare e calmodulina rendono PDE1 un target interessante per il miglioramento dei disturbi cognitivi nelle malattie neurodegenerative come AD, schizofrenia e morbo di Parkinson. [21]

(24)

23

Figura S1. Espressione dell'mRNA per PDE1 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

Vinpocetina (1), un derivato della vincamina (alcaloide estratto dalla Vinca Minor), presenta una debole inibizione di PDE1 (IC

50 = 30 μM) ed è stata ampiamente utilizzata per

il trattamento delle disfunzioni cognitive (Figura 10). Nei modelli di ratto trattato con streptozotocina (STZ), i quali simulano le caratteristiche cliniche e patologiche dell'AD [3]

(Tabella 3) , il trattamento cronico con vincopectina migliora in modo significativo le abilità di apprendimento e di memoria nel labirinto acquatico di Morris e nei test di evitamento passivo. Inoltre, i livelli di malondialdeide (MDA) (indicatore dell'avvenuta perossidazione lipidica; nel cervello di pazienti deceduti, affetti da AD, si riscontrano concentrazioni di MDA molto più alte rispetto a quelle di altri pazienti deceduti per cause

(25)

24

differenti) e nitrito risultano diminuiti, mentre quelli di glutatione (GSH) aumentati. Anche la concentrazione dell’acetilcolinesterasi e della lattato deidrogenasi risultano regolate da vinpocetina. Questi risultati suggeriscono che il suo effetto sulla memoria potrebbe essere correlato allo stress ossidativo e ai meccanismi della funzione colinergica.

Studi di farmacocinetica su pazienti con disturbi cerebrovascolari hanno dimostrato che vinpocetina è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e raggiungere il sistema nervoso centrale. [22] Nel 1991 è stato condotto uno studio clinico su pazienti con disturbi psico-organici di entità da lieve a moderata, inclusa la demenza primaria, per valutare l'efficacia e la tolleranza di vinpocetina somministrata per via orale. I risultati hanno dimostrato che vinpocetina risulta efficace nel migliorare le prestazioni cognitive di questi pazienti.

ITI-214 (2), un inibitore della PDE1 riportato da Intra-Cellular Therapies nel 2012, presenta un IC

50 di 0.058 nM verso PDE1 e un'eccellente selettività (> 1000 volte) rispetto

alle altre PDE (Figura 10).[23]

(26)

25

Le buone proprietà farmacocinetiche di ITI-214 lo hanno reso adatto per un suo sviluppo quale farmaco per il SNC. In un nuovo test di riconoscimento degli oggetti nei ratti, ITI-214 è risultato in grado, con una singola dose orale di 0,1-10 mg/kg, di migliorare significativamente la memoria durante l'acquisizione e il consolidamento senza modificare il comportamento esplorativo o l'attività locomotoria basale. [24]

Attualmente, ITI-214 ha già completato quattro studi di fase I (Tabella 4), tra cui uno studio a dose singola crescente in volontari sani normali e uno studio a dose multipla crescente (con aumento una volta al giorno). Sono state inoltre valutate la sua sicurezza e tollerabilità in volontari sani e in pazienti con schizofrenia. Sebbene questo studio sia stato interrotto a causa di una decisione aziendale, i risultati ottenuti hanno dimostrato che ITI-214 potrebbe rappresentare un ottimo candidato per il trattamento di disfunzione cognitive come osservato nell’AD, schizofrenia e morbo di Parkinson.

Più recentemente, è stato sviluppato DNS-0056, un inibitore della PDE1 a struttura tienotriazolopirimidinonica, (3), con buone proprietà farmacocinetiche e penetrazione cerebrale (Figura 10). [25] In un modello di memoria di riconoscimento di ratto, DNS-0056 è risultato in grado di aumentare in modo significativo la memoria a lungo termine senza alterare il comportamento esplorativo nei ratti.

(27)

26

2.1.2 Inibitori PDE2

In modo simile a PDE1, PDE2 è un'altra sottofamiglia che idrolizza sia cAMP che cGMP. A differenza delle altre famiglie PDE, in cui l’attivazione dei segnali cGMP potrebbe ridurre il livello di cAMP locale, l'inibizione di PDE2 abolisce selettivamente gli effetti negativi di cGMP su cAMP. PDE2A è l'unica isoforma di PDE2 altamente espressa nella maggior parte delle regioni del cervello, inclusi caudato, nucleo accumbens, corteccia e ippocampo (Figura S2). [20] Nella maggior parte dei tessuti periferici, ad eccezione della milza, i livelli di PDE2 sono relativamente bassi. Questa distribuzione rende gli inibitori della PDE2 ideali quali agenti terapeutici per il trattamento di malattie del disturbo cognitivo, ma con meno effetti cardiovascolari e altri effetti collaterali comuni agli altri inibitori PDE. [26]

Figura S2. Espressione dell'mRNA per PDE2 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

(28)

27

BAY-60-7550 (4) è un inibitore PDE2 altamente selettivo sviluppato dalla Bayer, con un IC

50 di 4.7 nM e una selettività 100 volte maggiore rispetto alle altre PDE (Figura 11). [26]

Le sue scarse proprietà farmacocinetiche ne hanno tuttavia limitato l’uso clinico. Pertanto, questo composto è principalmente utilizzato come strumento per studiare il potenziale uso terapeutico degli inibitori della PDE2. L'inibizione di PDE2A da parte di BAY-60-7550 provoca un aumento del potenziamento a lungo termine della trasmissione sinaptica senza alterare la trasmissione sinaptica basale. Inoltre, BAY-60-7550 è in grado di aumentare la memoria nelle attività di riconoscimento sociale e degli oggetti e di recuperare i deficit di alternanza spontanea indotti dall'antagonista dell’NMDA, MK801 nel labirinto T. [27]

Ulteriori studi sulla localizzazione dell'oggetto e attività di riconoscimento hanno indicato che il suo ruolo nel miglioramento della memoria era probabilmente dovuto all’aumento del consolidamento della memoria invece che dell'attenzione. In studi effettuati su ratti anziani con problemi di memoria, BAY-60-7550 ha provocato un aumento della memoria dell’apprendimento e del riconoscimento di oggetti; inoltre è stata registrata una maggiore attività basale dell'ossido nitrico sintasi nell'ippocampo e nello striato. [28] Da un altro studio è emerso che l'inibizione della PDE2 nell'idrolisi di cGMP e cAMP, utilizzando BAY-60-7550, provoca un aumento di memoria negli stadi sia precoci che tardivi, mentre l'inibizione indotta da vardenafil della PDE5 nell'idrolisi di cGMP ha effetto solo nello stadio iniziale, e l'inibizione indotta da rolipram della PDE4 nell'idrolisi di cAMP solo in quello tardivo. Nei topi APP/PS1, il trattamento cronico con BAY-60-7550 ha migliorato la memoria senza causare ansia, indicando che le vie di segnalazione diverse dalla via NO/cAMP/CREB potrebbero essere responsabili dei suoi effetti di miglioramento della capacità cognitiva. Più recentemente, un altro studio ha dimostrato che BAY-60-7550 è in grado di ridurre l'attivazione stress-indotta di una proteina chinasi regolatoria extracellulare e di diminuire la perdita di fattori di trascrizione stress-indotti e di proteine legate alla

(29)

28

plasticità tramite la via di segnalazione NMDAR-CaMKII-cGMP/cAMP correlata alla neuroplasticità. [29]

Figura 11. Inibitori PDE2 per il trattamento dell'AD.

Uno studio farmaceutico effettuato su ratti ha rivelato che la penetrazione cerebrale di BAY 60-7550 era scarsa. La somministrazione di BAY 60-7550 alla dose di 10 mg/kg ha determinato una concentrazione cerebrale di solo 3.6 ng/g.37. Quindi, la ragione principale per gli effetti benefici sulla memoria ottenuti da BAY 60-7550 è probabilmente dovuta alla maggiore espressione di PDE2 nel cervello, dove basse concentrazioni cerebrali dell’inibitore PDE2 potrebbero essere sufficienti per attivare il segnale cAMP e cGMP, causando l'amplificazione del segnale per il miglioramento della memoria.

ND-7001 (5), sviluppato dalla società Neuro3d, presenta un IC

50 di 50 nM verso PDE2 e

una buona selettività rispetto a PDE3 e PDE4 (Figura 11). La sua sicurezza, tollerabilità e farmacocinetica sono state valutate in test di fase I, i quali hanno dimostrato che il farmaco era sicuro e ben tollerato a dosi elevate; inoltre non provocava sedazione, disturbi della memoria o effetti di astinenza. [30] Tuttavia, nessun ulteriore sviluppo è riportato dal 2010. PF-999 (6, anche noto come PF-05180999), sviluppato da Pfizer, presenta una notevole

(30)

29 attività inibitoria verso PDE2 (IC

50 = 2.3 nM) e selettività verso le altre PDE (Figura 11).

[31] PF-999 è risultato in grado di aumentare i livelli di cGMP nel fluido cerebrospinale dei ratti e di attenuare i deficit di memoria indotti dalla chetamina. [30] Nel 2015, è stato eseguito uno studio sul meccanismo presinaptico dell'inibizione della PDE2A usando PF-999. I risultati hanno dimostrato che l'inibizione della PDE2 potrebbe essere coinvolta nella plasticità sinaptica a breve termine tramite la modulazione dell'idrolisi di cAMP per adattarsi ai cambiamenti nei livelli di cGMP associati alla plasticità presinaptica a breve termine. Attualmente, PF-999 ha già completato due studi clinici di fase I: uno studio ha valutato la sua sicurezza, tollerabilità e farmacocinetica in soggetti sani mentre l'altro ha valutato la biodisponibilità relativa di una formulazione a rilascio modificato da 30 mg e 120 mg in pazienti con schizofrenia.

Tuttavia, dal 2012 non sono state riportate ulteriori informazioni.

Recentemente, il composto 7, sviluppato da Pfizer, ha mostrato un IC

50 di 2 nM verso

PDE2 e una selettività fino a 4000 volte rispetto alle altre PDE (Fig. 11). [32] Il composto 7 è risultato in grado di aumentare i livelli di cGMP nelle regioni del cervello dei roditori che esprimevano i più alti livelli dell'enzima PDE2A. Nel labirinto a bracci radiali, il composto 7 attenuava in modo significativo le alterazioni della memoria indotte dalla chetamina nei ratti. Inoltre, il composto 7 è risultato in grado di contrastare un massimo dell'80% dell'interruzione del potenziale locale indotta da MK-801 a un Cbu allo stato stazionario di 11 nM. Questi risultati hanno indicato che l'inibizione selettiva di PDE2A nel cervello potenziato, è in grado di indurre farmacologicamente una ipofunzione di NMDA in vivo e che è adatta per il trattamento di disturbi neurologici e neuropsichiatrici associati all'ipofunzione del recettore NMDA, come nella schizofrenia.

TAK-915, sviluppato da Takeda senza alcuna informazione strutturale o di altro tipo, ha già completato due studi clinici di fase I su soggetti sani nel 2015. Uno studio ha esaminato

(31)

30

il grado e la durata del rapporto occupazione/attivazione dell'enzima PDE2A nel cervello dopo la sua somministrazione al fine di definirne il dosaggio e un programma per futuri studi clinici sulla schizofrenia. L'altro studio è stato condotto per studiarne la sua sicurezza, tollerabilità e le sue proprietà farmacocinetiche plasmatiche quando somministrato a dosi singole e multiple crescenti come sospensione orale in soggetti sani, compresi soggetti anziani.

2.1.3 Inibitori PDE3

In modo simile a PDE1 e PDE2, PDE3 è un'altra sottofamiglia responsabile dell'idrolisi sia di cAMP che di cGMP e ha due isoforme: PDE3A e PDE3B. L'espressione di PDE3A e PDE3B è relativamente bassa nel cervello, ed è principalmente presente nel cervelletto. A livello periferico, PDE3A è principalmente espressa nel cuore, mentre PDE3B nei polmoni e nel fegato (Figura S3). [20] L’espressione delle varianti PDE3A risulta diversa nei tessuti cardiovascolari. A livello intracellulare, PDE3B è prevalentemente associata alla membrana e localizzata nel reticolo endoplasmatico e nelle frazioni microsomiali. Inoltre, sebbene la concentrazione di PDE3 sia bassa nel cervello rispetto ad altre sottofamiglie PDE, l'inibizione di PDE3 potrebbe essere sufficiente per attivare il segnale cAMP e cGMP, causando l'amplificazione del segnale per il miglioramento della memoria. [13]

(32)

31

Figura S3. Espressione dell'mRNA per PDE3 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

AD e demenza vascolare sono i due principali tipi di demenza nelle persone anziane. Un certo numero di persone anziane può soffrire di entrambe le condizioni. È stato dimostrato che le lesioni della sostanza bianca cerebrale rappresentano un importante fattore di rischio per la trasformazione di una lieve compromissione cognitiva in AD; inoltre sono la ragione principale della coesistenza età-dipendente di AD e malattie cerebrovascolari. La disfunzione neurovascolare di AD in persone anziane risulta associata all'ischemia cerebrale e all'accumulo di Aβ. [33]

Il cilostazolo (8) è un inibitore selettivo della PDE3 (IC

50 = 0.2 μM), clinicamente utilizzato

come antiaggregante piastrinico per la prevenzione di malattie cerebrovascolari (Figura 12).

(33)

32

Figura 12. L'inibitore selettivo PDE3, cilostazolo, può essere usato per il trattamento di

malattie cerebrovascolari e l'AD.

Recentemente, la terapia a base di cilostazolo diretta sia agli aspetti vascolari che neurodegenerativi della demenza è stata considerata un approccio più adatto per i pazienti anziani con AD. In un modello murino di AD con Aβ

25-35 iniettato, la somministrazione

ripetuta di cilostazolo ha attenuato significativamente il problema dell'alterazione spontanea e ha invertito l'accorciamento della latenza step-down indotta da Aβ

25-35. Il

mancato aumento dei livelli di MDA ha indicato che cilostazol può contrastare il danno ossidativo indotto da Aβ

25-35. [34] Un altro studio ha dimostrato inoltre che cilostazol è in

grado di attenuare l'accumulo di Aβ e di migliorare l'apprendimento spaziale e la memoria. I livelli di apolipoproteina E (ApoE), una proteina associata ai grovigli neurofibrillari dell’Alzheimer e alla proteina Aβ, risultano ridotti, con conseguente riduzione dell'aggregazione di Aβ. [35]

Uno studio clinico su 10 pazienti con AD moderata ha dimostrato che cilostazolo migliora il declino cognitivo in modo efficiente quando somministrato insieme a donepezil dopo un

(34)

33

periodo di follow-up medio. Tuttavia, questa terapia combinata non ha avuto effetti su pazienti con demenza moderata o grave. [36] Un'analisi retrospettiva ha rivelato che cilostazolo poteva migliorare significativamente la memoria in pazienti con problemi cognitivi lievi, ma non è stato osservato alcun effetto significativo in pazienti con normale funzione cognitiva o demenza. Inoltre, sono stati anche valutati gli effetti clinici della monoterapia con galantamina o cilostazolo o della terapia combinata nei pazienti con AD in uno studio clinico. La monoterapia con galantamina o cilostazolo ha aumentato le funzioni cognitive, affettive e le attività della vita quotidiana nei pazienti con AD, mentre l'associazione di galantamina e cilostazolo ha prodotto un effetto terapeutico migliore rispetto alla monoterapia. Più di recente, uno studio clinico è stato condotto in una grande popolazione asiatica per studiare il potenziale rischio e beneficio dell'uso di cilostazolo per ridurre il rischio di demenza (9148 partecipanti senza demenza dai 40 anni o più). I pazienti trattati con cilostazolo presentavano un rischio significativamente ridotto di demenza rispetto ai pazienti non trattati. In particolare, il cilostazolo ha dimostrato un effetto dose-dipendente sulla riduzione della comparsa di demenza. L'analisi per sottogruppi ha identificato una diminuzione di demenza nei pazienti trattati con cilostazolo con diagnosi di cardiopatia ischemica e malattia cerebro-vascolare. [37]

Due studi clinici su cilostazolo correlato all'AD o alla demenza sono stati registrati presso clinicaltrials.gov. Uno studio di fase IV è stato eseguito dal Seoul National University Hospital nel 2011 per esaminare gli effetti ottenuti col co-trattamento di cilostazol con donepezil utilizzando competenze cognitive e immagini PET in pazienti con AD lieve o moderata con iperintensità sottocorticale della sostanza bianca (WMHI). [38] Uno studio di fase II in pazienti con problemi cognitivi lievi è stato eseguito dal Centro nazionale cerebrale e cardiovascolare nel 2015 per valutare se il cilostazolo potesse impedire la loro conversione in demenza.

(35)

34 Fig. 13. Inibitori PDE4 per il trattamento dell'AD.

(36)

35

2.1.4 Inibitori PDE4

PDE4 è una sottofamiglia che idrolizza solo cAMP. Le quattro isoforme di PDE4 (PDE4A, PDE4B, PDE4C e PDE4D) sono ampiamente espresse nel SNC e sono risultate presenti nel cervello di anziani e di pazienti affetti da Alzheimer. [39] La PDE4B è altamente espressa nella maggior parte delle aree del cervello eccetto che nella radice dorsale dei gangli, dove i livelli di tutte le isoforme di PDE4 sono bassi. I livelli di PDE4A e PDE4B sono ugualmente alti nella corteccia, ma quelli di PDE4A risultano da 2 a 4 volte più bassi nelle altre regioni del cervello. PDE4C ha un'espressione molto bassa nel cervello. La PDE4D ha un'espressione relativamente alta nella corteccia frontale, ma da 3 a 10 volte più bassa rispetto alla PDE4B in tutti i tessuti del SNC. A livello periferico, PDE4B e PDE4D sono le due principali isoforme. (Figura S4) [20]

Figura S4. Espressione dell'mRNA per PDE4 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

(37)

36

Attualmente, tre inibitori PDE4, vale a dire roflumilast, crisaborole e apremilast, sono stati approvati sul mercato per il trattamento, rispettivamente, della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), della dermatite atopica e dell'artrite psoriasica. In generale, gli inibitori della PDE4 sono stati ampiamente studiati per il trattamento dell’AD. [40] Tuttavia, la maggior parte degli inibitori PDE4 attualmente in commercio può causare effetti collaterali emetici, limitandone il loro utilizzo nelle malattie del SNC.

Rolipram (9) appartiene agli inibitori PDE4 di prima generazione con un IC

50 di 230 nM

(Fig. 13). Rispetto ai farmaci approvati, roflumilast e apremilast, rolipram presenta un buon grado di penetrazione cerebrale o capacità di superare la barriera emato-encefalica. La concentrazione di rolipram nel cervello risulta due volte più alta di quella nel plasma.

[40] Tuttavia, la somministrazione a basso dosaggio di rolipram causa emesi. Attualmente, rolipram è ampiamente utilizzato per studiare i meccanismi sottostanti degli inibitori PDE4 nell'AD.

L'effetto neuroprotettivo di Rolipram in modelli di AD è stato dimostrato per la prima volta tramite test di memoria ippocampo-dipendente nel 1998, i quali suggerivano che l'inibizione della PDE4 potesse diminuire la soglia per generare un potenziamento a lungo termine (LTP) e di lunga durata e aumentare la memoria comportamentale attraverso il pathway dell’cAMP. Gong e collaboratori hanno dimostrato che rolipram migliora i deficit cognitivi sia nell'LTP che nell'apprendimento contestuale in modelli di topo APP/PS1. In particolare, il suo effetto sul miglioramento di LTP e della trasmissione sinaptica basale, nonché sui deficit di memoria lavorativa, di riferimento e associativa, durava almeno 2 mesi dopo il trattamento. Nell'ippocampo di topi transgenici APP/PS1 e di pazienti con AD è stato inoltre osservata la perdita di spine dendritiche e neuriti distrofici. Gong ha anche dimostrato che rolipram risultava in grado di riportare la densità della colonna vertebrale a un livello normale in topi APP/PS1 e in topi anziani. Rolipram, inoltre, era anche in grado

(38)

37

di invertire i cambiamenti nella struttura e nella funzione dendritica, causati dai peptidi Aβ. In ratti iniettati con Aβ

25-35 o Aβ1-40, una somministrazione cronica o un trattamento ripetuto

con rolipram risultava in grado di contrastare i problemi di memoria, mentre il trattamento acuto con rolipram no. Inoltre, i ridotti livelli di Pcreb e Bcl-2 e i livelli più alti di NF-κB p65 e Bax nell'ippocampo erano regolati da rolipram in modo dose-dipendente. [41]

Questi risultati indicano che la riduzione dell'infiammazione neuronale e l'apoptosi, mediati dalla via di segnalazione di cAMP/CREB, potrebbero essere coinvolti nel processo; tutto ciò risulta essere in accordo con uno precedente studio che aveva dimostrato che Rolipram era in grado di invertire l’effetto tempo-dipendente sulla memoria indotto da scopolamina e sulle attività di riconoscimento degli oggetti, aumentando i livelli di cAMP. Più recentemente, è stato dimostrato che Rolipram era in grado di migliorare significativamente l'apprendimento e la capacità di memoria in topi invecchiati naturalmente o tramite Streptozotocina e. [42] Il suo potenziale per il trattamento delle disfunzioni della memoria può essere probabilmente attribuito ai suoi effetti anti-colinesterasi, anti-amiloide, anti-ossidativi, anti-infiammatori e ad altri effetti.

Roflumilast (10, Daliresp o Daxas) è stato il primo inibitore selettivo PDE4 approvato dalla FDA per il trattamento della BPCO nel 2011 (Fig. 13). Rispetto aRrolipram, Roflumilast presentava un'affinità inibitoria significativamente migliore verso PDE4 con proprietà emetiche ridotte, rappresentando quindi un candidato per il trattamento dell’AD.

[43] Uno studio preclinico ha dimostrato che sia Roflumilast che Rolipram hanno effetti positivi sul miglioramento della memoria tramite un test di localizzazione di oggetti in topi maschi C57BL/6NCrl. Nel test del labirinto Y, roflumilast è risultato in grado di migliorare le prestazioni della memoria spaziale, diversamente da rolipram. Ancora più importante, roflumilast provoca effetti simil-emetici a una dose 100 volte superiore a quella che provoca un aumento della memoria, indicandone la sua sicurezza nel trattamento dell’AD.

(39)

38

Una singola somministrazione di Donepezil o Roflumilast non aumentava la memoria, mentre, combinando dosi efficaci di entrambi, i deficit di memoria indotti da Scopolamina risultavano completamente invertiti nei test di riconoscimento degli oggetti. Il suo effetto benefico sulla memoria e le sue proprietà non emetiche hanno promosso roflumilast a studi clinici sull'AD. Attualmente, Roflumilast ha completato uno studio di fase II quale potenziatore della cognizione traslazionale e uno studio di fase I per valutare se la co-somministrazione di Roflumilast e Donepezil potesse attenuare il deficit cognitivo scopolamina-indotto. [44] Attualmente, è in corso uno studio preclinico per valutare il suo effetto nel prevenire l'insorgenza dell'AD in soggetti ad alto rischio. Sebbene l'IC

50 di

roflumilast sia quasi 1000 volte superiore rispetto a quella di rolipram in vitro, gli effetti ottenuti dagli esperimenti di miglioramento della memoria di roflumilast sono quasi uguali o anche inferiori a quelli di rolipram. La differenza è stata attribuita alla relativamente scarsa capacità di roflumilast di penetrare la barriera emato-encefalica. Recenti studi hanno dimostrato che Roflumilast è in grado di contrastare efficacemente il deterioramento cognitivo indotto dall'ipertensione nei roditori, anche a basse dosi. [45]

HT-0712 (11) è stato sviluppato quale nuovo inibitore di PDE4 da Bourtchouladze e Scott (Figura 13). Sia HT-0712 che Rolipram provocavano un miglioramento della memoria a lungo termine in un modello murino della sindrome di Rubinstein-Taybi. [46] Attualmente, HT-0712 ha già completato uno studio di fase II volto a valutarne l'efficacia nel migliorare la memoria e le prestazioni cognitive in soggetti con problemi di memoria dovuti all'età (AAMI) e ha avuto risultati positivi. [47]

MK-0952 (12), sviluppato da Merck, presenta un IC

50 di 0.6 nM verso PDE4 (Figura 13).

[48] È stato condotto uno studio clinico di fase II con MK-0952 per determinarne l’effetto sul miglioramento dei deficit cognitivi nei pazienti con AD da lieve a moderata.

(40)

39

recettore GABA-A (Figura 13). Il suo meccanismo alla base del miglioramento della memoria nell'AD potrebbe essere complesso. Attualmente, l'etazolato ha già terminato uno studio di fase II volto a valutarne la sua sicurezza e tollerabilità come terapia aggiuntiva agli inibitori dell'acetilcolinesterasi nell'AD da lieve a moderata. I risultati hanno dimostrato che l'etazolato era sicuro e generalmente ben tollerato. Sono stati inoltre osservati un certo numero di casi astinenza precoce e di effetti collaterali correlati al sistema nervoso centrale dose-dipendenti. [49]

FFPM (14) è un nuovo inibitore PDE4 sviluppato da Ke e collaboratori che presenta un IC

50 di 26 nM e una buona selettività rispetto alle altre PDE (Figura 13). [50] I suoi effetti

sull'apprendimento e sulla memoria sono stati studiati da Xu e colleghi che hanno utilizzato in modello di topo APP/PS1 di AD. Dopo 3 settimane di trattamento, le capacità di apprendimento e di memoria dei topi transgenici APP/PS1 sono risultate significativamente migliorate, come misurato dal test del labirinto acquatico di Morris e da quello di evitamento passivo step-down. FFPM non ha avuto effetti significativi sulla durata dell'anestesia da xilazina/ketamina nei topi, indicando che FFPM potrebbe non causare emesi durante il trattamento dell'AD. Inoltre, FFPM penetra rapidamente la barriera emato-encefalica dopo somministrazione orale, con un'emivita nel plasma di un’ora e mezzo.

È stato dimostrato che PDE4D è il principale sottotipo coinvolto nel processo di consolidamento della memoria e LTP. L'inibizione di PDE4 da parte di rolipram in topi con deficienza di PDE4D non è risultato in grado di alterare le prestazioni di memoria. [4]

Pertanto, inibitori selettivi della PDE4D potrebbero avere effetti benefici sul miglioramento della cognizione. Tuttavia, l'inibizione della PDE4D è anche la ragione principale degli effetti collaterali emetici di un inibitore della PDE4, poiché può simulare le azioni farmacologiche degli antagonisti degli α2-adrenorecettori. [5-6]

(41)

40

GEBR-7b (15) è un inibitore selettivo della PDE4D, con basse attività inibitorie verso PDE4A4, PDE4B2 e PDE4C2 (Figura 13). [7] Uno studio in vivo ha dimostrato che GEBR-7b migliorava la memoria di riconoscimento spaziale e degli oggetti nei processi di consolidamento tardivo nei test di riconoscimento e localizzazione degli oggetti. Il livello di cAMP nell'ippocampo risultava aumentato senza influenzare il livello di Aβ. L'effetto di GEBR-7b sulla memoria era da 3 a 10 volte più potente di quello di rolipram. Nel test della xilazina/ketamina, nessun effetto emetico è stato osservato nei topi, anche a dosi 30 volte superiori a quelle del test di localizzazione degli oggetti per il miglioramento delle prestazioni comportamentali. L'effetto emetico notevolmente ridotto di GEBR-7b è probabilmente dovuto alle dosi relativamente basse richieste per migliorare la memoria. [8]

Più recentemente, lo sviluppo di GEBR-7b ha portato ad una nuova molecola, 8a, che ha mostrato una buona inibizione selettiva di PDE4D3 e la capacità di attraversare la barriera emato-encefalica. [110] Il rapporto cervello/plasma di 8a è 0.8, mentre quelli di roflumilast e rolipram sono di circa 1 e 2, rispettivamente. Nel testo di riconoscimento degli oggetti, la somministrazione di 8a alla dose di 0.003 mg/kg ha migliorato in modo significativo le prestazioni della memoria a lungo termine contrastando completamente il deficit di memoria a breve termine scopolamina-indotto senza causare alcun comportamento emetico simile. Questi risultati hanno offerto un'altra strategia per la scoperta di inibitori della PDE4 privi di effetti emetici per il trattamento dell'AD.

Studi recenti hanno dimostrato che modulatori allosterici della PDE4D che non inibiscono completamente l'attività enzimatica possono migliorare la memoria con ridotti effetti emetici. A differenza dei soliti inibitori della PDE4, questi modulatori allosterici PDE4D formano, nei primati, un legame allosterico con un residuo specifico di fenilalanina nella regione UCR2 della PDE4D, portando ad un’elevata affinità e selettività. Nel modello di topo scopolamina-alterato, il modulatore allosterico di PDE4D, D159687 (17), con un IC

(42)

41

di 27 nM verso PDE4D e una buona selettività, è risultato in grado di migliorare in modo efficiente la memoria cognitiva nei nuovi test di riconoscimento dell'oggetto e labirinto Y (Figura 13). Rispetto a rolipram, D159687 aveva un effetto emetico 100 volte minore nel

S. murinus, 3000 volte inferiore nel cane beagle e 500 volte inferiore nella scimmia.

Pertanto, D159687 può funzionare in modo efficiente nel migliorare la memoria con un ridotto potenziale emetico. Il rapporto totale AUC cervello/plasma per D159687 è superiore a 1 in entrambi roditori e primati. [10]

Un altro modulatore allosterico PDE4D, BPN14770 (18) presenta valori IC

50 di 8 e 130 nM

verso la PDE4D umana e del topo, rispettivamente (Figura 13) Questo modulatore provoca inoltre un miglioramento del potenziale a lungo termine nelle sezioni ippocampali. Nel 2016 sono stati condotti due studi clinici su BPN14770 per la valutarne la sua sicurezza, tollerabilità e profilo farmacocinetico in diversi soggetti. È in corso un'altra sperimentazione di fase I per valutarne l’effetto sul deficit cognitivo scopolamina-indotto in volontari sani, utilizzando donepezil come controllo positivo.

(43)

42

2.1.5 Inibitori PDE5

La fosfodiesterasi-5 (PDE5) è una sottofamiglia che idrolizza cGMP e ha un’isoforma, la PDE5A. Rispetto alle altre sottofamiglie PDE, l'espressione di PDE5A nel cervello è relativamente bassa. I livelli di mRNA di PDE5A sono più alti a livello periferico, nella vescica e nei polmoni (Figura S5). [20]

Figura S5. Espressione dell'mRNA per PDE5 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

(44)

43

Tuttavia, diversi studi hanno dimostrato che gli inibitori della PDE5 hanno un potenziale effetto terapeutico nel trattamento dell'AD attraverso la stimolazione della via di segnalazione di ossido nitrico (NO)/cGMP, aumentando il livello di cGMP. Attualmente, diversi inibitori della PDE5, come Sildenafil e Tadalafil, sono stati approvati dalla FDA per il trattamento della disfunzione erettile e dell'ipertensione arteriosa polmonare.

Sildenafil (19) presenta un IC

50 di 2.2 nM verso PDE5A con una selettività moderata

rispetto alle altre PDE (Figura 15). [51] Le sue proprietà farmaceutiche, come l'attraversamento della barriera ematoencefalica e la minore tossicità, indicano che il sildenafil è un potenziale candidato per lo studio dell'effetto e del meccanismo degli inibitori della PDE5 nei processi neurodegenerativi. [51] Il sildenafil provoca un miglioramento immediato e duraturo della funzione sinaptica, della fosforilazione di CREB e della memoria in un modello di topo APP/PS1. [52] Nello stesso studio sono stati testati anche l'inibitore della PDE5 (Sadalafil) e un inibitore altamente selettivo della PDE1 IC354 (IC

50 = 80 nM). Il Sadalafil (1 mg/kg, i.p.) non provocava alcun miglioramento né

del condizionamento della paura contestuale né della memoria di lavoro spaziale in topi APP/PS1; IC354 non ha avuto alcun effetto sull'LTP nelle sezioni dell’ippocampo. Ulteriori studi hanno dimostrato che il sildenafil regola il livello di Aβ possibilmente modificandone la produzione, il metabolismo o la clearance. L’incrementata fosforilazione di CREB potrebbe essere dovuta all'effetto antinfiammatorio del sildenafil attraverso la via di segnalazione cGMP/PKG/pCREB. Attualmente, il Sildenafil ha già completato uno studio di fase IV per la schizofrenia e uno studio di fase IV per il morbo di Parkinson. Tuttavia, la sperimentazione clinica per l'AD non è stata ancora eseguita. Vale la pena ricordare che la selettività di Sildenafil per PDE1 e PDE6 è rispettivamente di 180 e 12, e può causare lievi effetti vasodilatatori e un disturbo transitorio della visione.

(45)

44

Figura 15. Attuali inibitori PDE5 per il trattamento dell'AD.

Come accennato in precedenza, esistono dei collegamenti tra la patologia dell’AD e le malattia cerebrovascolari. Rispetto ai pazienti sani, i pazienti con AD hanno solitamente una riduzione del flusso ematico cerebrale (CBF), una maggiore resistenza cerebrovascolare e una riduzione del metabolismo cerebrale. Nel 2017 è stato effettuato uno studio clinico su pazienti affetti da AD, che ha dimostrato che il Sildenafil potrebbe migliorare significativamente il flusso ematico cerebrale e il consumo di ossigeno ad una singola dose di 50 mg. La reattività cerebrovascolare è risultata diminuita. Questo risultato ha indicato che l'effetto sulla memoria degli inibitori PDE5 può essere dovuto all'aumento del flusso ematico cerebrale mediato da PDE5, espressa nel tessuto cerebrale endoteliale.

[53]

Tadalafil (20) è un efficace inibitore della PDE5 sviluppato da Eli Lilly (Figura 14). Rispetto al Sildenafil, il Tadalafil ha mostrato una migliore selettività verso PDE6 e un'emivita più lunga. Queste proprietà suggeriscono che il Tadalafil potrebbe essere più adatto del Sildenafil come farmaco anti-AD. Tuttavia, la somministrazione di Tadalafil (1 mg/kg, i.p.) non provocava un miglioramento del condizionamento della paura contestuale

(46)

45

o della memoria di lavoro spaziale in topi APP/PS1, a differenza del Sildenafil. [52] La ragione principale di questo risultato è stata attribuita al fatto che il Sildenafil era in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, a differenza del Tadalafil. Un ulteriore studio effettuato nel 2013 ha dimostrato che il 12% del Tadalafil trovato nel sangue attraversa la barriera emato-encefalica e raggiunge il cervello. Il trattamento cronico con tadalafil porta al suo accumulo nel cervello in un modello di topo transgenico J20 di AD, che contrasta i deficit di memoria. Il Tadalafil risulta inoltre più efficace del Sildenafil nel miglioramento delle prestazioni della memoria. Il livello di proteina tau iperfosforilata è risultato diminuito attraverso l'attivazione del pathway pAkt/GSK3.

Né Tadalafil né Sildenafil riducono il livello delle placche Aβ, indicando che l'aumento della capacità cognitiva da parte degli inibitori della PDE5 può verificarsi senza un miglioramento generale della patologia dell'Aβ. [54] Attualmente, è in corso uno studio clinico di fase II di Tadalafil in pazienti con malattia dei piccoli vasi cerebrali, allo scopo di valutare l’eventuale miglioramento del flusso sanguigno nel tessuto cerebrale profondo e il potenziale miglioramento della funzione cognitiva.

Un composto a struttura chinolinica, 7a (21), ha mostrato un'affinità inibitoria maggiore (IC

50 = 0.27 nM) e una migliore selettività rispetto aSsildenafil, Vardenafil e Tadanafil

(Figura 14). In un modello di topo APP/PS1 di AD, 7a era in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e di aumentare il livello di cGMP nell'ippocampo del topo, ripristinando così la plasticità sinaptica e il danno alla memoria causato dall'aumento di Aβ42

Il meccanismo patogenetico dell'AD è complicato. Appare quindi evidente che, nel trattamento di questa malattia, risulta più appropriato il coinvolgimento di una combinazione di più targets coinvolti nell’AD. Gli inibitori dell'istone deacetilasi (HDACI) sono potenziali modulatori del deficit cognitivo nell'AD. La somministrazione di

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vorinostat, pan-HDACI, e dell'inibitore della PDE5 tadalafil in topi anziani Tg2576 è risultata efficace nel contrastare i deficit cognitivi e nell’aumentare la ridotta densità della spina dendritica nei neuroni ippocampali. La somministrazione concomitante di questi due farmaci ha prodotto effetti migliori e più duraturi rispetto a quella relativa alla somministrazione di ogni singolo farmaco. Sulla base di questo risultato, CM-414 (22), un inibitore che agisce sia su PDE5 che su HDAC, è stato sviluppato con notevoli valori IC

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verso PDE5 e moderata inibizione di HDAC di classe I (Figura 14). [55] CM-414 era in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, inducendo l’acetilazione di AcH3K9 e la fosforilazione di CREB nell'ippocampo e il potenziamento a lungo termine (LTP) in topi APP/PS1. Il trattamento cronico dei topi Tg2576 con CM-414 ha provocato una riduzione del livello di fosforilazione di Aβ e Tau nel cervello e un aumento della forma inattiva di GSK3β. Sia la diminuzione della densità della spina dendritica nei neuroni dell'ippocampo sia i deficit cognitivi sono risultati invertiti. Pertanto, CM-414 può agire come un efficace inibitore duale PDE5/HDAC con un buon profilo di sicurezza; potrebbe inoltre valere la pena effettuare ulteriori studi clinici per pazienti con AD.

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2.1.6 Inibitori PDE7

PDE7 è una sottofamiglia cAMP-specifica costituita da due isoforme, PDE7A e PDE7B. Rispetto ad altre PDE, l'espressione di PDE7 è relativamente bassa in tutti i tessuti. L'espressione dell’isoforma PDE7B risulta relativamente più alta di quella di PDE7A nel SNC, come nel caudato, nel nucleo accumbens, nei tessuti corticali e nell'ippocampo. A livello periferico, i livelli di PDE7A risultano maggiori o uguali a quelli di PDE7B nel cuore, nei polmoni, ecc. (Fiura. S6). [20]

Figura S6. Espressione dell'mRNA per PDE7 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

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Inoltre, l'ibridazione in situ ha dimostrato che l'espressione dell’isoforma PDE7B rimane invariata e che i livelli di PDE7A risultano ridotti nelle regioni ippocampali dei pazienti in stato avanzato di AD.

Recentemente, diversi inibitori PDE7 sono stati riportati quali nuovi potenziali agenti per il trattamento delle malattie del cervello. Tuttavia, a oggi lo studio di inibitori PDE7 per il trattamento dell'AD risulta ancora limitato.

Un composto a struttura chinazolinica, S14 (23), è stato identificato dal programma CODES e presenta valori IC

50 di 4.7 e 8.8 μM verso PDE7A e PDE7B, rispettivamente, e

una buona selettività rispetto alle altre cinque PDE (Figura 15). [56]

Figura 15. Attuali inibitore PDE7 per il trattamento dell'AD.

In topi APP/PS1, la sua somministrazione provoca una riduzione della compromissione comportamentale nel labirinto T tramite la via di segnalazione cAMP/CREB. Inoltre, S14 è risultato in grado di ridurre l'accumulo di depositi di Aβ e di modulare la distribuzione degli astrociti cerebrali. Sono state inoltre osservate anche diminuzioni significative della fosforilazione di Tau, della morte cellulare e dell’espressione di una proteina pro-apoptotica. [57]

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2.1.7 Inibitori PDE9

PDE9 è una sottofamiglia che idrolizza solo cGMP. Tra le 11 sottofamiglie PDE, PDE9 presenta la maggiore affinità di legame per cGMP (K

m = 70 nM) con una sola isoforma

PDE9A. PDE9A risulta presente nella maggior parte dei tessuti umani (Figura S7). [20]

Figura S7. Espressione dell'mRNA per PDE9 in 24 tessuti umani selezionati.

L'espressione genica è stata misurata mediante PCR quantitativa in tempo reale, quindi sono stati calcolati i valori di espressione relativa, normalizzati con tre geni di riferimento (GPS1, RPOL2 e PSMB2) e confrontati i livelli di mRNA in ciascun tessuto con i livelli di un tessuto calibratore selezionato (impostato arbitrariamente al 100%). [20]

Nel sistema nervoso centrale, i livelli più alti di PDE9A si trovano nel nucleo caudato e nel cervelletto. A livello periferico, i livelli più alti di PDE9 si hanno nella vescica. PDE9 è considerata un target importante in quanto diversi inibitori efficaci sono attualmente in fase

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