• Non ci sono risultati.

Pratiche di gestione delle risorse umane: due aziende nella classifica di Great Place to Work 2017

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Pratiche di gestione delle risorse umane: due aziende nella classifica di Great Place to Work 2017"

Copied!
75
0
0

Testo completo

(1)

Università degli studi di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea magistrale in Strategia Management e Controllo

“Pratiche di gestione delle risorse umane:

due aziende nella classifica di Great Place to Work 2017”

Relatore: Prof.ssa Mariacristina Bonti

Candidato: Jessica Micelli

(2)

2 INDICE

INTRODUZIONE ... 5

Capitolo I ... 10

RELAZIONE TRA LE PRATICHE DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE E LA PERFORMANCE ORGANIZZATIVA ... 10

1.1Pratiche di gestione delle risorse umane e performance ... 10

1.1.1 Outcome e performance ... 14

1.2 “Black Box” ... 16

1.3 Modelli di gestione delle risorse umane ... 21

1.3.1 High-performance work system ... 24

1.3.2 High involvement work system ... 27

1.3.3 High commitment work practices ... 29

1.3.4 Human resource management system ... 31

Capitolo II ... 33

IL MODELLO DI GREAT PLACE TO WORK: GIUSTIZIA E FIDUCIA ... 33

2.1 Giustizia e fiducia organizzativa ... 33

2.2 Great Place to Work® Institute... 38

2.3 Il modello di Great Place to Work ... 40

2.3.1 Culture Audit... 46

2.3.2 Trust Index ... 48

Capitolo III ... 51

ANALISI DEI CULTURE AUDIT DI DUE AZIENDE NELLA CLASSIFICA DI GREAT PLACE TO WORK ... 51

3.1 Le aziende: aspetti introduttivi ... 51

3.2 Pratiche culture audit azienda Alfa ... 52

3.2.1 Considerazioni azienda Alfa ... 59

3.3 Pratiche dell’azienda Gamma ... 61

3.3.1 Considerazioni azienda Gamma ... 65

(3)

3 CONCLUSIONI ... 70 BIBLIOGRAFIA ... 72 Articoli ... 72 Libri ... 73 SITOGRAFIA ... 74

INDICE DELLE FIGURE Figura 1.1 Schema riassuntivo ... 13

Figura 1.2 Outcomes ... 15

Figura 1.3 Performance outcomes ... 16

Figura 1.4 Relazione ... 16

Figura 1.5 Dimensioni AMO ... 24

Figura 1.6 HPWS ... 27

Figura 1.7 HCWP ... 31

Figura 2.1 Pilastri ... 36

Figura 2.2 Parametri ... 39

Figura 2.3 Modello di Great Place to Work ... 42

Figura 2.4 Prima relazione ... 44

Figura 2.5 Seconda relazione ... 45

Figura 2.6 Terza relazione ... 46

Figura 2.7 Strumenti ... 47

Figura 2.8 Aree indagate ... 47

Figura 2.9 Dimensioni Trust Index ... 49

Figura 2.10 Trust Index ... 50

Figura 2.11 Trust Index 2 ... 50

Figura 3.1 Modalità di reclutamento e selezione azienda Alfa ... 54

Figura 3.2 Pratiche di involvement ... 60

INDICE DELLE TABELLE Tabella 1.1 Evoluzione HPWP ... 19

(4)

4 Tabella 2.1 Confronto ... 43 Tabella 3.1 Culture Audit azienda Alfa ... 61 Tabella 3.2 Culture Audit azienda Gamma ... 66

(5)

5 INTRODUZIONE

In un contesto dinamico e competitivo come quello attuale, le persone ricoprono sempre più un ruolo rilevante all’interno delle organizzazioni. Le pratiche rivolte alla gestione delle risorse umane sono sempre più utilizzate e strutturate dalle aziende, le quali ricono-scono nelle persone un vero vantaggio competitivo.

L’obiettivo di questo elaborato è quello d’individuare, analizzando i culture audit di due aziende presenti nella classifica di Great Place to Work, quali modelli di pratiche di ge-stione delle risorse umane sono stati utilizzati e implementati.

Preme sottolineare che questa valutazione è resa possibile grazie all’opportunità fornita dal Great Place to Work Institute di accedere ai loro strumenti e dati.

Il lavoro preliminare è quello di svolgere un’analisi comparativa dei diversi modelli di gestione delle risorse umane, per individuare le differenze quanto a logiche e rilevanza assegnata alle singole pratiche; a seguire la parte empirica dei due casi aziendali.

All’interno del primo capitolo, infatti, sono fornite delle informazioni utili per capire l’im-portanza della gestione del personale e le modalità attraverso le quali può svilupparsi, ma non si entra nel dettaglio della descrizione di ciascuna pratica.

L’obiettivo di questa prima parte è quello di fornire delle basi teoriche utili alla compren-sione dei modelli che vengono citati successivamente. Nel complesso vengono analizzati: la pianificazione, il reclutamento, la selezione e valutazione, pratiche di compensation, formazione e sviluppo

Dall’analisi dei diversi articoli consultati per la stesura di questa tesi, emerge che una grande parte della letteratura sostiene che ci sia una relazione tra le pratiche di gestione delle risorse umane e la performance aziendale.

In merito a questo aspetto rilevante, all’interno di questo elaborato vengono riportati al-cuni approcci teorici relativi alla definizione di performance e la sua differenza rispetto al singolo outcome.

Questa distinzione è utile per cercare di chiarire la relazione sopracitata, ancora non del tutto chiara.

Sono analizzati i diversi approcci teorici per spiegare le varie tipologie di outcome: HR

(6)

6 In merito al concetto di performance viene enunciata la classificazione fornita da Dyer e Revees (1995), la quale permette di concepire la performance come una catena composta da diversi piani gerarchici in cui ogni livello contribuisce al raggiungimento di quello successivo; a riguardo viene riportata una figura per chiare meglio questo processo. Successivamente si entra nello specifico di quella che viene definita in letteratura come la “black box”, ovvero l’insieme delle variabili che influenzano la relazione sopracitata. In particolar modo l’analisi dei diversi articoli permette di poter individuare quelli che in letteratura sono considerati i tre approcci principali per studiare questa dimensione: ap-proccio universalistico, contingente, configurazionale.

In relazione a questi tre approcci ci si focalizza principalmente su quello configurazio-nale, il quale sostiene che le pratiche di gestione delle risorse umane abbiano un’influenza sulla performance solamente quando vengono combinate e considerate nel loro insieme come un bundle (letteralmente pacchetto).

Nell’ultimo paragrafo di questo capitolo sono analizzati i diversi modelli di pratiche, i cosiddetti bundle of practices: AMO (ability, motivation, opportunity),

High-perfor-mance work system, High involvement work system, High commitment work practices, Human resource management system.

Questa parte è frutto di un’accurata ricerca bibliografica che permette di riportare una serie di approcci teorici utili alla comprensione delle pratiche che possono essere indivi-duate all’interno di ciascun modello.

Il modello AMO si basa su un insieme di pratiche volte a migliorare le abilità, la motiva-zione e l’opportunità dei dipendenti, con l’obiettivo di generare risultati positivi in termini di un maggiore impegno, una maggiore produttività, qualità e migliori prestazioni finan-ziarie.

Il modello di High performance work system è basato su un set di pratiche volte a miglio-rare le prestazioni organizzative; in merito alla tipologia di queste pratiche sono riportati diversi approcci teorici.

High involvement work system è un sistema di gestione delle risorse umane ad alto

coin-volgimento. In questo caso le pratiche utilizzate sono volte a migliorare il coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni aziendali, nel raggiungimento degli obiettivi e nella defini-zione della strategia.

Un sistema High commitment work system è rivolto ad aumentare l’impegno dei dipen-denti, influenzando la loro motivazione.

(7)

7 Per concludere, l’ultimo modello definito con il termine Human resource management

system rappresenta la combinazione delle classiche pratiche di gestione del personale

(re-clutamento, selezione, formazione, ricompense) con la tecnologia e l’utilizzo di sistemi informativi.

A fronte di un’accurata analisi di ciascun modello, si è cercato di individuare le principali pratiche riconducibili all’interno di ognuno. La differenza fra i diversi bundle è davvero sottile, ovvero non esiste una netta distinzione.

La difficoltà di saper individuare ciascun modello, è un aspetto dominante in letteratura e di conseguenza anche in questo elaborato.

Le aziende in relazione alla propria cultura, ai propri valori e alla propria strategia scel-gono di utilizzare un modello piuttosto che un altro. Non esiste quindi un modello mi-gliore, ma è fondamentale che la scelta di quale utilizzare sia coerente e rispecchi i valori aziendali.

Dopo aver cercato di chiarire la differenza tra i diversi modelli, nel secondo capitolo ci si sofferma sul modello di Great Place to Work Insitute.

Prima di entrare nel dettaglio, però, vengono introdotti i concetti di giustizia e fiducia organizzativa; la scelta di approfondire questi due aspetti è legata al fatto che sono con-siderati delle basi del modello di Great Place to Work.

Successivamente al fine di poter analizzare correttamente i culture audit vengono fornite alcune informazioni relative al Great Place to Work Institute: una breve spiegazione sulla sua nascita, la sua mission, i servizi che offre e i valori sui quali si fonda.

Great Place to Work Institute è un brand internazionale che ha l’obiettivo di studiare la qualità del clima organizzativo e di supportare le aziende in diversi Paesi del mondo nel loro processo di cambiamento, aiutandole a pianificare e implementare le diverse attività per diventare dei great workplace.

Ogni anno stila la classifica dei best workplace in Italia, suddividendo tra aziende: small,

medium e large. Gli strumenti che utilizza per valutare il clima organizzativo sono il trust index e il culture audit; affinché un’azienda rientri nella classifica è fondamentale che

presenti dei valori del trust index superiori ai parametri determinati per ciascuna categoria di appartenenza (small, medium e large) e che il culture audit abbia una valutazione mag-giore della media dell’anno precedente.

Una seconda parte di questo capitolo è invece dedicata esclusivamente alla spiegazione del modello e si approfondiscono gli strumenti sopracitati.

(8)

8 Il culture audit è un questionario diviso in due parti: la prima sezione comprende delle domande chiuse (ore medie di formazione, dati personali, benefit utilizzati ecc.). La se-conda parte è formata da domande aperte in relazione alle tipologie di pratiche utilizzate. Si ritiene opportuno sottolineare che l’analisi svolta all’interno di questa tesi è incentrata solo sui dati delle domande aperte.

Il trust index è anch’esso un questionario ed è formato da cinquantotto statement e due domande aperte che permettono di analizzare i punti di forza e le aree di miglioramento dell’organizzazione. L’obiettivo è quello di valutare la percezione dei dipendenti in rela-zione alle politiche di gestione attuate dall’azienda.

L’ultimo capitolo rappresenta il fulcro di questo elaborato e ha l’obiettivo di analizzare i culture audit delle due aziende selezionate dalla classifica di Great Place to Work 2017 Italia.

In questa ultima parte si cerca di comprendere mediante l’analisi dei culture audit di cia-scuna azienda quali pratiche sono state utilizzate e il modo in cui sono state fra loro com-binate e collegate.

Questo permette di elaborare un possibile collegamento tra il modello di gestione delle risorse umane utilizzato da ciascuna azienda e uno dei modelli teorici citati nel primo capitolo.

In merito alle considerazioni esposte sui possibili modelli utilizzati dalle due aziende, si riportano alcuni passi del culcutre audit dai quali si evincono le valutazioni esposte; chia-rendo anche in questo modo la netta distinzione tra i due modelli utilizzati.

Per ragioni di riservatezza e correttezza nei confronti di Great Place to Work Institute, si è preferito mantenere l’anonimato delle due aziende alle quali si fa riferimento; i nomi fittizi utilizzati sono: azienda “Alfa” e azienda “Gamma”.

Entrambe le aziende operano nel settore della moda, ma la qualità dei prodotti è total-mente differente; il brand dell’azienda Alfa è rivolto a una fascia-medio bassa mentre l’azienda Gamma produce beni di lusso.

Dall’analisi che viene condotta sembra possibile rilevare che l’azienda Alfa sia impron-tata su quello che in letteratura viene definito High involvement work system, diversa-mente l’azienda Gamma sfrutta le tecnologie e la rete per gestire le proprie risorse umane. Quest’ultima parrebbe basarsi su un sistema che in letteratura viene definito con il termine

Human resource management system.

In merito ad una possibile scelta tra i due approcci, non può essere fatta una valutazione in termini di un modello migliore, ma ci si può basare sui risultati del trust index, dai quali

(9)

9 si nota come l’azienda Alfa presenti un risultato nettamente superiore rispetto all’azienda Gamma.

Nel complesso, dall’analisi dei culture audit, si può dedurre che entrambe le aziende hanno saputo mantenere una coerenza tra la scelta delle pratiche di gestione delle risorse umane e i loro valori, la loro strategia e cultura.

(10)

10 Capitolo I

RELAZIONE TRA LE PRATICHE DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE E LA PERFORMANCE ORGANIZZATIVA

1.1 Pratiche di gestione delle risorse umane e performance

Negli ultimi anni diverse sono state le evoluzioni che hanno caratterizzato il contesto nel quale le organizzazioni operano: lo sviluppo tecnologico, scientifico, la modifica dell’ambiente sociale e la globalizzazione hanno giocato un ruolo rilevante in questo pro-cesso di cambiamento. Si sono generate nuove dinamiche competitive, strategie innova-tive, nuovi sistemi gestionali e organizzativi. Al giorno d’oggi il cambiamento non è più considerato come un evento eccezionale e sporadico, ma come uno degli aspetti fonda-mentali all’interno di un contesto organizzativo. Le aziende per poter sopravvivere ed essere competitive in un ambiente complesso e in continua evoluzione dovrebbero riu-scire a far fronte alle dinamiche di mercato. Questo implica una predisposizione ai pro-cessi di cambiamento: flessibilità, innovazione, capacità di trasformazione, adeguamento, individuazione delle minacce e opportunità dell’ambiente (Bellandi, Giannini, 2016). All’interno di questo contesto complesso e dinamico anche la gestione delle risorse umane ha subito un processo di trasformazione; si è passati infatti da un sistema pura-mente amministrativo a una gestione molto più articolata. Inizialpura-mente l’amministrazione del personale era limitata a una concezione di tipo contabile-amministrativo dove l’obiet-tivo era quello di curare gli aspetti puramente amministrativi del rapporto di lavoro. La gestione del personale oggi è però un qualcosa di molto più complesso rispetto al passato. Può essere definita come un insieme di procedure, strumenti, pratiche e attività al fine di: selezionare, amministrare, valutare e sviluppare le risorse umane (Auteri, 2009). Questa definizione evidenzia la complessità della gestione del personale, all’interno della quale ciascuna pratica è rilevante e fondamentale per la creazione di un vantaggio competitivo. Le organizzazioni devono prestare particolare attenzione al processo di selezione,

(11)

utiliz-11 zare strumenti che sviluppino le competenze dei propri dipendenti e valorizzare costan-temente e correttamente le proprie risorse. All’interno di questa logica le persone non vengono più considerate come una semplice commodity, ma come un vero e proprio asset

competitivo aziendale. In merito alla scelta delle pratiche utilizzate è importante

sottoli-neare che non può essere individuata una modalità universale, in altre parole non esiste una “one best way” (Taylor, 1997). Le questioni inerenti a “quali” e “quante” pratiche mettere in atto sono tutt’oggi ancora molto discusse in letteratura. Ogni organizzazione deve valutare e selezionare quelle che ritiene più idonee e coerenti con la propria cultura organizzativa e con le proprie scelte strategiche.

Si vuole precisare che l’obiettivo di questo paragrafo non è quello di entrare nel dettaglio di ciascuna pratica, ma quello di fornire informazioni utili per migliorare la comprensione dei diversi modelli di gestione delle risorse umane che saranno trattati successivamente. Facendo nostra l’impostazione di Solari (2004), le pratiche di gestione delle risorse umane possono essere raggruppate in due grandi tipologie: sistemi di flusso e sistemi di compensazione. La prima categoria si ricollega a tutte quelle pratiche che movimentano le persone: pianificazione, reclutamento, selezione, percorsi di carriera, valutazione del potenziale e formazione; i sistemi di compensazione comprendono, invece, le pratiche relative alle ricompense dei dipendenti.

Come detto precedentemente nell’attuale contesto economico le persone costituiscono un vantaggio competitivo per l’organizzazione; per questa ragione è importante che ciascuna azienda scelga con attenzione le pratiche che desidera utilizzare.

Il punto di partenza di una corretta gestione delle risorse umane è la pianificazione dell’or-ganico, è importante determinare sia in termini quantitativi che qualitativi il fabbisogno delle risorse, questo serve a gestire meglio i flussi in entrata e in uscita delle persone (Gabrielli, Profili, 2016). La prima dimensione si basa su analisi matematiche e statistiche e porta a definire il numero di persone di cui l’azienda necessita in un determinato pe-riodo. L’aspetto qualitativo, invece, individua le competenze delle quali l’azienda ha bi-sogno per raggiungere i propri obiettivi(Armstrong, 2003 cit. in Gabrielli, Profili, 2016). Una volta individuate le risorse delle quali si ha bisogno, l’organizzazione deve scegliere le persone da selezionare. Il reclutamento è un processo fondamentale all’interno della gestione delle risorse umane; con questo termine si intende “una serie di pratiche e attività svolte con l’obiettivo d’identificare e attrarre potenziali dipendenti” (Barber, 1998 cit. in Solari, 2004). Il reclutamento può avvenire attraverso il mercato interno o il mercato esterno. Nel primo caso l’azienda seleziona risorse che sono già inserite all’interno

(12)

12 dell’organico, ma che ricoprono posizioni differenti rispetto a quello vacante. Il ricorso al mercato interno può avvenire mediante l’attivazione di job posting oppure tramite la mobilità tradizionale. Quest’ultima viene gestita dagli HR manager i quali individuano la persona più idonea per ricoprire la posizione vacante. Il job posting, invece, offre la pos-sibilità a ciascun dipendente di potersi autocandidare.

Per quanto riguarda la seconda modalità di reclutamento, in questo caso l’organizzazione sceglie le risorse dall’esterno, utilizzando alcuni strumenti come le inserzioni on-line, l’autocandidatura e il passaparola (Gabrielli, Profili, 2016).

La scelta del personale rappresenta un’area alquanto critica per l’organizzazione da di-versi punti di vista (Solari, 2004):

• Dal punto di vista economico-gestionale, perché in questa fase avviene la nego-ziazione con il candidato per la determinazione della retribuzione, la quale porterà indubbiamente a un aumento dei costi relativi al personale.

• Dal punto di vista tecnico, in quanto determina la scelta della qualità delle com-petenze dei candidati.

• Dal punto di vista sociale, poiché l’inserimento di una nuova persona influisce in modo rilevante sul clima organizzativo e all’interno dei gruppi di lavoro.

La selezione di una persona all’interno dell’organizzazione è il risultato di un processo di valutazione complesso e accurato. Le aziende prestano particolare attenzione alle pratiche di selezione, poiché la scelta della persona giusta gioca un ruolo rilevante ai fini del rag-giungimento degli obiettivi aziendali. Per poter selezionare le persone adeguate le orga-nizzazioni devono procedere tramite una corretta valutazione del personale. Questa può avvenire in termini di performance, posizione o potenziale; la scelta dell’oggetto varia in relazione all’obiettivo che l’organizzazione vuole raggiungere in un determinato mo-mento. La valutazione del potenziale, ad esempio può essere utilizzata per determinare i piani di crescita e sviluppare piani di carriera.

In relazione allo sviluppo del potenziale sono fondamentali le pratiche di formazione, le quali sono rivolte a incrementare la motivazione, le competenze e il coinvolgimento dei dipendenti. L’obiettivo negli attuali contesti organizzativi è quello di sviluppare sia le competenze tecniche, sia di aumentare la consapevolezza di ciascuna persona in relazione al proprio potenziale. In merito a questa formazione sono stati introdotti nelle organizza-zioni strumenti di supporto come il coaching, il couseling e il mentoring. Progettare cor-rettamente un piano di formazione implica un’accurata analisi delle esigenze dei dipen-denti e dell’organizzazione.

(13)

13 Un altro aspetto rilevante della gestione delle risorse umane è la loro motivazione. Le organizzazioni in merito a questa dimensione devono prestare particolare attenzione alle pratiche di compensation. Le risorse umane possono essere retribuite attraverso ricom-pense monetarie e non monetarie. Quest’ultime nell’attuale contesto competitivo secondo Gabrielli e Profili (2016) ricoprono un ruolo rilevante perché gratificano e motivano i dipendenti in modo maggiore rispetto alle ricompense monetarie. Queste sono legate a fattori psicologici quali: l’autostima, la realizzazione e la soddisfazione. Ne sono esempi: la possibilità di fare carriera, le gratificazioni da parte dei capi e il clima dell’ambiente di lavoro. Anche le ricompense monetarie, però, non sono da sottovalutare, poiché i dipen-denti tendono a confrontare la loro retribuzione in relazione all’andamento di mercato. Nel caso in cui la retribuzione fosse nettamente inferiore agli standard di riferimento si creerà una forte demotivazione da parte del dipendente. È importante quindi che l’azienda determini la retribuzione senza fare discriminazioni e che le pratiche di compensation vengano percepite come eque dalle persone (Gabrielli, Profili, 2016). Nella figura 1.1 viene riportato uno schema riassuntivo dei concetti appena esposti.

Figura 1.1 Schema riassuntivo

•quantitativa •qualitativa

Pianificazione

•interno •esterno

Reclutamento

•valutazione posizione •valutazione prestazione •valutazione potenziale

Selezione e

Valutazione

•competenze professionali •competenze della persona

Formazione e

Sviluppo

•ricompense monetarie •ricompense non monetarie

(14)

14

1.1.1 Outcome e performance

Diverse ricerche (Savaneviciene, Stankeviciute, 2010) hanno dimostrato che sussiste una relazione tra le pratiche di gestione delle risorse umane e la performance aziendale. Per poter comprendere meglio questa relazione è importante definire che cosa si intende con il termine performance. In un primo momento questo concetto veniva considerato solamente dal punto di vista del manager e dell’azionista, ovvero lo scopo era quello di creare ricchezza esclusivamente per queste due figure (Godard, 2004 et al cit. in Coggiola, Morelli, Sognini, 2017). Successivamente, anche con l’affermarsi della teoria degli sta-keholder, questo concetto è stato ampliato ed è stata presa in considerazione anche la soddisfazione di altre figure “portatori di interesse”, come il lavoratore e i clienti. Guest (1997) sostiene che la performance non può essere utilizzata come sinonimo di risultato o outcome, in quanto “la performance come outcome è una definizione eccessi-vamente ristretta che esclude elementi quali la soddisfazione, il rapporto con l’ambiente naturale, il contributo alle attività della comunità” (Solari, 2004 p. 98). Questo termine è inteso quindi in senso più ampio come risposta alle attese di tutti gli stakeholder.

Per poter comprendere questo concetto allargato bisogna però partire da una definizione di outcome (Solari, 2004); in merito a questo concetto, Dyer e Reeves (1995) hanno indi-viduato quattro tipologie:

• risultati relativi alle risorse umane, • risultati organizzativi,

• risultati finanziari, • risultati di mercato.

Il primo gruppo, secondo Huselid et.al., (1995), comprende risultati direttamente collegati alla gestione delle risorse umane: il turnover dei dipendenti, il tasso di assenteismo o il clima dell’ambiente di lavoro (Rodriguez, Ventura, 2003). Altre ricerche sostengono che in questi risultati siano comprese anche le competenze dei dipendenti, il loro impegno, la loro motivazione, soddisfazione e i loro comportamenti (Farndale, Kelliher, Hope-Hailey, 2010). Per quanto riguarda i risultati organizzativi, secondo Dayer e Reevers (1995) que-sti fanno riferimento ad alcune dimensioni come: la qualità del servizio, del prodotto e il

(15)

15 grado d’innovazione. Quelli finanziari comprendono indicatori come: ROI, ROA, profitti e vendite, infine i risultati di mercato riguardano la valutazione dell’impresa da parte dei mercati finanziari, in particolare sono considerati come indicatori il prezzo delle azioni e la loro variazione. Nella figura. 1.2 viene rappresentato uno schema riassuntivo delle dif-ferenti tipologie di outcome.

Figura 1.2 Outcomes

La classificazione fornita da Dyer e Revees (1995), rappresentata nella figura 1.3 per-mette di concepire la performance come una catena composta da diversi piani gerarchici in cui ogni livello contribuisce al raggiungimento di quello successivo. All’interno di questo processo, alcuni outcomes come ad esempio il tasso di turnover o di assenteismo hanno un collegamento diretto con le pratiche di gestione delle risorse umane; altri indi-catori quali ad esempio i risultati finanziari o i risultati di mercato hanno una relazione indiretta. Questo approccio è utile per poter chiarire la relazione tra la gestione delle ri-sorse umane e la performance.

HR outcomes •turonver •tasso di assenteismo •competenze dei dipendenti •motivazione e soddisfazione Organizational outcomes •qualità del servizio •qualità del prodotto •grado di innovazione Financial outcomes •ROI •ROA •profitti •vendite Market outcomes •prezzo delle azioni •variazione prezzo azioni

(16)

16 Figura 1.3 Performance outcomes

Fonte: Savaneviciene, Stankeviciute, (2010) pag. 426-434.

1.2 “Black Box”

L’influenza che le pratiche delle risorse umane hanno sulla performance organizzativa è un tema ricorrente nella letteratura della gestione del personale. Tuttavia non esiste an-cora un accordo sulla natura specifica di questa relazione, poiché non può essere deter-minato un collegamento diretto tra le due dimensioni. La mancanza di un quadro teorico unitario nei sistemi di gestione delle risorse umane e i diversi approcci teorici non aiutano sicuramente a chiarire questo collegamento. Come viene riportato dalla figura 1.4 tra il dato di input (HRM practices) e l’output (performance), si trovano una serie di variabili che rappresentano quella che viene definita in letteratura la “black box” (Savaneviciene, Stankeviciute, 2010).

Figura 1.4 Relazione

Fonte: Savaneviciene, Stankeviciute, (2010) pag. 426-434.

L’obiettivo di questo paragrafo è quello di esaminare la complessità di questa relazione cercando di chiarirne il significato ricorrendo all’analisi di alcuni modelli teorici.

(17)

17 Ai fini di questa analisi il filone di riferimento è quello dello Strategic Human Resource

Management (SHRM) il quale ha l’obiettivo di integrare e allineare la strategia di gestione

delle risorse umane con la strategia aziendale (Gabrielli, Profili, 2016). La capacità di creare questa relazione è la caratteristica che contraddistingue una configurazione pura-mente amministrativa rispetto a un’attività strategica della gestione delle risorse umane (Weizmann, Weizmann, 2001). In relazione a quest’ultima l’organizzazione dovrebbe considerare i seguenti aspetti:

• valutare se i propri collaboratori hanno compreso totalmente la strategia azien-dale;

• considerare la disponibilità di adeguare le competenze presenti per realizzare la strategia e in caso contrario capire come possono essere sviluppate;

• valutare se i collaboratori riconoscono il contributo che il loro comportamento può dare al perseguimento degli obiettivi aziendali;

• analizzare se esiste un’adeguata ricompensa per il raggiungimento degli obiettivi. Weizmann (2001) sostiene che l’organizzazione può creare un allineamento tra la sua strategia e le pratiche delle risorse umane solamente a seguito di una corretta analisi dei fattori sopracitati.

I filoni di ricerca dello SHRM identificano tre approcci in relazione al rapporto tra prati-che di risorse umane e performance aziendale (Colakoglu, Hong, Lepak, 2007, cit. in Gabrielli, Profili, 2016):

• approccio universalistico, • approccio contingente, • approccio configurazionale.

L’approccio universalistico presuppone che alcune pratiche abbiano sempre un'influenza positiva sulle prestazioni aziendali e che tutte le organizzazioni adottino queste “best

practices”.

In merito all’identificazione di quali siano queste pratiche non esiste un’unica defini-zione; alcuni autori (Rodriguez, Ventura, 2003) sostengono che le più comuni sono:

• processi di assunzione, • sistemi di formazione, • sviluppo delle competenze, • sicurezza del posto di lavoro.

(18)

18 In questo approccio si fa riferimento al concetto delle High performance work practices (HPWP), ovvero l’insieme di pratiche di gestione delle risorse umane che aumentano l’impegno, il coinvolgimento dei dipendenti e di conseguenza migliorano le prestazioni organizzative (Eisenberger et al, 1997 cit in Munteanu, 2014). In merito alla tipologia di pratiche che rientrano in questo modello non esiste una definizione univoca, ma nel tempo diversi autori hanno individuato e selezionato pratiche differenti; questa evoluzione viene riassunta nella tabella 1.1.

Partendo da una prima definizione, quella di Huselid (1995), le pratiche ad alte presta-zioni sono riferite esclusivamente ai premi, incentivi e al coinvolgimento dei dipendenti. Successivamente Pfeffer (1998) ha incluso all’interno di questo modello ulteriori prati-che:

• sicurezza del posto di lavoro, • reclutamento selettivo,

• team autogestiti e decentramento decisionale, • formazione intensiva,

• elevate retribuzioni,

• condivisione delle informazioni, • riduzione delle differenze di status.

Per concludere una delle più recenti definizioni è quella di Boselie (2009) il quale defini-sce questo modello come un insieme di pratiche che aumentano le ability, motivation,

opportunity (AMO) dei dipendenti, le quali contribuiscono a loro volta a migliorare la

performance aziendale (Bray, Mitchell, Obeidat, 2016).

Il modello AMO non è oggetto del presente capitolo, verrà approfondito successivamente. Riassumendo, come si può notare dalla tabella 1.1 il concetto di High performance work

practices (HPWP) è stato analizzato inizialmente come l’insieme di pratiche di

recluta-mento e formazione delle risorse umane, successivamente hanno assunto rilevanza anche le pratiche di sicurezza dei dipendenti, di coinvolgimento e comunicazione.

Gli autori in letteratura (Boselie, Jeffrey et.al cit in Munteanu 2014) hanno scoperto che un sistema combinato di queste pratiche genera prestazioni superiori nelle organizzazioni rispetto all’utilizzo di una singola pratica. In termini di prestazioni, questi autori inten-dono sia quelle di tipo finanziario (maggiore produttività, profitto) sia quella non finan-ziarie (maggiore soddisfazione dei dipendenti, loro fedeltà).

In particolare secondo Huselid (1995) HPWP genera un aumento della fidelizzazione dei dipendenti e il continuo investimento nel personale amplifica questo effetto.

(19)

19 Nel complesso le pratiche di lavoro ad alte prestazioni devono adattarsi a ciascuna orga-nizzazione, la quale deve saperle combinare al fine di trovare la miglior “formula” per riuscire a motivare i propri dipendenti.

Tabella 1.1 Evoluzione HPWP

Fonte: Munteanu (2014), pag. 243-250.

L’approccio contingente, diversamente da quello universalistico, prevede che il legame tra la gestione delle risorse umane e le prestazioni organizzative sia mediato da alcuni fattori. Questi possono essere di origine interna come la strategia, la cultura, la tecnologia e la fase del ciclo di vita dell’azienda o di origine esterna come ad esempio il settore in cui l’organizzazione opera (Colakoglu, Hong, Lepak, 2007, cit. in Gabrielli, Profili, 2016). La strategia aziendale è considerata il principale fattore che influenza questa rela-zione (Delery and Doty, 1996, citato in Rodriguez, Ventura, 2003). Per comprendere tale collegamento basta osservare le scelte in termini di pratiche di due aziende che perse-guono strategie differenti. Un’organizzazione basata su una strategia di riduzione dei costi pone l'accento sulle relazioni a breve termine con i propri dipendenti e tende a ridurre al minimo i processi di formazione e di sviluppo (Schuler, Jackson 1987a, 1987b cit. in Rodriguez, Ventura, 2003). Un’azienda che persegue una strategia di differenziazione, invece, si focalizza su sistemi di gestione delle risorse umane basati sulla valutazione della performance, sulla formazione e lo sviluppo di carriera. In questo caso la perdita di dipendenti competenti impedirebbe all'azienda di accumulare lo stock di conoscenze e

(20)

20 competenze necessarie per lo sviluppo di una strategia basata sull’innovazione. Questo implica che il turnover dei dipendenti potrebbe avere conseguenze disastrose per l'orga-nizzazione. È molto probabile in questo caso che l’azienda applichi quindi pratiche di gestione delle risorse umane orientate alla fidelizzazione dei dipendenti.

Legge (2005) sostiene che ci siano due approcci differenti nell’analizzare la relazione tra la strategia aziendale e le pratiche di gestione delle risorse umane. Il primo viene definito

hard e considera la gestione del personale come un’attività che si deve integrare con la

strategia aziendale. In questo approccio le pratiche sono considerate passive, nel senso che non godono di nessuna autonomia, ma devono seguire totalmente la strategia. Il se-condo viene definito soft e considera le persone come un vantaggio competitivo per l’azienda; la gestione delle risorse umane in questo caso assume un ruolo attivo (Gabrielli G., Profili S. 2016). I dipendenti tramite le loro conoscenze, competenze, la loro motiva-zione e l’impegno possono influenzare direttamente il clima organizzativo, la produttività e di conseguenza la performance aziendale. L’approccio hard viene anche detto “a una via” in quanto non crea una relazione reciproca tra pratiche e strategia; l’approccio soft viene definito “a due vie” poiché le pratiche condizionano la strategia e viceversa. Nel complesso il presupposto implicito di questo approccio è che l'allineamento della strategia e delle pratiche di gestione delle risorse umane consente alle organizzazioni di ottenere prestazioni superiori (Rodriguez, Ventura, 2003).

Infine il filone configurazionale sostiene che le pratiche di gestione delle risorse umane abbiano un’influenza sulla performance solamente quando vengono combinate e consi-derate nel loro insieme come un bundle (letteralmente pacchetti) (Colakoglu, Hong, Le-pak, 2007, cit. in Gabrielli, Profili, 2016). In merito a questo approccio è importante sa-pere che le pratiche vengono inizialmente pianificate, successivamente implementate e solo infine vengono percepite dal dipendente. Secondo alcuni autori (Purcell et al., 2003) sono proprio queste percezioni ad influenzare i risultati delle risorse umane e di conse-guenza le performance aziendali (Farndale, Kelliher, Hope-Hailey, 2010).

(21)

21 1.3 Modelli di gestione delle risorse umane

Ulteriori studi (Baird, Meshoulam, 1988; Cravens, Oliver, 2006; Saridakis et al., 2017 cit. in Coggiola, Morelli, Sognini, 2017) dichiarano che un aumento dell’efficienza delle pratiche di gestione delle risorse umane si presenta quando si generano due allinea-menti: uno di tipo verticale e uno orizzontale. Il primo è riferito alla relazione appena analizzata tra le pratiche e la strategia organizzativa. Il secondo si presenta nel momento in cui le pratiche inserite all’interno di un bundle si rafforzano l’una con l’altra creando sinergie e generando un maggiore effetto sulla performance.

L’obiettivo di questo paragrafo è quello di analizzare alcuni modelli di gestione delle risorse umane e di comprendere quali pratiche possono essere individuate all’interno di ognuno.

Alcuni autori tra cui Gong, Law, Chang et al., (2009) sostengono che il modello AMO (ability, motivation, opportunity) sia uno dei bundle più utilizzati per studiare la relazione tra gestione delle risorse umane e performance. Si tratta di un set specifico di pratiche volte a migliorare le abilità, la motivazione e l’opportunità dei dipendenti, con l’obiettivo di generare risultati positivi in termini di un maggiore impegno, una maggiore produtti-vità, qualità e migliori prestazioni finanziarie (Jiang, Lepak et al., 2012). “Questo perché i vantaggi di un processo di crescita (opportunity) possono essere sfruttati appieno solo quando i dipendenti hanno competenze e conoscenze (ability) per prendere decisioni cor-rette e sono opportunamente motivati (motivation)” (Wright et al., 1999 cit. in Coggiola, Morelli, Sognini, 2017 p. 19). In relazione a queste ricerche è opportuno chiarire le pra-tiche alle quali si fa riferimento.

Partendo dalla prima dimensione (ability) si considerano tutte quelle pratiche che aiutano a sviluppare nei dipendenti le competenze necessarie allo svolgimento delle loro mansioni (Sarikwal, Gupta 2013 cit. in Juan, Juan Martinez, 2016). Si fa riferimento in particolar modo al reclutamento, a un’accurata selezione e alla formazione.

Delaney e Huselid (1996) sostengono che le aziende possano migliorare le capacità dei propri dipendenti mediante un’accurata selezione del personale e adeguati percorsi di for-mazione e sviluppo (Jiang, Lepak et al., 2012). In relazione all’aumento delle compe-tenze, le aziende hanno la facoltà di scegliere se cercare nuove risorse da inserire nel proprio organico o se migliorare e formare quelle che hanno già a disposizione (Bray,

(22)

22 Mitchell, Obeidat, 2016). Qualora decidessero di selezionare nuove persone, la loro at-tenzione dovrà essere rivolta prima di tutto ad una scelta accurata degli strumenti da uti-lizzare, è importante che le metodologie di selezione siano efficaci e che assicurino la scelta del candidato migliore.

I criteri su cui basare una corretta scelta degli strumenti sono (Gabrielli, Profili, 2016): • Affidabilità, con questo termine si fa riferimento “alla coerenza dello strumento

con l’oggetto misurato, ossia alla capacità di escludere errori dovuti a disturbi casuali” (Noe et al., 2006 cit. in Gabrielli, Profili, 2016 p. 149). Secondo Gabrielli e Profili (2016) uno strumento può essere considerato affidabile quando la misu-razione di uno stesso oggetto ripetuta nel tempo ed effettuata da persone diverse produce risultati sostanzialmente simili.

• Validità, indica la capacità dello strumento di riuscire a selezionare il candidato migliore, mettendo in relazione diretta il risultato ottenuto dal test con la reale prestazione offerta dal lavoratore. L’invalidità potrebbe generare alcuni errori come ad esempio l’inserimento di una persona che non possiede le competenze adeguate per poter svolgere la mansione per la quale è stata scelta. Un altro errore potrebbe essere l’esclusione di individui che invece sarebbero potuti essere validi all’interno dell’organizzazione.

• Sensibilità, secondo Gabrielli e Profili (2016 p. 150) questo termine “indica la capacità di discriminare tra candidati che presentano elevate similitudini”. Un esempio può essere la scelta di un neolaureato tra individui che hanno terminato lo stesso percorso di studi.

• Economicità e praticità, questi due criteri fanno riferimento al costo degli stru-menti da utilizzare e alla loro capacità di adeguarsi a contesti diversi all’interno dell’organizzazione.

Sulla base di questi criteri le aziende possono scegliere lo strumento che ritengono più idoneo: il colloquio individuale o di gruppo, intervista strutturata o non strutturata, test cognitivi, test di personalità, role play, prove in-basket (Coggiola, Morelli, Sognini, 2017).

Nel caso in cui le organizzazioni invece volessero potenziare le competenze delle risorse interne dovrebbero utilizzare gli strumenti di formazione, è opportuno quindi prestare particolare attenzione alla progettazione di piani formativi.

(23)

23 La seconda dimensione del modello AMO ovvero la motivazione è definita come “il grado in cui un individuo desidera e sceglie d’impegnarsi in determinati comportamenti" (Kim et al., 2015 cit. in Juan, Martinez, 2016). Secondo Schimansky (2014) la motiva-zione può essere di due tipi: estrinseca o intrinseca. La prima è generata da fattori esterni all’individuo, come ad esempio la retribuzione o le promozioni; la seconda proviene da interessi e valori individuali, come il grado di soddisfazione del proprio lavoro oppure la motivazione generata dalla possibilità di ottenere una crescita professionale (Bray, Mit-chell, Obeidat, 2016). Le pratiche inserite all’interno di questa dimensione hanno lo scopo di incentivare i dipendenti al raggiungimento degli obiettivi aziendali; alcuni esempi sono: la valutazione della performance, gli sviluppi di carriera e la sicurezza del posto di lavoro (Demortier et al., 2014 cit. in Juan, Martinez, 2016). Queste pratiche non solo aumentano la motivazione dei dipendenti generando di conseguenza una maggiore pro-duttività, ma rendono l’organizzazione anche più competitiva. Ciò porta ad un aumento della probabilità di attrarre risorse con competenze elevate.

L’ultima dimensione è legata a tutte quelle pratiche rivolte alla creazione di opportunità per le persone, ovvero la possibilità per i dipendenti di poter utilizzare le proprie capacità al fine di partecipare alle decisioni aziendali (Juan, Martinez, 2016).

Secondo gli autori Juan, Martinez (2016) queste pratiche possono essere raggruppate nelle seguenti categorie:

• Pratiche di coinvolgimento dei dipendenti, come ad esempio la creazione di gruppi di lavoro autogestiti e attività di coinvolgimento nel processo decisionale. • Pratiche di condivisione delle conoscenze, dove l’obiettivo è quello di aumentare

la circolazione delle informazioni all’interno dell’organizzazione. In questo caso vengono sviluppati piani di comunicazione tra dipendenti e manager e si cerca d’incoraggiare le persone ad esprimere la loro opinione.

• Pratiche di miglioramento dell'autonomia, sono collegate allo sviluppo di un de-centramento decisionale e a maggiori responsabilità per i dipendenti.

Ciascuna dimensione del modello crea un effetto positivo su uno specifico outcome, un aumento delle abilità ad esempio migliora la produttività dei dipendenti e di conseguenza genera un impatto positivo sulla performance finanziaria. Le pratiche che sviluppano la motivazione riducono nei dipendenti l’intenzione di abbandonare l’organizzazione, que-sto genera una diminuzione del tasso di turnover (Arthur 1994, Batt 2002, Guthrie 2001, Huselid 1995).

(24)

24 È importante individuare anche come ciascuna dimensione influisca sull’altra; ad esem-pio nel momento in cui i dipendenti non hanno le abilità e le competenze adeguate per svolgere le loro mansioni (ability), probabilmente la loro motivazione diminuisce perché non si sentono all’altezza di poter ricoprire quel determinato ruolo (motivation). In questo caso la creazione di gruppi di lavoro potrebbe creare l’opportunità per i dipendenti di poter esprimere le loro capacità (opportunity), ma allo stesso tempo di acquisire nuove conoscenze (ability).

Nel complesso la combinazione di queste dimensioni genera un aumento della perfor-mance aziendale. Nella figura 1.5 viene riportato uno schema riassuntivo delle principali pratiche che sono inserite all’interno di ciascuna dimensione.

Figura 1.5 Dimensioni AMO

1.3.1 High-performance work system

Un sistema ad alte prestazione chiamato anche high-performance work system (HPWS) viene definito dagli autori Davis e Randy (2005) come un sistema coerente ed integrato di pratiche di risorse umane che migliorano le prestazioni organizzative.

Ability

•Reclutamento •Selezione •Formazione

Motivation

•Valutazione delle performance •Incentivi economici e benefit •Sicurezza del posto di lavoro •Sviluppi di carriera

Opportunity

•Pratiche di coinvolgimento dei dipendenti •Pratiche di condivisione delle conoscenze •Pratiche di miglioramento dell'autonomia

(25)

25 Attraverso diverse ricerche Huselid e Becker (1998) hanno concluso che le pratiche più comuni all’interno di questo sistema sono:

• Selezione accurata, basata su procedure per valutare e rilevare le abilità, le cono-scenze e le competenze dei candidati. Al fine di una corretta scelta del candidato è fondamentale che ci sia un allineamento tra la persona selezionata, il contesto lavorativo e la mansione che dovrà svolgere; inoltre una selezione si può definire corretta quando si conclude con la soddisfazione di entrambe le parti: l’organiz-zazione e il candidato (Gabrielli, Profili, 2016).

• Gruppi di lavoro autogestiti, questo può avvenire attraverso la creazione di team caratterizzati da elevati gradi di responsabilità e autonomia. Le pratiche rivolte al decentramento decisionale sono basate sullo sviluppo dell’empowerment, ovvero “il processo individuale e organizzativo attraverso il quale le persone raggiungono la padronanza e il controllo della loro vita organizzativa” (Piccardo 1995 cit. in Giannecchini, Costa, 2005 p. 289).

• Formazione, rivolta allo sviluppo di capacità tecniche e competenze interperso-nali. L’azienda crea piani formativi sia per i nuovi assunti che per le persone che hanno già esperienza.

• Flessibilità del lavoro, si ottiene incentivando la rotazione del lavoratore mediante lo svolgimento di diverse mansioni. Questa job rotation genera benefici sia per i dipendenti poiché riduce la monotonia della loro mansione, sia per l’organizza-zione la quale avrà una maggiore flessibilità della forza lavoro.

• Comunicazione, si ottiene migliorando la comunicazione tra colleghi e tra dipen-denti e manager (orizzontale e verticale). Si utilizzano pratiche che incentivano i lavoratori a esporre i propri punti di vista e suggerimenti.

• Ricompense, in questo caso è importante che le pratiche di compensation siano basate sul principio dell’equità.

Di seguito nella tabella 1.2 vengono riportate le categorie di pratiche appena citate con una breve descrizione e alcuni esempi.

(26)

26 Tabella 1.2 Pratiche di gestione delle risorse umane HPWS

Fonte: Davis, Randy Evans. (2005) pag. 758-775.

Per poter comprendere meglio le pratiche che rientrano in questo sistema si è scelto di riportare anche un'altra analisi dell’HPWS.

Alcuni autori (Chiang, Hsu, Shih, 2006) per studiare questo modello hanno preso in con-siderazione due fattori: job infrastructure e job security. Con il termine job infrastructure intendono una serie di pratiche che forniscono ai dipendenti le abilità e i mezzi per poter svolgere le loro mansioni e che incentivano la loro motivazione: una selezione accurata dei lavoratori, programmi di formazione, condivisione delle informazioni, meccanismi di coinvolgimento dei lavoratori e compensi relativi alle prestazioni. Queste pratiche se-condo lo studio se-condotto aumentano le competenze, il coinvolgimento e la motivazione dei dipendenti generando un aumento della performance organizzativa. La fidelizzazione dei dipendenti diventa quindi un aspetto fondamentale all’interno di organizzazioni che si basano su un modello di HPWS, le quali cercano di offrire non solo un’accurata job

(27)

27 Nel complesso come può essere osservato dalla figura 1.6 questi due fattori contribui-scono ad aumentare la performance organizzativa. La combinazione di queste pratiche crea una struttura di lavoro che permette all’organizzazione di migliorare la performance e di adeguarsi meglio ai cambiamenti di mercato.

Figura 1.6 HPWS

Fonte: Chiang, Hsu, Shih, (2006) pag. 741-763.

1.3.2 High involvement work system

I sistemi di lavoro ad alto coinvolgimento, high involvement work system (HIWS) rappresentano un insieme di pratiche di gestione delle risorse umane che aumentano la performance organizzativa tramite un maggiore coinvolgimento da parte dei collaboratori (Van Buren e Werner, 1996 cit. in Edwards, Wright, 2001).

Alcune ricerche (Bailey et al., 2001, Patterson et al., 2004; Zacharatos et al., 2005) so-stengono che questo gruppo di pratiche genera risultati positivi per i dipendenti, per l’or-ganizzazione e per i clienti. La gestione delle risorse umane all’interno dell’high

involve-ment work system considera le persone come risorse per l’organizzazione sulle quali poter

investire e non come un costo da dover controllare e ridurre (Barling 2003, Pfeffer 1998 cit. in. Edwards, Wright, 2001).

(28)

28 In letteratura non esiste ancora un approccio universale su quali pratiche rientrino in que-sto sistema e tantomeno è chiaro il loro collegamento con la performance organizzativa (Boxall and Macky, 2007 cit. in Barling, Mendelson, Turner, 2011). Wood e Wall (2002) sostengono che la principale causa della mancanza di queste informazioni derivi dal fatto che fino ad oggi le pratiche all’interno di questo sistema sono state scelte su basi empiri-che piuttosto empiri-che su basi concettuali e teoriempiri-che.

Di seguito sono riportate le considerazioni di alcuni autori in relazione alle possibili pra-tiche che andrebbero ricondotte a questo modello.

Huselid (1997) ha distinto tra pratiche tecniche di gestione delle risorse umane e quelle ad alto coinvolgimento. Nella prima categoria ha incluso: il reclutamento selettivo, le ricompense legate alla performance e la formazione. Nel secondo gruppo ha identificato una serie di pratiche definite strategiche che secondo l’autore rientrano all’interno di un sistema ad alto coinvolgimento: una combinazione di pratiche che incentivano la comu-nicazione di tipo bottom-up dove i reclami e i suggerimenti dei dipendenti ricoprono un aspetto rilevante, schemi per incentivare l'autonomia dei dipendenti e la creazione di team di lavoro (Edwards, Wright, 2001).

Pratiche molto simili sono state identificate da Ashton e Sung (2002) i quali hanno tenuto in considerazione anche: la formazione e lo sviluppo, la valutazione delle prestazioni e relativi sistemi di ricompensa (Felstead, Gallie, 2004).

Brown et al., (1993) dichiarano che la formazione dei dipendenti e la sicurezza del posto di lavoro influiscano fra di loro in maniera reciproca creando un high involvement work

system. La job security da una parte genera un maggior coinvolgimento dei dipendenti,

dall’altra incentiva i manager ad investire di più nei processi di formazione, di conse-guenza i dipendenti più qualificati creano un aumento della produttività.

Bailey et al. (2001) sostengono che i sistemi di lavoro ad alto coinvolgimento possono essere ricondotti a tre gruppi di pratiche:

• Il primo gruppo comprende tutte quelle pratiche che creano la possibilità di par-tecipare al processo decisionale. La condivisione delle informazioni è la base di questo bundle of practice, dove l’obiettivo è quello di creare un ambiente di lavoro nel quale le persone si sentano libere di partecipare in maniera equa al processo decisionale.

• La seconda tipologia comprende gli incentivi che motivano i dipendenti a impe-gnarsi in attività decisionali. L’obiettivo è quello di attuare pratiche che sviluppino

(29)

29 sistemi basati sulla condivisione di idee e che aumentino il grado di autonomia di ciascun dipendente.

• Nel terzo gruppo si presta particolare attenzione alla fase di selezione, nella quale la scelta delle persone sarà orientata su coloro che sono predisposti a lavorare in team e che hanno buone doti comunicative. Anche le pratiche rivolte ad una for-mazione più approfondita rientrano in questo ultimo gruppo. In questo caso la formazione non sarà rivolta solamente allo sviluppo di competenze tecniche utili allo svolgimento della mansione, ma anche allo sviluppo di competenze trasver-sali e del potenziale (Axtell e Parker, 2003 cit. in Edwards, Wright, 2001).

1.3.3 High commitment work practices

Le organizzazioni possono decidere se utilizzare pratiche di controllo oppure di commitmnet (Arthur, 1994; Walton, 1985; Wood & de Menezes, 1998 cit. in Whitener, 2001).

Un approccio basato sul controllo è focalizzato su una riduzione dei costi del lavoro, l’utilizzo di regole rigide, sanzioni, procedure, il monitoraggio continuo e un sistema di ricompensa basato sui risultati (Arthur, 1994 cit. in Whitener, 2001). La relazione tra i dipendenti e i manager è vista come una semplice negoziazione nella quale si crea uno scambio tra prestazione e retribuzione.

Le pratiche basate sul commitment, invece, hanno l’obiettivo di aumentare la produttività e influenzare la motivazione dei dipendenti. In questo caso i manager devono imparare a condividere le responsabilità, le informazioni e gli obiettivi con i propri collaboratori (Whitener, 2001).

Il commitment “rappresenta uno stato d’animo, una relazione tra lavoratore e datore di lavoro che sostiene un orientamento positivo e proattivo” (Costa., Giannecchini, 2005 p. 206).

Secondo altri autori Mowday, Steers, Porter (1979) il commitment è riferito alla volontà da parte dei dipendenti di esercitare sforzi nei confronti dell’organizzazione.

Murrel e Meredith (2000) sostengono che una gestione basata sul commitment si ottenga nel momento in cui nell’organizzazione si presentano le seguenti condizioni:

(30)

30 • la leadership appartiene a tutti i collaboratori e non solamente ad alcuni;

• ai dipendenti vengono forniti gli strumenti e la formazione adeguata per svolgere nel miglior modo il loro lavoro;

• la cultura aziendale è basata sulla condivisione delle informazioni; • il coinvolgimento dei dipendenti avviene in maniera costante e continua.

Alcuni autori (Settoon et al., 1996) sostengono che se l’organizzazione compie azioni che sono percepite positivamente dai propri dipendenti, probabilmente riceverà da parte loro un maggior impegno e delle migliori prestazioni.

Ostroff e Bowen (2000) a riguardo sostengono che il commitment non è strettamente le-gato alla pratica in sé utilizzata, bensì alla percezione che il dipendete ha in relazione alla pratica stessa. Tuttavia non si esclude che alcune pratiche abbiano più probabilità di altre di generare un maggiore impegno (Delery, 1998 cit. in. Whitener, 2001). A riguardo Huselid (1995) sostiene che possono essere individuati due gruppi principali: quelle che migliorano le competenze e quelle che migliorano la motivazione dei dipendenti. Alla prima categoria vengono ricondotte le pratiche di selezione e formazione. Il secondo gruppo, invece, include le attività di valutazione e compensazione delle prestazioni (Whi-tener, 2001). Dalla teoria di Huselid (1995) si evince che all’interno dell’HCWP viene assegnato maggiore rilievo alla valutazione della prestazione.

Guest (2000) sostiene che le pratiche che migliorano l’impegno dei dipendenti sono quelle che promuovono la sicurezza del posto di lavoro e offrono un trattamento equo per ogni lavoratore.

Da altre ricerche (Garcia, Guest, Latorre, Ramos, 2016) è stato dimostrato che se i dipen-denti percepiscono in maniera positiva le pratiche la job satisfaction cresce e conseguen-temente aumenta anche il commitment. Questo processo riduce il tasso di turnover e il tasso di assenteismo aumentando così la performance organizzativa. Nella figura 1.7 è riportato il diagramma del processo appena descritto.

(31)

31 Figura 1.7 HCWP

Fonte: Garcia, Guest, Latorre, Ramos (2016) pag. 1-10.

1.3.4 Human resource management system

La complessità del contesto competitivo, lo sviluppo tecnologico e la velocità di circolazione delle informazioni hanno portato alla nascita di nuovi modelli di gestione delle risorse umane.

Molte organizzazioni hanno oltrepassato le funzioni tradizionali sviluppando sistemi in-formatici per supportare alcuni processi come: reclutamento, selezione, assunzione, col-locamento, valutazioni delle prestazioni, analisi dei benefici dei dipendenti. Con il ter-mine human resource management system si intende un sistema di gestione del personale integrato con l’utilizzo di sistemi tecnologici; software o servizi online per monitorare analizzare i dati relativi alle risorse umane.1

La scelta degli strumenti da utilizzare deve soddisfare le necessità aziendali e supportare il raggiungimento degli obiettivi, per queste ragioni non esiste un sistema universale, ma solamente modelli personalizzati al contesto aziendale. Questa gestione permette alle or-ganizzazioni di automatizzare lo svolgimento di diverse mansioni, ottimizzando i tempi di lavoro e dando la possibilità allo staff di gestione delle risorse umane di dedicarsi di

(32)

32 più alle funzioni puramente strategiche. Nel complesso un’adeguata scelta di un human

resource management genera un aumento delle performance aziendali.

Le principali pratiche che vengono gestite all’interno di questo sistema sono:

Reclutamento, l’utilizzo del web è diventato uno dei principali metodi utilizzati dai responsabili delle risorse umane per raccogliere potenziali candidati per le po-sizioni disponibili all'interno di un'organizzazione.

• Giorni di lavoro, permette di automatizzare i processi relativi al monitoraggio del tempo di lavoro, migliora le prestazioni dell'organizzazione eliminando i docu-menti e gli errori generati dai processi manuali associati al calcolo delle presenze. • Retribuzioni, questo modulo automatizza la procedura di pagamento raccogliendo i dati sul tempo di lavoro dei dipendenti, tendendo conto di eventuali detrazioni o imposte.

• Formazione, permette alle organizzazioni di gestire e controllare i piani di forma-zione e sviluppo dei dipendenti, di offrire corsi di aggiornamento online e moni-torare le competenze dei dipendenti attraverso questionari.

• Benefit, fornisce un sistema per amministrare e tenere traccia della partecipazione dei dipendenti ai programmi di benefit.

Per un migliore risultato delle prestazioni organizzative è fondamentale che le organizza-zioni prima di scegliere un sistema di questo tipo analizzino bene le loro necessità e i loro obiettivi. Qualora la valutazione non fosse corretta non solo non avrebbero un migliora-mento della performance, ma probabilmente rischierebbero di generare problematiche re-lative all’utilizzo e alla gestione di dati sensibili.

(33)

33 Capitolo II

IL MODELLO DI GREAT PLACE TO WORK: GIUSTIZIA E FIDUCIA

2.1 Giustizia e fiducia organizzativa

Alcune ricerche (Farndale, Kelliher, Hope-Hailey, 2010) hanno dimostrato che la fiducia e la giustizia giocano un ruolo fondamentale all’interno di un contesto organizza-tivo. La percezione dei dipendenti in relazione alle pratiche utilizzate varia proprio in base al grado di fiducia e giustizia che i collaboratori hanno nei confronti del manage-ment.

Bowen (1999) sostiene che un migliore trattamento dei lavoratori genera un migliora-mento nelle modalità di trattamigliora-mento dei clienti e viceversa (Solari, 2004); nel complesso la giustizia ha un’influenza notevole sul clima organizzativo.

Con questo termine si intende, secondo Ferrari (2013) “la percezione della qualità morale di come i collaboratori sono trattati dall’organizzazione e dagli altri membri” (Ferrari, 2013 p.115).

Da alcune ricerche (Rupp, Mohler, Schminke, 2001 cit. in Ferrari, 2013) sono emerse tre buone ragioni per le quali la giustizia interessa particolarmente ai manager:

• Un’organizzazione nella quale è presente questa dimensione probabilmente è un ambiente che rassicura i dipendenti e che riduce il livello di stress e di ansia. • Il senso di appartenenza è insito nella natura dell’uomo e si presenta anche

all’in-terno di un contesto lavorativo, indipendentemente dai vantaggi economici il la-voratore deve sentirsi motivato, solamente in questo caso si impegnerà di più nei confronti dell’organizzazione. La giustizia, quindi, è un elemento fondamentale per intensificare il senso di appartenenza e migliorare la motivazione.

• Un lavoratore ha la necessità non solo di percepire la giustizia nei propri confronti, ma anche di vedere che i colleghi sono trattati in modo corretto e giusto.

Al fine di poter comprendere meglio che cosa si intende con giustizia organizzativa si è deciso di riportare alcune principali categorie (Cropanzano, Bowen, Gilliland, 2007 cit. in Ferrari, 2013):

(34)

34 • giustizia distributiva,

• giustizia procedurale, • giustizia relazionale.

La giustizia distributiva, come dice la parola stessa, è relativa ai criteri di distribuzione delle risorse; fa riferimento in particolar modo alla percezione dei dipendenti in relazione al rapporto tra ricompensa e contributo offerto. Un tipico caso di ingiustizia distributiva si presenta nel momento in cui un lavoratore ottiene una retribuzione minore rispetto a quella di un suo collega che ha offerto un contributo lavorativo nettamente inferiore. Non è facile riuscire a trovare il criterio più idoneo per distribuire le risorse, questo dipende sia dalla strategia dell’organizzazione, sia dal tipo di risorsa stessa. Qualora l’azienda volesse migliorare le prestazioni del singolo lavoratore, dovrà applicare una retribuzione equa, vale a dire un compenso basato sul merito; se invece decidesse di sviluppare un senso di appartenenza, tenderà a utilizzare un metodo basato sull’uguaglianza.

Per quanto riguarda, invece, la natura delle risorse quelle di tipo economico predispon-gono ad un criterio basato sull’equità, mentre quelle di tipo socio-emozionale a un criterio di uguaglianza.

Non esiste quindi un modello predefinito, ma è fondamentale che quello utilizzato sia coerente con la strategia aziendale e con gli obiettivi che l’organizzazione desidera rag-giungere.

La giustizia procedurale è invece riferita alle modalità e procedure mediante le quali ven-gono distribuite le risorse; in questo caso il focus non è più relativo alla percezione della risorsa in quanto tale, ma è riferito alle regole di assegnazione di quest’ultima.

Secondo alcuni autori (Levnthal, Karuza, Fry, 1989 cit. in Ferrari, 2013) è importante che la giustizia procedurale presenti alcune caratteristiche:

• deve essere applicata a tutti, senza alcuna distinzione e non devono essere messe in atto azioni discriminatorie nei confronti delle persone;

• le decisioni in relazione alla procedura devono essere accurate, verificabili ed eti-camente valide;

• le procedure devono poter essere corrette e modificabili.

Nel caso in cui un dipendente percepisca come corretto un processo, probabilmente si comporterà in maniera più consona e leale e avrà una maggiore fiducia nei confronti del management. Questo significa che la giustizia procedurale ha un impatto positivo sull’in-tera organizzazione.

(35)

35 L’ultima tipologia è la giustizia relazionale, ovvero quella riferita alle relazioni interper-sonali.

Alcuni autori (Colquitt, Conlon, Wesson, 2001 cit. in Ferrari, 2013) hanno individuato due tipologie di giustizia relazionale: quella relativa al trattamento ricevuto dal dipen-dente da parte dei manager o dei colleghi e la giustizia relativa al grado di condivisione delle informazioni.

Diversi studi (Clay-Warner et al, 2005 Cohen-Carash, Spector, 2001 cit. in Ferrari, 2013) hanno inoltre dimostrato che la giustizia contribuisce a creare la fiducia e l’impegno dei dipendenti (commitment).

La fiducia è una dimensione intangibile legata ad un processo che avviene durante uno scambio relazionale tra due persone: una che concede fiducia e l’altra che la riceve (Ca-valiere, Lombardi, Sassetti, 2016).

All’interno di questo processo possono essere identificate tre fasi:

• Nella prima fase un soggetto esprime un giudizio inerente all’affidabilità dell’altra parte.

• Nella seconda fase sulla base del giudizio espresso precedentemente, la persona decide se fidarsi o meno.

• Nella terza fase, qualora l’individuo avesse deciso di dare fiducia, dovrà assumersi il rischio di un mancato adempimento degli obblighi su cui si basa il rapporto. Il risultato di questo processo non è sempre positivo, ma possono manifestarsi due situa-zioni in particolare. Un primo caso si ha nel momento in cui la persona che riceve la fiducia mette in atto delle azioni al fine di alimentare questa dimensione: adempiere agli obblighi della relazione oppure agire con onestà. Un secondo caso si presenta nel mo-mento in cui la relazione di fiducia si trasforma in un rapporto opportunistico, in questa situazione l’individuo che aveva riposto la fiducia incorrerà a conseguenze indesiderate (Cavaliere, Lombardi, Sassetti, 2016).

Alcune ricerche (Chiang, Hsu, Shih, 2006) dimostrano che la fiducia facilita le relazioni tra gli individui e l’organizzazione, migliora la motivazione e l’impegno dei dipendenti. Lo studio di questa dimensione non è così semplice e diverse sono state le definizioni date dagli studiosi.

Ellis e Schockley-Zalabak definiscono la fiducia come “aspettative positive sul compor-tamento degli altri in base ai ruoli, relazioni, esperienze e interdipendenze” (Ellis e Schoc-kley-Zalabak pag 383 cit. in Chiang, Hsu, Shih, 2006 p. 50). Un’altra definizione consi-dera la fiducia come “la volontà di rendersi vulnerabili rispetto ad altri” (Cropanzano,

(36)

36 Bowen, Gilliland, 2007 p. 39 cit. in Ferrari, 2013), che si sviluppa attraverso un processo di scambio sociale in cui i dipendenti interpretano le azioni del management e ricambiano di conseguenza.

Rotter (1967) sostiene che la fiducia sia “un’aspettativa sostenuta da un individuo o da un gruppo in base alla quale la parola, la promessa, la dichiarazione verbale o scritta di un altro individuo o gruppo può essere invocata” (Rotter 1967 p. 665 cit. in Chiang, Hsu, Shih, 2006).

La fiducia è un frutto di un percorso duraturo, corretto e basato sulla chiarezza e il rispetto degli obblighi; in sostanza alla base di questo concetto deve essere presente un rapporto che ha dimostrato solidità nel tempo.

Alla base della fiducia aziendale si possono trovare, secondo gli autori Gramegna, Lenar-don, (2014) cinque pilastri riassunti nella figura 2.1:

Figura 2.1 Pilastri

• Sostenibilità, è importante che i dipendenti percepiscano la solidità del progetto imprenditoriale, in quanto è il pilastro fondamentale sul quale si basa la fiducia all’interno di un’organizzazione.

• Valori, le aziende devono mettere in atto delle azioni che siano coerenti con i propri valori. Le persone acquisteranno fiducia solamente nel momento in cui tro-veranno un riscontro tra i valori su cui si basa l’organizzazione e le azioni concrete per metterli in atto. Ne è un esempio il caso di un’azienda che dichiara di essere particolarmente attenta all’ambiente, ma che si ritrova ad adottare comportamenti contrari ai suoi valori. In questo caso la perdita di fiducia sarà maggiore rispetto ad un’organizzazione che si presta a compiere le stesse azioni, ma è fondata su valori differenti.

Fiducia

(37)

37 • Norme, come sostengono i due autori Gramegna, Lenardon, (2014) allo stesso modo dei valori, anche le norme ovvero “tutto ciò che regola le azioni ne deter-mina vincoli, procedure, poteri, libertà e discrezionalità” devono essere seguite dalle organizzazioni al fine di aumentare la fiducia.

• Persone, sono considerate una vera e propria risorsa all’interno delle aziende; è importante che dispongano delle competenze necessarie per raggiungere gli obiet-tivi e che dimostrino coerenza nei loro comportamenti e valori.

• Riconoscenza, gli autori Gramegna, Lenardon, (2014) sostengono che “La rico-noscenza è la percezione che quello che si dà all'organizzazione, in termini di contributo alla sua sostenibilità, di rispetto dei valori e delle norme, di impegno nel perseguire efficacia e coerenza, viene compreso (conoscenza) e, se il caso,

apprezzato (ri-conoscenza).” Se i dipendenti si sentono valorizzati e se a loro

viene data la giusta riconoscenza all’interno dell’organizzazione la fiducia aumen-terà; qualora percepissero una mancata o minore riconoscenza la loro stima e fi-ducia nei confronti del management diminuirà drasticamente. È importante che il riconoscimento non avvenga una tantum, ma che sia continuativo e relativo anche a comportamenti quotidiani e non solo in talune occasioni di prestazioni fuori dalla norma.

In altre parole, affinché i manager possano essere considerati affidabili, è importante che trasformino le loro promesse in azioni concrete; la fiducia è quindi considerata come un’esperienza relazionale basata sulla credenza positiva di un comportamento altrui. Un aspetto importante riguarda la valutazione di questa dimensione all’interno dell’azienda, gli strumenti che solitamente vengono utilizzati sono questionari rivolti ai collaboratori inerenti a fattori come: il clima aziendale, la cultura, l’attaccamento e l’iden-tificazione.

Raramente le aziende strutturano dei questionari improntati direttamente sul fattore fidu-cia, questo per evitare che si crei un paradosso. In altre parole, qualora in azienda fosse presente un elevato grado di sfiducia, probabilmente le persone non fidandosi non riusci-rebbero a esprimere in maniera sincera le loro opinioni.

Valutare la fiducia all’interno di un contesto organizzativo non è semplice e spesso le aziende richiedono una consulenza professionale esterna per verificare la presenza o meno di questa dimensione.

Per aumentare il grado di fiducia all’interno dell’organizzazione è importante che le aziende agiscano sui pilastri che sono alla base di questa dimensione, è fondamentale che

Riferimenti

Documenti correlati

De este modo, las aportaciones de los investigadores señalan que la relación con las familias, bien sean autóctonas como de origen inmigra- do, debe fundamentarse en un vínculo

Un tale percorso è seguito da Musi attraverso quattro esperimenti di interdisciplinarietà, rappresentati dal modello originario delle Annales (la storia può

Quel che, forse, il testo delle Baccanti dice in più, rispetto a Nietzsche, è che la Gewalt della politica è della stessa natura della Gewalt della religione, poiché

omnia di Benedetto Croce. VERUCCI, Idealisti all’Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant’Uffizio, Laterza, Roma-Bari 2006.. aveva profetata, e ora si schiudeva

Nonostante i verbi per ‘versare’ in ittito siano distinti sulla base della consistenza solida o liquida dell’elemento a cui si riferiscono (da una par- te laḫḫu- è impiegato

Il problema è riconducibile alla discrepanza tra la scelta delle imprese di internazionalizzare il proprio personale presso le varie unità e le modalità con cui queste attuano

Annualmente GRI analizza i dati relativi alla formazione del personale e, attraverso una valutazione delle registrazioni scaturite dall’applicazione delle Procedure

La gestione delle risorse umane internazionali tende quindi ad essere molto complessa, perché riguarda diversi Paesi e diverse nazionalità; la chiave di sviluppo