• Non ci sono risultati.

Distretti industriali e Web 2.0: adozione e prospettive di sviluppo dei social media

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Distretti industriali e Web 2.0: adozione e prospettive di sviluppo dei social media"

Copied!
77
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione

1

Capitolo 1– Piccole-medie imprese e Social Media

1.1 Impiego dei Social Media 6

1.2 Barriere all'utilizzo dei Social Media 14

1.3 Technology Acceptance Model 18

Capitolo 2 – Il caso specifico del distretto filottranese

2.1 Scenario di riferimento e note metodologia della ricerca 26

2.2 Variabili e ipotesi di ricerca 29

2.3 Presentazione del questionario 34

Capitolo 3 – Distretti e Piattaforme cooperative, una possibilità di sviluppo

3.1 Web, distretti e legge di potenza 51

3.2 Sviluppo e adozione di piattaforme cooperative 57

Conclusioni

68

Bibliografia

72

(2)

“Galleggiamo in un mondo che consiste solo ed

esclusivamente nel cambiamento e l'unica cosa che noi

possiamo fare è cercare di restare a galla in un mondo

paradossale”

(3)

1

Introduzione

In Italia lo studio dei distretti industriali ha occupato e occupa tutt’ora una grande parte della letteratura socio-economica. Visti un tempo come la locomotiva dell’economia italiana, oltre che come forma caratteristica della propria organizzazione industriale, i distretti vennero riconosciuti dalla letteratura degli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso come modello alternativo alla produzione di massa, e a tutte le forme organizzative del secolo ancora precedente, come poteva essere la grande impresa Taylorista-Fordista.

Tale chiave di lettura è stata quasi totalizzante dal punto di vista della sociologia-economica; questa infatti, oltre a osservare le tendenze evolutive di questi distretti industriali e a capire come sistemi tradizionali e informali potessero aver costituito i propri vantaggi nel corso del tempo, ha svolto una scomposizione geografica e concettuale del territorio italiano. La “Terza Italia”, quella zona che si estende dal centro Italia al Nord-Est, doveva evidenziare quella tendenza di sviluppo territoriale che iniziava a prefigurarsi nei primi anni ’70 attraverso una strategia di decentramento produttivo caratterizzata da una produzione su piccola scala e altamente specializzata.

Esito di questo periodo di grandi cambiamenti economici, fu lo sviluppo di questi sistemi produttivi locali, il così detto made in Italy. Tutti i settori manifatturieri registrarono nel decennio successivo al 1970 un incremento occupazionale; Becattini (1999) attribuisce la responsabilità di questa svolta, in primo luogo, all’aleatorietà e all’oscillazione della domanda le quali avevano profondamente colpito la produzione di massa, in secondo luogo alla conoscenza imprenditoriale che, grazie al passato mezzadrile di queste zone, aveva permesso a questi nuovi soggetti economici di sfruttare la situazione.

Se da una parte questa flessibilità aveva permesso di affrontare le mutazioni del mercato negli ultimi decenni del ‘900, dall’altra, il nanismo del settore industriale tradizionale non è riuscito a conciliarsi con un’attività di ricerca e innovazione, circoscrivendo certe aree ai soli settori tradizionali e non consentendo così lo sviluppo di settori ad alto contenuto tecnologico.

Come si sono evoluti oggi i distretti industriali? Si è appena evidenziato come lo sviluppo di sistemi produttivi locali, altamente specializzati in settori tradizionali, abbia generato una cultura locale dell’azienda volta più a replicare se stessa che a innovare, all’interno dello stesso settore distrettuale però, è pur sempre possibile indagare su come vengano applicate innovazioni di prodotto o di processo.

Questo lavoro di ricerca si soffermerà proprio sull’innovazione di processi, non industriali o produttivi, ma comunicativi, nella fattispecie quei processi basati sull’utilizzo di strumenti come i social media.

(4)

2

Prima dell’avvento/diffusione dei social media, la ricerca sull’adozione di innovazioni comunicative da parte delle imprese era rappresentata dagli studi inerenti alle così dette information and communication technologies.

Attualmente, invece, i social media e il loro utilizzo rappresentano un tassello importante delle ricerche di marketing, customer care o customer satisfaction e sarà proprio sull’utilizzo di questi strumenti, all’interno di uno specifico distretto tradizionale marchigiano come quello tessile di Filottrano, a costituire la base di questa ricerca.

Può l’utilizzo di queste nuove tecnologie di rete essere definito, ad oggi, segnale di innovatività di un’azienda? Chiunque, oramai a dieci anni dal loro ingresso nel mondo delle ICT, definirebbe questi strumenti una prassi imprescindibile che dovrebbe caratterizzare l’attività di ogni soggetto economico; eppure, se a fare da contesto di riferimento sono le aziende di un distretto tradizionale, l’utilizzo di questi strumenti non è da considerare sistematico.

Con l’affermarsi sempre maggiore della digitalizzazione di molti processi industriali e comunicativi delle aziende è necessario analizzare le modalità in cui le reti offline, come può essere quella di un distretto industriale, si traspongono in questo nuovo spazio digitale.

danah boyd, tra le più importanti studiose di questi media digitali, ha sottolineato come le persone tendano a stringere relazioni online proprio con coloro i quali già presentano dei legami anche dal punto di vista offline. Questa considerazione, riportata nel campo di questa ricerca, conduce alla formulazione di alcuni interrogativi: in base alle relazioni offline, come si sviluppano le relazioni online? O meglio, in base alla quantità e alla qualità delle connessioni e delle relazioni offline, come si concretizza la connettività degli utenti nel mondo online?

È proprio dal il punto di vista delle connessioni che si possono osservare delle somiglianze tra il reticolo distrettuale e il reticolo del web, la caratteristica comune della maggior parte delle reti è infatti che le connessioni al loro interno siano distribuite secondo una regola definita legge di potenza. Dalla nascita e crescita del web, dallo sviluppo di un distretto industriale, dalla diffusione di un virus, la crescita delle reti segue il modello a invarianza di scala che col passare del tempo fa emergere dei nodi centrali, quelli che vengono definiti hub (Barabàsi, 2004).

Questi ultimi ricoprono un’importanza centrale all’interno della rete, grazie al loro elevato numero di connessioni la loro attività è centrale nel mantenimento, crescita e diffusione della rete stessa. L’analisi verterà proprio sulla distinzione tra i tipi di aziende del distretto tessile filottranese: aziende di tipo hub e spoke, queste ultime, al contrario delle prime, hanno meno collegamenti (link) oppure dipendono fortemente da un hub centrale. Partendo da questa distinzione si cercherà di comprendere quali sono le dinamiche, caratterizzanti ciascun cluster, che influenzano l’adozione di strumenti come i social media.

(5)

3

Nel primo capitolo verrà svolta un’analisi dei social media facendo una rassegna della letteratura inerente e della letteratura che tratta il loro utilizzo da parte delle aziende, verranno inoltre descritte le forme di adozione degli strumenti che caratterizzano il Web 2.0, quali aziende sono più predisposte ad adottarle e per quanto riguarda quelle che non li utilizzano si cercherà di evidenziarne le ragioni.

I social media comprendono tutti quegli strumenti e applicazioni “Internet-based” costruiti, per l’appunto, sulle fondamenta ideologiche e tecnologiche del Web 2.0 e che consentono lo scambio di contenuti generati dagli utenti (Kaplan, Haenlein, 2009); i più importanti tra questi strumenti orientati alla partecipazione sono senza dubbio i Social Network Sites, come ad esempio Facebook. Oltre a questi troviamo anche siti di condivisione di contenuti come YouTube e Instagram, social network site professionali come LinkedIn e piattaforme wiki.

I social media vengono ricondotti alle information and communication technologies ma dal punto di vista complessivo quando si parla di essi non si fa particolarmente riferimento alla tecnologia che ne è alla base, quanto piuttosto all’aspetto mediale e comunicativo e a quello della produzione di informazioni.

La maggior parte degli studi che vertono sull’adozione di nuove tecnologie comunicative sono frequentemente caratterizzati da un’analisi che prende in considerazione, in particolar modo, la sfera individuale dell’azienda, senza tenere conto delle dinamiche relazionali che intercorrono tra i soggetti economici e soprattutto le dinamiche relazionali che ne influenzano l’adozione. Le nuove tecnologie sono classificate in maniera riduttiva come un modo per acquisire un vantaggio competitivo o aumentare il circolo di informazioni interne, è necessario però considerare, essendo entrati nell’era della società dell’informazione, come l’azienda riesca a recepire e a produrre informazione da e verso le altre aziende della propria rete. La comunicazione interna ed esterna all’azienda genera informazioni, sempre più necessarie alla sopravvivenza dell’azienda stessa e dal momento che queste hanno raggiunto un livello più elevato dei singoli rapporti bilaterali tra aziende, vanno considerate nella loro accezione sociale e reticolare.

I social media hanno senza dubbio influenzato questo aspetto reticolare della tecnologia e della comunicazione aziendale, per questo motivo verranno introdotti alcuni tra i modelli teorici che tengono in considerazione l’aspetto sociale della diffusione delle tecnologie, tra cui il modello della Innovation Diffusion di Rogers (1983) e il Technology Acceptance Model di Davis (1986).

Il secondo capitolo, avrà ad oggetto proprio la creazione di uno specifico framework teorico che sarà utilizzato per la misurazione delle variabili che più influenzano l’adozione dei social media, basato sul framework del TAM (Technology Acceptance Model), il modello introdotto nel 1986 come strumento di indagine da Fred Davis nella sua tesi di dottorato.

(6)

4

Davis ha sviluppato il modello cui sopra partendo dalla Theory of the Reasoned Action (Teoria dell'azione ragionata) proposta da Fishbein e Ajzen (1975) nell’articolo “Confronto tra la teoria del comportamento pianificato e la teoria dell'azione ragionata” e pubblicato dieci anni prima, presupponendo che l’utilizzo attuale dei social media dipenda dalla percezione di utilità e dalla facilità percepita.

Da queste variabili, e da altre collegate ad esse, si realizza un semplice modello statistico finalizzato a riconoscere quali dimensioni sociali e individuali del soggetto influenzino maggiormente l’utilizzo di questi nuovi sistemi comunicativi.

L’indagine è stata effettuata sottoponendo a circa quaranta aziende, del solo distretto tessile di Filottrano, un questionario sviluppato per l’appunto sul modello del TAM; il distretto Filottranese comprende un centinaio di imprese tra quelle specifiche del settore tessile e tutto il restante indotto, si è però scelto di porre il questionario alle sole aziende tessili per consentire una precisa e più funzionale categorizzazione. Essendo il numero del campione di imprese non particolarmente ampio, il fine della ricerca non sarà tanto quello di evidenziare empiricamente e in maniera generalizzata le dinamiche dei distretti industriali tradizionali, ma quello di essere indicativo di ipotesi e di porre l’attenzione su delle dinamiche di sviluppo e andamento delle reti all’interno dei distretti industriali tradizionali fino a ora non particolarmente prese in considerazione dal mondo accademico.

L’analisi degli hub all’interno dei reticolati sociali, nella fattispecie i distretti, è stata sempre svolta seguendo una certa accezione positiva, orientata: dall’importanza della loro presenza all’interno dei distretti per permetterne un collegamento con il mondo esterno; da quanto questi siano il cardine dello sviluppo e dell’innovazione; e da quanto le loro scelte strategiche influenzino il resto del distretto e la popolazione che lo abita.

Da un’accezione che potremmo definire invece “negativa”, usando il virgolettato perché l’ingerenza di un certo nodo all’interno della sua rete non deve essere considerata apriori sfavorevole, potrebbero muoversi altri assunti che non hanno ad oggi trovato particolare riscontro e interesse nella letteratura, come ad esempio quanto la presenza di hub influenzi lo sviluppo stesso del distretto, quanto le azioni strategiche di questi influenzino le tendenze del distretto e quanto la diffusione della tecnologia possa realmente dipendere dalla loro adozione.

Il distretto industriale filottranese infatti come molti altri distretti sta assumendo sempre più una conformazione maggiormente simile al modello Hub and Spoke, piuttosto che al modello di distretto marshalliano nel quale tutte le aziende favoriscono in maniera indistinta e non esclusiva dei vantaggi provenienti dall’appartenere a un gruppo di imprese.

La domanda alla quale si cercherà di trovare risposta in questo secondo capitolo, infatti, verterà su quanto il numero di connessioni, che una certa azienda detiene, possa influire sul suo utilizzo

(7)

5

di social media digitali. In che modo le variabili come “utilità percepita” e “facilità di utilizzo” incidono, a seconda della posizione della propria azienda nel reticolato distrettuale, nell’adozione di queste tecnologie? Le piccole aziende del settore tradizionale non utilizzano i social media solo per mancanza di risorse e competenze o per altri motivi intervenienti nelle evoluzioni dei distretti? Nel terzo e ultimo capitolo si cercherà invece di spiegare più dettagliatamente il modello a invarianza di scala e tutti i possibili risvolti che possono generarsi all’interno di un distretto industriale caratterizzato dalla forma Hub and Spoke: caratteristiche, tendenze e anche rischi. Un distretto marshalliano è da considerare alla stregua del modello reticolare casuale descritto dai matematici ungheresi Erdós e Rény (1959), nel quale tutte le aziende godono di vantaggi che si generano all’interno del reticolo, come la riduzione dei costi di transizione, diffusione della conoscenza e rapporti fiduciari.

Se si considera indistintamente ogni nodo del distretto, nel caso in cui uno di questi dovesse disgregarsi, gli altri nodi non ne risentirebbero perché i loro collegamenti sono retti da altre connessioni distribuite in maniera omogenea; nel distretto hub e spoke, in cui la propensione delle connessioni è abbastanza centralizzata, può capitare che nel caso in cui si dovessero disgregare alcuni nodi principali, alcuni nodi restino estromessi perché magari detentori di una sola connessione proprio con il nodo centrale.

Il rischio del confino di alcuni nodi marginali a causa del disfacimento di nodi più grandi è solo uno dei rischi in cui i distretti hub e spoke possono imbattersi. Altri rischi possono coincidere con una disponibilità dell’informazione sperequativa che potrebbe generare una divaricazione tra le aziende, per quanto riguarda l’accessibilità alle informazioni, sempre maggiore.

Come è noto e come si discuterà in seguito, i social media sono in grado di aumentare questa connettività digitale potendo sopperire a questa differenza tra aziende fortemente connesse e aziende con quantità di connessioni notevolmente inferiori. Successivamente si cercherà perciò di suggerire possibili soluzioni a questa mancanza. Come? Attraverso lo sviluppo di un social networking digitale tra le aziende che detengono una bassa connettività offline.

I sistemi cooperativi, ora social network tematici, ora piattaforme wiki, potrebbero essere infatti i mezzi più indicati per la diffusione di una cultura dell’innovazione e della predisposizione all’innovatività, che a ben vedere non mancano oggi all’interno dei distretti, ma sono solamente tendenti alla centralizzazione.

(8)

6

Capitolo 1

Piccole-medie imprese e Social Media

1.1 Impiego dei Social Media

Era l'inizio del XXI secolo quando, dal complicato scenario innescato dalla crisi speculativa delle dot-com, iniziarono a emergere i primi dibattiti su quali percorsi il Web avrebbe dovuto realmente intraprendere se si fosse voluto liberare dalla pesante eredità della New Economy.

Il termine "Web 2.0" venne ideato nel corso delle prime conferenze tenutesi nel 2004 sul rapporto tra il mondo delle aziende e le Information and Communication Technologies, il frutto di questa serie di conferenze fu un articolo pubblicato l'anno successivo da Tim O'Reilly dal titolo “What is Web 2.0 - Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software”.

Oggi, a più di dieci anni dalla comparsa di questo termine, si dibatte ancora sul suo significato e sul discrimine che vi è tra questo e l’altro termine di contemporanea creazione, social media. Nel suo articolo Tim O’Reilly fa riferimento a Dale Dougherty, il quale aveva notato che le aziende sopravvissute all’esplosione della bolla finanziaria mostravano numerose caratteristiche in comune e che la rete stava comunque continuando ad acquisire valore.

I concetti alla base del web 2.0 che emersero da quelle iniziative sono: il web come piattaforma; e la presenza dei network effects (Katz, Shapiro 1985). Il web come piattaforma perché questo è un insieme di servizi dai confini non rigidi che detta solo i principi e procedure della fruizione, mentre la presenza di network effects, invece, rimanda al fatto che il valore stesso dei servizi migliora e aumenta con l’aumentare degli utenti. Questo è in linea con la legge di Metcalfe (1980), la quale spiega come all’interno di un network sono possibili n (n – 1) connessioni, dove n rappresenta il numero di utenti del network. L’entrata nel network di un nuovo utente, invece, genera 2(n) nuove potenziali connessioni, fornendo così agli altri utenti delle esternalità di rete positive dirette. «C’è un’implicita architettura della partecipazione, un’etica incorporata di co-operazione, nella quale il servizio funziona principalmente come un broker intelligente, collegando le periferie una con l’altra e sfruttando la potenza degli utenti stessi» (O’Reilly, 2005).

Si può dire che il Web 2.0 sia la piattaforma costitutiva dei social media, quest’ultimo termine come chiariscono Kaplan e Haenlein (2010) è applicato per descrivere le varie forme di contenuti mediali che sono creati dagli utenti finali e pubblicamente fruibili.

Lo scenario dei social media comprende tutte le «applicazioni di Internet-based costruite sulle fondamenta ideologiche e tecnologiche del Web 2.0 e che consentono lo scambio di contenuti generati dagli utenti» (Kaplan, Haenlein 2009, p. 61). I più importanti tra questi strumenti orientati alla partecipazione sono senza dubbio i social network sites, definiti da danah boyd (2008)

(9)

7

come tutti quei servizi web che consentono all'utente la creazione di un proprio profilo, con un una data struttura, dove si possa articolare la lista delle proprie connessioni.

Nell'immagine qui di seguito, figura 1.1, è possibile vedere come sono ripartiti i 2 miliardi e 307 milioni utilizzatori mensili tra i maggiori social network sites.

Facebook, con i suoi 1,7 miliardi di utenti attivi mensilmente (fonte STATISTA), è il social network site più utilizzato al mondo.

La categoria dei social media comprende anche i servizi di pubblicazione e gestione di contenuti come blog o micro blog considerabili tra i primi strumenti di relazionalità sociale sul web: questi infatti sono stati tra i primi ad utilizzare le tecnologie che poi sono diventate la base del web partecipativo come i Feed RSS, andamento cronologico a ritroso dei post e tutti i sistemi di indicizzazione e tagging. Attualmente, anche il fenomeno del micro blogging, attraverso piattaforme come Twitter e Tumblr, si sta ampliamente diffondendo.

Altra famiglia di social media è quella delle piattaforme di condivisione dei materiali mediali di varie tipologie, che includono video, musica e fotografia (YouTube, Flickr, Instagram).

Infine ci sono anche le piattaforme di editing cooperativo e collaborativo come i wiki.

Alla base di tutte le definizioni con le quale i social media vengono classificati c'è una base comune di tecnologia e interazioni sociali mescolatesi per la co-creazione di valore. Pur essendo questi media basati sulle fondamenta delle Information and Communication Technology (ICT) ciò che risalta maggiormente sono l'aspetto comunicativo e quello della condivisione di materiale personalmente creato, «detto altrimenti, questi servizi web sono visti sempre più come media e

Figura 1.1: Utenti in termini di milioni per i più popolari SNS

(10)

8

sempre meno come “semplici” tecnologie informatiche» (Bennato 2011, p. 62).

Questo elemento comunicativo e relazionale ha fatto sì che le aziende venissero attratte da questi strumenti e che iniziassero a costruire un reticolo di professionisti, clienti, collaboratori e stakeholder.

Il social networking è passato velocemente da un fenomeno di nicchia a un vero e proprio fenomeno di massa, obbligando in qualche maniera tutti i soggetti a tenerne formalmente conto, il mondo delle imprese ha iniziato così ad acquisire una certa consapevolezza sulla potenzialità di questi nuovi servizi di rete.

Da una prima fase preliminare, come evidenzia Cosenza (2014), in cui le imprese fruiscono dei social media tramite “vecchie pratiche” e non cogliendo le opportunità che essi offrono, si passa a considerarne l'utilizzabilità nella gestione delle relazioni instaurate con i propri stackeholder. È evidente tuttavia che ci siano però delle criticità nell'adozione di tali strumenti. In Italia, come emerge dal rapporto su ITC e imprese del 2015 (Istat 2015), si riscontrano delle problematiche legate alle competenze digitali all'interno delle imprese.

Nella tabella 1.2 si può notare che il discrimine maggiore è legato a fattori strutturali come le dimensioni dell'impresa, infatti considerando le imprese dai 10 ai 50 addetti solo il 36,4% utilizza un social media e questo utilizzo è relegato soprattutto a finalità di marketing (29,6%) mentre la percentuale sale al 57,3% quando si considerano le grandi imprese.

Figura 1.2: rapporto su ITC e imprese del 2015

(11)

9

Il totale delle imprese che utilizzano i social media è aumentato, da 32% nel 2014 si è passati al 37,3%.

Dal sondaggio svolto dall'Istat emerge inoltre che ad aumentare è anche la percentuale delle imprese che dichiarano di utilizzare soltanto un social media (da 20,0% nel 2014 a 22,9%) mentre solo il 14,4% ne utilizza due o più. È possibile notare come tra le piccole e medie imprese si preferisca l’utilizzo di un sito web piuttosto che l’utilizzo dei vari social media, quasi il 70% delle imprese dai 10 ai 49 addetti ha un proprio sito web, contro il 36,4% dello stesso campione che utilizza almeno uno dei social media specificati (SNS, blog aziendale, sito multimediale e wiki). Sempre dai dati riportati in tabella emerge che il divario maggiore tra le piccole e le grandi imprese (32,2% delle piccole contro il 78,6% delle grandi) si registra nelle attività digitali che implicano una maggiore complessità organizzativa come per esempio l’utilizzo di software di gestione delle risorse tra diverse aree funzionali, anche denominati Enterprise Resource Planning (ERP). Stessa situazione si riscontra nella digitalizzazione delle attività legate alla gestione della catena distributiva con aziende fornitrici e committenti (Supply Chain Management) e la trasmissione e gestione dei dati relativi ai propri clienti - Customer Relationship Management, 11,3% contro 36,5% nel primo caso, 28,6% contro 52,4% nel secondo.

Da questi primi elementi mutuati dalla ricerca “cittadini, imprese e ICT” si può intuire come il direzionarsi verso una Enterprise 2.0 in Italia sia ancora prerogativa esclusiva delle grandi imprese. Il termine Enterprise 2.0 (o anche social organization) deriva naturalmente da quello del Web 2.0, questo è stato coniato da Andrew McAfee nel paper “Enterprise 2.0: The Dawn of Emergent Collaboration” La definizione puntuale di Enterprise 2.0 secondo McAfee è legata alle modalità d’uso emergenti di piattaforme di social software all’interno delle aziende, tra le aziende o tra aziende e i propri clienti. L’utilizzo che non sia relegato all’aspetto del marketing, ma che sia più integrato con le funzioni e l’organizzazione aziendale. L’utilizzo legato a una visione più ampia di evoluzione del modello organizzativo e tecnologico dell’impresa fondata sull’applicazione di strumenti collaborativi 2.0 e l’utilizzo di queste tecnologie come piattaforma coadiuvante dei processi relazionali.

In un contesto come quello italiano in cui la piccola-media impresa costituisce circa il 95% del tessuto industriale bisogna porre particolare attenzione alla ricettività che questa quasi totale porzione di industrie ha nei confronti dei media digitali sociali.

L'elemento critico da sempre caratterizzante gli studi sulla PMI è rappresentato dalle dinamiche che intercorrono tra le reti di contatti personali, elemento che diventa totalizzante in contesti di concentrazione spaziale di attività produttiva come quello dei distretti industriali.

(12)

10

fiducia e coinvolgimento che gli attori economici presentano, il mantenimento dei quali si attesta come fine e risorsa chiave delle attività.

Con l'avvento dei social media «la generazione e mantenimento della fiducia e il coinvolgimento sono diventati, in qualche maniera, più impersonali e gestibili in modo remoto» (Durkin, McGrwan, McKeown 2013, p. 717) facendo venir meno anche quell'aspetto che fino a poco tempo fa era importantissimo nei cluster di piccole e medie imprese, la vicinanza geografica. Se da una parte i social media si presentano come nuovi strumenti facilmente accessibili per favorire la connessione con gli stakeholder, dall'altra mettono in luce le sfide che i loro utilizzatori devono affrontare, ovvero cercare metodi per «trovare, favorire e mantenere flussi […] e connessioni all'interno delle reti» (ibid., p.718).

Le aziende così come i singoli individui si sono trovati di fronte un nuovo strumento fornito dal web che come evidenzia Parveen (2012) ha fornito un nuovo paradigma della comunicazione e il potere a milione di creare delle reti sociali oltre i confini della prossimità geografica.

Nonostante l’adozione di questi strumenti nuovi comunicativi, , sarebbe profittevole per le piccole e medie imprese dato che necessitano di irrisori investimenti iniziali rispetto ad altri strumenti, queste continuano in maniera maggiore rispetto alle grandi ad avere ancora nei loro confronti una relativa ritrosia.

Quali sono gli elementi che dovrebbero quindi spingere le aziende, e le PMI in particolare, a tenere conto dei social media? Dutta e Soumitra (2010) in un articolo pubblicato per la Harward Business Review, inerente le strategie aziendali di Social Media, evidenziano come questi stiano modificando il modo di fare impresa e come i leader vengano percepiti, dal singolo punto vendita fino all'ufficio del titolare o amministratore delegato che sia.

Diverse sono le ricerche che hanno cercato di far luce sui fattori che possono influire sulla scelta di ricorrere ai social network in maniera proattiva, Wamba e Carter (2013) indicano come variabili che meglio spiegano le possibilità di investimento in social media le caratteristiche generali del titolare, le dimensioni dell'impresa e il suo livello di innovatività infine determinanti ambientali come la posizione geografica.

Nelle caratteristiche del titolare dell'impresa si annoverano l'età, il genere e il suo livello d'istruzione. L'età è correlata negativamente con l'attitudine innovativa, manager o titolari più anziani «sono stati socializzati ad accettare condizioni organizzative predominanti e routine statiche affidandosi psicologicamente a loro, di conseguenza, essi saranno meno disposti a impegnarsi per cambiarle» (Damanpour, Schneider 2009, p. 499).

Sempre secondo Wamba e Carter il livello di istruzione del titolare presenta una forte correlazione con la capacità di innovazione e perciò un peso non indifferente sulla assunzione o meno di certi tipi di ICT, mentre le differenze di genere non sembrano supportare le ipotesi che i ricercatori si

(13)

11

ponevano, questo potrebbe dipendere dal fatto che il gender-devide tenda a diminuire per status sociali più elevati che possono caratterizzare i titolari di attività o manager.

Per quello che riguarda le dimensioni dell'azienda si può partire dall'assunto che queste il più delle volte influiscano sul livello di innovatività, ovvero la capacità di una società di essere aperta a nuove idee e lavorare su nuove soluzioni, sia anche sul livello delle risorse tecniche e finanziarie disponibili all'interno dell'organizzazione. Va da sé che questo assunto vale maggiormente nei settori industriali tradizionali, e trova invece un divario notevolmente inferiore nei settori più innovativi.

Altri filoni di ricerca trascendono le caratteristiche organizzativo-strutturali dell'azienda approdando a un livello di indagine più strutturato tra il contesto dei social media, le convinzioni e la cultura aziendale.

Ainin et al. (2015) partendo da ricerche precedenti hanno accorpato alcuni attributi dei social media particolarmente significativi per la loro percezione da parte di chi effettua le scelte aziendali, essi sono:

- Compatibilità - Efficacia dei costi - Fiducia

- Interattività

1.La Compatibilità come viene definita da Rogers (1995) è:

Il grado in cui un'innovazione viene percepita come coerente con i valori esistenti, esperienze passate e le esigenze dei potenziali adottanti. La compatibilità di un'innovazione, così come è percepita da parte dei membri di un sistema sociale, è legata positivamente al suo tasso di adozione. (p. )

Quando un soggetto percepisce che un nuovo strumento possa far fronte ai suoi bisogni e adattarsi al suo sistema di lavoro, c’è la possibilità che questo sia adottabile con più facilità da parte del soggetto stesso, oltre alla compatibilità con il contesto aziendale va considerato anche l'aspetto personale. Emerge anche la conciliabilità con valori e credenze personali, anche questa ha un forte peso nelle decisioni di utilizzo (Wang et al., 2010).

2. L'efficacia dei costi è l'attributo che forse meglio rappresenta l'attrattività dei social media, o perlomeno quello di immediata percezione da parte dei suoi fruitori. I social media infatti, sono uno strumento ideale per le piccole e medie imprese grazie al loro basso costo, all’estrema accessibilità e il basso livello di competenze IT necessarie per usarli. La mancanza di competenze, risorse e conoscenze tecnologiche poteva implicare forti dispendi monetari nell'adozione di nuove

(14)

12

tecnologie mentre “il Web 2.0 fornisce alle PMI l'opportunità di superare queste difficoltà” (Derham et al. 2011, p. 3).

I ridotti costi di attuazione non risolvono il problema della valutazione della sua efficacia, come sottolineato all'inizio del paragrafo, questa poteva essere una predisposizione embrionale nella valutazione dell'efficacia di un Social Media che seguiva l'impostazione “Nuovo Follower = Nuovo Cliente”.

Per fare una computazione globale del ROI l'azienda, grande o piccola che sia, dovrebbe tenere conto di anche altri Key Performance Indicators come l'interaction, l'engagement, l'influence, l'advocacy e l'impact (Cosenza, 2014).

3. La Fiducia può essere riassunta come l'insieme delle credenze di un utente circa l'affidabilità, la credibilità, e l'accuratezza delle informazioni reperibili circa l'innovazione. Tra tutti gli attributi analizzati la fiducia è quello che più dipende dal sistema sociale di riferimento: Ainin et al. (2014) fanno riferimento alla percezione dell'utente riguardo la “normalità della situazione” e la “garanzia strutturale”. Nel primo caso si fa riferimento alla prevedibilità dei risultati, attestando che la situazione contestuale o ambientale non possa influenzarli negativamente; mentre la seconda ipotesi corrisponde alla credenza che le regolazioni esistenti, formali o meno, possano favorire l'adozione di strumenti tecnologici.

La percezione di “normalità della situazione” e la “garanzia strutturale” sono quindi alimentate dal quel sistema di norme che conferisce stabilità e regolarità di comportamento individuale in un sistema (Rogers, 1995).

4. L'ultimo tra gli attributi considerati dai ricercatori dell'University of Malaysia è l'interattività. Questa è anche una delle condizioni necessarie degli user generated contents, che propriamente consente quella comunicazione a due vie caratteristica dei media sociali. Durkin et al. (2013) sottolineano che proprio il grado di interattività “face-to-face” e il livello di “auto-rivelazione” siano i comuni denominatori tra i vari strumenti mediali e che proprio dal loro livello dipendano le scelte di adozione degli utenti.

In seguito a questa breve panoramica sugli elementi che ne influenzano l'adozione, è possibile esplorare gli utilizzi che le aziende fanno dei social media, che sono molteplici e collegati alla cultura e alle politiche aziendali.

Nel diagramma sottostante (figura 1.3) è possibile distinguere i vari social media adottati dalle imprese italiane, anche in questo caso Facebook risulta essere il SNS più utilizzato, aumenta in proporzione all’utilizzo globale anche l’uso delle piattaforme di condivisione di materiale multimediale e la piattaforma di micro-blogging Twitter.

Anche la diffusione dei social network sites professionali mostra una buona percentuale di crescita, nella fattispecie è possibile osservare come LinkedIn, all’interno del campione di aziende che

(15)

13

utilizzano almeno un social media, sia passato dal 16% di utilizzatori nel 2010 al 45% nel 2015. Di attrattiva minore infine godono i blog e i forum aziendali i quali utilizzi sono relegati al di sotto del 5%.

Figura 1.3: utilizzo dei singoli SNS tra le imprese italiane

Fonte: IULM 2015

Per comprendere a pieno l’utilizzo delle piattaforme mediali è importante anzitutto puntualizzare che questo non è circoscritto esclusivamente all'engagement o alla connessione con clienti e possibili collaboratori (Bhanot, 2012). Dal punto di vista della relazionalità essi forniscono una piattaforma a basso costo e altamente accessibile, nella quale l'azienda può costruire il proprio brand personale e diffondere la propria identità all'esterno e all'interno dell'azienda, mostrando impegno verso una causa o riflessioni inerenti certi argomenti; allo stesso tempo conferiscono all'utilizzatore la possibilità di raccogliere e assimilare informazioni relative ai feedback che riceve. L'engagement dei possibili clienti è solo una parte delle funzioni che possono essere svolte attraverso i social media, ad esempio la customer care e la capacità di saper recepire i feedback devono necessariamente accompagnare la funzione basilare di marketing dei social media. Un altro utilizzo dei social media è quello diretto al Recruitment, come evidenziano Stepanashvili e Janiashvili (2015) questi strumenti di reclutamento possono essere considerati più efficaci ed efficienti se rapportati alle modalità di reclutamento tradizionali, come annunci sulla carta stampata e il ricorso ad agenzie di executive search – anche se queste continuano ad avere un utilizzo maggiore per mansioni meno qualificate e professionalizzanti -. I social media infatti permettono la connessione tra professionisti e datori di lavoro in modo rapido ed economicamente efficiente. L'integrazione dei social media nel lavoro quotidiano di reclutatori e responsabili delle risorse umane sta acquisendo una portata sempre maggiore e alcune aziende gli riservano risorse sempre più ingenti.

Fino a questo punto sono stati esposti gli utilizzi degli strumenti basati sul Web 2.0 rivolti prevalentemente verso l'esterno del perimetro aziendale, ma l’adozione dei social media non è

(16)

14

confinata a un utilizzo esterno, non a caso da anni si parla di Enterprise 2.0 (McAfee, 2006). Già il primo impatto con il termine è intuibile che esso mutui l'estensione di aggiornamento dal web, oltre alla denominazione però l'enterprise 2.0 basa le sue fondamenta sugli strumenti del web collaborativo, come emerge da una definizione di Ureña e Herrera-Viedma (2013):

Enterprise 2.0 si riferisce alla realizzazione di strumenti di social software web-based e servizi come wiki, blog, forum, feed RSS, sondaggi, chat community e di siti di social networking per facilitare la collaborazione aziendale. Essa implica le modifiche sociali e di rete a l'intranet aziendale e ad altre piattaforme software classiche utilizzate dalle aziende per organizzare la loro comunicazione. (p. 86)

Se il successo di social networking con i consumatori è ben noto, gli strumenti di social enterprising stanno ancora facendosi spazio per guadagnare un posto nelle dotazioni organizzative, tuttavia le aziende stanno iniziando a riconoscere il valore potenziale che queste tecnologie sono in grado di fornire in particolare per la collaborazione all'interno dei gruppi di lavoro e tra i reparti.

Le tecnologie di social media enterprising combinano tra loro funzionalità quali profilazione dei dipendenti, flussi di attività, micro-blogging, forum di discussione, wiki, tagging e revisione dei contenuti per far si che vengano utilizzate sul posto di lavoro con gli obiettivi primari di: 1) migliorare le esperienze di collegamento di una organizzazione, e 2) promuovere la condivisione delle conoscenze tra i diversi dipendenti, gruppi, reparti o dipartimenti.

1.2 Barriere all'utilizzo dei social media

Nel primo paragrafo sono stati esposti i fattori che influenzano l'utilizzo degli strumenti social e come questi possano essere impiegati, a questo punto risulta importante far luce sulle motivazioni che possono spingere le aziende a non utilizzarli. Quali sono le motivazioni che spingono le aziende a non utilizzare i social media? Quali sono, secondo la letteratura specifica, gli elementi che fungono da coadiuvante all'inutilizzo dei social media?

È convinzione oramai comune che il digital divide tra la grande e piccola impresa stia diminuendo nel corso degli anni e in alcuni settori si sia quasi del tutto azzerato, ma all'interno del panorama italiano dove è presente un tessuto industriale tradizionale - il più delle volte a conduzione familiare - questa riduzione del divario sembra tardare e nei pochi casi a procedere lentamente. Nel rapporto del Organization for Economic Co-operation and Development (OECD) (2001) il digital divide viene definito come quel divario tra gli individui, le famiglie, le imprese e le aree geografiche per diversi livelli socio-economici che riguarda sia l'opportunità di accedere alle tecnologie di informazione e comunicazione (ITC) sia il tipo di utilizzo che ne viene fatto. Naturalmente parlando del digital devide in termini di social media questa ripartizione tra accessibilità e utilizzo deve essere notevolmente rimarcata. La frequenza e la varietà di attività

(17)

15

nell'utilizzo di queste ICT ha un peso molto maggiore, come sottolineato anche nel primo paragrafo vi è una notevole differenza tra il creare un profilo su di un social network site e il curare attentamente un piano di gestione delle comunicazioni e delle informazioni interne ed esterne attraverso un’ampia gamma di strumenti social media.

Le condizioni che impediscono questo ridimensionamento del divario possono essere dicotomicamente separate tra macro e microeconomiche.

Tra gli aspetti macroeconomici è possibile annoverare:

•   La posizione geografica. Questo aspetto porta con sé un particolare insieme di variabili, infatti una certa localizzazione territoriale può comportare l'inserimento all'interno di aree con una mancata cultura dell'innovazione, e considerando le diversità tra le aree produttive italiane l'essere inserito all'interno di un’area distrettuale tradizionale può influire notevolmente sulla possibilità di un'azienda di essere permeata da una cultura innovativa. La sfavorevole disposizione geografica può dipendere anche dalla mancanza di città metropolitane nella propria macro area con l'effetto di non poter disporre di un vettore dell'innovazione come le grandi città. Infine, ma non per importanza, ci sono da considerare le infrastrutture tecnologiche come ad esempio la linea per la connessione veloce ADSL, oggigiorno ancora mancate in alcune aree remote del paese.

•  

Tra i fattori macroeconomici ci sono le politiche attive dei governi ed enti locali. Ad esempio la NUTEK, che rappresenta il corrispettivo svedese dell'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive, dai primi anni 2000 gestisce un programma nazionale chiamato “IT.SME” che si rivolge soprattutto alle piccole imprese regionali e fornisce formazione relativa alle competenze nel settore delle ITC per le imprese.

L'Italia a partire da gennaio 2016 si è predisposta alla regolazione dei profili professionali del settore ICT attraverso la normativa “UNI 11621-1/4: 2016 - Attività professionali non regolamentate – Profili professionali per l’ICT”. Questo sistema di profilazione è stato recepito dall’IWA/HWG, Associazione internazionale dei professionisti del web, il quale ha definito le caratteristiche dei futuri professionisti del web tra titoli di studio e certificazioni utili a tali compiti (fonte

http://www.informagiovaniroma.it/

). Eppure il paese trova difficoltà a finanziare attività di formazione pubbliche per potenziamento di capacità informatiche dirette agli addetti delle aziende che più ne avrebbero bisogno come le PMI.

Dal punto di vista microeconomico, bisogna porre attenzione all'aspetto interno dell'azienda. Arendt nel suo report sull'International Conference e-Commerce (2008) fa una tassonomia delle barriere interne alle piccole e medie imprese:

(18)

16

•  

Mancanza competenze nelle piccole e medie imprese. Il basso livello di utilizzazione delle ITC (estendibile anche ai social media) è causato non tanto dal costo elevato, ma risulta più che altro come l’effetto di due fattori. In primo luogo le PMI possono avere carenza delle conoscenze necessarie a selezionare il giusto strumento: facendo valere la regola della razionalità dell'investimento, la mancanza di comprensione degli strumenti spinge le aziende a dotarsi di servizi di consulenza esterni. In secondo luogo nella maggior parte dei casi, le PMI non hanno dipendenti con un livello di conoscenze delle ICT sufficiente. Pertanto sarebbe necessario investire maggiormente nella formazione di ciascun dipendente, ma poiché questa ha un ritorno finanziario di più lungo termine non è sempre al centro delle necessità della gestione.

•  

Percezione di mancanza di interesse dal lato dei clienti e dei fornitori. Questa può derivare dalla percezione che i clienti e gli altri stackeholder non abbiano interesse a ricercare informazioni/connessioni online. È per lo più legato alla mancanza di una cultura dello scambio di informazioni in rete e al feticismo del prodotto tangibile, piuttosto che l'accesso a Internet e alle tecnologie della banda larga. Quindi un'impresa medio-piccola che produce certi tipi di beni di consumo può pensare che data la predisposizione dei clienti al mercato offline sia inutile sviluppare la propria presenza online. Questa predisposizione è legata alla fuorviante credenza che un follower o un like debbano necessariamente corrispondere a nuovi clienti.Allo stesso modo se nessuno dei fornitori o altri soggetti della catena di valore aziendale utilizzano i social media per la diffusione delle informazioni sulla loro attività, l'impresa in questione riterrà non produttivo l'utilizzo di tali strumenti.

•  

Scarso utilizzo personale da parte della proprietà. La piccola e media impresa italiana ha una gestione generalmente familiare, questo comporta che se il titolare, generalmente di prima o seconda generazione, con un’età che si aggira attorno ai 40-50 anni, risulta scarsamente alfabetizzato dal punto di vista digitale, rifletterà la sua diffidenza anche sulla propria attività. Maggiore è l'effetto quando costui non ha nel proprio nucleo familiare dei driver all'utilizzo delle tecnologie social-mediali come ad esempio dei figli con livelli di alfabetizzazione digitale più elevati. Mancanza di competenze, non innovatività dell'impresa e mancanza di strategie aziendali, percezione di scarsa utilità, e scarsa attitudine personale all'innovazione da parte della proprietà aziendale sono gli elementi che trattengono le piccole e medie imprese relegando gli strumenti social a un utilizzo parziale e frammentato.

(19)

17

Oltre a questi elementi deterrenti tratti dalla letteratura e validi per qualsiasi tipo di tecnologia si cercherà ora di inserire negli ostacoli all'utilizzo dei social media anche la dimensione relazionale aziendale all'interno di un dato Cluster.

In precedenza sono stati definiti i distretti industriali marshalliani ed evidenziato le derive in cui questi stanno confluendo, ma quanto questo assestamento influisca sull'adozione di nuove tecnologie non è un argomento molto trattato dalla letteratura che in questo campo sembra soffrire ancora di un certo livello di “strabismo intellettuale”, che se da un lato porta alla considerazione empirica di tutte le dinamiche presenti nei vari agglomerati distrettuali, dall'altro si continua ancora a procedere sotto una forte generalizzazione nata dall'esigenza di poter allineare le proprie ricerche nelle file dei nuclei teorici di riferimento (Becattini, 1991).

Fino agli inizi degli anni 2000 la teoria di riferimento dominante in Italia sui distretti industriali era proprio quella marshalliana, che come evidenziato nell'introduzione, con lo sviluppo economico e sociale del distretto e del contesto in cui questo è inserito va incontro a modificazioni irreversibili del tessuto delle aziende e dei legami che intercorrono tra loro.

Se il peso di questi legami, come il peso delle aziende che li costituiscono, cresce in modo asimmetrico, automaticamente il distretto stesso finisce fuori scala e con ciò «si può ritenere che siano già fuori dalla forma canonica del distretto marshalliano» (Becattini, 1991).

Quando la forma del cluster viene sostituita dal quella hub and spoke le dinamiche di assunzione delle nuove tecnologie tendono ad assumere conseguentemente nuove stilizzazioni. Marini e Toschi (2011) evidenziano il problema partendo dai dati emergenti dalla ricerca “L'Italia delle imprese 2010” in cui si evince che le capacita distrettuali di incrementare il livello di innovazione, sia esso soft o core, appare oggi molto più ridimensionato che in passato

e sembra dipendere dalla capacità di attivare dei percorsi di assorbimento di conoscenze codificate – anche su scala internazionale – e di introdurre innovazioni radicali […] i processi di innovazione si caratterizzano per essere sempre più codificati e per richiedere, molto più che in passato, conoscenze scientifiche e tecnologie formalizzate. Tali fenomeni determinano, all'interno dei distretti, una maggiore selettività nell'accesso all'innovazione (Marini, Toschi, 2011 p. 254).

Nel loro lavoro Marini e Toschi eseguono successivamente una ripartizione delle imprese all'interno dei distretti:

•   Le aziende leader che si caratterizzano per la loro presenza oltre i confini del distretto e sono generalmente di dimensioni più grandi, queste aziende verranno definite hub

(20)

18

•  

Le aziende co-operative che dipendono dagli hub, ma mantengono una loro identità perciò detengono un peso all'interno della catena di valore e hanno possibilità di accedere a fonti esterne di conoscenza. Queste aziende verranno in questa sede definite spoke-1.

•  

Le aziende follower le quali, come il nome stesso suggerisce, sfruttano esclusivamente le fonti di conoscenza provenienti dal territorio distrettuale e non collaborano ai processi innovativi, tali aziende verranno definite spoke.

Gli autori definiscono anche un ulteriore fattispecie di azienda, le unlinked, caratterizzate dal fatto che non intrattengono relazioni né con le aziende hub né con le aziende spoke. Questa categoria non sarà presa in esame in questa ricerca perché non essendo caratterizzata dalla relazionalità esterna non è possibile misurare quanto i collegamenti distrettuali possano influire sull'innovazione dei sistemi comunicativi.

Quanto i collegamenti e quanto la dipendenza dagli hub possano influire sulle capacità di innovazione tecnologica sarà il quesito a cui si cercherà di rispondere nel corso della trattazione. Il passaggio da un sistema clusterizzato marshalliano ad un sistema hub and spoke, come descritto da Markusen (1996), sta influenzando l'evoluzione delle aziende e i meccanismi di adozione delle nuove tecnologie anche per quegli strumenti comunicativi del Web 2.0 i quali costi di entrata superflui li renderebbero accessibili alla maggior parte delle aziende.

1.3 Il Technology Acceptance Model

La ricerca relativa l'utilizzo tecnologico nel campo delle ICT affonda le radici negli ultimi due decenni del XX secolo quando la letteratura ha iniziato a conferire una scientificità alle articolazioni relative la scelta dell’impiego tecnologico, questa tradizione parte dalle ricerche di Rogers e il suo apporto teorico all'adozione tecnologica con il Diffusion of Innovation - DOI (1983), passa per Davis con il framework teorico del Technology Acceptance Model (1989) e arriva al Technology-Organisation-Enviroment Model, TOE, di Tornatzky e Fleisher (1990). Nel momento in cui le tecnologie informatiche comunicative hanno iniziato ad assumere un aspetto più sociale questi frame teorici si sono rivelati perfettamente utilizzabili dato che fin dall'inizio avevano focalizzato l'attenzione sia sull'aspetto tecnologico che su quello contestuale e relazionale.

Nel modello Diffusion of Innovation Rogers include l'elemento conoscitivo/informativo e l'elemento persuasivo all'interno del processo di adozione, mentre tra le caratteristiche tecnologiche che favoriscono l'impiego di strumenti innovativi pone l'osservabilità, la percezione di un vantaggio relativo e la compatibilità con il sistema socio-culturale queste caratteristiche dello

(21)

19

strumento implicano tutte un aspetto sociale della tecnologia e fa si che questo aspetto sia computato all'interno della ricerca.

I quattro elementi principali per Rogers sono l’innovazione, i canali di comunicazione, il tempo e il sistema sociale.

Nella figura 1.4 è possibile osservare come questi elementi interagiscano tra di loro, Rogers nel 1983 elaborò questa curva gaussiana per rappresentare la distribuzione normale della percentuale degli utilizzatori in relazione al tempo di diffusione. L’inserimento della dimensione temporale nel processo decisionale di innovazione è stato molto importante, poiché evidenzia il periodo in cui un individuo passa dalla prima conoscenza di una innovazione attraverso la sua adozione o rifiuto; oltre a questo anche il livello di innovatività di un individuo, cioè la relativa precocità o il ritardo con cui l'innovazione viene adottata rapportato con gli altri membri del sistema. Questa rappresentazione permette anche una categorizzazione degli utenti: innovatori; anticipatori; maggioranza iniziale; maggioranza tardiva; ritardatari.

Figura 1.4: Distribuzione normale degli utenti con relazione al tempo

Il framework TOE invece è stato sviluppato da Tornatzky e Fleischer (1990) sempre per valutare l'adozione della tecnologia. Questo modello collima con la teoria di diffusione dell'innovazione di Rogers, oltre alle caratteristiche della tecnologia in questo schema, sviluppato con specifico riferimento all'impiego delle ICT nelle organizzazioni, vengono incorporate fattori organizzativi contingenti, le caratteristiche interne ed esterne dell'ambiente organizzativo e ed elementi del macro-spazio in cui è inserita, considerando il tutto come driver per la diffusione tecnologica.

(22)

20

Il TAM ha trovato una prima concettualizzazione nel 1986 nella tesi di dottorato di Fred Davis prendendo spunto dalla Theory of the Reasoned Action (teoria dell'azione ragionata) proposta da Fishbein e Ajzen (1975). In questa teoria veniva fornita una struttura di base che mirava a spiegare e comprendere la ragione di uno specifico comportamento. Interpretare i comportamenti è stato uno degli scopi principali di Fishbein e Ajzen, i quali giungono alla conclusione che le tre determinanti fondamentali del comportamento umano sono: 1) L’ intenzione comportamentale. 2) L’ atteggiamento verso il comportamento. 3) Le norme soggettive.

Tenendo in considerazione questo schema, già nella prima versione del Technology Acceptance Model (Davis, 1985) emerge che la motivazione dell'utente nell'applicarsi all'uso di una certa tecnologia possa essere spiegata e predetta tenendo in considerazione tre fattori:

•   Perceived Ease of Use – Facilità d'uso percepita •   Perceived Usefulness – Utilità percepita

•   Attitude Toward Using the system – Atteggiamento verso l'uso del sistema

Davis aveva intuito quanto l'atteggiamento fosse determinante per comprendere cosa l'utente avrebbe scelto tra l'utilizzo o il rifiuto.

Successivamente il modello ha acquisito una notorietà e un’utilizzabilità sempre maggiore perché soddisfa le caratteristiche teoriche di semplicità, di supportato da dati e applicabilità generale allo studio di nuove tecnologie per prevedere l'accettazione e l'utilizzo (Rauniar et al., 2014).

L'innovazione del TAM fu quella di rompere il costrutto dell'attitudine della theory of reasoned action in due parti: la percezione dell'utilità (PU) e la percezione della facilità d'uso (EU).

La Percezione di Utilità può essere intesa coma il grado che un utente attribuisce a un determinato strumento, nel caso dei Social Media, a seconda che il suo utilizzo possa andare incontro o meno alle esigenze e agli obiettivi preposti questo avrà un’utilità percepita maggiore o minore. Ciascuna di queste applicazioni offre un proprio servizio caratteristico, con sé anche le varie possibilità di utilizzo che possono aggiungere valore allo strumento in termini di utilità, sarà poi l'utente a decidere quale applicazione è a lui più utile.

La PU rappresenta un vantaggio, che l'utente ritiene possibile, derivante dalla tecnologia utilizzata. La misura in cui tale valore utilitaristico dei social media è percepito vantaggioso determina l'utilità percepita. Secondo Rauniar et al. (2014) che hanno applicato il modello del TAM per comprendere l'intenzione d'uso in relazione ai Social Network Sites, c'è un valore utilitaristico tratto dall'utilizzo di una data tecnologia e questo valore è cognitivamente guidato, strumentale al raggiungimento degli obiettivi e collegato al compimento di un'operazione pratica degli utenti.

(23)

21

Figura 1.5: Primo schema rappresentativo del TAM

(Davis,1986)

La facilità d'uso percepita (EU) invece è stata definita come «il grado in cui una persona crede che utilizzando un particolare sistema sarebbe libero di sforzo» (Venkatesh e Davis, 2000, p. 192). Naturalmente la percezione della facilità d’uso può essere il risultato di molte variabili come la presenza di un driver che faciliti l'approccio, la compatibilità con le proprie capacità, l'osservabilità di risultati all'interno del proprio network.

In tutti i modelli sviluppati la facilità d'uso percepita è sempre correlata positivamente all'utilità percepita questo perché a parità di altri fattori, il sistema più facile è anche quello più utile perché meno dispendioso di risorse. Questa considerazione risulta comune a tutti gli studi fatti sullo sviluppo del technology acceptance model.

Perceived Usefulness e Perceived Ease of Use costituiscono il nucleo centrale del modello, rimasto pressoché invariato nel corso delle successive ritrattazioni, poiché queste ben presagiscono l'atteggiamento dell'individuo verso utilizzo della tecnologia (ovvero l’intenzione). Intenzione a utilizzare la tecnologia che a sua volta determinerà se una persona utilizza la tecnologia o no (il comportamento).

Dai numerosi studi empirici svolti in seguito all'implementazione di questo modello è stato riscontrato che il TAM riesce a spiegare una parte sostanziale della varianza – in genere circa il 40% - nelle intenzioni di utilizzo e nel comportamento degli utenti (ibid., p. 186).

Davis riprese la trattazione del modello nel 1989 e nel 2000 partecipando alle ricerche di Venkatesh e producendo il modello conosciuto come TAM2 (vedi figura 1.6).

(24)

22

Figura 1.6: Modello TAM2

L'innovazione maggiore fu apportata proprio nel 2000, anno in cui il modello venne esteso accorpando anche processi di influenza sociale nella fattispecie:

•   le norme soggettive; •   la volontarietà; •   l'immagine; •   la massa critica.

La norma soggettiva è definita come l'influenza che le opinioni di altre persone del nostro network esercitano sulle scelte dell’individuo. Tra i fattori predittivi del modello dell'Azione Ragionata (Ajzen e Fishbein 1980), la norma soggettiva agisce sotto l'aspetto dell'utilizzo di IT come riscontrato da Venkatesh e Devis inserita perciò all'interno del modello per la necessità di ulteriori ricerche che indaghino le condizioni e i meccanismi che regolano l'impatto di influenze sociali sul comportamento di utilizzo (Ajzen e Fishbein 1980, Venkatesh e Devis 2000).

All'interno di un reticolato di persone o aziende quanto possono influire le opinioni dei soggetti inclusi nella cerchia delle conoscenze o stakeholder di un'azienda sull'utilizzo di tecnologie di Informazione/Comunicazione? A seconda di quello che l'utente percepisce, la norma soggettiva andrà ad influenzare la percezione dell'utilità, che nei modelli successivi all'ampliamento del TAM è stata sempre correlata statisticamente alla PU positivamente.

La norma soggettiva si è più volte rivelata ininfluente nei casi in cui i livelli di volontarietà erano maggiori, questa rappresenta il grado di “costrizione” che un individuo percepisce. Si potrebbe (Venkatesh e Davis, 2000)

(25)

23

fare l'esempio in cui all'interno di un luogo di lavoro tutti utilizzano un blog per comunicare su di un progetto, la persona appena arrivata potrebbe sentirsi “costretta” all'utilizzazione e dimostrare livelli di volontarietà più bassi, o ancora, tutte le aziende competitrici non utilizzano metodi di recruitment online, non si è perciò costretti a cercare professionisti online, ma potrebbe presentarsi comunque la volontà anticipare le altre aziende cercando direttamente online i futuri addetti. La volontarietà è la misura in cui i potenziali utilizzatori percepiscono la propria decisione di adozione di un certo comportamento obbligata da certe condizioni o meno (Agarwal e Prasad 1997, Hartwick e Barki 1994, Moore e Benbasat 1991).

L'immagine, definita come la percezione di quanto l'utilizzo di un dato sistema porti vantaggi in termini di status sociale per sé e per il proprio network. Nel TAM2 Venkatesh e Devis (2000) ipotizzano che la norma soggettiva influenzi particolarmente l'immagine perché se alcuni importanti soggetti del sistema, ad esempio un hub centrale o un proprio collaboratore, o qualsiasi soggetto verso il quale si prospetta un certo valore, vedano positivamente l'utilizzo di un certo strumento l'utente sarà spinto maggiormente a utilizzare il dato strumento in quanto potrà migliorare il suo status sociale.

Utilizzare nuovi media digitali tra le organizzazioni potrebbe essere percepito come appartenere ad un certo cluster di utilizzatori che può portare ad una percezione di status più elevata.

L'ultima variabile, che potrebbe anche racchiudere le precedenti da un certo punto di vista, è la massa critica, ovvero quella soglia sopra la quale le esternalità di rete iniziano ad aumentare -tenendo presente che l'utilizzo dei supporti social implica la condivisione di informazioni user generated con la propria rete sociale o comunità - il livello di valore dei social media in termini di utilità percepita (PU) legato agli altri utenti della propria rete, siano essi collaboratori, concorrenti o clienti, e l'insieme delle informazioni che vengono prodotte e condivise tra tutti questi membri. Questo livello è raggiunto proprio perché la quantità di informazioni generata diventa proporzionalmente più ingente è perciò diventa disincentivante restarne all'esterno: le esternalità di rete diventano a quel punto esternalità positive, come mostra anche Rogers (1995).

Secondo Ellison et al. (2007), i social media e soprattutto i social network sites vengono utilizzati per mantenere relazioni offline già esistenti, tutti i nodi appartenenti alla rete di un utente vengono definiti come "amici", "contatti", "fan", "follower", “wiki collaborator”; la Critical Mass (CM), invece, «come il livello di presenza delle persone che più contano nella vita offline all'interno del suo network online» (Runiar et al., 2014, p. 12).

Il social networking si basa generalmente su collegamenti bidirezionali come quelli di Facebook a collegamenti asimmetrici come quelli di Twitter, YouTube, o collegamenti tramite una social peer review nel caso dei blog o wiki. Cercando perciò di comprendere l'importanza della massa critica si fa riferimento a teorie della comunicazione, diversi teorici hanno definito il rapporto tra il

(26)

24

numero di nodi in una rete (CM) e le sue relazioni con il valore o la potenza delle reti stesse. Ad esempio, la legge di Sarnoff (1955) che è stata sviluppata nel contesto televisivo e cinematografico in termini di telespettatori, in cui il valore di una rete cresce in proporzione al numero di spettatori (V = n), nel web possiamo trovare un esempio nelle prime aste online tipo OnSale.com. Analogamente, secondo la legge di Metcalfe (1980), il valore di un sistema di comunicazione cresce con il quadrato del numero di persone collegate (V = n²).

La legge di Reed infine dice che il valore delle reti, da riferirsi in particolare alle reti sociali, possiede una scalabilità esponenziale alla dimensione della rete (V = 2ⁿ) questo perché nelle reti sociali si formano comunità di interessi che condividono stessi fini e obiettivi, il valore perciò è esponenziale dato che vengono previsti anche dei sottogruppi (Reed, 1999).

In conclusione è possibile affermare quanto tutte le teorie di diffusione delle innovazioni sostengano fermamente che il concetto di massa critica sia una variabile chiave per l'accettazione di una nuova tecnologia e come questa significhi anche una più ampia applicabilità (Lou et al., 2000).

Gli utenti percepiscono che un mashup con una larga base di utenti sia più utile per una maggiore varietà di risorse e servizi accessibili. Nell'ambiente del Web 2.0, infatti, i valori dei servizi offerti e il numero di utenti di Internet sono fortemente correlati (Wang et al., 2004); inoltre gli utenti di solitamente preferiscono utilizzare applicazioni che hanno già una buona base di pubblico/utilizzatori, piuttosto che cercare un nuovo sistema a causa del senso di sicurezza che deriva da un comportamento collettivo osservabile (Lou et al., 2000).

L'applicazione del technology acceptance model per lo studio dell'utilizzo dei social media nelle aziende e nei servizi sta avendo un notevole sviluppo, inizialmente impiegato per la ricerca riguardo gli strumenti di Communication Systems come E-mail (Karahanna e Straub, 1999) e cellulari (Know e Chidambaram, 2000) o l'uso generico di sistemi informativi come il PC (Igbaria et al., 1995, Agarwal e Prasad, 1999), l'e-commerce (Gafen e Straub, 2000) e il Groupware (Lou et al., 2000). Successivamente la sua applicazione si è allargata all'impiego dei social media, gradualmente si è passati dall'analisi delle variabili, come il contesto sociale di riferimento, in grado di condizionare il generico ricorso agli strumenti mediali (McFarland e Hamilton, 2006) a degli usi specifici, come, ad esempio, il social networks marketing (Pentina et al 2012), in cui è stato utilizzato il TAM affinché si potesse osservare il ruolo dell'influenza sociale e dell'esperienza nel ricorso alle tecnologie IT.

Oppure spiegare l'utilizzo del Web 2.0 attivare processi di creazione della conoscenza, la condivisione, e l'acquisizione di essa, il così detto Knowledge Management (Von Krogh, 2012). Altre ricerche relative al TAM hanno implicato l'e-learning aziendale (Persico et al., 2014), l'utilizzo di social network sites (Rauniar et al., 2014) o di piattaforme cooperative (Schacht et al.,

(27)

25

2015).

È evidente come nonostante il grande sviluppo nel campo delle Information Technology il modello del Technology Acceptance Model riesca ancora a spiegare le decisioni di scelta dell'utente. Fino a una decina di anni fa le organizzazioni implementavano set predefiniti di tecnologie informatiche e comunicative al fine di sostenere i propri dipendenti nella collaborazione reciproca. Secondo tale impostazione la decisione sulle particolari tecnologie da preferire ad altre era rivolta sostanzialmente a soddisfare le esigenze dell'organizzazione piuttosto che quelle dei dipendenti. Oggi il campo di indagine sull'utilizzo dei social media all'interno delle aziende potrebbe sembrare enorme, l'epoca della one-size-fits all è conclusa da tempo ed esse ora sono sempre più permeabili all'utilizzo di tali strumenti facendo aumentare la complessità della ricerca.

Le aziende, così come i ricercatori, considerano sempre di più nuove e flessibili strategie per adattare l'infrastruttura delle proprie tecnologie dell'informazione organizzative alle esigenze e preferenze dei propri collaboratori o clienti.

Politiche aziendali come bring-your-own-device (BOYD), letteralmente “porta il tuo dispositivo”, stanno prendendo campo aumentando esponenzialmente la variabilità degli stili e dei modi di utilizzo.

All'interno di questo contesto il technology acceptance model interpreta le informazioni raccolte combinando facilità applicativa ed empiricità della ricerca, riuscendo a spiegare nella maggior parte delle ricerche succitate un livello di varianza dell'utilità percepita e dell'intenzione di utilizzo che va approssimativamente dal 40% al 60%, una cifra molto elevata se si pensa che il modello è costituito generalmente da una decina di variabili.

Il TAM si contraddistingue per l'utilizzo di un questionario redatto seguendo le proprie intenzioni di ricerca, ogni variabile è rappresentata da un quesito formulato in maniera chiara e comprensibile a sua volta il quesito deve essere replicabile attraverso dei sotto-quesiti definiti item.

Gli items di ogni variabile sono generalmente domande al quale l'intervistato risponde facendo ricorso ad una scala di Likert, importante al fine della validità della ricerca è che tutti gli item di una data variabile abbiano un certo grado di coerenza interna, ovvero che siano ugualmente adatti a spiegare la varianza del proprio gruppo, tale coerenza è misurata facendo ricorso all’alpha di Cronbach.

Nel capitolo successivo sarà presentato il campione sul quale è stata svolta la ricerca e il questionario utilizzato.

(28)

26

Capitolo 2

Il caso specifico del distretto filottranese

2.1 Scenario di riferimento e note metodologia della ricerca

Il distretto industriale tessile filottranese comprende circa cinquanta aziende, se si considera anche l'indotto il numero si duplica. Filottrano è un comune di 9500 abitanti sito nella provincia di Ancona, la popolazione è composta da circa 3500 nuclei familiari e quasi il 60% della forza lavoro e ripartita tra il settore tessile e il suo indotto, ciò significa che in ogni nucleo familiare vi è almeno un occupato in tale settore. Le aziende selezionate sono 42, nessuna di queste fa parte di gruppi nazionali o esteri e nessuna ha stabilimenti all'estero.

Partendo da questa premessa le tipologie di aziende prese in esame come evidenziato in precedenza sono tre:

1) HUB - molte relazioni con aziende subfornitrici all'interno del distretto. 2) SPOKE - poche relazioni nel distretto, tra le quali quella con l'HUB. 3) SPOKE-1 – relazioni anche con HUB esterni al cluster locale.

Il questionario presentato è unico, con l'eccezione delle imprese che utilizzano social media o che abbiano un sito web alle quali è stata posta una parte di quesiti aggiuntivi.

Le imprese sono quasi tutte a conduzione familiare, anche le più grandi, e tra queste solo tre hanno nel loro organigramma un ufficio e un responsabile della comunicazione che si interfacci con il mondo dei social media.

All'interno del distretto filottranese non vi è un consorzio di imprese costituito formalmente, pur essendo questo oramai non più di costituzione recentissima, esso esiste infatti da oltre cinquanta anni.

Di 42 imprese rispondenti, i questionari ritenuti validi sono stati 38, la validità implicava la risposta di tutti i quesiti senza che venissero tralasciate risposte, sia volontariamente che involontariamente.

Il questionario creato è costituito da due parti indipendenti, la prima parte è quella che comprende i quesiti inerenti al modello del TAM (Venkatesh e Davis, 2000), la seconda invece è stata realizzata per l'indagine collegata all'utilizzo formale del web sottoposta perciò solo a chi realmente utilizza almeno una piattaforma mediale, dal sito web ai social network sites.

La prima parte del questionario è sviluppata attraverso dieci variabili, che potrebbero essere raggruppate in altri due sottogruppi. Il primo sottogruppo contenente due variabili indaga sulle

Riferimenti

Documenti correlati

I processi partecipativi rispondono alla logica di avere all’interno del processo decisionale tutte le.. persone interessate

un percorso partecipato e collaborativo per la costruzione dell’agenda digitale umbra...

Fonte: Sondaggio effettuato da WebAIM nel 2013, 216 risposte Molto accessibile 13.7%.. Abbastanza accessibile

The course melds theory with practical application as it covers core skills such as strategic planning for social media applications, incorporating these platforms

•  Presenza della figura del Social Media Manager nelle diverse tipologie di enti della pubblica amministrazione;.. •  Se non presente, chi svolge attività di comunicazione

4. La necessità delle imprese di essere reattive in modo tale da intraprendere le azioni necessarie in virtù delle informazioni di marketing di cui dispongono. In conclusione, è

L’utilizzo di piattaforme di listening per l’ana- lisi della reputazione online del brand di una città fornisce alcune risposte di natura quan- titativa: ci dice quanto si parla di

La social media policy interna individua le principali norme di comportamento che i dipendenti dell’Inail sono tenuti ad osservare nel momento in cui accedono