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Pride and Prejudice fra tradizione e modernità: proposta di sottotitolazione per Lost in Austen

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Indice

Introduzione 3

Capitolo 1 – La traduzione audiovisiva e il processo di

sottotitolazione 5

1.1– Tipologie di traduzione audiovisiva 6

1.1.1 – Il doppiaggio 8

1.1.2 – La sottotitolazione 10

1.1.3 – Il voice-over 12

1.1.4 – Altre tipologie traduttive 12 1.2 – I translation studies e la sottotitolazione 13

1.3 – Tipi di sottotitoli 16

1.4 – Il processo di creazione dei sottotitoli 18 1.5 – Strategie di creazione dei sottotitoli 20

1.5.1 – La riduzione 21

1.5.2 – La variazione diamesica 23 1.5.3 – Il metodo di Gottlieb 24

1.5.4 – Il metodo di Lomheim 28

Capitolo 2 – Jane Austen: vita e opere 31

2.1 – Vita 31

2.2 – Stile e tematiche 33

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Capitolo 3 – Orgoglio e Pregiudizio: adattamenti moderni 39

3.1 – L’adattamento: alcuni concetti chiave 40 3.2 – Pride and Prejudice: BBC, la serie del 1995 42 3.3 – Pride and Prejudice and Zombies, di Seth Grahame-Smith 45 3.4 – The Lizzie Bennet Diaries (2012) 48

3.5 – Lost in Austen (ITV 2008) 51

Capitolo 4 - La sottotitolazione: problematiche traduttive nel

lavoro su Lost in Austen 54

4.1 – Le strategie di sottotitolazione in Lost in Austen 58 4.2 – Problematiche traduttive: le specificità culturali 63

4.2.1 – Lo humor 64

4.2.2 – Il turpiloquio 70 4.2.3 – Le forme di cortesia 74 4.2.4 – Riferimenti culturali e intertestuali 77

Conclusioni 85

Bibliografia 87

Sitografia 90

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Introduzione

Cosa direbbe Jane Austen se, svegliandosi in un giorno qualunque, potesse vedere quanta strada ha fatto il suo “own darling child”?

Pride and Prejudice, capolavoro della letteratura inglese, pur avendo

superato i duecento anni, continua a suscitare un grande interesse, tanto da aver dato origine a un vero e proprio universo di marketing, grazie al gran numero di riproduzioni e adattamenti che ruotano attorno al romanzo.

Proprio da questa osservazione ha preso l’avvio l’elaborato che segue, ponendosi l’obiettivo di analizzare le molteplici direzioni prese da

Pride and Prejudice negli ultimi decenni, specialmente in campo

audiovisivo, dal momento che cinema e serie tv sono uno dei linguaggi di comunicazione che più attrae il pubblico contemporaneo.

Dopo un excursus specifico sulle varie tipologie di traduzione audiovisiva e sul ruolo che nel tempo queste hanno assunto nell’ambito dei translation studies, si è scelto di prestare particolare attenzione alla sottotitolazione, tecnica traduttiva impiegata per il telefilm preso in esame: i sottotitoli, infatti, negli ultimi anni hanno rivestito un ruolo sempre più di primo piano nel panorama audiovisivo mondiale, anche grazie al considerevole apporto del fenomeno del fansubbing.

In seguito, dopo una breve analisi della produzione austeniana, utile a inquadrare con maggior chiarezza il romanzo Pride and Prejudice e i suoi successivi adattamenti, sono state esaminate e messe a confronto quattro differenti versioni del testo, realizzate dal 1995 a oggi: l’iconica miniserie della BBC, prodotta nel 1995, che ha segnato il ritorno alla ribalta della vicenda; il romanzo parodico Pride and Prejudice and

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The Lizzie Bennet Diaries, che ripropone le vicissitudini del romanzo in

chiave contemporanea; infine, Lost in Austen, serie tv inglese del 2008, in cui una giovane fanciulla della Londra moderna viene catapultata nell’Inghilterra ottocentesca al posto di Elizabeth Bennet.

Di quest’ultimo telefilm viene poi realizzata una proposta di sottotitolazione, successivamente analizzata per spiegare le criticità che questo particolare tipo di traduzione presenta.

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Capitolo 1

La traduzione audiovisiva e il processo di sottotitolazione

Con il termine traduzione audiovisiva (Audiovisual translation, abbreviato in AVT) ci si riferisce a tutte quelle modalità di trasferimento linguistico che si propongono di veicolare il dialogo originale di un prodotto audiovisivo, insieme alle informazioni che possono derivare dalla colonna sonora o da altri testi scritti che compaiono sullo schermo.

Il dibattito in merito alla traduzione audiovisiva e alla sua dignità come branca a sé stante nei translation studies è piuttosto recente, e solo nel 1995, in occasione del centenario della nascita del cinema, il Consiglio d'Europa1 ha dedicato un convegno proprio a questa importante disciplina. Il dubbio sull'opportunità di riconoscere questo settore della traduzione come indipendente scaturiva dal fatto che scarseggiavano le pubblicazioni sull'argomento, e soprattutto che, per i limiti a cui era sottoposta – limiti di tempo, di spazio, di sincronia con l'audio originale e con le immagini – più che una tipologia di traduzione vera e propria, questa potesse essere considerata come un adattamento dell'originale.

La diffusione sempre maggiore di prodotti audiovisivi, però, insieme con la sensibilizzazione nei confronti delle minoranze linguistiche, per le quali i mass media costituiscono un importante mezzo di comunicazione e rafforzamento dell'identità culturale, oltre che un'opportunità di apprendimento, ha fatto sì che venisse riconosciuta dapprima una etichetta di “traduzione filmica”,

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strettamente legata al mondo del cinema, che era il mezzo di trasmissione principale, poi di “traduzione per lo schermo”, ed infine la più completa definizione di “traduzione audiovisiva”, comprendente tutti i prodotti per i quali è necessaria una traduzione, indipendentemente dal mezzo di diffusione o dalla loro natura2.

Dato il maggior riconoscimento tributato alla traduzione audiovisiva come disciplina, gli studi su di essa sono entrati a pieno diritto in campo universitario, certamente grazie al maggior interesse accademico nei confronti dell'argomento, ma anche per la necessità, recentemente avvertita, di formare personale qualificato che fosse specializzato in traduzione filmica. Dalla fine degli anni Ottanta, quindi, si sono visti nascere in tutta Europa corsi e master di vario livello volti a preparare traduttori audiovisivi, nonostante le difficoltà incontrate per avviarli: a fare da ostacolo erano, da una parte, gli elevati costi che le università dovevano sostenere per computer e programmi traduttivi, dall'altra la diffidenza ancora non del tutto sconfitta verso una materia ancora nuova e poco diffusa.

1.1 - Tipologie di traduzione audiovisiva

Indubbiamente le modalità di traduzione audiovisiva più note e diffuse sono due: il doppiaggio e la sottotitolazione. La scelta tra l'una e l'altra è dettata dalle risorse economiche, dal numero dei parlanti di una lingua, dal tempo a disposizione e naturalmente anche dalla predisposizione culturale verso una delle due forme.

Per un lungo periodo l'Europa è stata ripartita in due grandi gruppi proprio in funzione di quale delle due metodologie era

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maggiormente applicata, anche se oggigiorno questa distinzione non è più così marcata, perché il progresso tecnologico e la sempre maggiore quantità di prodotti audiovisivi in circolazione ha attenuato la distinzione netta tra paesi doppiatori e sottotitolatori.

Ad ogni modo, possiamo con discreta approssimazione dire che l'Italia, la Spagna, la Gran Bretagna e i paesi germanofoni si dedicano maggiormente al doppiaggio, mentre i paesi del Nord ed Est europeo prediligono i sottotitoli, quando non forme di traduzione ancora più rapide ed economiche, come il voice-over.3

In Italia il doppiaggio è stato fortemente voluto e favorito nel periodo fascista4, in conseguenza della volontà di conservare la lingua della patria e del limitare le influenze dall'estero: questo ha però permesso di acquisire un livello di qualità molto elevato, e di portare questa tecnica all'eccellenza.

Il primato italiano conquistato nel settore negli ultimi tempi sta però vivendo una fase di declino: risente inevitabilmente della crisi economica, che si scontra con i costi onerosi che la pratica del doppiaggio ha sempre comportato, e parallelamente si trova a dover soddisfare la richiesta di commissioni con scadenze sempre più ristrette, dettate da esigenze di marketing quali il lancio in contemporanea mondiale delle pellicole di maggior successo.

La sottotitolazione, specialmente in un primo periodo, era stata considerata quasi una sorta di traduzione di serie B rispetto al doppiaggio: adesso non si parla più in questi termini, anche perché la differenza nei costi di produzione tra i due è notevole, quindi ci si

3 E. Perego, La traduzione audiovisiva, op.cit., p.16

4 Il 22 ottobre 1930 viene messo al bando l'uso della lingua straniera, anche in piccola parte, nel cinema – M. Paolinelli, E. Di Fortunato, Tradurre per il doppiaggio: la trasposizione

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rivolge al doppiaggio per lo più in casi in cui il ritorno economico è assicurato; se a questo si aggiunge la maggiore velocità e semplicità di realizzazione dei sottotitoli, ecco che il loro ruolo non può più essere ritenuto secondario.

Definiamo adesso con più precisione il doppiaggio, la sottotitolazione, e le altre forme di traduzione audiovisiva esistenti, seppur meno diffuse.

1.1.1 - Il doppiaggio

Il doppiaggio consiste nella sostituzione totale, tramite post sincronizzazione, della colonna sonora in lingua originale con quella tradotta; vengono impiegati attori o doppiatori professionisti che recitano nuovamente, nella lingua di arrivo, le battute del film tradotte.

Non da subito, però, si è perfezionata questa tecnica, nonostante l'esigenza della trasmissione di prodotti cinematografici in altre lingue sia stata sentita fin dalla nascita del film sonoro5. Inizialmente sono state tentate altre strade, quali far recitare agli attori le battute in più lingue, oppure produrre simultaneamente lo stesso film nei vari paesi, con attori diversi che parlassero la lingua locale, e solo successivamente, nel 1932, Jacob Karol inventa finalmente il doppiaggio6.

La difficoltà del doppiaggio non consiste, banalmente, nel far coincidere la sincronia del labiale originale con quella del testo

5 Nel 1927 abbiamo la prima battuta recitata in un film: «Wait a minute, you ain't heart nothing yet» all'interno del film The jazz singer,di Alan Croslan; nel 1928 il primo film interamente sonoro, Lights of New York. - M.Paolinelli, E.Di Fortunato, op.cit., Milano, Hoepli 2005, p.4 6 C.Ford, Paramount at Joinville, in Films in Review, n°9 - novembre 1961

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tradotto, ma nell'adattare eventuali giochi di parole, culturemi, linguaggio colloquiale, espressioni marcate in lingua originale, e trovare corrispondenti in traduzione senza che risultino forzati.

Il traduttore - dialoghista, colui che traduce per il doppiaggio, differisce proprio per queste ragioni dal traduttore editoriale: deve confrontarsi con un testo che è in realtà un microcosmo, un insieme complesso di elementi linguistici ma anche visivi e culturali; deve immedesimarsi nel ruolo e immaginare come parlerebbe ognuno dei personaggi, se parlassero nella sua lingua, non limitarsi a trovare la traduzione letterale corrispondente.

Il dialoghista non è però l'unica figura coinvolta nel processo di doppiaggio di un audiovisivo: al suo fianco lavorano il direttore del doppiaggio, che visiona il programma, assegna le parti da doppiare e supervisiona l'intero procedimento; gli attori doppiatori, che reinterpretano il copione tradotto dal dialoghista; l'assistente al doppiaggio, che gestisce i turni degli attori e verifica che la loro recitazione corrisponda alla sincronia labiale necessaria; collaborano poi i tecnici della sala registrazione, quali fonici e addetti al missaggio7.

Il coinvolgimento di un così alto numero di personale, oltre alla necessità di una strumentazione specifica adeguata, rende il doppiaggio un procedimento impegnativo sia per le lunghe tempistiche che per i considerevoli costi da sostenere.

La traduzione per il doppiaggio ha generato un fenomeno linguistico particolare, ironicamente definito doppiaggese8: la necessità di sincronia col labiale del video, unita talvolta alla

7 P. Diadori, Teoria e tecnica della traduzione: strategie, testi e contesti, Mondadori 2012, p.224 8 M. Paolinelli, E.Di Fortunato, op.cit., p.20

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frettolosità del processo traduttivo, ha prodotto la diffusione di espressioni non naturali nella lingua di arrivo; ad esempio, in italiano non diremmo “prendimi le mie scarpe”, ma ometteremmo il possessivo, che invece in inglese è sempre presente. Altri esempi di calchi originatisi come forme di doppiaggese sono l'ormai comunissimo “assolutamente sì”, corrispettivo dell'inglese

absolutely, o tutta una serie di imprecazioni quali “dannazione” (per damn it!) o “fottuto” (per fuckin').

Questo fenomeno è ormai così diffuso che l'anomalia di simili espressioni non risulta nemmeno più così evidente, e questi modi di dire vengono anzi riutilizzati nella vita quotidiana.

Certo il doppiaggio ha dei vantaggi innegabili, come quello di far immergere completamente lo spettatore nell'opera a cui sta assistendo, facendogli dimenticare che non è nata nella sua lingua madre ma in una straniera, e permettendogli di concentrarsi sulla visione senza la distrazione che comporterebbe, ad esempio, la lettura dei sottotitoli; di contro, rimane un procedimento lungo e dispendioso, che in qualche modo trasfigura sempre l'originale.

1.1.2 – La sottotitolazione

La sottotitolazione consiste in una traduzione scritta dei dialoghi del prodotto audiovisivo, insieme a quella di eventuali testi scritti che compaiono nelle immagini: i sottotitoli vengono presentati, come intuibile dal nome, nella parte inferiore dello schermo, e solitamente vanno da una a due righe di testo per un massimo di 70 caratteri totali.

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La traduzione viene però limitata temporalmente, sia per la necessità di coordinarsi con i dialoghi e le immagini originali, sia per consentire allo spettatore il tempo sufficiente alla lettura dell'intero sottotitolo, nonché spazialmente, per via delle due righe di testo in cui si deve trasmettere il contenuto9: di conseguenza non sarà quasi mai una riproduzione fedele e totale del dialogo originale, a meno che la densità di quest'ultimo non sia veramente bassa, ma sarà necessariamente una riscrittura condensata.

I vantaggi di questo metodo traduttivo sono però molteplici: innanzitutto non si perde nulla del prodotto originale, in quanto i sottotitoli vi si affiancano senza sostituire nulla; inoltre, la possibilità di usufruire contemporaneamente dell'audio e della traduzione scritta lo rendono un metodo molto utilizzato per l'apprendimento delle lingue straniere. Da non dimenticare, infine, la maggiore velocità di realizzazione rispetto al doppiaggio, a fronte di un costo inferiore.

Di contro, la necessità di concentrarsi su un testo scritto contemporaneamente alle immagini e all'audio richiede certamente uno sforzo maggiore allo spettatore, oltre ad annullare in massima parte la finzione scenica.

Oltre alla sottotitolazione classica che abbiamo appena descritto è opportuno segnalare una sua variante, la sottotitolazione simultanea, prodotta in tempo reale al momento dell'ascolto di un programma e utilizzata principalmente per notiziari e interviste dal vivo.

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12 1.1.3 – Il voice-over

Il voice-over è una forma di traduzione che per alcune sue caratteristiche sta a cavallo tra doppiaggio e sottotitoli: si tratta di una traduzione in forma orale che viene riprodotta al di sopra della colonna sonora originale, che quindi rimane parzialmente fruibile, in quanto il volume viene abbassato e comunque coperto dalla traduzione. Le voci tradotte appartengono a giornalisti, attori professionisti o in ogni caso persone specializzate, e il metodo viene utilizzato, più che per film, per programmi televisivi o notiziari.

Abbiamo quindi alcune caratteristiche proprie del doppiaggio, cioè la forma orale e la versione nella lingua di arrivo, ma anche dei sottotitoli, perché per necessità di tempo i dialoghi non sono riproposti alla lettera ma vengono ridotti, sono traduzioni parziali.

È una soluzione di compromesso, per non privare gli spettatori di un prodotto nella loro lingua, ma al tempo stesso ridurre significativamente costi e tempi di elaborazione; nel complesso non è però di grande rilevanza nell'ambito della traduzione filmica, rimanendo una strategia traduttiva la cui diffusione è limitata soltanto ad alcune zone, tra cui è doveroso citare la Polonia, dove è invece il metodo traduttivo primario10.

1.1.4 – Altre tipologie traduttive

Pur avendo una bassa diffusione, e di conseguenza minor attenzione nell’ambito dei translation studies, è opportuno quantomeno ricordare l'esistenza di altre forme di traduzione audiovisiva che esistono ai margini di quelle principali: la

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narrazione, piuttosto simile al voice-over, che consiste in un testo tradotto preparato precedentemente alla messa in onda e che viene letto da un'unica voce, quindi senza una vera e propria recitazione ma solo con una attenzione al ritmo dell'originale. Anche i dialoghi non sono tradotti con precisione, ma in modo approssimativo, riportando sommariamente il contenuto.

Un'altra variante è il commento, che si distacca ulteriormente dalla narrazione, sebbene il criterio sia simile, per una fedeltà ancora minore al prodotto originale: ci si permette anzi di divagare, tagliando o ampliando i contenuti dove si ritiene necessario. Il testo, più che propriamente tradotto, viene rielaborato.

1.2 - I translation studies e la sottotitolazione

Una volta che si considera la sottotitolazione intralinguistica come una vera e propria specializzazione traduttiva, non si può prescindere dal valutarla secondo una serie di concetti propri della teoria della traduzione. In particolare, gli aspetti a cui fare riferimento analizzando la sottotitolazione sono quelli di equivalenza, adeguatezza, fedeltà e traducibilità11.

Quando si parla di equivalenza si esprime un concetto molto ampio, che ha a che fare con la relazione tra testo originale e testo tradotto: questo rapporto si declina su più livelli, dalla singola parola ai concetti più elaborati, fino all’intero messaggio del testo.

Per Vinay e Darbelnet il concetto di equivalenza si applica sulla base della situazione12 che può essere resa con mezzi stilistici e

11 E.Perego, La traduzione audiovisiva ,op.cit., p. 41

12 Jean Paul Viney, Jean Darbelnet, A Methodology for Translation, p.91 in Lawrence Venuti, The Translation Studies Reader, London, Routledge 2000

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sintattici distinti dall’originale, pur preservando il messaggio e soprattutto l’effetto che si vuole trasmettere. L’obiettivo non è tradurre letteralmente l’originale, ma, dopo averlo compreso, riprodurre una situazione che possa corrispondervi nella cultura di chi riceve la traduzione.

Anche Nida concorda sul fatto che non ci possa essere una assoluta identità tra le due lingue, e che quindi il risultato debba essere “the closest possibile equivalent”13: questo equivalente si colloca lungo una linea di sfumature che va dall’equivalenza formale, ossia la resa più vicina all’originale sia dal punto di vista della forma che del contenuto, fino all’equivalenza dinamica, ossia una corrispondenza che, prescindendo dalla forma di partenza, ha l’obiettivo di dare alla traduzione la maggior naturalezza linguistica. Si possono dunque considerare concettualmente simili l’dea di equivalenza situazionale di Vinay e Darbelnet e quella di equivalenza dinamica di Nida.

La nozione di equivalenza si applica necessariamente nella sottotitolazione, e per i ben noti limiti di tempo e spazio difficilmente si otterrà una perfetta equivalenza formale; sarà più facile che si raggiunga una equivalenza dinamica, mantenendo l’obiettivo di preservare il contenuto dell’originale e produrre sugli spettatori l’effetto desiderato.

Anche la nozione di adeguatezza concerne la relazione tra testo originale e tradotto: il termine stesso sembra suggerire un risultato meno soddisfacente rispetto all’equivalenza, una resa che deve sottostare a qualche compromesso. A questo punto entra in gioco un altro concetto chiave della teoria traduttiva, quello di dominante, ossia l’elemento base che caratterizza il testo: la scelta del traduttore

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dovrà ruotare intorno alla miglior resa possibile della dominante, sacrificando, semmai, gli elementi secondari. Si intuisce chiaramente come questa possa essere una circostanza che si prospetta di frequente durante l’operato del sottotitolatore.

La principale differenza tra traduzione adeguata ed equivalente è la loro inclinazione: la prima risulta maggiormente target oriented, cerca cioè di soddisfare maggiormente le esigenze del testo di arrivo, mentre la seconda è più source oriented, e tiene il testo originale sempre in primo piano.

Il termine fedeltà è sempre stato uno dei più controversi nell’ambito degli studi sulla traduzione, ed è così anche per quanto riguarda la traduzione audiovisiva: se possibile, il rischio di “tradire” la fonte al momento di sottotitolare un film è ancora più alto che in letteratura, dal momento che non si passa solo a un’altra lingua, ma anche a un altro codice, da orale a scritto, e con i limiti temporali e grafici già descritti. Il traduttore deve quindi attraversare due fasi: una prima, fondamentale, di comprensione del testo, e successivamente una riformulazione. Rimane dubbio, ma questo non vale esclusivamente per i sottotitoli, se ci possa essere una traduzione effettivamente “fedele”: non ogni parola in una lingua ha un corrispondente esatto in tutte le altre, non ogni concetto può essere compreso e trasmesso al cento per cento in un’altra cultura, ci sono sfumature che non possono essere colmate.

Questo rimanda al concetto di traducibilità, e del suo contrario: nonostante le lacune che ci possano essere nella resa di una espressione da una lingua all’altra, abbiamo però vari modi, quali note esplicative, commenti, parafrasi e riformulazioni, che permettono di fare giungere il messaggio e quindi di non parlare di intraducibilità in senso assoluto, per quanto anche il genere testuale

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influisca su queste possibilità: i sottotitoli, ad esempio, sono molto più limitanti sullo spazio che lasciano a espansioni esplicative, e non permettono l’utilizzo di note o commenti. Infine, se poi ci si riferisce invece a un singolo termine o concetto e a un suo corrispondente diretto, allora ci possono essere circostanze in cui può essere intraducibile.

1.3 – Tipi di sottotitoli

I sottotitoli, come già accennato, non sono di un solo tipo: possono essere nella stessa lingua dell'originale oppure in una lingua differente, possono essere selezionati dallo spettatore oppure parte integrante del programma che accompagnano, e svolgono diverse funzioni in base a come vengono creati, programmati e utilizzati.

In base alla lingua in uso si distinguono tre categorie: i sottotitoli nella stessa lingua dell'originale, o intralinguistici, quelli in una seconda lingua, o interlinguistici, e quelli bilingui14.

I sottotitoli realizzati nella stessa lingua del programma possono avere scopi differenti: possono fare parte di quella categoria a sé che sono i sottotitoli per non udenti, che quindi riportano, oltre ai dialoghi, anche rumori di scena come porte che sbattono o la sirena di una ambulanza, che sono significativi per la comprensione del testo. Possono essere utilizzati per scopi di apprendimento linguistico, per sopperire alla necessità di avere una traccia scritta di ciò che si ascolta e sostenere quindi la comprensione. Ancora, possono servire a chiarificare espressioni in un dialetto particolare,

14 J. Dìaz Cintas, A. Remael, Audiovisual Translation: Subtitling, Manchester, St.Jerome 2007, pp.14-18

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come ad esempio in Baarìa, di Tornatore, recitato in dialetto siciliano e quindi sottotitolato in italiano per una migliore comprensione.

Infine, un caso particolare di sottotitoli intralinguistici sono i testi per il karaoke.

I sottotitoli più diffusi sono naturalmente quelli in una lingua diversa dall'originale, per permettere la divulgazione e comprensione di un prodotto audiovisivo straniero; anche in questo caso c'è la versione per non udenti.

Una terza variante sono infine i sottotitoli bilingui, per paesi plurilingui come il Belgio che, avendo due lingue ufficiali, rende necessario presentare i sottotitoli in entrambe.

Le distinzioni sui sottotitoli non si limitano alla lingua di realizzazione: dal punto di vista tecnico, infatti, possiamo parlare di sottotitoli aperti, che vengono incisi sull'immagine stessa e non possono essere separati da essa, e di sottotitoli chiusi, che possono essere inseriti o rimossi a discrezione dello spettatore, come avviene ad esempio oggi nella maggior parte dei dvd in commercio.

Un'ulteriore categorizzazione che possiamo applicare ai sottotitoli riguarda infine la modalità di realizzazione: distinguiamo infatti tra sottotitoli offline, ovvero preparati prima della messa in onda, e online, o in diretta, una sorta di traduzione simultanea.15

Nel caso dei sottotitoli offline c'è un intervallo di tempo più o meno ampio tra la registrazione del programma e la sua messa in onda, in cui chi si occupa della realizzazione dei sottotitoli può svolgere il suo compito con maggiore accuratezza rispetto alla

15 J. Dìaz Cintas, A. Remael, Audiovisual Translation: Subtitling, Manchester, S.Jerome, 2007, p.19

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sottotitolazione in tempo reale, nella quale invece la pressione dell'immediatezza del compito lascia spazio a un più alto margine di imprecisione. Quest'ultimo metodo viene utilizzato soprattutto nella sottotitolazione di notiziari, edizioni straordinarie, interviste e altre situazioni che non consentono una preparazione anticipata.

1.4 – Il processo di creazione dei sottotitoli

Analizziamo ora il procedimento con cui si arriva alla produzione dei sottotitoli per un prodotto audiovisivo.

Idealmente, il traduttore lavora su una lista dei dialoghi fornita in partenza da chi commissiona il lavoro, sia esso la casa di produzione di un film, di una serie tv o altro; in alcuni casi però non si ha a disposizione alcun testo originale scritto, quindi la prima fase prevede un lungo lavoro di trascrizione dei dialoghi originali.

Se le tempistiche lo permettono, è consigliabile che il traduttore visioni integralmente l'audiovisivo su cui si accinge a lavorare, in modo da avere un'idea globale del testo da affrontare: in questa prima visione, vengono già appuntate e messe in rilievo quelle che potrebbero essere delle criticità in fase di traduzione16.

Vanno infatti evidenziate:

o eventuali informazioni deducibili dalla colonna sonora

o grado di formalità nei rapporti tra i personaggi o frasi polisemiche, che cambiano di significato in relazione alle immagini

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o testi che compaiono sullo schermo e che vanno riportati come didascalia, come ad esempio sms ricevuti, titoli di giornali o altri elementi simili

o pronomi marcati nella lingua di origine che potrebbero non esserlo nella lingua di arrivo

o eventuali indicazioni di luogo o altri riferimenti che le immagini in scena rendono superflue o interiezioni, vocativi, espressioni colloquiali tipiche soltanto del parlato e che quindi non avrebbero senso se riportate per iscritto

o cambi di inquadratura che possano condizionare la comprensione del testo o limitarne la durata in sovrimpressione.

Una volta che tutti i punti cruciali sono stati analizzati, si comincia il lavoro di traduzione vero e proprio, che prevederà tecniche specifiche quali la riduzione, la condensazione, l'eliminazione e tutti gli accorgimenti necessari a veicolare il messaggio nel limitato spazio di due righe di testo e una settantina di caratteri.

Questo se il traduttore svolge anche il compito di adattatore17, e presenta quindi il prodotto finito; diversamente, alla traduzione globale dei dialoghi subentrerà un processo di adattamento, così da renderla fruibile come sottotitoli.

Si passa quindi alla indispensabile fase di correzione di eventuali refusi o errori tipografici, particolarmente insidiosi perché molto più evidenti se trasmessi sullo schermo, e infine il prodotto sarà pronto per la consegna.

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In tutto questo processo si inserisce anche una parte tecnica, quella della individuazione dei tempi di entrata e uscita dei sottotitoli dallo schermo e della loro durata sulla scena: questo ruolo in teoria è competenza di una figura specializzata, lo spotter, così come l'adattamento è proprio dell'adattatore, ma ultimamente è sempre più frequente che la stessa figura professionale svolga i tre ruoli insieme e si occupi di tradurre, adattare e gestire la parte tecnica insieme.

Lasciando da parte temporaneamente la creazione di sottotitoli professionali, poi, una buona parte del merito per la diffusione dei sottotitoli si è avuta, negli ultimi anni, grazie al fenomeno del

fansubbing: nato inizialmente per importare gli anime, i cartoni

animati giapponesi, e successivamente ampliatosi con l'aumentare della produzione di serie tv, ha visto migliaia di appassionati occuparsi di sottotitolare i loro episodi preferiti, spesso immediatamente dopo la trasmissione in lingua originale, talvolta anche nottetempo, e di diffondere su forum e siti specializzati la loro produzione, per tutti coloro che condividono lo stesso interesse, rendendo così fruibile un gran numero di programmi, che talvolta non arrivano nemmeno ad essere trasmessi in traduzione attraverso i canali ufficiali.

1.5 – Strategie di creazione dei sottotitoli

Il processo di realizzazione di sottotitoli prevede che si passi attraverso delle modifiche sostanziali: la riduzione, la variazione diamesica e infine la traduzione vera e propria.

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21 1.5.1 – La riduzione

Il concetto di riduzione non è da pensare in termini di inferiorità del sottotitolo rispetto all'originale, ma piuttosto come una condizione necessaria e propria della tipologia traduttiva; il sottotitolo, infatti, come abbiamo detto, non si sostituisce all'originale, ma vi si affianca, preservandone l'interezza e consentendo al contempo una migliore comprensione. In quest'ottica la riduzione non deve apparire penalizzante.

Abbiamo visto che la riduzione va operata innanzitutto per cause oggettive, ovvero le necessità spaziali e temporali cui è sottoposto il sottotitolo. Non si può dire in modo universalmente valido a quanto debba corrispondere questa riduzione, perché essa dipende da fattori diversi: la velocità di lettura del pubblico e il suo grado di alfabetizzazione, la densità di contenuti veicolati dall'audiovisivo e il genere a cui appartiene, le differenze tra lingua di partenza e lingua di arrivo. Ciò che è importante non è la quantità di testo riportato, ma il modo in cui lo spettatore riceve il prodotto finale, che deve essere il più possibile vicino all'originale.

La riduzione può essere totale (eliminazione) o parziale (condensazione)18.

Si può ricorrere all'eliminazione in moltissimi casi: nomi di persona precedentemente menzionati, vocativi, interiezioni, marche pronominali non necessarie o comunque deducibili dal contesto, ripetizioni, riferimenti geografici, riferimenti culturali non aventi un corrispondente esatto in traduzione, e mille altri esempi, perché ogni caso è a sé.

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Il rischio dell'eliminazione, però, è di standardizzare eccessivamente i contenuti, privilegiando l'aspetto narrativo rispetto a quello emozionale: questo comporterebbe, oltre a una mancanza di immedesimazione e immersione nella vicenda da parte dello spettatore, un rischio di fraintendimento, ad esempio, in merito al carattere dei personaggi o alle relazioni tra di essi; una ripetizione, ad esempio, che viene rimossa, può far apparire deciso e sicuro di sé un soggetto timido ed esitante, cambiando drasticamente la percezione di chi assiste.

Ancora, un'altra tendenza è quella della eliminazione delle espressioni gergali e del turpiloquio, che vengono di frequente omesse o normalizzate, ma anche in questo caso il traduttore deve essere in grado di cogliere se sia un elemento secondario o una marca caratterizzante dell'intero testo audiovisivo19.

La condensazione, d'altra parte, è una forma di riduzione che non omette elementi rilevanti del messaggio: questo viene trasmesso intero nei contenuti, ma modificato e abbreviato nella forma. Ad esempio, dire “mi sono svegliato un quarto d'ora fa” o “mi sono appena svegliato” non crea alcuna discrepanza nel messaggio da trasmettere, è solo una modifica atta a risparmiare spazio e caratteri.

A volte, poi, si può operare una cosiddetta riduzione esplicitante, ovvero sintetizzare il messaggio ma aggiungendo qualcosa che può servire a trasmettere l'intento, l'emozione con cui quel messaggio viene codificato, oppure ancora trasformando una frase affermativa più lunga in una negativa: dire “era in compagnia di qualcuno” e

19 M.Pavesi, Usi del turpiloquio nella traduzione filmica, in Tradurre il cinema: atti del convegno, Trieste 1996, p.77

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sottotitolare “non era solo” veicola lo stesso messaggio ma con un consistente risparmio grafico.

1.5.2 – La variazione diamesica

Un altro elemento non trascurabile nella creazione di un sottotitolo è la necessità di tenere conto del fatto che si opera un passaggio tra due codici differenti: orale e scritto.

Indispensabile è sottolineare che il codice orale di provenienza è il parlato filmico, ovvero non un parlato spontaneo, ma prefabbricato per sembrare tale.

Per compiere questa operazione di passaggio bisogna innanzitutto tenere ben presente che ciò che si dice parlando, molto spesso non si scriverebbe: la differenza di canale comunicativo è quindi primaria. In più, oltre a questa variazione, dobbiamo considerare quanto si è appena descritto, ovvero la necessità di ridurre, contestualmente al passaggio al testo scritto. Questo rende il lavoro del sottotitolatore doppiamente delicato.

Per sua natura, il testo scritto sarà più formale e standard, privato dell'enfasi e delle ridondanze del parlato; oltre a ciò, la tendenza a rimuovere il turpiloquio, le ripetizioni, il lessico gergale fa sì che l'impatto emotivo sia inevitabilmente ridotto; in questa circostanza si usa parlare di originale impoverito.

Talvolta, però, il passaggio al codice scritto permette anche alcune migliorie rispetto al dialogo orale: ci consente infatti alcune disambiguazioni, o di usare termini più precisi e di evitare le ripetizioni caratteristiche del linguaggio colloquiale. Ad esempio, l'abuso del verbo “fare” può essere sostituito da una terminologia più

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specifica in base alla situazione in atto: in questo caso si parla di

originale arricchito.

Nonostante nel sottotitolo si perda la caratteristica propria del parlato, ovvero la ricchezza di intonazione, di enfasi, tutto ciò che ci consente di interpretare il messaggio andando oltre il mero livello contenutistico, abbiamo la possibilità di utilizzare la punteggiatura, gli intervalli e tutti gli elementi appartenenti alla sfera grafica per poter trasmettere almeno in parte quello che viene definito come appartenente alla sfera paralinguistica: così l'interpunzione, il modo in cui le battute vengono divise tra la riga superiore e inferiore del sottotitolo, l'esplicitazione di pronomi per marcare l'intento ironico o interrogativo di una espressione sopperiscono, seppur parzialmente, alle mancanze del testo scritto rispetto al parlato.

Alla luce di questa analisi, non è superfluo ricordare che il sottotitolo si propone come accompagnamento all'originale, non come sostituzione in toto, e che quindi certe mancanze, seppur significative, non pregiudicano la comprensione e la trasmissione del messaggio contenuto nell'audiovisivo originale.

1.5.3 – Il metodo di Gottlieb

Sebbene si possa affermare con buona approssimazione che quelle appena descritte sono le strategie più comuni nell'ambito della traduzione per i sottotitoli, è difficile stilare uno schema che possa essere universalmente valido e applicabile, in quanto i fattori che influiscono sulla realizzazione di sottotitoli sono molteplici: il genere cui appartiene il prodotto audiovisivo di cui si intraprende la

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traduzione, il pubblico a cui questa è diretta, e la maggiore o minore vicinanza strutturale e culturale delle due lingue coinvolte.

Nonostante la varietà di soluzioni che questi fattori possono determinare, lo studioso danese Gottlieb offre un tentativo di schematizzazione delle pratiche applicate dai traduttori professionisti all'atto di tradurre un audiovisivo, raccolte in un metodo che prevede dieci differenti operazioni20:

Espansione Parafrasi Trasposizione Imitazione Trascrizione Dislocazione Condensazione Riduzione Cancellazione Rinuncia

L'espansione, come intuibile dal nome, prevede una aggiunta al testo originale, prevalentemente allo scopo di esplicitare concetti o riferimenti extralinguistici propri della cultura di origine ma lontani da quella di arrivo del testo: è una pratica che ha dei limiti, specialmente quelli temporali di proiezione e lettura del sottotitolo. Si pone in modo diametralmente opposto alla rinuncia, che invece

20 H. Gottlieb, Subtitling: a new discipline,1992, cit. in E. Perego, La traduzione audiovisiva, p.101

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consiste nell'accettare l'intraducibilità di un concetto e quindi nel saltarlo a pié pari: anche questa avviene soprattutto in caso di giochi di parole o altri riferimenti ad aspetti culturali, quali cibi, eventi storici, politici o elementi della tradizione popolare che non possono essere compresi dalla lingua di arrivo e per cui non è possibile trovare un'espressione corrispondente. Non a caso si trova al fondo della scala di strategie di Gottlieb, rappresentando in tutto e per tutto una mancata traduzione.

Il termine parafrasi assume in questo contesto un significato diverso da quello dell'uso corrente21, avvicinandosi piuttosto al concetto di equivalenza dinamica o situazionale22: in questo caso, di una espressione viene completamente tralasciata la forma letterale, e viene resa con un sintagma che sia equivalente nel messaggio da trasmettere, e che produca lo stesso effetto sul ricevente; si tratta di una pratica più adatta ad espressioni idiomatiche, quando più che la forma è interessante mantenere l'intenzione comunicativa.

È chiaramente una pratica che richiede al traduttore una certa sottigliezza e soprattutto una eccellente conoscenza della lingua originale, per essere sicuro di cogliere appieno le sfumature dell'espressione e scegliere un equivalente corretto.

La trasposizione è probabilmente il metodo traduttivo più lineare: l'originale viene reso letteralmente, parola per parola, rispettando l'ordine e la forma. Questo è ottenibile se i limiti di tempo

21 Parafrasi, dal latino paraphrasis, greco παράϕρασις, “dire con altre parole”: Esposizione con parole proprie, con una costruzione più semplice e chiara rispetto all’originale, e spesso con sviluppi e amplificazioni, di un testo, spec. letterario (anche traducendo in altra lingua) – Vocabolario Treccani, www.treccani.it

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sono ampi, quindi se la densità del dialogo non è troppo alta, ed è più facile se le strutture delle due lingue sono simili.

Un metodo poco usuale, adatto solo a circostanze particolari, è l'imitazione: non vengono tradotti, ma riportati tali e quali, alcuni segmenti di testo. È un'operazione che si può applicare nel caso di nomi propri, espressioni allocutive, o casi in cui vi siano citazioni dirette in una lingua diversa sia dall'originale, sia dalla lingua di arrivo, come nel caso di canzoni o poesie (purché siano facilmente riconoscibili dallo spettatore).

Nel caso della trascrizione siamo di fronte ad una effettiva prova di creatività del traduttore, che in questo caso deve rivisitare eventuali usi non standard della lingua originale, quali giochi di parole, elementi dialettali, onomatopee e versi di animali, doppi sensi basati su ambiguità fonetiche, e rielaborarli in modo efficace nella lingua di arrivo; non sempre è possibile ottenere un risultato equivalente, e il rischio tra l'altro è di incorrere in forzature.

La dislocazione prevede di riformulare la frase tradotta in un ordine differente dal dialogo originale, spesso per necessità di tenere fede a dei riferimenti presenti nel video; il contenuto viene mantenuto interamente, è una situazione plausibile nel caso di lingue con struttura sintattica diversa.

Parliamo poi di condensazione quando il messaggio dell'originale viene veicolato in una sua versione più sintetica: non si perde nulla del contenuto, si tratta soltanto di una modifica formale. Non lo stesso si può dire della riduzione, in cui viene riportato il testo privato di elementi ritenuti ridondanti, superflui per la sua trasmissione. La cancellazione può essere definita come una sua versione più estrema, in quanto non vengono rimosse singole parole,

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ma fino a interi enunciati. Certo, con queste strategie si corre un rischio: dal momento che, come si è ribadito, uno dei vantaggi del sottotitolo è che la colonna sonora originale viene preservata, a un ascoltatore che conosce la lingua di origine, o che magari usa i sottotitoli come supporto dell'apprendimento, non può sfuggire una certa discrepanza tra audio e versione scritta.

Il modello di Gottlieb presenta dunque una casistica abbastanza varia delle insidie a cui si può trovare di fronte un traduttore di sottotitoli, e delle strategie da utilizzare nelle differenti situazioni: non si hanno però, sfortunatamente, delle indicazioni più precise su quando applicare l'uno o l'altro metodo, anche perché, essendo la lingua un elemento vivo e non sempre utilizzato nella sua forma standard, spesso il testo da tradurre richiede l'impiego di più di una soluzione contemporaneamente.

Si può però osservare come lo schema proposto da Gottlieb rappresenti una sorta di parabola discendente della traduzione, passando dai metodi più ricchi dal punto di vista della qualità e quantità di informazioni trasmesse nel sottotitolo a quelli meno ricchi, fino a giungere all'assenza di traduzione.

1.5.4 – Il metodo di Lomheim

Gottlieb non è stato il solo a proporre un approccio schematizzato alla traduzione dei sottotitoli: un altro studioso, il norvegese Lomheim, ha elaborato un metodo che non si discosta molto dal suo, se non nel suo essere più sintetico e nel proporre delle sfumature differenti.

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Le operazioni che il sottotitolatore può trovarsi a praticare, secondo Lomheim, sono sei:

Cancellazione Condensazione Aggiunta Iperonimia Iponimia Neutralizzazione

Le prime due strategie sono sostanzialmente identiche a quelle omonime di Gottlieb, così come l'aggiunta corrisponde all'espansione nel suo modello; vale la pena prestare invece attenzione alle altre tre.

Iperonimia, iponimia e neutralizzazione sono tutte tecniche che prevedono la sostituzione, nei sottotitoli, di alcuni elementi dell'originale, spesso con l'obiettivo di sintetizzare, ma non solo. L'iperonimia è la generalizzazione di un termine, come nel caso di “frutti di bosco” in luogo di “loganberries”23; l'iponimia è il processo inverso, l'utilizzo di un termine più specifico: l'italiano “nipote”, ad esempio, in inglese può avere diverse corrispondenze a seconda che si tratti del nipote maschio o femmina del nonno (grandson,

granddaughter) o dello zio (nephew, niece), quindi in una sola parola

si possono dare dettagli e riferimenti ben più precisi a seconda del soggetto di cui si sta parlando.

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Infine, la neutralizzazione prevede la rimozione di ogni connotazione intrinseca al termine originale.

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Capitolo 2

Jane Austen – vita e opere

Jane Austen (1775 – 1817) è forse la più amata tra le scrittrici inglesi. Nonostante ciò, le informazioni biografiche sul suo conto sono “famously scarce”24, e ci rimangono solo alcune lettere familiari, poche in confronto alla mole di corrispondenza che la scrittrice era solita scambiare con la sorella: la maggior parte di quelle che si presume siano state scritte, cioè circa tremila, sono andate perdute o censurate in gran parte; non sono ben chiare le motivazioni, se siano state distrutte in quanto ritenute irrilevanti, di interesse a carattere meramente privato, o se censurate in quanto riportavano informazioni troppo personali, che potevano danneggiare l'immagine della Austen come autrice. Le poche che possediamo, ad ogni modo, contengono un interessante spaccato della vita del tempo, utili a farci un quadro dell'Inghilterra di provincia di fine Settecento; non si ritiene che le lettere mancanti possano però fornirci preziose informazioni sulla Austen letterata, poiché il contenuto della sua corrispondenza era per lo più familiare.

2.1 – Vita

Jane Austen nasce il 16 dicembre 1775 a Steventon da George Austen e Cassandra Leigh. Il ramo materno della famiglia è quello più agiato tra i due, essendo di estrazione nobiliare; la famiglia paterna era impiegata nel settore della lavorazione della lana, ma George Austen aveva scelto per sé una strada diversa, diventando pastore anglicano25.

24Fergus, "Biography", pag. 3-4, in Jane Austen in Context, a cura di Janet Todd, 2005, Cambridge University Press

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Quella degli Austen è una famiglia numerosa: Jane ha una sorella, Cassandra, e sei fratelli. Di questi, due, Charles e Frank, si arruolano in marina; Edward viene accolto e adottato da un cugino, Thomas Knight, di cui erediterà nome e possedimenti; George, che viene affidato a una famiglia dei dintorni, a quanto sembra perché mentalmente ritardato; Henry, il fratello più caro a Jane, nonché suo agente letterario, trova lavoro in banca, e al fallimento di quest'ultima diventa prete anglicano; infine Cassandra che, come la Austen, non si sposa, restando così in casa con la sorella, che diviene la sua più stretta confidente.

Secondo la tradizione di famiglia, le due sorelle Austen vengono mandate a Oxford per essere educate da Ann Cawley, e con lei si spostano a Southampton, dove però Jane si ammala di tifo, rischiando la vita: da allora la loro istruzione prosegue in casa fino al momento della partenza per il collegio, dal quale però vengono ritirate dopo circa un anno per problemi economici.

Jane continua lo studio da autodidatta, attingendo alla biblioteca del padre e dello zio – a casa Austen c'era una politica molto aperta nei confronti dell'approccio dei figli ai libri – e inizia anche a scrivere i suoi primi tentativi letterari, per sé e per la famiglia. Questi primi scritti sono contenuti nella raccolta Juvenilia, che copre il periodo tra il 1787 e il 1793.

Della vita sentimentale della scrittrice sappiamo poco: ci rimane la notizia di una relazione con Tom Leffroy, interrotta però ben presto in quanto osteggiata dalla famiglia di lui, che lamentava la scarsa disponibilità economica degli Austen.

La vita della Austen subisce uno sconvolgimento all'inizio del 1800: il padre decide di lasciare la vita religiosa e Steventon per trasferirsi a

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Bath.26 Questo avvenimento destabilizza Jane, così che anche la sua attività creativa subisce una fase di stallo.

Nel 1802 riceve la sua prima e unica proposta di matrimonio, da parte di Harris Bigg-Wither: in prima battuta accetta, in quanto sarebbe stata una svolta positiva per la situazione economica della famiglia, ma Jane se ne pente immediatamente e il giorno successivo annulla il fidanzamento. Resterà sola, e vivrà con la famiglia fino alla morte.

Alla morte del padre di Jane, rapida e improvvisa, la famiglia si ritrova in difficoltà finanziarie, e i fratelli della scrittrice si prodigano per contribuire al mantenimento delle donne di casa. Dal 1809 si trasferiscono a Chawton, in una parte della proprietà del fratello Edward, conducendo una vita riservata e tranquilla. In questa fase della sua vita, la Austen pubblica quattro dei suoi grandi romanzi: Sense and

Sensibility, Pride and Prejudice, Mansfield Park e Emma, e inizia la stesura

di Persuasion. Nello stesso periodo, però, si ammala: le viene diagnosticato il morbo di Addison, un grave e raro disturbo endocrino, che la porterà alla morte il 18 luglio del 1817. Nonostante la malattia la scrittrice non interrompe il lavoro creativo, e i suoi ultimi due romanzi,

Persuasion e Northanger Abbey, verranno pubblicati postumi. Il fratello

Henry si occuperà della pubblicazione, curando anche la nota biografica sull'autrice, rivelandone finalmente l'identità.

2.2 – Stile e tematiche

I primi romanzi della Austen furono pubblicati in forma anonima, per cui fin quando fu in vita godette di scarsa fama letteraria, e soltanto nelle

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opere postume, come già detto, il fratello Henry si occupò di esplicitare l'identità della scrittrice.

Per tutto il diciannovesimo secolo Jane Austen non riscosse un successo eccezionale, rimanendo relegata a un ruolo di secondo piano e considerata inferiore ad altri grandi romanzieri, quali Dickens o George Eliot.

Nonostante l'autrice abbia vissuto in un periodo di grande fermento politico, sociale e culturale – la rivoluzione francese, l'avvento del dominio napoleonico, la prima rivoluzione industriale – i suoi scritti non furono particolarmente influenzati da questo tipo di tematiche, preferendo descrivere altri aspetti della quotidianità e della realtà sociale del tempo27: quelli delle piccole comunità di campagna, regolate da rigide dinamiche di classe e da forti valori morali. Di fatto, i romanzi di Jane Austen vengono spesso annoverati sotto l'etichetta di Comedy of

Manners, un genere caratteristico nella letteratura inglese che si riferisce

alla narrazione, con tratteggio satirico, di situazioni e personaggi stereotipati, i cui difetti o caratteristiche vengono ironicamente evidenziati.

Gli scritti della Austen sono tacciati di poco realismo, proprio per l'assenza di descrizioni fisiche e analisi del carattere dei personaggi, ma in effetti il realismo austeniano si manifesta in altre peculiarità, come l'attenzione ai dettagli del quotidiano, nonché il sapiente tratteggio delle voci dei vari personaggi, che permette al lettore di immedesimarsi in ognuno di loro e calarsi appieno nel contesto della vicenda; cosa, quest'ultima, resa possibile anche dall'uso della tecnica narrativa del

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discorso indiretto libero28, in cui i pensieri dell'autore si mescolano a quelli del protagonista.

La mancanza di una caratterizzazione politica e sociale di grande respiro non deve fare incorrere nell'errore di ritenere i romanzi della Austen superficiali, come a volte la scarsa introspezione psicologica dei personaggi e la prevalenza dialogica rispetto agli aspetti descrittivi hanno potuto far pensare: la realtà circostante viene delineata con una spiccata dote satirica e l'ironia è uno dei tratti fondamentali della narrazione.

Una delle tematiche che più sta a cuore alla Austen nei suoi romanzi è indubbiamente quella dell'istruzione, intesa non soltanto come cultura accademica, ma come processo di crescita personale, di presa di consapevolezza dei propri errori e di stimolo a migliorarsi: l'intera trama di Pride and Prejudice si fonda proprio su questo percorso, su un comportamento errato, sul suo riconoscimento come tale e sull'intento di redimersi e rimediare.

La cultura derivata dai libri è anch'essa una prerogativa interessante, ma non sempre considerata positivamente, come ci dimostra ad esempio

Northanger Abbey, dove l'eroina si perde a tal punto nella finzione dei

romanzi gotici che questi la portano a travisare la realtà.

Lettura sì, quindi, ma edificante: la morale è infatti un altro dei temi più cari alla Austen; morale intesa come buon costume e comportamenti adeguati, non solo superficialmente, nel senso di etichetta, ma nel profondo, un concetto di etica che l'autrice si aspetta sviluppino anche i suoi lettori, tramite quello dei personaggi. Vede come nemico della buona condotta anche il denaro, che travia le menti e i gesti delle

28Mandel, A., Language, in Jane Austen In Context, a cura di J. Todd, Cambridge University Press, 2005, p. 30

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persone: non a caso, i personaggi caratterizzati più negativamente nelle sue storie sono proprio quelli che agiscono spinti dall'interesse economico, come nel caso di Wickham in Pride and Prejudice.

Un altro aspetto della società affrontato con attenzione nei romanzi austeniani è quello della condizione femminile nelle famiglie, e soprattutto del matrimonio, spesso interpretato come l'unico modo sicuro per una donna di avere delle garanzie di sostentamento nella vita29; quello della Austen è un atteggiamento di denuncia, per il quale è stata per altro considerata una portabandiera del femminismo. Anche qui la sua arma migliore è l'ironia: proprio il tema del matrimonio è introdotto da uno dei più famosi incipit della letteratura, quello di Pride

and Prejudice:

It is a truth universally acknowledged that a single man in possession of a good fortune must be in want of a wife30.

Tra i personaggi, solo Mrs. Bennet continuerà a credere fermamente nella veridicità di questa affermazione, cercando a tutti i costi di combinare per le sue figlie i matrimoni più improbabili, pur di vederle sistemate. L'accento ironico, invece, va posto sulla condizione della donna: non è il single man ad essere alla disperata ricerca di una moglie, ma la giovane donna, che se non trova un uomo in possesso di una good

fortune rischia di ritrovarsi ad affrontare un futuro incerto.

Se la questione del matrimonio è al centro di tutti i romanzi, non così è per quanto riguarda gli aspetti fisici e sessuali delle relazioni

29 Gubar, S., Gilbert, S., The Madwoman in the Attic: the Woman Writer and the 19th Century Literary Imagination, Yale University Press, 1979, p.112

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sentimentali: questi ultimi vengono appena accennati, trattati con delicatezza e discrezione, e il piglio ironico viene loro risparmiato.

Nel complesso, quindi, possiamo riassumere le caratteristiche della narrativa austeniana in alcuni punti fondamentali: per quanto riguarda i contenuti, l'attenzione all'etica, alla morale, alla cultura e l'opposizione al culto del denaro, alla superficialità e al pregiudizio; per quel che concerne lo stile, invece, vanno sottolineati l'ironia come tratto fondamentale dell'approccio alla narrazione, il discorso indiretto libero come mezzo per permettere al lettore di immedesimarsi nei protagonisti, e la prevalenza del dialogo a scapito delle descrizioni.

2. 3 – Le opere

Non è semplice stabilire in modo preciso la corretta datazione degli scritti di Jane Austen, perché non in tutti i casi la data di pubblicazione corrisponde a quella di composizione, e anzi alcuni testi su cui l'autrice ha lavorato all'inizio della sua carriera sono poi stati rimaneggiati, rimodellati e usciti successivamente: ne è un esempio Northanger Abbey, che era stato venduto a un editore nel 1803, col titolo di Susan, ma mai pubblicato, e di cui la Austen ricomprò successivamente i diritti, modificandolo fino alla versione che conosciamo ora, e che fu pubblicata postuma nel 1818.

Non è il solo libro ad avere avuto una versione con titolo differente da quello definitivo: negli anni giovanili Jane Austen compose una bozza di Sense and Sensibility, dal titolo Elinor and Marianne, e una prima versione di Pride and Prejudice, sotto il nome di First Impressions.

Ad ogni modo, attenendoci all'ordine di pubblicazione, possiamo così datare i sei grandi romanzi dell'autrice:

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Sense and Sensibility, 1811 Pride and Prejudice, 1813 Mansfield Park, 1814 Emma, 1815

Northanger Abbey e Persuasion, pubblicati postumi tra il dicembre

1817 e il gennaio 1818.

A questi si aggiunge la raccolta Juvenilia, che racchiude una serie di testi composti tra il 1787 e il 1793, poesie, spunti teatrali e racconti che l'autrice componeva per il diletto suo e della famiglia, primi approcci al mestiere di scrittrice.

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Capitolo 3

Orgoglio e pregiudizio: adattamenti moderni

Nonostante abbia già superato i duecento anni di età31, Pride and

Prejudice di Jane Austen rimane saldo sul podio dei libri più amati della

letteratura inglese, e il suo memorabile incipit è annoverato tra le best

opening lines da diverse testate letterarie32.

I motivi del suo successo sono innumerevoli: oltre alla sua indiscussa qualità letteraria, ciò che continua ad attrarre il pubblico contemporaneo sono sicuramente le tematiche che, lungi dall’essere superate, rimangono ancora attuali. La condizione femminile, l’esigenza di una stabilità economica, il giudizio della società sulla condotta personale e la necessità di preservare una reputazione dignitosa sono preoccupazioni comuni tra il mondo austeniano e quello moderno.

Anche lo stile dell’autrice contribuisce a mantenere vivo l’entusiasmo del pubblico nei confronti di quest’opera: con la sua penna pungente e il suo umorismo sottile, la Austen riesce a tratteggiare personaggi e situazioni in modo avvincente e mai banale.

Non da ultimo, la storia d’amore tra Elizabeth e Mr. Darcy è un aspetto fondamentale nel tenere vivo l’interesse per il romanzo: è una relazione che ha fatto e continua a fare sognare i lettori di tutte le generazioni, non soltanto le Janeites33 più accanite, guadagnandosi 31 1813 - 2013 32 - http://americanbookreview.org/100bestlines.asp - http://www.telegraph.co.uk/culture/culturepicturegalleries/9817505/30-great-opening-lines-in-literature.html - http://www.theguardian.com/culture/gallery/2012/apr/29/ten-best-first-lines-fiction

33 Janeites deriva da Janeitism, definito come segue: "the self-consciously idolatrous enthusiasm for 'Jane' and every detail relative to her” – Claudia Johnson, Austen cults and cultures, in The Cambridge Companion to Jane Austen, a cura di Edward Copeland and Juliet McMaster, Cambridge University Press, 1997 – p. 211

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l’appellativo di perfect love story34, proprio perché non si limita al banale lieto fine, ma è la storia di un rapporto costruito superando le difficoltà e i pregiudizi reciproci, un esempio a cui ancora oggi è possibile guardare con ammirazione; un aspetto anche questo molto moderno del romanzo.

Jane Austen stessa aveva già visto qualcosa di speciale in Pride and

Prejudice: vi era legata in modo particolare, tanto da definirlo, in una

lettera alla sorella Cassandra, “my own darling child”35.

Conseguenza del successo su larga scala di quest’opera è la produzione di una grandissima varietà di adattamenti, parodie, sequel, tentativi di imitazione, più o meno riusciti, sia su carta che per la tv, il cinema e addirittura il web: Orgoglio e pregiudizio è ormai un business a tutti gli effetti. Ci si concentrerà di seguito su alcuni di questi adattamenti, per osservare che cosa permanga in ciascuno di essi del mondo di Pride and Prejudice.

3.1 - L’adattamento: alcuni concetti chiave

Prima di affrontare più nel dettaglio alcune versioni moderne di

Pride and Prejudice, è necessario soffermarsi sul concetto di adattamento

e chiarire cosa comporta adattare un’opera, in questo caso un’opera letteraria.

Può sembrare banale, ma alla base di un adattamento risiede un’opera originale da cui prendere spunto: più questa è famosa e riconoscibile, più il testo che ne deriverà potrà risultare efficace. Al tempo stesso, l’adattamento non è consiste in una copia pedissequa del testo di partenza, anzi: la parola chiave che lo contraddistingue è proprio il

34 - http://www.walesonline.co.uk/lifestyle/showbiz/pride-prejudice-relevant-today-ever-2498188

35“I want to tell you that I have got my own darling Child from London” – Letter to Cassandra

Austen, Chawton, 29 january 1813, in Jane Austen’s Letters, a cura di Deirdre Le Faye, Oxford University Press 1995, p. 201 - 202

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cambiamento. Un testo adattato infatti ha come obiettivo il sortire lo stesso effetto dell’originale, ma attraverso lenti diverse. Linda Hutcheon definisce così l’adattamento:

An acknowledged transposition of a recognizable other work or works, a creative and interpretative set of appropriation/salvaging, and extended intertextual engagement with the adapted work.36

Si instaura, quindi, un rapporto quasi di collaborazione tra il testo originale e il testo adattato, che risulterà comunque essere un’opera creativa a tutti gli effetti.

Volendo poi valutare l’adattamento sulla base del grado di somiglianza con il testo originale, non si può prescindere dal fare riferimento alla classificazione di Geoffrey Wagner, che identifica tre distinte categorie: transposition, in cui viene osservato un alto grado di fedeltà al testo fonte; commentary, in cui ci si discosta dal testo primario, magari concentrando l’attenzione su un dettaglio, un tema particolare o un punto di vista; e infine analogy, in cui ci si prendono ampie libertà rispetto all’opera originale, creando un prodotto ad essa ispirato, ma totalmente nuovo37.

L’adattamento prevede in ogni caso che ci sia uno spostamento dal testo originale: questo può avvenire nel mezzo di trasmissione dei contenuti, come nel caso di una trasposizione cinematografica, o in quelle per fumetti o videogiochi. Se il mezzo rimane invece lo stesso del testo fonte, è perché ci si è soffermati su altri tipi di cambiamenti: il punto di vista della narrazione, la dimensione spaziale o quella temporale, quando non più di un elemento insieme.

36 Linda Hutcheon, A Theory of Adaptation, New York, Routledge 2006, p.8

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Ciò che accomuna tutte queste variabili è che, perché l’adattamento sia soddisfacente, il testo primario deve essere chiaramente distinguibile tra le righe di quello derivato.

Nonostante venga considerata una pratica “di serie B” dai puristi della letteratura, l’adattamento è un genere molto diffuso e apprezzato oggigiorno, sia nel cinema che in letteratura: è possibile attribuire il successo a due fattori principali, uno sociale, l’altro economico.

Dal punto di vista del successo di pubblico, l’adattamento è accolto positivamente perché lo spettatore, da una parte, sente come rassicurante il trovarsi davanti a una vicenda che già conosce, ma contemporaneamente è stimolato e incuriosito all’idea di conoscere la varianti che sono state implementate sulla storia già nota.38

Dal punto di vista economico, inoltre, l’adattamento costituisce una sorta di safety net: non c’è l’incognita di presentare un prodotto totalmente nuovo e sconosciuto, ma la garanzia di una base di successo, quindi il lavoro di promozione e diffusione è già agevolato39.

3.2 – Pride and Prejudice: BBC, la serie del 1995

Il primo adattamento che si vuole qui prendere in considerazione è la versione televisiva realizzata dalla BBC nel 1995, una miniserie in sei episodi. La stessa emittente aveva già prodotto una precedente trasposizione del romanzo della Austen, nel 1980, ma la versione del 1995 riscosse un successo senza precedenti, imponendosi come la più iconica delle rappresentazioni di Pride and Prejudice sullo schermo.

38 “the comfort of ritual combined with the piquancy of surprise” – L.Hutcheon, A Theory of Adaptation, p.4

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È innegabile che una delle ragioni del suo successo sia da attribuire ai suoi interpreti, e in particolar modo al protagonista maschile, Colin Firth, ormai considerato il Mr. Darcy per eccellenza; ma per valutare l’effettiva riuscita della serie come adattamento, dobbiamo prendere in considerazione altri elementi.

Al momento della messa in onda, la critica ha accolto favorevolmente la serie come una resa molto fedele al romanzo originale: in realtà, andando ad analizzare più a fondo l’audiovisivo, si possono osservare notevoli differenze. La bravura degli autori, in questo caso, è stata calibrare la loro interpretazione del romanzo con il sentire collettivo del pubblico di quel periodo, ottenendo così una impressione di fedeltà, più che un oggettivo ricalcare il testo40.

Per dimostrare questa affermazione esaminiamo il finale: la narrazione si chiude con il matrimonio delle due coppie protagoniste e il bacio tra Elizabeth e Darcy. Questo pone l’accento sull’aspetto romantico della narrazione, e ammicca alla tendenza diffusa negli anni ’90 a considerare il matrimonio come un legittimo obiettivo di vita tanto per gli uomini quanto per le donne: in questo senso, dunque, la serie interpreta il romanzo nella prospettiva del momento storico in cui è stata realizzata41.

D’altro canto, il finale lascia spazio anche agli altri personaggi, rispettando l’interesse austeniano per uno sguardo più ampio sulle vicende della società e per un intrinseco giudizio morale: durante la cerimonia, il prete ricorda l’importanza del vincolo matrimoniale, cosa deve garantire e preservare; contemporaneamente, immagini dei personaggi negativi vengono mostrate, a fare da contraltare agli auspici

40 Ellen Belton, Two film version of Pride and Prejudice, in Jane Austen on screen, a cura di Gina Macdonald e Andrew Macdonald, Cambridge University Press, 2003 – p. 186

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