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CAPITOLO I: il trauma
1. Origine degli studi sul trauma
“Trauma” deriva dal greco e significa ferita, lacerazione e può essere definito come una “qualsiasi situazione intrapsichica caratterizzata da una impossibilità dell’apparato psichico di far fronte ad un improvviso eccesso di stimoli esterni” (Semi, 1989). Quindi la caratteristica della situazione traumatica è quella di essere un evento intenso ed improvviso e la caratteristica dell’apparato psichico è quella di avere un limite di sopportabilità agli stimoli.
Freud (1892-1895) e Janet (1910) sono stati i primi e sicuramente i più importanti autori che hanno messo in relazione disturbi psichici o psicosomatici con eventi traumatici anche molto lontani nel tempo, apportando importanti contributi alla comprensione dei meccanismi che sottendono la psicopatologia del trauma.
Infatti, osservando casi di isteria femminile nella clinica di Charcot, Freud (1892-1895) dedusse che i traumi potevano essere di varia natura ma che tutti avevano la particolarità di essere inaspettati e troppo intensi rispetto alle condizioni psichiche del soggetto in quel particolare momento; osservò inoltre che anche persone che prima non erano isteriche lo diventavano in seguito ad un grande spavento dovuto per esempio ad un incidente.
In seguito rilevò che anche un susseguirsi di piccoli eventi traumatici, affini o appartenenti alla stessa situazione dolorosa, produceva lo stesso effetto. All’inizio Freud si concentrò sul trauma sessuale infantile rimosso ma in seguito analizzò le caratteristiche generali del trauma a prescindere dalla sua tipologia, però considerando sempre i traumi infantili come prevalenti perché, a causa della sua immaturità, l’Io nell’infanzia è impotente rispetto ad uno stimolo esterno violento ed improvviso e perciò
2 non riesce né ad arginarlo né ad elaborarlo (Freud, 1904)
Secondo la teoria di Freud l’Io, in seguito ad un trauma, tende a ricorrere al meccanismo di difesa definito rimozione in quanto relega l’evento traumatico e l’emozione ad esso collegato in un angolo dell’inconscio e non accessibile a livello cosciente. Nell’inconscio, tuttavia, il ricordo e l’emozione associata al trauma faranno da sedimento e quindi da “prima pietra” per determinare una particolare prospettiva nelle capacità adattive a successivi traumi ed emozioni affini. Poi, nella vita adulta, in seguito ad un evento particolarmente stressante, l’apparato psichico attingerà a queste tracce mnestiche sommerse rendendo così l’evento primitivo traumatico ed in alcune condizioni dando luogo a patologia psichica psichiche o psicosomatiche.
Successivamente ci sono state diverse elaborazioni della teoria del trauma così come l’aveva esposta Freud ma quello che emerge in tutte le teorie è che il trauma è definito tale perché non è stato possibile metabolizzarlo, digerirlo e quindi vissuto come una qualsiasi esperienza, anche se dolorosa, senza altre future conseguenze di patologie o comportamenti disadattivi legate ad esso.
Naturalmente, la capacità di elaborazione del trauma dipende da tanti fattori, infatti lo stesso trauma può effetti diversi da persona a persona.
Un fattore è stato già menzionato e riguarda il periodo in cui è avvenuto il trauma e la relativa immaturità dell’Io. Altri fattori sono legati al contesto di vita dell’individuo, alla situazione familiare, alla capacità della famiglia di accogliere e capire e in particolare al legame con la madre (Winnicott, 1968).
Anche Sandler afferma: “è ampiamente dimostrato che molti bambini si riprendono da vere esperienze traumatiche con poco o nessun danno residuo alla loro personalità; un fattore importante a questo riguardo è il sostegno che il bambino riceve dall’ambiente” (Sandler, 1967).
3 Inoltre va considerata la quantità di traumi subita precedentemente, i quali, anche se di minore importanza, non solo indeboliscono la struttura psichica e diminuiscono la capacità di elaborazione, ma producono anche un effetto cumulativo (Khan, 1979).
Infine non dobbiamo dimenticare che il primo fattore è naturalmente la specifica personalità dell’individuo, secondo alcuni autori determinata geneticamente, alla quale si deve la resilienza cioè, la capacità di risposta all’ambiente e che mantiene aree funzionali sane pur avendo subito traumi psicofisici gravi (Winnicott, 2000).
Da ciò possiamo dedurre che la gravità delle conseguenze del trauma è prevalentemente soggettiva: l’evento traumatico avrà conseguenze psicopatologiche più o meno gravi a causa di una reazione emotiva più o meno intensa in relazione al significato soggettivo attribuito all’esperienza. Questa variabilità tuttavia non si osserva in alcuni contesti in quanto esistono traumi che sono oggettivamente devastanti per chiunque come, per esempio, un bombardamento, la tortura, l’abuso, catastrofi naturali etc.
La maggior parte degli studiosi è d’accordo nel ritenere che per definire traumatico un evento sia necessaria una reazione emotiva immediata (Sandler, 1967; Waedler, 1967).
Le reazioni possono essere di vario tipo ed intensità e vanno dal panico all’iperattività frenetica, dalle grida all’immobilismo stuporoso, alle sindromi da shock (Sandler, 1967), per alcuni autori le reazioni di stupor o di shock possono essere considerate più dannose e con conseguenze più importanti rispetto alle reazioni di panico, urla e iperattività (Waedler, 1967; Meichenbaum, 1994).
Gli eventi stressanti sono diversi tra loro ma hanno in comune un elemento importantee cioè devono rappresentare una minaccia per la vita o per l’integrità psico-fisica in quanto improvvisi e incontrollabili. Nel suo
4 elenco, Meichenbaum (1994) ha incluso anche gli abusi sessuali in quanto violenti e distruttivi con conseguenze spesso devastanti. Il ricercatore include anche “i traumi da osservazione” cioè eventi dei quali si è stati testimoni e che diventano traumatici per la “transizione del trauma psichico” da una persona ad un’altra, specialmente se si tratta di una figura significativa (Meichenbaum, 1994). In tab.1 vengono elencati gli eventi traumatici secondo la descrizione di Meichenbaum (1994).
A. Eventi traumatici a “breve termine”:
disastri naturali: inondazioni, uragani, tornadi, terremoti, eruzioni vulcaniche e valanghe;
disastri accidentali: incidenti automobilistici, di treno, di nave e aereo, incendi ed esplosioni, gravi incidenti sul lavoro e/o casalinghi, perdita del lavoro che porta a totale indigenza con rischio di sopravvivenza;
disastri causati deliberatamente: bombe, sparatorie, attacchi terroristici, cattura di ostaggi, aggressioni ed assalti, furti, incidenti industriali, incidenti di caccia per conto terzi, incidenti militari per conto terzi.
B. Eventi traumatici a “lungo termine”:
traumi prolungati e ripetuti: disastri naturali, tecnologici, incidenti nucleari, cattura di prigionieri politici, molestie sessuali, vittime dei campi di concentramento, rifugiati ed emigrati, maltrattamenti, contingenti militari all’estero; disegni umani intenzionali: cattura di ostaggi, prigionieri politici, vittime dell’olocausto, abusi fisici e sessuali protratti, rifugiati.
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C. Esposizione diretta al trauma:
impatto a lungo termine dell’Olocausto sui sopravvissuti e sui loro figli, impatto della guerra sui veterani non
combattenti e sulle loro famiglie; assistere all’uccisione di qualcuno;
essere testimone o venire a conoscenza di:
un rapimento, una sparatoria, un ferimento grave,
morte improvvisa o violenta di un membro della propria famiglia o di un amico stretto, un’aggressione violenta, un grave incidente o gravi lesioni, della malattia minacciosa per la vita del proprio bambino.
6 2. Traumi: conseguenze cliniche e psicopatologiche
Negli individui che hanno vissuto un trauma si possono manifestare i seguenti sintomi: sensi di colpa, compromissione della modulazione affettiva, comportamento autolesivo e impulsivo, sintomi dissociativi, disturbi somatici, sentimenti di inadeguatezza, mancanza di speranza, mancanza di progettazione, aggressività, paura sociale, paura di minaccia costante, compromissione delle relazioni con gli altri, oppure cambiamento delle caratteristiche precedenti di personalità (Steil e Ehlers, 2000).
Diversi autori hanno descritto anche un deterioramento cognitivo: sono state riportate difficoltà nella concentrazione e disturbi mnestici, specialmente a danno della memoria autobiografica (Kuyken e Brewin, 1995).
I seguenti disturbi possono essere correlati con gli eventi traumatici: Disturbo di Panico, Agorafobia, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Fobia Sociale, Fobia Specifica, Disturbo Depressivo, Disturbo di Somatizzazione e Disturbi Correlati a Sostanze (Terr, 1991).
Fra i disturbi psichiatrici quello che riconosce certamente una causalità traumatica è il disturbo post traumatico da stress (DPTS).
Il DSM-IV-TR* classifica questo disturbo in asse I.
I criteri diagnostici che determinano il riconoscimento sono i seguenti: A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
- la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri
- la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.
7 disorganizzato o agitato.
B. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
-ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni.
Nota: Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma
-sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.
Nota: Nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile
-agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione).
Nota: Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma
-disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
-reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico. C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
-sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma
-sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
-incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma
8 significative
-sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri
-affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore) -sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli o una normale durata della vita).
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
-difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno -irritabilità o scoppi di collera
-difficoltà a concentrarsi -ipervigilanza
-esagerate risposte di allarme.
La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Specificare se:
Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi Cronico: se la durata dei sintomi è 3 mesi o più. Specificare se:
Ad esordio ritardato: se l’esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi dopo l’evento stressante.
In una ricerca del 1996 sono stati riportai alcuni risultati relativi ad sondaggio sui residenti americani il 13% riportava del campione riportava di essere stato esposto a disastri naturali o determinati dall’uomo (Burkle, 1996). Kessler e colleghi (1995) riportano che la prevalenza del DPTS è del 7.8% con una prevalenza maggiore nelle donne precedentemente coniugate. Il trauma più frequentemente associato a questo disturbo sono nel maschio essere combattendi o testimoni e nelle donne lo stupro.
9 In uno studio recente, il WHO World Mental Health Surveys, Kessler e colleghi (2014) hanno identificato alcune caratteristiche (algortimi) degli stimoli stressanti in grado di generare un DPTS.
Un trauma subìto nel periodo iniziale della vita, può avere conseguenze a lungo termine, con un incremento della vulnerabilità a stress successivi e propensione alla depressione e alle malattie somatiche (De Kloet ER, et al. 1998) e che gli eventi stressanti della vita rappresentano un importante fattore di rischio per l’organismo (Anisman H, et al. 1997).
Spiega il Dr. McEwen: “se il sistema è ben regolato si attiva e si disattiva a seconda dei bisogni dell’organismo”. Se al contrario il funzionamento è perturbato, la risposta allo stress può generare dei disturbi sia cerebrale che ad altre parti dell’organismo, come per esempio al cuore o al sistema immunitario.
In uno studio condotto da McCall-Hosenfeld e coll. (2014) su 597 pazienti con dolore cronico è stata esaminata la correlazione tra gravità del dolore cronico e tre tipi di traumi interpersonali: 1) traumi sessuali, 2) violenza domestica e 3) traumi infantili valutando PTSD, depressione, abuso di sostanze come potenziali mediatori del percorso tra l'esposizione al trauma e la gravità dei sintomi somatici.
È emerso che le donne hanno riportato sintomi somatici significativamente più gravi degli uomini. Inoltre, disturbi quali, la depressione e abuso di sostanze per gli uomini, e la depressione per le donne, sono stati associati alla gravità dei sintomi somatici.
La letteratura di questo ultimo decennio mostra come i traumi in infanzia possano essere in correlazione con i disturbi somatici di ampio aspetto. Secondo Paras e coll. (2009) molti pazienti visitati per cure mediche generali presentano una storia di abusi sessuali. Tale autore evidenzia, inoltre, un’importante correlazione tra l’abuso sessuale e i disturbi funzionali in età adulta quali: disturbi gastro-intestinali, dolore cronico non specifico, dolore cronico pelvico ed epilessia psicogenica
10 (Paras et al. 2009).
Negli Stati Uniti, un’indagine condotta a livello nazionale ha riscontrato che l’incidenza annuale di violenze sessuali sembra essere del 2,5% per le donne e 0,9% per gli uomini ed è stato stimato come un adulto su 15 abbia avuto rapporti sessuali forzati (Basile KC, et al., 2007). Studi retrospettivi hanno anche dimostrato un’elevata prevalenza di adulti che hanno subito abusi sessuali negli Stati Uniti: il 16% degli uomini e il 25% delle donne (Dube SR, et al.., 2005).
Queste statistiche sono probabilmente sottovalutate perché tali eventi spesso non vengono riportati (Kogan SM. ,2004).
Fino ad oggi, la ricerca sugli effetti a lungo termine dell’abuso sessuale si è concentrata principalmente sugli esiti sulla salute mentale (Jumper SA,
et al., 1995) e presenza di dolore cronico.
Tuttavia, gli studi che hanno valutato l’associazione tra abuso sessuale e conseguenze somatiche non sono stati molto conclusivi. Le prime ricerche tra abuso sessuale e “convulsioni isteriche” risalgono intorno al 1970 (Goodwin J, et al.1979) . Ulteriori studi seguiti negli anni ’80 hanno dimostrato l’associazione tra abusi sessuali e bronco pneumopatia cronico
(Harrop-Griffiths J, et al. 1988) e tra abusi sessuali e dolore cronico (Parris WC Jr, et al.). Nel corso degli anni, disturbi quali fibromialgia (Taylor ML, et al.1995), disturbi gastrointestinali (Walker EA et al., 1993) e obesità (Felitti VJ. 1991) sono stati valutati per la loro associazione con l’abuso sessuale.
Studi epidemiologici dimostrano che tali disturbi sono comunemente riscontrati dai medici durante le visite. La fibromialgia si verifica in circa il 5% dei pazienti visitati in ambulatorio (Croft P et al., 1993). Sono molto diffusi anche i disturbi gastrointestinali, come per esempio la sindrome del colon irritabile con stime che vanno dal 5% al 25% nella popolazione generale (Walker EA et al,1993). Questa correlazione è stata trovata anche tra lo stupro e l’insorgenza di fibromialgia (Häuser et al. 2010) e il dolore
11 genitale e pelvico è spesso presente in donne con storie di abusi fisici e sessuali (Walling et al. 1994).
In una ricerca condotta su 103 pazienti con lombalgia cronica aspecifica (Leisner e coll., 2014) è emerso che I pazienti che avevano riferito di abusi infantili hanno mostrato maggiore intensità del dolore oltre ad una maggiore estensione delle zone del dolore, e più disabilità dovuta al dolore rispetto ai pazienti che non avevano sperimentato abusi.
Negli ultimi anni vi è un crescente numero di conoscenze scientifiche sugli effetti neurobiologici dell’abuso, sulle funzioni cerebrali e strutturali.
Questi studi suggeriscono un possibile ruolo dello stress nei primi anni di vita nella patogenesi dell’emicrania e un impatto diverso in base al sesso (Gretchen E. et al., DO ,2011). L’emicrania è fino a 3 volte più comune nelle donne che negli uomini (Lipton RB, et al., 2005) e la divergenza tra i due sessi si verifica in prevalenza dopo la pubertà. Questo suggerisce che gli ormoni gonadici probabilmente hanno un ruolo sostanziale. Vi sono tuttavia altri fattori che possono essere in gioco nel determinare una differenza, in termini di prevalenza, dell’emicrania tra sessi, quali l’essere vittima di esperienza di abuso, negligenza, abbandono o altri stress subìti durante l’infanzia.
La letteratura corrente suggerisce un’ associazione tra maltrattamenti e emicrania, evidenziando le differenze tra gli uomini e le donne (Greatchen E. et al. DO, 2011) e afferma che il maltrattamento nell’infanzia e l’emicrania sono in comorbidità con ansia e depressione (Tietjen e coll., 2010; 2010).
In un altro studio (Kucukgoncu e coll., 2014) è stato analizzata la correlazione tra trauma infantile e la dissociazione in pazienti con emicrania e cefalea tensiva. I risultati evidenziano una relazione tra trauma infantile e emicranie, e suggeriscono anche che gli eventi traumatici sono comuni nell’infanzia. Lo studio suggerisce anche che il trauma infantile può avere un ruolo sia nella emicrania che nella cefalea di
12 tipo tensivo. Le differenze significative nei punteggi alla DES (Dissociative Experiences Scale) e alla SDQ (Somatoform Dissociation Questionnaire) tra i soggetti presi in esame possono essere spiegate dalle differenze nelle esperienze dei traumi infantili. Sia nell’emicrania che nella cefalea tensiva, la durata e la gravità del mal di testa sono risultate significativamente correlate alla gravità dell’abuso infantile
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CAPITOLO II: La personalità e i suoi disturbi
1. La personalità ed il temperamento
La personalità è: “L’insieme delle caratteristiche psicologiche profonde, sostanzialmente stabili, in parte inconsapevoli, non facilmente modificabili; tali caratteristiche si esprimono in ogni aspetto della vita psichica e del comportamento” (Bogetto, 2006)
La persona si confronta con istanze situate nel mondo interno, cioè la dotazione biologica e le vicissitudini passate, e con quelle del mondo esterno, cioè il ruolo che occupa e le relazioni con gli altri.
Quindi la personalità è l'insieme di più cose: temperamento, relazione, resilienza, interazione con l’ambiente ed esperienze.
È costituita infatti costituita da fattori ereditari e da fattori determinati dall’interazione con l'ambiente.
Quello che si eredita non è una vera e propria personalità con tratti caratteristici specifici, piuttosto una predisposizione a svilupparsi secondo alcune direttive: verosimilmente i geni operano nel modulare la suscettibilità individuale alle diverse influenze ambientali.biblio
Il temperamento esprime la disposizione affettiva fondamentale e caratteristica di ognuno. Rimanda ad un substrato biologico, si manifesta precocemente e pur rimanendo stabile nella vita ed è apprezzabile, in forma pura, in età precoce (Caprara, 1994)
Oggi la psicologia definisce temperamento:
“l’insieme di disposizioni comportamentali presenti sin dalla nascita le cui caratteristiche definiscono le differenze individuali nella risposta all’ambiente. Il temperamento riflette dunque una variabilità biologica” (Lingiardi, 1996).
14 Akiskal e coll,, 2005) il temperamento può essere descritto come Temperamento depressivo o distimico: tendenza alla tristezza, isolamento, insoddisfazione, pessimismo.
Temperamento ipertimico: tendenza all'intraprendenza, all'attività, socievolezza, estroversione.
Temperamento ciclotimico: instabilità con frequenti oscillazioni dell'umore.
Temperamento irritabile o disforico: sorta di malumore irritabile, rabbia e irascibilità di fronte a difficoltà esistenziali.
Il bambino quindi ha già innato delle caratteristiche innale legate al temperamentali che interagendo con fattori ambientali andranno a strutturare quel particolare tipo di personalità.
I comportamenti di base sono comportamenti legati al soddisfacimento dei bisogni primordiali e vengono plasmati in relazione agli ostacoli incontrati al soddisfacimento di questi. La madre ha un ruolo fondamentale in questo momento della vita: un bimbo curato nei suoi bisogni compie la prima esperienza sociale con esito positivo. Il suo atteggiamento futuro nei riguardi del mondo sarà generoso e pieno di fiducia. Erikson E. (1950) ha chiamato questa fase “fase della fiducia”.
Se la relazione madre-bimbo è disturbata il bimbo non avrà soddisfazioni sufficienti e la prima esperienza sociale sarà negativa; l'individuo adulto sarà risentito, sospettoso ed insicuro (Winnicott, 1968)
Il tipo di relazione tra madre e bimbo formerà la base di quello che sarà il comportamento con l'altro.
Il sistema di attaccamento come ricerca di protezione e capacità di esplorazione è una disposizione innata quindi, l'attaccamento non sarebbe il risultato di un apprendimento ma corrisponde ad un bisogno primario. Questo fenomeno assume grosso rilievo in ambito psicoanalitico in cui le varie teorie concorrono tutte ad enfatizzare il ruolo delle precoci relazioni affettive e gli effetti difficilmente reversibili della separazione e delle
15 frustrazioni. Ma anche in in ambito non psicoanalitico, l'enfasi particolare è posta sul ruolo delle prime esperienze e sulla relativa stabilità della personalità in accordo con le premesse poste da quelle esperienze biblio.
Attualmente si ha motivo di ritenere che le persone cambiano “anche” nel corso delle sviluppo e che l'impatto delle esperienze precoci, pur se negative, può avere effetti a lungo termine diversi in relazione alla successive esperienze di vita.
Ciò significa che, se un bambino ha avuto una serie di esperienze traumatiche ma avrà nel corso dello sviluppo altre esperienze “riparatorie”, potrà anche riuscire a non avere un disagio. Con questo non si vuole sottovalutare l'importanza delle prime esperienze; si cerca piuttosto di richiamare l'attenzione sulla grande variabilità individuale e sulla potenzialità di recupero che contraddistinguono la specie umana.
Si ha motivo di credere che non sono solamente le opportunità di esperienze successive a diminuire il disagio ma anche che alcuni individui sono dall'inizio più elastici di altri nel cimentarsi con le difficoltà della vita. Questa capacità, la resilienza, già precedentemente menzionata, esprime in questo contesto la sua natura riparatrice in quanto dotata di quella struttura innata elastica come si riscontra tipica di alcuni minerali (Goussot, 2014).
L'impressione dell'elevata correlazione tra difficoltà infantili e disagio adulto è verosimilmente dovuta al fatto che al clinico approdano i casi infausti e normalmente restano sconosciuti quei casi dove le ferite sono state rimarginate nel corso dello sviluppo.
In conclusione, ciò che una persona diventa dipende dalla sua resilienza, dai particolari incontri che costellano il suo sviluppo e dai rapporti che tali eventi contribuiscono a definire.
16 2. Che cos’è la vulnerabilità
La vulnerabilità biologica è costituzionale come il temperamento. I confini tra normalità e patologia si muovono secondo la capacità della persona di disporre liberamente della propria dotazione endo-timica.
La vulnerabilità non deve essere vista come stadio pre-clinico della malattia. Se una persona eredita una sorta di vulnerabilità alla schizofrenia, non ha già i sintomi o le caratteristiche per diventare schizofrenico ma sarà il suo particolare modo di affrontare e metabolizzare gli eventi della vita che determineranno l’insorgenza o meno della patologia (Cloninger, 2008)
3. Il disturbo di personalità’
Lo sviluppo di una persona è compiuto a 18 anni; solo dopo tale età si può fare diagnosi di disturbo di personalità. Una alterazione in età più tardiva può essere ricondotta a una patologia organica o ad abuso di sostanze ma non si può parlare di disturbo di personalità.
Un disturbo di personalità si configura quando elementi emozionali e comportamentali si discostano dai limiti attesi e quando caratteristiche di personalità rigide e maladattative causano disfunzioni sociali o marcato disagio soggettivo. Negli altri casi non si configura un vero e proprio disturbo, ma si parla di tratti. (DSM-IV-TR, 2000)
3.1. Disturbi di personalità secondo il DSM IV
I disturbi di personalità nel DSM-IV, il Manuale Diagnostico per i Disturbi mentali, vengono inseriti su un Asse Specifico: l’Asse II.
Si definisce disturbo di personalità l’insieme di tratti di personalità disadattivi in modo pervasivo, inflessibile e permanente, tratti che causano una condizione di disagio clinicamente significativa. Nella
17 maggior parte dei casi, i sintomi dei disturbi di personalità sono egosintonici (accettabili per la persona) e alloplastici (la persona tende a cambiare l'ambiente, non sé stesso) (DSM IV, quarta ed.).
3.2 Classificazione dei cluster secondo DSM IV e modifiche nel DSM V
In alternativa all’approccio categoriale secondo cui i disturbi di personalità rappresentano sindromi cliniche a sé stanti, distinte qualitativamente, sono stati proposti modelli diagnostici dimensionali o quantitativi che presuppongono una distribuzione dal minimo al massimo delle diverse manifestazioni psicopatologiche osservate. Si possono così diagnosticare forme intermedie e miste, con sovrapposizione tra i vari disturbi.
Cluster A: caratterizzati da stravaganza, eccentricità ed elementi di dissociazione (disturbo schizoide, paranoide e schizotipico).
Cluster B: disturbi di personalità caratterizzati da compromissione dell’affettività, difficoltà relazionali e discontrollo degli impulsi (disturbo borderline, istrionico, narcisistico e antisociale).
Cluster C: caratterizzati da ansia, insicurezza, scarso o rigido controllo emotivo (disturbo ossessivo-compulsivo, dipendente, di evitamento).
3.3 Criteri diagnostici generali per la diagnosi di disturbo di personalità secondo il DSM V
Un modello abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e che si manifesta in due (o più) delle seguenti aree:
cognitività affettività
funzionamento interpersonale controllo degli impulsi
18 Il disturbo si presenta come:
Inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni personali e sociali. Determina un disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre importanti aree;
Stabile e di lunga durata e l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta;
Non meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale;
Non collegato agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (abuso di droga, un farmaco) o di una condizione medica generale (es. un trauma cranico)
3.4 Classificazione dei cluster secondo il DSM V
CLUSTER A:
comportamento bizzarro ed eccentrico, stranezza nel comportamento, nel modo di pensare, nel percepire la realtà. Disturbi schizotipico, paranoide, schizoide.
CLUSTER B:
comportamento imprevedibile, impulsivo e traumatico caratterizzato da esasperazione dell’emotività e degli stati affettivi. Disturbi narcisistico, istrionico, borderline, antisociale.
CLUSTER C:
comportamenti caratterizzati da ansia ed insicurezza.
Disturbi ossessivo-compulsivo, passivo-aggressivo, dipendente, di evitamento.
19 4. Trauma associato al disturbo di personalità
In un suo articolo, Manna (2004) sostiene che il disturbo borderline di personalità sembra essere, in alcuni casi, conseguenza di un abuso sessuale infantile con sintomi molto simili al disturbo post traumatico da stress (PDTS). Il trauma infantile sviluppa nell’individuo la tendenza ad isolarsi e spesso ha come conseguenza comportamenti aggressivi o autolesivi, come alcoolismo, uso di droghe, disturbi alimentari e sessuali, tentativi di suicidio.
In un abuso l’età della vittima e il grado di parentela dell’abusatore correlano positivamente con la gravità dei sintomi.
Anche Horowitz in un suo studio (1992) esamina i vari meccanismi di reazione messi in atto dalle vittime di un trauma e mette anche in relazione i disturbi di personalità con il trauma, soprattutto se questo è avvenuto nell’infanzia. Inoltre elenca i vari sintomi legati al trauma alcuni dei quali sono: dolore, tristezza paura di diventare distruttivi, sensi di colpa, rabbia, vergogna, senso di impotenza e di vuoto.
Inoltre, Horowitz come Manna (2004), considera l’età della vittima molto importante per lo sviluppo della gravità dei sintomi, infatti un bambino, come è stato precedentemente riportato, presenta meno risorse per affrontare il dolore e l’angoscia procurati dal trauma.
In uno studio di Bierer e coll. (2003), le storie di abusi e di abbandono nell’infanzia sono state associate a disturbi di personalità e a comportamenti di autolesionismo anche con episodi di tentati suicidi.
È stato analizzato un campione di 182 soggetti con disturbo di personalità, per determinare le relative associazioni tra disturbo di personalità e storia di tentativi di suicidio o gesti autolesivi: il 24% aveva riferito tentativi di suicidio. Il Childhood Trauma Questionnaire è stato somministrato per valutare cinque dimensioni dell'esposizione a traumi infantili (emotivi, abuso sessuale e fisico, abbandono emotivo e fisico).
20 Il 70% dei soggetti aveva storie di abuso emotivo e di abbandono.
I risultati suggeriscono che l'abuso e l’abbandono sono associati a indici di gravità clinica tra i pazienti con disturbo di personalità borderline. Gli abusi sessuali e fisici infantili sono predittori dei disturbi di personalità paranoide e antisociali (Manna, 2004).
Un’altra ricerca è stata condotta da Cloitre e coll. (2014) per verificare se i sintomi riferiti da 280 donne con storia di abuso infantile siano coerenti con i criteri diagnostici per il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e per il disturbo Borderline (BPD).
Sono stati trovati quattro sintomi presenti sia nel disturbo Borderline che nel Disturbo post traumatico da stress: sforzi frenetici per evitare l'abbandono, il senso di sé instabile, relazioni interpersonali instabili e intense, e impulsività.
I soggetti con disturbo Borderline di personalità lamentano frequentemente dolore. In uno studio di Biskin e coll (2014) è stata quindi esaminata la prevalenza del dolore in pazienti con una diagnosi di disturbo borderline rispetto a pazienti con una diagnosi di un altro disturbo di personalità con la finalità di identificare fattori predisponenti l’insorgenza di dolore cronico. La ricerca ha evidenziato che effettivamente i pazienti con disturbo borderline provano più dolore e che giudicano il loro dolore più grave rispetto ai pazienti con altri disturbi di personalità. Inoltre da questo studio sono emersi tre predittori significativi per la gravità del dolore nei pazienti con disturbo borderline: l’età avanzata, la presenza del disturbo depressivo maggiore e la gravità dei traumi nell'infanzia compresi gli abusi sessuali.
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CAPITOLO III: La memoria autobiografica
“Intendo esaminare in questa sede i ricordi delle esperienze estreme, delle ferite subite o inflitte. In questo caso, sono al lavoro tutti o pressoché tutti i fattori che possono cancellare completamente o deformare la registrazione mnemonica: lo stesso ricordo di un trauma subito o inflitto è traumatico perché rievocarlo è doloroso o, almeno, crea turbamento. Chi è stato ferito tende ad escludere il ricordo, per non rinnovare il dolore; la persona che ha inflitto la ferita spinge il ricordo nelle recondite profondità della coscienza, per liberarsene, per alleviare il senso di colpa” (Primo Levi, 1988)
Molti ricercatori stanno studiando le componenti interessate al processo di rimozione, l’entità della rimozione stessa insieme ai fattori che determinano questa entità, inoltre studiano anche l’attendibilità dei ricordi residui o recuperati per capire come il trauma agisca sulla memoria.
Spesso i traumi subiti nell’infanzia non sono ricordati e la ricerca scientifica di questi ultimi anni ha prodotto numerosi studi relativi alla memoria dei ricordi traumatici dell’infanzia (Williams & Banyard, 1999; McNally e coll., 2003).
Come sappiamo fu Freud (1915) il primo ad introdurre il concetto di rimozione dei ricordi spiacevoli ma l’idea che un ricordo spiacevole possa essere eliminato dalla coscienza è da sempre un concetto di grande interesse per le sue implicazioni cliniche e sperimentali.
Scarsi sono tuttavia gli studi che esplorano la reale memoria che viene inizialmente persa e successivamente recuperata poiché gran parte degli studi sono retrospettivi e non prospettici. Infatti molti degli studi retrospettivi in soggetti abusati in infanzia riportano che il ricordo è stato dimenticato per molto tempo e poi rievocato. Nei soggetti abusati la prevalenza degli eventi dimenticati oscilla tra il 19 ed il 77% contro la popolazione non clinica in cui tale frequenza varia tra il 13 al 42% (Elliott & Briere; 1995; Loftus e coll., 1994).
22 In un importante studio prospettico vengono annoverati alcuni fattori predisponenti l’amnesia dell’evento traumatico (Williams LM, 1995; Quas e coll., 2007; Ghetti e coll., 2006):
a) la gravità dell’abuso. Quanto più è stato grave l’abuso tanto più si è avuta un’amnesia per l’evento traumatico.
b) La relazione tra la vittima e l’abusatore. Quanto più è stretta la relazione tra abusatore e vittima tanto più si ha rimozione dell’evento traumatico.
c) Il supporto materno che tende a ridurre il processo di rimozione del ricordo. Il supporto materno e la comunicazione tra vittima e madre incrementa il ricordo dell’esperienza stressante.
d) i sistemi legali. Quanto più è necessario ricordare per motivi legali tanto più si riduce la rimozione
e) l’età. La tenera età è positivamente correlata alla rimozione dell’evento traumatico. Esiste una fascia di età durante la quale il processo di rimozione è più frequente.
f) il sesso. A differenza degli studi retrospettivi ed alle credenza sociali, in questi studi si evidenzia che il sesso maschile tende a rimuovere maggiormente l’evento traumatico rispetto al femminile.
Tuttavia McNally (2007) enumera una serie di condizioni che possono creare confusione nella diagnosi di amnesia dissociativa (o repressione) di un evento traumatico in infanzia:
a) La perdita di memoria che si sviluppa dopo un trauma non va confusa con la memoria del trauma;
b) l’amnesia psicogena non è l’amnesia dissociativa per l’evento traumatico in quanto la prima si riferisce ad una perdita completa della memoria compresa la perdita dell’identità personale;
c) nei criteri diagnostici del disturbo post traumatico da stress vi è l’incapacità di ricordare un aspetto importante del trauma (termine ambiguo). Infatti, in una condizione di imcrementato “arousal”, le persone
23 tendono a concentrarsi soltanto su un’aspetto dell’evento traumatico trascurando altri particolari: risulta quindi un’amnesia successiva relativa ad un’incompleta codifica dell’evento piuttosto che un’amnesia dissociativa traumatica;
d) molti sopravvissuti ad un abuso tendono a disconoscere l’abuso in ricerche in cui vi siano interviste dove viene richiesta la descrizione e non è chiaro se non ricordano o se sono riluttanti a dichiarare questo evento in una fredda indagine;
e) il ricordo dell’infanzia è francamente molto scarso prima dei 4 o 5 anni. Lo sviluppo neurocognitivo nella capacità di linguaggio e la maturazione cerebrale determina un’importante difficoltà a ricordare eventi in età prescolare. Quindi, l’incapacità a rievocare eventi, compresi traumi e molestie, in età prescolare fa parte del quadro di amnesia dell’infanzia piuttosto che di un’amnesia specifica dell’evento traumatico;
f) il concetto di dissociazione è estremamente ampio e può comprendere anche la derealizzazione o depersonalizzazione che si instaura durante un trauma e va distinto dal disturbo di memoria per l’evento traumatico.
Un altro problema possibile in psicologia sperimentale è la scarsa condivisione del concetto di repressione (Erdelyi, 1990). Per esempio, non è ancora chiaro se la repressione è il risultato di un processo conscio o inconscio come sostenuto originalmente da Freud (1915).
Nei lavori di Anderson e Green (2001) la repressione è considerato un processo attivo, una strategia che il soggetto usa per dimenticare. Gli autori quindi sostituiscono il termine repressione con quello di soppressione diventando così sinonimo.
Alla fine degli anni ‘60 un paradigma centrato sul non ricordare (direct forgotting paradigm o DF) è emerso come metodo per lo studio del meccanismo cognitivo di soppressione (Bjork et al, 1968).
Tale meccanismo consiste nell’apprendimento da parte del soggetto di una lista di parole associata all’istruzione di ricordarne alcune e di
24 dimenticarne attivamente altre, oppure di ricordare una lista di parole e di dimenticarne attivamente un’altra. I risultati di tali esperimenti hanno evidenziato che i soggetti mostravano uno scarso mantenimento in memoria delle parole da dimenticare associata ad una bassa interferenza per le parole da ricordare. I ricercatori hanno concluso che esiste una segregazione delle parole: quelle da ricordare e quelle da dimenticare.
Inoltre, molti studi sperimentali illustrano che in certe condizioni un’ampia percentuale di bambini ed adulti riportano falsi ricordi (Loftus EF, 1993; Bernstein e coll., 2004; Bernstein e coll., 2009) e attribuiscono la creazione del falso ricordo al tentativo ripetuto da parte del soggetto di recuperare l’esperienza traumatica. Freud aveva chiamato questi falsi ricordi “ricordi di copertura” (Freud 1899), e indicavano il tentativo del soggetto di mascherare l’evento traumatico e sostituirne il ricordo con uno più accettabile per la coscienza.
1. Memoria
"La memoria non è la facoltà di classificar ricordi in un cassetto o di scriverli su di un registro. non c'è registro non c'è cassetto; anzi a rigor di termini non si può parlare di essa come di una "facoltà": giacché una facoltà funziona in modo intermittente, quando vuole o quando può, mentre l'accumularsi del passato su se stesso continua senza tregua. In realtà il passato si conserva da se stesso, automaticamente. Esso ci segue, tutt'intero in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza, che vorrebbe lasciarlo fuori" (Bergson 2002).
Lo studio della memoria e dei suoi meccanismi neurali è una delle aree più attive e stimolanti della psicologia. I recenti studi cognitivi e la ricerca dei meccanismi della memoria tramite lo studio di neuroimaging spesso sono supportati dalle tecniche ipnotiche.
25 3.1 Memoria Autobiografica
“La memoria autobiografica è la memoria degli eventi che abbiamo vissuto nel corso della nostra vita: il ricordo di tutti questi eventi contribuisce alla formazione ed al mantenimento del nostro senso di identità e cioè all’idea che abbiamo di noi stessi”. (Neisser, 1982).
Howe e colleghi (1994) hanno ipotizzato che l’età in cui inizia la memoria autobiografica è probabilmente intorno ai 2 anni, cioè quando il bambino ha acquisito alcune abilità verbali e una certa cognizione di sé.
Questi autori hanno osservato che i bambini possono ricordare e raccontare esperienze accadute in concomitanza dell’inizio del linguaggio verbale, ma non sono ancora in grado di ricordare quegli eventi che si sono verificati molto tempo prima.
Diversi sono i lavori che indagano la memoria autobiografica e la capacità di ricordare un evento.
In un loro studio, Mendelsohn e coll. (2007) hanno usato l’ipnosi come strumento per studiare il meccanismo già prima ricordato della repressione della memoria come paradigma per valutare il funzionamento della memoria autobiografica ed i suoi correlati neurali sottostanti.
La repressione di alcuni elementi della memoria è importante quanto la rappresentazione dell’evento nella memoria stessa, infatti quando falliscono i meccanismi di repressione della memoria anche i comportamenti guidati dalla memoria falliscono (Schnider, 2003; Gazzaley e coll., 2005). Per apprendere nuove conoscenze in un meccanismo omeostatico, non possiamo fare posto al nuovo se non cerchiamo dimenticare alcune cose (che giudichiamo irrilevanti del vecchio).
Uno strumento che ben indaga il meccanismo del dimenticare è rappresentato dalla suggestione di amnesia post ipnotica.
Mendelsohn e coll. (2007) hanno cercato di dimostrare che individui altamente ipnotizzabili possano essere indotti, durante lo stato ipnotico, in una situazione per cui, terminata l’ipnosi, essi non siano capaci di
26 ricordare informazioni acquisite durante o prima dell’ipnosi fino a quando non viene data loro la suggestione di ricordare. Questo tipo di suggestione post-ipnotica è stata chiamata “amnesia post-ipnotica” (Kihlstrom, 1997).
Il fatto che l’amnesia post-ipnotica possa essere indotta e sospesa la rende un modello interessante per investigare i meccanismi di repressione della memoria che probabilmente controllano il momentaneo blocco della rievocazione del ricordo nell’amnesia funzionale.
Nello studio di Mendelsohn e coll. (2007) è stato fatto un esperimento nel quale due gruppi di partecipanti, uno sensibile all’amnesia post-ipnotica e l’altro no, hanno guardato lo stesso film, un documentario che durava 45 minuti (Furman e coll., 2007).
Una settimana dopo i partecipanti sono stati posti sotto fMRI e ipnotizzati. È stata data loro la suggestione di amnesia post-ipnotica, cioè hanno ricevuto l’ordine di dimenticare i dettagli del film dopo il risveglio fino a quando non avrebbero ricevuto l’ordine contrario. Dopo il risveglio dall’ipnosi, i partecipanti sono stati testati riguardo al loro ricordo del film e del contesto in cui era stato mostrato, sempre sotto fMRI. Questo test sulla performance di memoria è stato eseguito due volte: una volta mentre la suggestione post-ipnotica era attiva, un’altra volta dopo il contro-ordine, cioè quando la suggestione post-ipnotica non era più attiva.
Il gruppo suggestionabile ha mostrato una memoria ridotta del film ma non del contesto e solo sotto suggestione di non ricordare. È stato visto che l’attività dell’area occipitale, temporale e prefrontale differisce tra i gruppi e in quello suggestionabile differisce tra lo stadio di suggestione e quello di contro-ordine. Gli studi hanno dimostrato che durante la suggestione di non ricordare è inibita soprattutto l’attività della corteccia frontale sinistra mediale e giro superiore e polo temporale mentre la corteccia prefrontale rostro-laterale sinistra è attiva.
L’ipotesi degli autori è stata che, mentre alcune di queste regioni sono coinvolte nel recupero della memoria episodica a lungo termine altre sono
27 coinvolte nell’impedirne il recupero. La CPF laterale sembra essere implicata nei meta-processi e nelle funzioni escutive che coinvolgono il recupero della memoria episodica (Nyberg et al., 2000).
Burgess e coll. (2007) hanno ipotizzato che la CPF rappresenti una sorta di strada che lega il mondo interno con l’esterno deviando l’attenzione da stimoli ambientali a rappresentazioni generate internamente.
Mendelsohn e collaboratori (2007) hanno suggerito pertanto che l’incrementata attivazione della CPF nel gruppo PHA (soggetti sottoposti a suggestione post-ipnotica) durante la suggestione di non ricordare e sulla base di corrispondenze con dettagli provenienti dall’esterno o di rappresentazioni interne, rifletta una precoce decisione implicita di accedere o non accedere a successivi processi di recupero.
L’attivazione della corteccia occipitale sembra essere associata al recupero di rappresentazioni, di scene piuttosto che di informazioni verbali (Morris e coll., 1977; Johnson e coll., 2007; Vaidaya e coll., 2002).
Mendelsohon e collaboratori hanno dedotto quindi che è plausibile affermare che la ridotta attività del giro occipitale medio durante la suggestione di non ricordare rappresenti la repressione del ripristino delle tracce delle memorie delle scene.
Il polo temporale di sinistra viene considerato una corteccia associativa che svolge in parte le funzioni del lobo occipitale ma con in aggiunta funzioni di connessione con sistemi multipli sensoriali (Olson et al., 2007). Inoltre sembra implicato nell’elaborazioni delle emozioni, di contenuti a sfondo sociale, nella memoria di eventi reali e nella costruzione di una storia dedotta da frasi raccontate (Gallagher e e Frith, 2004, Olson et al., 2007).
Fermare il recupero di un ricordo indesiderato compromette, in seguito, la sua memorizzazione, e questo fornisce un modello psicologico per la
28 forma volontaria di repressione come proposta da Freud1 (1915). Le due
regioni del cervello che possono giocare un ruolo importante nel meccanismo neurobiologico di repressione della memoria sono l'ippocampo e, come abbiamo visto, la corteccia prefrontale.
Si può ipotizzare, quindi, che le persone sopprimono i ricordi indesiderati attraverso il reclutamento della corteccia prefrontale che disimpegna l’elaborazione ippocampale (Anderson et al., 2004)
Anderson e coll. (2004), per studiare la repressione delle memorie indesiderate, hanno condotto un esperimento che prevedeva l'uso della risonanza magnetica funzionale (fMRI). I soggetti hanno imparato coppie di parole (ad esempio, Ordeal, Roach) e poi in corso di scansione è stato presentato un paradigma della memoria: pensare/non pensare. Cioè per ogni prova, ai soggetti è stato presentato un membro di una coppia (ad esempio, Ordeal) ed è stato chiesto sia di ricordare che di pensare la risposta associata (ad esempio, Roach) (condizione di Risposta) oppure di impedire alla parola associata di entrare nella coscienza (condizione di Repressione); tutto questo durante i quattro secondi di presentazione dello stimolo.
Dopo la scansione, i soggetti sono stati sottoposti a test per determinare se i tentativi di impedire il recupero del ricordo durante la condizione di repressione hanno compromesso il ricordo della risposta, (Same probe test o SP test). È stato visto che la repressione ha compromesso la memoria. In seguito questa inibizione di memoria per gli elementi rimossi è stata generalizzata con il test del romanzo (Indipendent probe o test IP), indicando che la memoria perturbata non è dovuta al non ricordare l'associazione delle parole alla risposta (es. Ordeal/Roach), né all’interferenza da associazioni in conflitto con le parole; la dimenticanza riflette l’inibizione della risposta (ad es. Roach) (Anderson et al.,1995).
Il meccanismo della repressione, registrato mediante fMRI, ha reso i
1
Freud usa il termine “repressione” riferendosi ad una azione conscia. Gli autori usano il termine “repressione” riferendosi sia all’azione cosciente che inconscia.
29 soggetti incapaci di recuperare i ricordi che si erano formati prima della scansione e questo deficit di memoria era maggiore di quello verificato per semplice dimenticanza nel corso del tempo.
Alla fMRI è stato evidenziato che una rete di regioni del cervello era più attiva durante la repressione che durante il recupero, e comprendevano la corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia prefrontale ventrolaterale (DLPFC e VLPFC), corteccia cingolata anteriore (ACC), il solco intraparietale (IPS) e il putamen destro. La repressione del ricordo riduceva nel contempo l’attività bilaterale dell’ippocampo.
La ridotta attivazione dell'ippocampo nella condizione di repressione indica che i soggetti sono riusciti a smettere o a ridurre il recupero dei ricordi indesiderati durante la scansione (Eldridge et al.,2000).
Successivamente, gli autori hanno esaminato se l'attivazione ippocampale è stata modulata durante le prove di repressione per inibire la memoria.
Elementi dimenticati e ricordati esibiscono diversi modelli di attivazione ippocampale nelle condizioni di Repressione e di Risposta e si evidenzia che l’attività risulta maggiore nella repressione poi dimenticata piuttosto che ricordata. La repressione poi dimenticata diventa quindi una sorta di meccanismo intrusivo (un ricordo inavvertito) che determina una maggiore inibizione stimolando un controllo del sistema esecutivo.
Questi risultati indicano che l'ippocampo e la DLPFC interagiscono durante i tentativi di repressione del ricordo di un'esperienza indesiderata. Questa interazione ha una chiara conseguenza comportamentale - quella del dimenticare - che è in contrasto con la funzione normalmente assegnata all'ippocampo.
Anche se abbiamo sottolineato il ruolo di DLPFC nella repressione, fermare il recupero del ricordo è un atto complesso che coinvolge tutta la rete neurale individuata in questa analisi.
30 Queste considerazioni indicano che questa rete svolge una funzione che comprende l’attenzione focalizzata al controllo della percezione e della memoria. I risultati attuali specificano le caratteristiche di un modello neurobiologico della memoria di controllo che le persone possono utilizzare per adeguare la loro mente in risposta alle esperienze traumatiche (Bjork et al., 1997; Freyd, 1996).
Se la repressione sia in grado di produrre amnesia completa e duratura per un ricordo indesiderato rimane sconosciuto. Tuttavia, questo lavoro conferma l'esistenza di un processo attivo con il quale le persone possono impedire la presa di coscienza di un'esperienza indesiderata passata e identifica i sistemi neurali che ne sono alla base. Possiamo dire che i risultati di questo studio forniscono il primo modello neurobiologico della forma volontaria di repressione proposto da Freud, un modello che integra questa proposta, altrimenti controversa, con i meccanismi fondamentali del controllo del comportamento.
2. Rimozione ed ipnosi
Dalla letteratura emerge una diversa attivazione in trance piuttosto che in stato di allerta nella rievocazione di un ricordo autobiografico (valutazione della memoria episodica).
Gli studi di Faymonville e collaboratori (2006) evidenziano un’attivazione di un’area cerebrale più vasta rispetto ai soggetti non in ipnosi. L’attivazione maggiore include la corteccia occipitale, parietale, precentrale, prefrontale e cingolata. Tale risultati evidenziano che nello stato di ipnosi l’attività cerebrale è diversa dalla consapevole rievocazione immaginativa di un ricordo autobiografico. In questo studio una regione ipoattivata in stato di ipnosi, rispetto alla rievocazione cosciente di un ricordo autobiografico, è risultato essere il precuneo, situato nella regione mediale della corteccia parietale. Tale regione sembra essere ipoattiva anche in altre condizioni quali il coma, l’anestesia generale, amnesia e
31 demenza. Oltre a Faymonville e collaboratori anche altri ricercatori (Mendelshon e coll., 2008) hanno evidenziato lo stesso fenomeno suggerendo che tale struttura rappresenti un elemento critico necessario per l’esperienza cosciente.
Come illustrato nel paragrafo precedente gli studi di Anderson e collaboratori (2004) hanno evidenziato che le due strutture che giocano un rilevante ruolo nel meccanismo della rimozione sono l’ippocampo e la corteccia prefrontale laterale (LPFC).
Nei loro studi, Mendelsohn e coll. (2007) hanno visto che i soggetti altamente ipnotizzabili, durante l’amnesia post ipnotica, presentavano una maggiore inibizione della corteccia sinistra occipitale e temporale mentre la corteccia prefrontale rostro-laterale sinistra è risultata maggiormente attiva rispetto ai soggetti che non presentavano amnesia post ipnotica e, inoltre, evidenziano che l’ipnosi è caratterizzata da una maggiore attivazione della corteccia occipitale extra striata.
Lo studio del meccanismo di rimozione può portare ad importanti conoscenze sui disturbi psicopatologici quali, ad esempio, le amnesie psicogene. L’importanza dell’ipnosi in tali studi è determinata dal fatto che è frequente la condizione in cui durante un trattamento ipnotico possano affiorare più facilmente contenuti rimossi piuttosto che in condizione di coscienza normale.
L’indagine della memoria autobiografica, ma soprattutto del deficit ad essa correlato, rappresenta un importante obiettivo per la genesi di alcuni disturbi psicopatologici quali le amnesie, le confabulazioni, il deterioramento. Già Freud, in “Psicopatologia della vita quotidiana” (Freud, 1971), ha illustrato come il concetto di rimozione (assieme a quello di inconscio) intervenga in molti aspetti della nostra vita comune.
La rimozione, in psicopatologia, è quel meccanismo psichico che allontana dalla coscienza desideri, pensieri o residui mnestici considerati inaccettabili e insostenibili dalla coscienza e la cui presenza provocherebbe
32 dispiacere.
Al concetto di rimozione si collega quello di resistenza, un ulteriore meccanismo psichico che impedisce ai contenuti una volta rimossi di tornare nuovamente coscienti. Scopo della psicoanalisi, secondo Freud (1904), è quello di diminuire la forza di queste resistenze e permettere all'Io di tornare in possesso del materiale rimosso, in modo da porre termine alla sua conseguenza patogena.
La rimozione di una esperienza traumatica o di un abuso è un meccanismo di difesa che serve ad allontanare la sofferenza, però può essere anche controproducente perché l’esperienza spiacevole è dimenticata ma non perdonata. In particolare è l’emozione legata all’esperienza traumatica che continua ad agire, pur rimanendo nascosta nell’inconscio, e può causare una serie di problemi psichici o psicosomatici che si manifestano come disturbi del comportamento. Al contrario se l’episodio traumatico viene ricordato, l’emozione ad esso legata in qualche modo viene rielaborata e metabolizzata dalla coscienza e quindi non insorge in seguito alcun disturbo del comportamento.
Come sottolinea S. Ferenczi in “Opere”, Freud sostenne che “non è il trauma il vero agente patogeno, ma la rimozione delle rappresentazioni ad esso collegate” (Ferenczi, 1908-1912).
3. Amnesia post-ipnotica nella memoria autobiografica
Come abbiamo visto l’ipnosi influisce sulla memoria ed in particolare su quella autobiografica, così come evidenziato anche in studi meno recenti (Barnier AJ, McConkey KM., 1999; Kilstrom, 1997), ma solo in soggetti con alta ma non in quelli con bassa suscettibilità ipnotica (Barnier e coll., 2004). Loftus e coll. (2005) hanno sostenuto che la tendenza a produrre falsi ricordi è maggiore in soggetti altamente suggestionabili.
Alcuni studi hanno dimostrato che il fenomeno ipnotico dell’ipermnesia, spesso utilizzato in medicina legale per migliorare ricordi
33 di eventi passati, genera falsi ricordi (Kilstrom, 1997). Ma studi più recenti non evidenziano la correlazione positiva tra alta suscettibilità e produzione di falsi ricordi emersa nella precedente letteratura (Van Bergen e coll., 2009).
Anche la dissociazione tra memoria semantica ed episodica ottenuta attraverso la suggestione di amnesia post ipnotica non sembra essere confermata (Spanos e coll., 1982). Ad una valutazione della memoria esplicita od implicita, attraverso il fenomeno dell’amnesia post ipnotica, si evidenzia che i soggetti con alta suggestionabilità ipnotica tendono ad essere amnesici per il priming (valutazione memoria implicita) percettivo ma non semantico (Barnier e coll., 2001).
Diversi studi hanno confermato un diretta correlazione tra amnesia post ipnotica ed il paradigma del “diretto dimenticare” (direted forgetting) in quanto questo paradigma sembra influire sia sull’apprendemento intenzionale che su quello casuale (non cosciente). In questo paradigma, il comando di dimenticare metà delle parole di una lista riduce il ricordo successivo degli items appresi sia intenzionalmente che casualmente determinando quindi una rottura del processo sia di recupero che di codifica dei ricordi (Geiselman e coll., 1983).
Oltre alla ormai comprovata attivazione del “temporal network” destra (corteccia primaria temporomesiale e temporolaterale), area cingolata posteriore destra, insula destra ed area prefrontale destra (Fink e coll., 1996), nella memoria autobiografica è stata evidenziata inoltre un’attivazione della corteccia parietale (Cabeza, 2008).
Alla somministrazione di coppie di parole a valenza emozionale (stupro-mutilazione) (Bremer e coll., 2003) in donne con disturbo post traumatico da stress (PDTS) ed abuso in infanzia è stato riscontrata una iperattività della corteccia parietale inferiore, del giro cingolato posteriore, del giro frontale mediale sin, corteccia visiva associativa e motoria ed una ipoattività della corteccia orbitofrontale, cingolata anteriore, giro
34 temporale inferiore e dell’ippocampo dx.
Una componente chiave dello stress acuto è un aumento della vigilanza che consente un’elaborazione delle informazioni più salienti, essenziale per promuovere la sopravvivenza degli organismi.
Le informazioni codificate in memoria durante le esperienze di stress acuto sono generalmente ben ricordate (Kim et al. 2002). Una ricerca ha posto un forte accento sui meccanismi attraverso i quali lo stress acuto aumenta il consolidamento della memoria (Roozendaal et al., 2006).
Questo fenomeno rappresenta un comportamento adattivo e una disregolazione di tale meccanismo potrebbe causare un trauma psicologico e quindi, potenzialmente, generare una patologia (McEwen, et al, 2004).
Il verificarsi di eventi neurochimici, durante una fase di tensione iniziale, può esercitare effetti immediati su processi importanti quali: l’attenzione, i processi sensoriali e quelli mnemonici (de Kloet et al., 2005).
Si pensa che gli effetti dello stress sulla memoria siano mediati attraverso ormoni e neurotrasmettitori liberati da due sistemi interagenti effettori: la (nor)epinefrina (NE) del sistema simpatico e dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). Sotto stress, il sistema simpatico con il locus coeruleus (LC) al suo interno, si sposta verso uno stato tonicamente attivo (Aston-Jones e Cohen, 2005 ; Valentino e Van Bockstaele, 2008)
Questo spostamento provoca un aumento della NE nel SNC, tra cui la regione mediale del lobo temporale (MTL) (Valentino et al 2008), la struttura fondamentale del sistema di memoria dichiarativa (Squire at al. 1991). Questo aumento del tono della NE, associato ad effetti periferici come la dilatazione della pupilla, supporta la plasticità neurale che sottende la formazione della memoria (Roozendaal et al., 2006) e provoca un'ondata di eccitazione che può portare a ipervigilanza ed elaborazioni delle informazioni salienti e rilevanti del fattore stressante (Aston-Jones et al, 1981 ).
35
IPOTESI
1.OBIETTIVI DELLA RICERCA
Il presente studio, osservazionale caso-controllo, è stato condotto allo scopo d’indagare e misurare la presenza di alterazioni neuropsicologiche della memoria autobiografica, in soggetti con ricordo di pregressi eventi traumatici rispetto ad altri soggetti che non ricordano. Un secondo obiettivo è stato quello di valutare la relazioni tra alterazioni della memoria autobiografica in base alla presenza di dolore cronico.
2.DISEGNO DELLA RICERCA
Lo studio ha previsto il reclutamento della popolazione presso l’Unità di Terapia Antalgica, Azienda Ospedaliero Pisana.
Per la ricerca sono stati presi in considerazione 77 soggetti di entrambi i sessi, con età compresa tra 20 e i 55 anni e con assenza di deterioramento cognitivo. Sono state fornite ai soggetti informazioni scritte tese ad illustrare lo studio nei suoi aspetti procedurali e nelle sue finalità ed un consenso informato. Sono entrati a far parte del campione soltanto coloro che, in seguito, hanno fornito il consenso informato firmato. In ogni caso è stato specificato ai soggetti che avrebbero potuto abbandonare lo studio in qualsiasi momento.
Il protocollo sperimentale è stato suddiviso in 2 sessioni. Nella prima sessione è stato valutato lo stato cognitivo generale mediante il Mini Mental State Examination (MMSE), la presenza di eventi traumatici mediante la somministrazione dello Stressfull Life Events Screening Questionnaire Revised (SLESQ-R), la suscettibilità ipnotica mediante il test di Stanford A e somministrati i paradigmi cognitivi per la valutazione del meccanismo di soppressione del ricordo (Test del Diretto Dimenticare) e della presenza del falso ricordo (Deese-Roediger-McDermott).
36 Nella seconda sessione sono stati somministrati i test per la valutazione dell’attenzione selettiva (Stroop Word color test), memoria di lavoro (Memoria di cifre della WAIS), è stata valutata la dissociazione somatica mediante SDQ-20, i disturbi di personalità mediante il questionario semistrutturato SCID III R e la presenza di disturbi psichiatrici mediante l’intervista MINI plus che esplora i disturbi in asse I del DSM IV, compresi i disturbi somatoformi. Infine è stato valutato il dolore clinico mediante il QUIDe sperimentale mediante cold pressure test.
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MATERIALI E METODO
1.POPOLAZIONE DI STUDIO
Per la ricerca sono stati presi in considerazione 77 soggetti di entrambi i sessi, con età compresa tra 20 e i 55 anni, con assenza di deterioramento cognitivo, valutato utilizzando il MMSE ((Mini Mental State Examination) (Foistein et al.,1975) con punteggio totale inferiore a 24.
I soggetti sono stati divisi in due gruppi, un primo gruppo composto da soggetti con ricordo di pregressi eventi traumatici rispetto ad altri soggetti che non ricordano. Il campione è stato quindi distinto in base alla presenza di dolore; 29 soggetti presentava dolore cronico e 48 soggetti non riferivano dolore cronico e non riportavano una sintomatologia dolorosa da almeno 1 anno.
2.STRUMENTI E PROCEDURE DI INDAGINI
Sono state somministrate le seguenti scale:
a) disturbi psichiatrici in asse I (MINI) e II (SCID II)
b) scala dimensionale per irritabilità, ansia e depressione (IDAS)
c) scale per le somatizzazioni e disturbi dissociativi somatici: TAS (Toronto Alexitimia Scale), amplificazione somatica (SSAS) ed sintomi dissociativi, somatici (SDQ-20). Di questa esplorazione verranno considerati in questa trattazione solo i risultati della SDQ-20.
d) scale di misurazione del dolore: valutazione unidimensionale VAS, multidimensionale QUID, coping del dolore (MPI) e cold pressure pain test per soglia e tolleranza. In questa trattazione saranno elaborati i dati relativi al questionario QUID e com pressure test
e) scale per l’attenzione e la memoria: Mini Mental state examination (MMSE), Stroop Word color test, Memorie di cifre della WAIS, DRM di Deese-Roediger-McDermott e paradigma del diretto dimenticare per la
38 valutazione della memoria episodica, amnesia post ipnotica.
f) scala per la valutazione della suscettibilità ipnotica e amnesia post-ipnotica: Stanford A
2.1. Indagine generale
- Scheda clinico-anamnestica
La scheda prevede la raccolta dei dati anagrafici (nome, cognome, sesso, età, nazionalità, convivenza, stato civile, anni di scolarità, stato sociale). Ad essa segue una sezione riguardante la comorbidità psichiatrica. Le diagnosi e i disturbi contemplati sono quelli previsti dal DSM IV per l’asse I e DSM III R per l’asse II.
Per ogni patologia indagata è riportato il momento di insorgenza indicato in giorni, mesi od anni rispetto alla data di ammissione.
Infine è esplorata la familiarità (parenti di I e II grado) relativamente a tutte le sindromi prese in considerazione.
Segue la sezione relativa ai trattamenti: la categoria dei farmaci utilizzati, il loro nome commerciale e i possibili eventi avversi ai farmaci stessi, la presenza di trattamento psicoterapico.
Successivamente vengono riportati la diagnosi di dolore,
l’inizio del dolore in termini di giorni, mesi od anni rispetto alla data di ammissione, le sedi della patologia dolorosa, la presenza e il numero di tender points, la presenza di eventuali sintomi neurologici (manifestazionivegetative, allodinia, iperalgesia), l’andamento stagionale del dolore
(peggioramento invernale/estivo - peggioramento ai cambi di stagione - nessuna variazione).
- Stressful Life Events Screening Questionnaire-Revised
39 (SLESQ-R) (Gordon e coll., 1998) è un questionario di autovalutazione costituito da 13 items e misura gli eventi traumatici life-time.
Vengono presentati 2 items di eventi generali e 11 specifici che indagano incidenti mortali, abusi fisici e sessuali, osservazione di eventi accaduti ad altri in cui vi fosse violenza fisica, minaccia e rischio di morte. Questo questionario ha il vantaggio di indagare gli eventi traumatici maggiori in accordo con il criterio A del DPTS.
Per ogni evento viene chiesta una risposta dicotomica (si/no), l’età del rispondente e quando è successo; vengono inoltre chieste altre informazioni come: la frequenza dell’evento traumatico, la durata, se vi sono stati dei morti o ospedalizzazione etc. Nella nostra intervista viene anche richiesto se c’è stato un periodo di amnesia per l’evento (item 14); in accordo con gli autori il test viene utilizzato come test di screening.
2.2. Valutazione del dolore
- Cold Pressure Pain Test (misurazione della soglia e della tolleranza) Permette la misurazione della soglia e della tolleranza del dolore per mezzo di uno stimolo freddo doloroso (cold). Il test viene somministrato secondo il metodo di Woolf (Woolf et al., 1984; Sternberg et al., 1998). La temperatura della mano del soggetto (arto non dominante) viene standardizzata mediante immersione in una vaschetta contenente acqua ad una temperatura di 37°+ 0,5°, per due minuti. La stessa mano viene successivamente immersa fino al polso in una vaschetta contenente acqua e cubetti di ghiaccio ad una temperatura di 0°+ 0,5°. Al soggetto è chiesto di segnalare allo sperimentatore il momento esatto in cui la sensazione iniziale e naturale di freddo si trasforma in sensazione dolorosa. Il tempo trascorso dall’immersione della mano alla percezione del dolore viene identificato come soglia dolorifica. Da questo momento in poi, viene chiesto al soggetto di continuare a tenere la mano immersa nel ghiaccio ed è istruito a toglierla solo quando il dolore diventa insopportabile. Il tempo