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Pietro e Gregor: trasformazioni e deformazioni

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Academic year: 2021

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14 maRzo

2015 pag. 12

Questa impresa sarebbe stata impossibile se avessi voluto rimanere ostinatamente at-taccato alle mie origini, ai ricordi di gioventù. Il primo coman-damento che m’imposi, fu la rinuncia ad ogni ostinazione. Io, libera scimmia, mi piegai sotto quel giogo: ma, in compenso, i ricordi si fecero più remoti”. Le affermazioni di Pietro il Rosso, la scimmia protagonista del racconto kafkiano “Una relazio-ne accademica”, fanno chiarezza su come l’umano si rapporti al regno animale. Ancora una volta, è il segno a stabilire un cambio di testimone, quel “segno rosso sulla guancia” tale da divenire non solo cicatrice, ma quasi una marchiatura, il salvacondotto che sigla l’ingresso in un altro dominio. Un mutamento cui fa da contraltare la privazione, ché “oggi” – prosegue Pietro dinanzi al consesso – “posso tradurre solo nel linguaggio umano quello che allora sentivo come scimmia, e quindi, di necessità, lo deformo”. Traduzione, quindi, come stor-piatura e processo deformante, dove lo spettro del lògos induce il soggetto a una trascenden-za fortrascenden-zata, al fuoriuscire della natura animale, perché “s’impara quando si è costretti; s’impara quando si cerca una via d’uscita; s’impara a corpo perduto”: il cor-po, appunto, si perde, si annulla e cede il passo a una struttura artefatta, fittizia ma necessaria per condividere il proprio spazio vitale con l’Homo Sapiens. Con-divisione mai paritetica, pronta a sfociare nel ridicolo e nel grottesco: lo scotto pagato dall’a-nimale per la propria liberazione e che vede Pietro salire sul palco del teatro di varietà e divenire protagonista di un Freak show in piena regola.

Opposta, invece, la vicenda di Gregor Samsa in “La metamor-fosi”: evoluzione all’inverso e quasi teratogenesi, dove all’u-mano subentrano “il mostro”, il “coso”, la “bestia”, in un continuo degradarsi della catena dell’essere. Emerge la natura uni-voca del processo metamorfico e se Pietro, entrando in pos-sesso del linguaggio, riusciva a guadagnarsi la libertà; Gregorio, privato ormai della parola (nel passare da uomo a insetto), va

Pietro e Gregor

trasformazioni

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incontro alla propria morte. Cer-to: in entrambi i casi vi è sempre una liberazione, ma mutano i referenti, i modi narranti, ché all’arte oratoria della scimmia si oppongono il silenzio remissivo dell’umano fattosi scarafaggio, la sua sporcizia, il suo costante ri-concepire e ri-abitare lo spazio vivente.

Le parole, insomma, cedono il passo al corpo, alla carne, ma nonostante tutto impossibilitati a parlare, estromessi dalla macchi-na antropogenica: il procedimen-to mediante cui l’essere umano trascende l’immanenza animale, per porsi in uno stato di eccen-tricità. Si tratta di una via a senso unico, agevole per Pietro il Rosso (pronta a passare dallo “stadio scimmiesco” a quello umano), mortale per Gregor Samsa, in un continuo passaggio di stati, fino all’ultimo: quello di “roba”.

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