Dalla Vita Nova
Con l’altre donne mia vista gabbate, e non pensate, donna, onde si mova ch’io vi rassembri sì figura nova quando riguardo la vostra beltate. 4
Se lo saveste, non poria Pietate tener più contra me l’usata prova,
ché Amor, quando sì presso a voi mi trova, prende baldalza e tanta securtate, 8
che fere tra’ miei spiriti paurosi, e quale ancide, e qual pinge di fore, sì che solo remane a veder vui: 11
ond’io mi cangio in figura d’altrui, ma non sì ch’io non senta bene allore li guai de li scacciati tormentosi. 14
Donne ch'avete intelletto d'amore,
i' vo' con voi de la mia donna dire, non perch'io creda sua laude finire, ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore, 5 Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s'io allora non perdessi ardire, farei parlando innamorar la gente.
E io non vo' parlar sì altamente,
ch'io divenisse per temenza vile; 10 ma tratterò del suo stato gentile
a respetto di lei leggermente, donne e donzelle amorose, con vui, ché non è cosa da parlarne altruI.
Angelo clama in divino intelletto 15 e dice: «Sire, nel mondo si vede
maraviglia ne l'atto che procede d'un'anima che 'nfin qua su risplende".
Lo cielo, che non have altro difetto
che d'aver lei, al suo segnor la chiede, 20 e ciascun santo ne grida merzede.
Sola Pietà nostra parte difende,
che parla Dio, che di madonna intende: "Diletti miei, or sofferite in pace
che vostra spene sia quanto me piace 25 là v'è alcun che perder lei s'attende,
e che dirà ne lo inferno: O mal nati, io vidi la speranza de' beati".
or voi di sua virtù farvi savere. 30 Dico, qual vuol gentil donna parere
vada con lei, che quando va per via, gitta nei cor villani Amore un gelo,
per che onne lor pensero agghiaccia e pere; e qual soffrisse di starla a vedere 35 diverria nobil cosa, o si morria.
E quando trova alcun che degno sia di veder lei, quei prova sua vertute, ché li avvien, ciò che li dona, in salute,
e sì l'umilia, ch'ogni offesa oblia. 40 Ancor l'ha Dio per maggior grazia dato
che non pò mal finir chi l'ha parlato.
Dice di lei Amor: "Cosa mortale come esser pò sì adorna e sì pura?".
Poi la reguarda, e fra se stesso giura 45 che Dio ne 'ntenda di far cosa nova
. Color di perle ha quasi, in forma quale convene a donna aver, non for misura: ella è quanto de ben pò far natura;
per essemplo di lei bieltà si prova. 50 De li occhi suoi, come ch'ella li mova,
escono spirti d'amore inflammati,
che feron li occhi a qual che allor la guati, e passan sì che 'l cor ciascun retrova:
voi le vedete Amor pinto nel viso, 55 là 've non pote alcun mirarla fiso.
Canzone, io so che tu girai parlando a donne assai, quand'io t'avrò avanzata.
Or t'ammonisco, perch'io t'ho allevata
per figliuola d'Amor giovane e piana, 60 che là 've giugni tu diche pregando:
"Insegnaterni gir, ch'io son mandata a quella di cui laude so' adornata".
E se non vuoli andar sì come vana,
non restare ove sia gente villana: 65 ingegnati, se puoi, d'esser palese
solo con donne o con omo cortese, che ti merranno là per via tostana. Tu troverai Amor con esso lei;
Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare. 4
Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare. 8
Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ’ntender no la può chi no la prova: 11
e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira. 14
Vede perfettamente onne salute chi la mia donna tra le donne vede; quelle che vanno con lei son tenute
di bella grazia a Dio render merzede. 4
E sua bieltate è di tanta vertute, che nulla invidia a l’altre ne procede, anzi la face andar seco vestute
di gentilezza, d’amore e di fede. 8
La vista sua fa onne cosa umile; e non fa sola sé parer piacente,
ma ciascuna per lei riceve onore. 11
che nessun la si può recare a mente,
che non sospiri in dolcezza d’amore. 14
Videro li occhi miei quanta pietate
era apparita in la vostra figura, quando guardaste li atti e la statura
ch’io faccio per dolor molte fiate. 4
Allor m’accorsi che voi pensavate
la qualità de la mia vita oscura, sì che mi giunse ne lo cor paura
di dimostrar con li occhi mia viltate. 8
E tolsimi dinanzi a voi, sentendo che si movean le lagrime dal core,
ch’era sommosso da la vostra vista. 11
Io dicea poscia ne l’anima trista:
"Ben è con quella donna quello Amore
lo qual mi face andar così piangendo". 14
Oltre la spera che più larga gira passa ’l sospiro ch’esce del mio core: intelligenza nova, che l’Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira. 4
Quand’elli è giunto là dove disira,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira. 8
Vedela tal, che quando ’l mi ridice,
io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare. 11
So io che parla di quella gentile, però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care. 14
Dalle Rime
Tenzone tra Dante e Cino da Pistoia Dante a Cino da Pistoia
Io mi credea del tutto esser partito da queste nostre rime, messer Cino, ché si conviene omai altro cammino
4a la mia nave più lungi dal lito: 4
ma perch’i’ ho di voi più volte udito che pigliar vi lasciate a ogni uncino, piacemi di prestate un pocolino
8a questa penna lo stancato dito. 8
Chi s’innamora sì come voi fate, or qua or là, e sé lega e dissolve,
11mostra ch’Amor leggermente il saetti. 11
Però se leggier cor così vi volve, priego che con vertù il correggiate,
Cino da Pistoia a Dante
Poi ch’i’ fu’, Dante, dal mio natal sito fatto per greve essilio pellegrino e lontanato dal piacer più fino
che mai formasse il Piacer infinito, 4
io son piangendo per lo mondo gito sdegnato del morir come meschino, e s’ho trovato a lui simil vicino,
dett’ho che questi m’ha lo cor ferito. 8
Né da le prime braccia dispietate, onde ’l fermato disperar m’assolve,
son mosso perch’aiuto non aspetti; 11
ch’un piacer sempre me lega ed involve, il qual conven che a simil di beltate
in molte donne sparte mi diletti. 14
.
Dal Convivio
Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete, udite il ragionar ch’è nel mio core,
ch’io nol so dire altrui, sì mi par novo. El ciel che segue lo vostro valore,
gentili creature che voi sete, 5 mi tragge ne lo stato ov’io mi trovo.
Onde ’l parlar de la vita ch’io provo, par che si drizzi degnamente a vui: però vi priego che lo mi ’ntendiate.
Io vi dirò del cor la novitate, 10 come l’anima trista piange in lui,
e come un spirto contra lei favella, che vien pe’ raggi de la vostra stella.
Suol esser vita de lo cor dolente
un soave penser, che se ne gia 15 molte fiate a’ pie’ del nostro Sire,
ove una donna gloriar vedia, di cui parlava me sì dolcemente che l’anima dicea: «Io men vo’ gire».
Or apparisce chi lo fa fuggire 20 e segnoreggia me di tal virtute,
che ’l cor ne trema che di fuori appare. Questi mi face una donna guardare, e dice: «Chi veder vuol la salute,
faccia che li occhi d’esta donna miri, 25 sed e’ non teme angoscia di sospiri».
Trova contraro tal che lo distrugge l’umil pensero, che parlar mi sole d’un’angela che ’n cielo è coronata.
L’anima piange, sì ancor len dole, 30 e dice: «Oh lassa a me, come si fugge
questo piatoso che m’ha consolata!» De li occhi miei dice questa affannata: «Qual ora fu che tal donna li vide!
e perchè non credeano a me di lei? 35 Io dicea: ’Ben ne li occhi di costei
de’ star colui che le mie pari ancide!’ E non mi valse ch’io ne fossi accorta che non mirasser tal, ch’io ne son morta».
«Tu non se’ morta, ma se’ ismarrita, 40 anima nostra, che sì ti lamenti»
«chè quella bella donna che tu senti, ha transmutata in tanto la tua vita,
che n’hai paura, sì se’ fatta vile! 45 Mira quant’ell’è pietosa e umile,
saggia e cortese ne la sua grandezza, e pensa di chiamarla donna, omai! Chè se tu non t’inganni, tu vedrai
di sì alti miracoli adornezza, 50 che tu dirai: ’Amor, segnor verace,
ecco l’ancella tua; fa che ti piace’.»
Canzone, io credo che saranno radi
tanto la parli faticosa e forte. 55 Onde, se per ventura elli addivene
che tu dinanzi da persone vadi che non ti paian d’essa bene accorte, allor ti priego che ti riconforte,
dicendo lor, diletta mia novella: 60 «Ponete mente almen com’io son bella!»
Dalla Commedia
INFERNO, INel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita. 3
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura! 6
Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. 9
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai. 12
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto, 15
guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle. 18
Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta. 21
E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata, 24
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. 27
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. 30
Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta, una lonza leggera e presta molto,
e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. 36
Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino 39
mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle 42
l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone. 45
Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse. 48
Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame, 51
questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza. 54
E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; 57
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace. 60
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco. 63
Quando vidi costui nel gran diserto, "Miserere di me", gridai a lui,
"qual che tu sii, od ombra od omo certo!". 66
Rispuosemi: "Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui. 69
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 72
Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. 75
Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?". 78
"Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?",
rispuos’io lui con vergognosa fronte. 81
"O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore che m’ ha fatto cercar lo tuo volume. 84
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore. 87
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi". 90
"A te convien tenere altro vïaggio", rispuose, poi che lagrimar mi vide,
"se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; 93
ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 96
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 99
Molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia. 102
Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105
Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla. 111
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno; 114
ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida; 117
e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti. 120
A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire; 123
ché quello imperador che là sù regna, perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna. 126
In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!". 129
E io a lui: "Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio, 132
che tu mi meni là dov’or dicesti, sì ch’io veggia la porta di san Pietro
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
INFERNO, V
Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio. 3
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia. 6
Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata 9
vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte. 15
"O tu che vieni al doloroso ospizio", disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio, 18
"guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!".
E ’l duca mio a lui: "Perché pur gride? 21
Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote
Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote. 27
Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. 30
La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. 33
Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina. 36
Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento. 39
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali 42
di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena. 45
E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai, 48
ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: "Maestro, chi son quelle
"La prima di color di cui novelle tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle. 54
A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta. 57
Ell’è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ’l Soldan corregge. 60
L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa. 63
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo. 66
Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille. 69
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72
I’ cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri". 75
Ed elli a me: "Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno".78
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!". 81
Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate; 84
cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido. 87
"O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90
se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso. 93
Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 96
Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui. 99
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte. 108
Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?". 111
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!". 114
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?". 120
E quella a me: "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. 123
Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. 126
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129
Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132
Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante,
la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante". 138
Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse. 141
E caddi come corpo morto cade.
PURGATORIO, I
Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele; 3
e canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno. 6
Ma qui la morta poesì resurga, o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Calïopè alquanto surga, 9
seguitando il mio canto con quel suono di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono. 12
Dolce color d’orïental zaffiro, che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro, 15
a li occhi miei ricominciò diletto, tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e ’l petto. 18
Lo bel pianeto che d’amar conforta faceva tutto rider l’orïente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 21
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente. 24
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle! 27
Com’io da loro sguardo fui partito, un poco me volgendo a l’altro polo,
là onde ’l Carro già era sparito, 30
vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo. 33
Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a’ suoi capelli simigliante,
de’ quai cadeva al petto doppia lista. 36
Li raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 39
"Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?",
"Chi v’ ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna? 45
Son le leggi d’abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?". 48
Lo duca mio allor mi diè di piglio, e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. 51
Poscia rispuose lui: "Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni. 54
Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi di nostra condizion com’ell’è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi. 57
Questi non vide mai l’ultima sera; ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era. 60
Sì com’io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i’ mi son messo. 63
Mostrata ho lui tutta la gente ria; e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa. 66
Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti; de l’alto scende virtù che m’aiuta
conducerlo a vederti e a udirti. 69
Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta. 72
Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. 75
Non son li editti etterni per noi guasti, ché questi vive e Minòs me non lega;
ma son del cerchio ove son li occhi casti 78
di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti piega. 81
Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riporterò di te a lei,
se d’esser mentovato là giù degni". 84
"Marzïa piacque tanto a li occhi miei mentre ch’i’ fu’ di là", diss’elli allora,
"che quante grazie volse da me, fei. 87
Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge che fatta fu quando me n’usci’ fora. 90
Ma se donna del ciel ti move e regge, come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso, sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 96
ché non si converria, l’occhio sorpriso d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, ch’è di quei di paradiso. 99
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte l’onda,
porta di giunchi sovra ’l molle limo: 102
null’altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita,
però ch’a le percosse non seconda. 105
Poscia non sia di qua vostra reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai,
prendere il monte a più lieve salita". 108
Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111
El cominciò: "Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a’ suoi termini bassi". 114
L’alba vinceva l’ora mattutina che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina. 117
Noi andavam per lo solingo piano com’om che torna a la perduta strada,
che ’nfino ad essa li pare ire in vano. 120
Quando noi fummo là ’ve la rugiada pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada, 123
ambo le mani in su l’erbetta sparte soavemente ’l mio maestro pose:
ond’io, che fui accorto di sua arte, 126
porsi ver’ lui le guance lagrimose; ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l’inferno mi nascose. 129
Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto. 132
Quivi mi cinse sì com’altrui piacque: oh maraviglia! ché qual elli scelse
l’umile pianta, cotal si rinacque 135
subitamente là onde l’avelse.
PARADISO, I
La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove. 3
Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire
perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire. 9
Veramente quant’io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto. 12
O buono Appollo, a l’ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso,
come dimandi a dar l’amato alloro. 15
Infino a qui l’un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue
m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. 18
Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsïa traesti
de la vagina de le membra sue. 21
O divina virtù, se mi ti presti tanto che l’ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti, 24
vedra’ mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno. 27
Sì rade volte, padre, se ne coglie per trïunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l’umane voglie, 30
che parturir letizia in su la lieta delfica deïtà dovria la fronda
peneia, quando alcun di sé asseta. 33
Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci
si pregherà perché Cirra risponda. 36
Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci, 39
con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella. 42
Fatto avea di là mane e di qua sera tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e l’altra parte nera, 45
quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia sì non li s’affisse unquanco. 48
E sì come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole, 51
così de l’atto suo, per li occhi infuso ne l’imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso. 54
Molto è licito là, che qui non lece a le nostre virtù, mercé del loco
Io nol soffersi molto, né sì poco, ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
com’ ferro che bogliente esce del foco; 60
e di sùbito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d’un altro sole addorno. 63
Beatrice tutta ne l’etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di là sù rimote. 66
Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l’erba
che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. 69
Trasumanar significar per verba non si poria; però l'essemplo basti
a cui esperïenza grazia serba. 72
S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ’l ciel governi,
tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. 75
Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso
con l’armonia che temperi e discerni, 78
parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. 81
La novità del suono e ’l grande lume di lor cagion m’accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume. 84
Ond’ella, che vedea me sì com’io, a quïetarmi l’animo commosso,
pria ch’io a dimandar, la bocca aprio 87
e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l’avessi scosso. 90
Tu non se’ in terra, sì come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch’ad esso riedi". 93
S’io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu’ inretito 96
e dissi: "Già contento requïevi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com’io trascenda questi corpi levi". 99
Ond’ella, appresso d’un pïo sospiro, li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, 102
e cominciò: "Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante. 105
Qui veggion l’alte creature l’orma de l’etterno valore, il qual è fine
Ne l’ordine ch’io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine; 111
onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti. 114
Questi ne porta il foco inver’ la luna; questi ne’ cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna; 117
né pur le creature che son fore d’intelligenza quest’arco saetta,
ma quelle c’ hanno intelletto e amore. 120
La provedenza, che cotanto assetta, del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
nel qual si volge quel c’ ha maggior fretta; 123
e ora lì, come a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto. 126
Vero è che, come forma non s’accorda molte fïate a l’intenzion de l’arte,
perch’a risponder la materia è sorda, 129
così da questo corso si diparte talor la creatura, c’ ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte; 132
e sì come veder si può cadere foco di nube, sì l’impeto primo
l’atterra torto da falso piacere. 135
Non dei più ammirar, se bene stimo, lo tuo salir, se non come d’un rivo
se d’alto monte scende giuso ad imo. 138
Maraviglia sarebbe in te se, privo d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’a terra quïete in foco vivo". 141
Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
PARADISO XXXIII
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio, 3
tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura. 6
Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. 9
Qui se’ a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace. 12
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali. 15
La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre. 18
In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. 21
Or questi, che da l’infima lacuna de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una, 24
supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute. 27
E io, che mai per mio veder non arsi più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 30
perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 33
Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi. 36
Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati
Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l’orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati; 42
indi a l’etterno lume s’addrizzaro, nel qual non si dee creder che s’invii
per creatura l’occhio tanto chiaro. 45
E io ch’al fine di tutt’ i disii appropinquava, sì com’ io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii. 48
Bernardo m’accennava, e sorridea, perch’ io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea: 51
ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera. 54
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio. 57
Qual è colüi che sognando vede, che dopo ’l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede, 60
cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa. 63
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 66
O somma luce che tanto ti levi da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi, 69
e fa la lingua mia tanto possente, ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente; 72
ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria. 75
Io credo, per l’acume ch’io soffersi del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi. 78
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito. 81
Oh abbondante grazia ond’ io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi! 84
Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna: 87
sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo
La forma universal di questo nodo credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. 93
Un punto solo m’è maggior letargo che venticinque secoli a la ’mpresa
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. 96
Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa. 99
A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta; 102
però che ’l ben, ch’è del volere obietto, tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto. 105
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella. 108
Non perché più ch’un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante; 111
ma per la vista che s’avvalorava in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’ io, a me si travagliava. 114
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza; 117
e l’un da l’altro come iri da iri parea reflesso, e ’l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri. 120
Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ’poco’. 123
O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi! 126
Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta, 129
dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige:
per che ’l mio viso in lei tutto era messo. 132
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’ elli indige, 135
tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova; 138
ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa
A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa, 144