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LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO DEL PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE INCLUDONO LA PET-CT.

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CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Relatore

Chiar.mo Prof. Giuliano Mariani

Dott.ssa Paola Anna Erba

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO D

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

Relatore

Chiar.mo Prof. Giuliano Mariani

Dott.ssa Paola Anna Erba

Facoltà di Medicina e Chirurgia

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO D

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

INCLUDONO LA PET

Anno accademico 2007

Relatore

Chiar.mo Prof. Giuliano Mariani

Dott.ssa Paola Anna Erba

Università di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

Tesi di Laurea

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO D

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

INCLUDONO LA PET

Anno accademico 2007

Chiar.mo Prof. Giuliano Mariani

Dott.ssa Paola Anna Erba

Università di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

Tesi di Laurea

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO D

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

INCLUDONO LA PET

Anno accademico 2007

Chiar.mo Prof. Giuliano Mariani

Dott.ssa Paola Anna Erba

Università di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

Tesi di Laurea

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO D

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

INCLUDONO LA PET

Anno accademico 2007-2008

Facoltà di Medicina e Chirurgia

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO D

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

INCLUDONO LA PET/TC

2008

Manuel

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO DEL

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

Candidato

Manuel Tredici

CENTRO REGIONALE DI MEDICINA NUCLEARE

Scuola di Specializzazione in Medicina Nucleare

PAZIENTE CON LINFOMA: COSA CAMBIA

APPLICANDO LE NUOVE LINEE GUIDA CHE

Candidato

Tredici

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2

"Viviamo, di solito, con il nostro essere ridotto al minimo;

la maggior parte delle nostre facoltà resta addormentata,

riposando sull'abitudine,

che sa quello che c'è da fare e non ha bisogno di loro”

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3

A Susanna Supino

Fabio Tredici

Mario Tredici

Chiara Giusti

…ed a Me

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4

Indice

Riassunto ……….. p. 5 Introduzione ………..

Linfomi………...

Tomografia ad emissione di positroni (PET) ………...

Linee Guida IWG Vs. IHP ………..

p. 7 p. 7 p. 26 p. 29 Materiali e Metodi……….. p. 47 Risultati……… p. 51 Discussione……….… Iconografia……….…. Bibliografia……….. p. 58 p. 61 p. 64

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Riassunto

Scopo della tesi è l’applicazione in un gruppo di pazienti con Malattia di Hodgkin dei nuovi criteri proposti dall’International Harmonization Project (IHP) per valutare la risposta alla terapia (chemio-radioterapia) rispetto alle linee guida redatte nel 1999 dall’International Working Group (IWG) e fino ad oggi utilizzate. La principale differenza tra questi due metodi di valutazione della risposta consiste nella tecnica di imaging impiegata per definire un paziente in risposta o in progressione: il nuovo sistema di valutazione dell’IHP basa la classificazione sulle immagini PET/TC con [18F]FDG, tecnica che ha dimostrato in numerosi trial clinici un vantaggio in termini di predizione della risposta clinica alla terapia rispetto a quanto comunemente in uso attraverso la TC.

Materiali e metodi: abbiamo valutato retrospettivamente le indagini PET/TC e TC di 14 pazienti (7 donne e 7 uomini), con età media di 38 anni (range 22- 58 anni) tutti affetti da Linfoma di Hodgkin, eseguite fra dicembre 2006 e febbraio 2009. Per ogni studio sono state valutate le dimensioni maggiori delle lesioni evidenti alla TC e le aree di ipercaptazione del [18F]FDG evidenti alla PET. Sono stati poi impiegati i criteri di calcolo per dimostrare la risposta alla terapia in base alle linee guida IWG per l’analisi delle immagini TC. Il criterio di valutazione per le immagini PET/TC è stato la presenza o l’assenza di aree di ipermetabolismo in stazioni linfonodali o extranodali. I risultati dei due metodi sono stati paragonati tra loro per ciascun momento diagnostico: stadiazione, valutazione della risposta alla terapia dopo 2 cicli di trattamento (early-assessment), ristadiazione a completamento del ciclo di chemioterapia e follow-up per verificare il valore predittivo dei nuovi criteri di interpretazione rispetto all’outcome clinico del paziente.

Risultati: nell’esame di stadiazione, la TC da sola è in grado di stadiare correttamente 9 pazienti (64.3%) determinando down-staging negli altri 5 casi; la PET/TC stadia correttamente 12 pazienti (85.7%), determinando un up-staging di 2 pazienti. Lo studio eseguito per la valutazione della risposta alla terapia dopo 2 cicli dimostra che i criteri IWG definiscono in risposta completa solo 2 pazienti(14.3%) e in malattia stabile i rimanenti 12. Impiegando i criteri IHP i pazienti totalmente rispondenti alla terapia salgono a 11 (78.6%), con 3

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casi di risposta parziale. Nell’esame di ristadiazione a fine terapia la TC definisce 3 pazienti (21.4%) in remissione completa mentre la PET/TC 9 (64.3%); entrambe le metodiche evidenziano in 4 pazienti una ripresa di malattia. Confrontando i risultati tra early assessment e ristadiazione a fine terapia si osserva che la PET/TC predice la risposta finale in 12/14 pazienti (85.7% ) con 10 casi che confermano la negatività della valutazione precoce all’esame a fine trattamento e 2 pazienti classificati come non responsivi all’esame PET/TC. In due casi un esame PET/TC negativo in fase precoce è stato seguito da un mancata risposta nell’esame di ristadiazione a fine trattamento.

Conclusioni: i nuovi criteri IHP basati sulle immagini PET/TC permettono di estendere all’ambito clinico l’importante ruolo della metodica dimostrato in alcuni studi pilota. La tecnica PET/TC conferma una buona accuratezza diagnostica in fase di stadiazione e le potenzialità di predire precocemente la risposta del paziente alla chemioterapia riservando la scelta di strategie terapeutiche aggressive limitate alle situazioni di mancato controllo della malattia.

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Introduzione

LINFOMI

I linfomi costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie che originano da cellule immunologicamente attive. Sono definiti come neoplasie maligne solide del sistema linfopoietico, in cui si ha la proliferazione monoclonale di linfociti trasformati in fasi diverse di maturazione (a seconda del tipo di linfoma) a livello tissutale (linfonodi o stazioni extra-nodali) , e fanno parte della più grande classe di Neoplasie Linfoidi o Malattie Linfoproliferative Maligne assieme alle leucemie linfoidi, viste invece in passato come patologie non correlate fra loro; è stato riscontrato infatti, tramite analisi citologiche ed immunoistochimiche che molte leucemie e linfomi sono identici dal punto di vista di clone mutato e che cambia solo la sede iniziale di colonizzazione neoplastica (Midollo Osseo per la leucemia/Linfonodo per il linfoma); in più, un altro dato a favore di questo raggruppamento è la capacità di molti linfomi di trasformarsi in leucemie in fasi avanzate di malattia.

Storicamente i linfomi sono distinti in due grandi categorie: i Linfomi (o Morbo) di Hodgkin e i Linfomi Non-Hodgkin. Ancora oggi questa suddivisione è molto utile ed utilizzata universalmente perché identifica e separa dalle altre neoplasie linfatiche un quadro nosologico con caratteristiche citologiche, istologiche, epidemiologiche, terapeutiche e prognostiche completamente diverse da tutte le altre: il linfoma di Hodgkin.

Sono tra le neoplasie più studiate, a causa della loro elevata incidenza (40.000 casi/anno in USA) e per la loro estrema variabilità; costituiscono il 5% dei tumori maligni e la quinta causa di morte per cancro. La prevalenza è costantemente in crescita ad un ritmo del 3% annuo.

1) LINFOMA di HODGKIN: linfoma maligno in cui si ha la tipica presenza di cellule di Reed-Sternberg (in realtà si hanno delle eccezioni), circondate spesso da una componente cellulare polimorfa di tipo reattivo (linfociti reattivi, istiociti, granulociti).

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È raro e costituisce poco più dell’1% di tutte le forme di neoplasia diagnosticate nei Paesi occidentali.

Ha un’incidenza media di 3/100.000 persone/anno; essa è più elevata negli Stati Uniti, intermedia in Europa e bassa nei Paesi orientali; è più frequente negli uomini. L’incidenza media annuale è di 7500-8000 casi/anno e rappresenta il 30-40% di tutti i linfomi maligni.

La mortalità è di 0,4 casi per 100.000 donne e 0,6 casi per 100.000 uomini per anno.

E’ stata rilevato un andamento bimodale della malattia: l’incidenza aumenta dopo il 10° anno, ha il picco tra 20-29 anni e quin di diminuisce fino all’età di 40-45 anni; dopo di che l’incidenza aumenta progressivamente con l’età, avendo un secondo picco intorno ai 60 anni.

L’eziologia di questa neoplasia è sconosciuta, però sono stati evidenziati dei fattori predisponenti:

o Infettivi: EBV/HHV-6

o Professionali: esposizione alla lavorazione del legno e sostanze chimiche

Nel 1994, l’International Lymphoma Study Group ha modificato e aggiornato la precedente classificazione istopatologica di Rye del 1966 introducendo le nuove conoscenze immunologiche e molecolari, e incorporandola come parte della Revised European American Lymphoma Classification (REAL).

Più recentemente, nel 1999, la World Health Organization (WHO) ha proposto una nuova classificazione delle leucemie e dei linfomi, che relativamente al linfoma di Hodgkin, tiene conto delle indicazioni della REAL e suggerisce l’impiego del termine linfoma per tale patologia, sottolineandone la natura neoplastica. In questa classificazione si ha la suddivisione delle leucemie/linfomi in base al tipo di cellula da cui la neoplasia trae origine (linfocita B o T) e dal grado di differenziazione cellulare (si può notare come il LH sia considerato come una patologia a se stante).

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La differenza più importante tra la classificazione WHO o REAL e la precedente di Rye consiste nel riconoscere che esistono tre distinte entità nell’ambito del linfoma di Hodgkin:

1) LH a Prevalenza Linfocitaria Nodulare (5%) 2) LH Classico: -Sclerosi Nodulare (60-80%) -Cellularità Mista (10-15%)

-Ricco in Linfociti (6%) -Deplezione Linfocitaria (1%) 3) LH Inclassificabile

(N.B.: il 2° punto, ”LH classico”, è la vecchia cl assificazione di Rye)

Importante distinzione si ha fra LH Classico e LH a Prevalenza Linfocitaria Nodulare, poiché nel primo ritroviamo le classiche cellule di Reed –Sternberg e le cellule mononucleate di Hodgkin, mentre nel secondo sono presenti le cellule L&H, che differiscono dalle prime sia morfologicamente che immunofenotipicamente; entrambe però sono cloni B mutati del centro germinativo, in fasi diverse di maturazione che non riescono ad esprimere correttamente molti dei marcatori associati.

Nella Tabella 1 sono riportate le differenze istologiche delle varie sottoclassi di LH.

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Tabella 1

Classificazione istologica del linfoma di Hodgkin (morbo di Hodgkin) Tipo Caratteristiche

Linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare

Proliferazione linfocitaria di noduli

irregolari che contengono anormali cellule B polimorfe (L e I)

Cellule di Sternberg-Reed assenti (S-R)

Linfoma di Hodgkin Classico

Sclerosi nodulare Grado I e II

Noduli tumorali circondati da bande di collagene che si estendono dalla capsula linfonodale

Spesso è visibile la caratteristica variante a”cellule lacunare” della cellula di S-R Cellularità mista Numerosi cellule di S-R

Non sclerosi o fibrosi

Numero intermedio di linfociti

Predominanza linfocitaria Scarse cellule di S-R; molti piccoli linfociti con pochi eosinofili e plasmacellule; tipi diffuso e nodulare.

Deplezione linfocitaria Quadro “reticolare” con cellule di S-R predominanti e sparsi linfociti o “fibrosi diffusa” con tessuto connettivo

disorganizzato, pochi linfociti e infrequenti cellule di S-R

Questo sottotipo è diagnosticato molto raramente

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Nella tabella 2 invece si ha una correlazione clinico patologica per i diversi istotipi di LH Calssico. Tabella 2 Caratteristiche Prevalenza linfocitaria Sclerosi nodulare Cellularità mista Deplezione linfocitaria Frequenza 5-10% 40-70% 10-20% 15% Età Unimodale dopo 40 Bimodale Avanzata Dist geografica Paesi

sviluppati Paesi sviluppati Paesi poveri Stadio di esordio

I/II(75-85%) II (40-60%) <25% tutti gli stadi III/IV Interessamento mediastinico 5% >60% 15-20% Interessamento retroperitoneale

Clinicamente, esordisce nella maggior parte dei casi con interessamento dei linfonodi sopradiaframmatici; maggiormente colpito è l’emisoma sinistro specie laterocervicale (superficiale), anche se spesso la prima manifestazione è a livello mediastinico (profonda), soprattutto per il sottotipo a sclerosi nodulare. Insorge in un linfonodo e per contiguità si estende ai linfonodi vicini fino ad interessare tutto il pacchetto linfoghiandolare e da qui può interessare anche i gruppi linfoghiandolari vicini.

Progressivamente interessa le stazioni sia sopra che sotto diaframmatiche, la milza (splenomegalia) e si possono sviluppare localizzazioni d’organo extralinfonodali (fegato, osso, cute, rene, retina), grazie alla diffusione di cellule neoplastiche sia per via linfatica che ematogena.

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I linfonodi superficiali colpiti sono duri, non dolenti né dolorabili, inizialmente mobili sui piani circostanti ma che col tempo diventano fissi ed hanno una crescita imprevedibile.

Oltre a questi segni obbiettivi si possono avere anche sintomi sistemici (definiti “sintomi B” nella classificazione degli stadi della malattia):

• febbre >38°, continua ed inspiegabile

• Sudorazione, notturna e profusa

• Perdita di peso >10% in 6 mesi senza fare dieta

• Prurito intenso

• Astenia

Si ritrovano poi alterazioni di esami di laboratorio, sia dell’emocromo che ematochimici: • Anemia (iposideremica/arigenerativa/emolitica) • Leucocitosi • Trombocitopenia • Iposideremia • Iperuricemia • Ipercupremia • VES elevata

Per la diagnosi di certezza però è necessaria la biopsia di un linfonodo colpito ed un suo studio istologico.

Posta la diagnosi, il passo successivo è stabilire l’estensione della malattia mediante una serie di indagini volte ad esaminarne tutte le potenziali sedi di lesione per effettuare la stadiazione. Oltre a definire l’estensione della malattia (importante ai fini prognostici e per fissare il tipo di terapia), essa consentirà, completato il programma di terapia, di eseguire la ristadiazione; in base al risultato della ristadiazione sarà possibile stabilire se il paziente ha raggiunto la risposta completa (CR), oppure una risposta parziale (PR), ed in quest’ultimo caso l’entità della malattia residua.

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Questo tipo di stadiazione è valido sia per LH che per LnH. In questi ultimi si aggiungono studi genetici e molecolari per individuare e monitorare alterazioni genetiche marker della neoplasia.

Gli esami di stadiazione devono includere:

• Visita specialistica ematologia: durante la quale vengono ispezionate tutte le stazioni linfonodali superficiali e si ricerca un eventuale ingrandimento della milza (splenomegalia) e del fegato (epatomegalia). Viene inoltre registrata la presenza o assenza dei cosiddetti sintomi sistemici o sintomi B (febbre, sudorazione profusa, calo di peso).

• Esami del sangue: esami di routine (emocromo, VES, azotemia, glicemia, acido urico, bilirubina, transaminasi, fosfatasi alcalina, elettroforesi, markers dell’epatite B e C, test per l’HIV), livelli di LDH (lattato deidrogenasi) e di beta-2-microglobulina (collegati all’attività proliferativa ed alla massa del linfoma).

• Biopsia osteo-midollare (BOM): si esegue prelevando con un apposito ago da biopsia, previa anestesia locale, un minuscolo cilindro di osso dalla parte posteriore del bacino. L’esame istologico ed immunoistochimico consentirà di verificare la presenza o meno di interessamento linfomatoso del midollo osseo. Nei linfomi non-Hodgkin, in occasione della biopsia ossea si esegue anche un aspirato di sangue midollare per l’esame morfologico, l’esame immunologico ed i test molecolari.

• Immunofenotipo: il test si esegue su sangue periferico e su aspirato midollare. Nei linfomi non-Hodgkin consente, mediante impiego di anticorpi monoclonali ed apparecchiature apposite (cell sorter), di individuare piccole popolazioni di linfociti periferici o midollari clonali cioè appartenenti al linfoma.

• Test molecolari: si eseguono su sangue periferico e su aspirato midollare. Sono importanti nei linfomi non-Hodgkin. Infatti, mediante la PCR (Polymerase Chain Reaction) è possibile individuare alterazioni molecolari

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marker di alcuni linfomi non-Hodgkin (bcl-1, bcl-2) e quindi il monitoraggio anche di livelli minimi di malattia.

• Radiografia del torace in due proiezioni.

• TAC total-body (Tomografia Assiale Computerizzata) di cranio, torace, addome e pelvi: fornisce immagini radiologiche, elaborate dal computer, degli organi interni e di eventuali adenopatie profonde. Vengono considerati patologici i linfonodi con diametro massimo superiore al centimetro.

• Risonanza Magnetica (RM): fornisce immagini dettagliate di organi interni. Non utilizza radiazioni. Per la stadiazione dei linfomi è usualmente sufficiente la TAC ma la RM può essere indicata in situazioni particolari per ottenere informazioni non fornite dalla sola TAC.

• PET (Positron Emission Tomography): utilizza un analogo radioattivo del glucosio (18F-fluorodeoxyglucosio, [18F]FDG) che viene captato in modo preferenziale dalle masse linfomatose. La PET, in base al segnale radioattivo emesso dal [18F]FDG, è in grado di individuare con grande sensibilità localizzazioni anche piccole del linfoma. La PET è molto utile nella stadiazione iniziale dei linfomi e nella ristadiazione dopo terapia per valutare la natura degli eventuali residui linfonodali. Consente infatti di verificare, in base alla presenza o assenza di captazione, se un linfonodo che risulta ancora ingrandito alla TAC è sede di malattia oppure è un residuo cicatriziale inerte. L’intervallo ottimale tra fine terapia ed esecuzione della PET è 4 - 6 settimane. Dato che l’attività glicolitica non è specifica solo dei linfomi, ma può esser presente anche in linfonodi e tessuti sede di infiammazione, i risultati vanno interpretati con cautela. La PET è più accurata rispetto alla scintigrafia con Gallio e viene preferita a quest’ultima.

• Esami speciali: in casi particolari verranno studiate eventuali localizzazioni extra-linfonodali mediante:

o gastroscopia con biopsie multiple (nel linfoma gastrico)

o visita ORL con esame bioptico, nelle localizzazioni all’anello di Waldeyer o rachicentesi con esame del liquor (nel linfoma linfoblastico e nel linfoma di

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La tabella 3 presenta la classificazione ANN-ARBOR in quattro stadi, universalmente accettata per la stadiazione sia dei LH che dei LnH.

Tabella 3

STADIO SEDI D’INTERESSE

I Coinvolgimento di un singolo linfonodo o di un singolo sito extralinfatico (IE)

II

Coinvolgimento di due o più regioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma ; può includere una regione extralinfatica dallo stesso lato del

diaframma (IIE)

III Coinvolgimento di regioni linfonodali da entrambi i lati del diaframma; può includere la milza (IIIS) o la malattia extranodale (IIIE)

IV Diffusa malattia extranodale/impegno di organi extralinfatici (fegato,midollo osseo,polmoni,cute,SNC…)

- Il numero dello stadio è seguito o da A (assenza) o B (presenza) che si riferiscono a una febbre non spiegata superiore a 38°C (10 0.4°F), sudorazione notturna e perdita di più del 10% del peso corporeo negli ultimi 6 mesi.

- Il suffisso E indica estensione extranodale localizzata da una tumefazione linfonodale; la localizzazione all’anello del Waldeyer è linfonodale nel MH, extranodale nei LnH.

- La definizione di bulky è massa linfonodale > 10 cm di diametro e tumefazione mediastinica > un terzo del diametro massimo del torace ed è indicata con X.

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La prognosi di questa neoplasia viene stimata a 10 anni, con percentuali variabili di sopravvivenza a seconda dello stadio:

-stadio I 79-90% -stadio II 74-80% -stadio III 55-60% -stadio IV 40%

I presidi terapeutici utilizzati nel LH sono la RADIOTERAPIA (RT) e la CHEMIOTERAPIA (CT).

RT: 40-50 Gy in 4-6 settimane

CT: - ABVD (adriamicina-bleomicina-vinblastina-decarbazina) (1° linea) - DHAP (platino-aracytin-decadron) alte dosi (2° linea)

- CFX (ciclofosfamide) alte dosi (2° linea) - VP 16 alte dosi (2° linea)

- cicli combinati (2° linea)

In casi particolari si può ricorrere al trapianto di midollo allogenico, o all’autotrapianto, se si riesce a recuperare un numero sufficiente di cellule staminali: questa procedura viene fatta o dopo DHAP, o dopo CFX, o dopo VP16.

Il 70-80% dei pazienti affetti da LH può oggi essere definitavamente guarito con la chemioterapia e/o radioterapia. La mortalità per LH è oggi in costante declino, grazie anche alla disponibilità di efficaci terapie di salvataggio in pazienti in cui la malattia recidiva a distanza di tempo. La scelta del tipo di terapia (chemioterapia e/o radioterapia) dipende essenzialmente dalla prognosi, i cui fattori più importanti sono: età del paziente (< 45 anni, > 45 anni), sesso maschile, stadio avanzato (III o IV), grosse masse tumorali ("bulky" / > 10 cm), VES elevata, leucocitosi (> 15.000 globuli bianchi per microlitro), linfopenia (<600 linfociti per microlitro), anemia, ipoalbuminemia, numero di noduli tumorali nella milza, interessamento esteso dei linfonodi addominali, numero di siti extranodali interessati dalla malattia, presenza di sintomi.

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2) LINFOMI NON-HODGKIN: sono un gruppo eterogeneo di neoplasie maligne di origine linfocitaria; costituiscono un gruppo estremamente complesso di neoplasie di derivazione dalle cellule del sistema immunitario, aventi caratteristiche genetiche, immunofenotipiche, morfologiche, cliniche e prognostiche diverse in base al clone coinvolto dalla noxa neoplastica.

Variano da forme indolenti (rappresentate principalmente dal linfoma follicolare) a forme altamente aggressive che necessitano di diverso approccio terapeutico1.

Si presentano in genere con localizzazione primitiva in sede linfonodale, anche se sono possibili localizzazioni extra-nodali (cute, ghiandole esocrine, gonadi, apparato gastro-enterico, SNC).

Negli ultimi decenni l’incidenza dei di LnH risulta in continuo aumento nella maggior parte dei Paesi industrializzati, attestandosi al quinto posto tra le varie neoplasie per incidenza, con un incremento percentuale per anno del 30% , più rapido che per qualsiasi altro tumore, rappresentando così un notevole problema in materia di sanità pubblica1.

I linfomi non-Hodgkin rappresentano così il 3-5% di tutte le neoplasie maligne, registrandosi attualmente in Italia circa 10.000 casi/anno con un tasso di incidenza di 14,6 casi/100.000 abitanti/anno (uno dei più alti in Europa), che aumenta parallelamente all’età (picchi di incidenza specifici per i diversi tipi di LnH), con tassi di mortalità standardizzati sulla popolazione mondiale di 5,8/100.000 abitanti/anno; la probabilità di sopravvivenza a 5 anni è passata dal 35% al 80% dal 1965 al 1985, rendendole una fra le categorie di tumori più facilmente curabili.

A seconda delle regioni geografiche si ha una variazione sia nella percentuale di presentazione extra-nodale (25% USA – 40% Europa), sia nella frequenza di presentazione dei vari istotipi (Esempio: il L. di Burkitt è molto frequente in una fascia particolare del continente africano).

L’eziologia dei linfomi è a tutt’oggi sconosciuta nel 70% dei casi. Il 15-20% potrebbe essere ricollegato ad infezioni da patogeni quali Helicobacter Pilori (linfoma follicolare primitivo del duodeno, MALT), virus di Epstein-Barr (linfoma di Burkitt), virus dell'epatite C, HTLV-1 (leucemia/linfoma dell'adulto a cellule T). Il 5% invece viene ricondotto a situazioni di immunodeficienza (primaria, associata ad HIV, post-trapianto, da utilizzo di metotrexate) o autoimmunità

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(sindrome di Sjogren, tiroidite di Hashimoto, artrite reumatoide, ecc.) e altri tumori (in realtà le condizioni di immunodeficit e le patologie autoimmuni sono considerate più agenti favorenti che eziologici). Infine, solo meno dell’1% evidenzia una correlazione con l’esposizione ad agenti ambientali fisici o chimici (radiazioni, pesticidi, farmaci chemioterapici, ecc.).

La cancerogenesi dei linfomi è molto vicina al modello “multi-steps” proposto per moltissimi tumori. Sono necessarie infatti sovraespressioni di un certo oncogene seguite dall’attivazione di altri protoncogeni e/o dall’ inattivazione di geni oncosoppressori. L’attivazione dei protoncogeni avviene allorquando tale gene viene traslocato nell’area controllata da un regolatore che permette la trascrizione in modo costitutivo (nel caso dei linfociti B, un tipico regolatore sempre attivo è quello delle immunoglobuline); oppure un oncogene può diventare costitutivamente espresso quando una traslocazione ne porta la fusione con un altro gene: se il prodotto proteico ibrido (chimerico) ha perso i domini di regolazione o attivazione, questa proteina (interessata nelle vie di segnalazione intracellulari di proliferazione) risulta sempre attiva. L’attivazione di un protoncogene può avvenire anche per mutazione puntiforme del suo regolatore fisiologico, che a seguito della mutazione iperesprime il suo gene. Infine, anche eventi epigenetici possono portare alla maggiore capacità trascrizionale dell’oncogene (metilazione del DNA e acetilazione degli istoni). Il quadro citologico e istologico risulta estremamente complesso e la classificazione di queste neoplasie risulta essere tra le più complesse in campo oncologico, a motivo delle enormi difficoltà nell’interpretazione delle numerosissime sottovarianti e della diversità terminologica a cui si è fatto riferimento in passato.

Il primo contributo classificativo è stato quello di Rappaport (1966) basato su criteri puramente morfologici; dopo di esso sono seguite 2 classificazioni morfologico-cliniche (Working Formulation, WF-1980 / Update Kiel Classification, UKC-1988), fino ad arrivare nel 1994 a una nuova classificazione europeo-americana: la REAL (Revised European American Lymphoma) (Tab. 5). Il concetto basilare e innovativo è che l’indice di aggressività varia in base alla categoria istologica e nella stessa categoria vi è variabilità per una serie di fattori pato-biologici quali la citocinesi (proliferazione e deplezione cellulare), l’attivazione di determinati oncogeni, la produzione di geni ibridi di fusione, lo

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sviluppo di resistenza pleiotropica. In base al decorso clinico vengono individuati linfomi indolenti, moderatamente aggressivi, aggressivi e altamente aggressivi.

Nel 1997, infine, una Consensus Conference dell’OMS ha proposto una nuova classificazione (classificazione WHO), revisionata nel 2001, che può essere definita una versione aggiornata della REAL, tesa a superare il limite delle numerose entità provvisorie presenti in quest’ultima (Tab. 6); in questa non si parla di linfomi, ma di neoplasie linfoidi, vi è una suddivisione delle stesse in neoplasie di derivazione B (85% dei LnH) o T e queste a loro volta sono classificate in base alla maturità delle cellule neoplastiche (precursori della linea linfoide o cellule mature).

Infatti i diversi tipi di LnH rappresentano l’espansione di un elemento linfoide B o T bloccato in una fase maturativa ben definita dell’iter differenziativo della filiera linfoide B o T; più un linfoma ha aspetto maturo minore sarà l’aggressività (Eccezione: Linfoma di Burkitt).

Questa classificazione è molto utile perché cerca di prevedere l’andamento clinico della malattia considerando:

- morfologia

- Fenotipo

- Alterazioni citogenetiche

- Alterazioni molecolari

Da queste, in associazione con lo stadio di malattia, si estrapola la prognosi e la scelta terapeutica.

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Tabella 4: Classificazione REAL

Entità anatomopatologica REAL Immunofenotipo Linfomi altamente aggressivi

Linfoma/leucemia da precursori B linfocitari Linfoma di Burkitt

Linfoma B ad alto grado simil Burkitt

Linfomi aggressivi

Linfoma a grandi cellule B diffuso

Linfomi moderatamente aggrressivi

Leucemia prolinfocitica B

Linfoma centrofollicolare a grandi cellule (grado III)

Linfoma linfoplasmacitoide Linfoma a cellule mantellari

Linfomi indolenti

Linfoma centrofollicare: grado I (piccole cellule), II (misto), diffuso a piccole cellule Linfoma B della zona marginale:

extranodale di tipo MALT a cell

monocitoidi; splenico (con o senza linfociti villosi)

Leucemia linfatica cronica a cellule B/linfoma a piccoli linfociti

Linfoma linfoplasmacitoide Leucemia a cellule capellute B Plasmacitoma/Mieloma CD19+,CD79+, CD10+, CD34+, TdT+, CD22+,SIg- SigM+, CD10+, CD19+, CD20+, CD22+, CD79α+, CD5-, CD45+,CD23- CD19+, CD20+,CD22+, CD79α,Sig+/-, Clg+/-, CD5- CD10- CD19+,CD20+, CD22+, CD79α+, CD5-, CD10+/-, CD45+/-, SIg+/-, CD38+CD71+, HLA-DR+ SIg +, FMC7+, CD23-, CD5-, CD19+ SIg+, clg+, CD19+,CD20+, CD25+/-, CD11c,CD10+, CD5- SIg+ (intermedia:IgD, λ>κ), CD5-, CD23-, CD20+, CD19+, CD43+, CD11c-, CD10+/- CD19+,CD79+, CD20+, SIg+, CD10+/-, CD5-, CD23-, CD43-, CD11c- CD19+, CD20+, CD5-, CD23-, CD10-,CD11+/-, SIg+,

CD5+, CD23+, CD19+, Sig+ (deboli: IgM o IgD),CD20+ (debole), CD11-c, CD10- SIg+, clg+, CD19+,CD20+, CD25+/-, CD11c,CD10+, CD5- CD19+,CD20+, CD5-, CD10-, CD23-, CD11c+, CD25+, CD103+, FMC7+ clg+ (intensa), SIg-, CD19-, CD20-, CD79+/-, CD 45+/-, CD38+, EMA+/-, CD56+/-,CD43+/-

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Tabella 5 Classificazione WHO

Neoplasie dei precursori dei linfociti B Neoplasie dei precursori dei linfociti T

Leucemia/linfoma linfoblastico dei precursori B Leucemia/linfoma linfoblastico dei precursori T

Neoplasie dei linfociti B maturi (periferiche) Neoplasie dei linfociti T ed NK maturi (periferiche)

• Leucemia linfatica cronica/ linfoma a piccoli linfociti

• Leucemia prolinfocitica a cellule B

• Linfoma linfoplasmacitico

• Linfomi della zona marginale nodale e splenico

• Linfoma della zona marginale extranodale

• Linfoma mantellare

• Linfoma follicolare

• Linfoma a grandi cellule B diffuse

• Plasmocitoma/ mieloma plasmacellulare

• Linfoma di Burkitt

• Leucemia prolinfocitica a cellule T

• Leucemia a grandi linfociti T granulari

• Micosi fungoide/ Sindrome di Sézary

• Linfoma a cellule T periferiche, non altrimenti specificato

• Linfoma a grandi cellule anaplastiche

• Linfoma angioimmunoblastico a cellule T

• Linfoma a cellule T tipo enteropatia

• Linfoma panniculato a cellule T

• Linfoma epatosplenico a cellule T γδ

• Leucemia/Linfoma a cellule T dell'adulto

• Linfoma a cellule NK/T tipo nasale

• Leucemia a cellule NK

Linfoma di Hodgkin

• A Prevalenza Linfocitaria, sottotipi:

o Nodulare

o Diffuso

• Linfoma di Hodgkin classico, sottotipi:

o Sclerosi nodulare

o Cellularità mista

o Ricco di linfociti

o Deplezione linfocitaria

Clinicamente si manifestano o con interessamento dei linfonodi superficiali, dando linfoadenomegalia apprezzabile alla palpazione o all’ispezione (si può avere un ingrandimento evidente dei linfonodi anche nel giro di pochi giorni,

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specie se il linfoma è molto aggressivo), o con linfopatia profonda, nel qual caso si manifesterà con sintomi relativi alle strutture che vengono compresse dai linfonodi colpiti, specie se bulky (sindrome mediastinica; sindrome della vena cava,etc…); infine può dare alterazioni specifiche d’organo se la sua primitiva localizzazione è extra-nodale.

Oltre a queste caratteristiche, anche qui si hanno i cosiddetti “sintomi B”, come nell’LH, cioè sintomi sistemici:

• febbre >38° , continua ed inspiegabile

• Sudorazione, notturna e profusa

• Perdita di peso >10% in 6 mesi senza fare dieta

• Prurito intenso

• Astenia

Caratteristica importante è la possibilità di trasformazione leucemica di queste patologie, specie nei linfomi aggressivi ed in fase avanzata, che ne peggiora drasticamente la prognosi, a causa della colonizzazione diffusa del midollo osseo (per questo è molto importante la BOM in fase di stadiazione).

Anche nei LnH come nell’LH per fare diagnosi di certezza è necessaria la biopsia di un linfonodo colpito o della sede di impegno extra-nodale e si seguono per la stadiazione le stesse procedure viste per LH; anche la classificazione nei 4 stadi è identica, infatti anche qui si usa l’Ann-Arbor modificata da Cotswold. Un dato molto importante in queste neoplasie è che Solamente il 7-10% dei pazienti esordisce in stadio I, il 70% viene diagnosticato in stadio III e IV.

Per quanto riguarda la terapia, in questi ultimi anni la chemioterapia si è imposta come il trattamento principale nei pazienti portatori di LnH e numerose sono le associazioni di chemioterapici proposte1.

I linfomi indolenti, cui il linfoma follicolare costituisce la forma più comune (22% di tutti i LNH), sono caratterizzati da un decorso lento, ma presentano una scarsa risposta alle terapie convenzionali, una elevata tendenza alla recidiva e alla refrattarietà al trattamento, con progressivo peggioramento della prognosi e tendenza a trasformarsi in forme più aggressive. I linfomi indolenti risultano quindi difficilmente curabili ed è pertanto una necessità indiscutibile poter disporre di nuove opzioni terapeutiche; al contrario i linfomi aggressivi, se presi in tempo, rispondono bene agli schemi di trattamento, proprio perché essendo

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caratterizzati da una proliferazione cellulare molto rapida, risentono di più della chemio e radioterapia.

La terapia convenzionale di queste neoplasie impiega, da sole o variamente associate, la radioterapia (malattia localizzata), la monochemioterapia, la polichemioterapia, il trapianto di midollo autologo con o senza purging midollare e in minor misura il trapianto di midollo osseo allogenico. La storia naturale della malattia non viene spesso significativamente modificata, per cui paradossalmente la grande maggioranza dei LnH a basso grado rimane una malattia inguaribile con le terapie convenzionali1.

Lo sviluppo dell’immunoterapia ha aperto nuovi scenari nel trattamento di queste neoplasie. Gli antigeni di superficie espressi dalle cellule B neoplastiche sono target sfruttabili per la sieroterapia. L’anticorpo chimerico monoclonale rituximab diretto contro il CD20 si è dimostrato efficace e sicuro con un tasso di risposte globali del 50%, con 12% di risposte complete e durata media di risposta di 11 mesi. Nel Novembre 1997 rituximab è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dei i linfomi non Hodgkin a cellule B a basso grado, ricaduti o refrattari, da solo o in combinazione con la chemioterapia.

Gli anticorpi contro il CD20 inducono l’eliminazione di cellule linfomatose B per via di meccanismi diversi: citotossicità mediata da complemento, citotossicità mediata da cellule con recettore Fc ed induzione diretta di apoptosi2,3,4,5,6,7,8,9. Tuttavia questa opzione terapeutica non ha significativamente modificato la storia naturale della malattia, aumentando la sopravvivenza globale dei pazienti trattati. Le ricadute risultano infatti comunque frequenti e la refrattarietà al rituximab non trascurabile2,3.

La radiosensibilità dei linfomi non Hodgkin ha permesso di superare i limiti della immunoterapia con l’utilizzo di anticorpi monoclonali coniugati con radioisotopi. La radioimmunoterapia (RIT) è una nuova forma di trattamento medico che combina i vantaggi della radioterapia con quelli dell’immunoterapia; gli anticorpi monoclonali vengono utilizzati come veicoli per portare un carico radioattivo direttamente alla superficie delle cellule tumorali permettendone l’eliminazione selettiva rispetto ai tessuti sani circostanti.

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Due anticorpi radiomarcati sono stati approvati dalla FDA per il trattamento dei linfomi a basso grado recidivati, refrattari o trasformati: 90Y ibritumomab-tiuxetan (IDEC-Y2B8, Zevalin®) e 131I tositumomab (Bexxar® ; Corica Corp.)2,3.

La nuova terapia specifica oggi disponibile è costituita dalla RIT con 90 Y-Ibritumomab tiuxetan in commercio con il nome di Zevalin®, che rappresenta il primo anticorpo radiomercato registrato e disponibile nell’Unione Europea attualmente indicato nel trattamento di pazienti affetti da LnH follicolare a cellule B CD20+ ricaduti o refrattari a Rituximab.

Zevalin è un farmaco innovativo costituito da un anticorpo monoclinale murino Ibritumomab, specifico per l’antigene di membrana CD20 presente esclusivamente sulla superficie dei linfociti B (maligni e normali). L’anticorpo è coniugato covalentemente al il radioisotopo 90Y, emettitore beta puro, tramite il chelante ad alta affinità tiuxetan. Il chelante tiuxetan rende stabile il legame tra anticorpo e radioisotopo, da cui risulta una irradiazione specifica delle cellule tumorali che presentano l’antigene.

Nel febbraio 2002 è stato approvato dalla Food and Drug Administration per il trattamento del linfomi indolenti a cellule B refrattari, recidivati o trasformati. Il meccanismo d’azione di Zevalin è pertanto dovuto alla specificità di legame di un anticorpo monoclinale anti-CD20 unito alla citotossicità della radiazione emessa dall’ittrio-90. Durante la maturazione delle cellule B l’antigene CD20 si esprime per la prima volta nello stadio intermedio di sviluppo del linfoblasto B (cellula pre-B), e si perde durante lo stadio finale di maturazione a plasmacellula; per questo motivo l’anticorpo non colpisce le cellule staminali né le plasmacellule, cosicché la continuità della linea cellulare B viene mantenuta. L’antigene CD20 rappresenta un bersaglio ideale poiché non è presente nel circolo sanguigno come proteina libera, non viene liberato dalla superficie della cellula e non internalizza né viene modulato dopo il legame con l’anticorpo. Zevalin combina, quindi, l’attività anticorpale diretta con la radioterapia locale producendo un beneficio terapeutico superiore a quello della immunoterapia che sfrutta solo il meccanismo immunologico.

L’ 90Y è un β emittente puro; la radiazione ad alta energia (2,3 MeV) da esso rilasciata penetra e viene assorbita nei tessuti molli per il 90% entro un raggio di 5 mm che corrisponde a circa 100-200 diametri cellulari (con percorso massimo 11 mm) consentendo l’irradiazione e la distruzione della cellula tumorale

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bersaglio e di quelle circostanti, non legate all’anticorpo, per effetto di “fuoco incrociato” (cross fire effect). Il farmaco risulta, pertanto, utile ed efficace anche nel trattamento di tumori più estesi (bulky) o poco vascolarizzati in cui le cellule non possono essere raggiunte da una sufficiente quantità di anticorpi monoclonali.

L’emissione β induce un danno cellulare attraverso la formazione di radicali liberi nelle cellule bersaglio ed in quelle circostanti. Inoltre nella RIT la neoplasia viene caratteristicamente sottoposto ad una irradiazione continua, a basse dosi, che blocca la progressione del ciclo cellulare oltre la fase G2. Ciò determina l’accumulo di cellule in questa fase con conseguente aumento dell’effetto citotossico dell’irradiazione grazie anche all’inibizione dei meccanismi di riparazione del DNA. La RIT è una terapia sistemica con la quale più sedi di malattia, sia note che ignote, possono essere trattate simultaneamente con un’esposizione minima alle radiazioni dei tessuti sani. Questo aspetto va incontro all’esigenza di ottenere una terapia il più possibile personalizzata e adattata al singolo paziente2,3. L’organo dose limitante è il midollo osseo. Non sono necessari studi dosimetrici in pazienti con infiltrazione midollare (determinata alla biopsia osteo-midollare) < 25%. Fattori che influenzano la terapia sono soprattutto la conta piastrinica ed il peso del paziente. Si somministrano dosi di Zevalin di 0,4 mCi/Kg quando le piastrine sono > 150 x 109/l fino ad una dose massima di 32 mCi; si somministrano dosi di 0,3 mCi/Kg quando le piastrine sono comprese tra 100 x 109/l e 149 x 109/l fino ad una dose massima di 32 mCi. Infiltrazione midollare superiore al 25%, precedente radioterapia esterna che abbia coinvolto più del 25% di midollo osseo attivo, conta piastrinica inferiore a 100 x 109/l, conta assoluta dei neutrofili inferiore a 1500 cell/µl, precedente terapia mieloablativa, midollo ipocellulare <15% costituiscono le attuali controindicazioni al trattamento3-9 .

Al giorno 1 dello schema terapeutico si somministra anticorpo freddo rituximab alla dose di 250 mg/m2 che ottimizza la biodistribuzione di Zevalin (pre-targeting con anticorpo freddo: viene utilizzato per bloccare l’uptake non tumorale; serve a rivestire le cellule B normali di milza, linfonodi e midollo osseo che per loro cinetica mantengono legato l’anticorpo freddo).

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Nel giorno 7 o 8 o 9 viene effettuato boost con anticorpo freddo (250 mg/m2) e dopo alcune ore si somministra Zevalin (le cellule maligne per loro cinetica hanno nuovamente scoperti altri recettori CD20).

Il trattamento con 90Y ibritumomab-tiuxetan ha mostrato un tasso di risposte globali maggiore rispetto al rituximab, di più lunga durata, con efficacia terapeutica anche nei pazienti divenuti refrattari2,3. In uno studio di fase III è stato dimostrato un tasso di risposte globali dell’80% per Zevalin (30% risposte complete, CR) vs 56% ottenute con rituximab. In uno studio di fase II è stato dimostrato un overall response rate (ORR) del 74% (15% CR) in pazienti refrattari al rituximab. Zevalin ha prodotto tassi di risposta variabili tra 74-83% in pazienti con linfomi recidivi, refrattari e trasformati incluso un impressionante 83% in un trial di valutazione in cui sono stati arruolati pazienti nei quali un precedente trattamento con rituximab aveva fallito.

Il limite di questa terapia è dato dalla mielosoppressione; si determina riduzione di tutte le linee cellulari (più marcati per piastrine e neutrofili) con nadir alla 7-9 settimana di tipo transitorio e reversibile. Sporadici mielodisplasia e leucemia mieloide acuta.

Per l’assenza di radiazione gamma esiste solo un minimo rischio di esposizione radiante per gli operatori sanitari ed i familiari ed il paziente è trattato in regime ambulatoriale3-9 .

Tomografia ad Emissione di Positrone (P E T)

Le esigenze di diagnosticare il più precocemente possibile l’esistenza di una malattia quando i sintomi non sono ancora presenti o sono di modesta entità, di individuare nei pazienti già sottoposti a terapia l’efficacia del trattamento e successivamente di dimostrare quanto prima una ripresa o un aggravamento della malattia assumono particolare rilevanza nell’ambito della diagnosi e della corretta stadiazione dei linfomi10.

L’impiego di metodiche di diagnostica per immagini che si basano sul rilievo di dati morfologici, anche se molto precisi ed accurati, presenta limiti non trascurabili nella rilevazione ed interpretazione di lesioni neoplastiche, con livelli

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di accuratezza diagnostica non sufficienti per una precisa stadiazione; la disponibilità in tempi relativamente recenti di metodiche che consentono di ottenere informazioni in modo incruento del metabolismo cellulare, quali la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), ha reso possibile una precoce valutazione delle alterazioni molecolari in vivo sia nell’ambito della routine clinica che della ricerca10,11 .

Il principio che sta alla base della PET è la trasformazione di un raggio γ in impulso elettrico e le immagini acquisite con la PET, come in tutte le metodiche di medicina nucleare, sono immagini emissive; per l’acquisizione PET si inietta nel paziente un radiofarmaco nel quale l’elemento radioattivo presenta un forte eccesso di cariche positive, le quali vengono cedute per decadimento sotto forma di POSITRONE (elettrone positivo) o particella β+; il positrone subisce un processo fisico che si chiama annichilazione e che prevede la scomparsa del positrone stesso per annullamento di carica con un elettrone e la successiva emissione in coincidenza di due fotoni (raggi γ), l’uno a 180° rispetto all’altro. Il tomografo PET è fornito di una elettronica in grado di rivelare 2 eventi contati da due cristalli posti in direzione opposta (a 180°) in un intervallo di tempo pari al più all’ampiezza della finestra temporale di accettazione, diversa a seconda del tipo di cristallo; quindi è in grado di rilevare il punto fisico dove è avvenuta un’annichilazione, poiché, dato che i fotoni viaggiano alla velocità della luce, raggiungeranno i due collimatori opposti nel medesimo istante.

Il radiofarmaco maggiormente utilizzato negli studi PET, di scelta quindi anche per le indagini PET rivolte ai linfomi, è il fluoro-desossiglucosio marcato con Fluoro-18 ([18F]FDG); viene utilizzato per mettere in evidenza un aumento del metabolismo cellulare, presente in varie patologie (linfomi/neoplasie in genere; infiammazione, etc…), oppure per studiare il metabolismo di aree specifiche del corpo, come il SNC, dove varie patologie (demenze per esempio) possono determinare un ipofunzione di varie aree (con riduzione quindi del metabolismo cellulare). Questo farmaco viene captato dalle cellule come normale glucosio, però una volta fosforilato dall’esochinasi cellulare e quindi trasformato in FDG-6-Fosfato, non avanza più nella via glicolitica, accumulandosi nella cellula: tanto più vi sarà aumento del metabolismo cellulare in una determinata regione anatomica, tanto più vi sarà accumulo di radiofarmaco e quindi tanti più fotoni verranno emessi, aumentando il segnale di tale regione.

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Il parametro principale sul quale ci si basa per definire patologico o meno un accumulo di radiofarmaco è il SUV (Standard Uptake Value): è una misura semi-quantitativa e rappresenta il rapporto fra la concentrazione di tracciante concentratosi in un punto ed il valore di concentrazione ipotizzato se il tracciante avesse avuto una diffusione omogenea nei tessuti. I valori di riferimento sono:

-SUV = 1 normale

-SUV fra 1 e 2,5 dubbio/borderline -SUV > 2,5 patologico

In realtà questi valori di riferimento per la lettura del SUV sono validi in modo rigoroso solo per il nodulo polmonare singolo, dal cui studio sono stati estrapolati ed adattati per convenzione anche alle altre patologie.

Esiste un’ampia letteratura riguardante l’impiego della PET con [18F]FDG, che ha dimostrato come questa metodica presenti una accuratezza diagnostica nettamente superiore rispetto alle indagini di diagnostica per immagini convenzionali e come i dati aggiuntivi forniti dalla [18F]FDG-PET possano determinare modificazioni del management del paziente in oltre il 30% dei casi12: una grande differenza rispetto alla TC è la sua capacità di discriminare fra presenza di cellule neoplastiche e siti di necrosi o fibrosi nelle masse residue dopo terapia13,22,23.

Le immagini emissive PET, tuttavia, non sono in grado di fornire precisi riferimenti anatomici soprattutto in alcuni distretti corporei con particolare complessità delle strutture anatomiche, come il capo-collo, il mediastino e lo scavo pelvico, e ciò rende in alcuni casi difficoltoso localizzare le lesioni neoplastiche o distinguere con sicurezza le aree iperattive espressione di un processo patologico da quelle che corrispondono a condizioni fisiologiche, quali ad esempio casi di iperfissazione in corrispondenza del grasso bruno o di strutture muscolari o casi con circoscritte zone di iperattività nel lume intestinale.

Questa problematica di grande rilevanza nella pratica clinica ha spinto le ditte produttrici a ricercare una soluzione ottimale che è stata realizzata mediante l’abbinamento di un tomografo PET e di uno scanner TC multislice14. I tomografi PET/TC permettono di acquisire immagini trasmissive ed immagini emissive di

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tutto il corpo e di ottenere con grande rapidità immagini di fusione di qualità ottimale, che rendono più facile e precisa la localizzazione anatomica delle lesioni, con significativa diminuzione dei falsi positivi ed aumento dell’accuratezza diagnostica15,16.

La disponibilità di immagini trasmissive di eccellente qualità consente di ottenere un miglioramento della accuratezza nella correzione per l’attenuazione delle immagini emissive, di eseguire un’analisi semiquantitativa dell’entità della fissazione del radiofarmaco a livello dei tessuti attraverso la determinazione del SUV e di ottenere una più precisa localizzazione ed interpretazione delle lesioni ipermetaboliche grazie alla disponibilità di riferimenti anatomici10-16.

Per quanto riguarda quale metodica TC usare nello scanner integrato PET/TC, lo studio TC full-dose con MdC endovena in pazienti con linfoma da una valutazione più accurata del fegato e della milza se paragonato ad uno studio senza MdC; una ricerca odierna però mette in evidenza che non ci sono differenze significative nella valutazione dei siti nodali ed extranodali di malattia nelle acquisizioni fatte con PET/TC a bassa dose (80 mAs) e senza MdC e PET/TC ad alta dose (300 mAs) con MdC durante una stadiazione iniziale. Anche se la PET/TC con MdC evidenzia comunque un numero maggiore di siti, soprattutto per quanto riguarda i siti extra-nodali, e da una precisione morfologica maggiore, soprattutto a livello addominale, e nello studio del fegato in particolare, espone il paziente ad una dose notevole di radiazioni e non cambia significativamente lo stadio di malattia rispetto alla PET/TC con TC a basse dosi senza MdC, la quale vieni quindi preferita negli studi di routine di stadiazione e ristadiazione17,18.

LINEE GUIDA IWG Vs IHP

Per quanto riguarda lo studio dei linfomi, la stadiazione fatta con [18F]FDG-PET su una popolazione di pazienti affetti da LH ed LnH è stata comparata, in una ricerca fatta nel 1997 da Ann Bangerter, con la stadiazione fatta con CT+RM+scintigrafia con gallio+linfangiografia+laparotomia+scintigrafia ossea; il

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risultato è stata la messa in evidenza di come la PET sia un metodo accurato e “cost-effective” per la stadiazione e ri-stadiazione di queste patologie19:

 alta sensibilità in valutazione del coinvolgimento nodale ed extranodale;

 sensibilità > 80% e specificità ~ 90% per LnH a grandi cellule B, i follicolari, i mantellari e LH;

 nei risultati discordanti: PET tipicamente dà upstaging, per siti addizionali di malattia a livello nodale, epatico o splenico;

 risultati concordanti fra PET e TC nell’ 80-90% nella stadiazione di LnH (L. a grandi cellule B, Follicolare, Mantellare), ma solo nel 60-80% per LH. La PET è stata anche messa a confronto con la BOM (Biopsia Osteo-Midollare) per la valutazione ossea e midollare nei pazienti con linfoma: la PET riesce ad evidenziare il coinvolgimento osseo e midollare anche in pazienti con BOM della cresta iliaca negativa, a causa di infiltrazione focale o esuberante reazione fibrotica, con un 78% di concordanza fra i due esami. La PET da sola però non può escludere un coinvolgimento osseo limitato ed in più può mettere in evidenza un aumentato metabolismo osseo derivante da iperplasia reattiva (post-terapia o dopo uso di fattori di crescita ad esempio), determinando un falso positivo. Da qui si evince che in fase di stadiazione la PET non può sostituire la BOM20,21.

Nonostante la sensibilità e la specificità superiori rispetto alla TC, la PET non fa parte attualmente dell’iter diagnostico standard usato nella stadiazione, a causa dei suoi costi elevati e della piccola percentuale di pazienti (15-20%) nei quali la PET riscontra siti addizionali di malattia che modifichino lo stadio clinico, ed in cui alteri la gestione o la prognosi del paziente (10-15%)18,22,23.

Nel 1999, un gruppo di medici specialisti (oncologi, radiologi e patologi) riuniti nel IWG (International Working Group) ha pubblicato delle linee guida nelle quali veniva stabilita la dimensione di un linfonodo normale (<1 cm DTM), e quando e come poteva essere determinata l’efficacia di un trattamento terapeutico (chemioterapico e/o radioterapico), dando definizioni di: Remissione Completa (CR), Remissione Completa non confermata (CRu), Remissione parziale (PR), Malattia Stabile (SD), Ripresa di Malattia (RD), Malattia in Progressione (PD)24.

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Tabella 6: Criteri di Risposta IWG25

REMISSIONE COMPLETA

Completa scomparsa di tutte le lesioni TC con ln precedentemente coinvolti di dimensioni >1,5 cm nel loro diametro assiale maggiore regrediti a <1,5 cm, e ln da 1 a 1,5 cm regrediti a <1 cm. In aggiunta, risoluzione dei sintomi, normalizzazione dei parametri biochimici, e biopsia midollare normale.

REMISSIONE COMPLETA NON

CONFERMATA

Stessi criteri di CR, ma con una massa residua >1,5 cm nel diametro assiale max che è regredita >75% rispetto alla SPD maggiori.

REMISSIONE PARZIALE

Almeno 50% riduzione nella SPD maggiori dei 6 ln più grandi senza aumento delle dimensioni degli altri ln e senza nuovi siti di malattia. Lesioni epatiche e splenici diminuiti di almeno 50% nel SPD maggiori.

MALATTIA STABILE

Risposta inferiore di PR, ma senza progressione di malattia.

RIPRESA DI MALATTIA

Comparsa di qualsiasi nuova lesione o aumento > 50% dei siti precedentemente coinvolti o dei lnf in pz che erano CR o CRu.

PROGRESSIONE DI MALATTIA

Aumento del più del 50% del SPD maggiori di ogni ln anormale in precedenza, o comparsa di nuove lesioni durante o a fine T.

Tali criteri sono basati essenzialmente sullo studio TC, in associazione con parametri clinici e biochimici e biopsia midollare; come metodiche addizionali le IWG includono anche la scintigrafia con Gallio, la RM e l’immunoscintigrafia24,25. Non vi è utilizzo della PET ne in fase stadiativa ne in fase di rivalutazione. Le linee guida IWG furono rapidamente ed ampiamente accettate e, sebbene inizialmente create per LnH, furono presto adottate anche per LH.

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Tuttavia presentano delle lacune notevoli25,26,27:

• ampia variabilità inter- ed intra-osservazionale;

• alcune tra le metodiche raccomandate, come ad es la scintigrafia con Gallio, non sono più considerate state of the art;

• le raccomandazioni non includono tutti i siti di malattia extranodale;

• alcuni punti sono soggetti ad interpretazione erronea (CRu).

Uno dei problemi relativi a queste linee guida è comunque l’uso della TC come pilastro fondamentale nello studio di queste neoplasie. In effetti, seppure la TC dia eccellenti informazioni dal punto di vista morfologico, non può dire quali linfonodi contengono cellule maligne e quali no; gli studi clinici per la maggior parte utilizzano le misure di 1cm x 1cm come minimo per i linfonodi misurabili, definendo quindi come sani i linfonodi di misura inferiore, anche se molti gruppi hanno riportato che questo dà una accuratezza nella stadiazione di LH e LnH di alto grado di solo il 60-70%, perché i linfonodi di regioni diverse hanno dimensioni fisiologiche diverse; proprio per allacciarsi a queste considerazioni, recentemente la Royal College of Radiologists ha pubblicato i criteri di dimensione per i linfonodi normali, tratti da numerosi studi25. Per esempio, i linfonodi addominali sono considerati anormali se maggiori di 12 mm in regione para-aortica, di 8mm nel legamento epatogastrico o nell’ilo epatico, ma quelli retro crurali sono anormali se superano i 6mm28; in più ci sono dei linfonodi che normalmente non possono essere visualizzati,c ome quelli dell’ilo splenico e dello spazio pre-sacrale: quando evidenziati, questi è come se fossero anormali, a prescindere dalla dimensione29. Tutte queste variabili, applicate a delle linee guida, rendono inevitabilmente più complesso e soggetto a variazioni inter-osservatore lo studio di un paziente25.

Nelle indagini di ristadiazione post-terapia (chemio e/o radio), alla TC più del 40% dei pazienti con malattia in sede nodale presenteranno una massa residua, ma solo il 10-20% di questi pazienti avrà malattia in tale sede24,30,31,32,33,34; questo deriva dal fatto che la TC, come detto, non può verificare se in quel tessuto ci sono cellule neoplastiche residue, infiammazione

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o fibrosi, soprattutto se ci si basa su di un esame singolo, come invece può fare la PET.

Schaefer35 nel 2004 ha paragonato PET/TC e TC con MdC nella determinazione del coinvolgimento linfonodale ed extra-nodale in 60 pazienti con LH (42) e LNH di alto grado (18) in fase stadiativa, verificando che:

 Coinvolgimento nodale: - sensibilità : 94% vs. 88% - specificità : 100% vs. 86%

 Coinvolgimento extra-nodale: - sensibilità : 88% vs. 50%

- specificità : 100% vs. 90%

La PET/TC quindi è più sensibile e specifica rispetto alla TC full-dose con MdC per la valutazione di coinvolgimento nodale o extranodale; in più questa macchina ibrida può ovviare ai problemi di falsi negativi che si possono avere con la sola PET nello studio di linfomi indolenti che presentano un’avidità variabile per [18F]FDG, dove piccole lesioni possono non captare completamente il radiofarmaco e quindi si possono avere problemi di down-staging.

Juweid e colleghi furono i primi (2005) ad integrare la PET nei criteri IWG per la valutazione dei LnH, studiando retrospettivamente 54 pazienti; la PET non solo fece aumentare il numero di pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B classificati CR (remissione completa), ma eliminò anche la classe CRu (remissione completa non confermata) e fornì una migliore separazione fra le curve di “sopravvivenza libera da progressione di malattia” di CR e PR (remissione parziale)36. Questo studio, associato hai limiti evidenti degli IWG ed alla disponibilità di nuove tecnologie (PET/TC, immunoistochimica, citometria ad alto flusso) ha portato alla revisione degli stessi IWG. Infatti, sempre nel 2005, The German Competence Network Malignant Lymphoma ha valutato la compliance dei criteri IWG tra 9 gruppi di studio sul linfoma ed ha identificato numerose discrepanze37; per questo è stato istituito l’International Harmonization Project (IHP), nel quale sono stati riuniti ematologi, patologi e medici specializzati in medicina nucleare per revisionare i criteri IWG ed altri proposti in precedenza e quindi per ridurre le differenze tra i vari gruppi di studio internazionale. L’intento è di standardizzare la performance e l’interpretazione

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dei risultati PET38 e di rivisitare i Criteri di Risposta incorporando PET/TC, immunochimica, citometria di flusso27.

I risultati di questo progetto si sono avuti nel 2007; è stato valutato l’utilizzo della PET/TC ai vari livelli di studio per LH e LnH e gli aspetti tecnici del suo utilizzo, si è avuta una revisione dei Response Criteria e sono stati modificati gli End Points dei trials clinici, in relazione ai nuovi parametri di risposta alla terapia.

In vari studi si è notato anche che non tutti i linfomi tendono a captare allo stesso modo l’FDG; in base a ciò si ha la suddivisione di queste neoplasie in due categorie39,40,41:

• Altamente captanti FDG: LH, Linfoma Diffuso a Grandi Cellule, Linfoma Follicolare, Linfoma Mantellare.

• Bassa o Variabile captazione di FDG: tutti gli altri linfomi aggressivi, tutti gli altri linfomi indolenti.

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Raccomandazioni nell’utilizzo della PET/TC

:

a. STADIAZIONE: la PET è fortemente raccomandata prima del trattamento dei pazienti aventi linfomi captanti [ 18F]FDG e potenzialmente curabili, come LH o DLBCL (Linfoma Diffuso a Grandi Cell B), in modo da delineare precisamente la reale estensione della malattia; grazie a questo può essere programmata la terapia nel modo più efficace per poter curare la neoplasia, senza rischio di down-staging (pazienti inquadrati come stadio 1-2, che potrebbero essere sottoposti a radioterapia, ma che possono avere localizzazioni di malattia sfuggite alla TC; in questi si ha il passaggio ad una terapia sistemica, cioè alla chemioterapia).

Per i linfomi incurabili, indolenti o aggressivi e ad elevata captazione di [18F]FDG (L. Follicolare, L. Mantellare) e per la maggior parte dei linfomi variabilmente captanti [18F]FDG, la PET non è raccomandata in fase stadiativa a meno che il Tasso di Risposta alla terapia non sia il principale End-Point del trial; in effetti in questi pazienti i principali End-Points sono la Sopravvivenza Libera da Progressione di malattia (PFS), la Sopravvivenza Globale e l’ Event-Free Survival27.

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b. MIDTREATMENT: la valutazione PET a metà trattamento terapeutico (chemioterapia) è utile per predire la buona riuscita della terapia. Come sottolineato da Juweid e Cheson42,43 ,numerosi studi hanno dimostrato una correlazione tra la normalizzazione della captazione dell’[18F]FDG alla valutazione visiva già dopo 1-4 cicli di chemioterapia o chemio-immunoterapia e la prognosi44,45,46,47,48,49. Hutchings50 nel 2006 valutò 77 pazienti con LH, facendo PET/TC dopo 2 cicli di terapia ed a fine terapia (6 cicli); i dati raccolti dimostrarono che pazienti responsivi potevano già essere evidenziati dopo 2 cicli di terapia tramite la scomparsa dei foci di ipermetabolismo alla PET, mentre i pazienti che presentavano sempre uno scan PET positivo a 2 cicli non si negativizzavano neppure a fine terapia. Questo studio mette alla luce il valore prognostico della PET/TC fatta a metà terapia, che correla anche con la risposta a fine trattamento: pazienti che rispondono dopo 2 cicli di chemioterapia avrebbero l’indicazione a completare l’intero programma terapeutico, mentre pazienti che non rispondono al trattamento possono, invece, essere identificati con [18F]FDG-PET già dopo soli 2 cicli evitando terapia inefficace con possibilità di passare ad un regime chemioterapico alternativo.

Anche Kostakoglu48 nel 2006 fece uno studio su 47 pazienti, 24 con DLBCL e 23 con LH, per verificare se la PET/TC durante la terapia poteva predirre o meno una eventuale risposta al trattamento (al contrario di Hutchings fece lo studio PET dopo un ciclo di chemioterapia): tutti i pazienti che ebbero una PET negativa durante il trattamento (51 pazienti) ottennero una completa risposta a fine terapia e rimasero in remissione per una mediana di 28 mesi.

Un’interpretazione dicotomica basata sulla sola valutazione visiva (come vogliono i nuovi criteri IHP) può, tuttavia, non risultare sufficientemente affidabile nel distinguere pazienti con prognosi più favorevole da quelli con prognosi sfavorevole come conseguenza della variabilità di interpretazione visiva tra i differenti operatori50,51

Per tali motivi l’impiego di parametri semiquantitativi, come ad esempio lo studio del SUV, potrebbe dimostrarsi necessario per una più uniforme ed accurata valutazione delle indagini PET in corso di terapia, anche se ad oggi non abbiamo valori standardizzati e precisi di SUV per la valutazione

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dei linfonodi in termini di normale/infiammatorio-iperplastico reattivo/neoplastico.

c. RISTADIAZIONE: numerosi studi hanno dimostrato che la PET e la PET/TC sono necessari nella valutazione della risposta terapeutica in pazienti con LH e DLBCL alla fine di terapie di prima linea, salvataggio ed alte dosi, perché in questi pazienti è richiesta una completa risposta al trattamento al fine di avere una buona riuscita in termini di “cura delle malattia” e tale valutazione si può avere solo con metodiche che studiano la funzionalità cellulare (ipermetabolismo). La PET è raccomandata negli altri tipi di LnH solamente se questi erano positivi alla PET in fase stadiativa e se il principale end point che si ricerca con lo studio clinico è il tasso di risposta27.

I risultati della meta-analisi di Zijlstra et al.52, fatta su più di 700 pazienti derivati dalla revisione di 15 studi precedenti, hanno evidenziato valori globali di sensibilità e specificità della PET con [18F]FDG nel rilevare malattia residua alla fine della terapia di prima linea pari a 84% e 90% rispettivamente per i LH; 72% e 100% rispettivamente per i LnH aggressivi; questi risultati mettono in luce la possibilità di evitare la biopsia sulla massa residua, la quale non è priva di errori di campionamento sul materiale prelevato, e di evitare la tattica del “watch and wait” fatto con il solo studio TC.

In pazienti senza evidenza clinica e biochimica di malattia, la PET è in grado di distinguere, nel contesto di masse residue dopo terapia, porzioni neoplastiche vitali dalla necrosi e dalla fibrosi13,22,23,53,54,55. Il convenzionale imaging morfologico essenzialmente basato su RX, ECO, TC ed RM si è dimostrato inadeguato nell’operare la distinzione in relazione alla spesso difficoltosa caratterizzazione di tali tessuti.

Tuttavia, nel contesto di masse residue dopo terapia, sono stati osservati anche risultati falsamente positivi della PET generalmente legati ad alterazioni flogistiche conseguenti alla chemioterapia come discusso negli studi di Juweid e Cheson42,43

Figura

Tabella 5 Classificazione WHO
Tabella 6: Criteri di Risposta IWG 25
Tabella 7 25,26,27  : Criteri di Risposta IHP
Fig. 1: S.L. paziente di aa 22 con LH variante Cellularità Mista.
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