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M. Lazzeroni – La resilienza delle piccole città. Riflessioni teoriche e casi studio

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Academic year: 2021

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M. LAZZERONI, La resilienza delle piccole città. Riflessioni teoriche e casi studio, Pisa, Pisa University Press, 2016, pp. 199.

La resilienza delle piccole città è un libro caratterizzato da una struttura solida e lineare, con una traiettoria delle argomentazioni chiara e ben definita, quasi fosse un singolo articolo molto lungo. Il primo capitolo, infatti, introduce l’oggetto di studio, ossia le città di piccola dimensione, ed è seguito da un secondo che tratteggia la chiave teorica dell’analisi, cioè il concetto di resilienza. I restanti tre capitoli presentano tre casi studio, per alcuni versi assimilabili – si tratta sempre di città di dimensioni modeste, intorno ai 25.000 abitanti, e con una solita identità industriale, o meglio mono-industriale – ma comunque leggibili in maniera relativamente indipendente: Sochaux-Montbéliard (città nota per la presenza storica della Peugeot), Ivrea (Olivetti) e Pontedera (Vespa). La domanda di ricerca è chiara ed esplicita: analizzare meccanismi, sfide e traiettorie strategiche alla base della resilienza di questi piccoli centri che hanno vissuto la fase espansiva della propria base economica negli intorni degli anni Settanta, e che si trovano oggi a fronteggiare uno scenario congiunturale e strutturale dell’economia segnato diffusamente da stagnazione, se non vera e propria deindustrializzazione.

Il libro si caratterizza in primo luogo per i suoi palpabili caratteri di serietà e rigore: tutto appare ben

strutturato, ben definito e efficacemente argomentato, dalle questioni teoriche agli aspetti metodologici, dalle ricostruzioni delle dinamiche storiche dei sistemi urbani ai dati presentati nel vari capitoli, incluso il ricco apparato di immagini, grafici e mappe. In particolare, mi sembra utile sottolineare due aspetti lodevoli di questo lavoro.

Il primo aspetto si lega alla sfida di allontanarsi dal più consolidati oggetto di studio della geografia urbana più recente, ossia le grandi megalopoli, le città cosmopolite, le global city regions e le altre manifestazioni vistose dell’urbanesimo globale. Michela Lazzeroni ha sostanzialmente accolto la sfida, resa celebre nel dibattito internazionale più recente dai lavori di Jennifer Robinson, di concentrarsi sulle ‘città ordinarie’, quelle in cui prende forma l’esperienza urbana di gran parte della popolazione mondiale: quando si sostiene – in modo ormai piuttosto banale – che oggi la maggior parte della popolazione mondiale è urbana, non si intende certo che la quota più rilevante dell’umanità vive in centri come Londra, New York o Tokyo. La maggior parte dell’umanità vive in centri di dimensioni modeste, di cui non riconosciamo neppure il nome, e dei quali la geografia urbana sembra essersi occupata relativamente poco. Certo, lo studio dei casi di Ivrea e Pontedera non è certo nuovo in Italia, ma affrontarli nel 2016 mi appare sicuramente coraggioso e in contro-tendenza.

Il secondo aspetto lodevole cui voglio far riferimento si riferisce al tentativo, tanto nobile quanto arduo, di coniugare i contributi teorici della geografia internazionale – di fatto quella che si pratica sulle riviste di taglio anglosassone – con quelli del dibattito più strettamente italiano. È inutile tentare di negarlo: i due dibattiti procedono spesso in direzioni differenti, parlano lingue differenti e utilizzano spesso i concetti della geografia in maniera differente, da cui la difficoltà di rimanere in equilibro fra i due mondi. Per pura

associazione di idee, mi torna alla mente il dibattito, proposto sulle pagine di questa Rivista una manciata di anni fa, che ha visto contrapporre le posizioni di autori come Filippo Celata, Giuseppe Dematteis, Roberta Gemmiti e Maria Tinacci Mossello in merito alle trasformazioni della geografia economica e del suo rapporto con le discipline economiche in Italia e all’estero. Si tratta di trasformazioni controverse, sfaccettate e ricche di tensioni, perché diverse sono le traiettorie evolutive (e, in senso lato, la ‘resilienza’) del dibattito italiano e di quello internazionale. È spesso difficile, all’interno di una stessa frase, passare da un riferimento strettamente nazionale a un dibattito internazionale. Michela Lazzeroni lo fa, e mi sembra si muova bene in questo equilibro funambolico fra i due universi.

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