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Utilizzo combinato di Ground Penetrating Radar ed immagini aeree multitemporali per la ricostruzione dell'evoluzione di un'area di foce fluviale. L'esempio della foce del Fiume Serchio (Toscana Settentrionale).

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ’ DI PISA

Dipartimento di Scienze della Terra

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche

Tesi di laurea Magistrale

Utilizzo combinato di Ground Penetrating Radar ed immagini aeree

multitemporali per la ricostruzione dell'evoluzione di un'area di foce

fluviale. L'esempio della foce del Fiume Serchio (Toscana Settentrionale).

Candidata

Lisa Zoia

Relatore

Prof. Adriano Ribolini

Correlatore Controrelatore

Dott.ssa Monica Bini Prof.ssa Marta Pappalardo

Prof. Giovanni Sarti

ANNO ACCADEMICO

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INDICE

Introduzione 2

1. Idrodinamica e morfodinamica dei litorali 4

1.1 Profili di spiaggia 4

1.2 Fonti e dispersione litorale dei sediementi, drift costiero 8

1.3 Dune costiere 10

2. Ground Penetration Radar (GPR): descrizione e utilizzo 13

2.1 Principi base GPR 13

2.2 GPR e materiali geologici 18

2.3 Metodi di acquisizione GPR 20

2.4 Metodi di elaborazione del dato GPR 25

3. Inquadramento generale dell’area 28

4.1 Inquadramento geografico 28

4.2 Inquadramento geologico 32

4.3 Inquadramento geomorfologico e sedimentologico 35 4.4 Evoluzione geomorfologica pianura di Pisa 42

4. Materiali e metodi 43

4.1 Strumenti utilizzati 43

4.2 Acquisizione dei dati 46

4.3 Procedura di elaborazione dei dati 49 4.4 Metodo interpretazione dei dati georadar 51

5. Risultati e interpretazione 53

5.1 Analisi foto aeree 53

5.2 Analisi e interpretazione facies radar 59

5.3 Interpretazione profili radar 69

6. Discussione 83

7.Conclusioni 94

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Introduzione

Il Ground Penetrating Radar (GPR) o georadar è una tecnica di ricerca non invasiva basata sulla propagazione delle onde elettromagnetiche e sull’analisi dei tempi di ricezione degli echi delle onde riflesse da oggetti/interfacce nella sottosuperficie. Le lunghezze d'onda impiegate, e di conseguenza la risoluzione e la profondità di penetrazione, sono molto diverse da altre metodologie di studio. Le tecniche sismiche, ad esempio, hanno una buona penetrazione ma spesso non soddisfano la risoluzione submetrica richiesta in molte situazioni pratiche. Di conseguenza, negli anni sono state sviluppate tecniche geofisiche con risoluzioni più dettagliate come il GPR. Questo permette lo studio di piccole unità deposizionali, come l’architettura interna di ambienti deltizi, fluviali e dunari.

In ambito costiero, in particolare per lo studio delle coste basse e sabbiose, il georadar è un valido strumento per indagare la morfologia grazie alle evidenti riflessioni che sono prodotte all’interno dei depositi subsuperficiali. Questo ambiente deposizionale contiene una serie di elementi accrezionari e erosivi che sono stati creati dall’interazione di numerosi fattori come vento, moto ondoso, maree, processi fluviali e altri processi geologici. Le facies costiere comprendono sequenze sedimentarie che differiscono per litologia, geometria e strutture e questo determina riflessioni marcate nei profili georadar. Superfici di discontinuità, bruschi cambi di dimensioni dei granuli e della mineralogia che si riscontrano comunemente in depositi di tempesta, washover, e sequenze di canale sono ben evidenziati lungo i profili georadar.

La corrispondenza tra i vari modelli di riflessione georadar e i diversi ambienti sedimentari spesso però non è univoca, infatti differenti unità deposizionali possono essere collegate a facies radar simili. Quindi è necessario integrare i dati GPR con altre tipologie di indagini per ottenere risultati più affidabili e per identificare correttamente i vari ambienti.

In questa tesi i dati di sottosuolo risultanti dall’indagine GPR relativi all’area costiera in prossimità della foce del fiume Serchio sono stati integrati con un’analisi di

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fotografie aeree relative al periodo 1938-2010, carte storiche risalenti ai secoli XVIII e XIX e rilevamenti topografici effettuati negli ultimi dieci anni.

Negli ultimi decenni tutto il litorale pisano e l’area in esame in particolare sono stati oggetto di numerosi studi (Milano, 1994; Pranzini, 2007; Cipriani et al., 2010; Bini et al., 2008; Pranzini et al., 2016; ecc) che hanno evidenziato l’evoluzione morfodinamica nei secoli passati. Principalmente sono stati utilizzati dati cartografici o di superficie, come l’analisi delle linee di riva, lo studio della cartografia storica, l’analisi di dati LIDAR. L’utilizzo di tecniche georadar per indagare la morfologia costiera lungo il litorale pisano e soprattutto in tutto il territorio italiano è invece abbastanza raro.

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di combinare le tecniche di interpretazione comuni nella stratigrafia radar ai dati ottenuti per ogni singolo profilo, con un’analisi multitemporale di immagini aeree, cartografia storica, dati topografici per ottenere ad una ricostruzione dell'evoluzione di un ambiente costiero in prossimità di una foce fluviale. Rispetto agli studi precedenti l’indagine ha evidenziato l’evoluzione morfodinamica del litorale con la ricostruzione della struttura interna delle varie unità deposizionali. Questo ha permesso di ottenere un quadro più completo dell’evoluzione del litorale.

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1. Idrodinamica e morfodinamica dei litorali

Il termine spiaggia indica un deposito costiero litorale costituito da sedimenti marini incoerenti, attuali o recenti, esteso verso terra fino al limite raggiunto dalle onde di tempesta (dune costiere o primi affioramenti rocciosi) e verso mare fino alla profondità di chiusura1 (closure depth). Si tratta di una zona ad elevato dinamismo nella quale la situazione di equilibrio dipende da molti fattori. Questi sono suddivisibili in due gruppi: passivi (topografia dell’area, materiali presenti) e attivi naturali/antropici (come venti, moto ondoso, correnti marine, maree, apporti fluviali).

1.1 Profilo di spiaggia

Il profilo morfologico di una spiaggia presenta tre unità principali che, da terra verso mare sono: spiaggia emersa (backshore) compresa tra la berma ordinaria e il fronte delle dune, spiaggia intertidale (foreshore) interessata dalle oscillazoni di marea e spiaggia sottomarina o sommersa (shoreface) che si spinge fino alla linea di prima deposizione dei sedimenti fini sulla piattaforma continentale (Barsanti, 2008).

L'estensione delle fasce idrodinamiche e sedimentarie zonali nelle quali si articola il profilo trasversale emerso e sommerso della spiaggia sono funzione: della morfologia costiera, dell’acclività del fondo, della granulometria del materiale detritico disponibile, dell’orientamento della linea di costa in rapporto alla direzione di propagazione delle onde e alla lunghezza del tratto di mare libero (fetch) prospiciente la spiaggia (Ferretti O., 2003). La granulometria del materiale detritico, che può essere trasportato sulla spiaggia, dipende dal livello energetico locale che si esprime sia in termini di moto ondoso che di regime anemologico costiero. L’intervallo dimensionale dei materiali in movimento per trazione sul fondo è principalmente limitato alla frazione sabbiosa-ghiaiosa del sedimento (Barsanti, 2008). Il profilo trasversale della spiaggia presenta normalmente una selezione granulometrica con sedimenti grossolani

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verso riva e più fini al largo. La pendenza del fronte della spiaggia è correlata alle dimensioni dei sedimenti che la costituiscono e all'energia con cui le onde frangono a riva. A sedimenti più grossolani corrisponde un profilo della spiaggia più ripido; viceversa a granuli più fini corrisponde un profilo meno acclive (Lucarini et al., 2007).

La spiaggia è quindi così suddivisa sulla base dell’interazione tra il moto ondoso e il fondale (fig. 1.1):

Offshore: è l’area al di sotto del livello di base delle onde, un ambiente deposizionale tranquillo dove predomina decantazione di argilla e silt. La zona meno profonda al di sopra del livello di base raggiunto dalle tempeste, chiamata offshore transition che costituisce il passaggio graduale alle sabbie di spiaggia è caraterizzata da alternanze di livelli fini di sabbia e fango. La sabbia si deposita in corrispondenza di forti mareggiate (tempestiti), stratificazione hummocky, spesso su superfici di erosione.

Shoreface: le onde normali esercitano sul fondo una pressione tangenziale superiore a quella critica di rimozione del sedimento formando ripples nella parte più profonda e megaripples in quella più superficiale. La parte inferiore, più profonda e di bassa energia, è caratterizzata generalmente da sabbie fini, sono presenti superfici erosive che rappresentano la migrazione delle barre. Gli strati di tempesta tendono a conservarsi nella parte inferiore della spiaggia. Nella parte superiore vi sono strutture riconducibili all’alto dinamismo di questa zona, con livelli più grossolani ricoperti da sedimenti più fini. In quest’area al di sotto del livello di bassa marea si concentrano un elevato numero di processi indotti dal moto ondoso che hanno un’ importanza primaria nel trasporto sedimentario lungocosta. Sono presenti stratificazioni incrociate planari e concave e superfici di erosione dovute alla migrazione della zona dei frangenti (breaker zone, dove l’onda frange) o a canalizzazioni dovute alle rip current, correnti di ritorno perpendicolari alla linea di riva.

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Foreshore: è la parte di spiaggia compresa tra il livello di bassa e alta marea. E’ distinta in tre sottozone, la prima è la piana intertidale al di sotto del livello del mare medio, la seconda è la battigia e la terza è la berma ordinaria (cresta a sezione triangolare che si generano per una forte deposizione). Nella parte inferiore le onde formano strutture simili a quelle della spiaggia sommersa. La battigia, parte interna della zona intertidale delimitata a monte dalla berma ordinaria, è liscia e piana perché

Fig. 1.1- Definizione delle zone fisiche costiere di una spiaggia (Walker & Plint, 1992). Il limite superiore della spiaggia emersa (backshore) è posto al piede della prima duna costiera, dove si esauriscono gli effetti delle onde, il limite inferiore corrisponde al livello medio di alta marea ed è marcato da una cresta a sezione rettangolare, detta berma ordinaria. La berma di tempesta si sviluppa sulla spiaggia emersa ed è un accumulo irregolare di sedimenti dovuto a mareggiate di forte intensità. Si indica come spiaggia intertidale (foreshore) la parte compresa tra il livello medio delle alte maree ed il livello medio delle basse maree. Essa inizia con un pendio liscio, più inclinato della parte inferiore, detta battigia. La spiaggia sottomarina shoreface si estende tra il limite inferiore della zona intertidale e la profondità di chiusura. Il profilo è regolare o ondulato da una o più barre o scanni, separati da solchi o truogoli allungati, all’incirca paralleli alla riva, che si formano per effetto di correnti locali generate dal moto ondoso.

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si trova permanentemente in regime supercritico, la stratificazione è cuneiforme a basso angolo con inclinazione prevalente verso mare. Sono presenti alternanze di erosione (superfici di stratificazione) e di accumulo (laminazione, dove sono concentrati minerali pesanti e conchiglie, ecc) dovuto a maree e eventi di tempesta.

Backshore: nella spiaggia emersa, compresa tra le dune e il mare, si alternano processi erosivi che avvengono durante le mareggiate e processi di accrescimento che si determinano con la diminuzione del moto ondoso. Sono sabbie a lamine piane, in prevalenza orizzontali separate da superfici di erosione dovute a tempeste. In seguito a forti mareggiate in quest’area, è possibile individuare, oltre a quella ordinaria, altre berme più interne, delle quali la più alta è detta di tempesta. Questo deposito si genera nel momento in cui le onde, caratterizzate da un maggiore run-up, spingono l’acqua al di sopra della berma ordinaria, determinandone l’erosione e generandone altre più arretrate e di maggiore altezza.

Come evidenzia Pranzini, 2004 si possono individuare e caratterizzare un profilo di tempesta (storm profile), contraddistinto da numerose barre e maggiori pendenze determinate dalle intense mareggiate, e un profilo di mare lungo (swell profile), in cui le barre sono utilizzate dal moto ondoso per l’accrescimento della spiaggia, diminuendo le loro dimensioni e la distanza dalla riva (Bovina and Sinapi, 2008).

La morfologia della spiaggia è quindi determinata dall’entità e dalle modalità di dispersione dell’enorme quantità di energia proveniente dalle onde, questo dipende dal movimento dell’onda e dalle progressive trasformazioni che subisce nel suo avvicinarsi alla riva (Carobene, 2006). La nearshore zone è la zona dove le onde interferiscono con il fondale che si alza progressivamente verso terra. La breaker zone corrisponde all’area della prima barra esterna, o alle prime barre, dove l’onda, interferendo bruscamente con la cresta della barra, si deforma. È l’area dei frangenti. La surf zone corrisponde alla zona dove le onde, a seguito della loro rottura o frangenza, provocano traslazione d’acqua verso riva. La zona è limitata verso terra dalla swash zone, mentre verso mare è limitata dalla zona di frangenza (breaker zone). La beachface corrisponde alla battigia, cioè al piano inclinato dove si manifesta il

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fenomeno del flutto montante e della risacca, in condizioni di mare medio. La battigia, pertanto, è più limitata della zona interditale e della swash zone.La Swash zone subisce infatti variazioni in funzione della marea e dell’intensità del moto ondoso.

1.2 Fonti e dispersione litorale dei sedimenti, drift costiero

La spiaggia è per definizione costituita da materiale detritico sciolto (sabbia, ghiaia) che si muove continuamente per effetto del moto ondoso e delle correnti. Le spiagge possono perciò entrare in erosione o in accrescimento, quindi arretrare o avanzare, a causa di perdite o di guadagni. Una spiaggia è in equilibrio se la posizione della battigia si mantiene costante nel tempo, sia pure attraverso le oscillazioni stagionali, il bilancio è in pareggio se gli allontanamenti di materiale equivalgono agli apporti. La spiaggia è instabile se predomina la tendenza erosiva o di accrescimento (Lucarini et al., 2007) Tutti i processi propri del ciclo sedimentario (erosione, trasporto e sedimentazione) si succedono in rapida sequenza, definendo il bilancio costiero o sedimentario della spiaggia, cioè il bilancio tra apporti e perdite di sedimento.

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Le masse d’acqua spinte dal moto ondoso sotto la linea di riva danno luogo a trazione sul fondo con spostamento di ingenti quantità di materiali sabbiosi lungo riva (fig. 1.3).

A tale flusso sedimentario è assegnato il nome di trasporto sedimentario sottocosta (longshore sediment transport), oppure deriva litoranea (Ricci Lucchi ,1993), mentre il termine drift costiero (littoral drift) è il termine che caratterizza i volumi dei sedimenti coinvolti nel trasporto (Komar, 1994). Le correnti litoranee agiscono all’interno della surf zone, ovvero nello shoreface superiore. I fronti d’onda incidenti possono essere scomposti in due componenti, una perpendicolare (cross-shore current) e una paralella (longshore current) alla costa. Quando si sviluppa una fase di tempesta, si attiva un sistema di circolazione in cui la massa d’acqua avanza e impatta sulla riva (breaker zone), quindi si canalizza e corre verso il largo in aderenza al fondo (rip current). La rip current prosegue fino alla zona dei frangenti (breaker zone), la supera, quando il fondale si approfondisce si espande rilasciando il materiale trasportato.

Con riferimento al trasporto lungoriva (longshore) sono considerate tre tipologie di unità costiere: le province petrografiche sedimentarie costiere, le unità

Fig. 1.3 - Le onde incidenti e il flusso di ritorno determinano una caratteristica traiettoria dei sedimenti a dente di sega lungo la battigia (da Lucarini et al., 2007).

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fisiografiche naturali e le celle litorali. Le prime hanno come riferimento concettuale il trasporto sedimentario sottocosta valutato attraverso caratteri petrografici dei sedimenti; le seconde derivano sempre dal concetto di trasporto sedimentario sottocosta, ma come conseguenza dell’applicazione di determinati vettori energia in in relazione all’orientazione geografica della linea di costa stessa; le celle litorali sono invece collegate al concetto di bilancio sedimentario sottocosta.

1.3 Dune

Le aree dunari costiere occupano un settore litoraneo o sublitoraneo normalmente stretto e allungato parallelamente alla linea di costa, caratterizzato da rilievi per lo più di modesta entità, formati dall’accumulo di sedimenti per azione eolica.

Le dune costiere, che costituiscono un serbatoio di sabbia in grado di rifornire le spiagge nelle fasi di massima azione del moto ondoso, rappresentano il limite superiore della spiaggia emersa e sono il risultato di lenti processi di accumulo ad opera del vento. La formazione delle dune è subordinata alla disponibilità di sabbie in quantità sufficiente e di barriere naturali o artificiali che ne consentano l'intrappolamento (Lucarini et al., 2007). Questi depositi differiscono dalla maggior parte delle dune mobili dell’entroterra continentale per la presenza di vegetazione costiera. Questa copertura discontinua di erbe e pochi arbusti rappresenta una specie di frangivento, in grado di intrappolare la sabbia della spiaggia, che con un moto di saltazione tenderebbe a spostarsi verso l’entroterra. In questo modo il cordone sabbioso anteriore delle dune si innalza a costruire una sorta di barriera (Strahler, 1984). La maggior parte dei sistemi spiaggia-duna più estesi, stabili e complessi si formano in coincidenza di tratti di costa bassa caratterizzati verso l’interno dalla contiguità con più o meno ampie pianure, e verso il lato marino dalla presenza di fondali poco profondi (Adusio et al., 2002).

Le piante delle prime fitocenosi, più prossime al mare, costituiscono un ostacolo sufficiente a formare una prima duna embrionale che, se non intaccata da

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forti oscillazioni stagionali della linea di riva, avrà modo di crescere e costituire una duna vera e propria (foredune). In questo processo la vegetazione che continua a crescere sopra di essa ha un ruolo determinante, mantenendo sempre una barriera semi-permeabile che trattiene i granelli da esso trasportati.

La disposizione di gran parte delle dune costiere, indipendentemente dalla direzione da cui spira il vento, è sempre parallela alla riva. Il motivo di ciò risiede nel fatto che la vegetazione può svilupparsi solo a una ben determinata distanza dal mare, a causa delle condizioni ambientali, ed è a quella distanza che può contribuire alla formazione di un cordone sabbioso, che viene quindi a trovarsi sempre parallelo alla riva. Ciò non avviene in quegli ambienti in cui la vegetazione non può sopravvivere o dove la disponibilità di sabbia e l'energia del vento sono tali da coprire la vegetazione e dare luogo a dune mobili che, in questo caso, si svilupperanno con direzioni allineate a quelle dei venti prevalenti, modificandosi eventualmente con il mutare delle stagioni.

Il vento, in prossimità delle asperità del suolo, presenta un flusso non laminare con frequenti variazioni di velocità. Dove viene superata la velocità limite per determinati granelli, questi vengono messi in movimento e anche sollevati, ma ricadono al suolo dopo aver percorso una traiettoria più o meno lunga. Questo movimento per «saltazione» interessa circa la maggior parte della sabbia in transito in una determinata sezione, mentre una parte minore è soggetto a un processo di trascinamento (creeping), sia per la spinta del vento radente che per impatto dei granuli che dopo ogni salto ricadono al suolo (Pranzini, 2004).

Fig. 1.4 - Meccanismi di movimento dei granuli di sabbia. Tre tipi possibili di movimento: Creeping – Saltation – Suspension (da Pranzini, 2004) .

Suspension

Saltation

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Tutti questi movimenti interessano comunque la frazione granulometrica minore di tutta l’area della spiaggia. L'effetto di questi processi appare evidente analizzando le dimensioni dei granuli che costituiscono i vari depositi costieri: in genere una duna è formata da materiali più fini e meglio classati rispetto a quelli che costituiscono la spiaggia antistante. Il profilo caratteristico dei depositi eolici, che vede il lato sopravento a debole pendenza e quello sottovento più ripido. Il primo riceve costantemente materiale dalla spiaggia antistante, ma viene anche eroso dal vento, che trasporta i granuli fino alla cresta della duna, dove la compressione del flusso fa registrare le massime velocità. Superata la cresta, il vento riduce la propria velocità e abbandona parte delle particelle che trasportava; altre dalla cresta cadono per gravità per andare a costituire un versante con pendenza regolare e costante, determinata dall'angolo di riposo dei materiali.

Fig. 1.5 - La duna si muove per somma dei movimenti dei singoli granuli.

In entrambi i lati si possono generare vortici che determinano un'inversione dei flussi. La crescita della duna su un lato e l'erosione del lato opposto sono i processi che determinano il movimento dell'intero corpo dunale, che può avvenire solamente se la copertura vegetale è scarsa o assente.

Una rapida progradazione della costa favorisce lo sviluppo di numerose dune embrionali che non hanno però la possibilità di crescere e diventare vere e proprie foredunes. Solo se la linea di riva non subisce consistenti spostamenti o se la crescita della spiaggia è molto lenta si possono formare dune costiere molto elevate, altrimenti si sviluppa una pianura costituita da cordoni di spiaggia o da dune embrionali (Pranzini, 2004).

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2. GPR: descrizione e utilizzo

Il metodo GPR (Ground Penetrating Radar) si basa sulla trasmissione e ricezione nel sottosuolo di impulsi discreti elettromagnetici ad alta frequenza. Il profilo che si ottiene dal processamento dei dati ottenuti è la risposta dei materiali alla propagazione dell’energia elettromagnetica.

La radiazione elettromagnetica è la forma d’energia associata all’interazione elettromagnetica ed è responsabile della propagazione, nello spazio e nel tempo, del campo elettromagnetico sotto forma di onde elettromagnetiche. In termini matematici, i campi elettromagnetici e le loro relazioni sono descritti dalle equazioni di Maxwell mentre le proprietà elettriche e magnetiche dei materiali sono espresse quantitativamente dalle relazioni costitutive. E’ importante per l’utilizzo del georadar comprendere il significato fisico di tali proprietà e di come queste sono collegate all’attenuazione del segnale e alla velocità di propagazione delle onde.

2.1 Principi base GPR

Le quattro equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo di Maxwell, descrivono il comportamento dei campi elettrico e magnetico. Un campo elettrico variabile genera un campo magnetico variabile (teorema di Ampère generalizzato, equazione (1.2)), il quale a sua volta genera un campo elettrico variabile (legge di Faraday-Neumann-Lenz, equazione (1.1)). Tali equazioni esprimono un legame profondo tra i due campi. L’oscillazione di un campo elettrico, cioè la variazione della sua intensità in un punto al variare del tempo, genera l’oscillazione di un campo magnetico in punti vicini che genererà a sua volta un campo elettrico, l’oscillazione si propaga nello spazio sotto forma di onda elettromagnetica. Ciò significa che E e B non sono indipendenti ma sono aspetti diversi di un unico ente fisico, il campo elettromagnetico, che si manifesta nei fenomeni elettromagnetici.

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Diversamente da altri tipi di onde che si propagano solo in un mezzo elastico, le onde elettromagnetiche si propagano anche nello spazio vuoto, privo di materia. Questo tipo di onde infatti non oscilla in un mezzo materiale, ma le intensità dei campi elettrico e magnetico variano nello spazio e nel tempo. I due campi si propagano mantenendo direzioni di oscillazione perpendicolari l’uno all’altro e perpendicolari alla direzione di propagazione.

Un’onda elettromagnetica e’ caratterizzata da una frequenza f e una lunghezza d’onda λ che sono legate alla velocità v di propagazione dell’onda dalla relazione v = fλ. Tutte le onde elettromagnetiche viaggiano nello spazio libero con la stessa velocità c. La banda di frequenza delle antenne normalmente impiegate per il metodo GPR varia da circa 10 MHz a 1000 MHz.

Le equazioni costitutive descrivono la risposta di un materiale all’applicazione di un campo elettromagnetico spiegando come le particelle atomiche e molecolari reagiscono in massa all'applicazione di tale campo.

Le formule 1.1, 1.2., 1.3, 1.4 esprimono le quattro equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo di Maxwell. E è il vettore di forza del campo elettrico (V/m); q è la densità di carica (C/m³); B è il vettore di densità del flusso magnetico (T); J è il vettore di densità dicorrente elettrica (A/m²); D è il vettore di spostamento del campo elettrico (C/m²); t è il tempo (s); H è l’intensità del campo magnetico (A/m) (da Annan, 2009).

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Le proprietà dei materiali che controllano il comportamento dell’energia elettromagnetica in un mezzo sono la permittività dielettrica (e), la conducibilità elettrica (s) e la permeabilità magnetica (m). Queste proprietà sono di fondamentale importanza per il metodo GPR.

La conducibilità elettrica  misura la capacità di trasportare cariche in risposta all’applicazione di un campo elettrico. Nei metalli, queste cariche riguardano gli elettroni liberi degli atomi di metallo, mentre nei fluidi sono rappresentati dalle cariche di anioni e cationi disciolti (ad esempio, Na+, Ca2+, Cl-, CO32-). Questi portatori di carica

accelerano a una velocità limite generando correnti di conduzione interna. Come si propagano, casualmente si scontrano contro altri atomi, ioni o elettroni, causando la perdita di energia sotto forma di calore. Questi movimenti di carica si aggiungono a quelli associati con i fenomeni di polarizzazione e si verificano in ogni semiciclo di un campo elettrico alternato, indipendentemente della sua frequenza. In relazione al GPR, le più importanti perdite di energia dovute alla conduttività si verificano a causa del trasporto di carica ionica in acqua e per processi elettrochimici associati con scambio cationico su minerali argillosi (Olhoeft, 1998).

Le perdite energetiche dovute a  possono essere dipendenti anche dalla frequenza: per tipici materiali terrestri sotto una frequenza di transizione di 10-300 MHz le perdite di energia superano notevolmente l’energia immagazzinata da processi Le formule 1.5., 1.6, 1.7 sono le equazioni costitutive. E è il vettore di forza del campo elettrico (V/m); B è il vettore di densità del flusso magnetico (T); J è il vettore di densità dicorrente elettrica (A/m²); D è il vettore di spostamento del campo elettrico (C/m²); H è l’intensità del campo magnetico (A/m) (da Annan, 2009).

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di polarizzazione e la propagazione è di tipo dispersivo. Questo limita le applicazioni del GPR a bassa frequenza. Sopra la frequenza di transizione, le perdite di energia legate a s sono approssimativamente indipendenti dalla frequenza (Neal, 2004). La propagazione ad alta frequenza è invece limitata dalle perdite dovute ai fenomeni di scattering, che diventano particolarmente importanti quando le lunghezze d'onda si avvicinano alla dimensione del particelle (Powers, 1997).

La permettività dielettrica  è la capacità di un materiale di immagazzinare e rilasciare energia elettromagnetica sotto forma di carica elettrica, rappresenta cioè lo spostamento di una carica vincolata nella struttura di un materiale per la presenza di un campo elettrico. Lo spostamento di carica porta a un accumulo di energia nel materiale, la quantità immagazzinata durante ogni ciclo del campo elettrico alternato determina la reale costante dielettrica a quella frequenza (Powers, 1997). Viene misurata in unità di capacità elettrica (farad per metro F/m) come termine dielettrico relativo adimensionale (r), dove

r = permettività del materiale ()/ permettività dello spazio libero o del vuoto (0) La permittività dello spazio vuoto è uguale a 8.8542x10_12 F/m e differisce in modo trascurabile dalla permittività dell’aria.

Se le cariche sono libere di muoversi e possono interagire fisicamente, per esempio come nelle molecole dipolari di acqua libera, allora lo spostamento e il processo di polarizzazione converte una parte dell'energia elettromagnetica in calore durante le interazioni delle particelle. Viene così introdotta una componente di perdita energetica nel processo di polarizzazione. La permettività comprende allora una componente reale che rappresenta l'energia immagazzinata e una componente immaginaria che rappresenta l’ammontare dell’energia dissipata a quella frequenza (Poteri, 1997). Entrambe le componenti sono dipendenti dalla frequenza del campo elettrico alternato applicato (Poteri, 1997; Olhoeft, 1998), con la componente immaginaria che si somma con quella causata dalla conducibilità. Ogni processo di

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polarizzazione varia nella sua capacità di rispondere al campo elettrico applicato e l'effetto netto dipenderà dal tipo di mezzo coinvolto.

La permeabilità magnetica rappresenta l’equivalente magnetico della permittività dielettrica ed è una misura dell’energia del campo magnetico immagazzinata e persa nella magnetizzazione indotta (Powers, 1997). La permeabilità magnetica può, come la costante dielettrica, essere suddivisa in una componente reale e una immaginaria ed è spesso espressa in relazione alla permeabilità magnetica dello spazio libero (Neal, 2004). La permeabilità magnetica viene misurata in induttanza per metro (henry, H/m). Per la maggior parte dei materiali geologici, la permeabilità magnetica relativa μr è prossima all'unità (Roth et al., 1990). Di conseguenza, la

permeabilità magnetica nel sottosuolo è vicino al valore di spazio libero μ0 e non

svolge alcun ruolo nel comportamento energetico elettromagnetico (Powers, 1997). Tuttavia, in certe condizioni, come ad esempio la presenza di ossidi di ferro e di ferro, la permeabilità magnetica relativa aumenta in modo significativo (Von Hippel, 1954).

Oltre alle perdite di energia dovute alle  e allo scattering, perdite si verificano anche a causa dello spreading geometrico. Come l'energia si propaga dall’antenna trasmittente verso il basso si diffonde in un cono in continua espansione causando una diminuizione della potenza proporzionale all'inverso del quadrato della distanza (Neal, 2004).

La velocità di propagazione di un'onda elettromagnetica in un mezzo è funzione della frequenza f, della velocità della luce nel vuoto e della permitività dielettrica relativa r, della permeabilità magnetica relativa r, della conducibilità  del mezzo attraversato. Nella maggior parte delle applicazioni GPR, generalmente le variazioni di

 e  sono le più rilevanti. Per comuni materiali geologici con basse perdite e non-magnetici, l’influenza della conducibilità  sulla velocità dell’onda elettromagnetica è trascurabile agli intervalli di frequenza tipici del GPR (Davis and Annan, 1989), il fattore di perdita si approssima a zero e la permeabilità magnetica relativa μr è prossima

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2.2 GPR e materiali geologici

I materiali del sottosuolo sono considerati dielettrici, materiali non conduttori nei quali possono esplicarsi azioni elettriche come ad esempio la polarizzazione. In realtà, in tutti materiali terrestri è presente qualche forma di carica libera e quindi sono meglio descritti come lossy dielettrici (Cassidy, 2009). Se sono presenti cariche libere, sotto l’influenza del campo elettromagnetico applicato, queste fluiranno attraverso il materiale (ad esempio, nei fluidi interstiziali di sabbie sature) producendo l’attenuazione e la perdita di energia. Un materiale contenente un alto grado di cariche libere è considerato effettivamente un conduttore e la maggior parte dell'energia elettromagnetica verrà persa nel processo di conduzione come calore. Il GPR per questo motivo è inefficace in ambienti ad alta conducibilità ed è più efficace in materiali a bassa perdita elettrica. In materiali naturali a bassa perdita come ad esempio la sabbia pulita, l'influenza di σ sul segnale elettromagnetico è trascurabile tra 100 e 1000 MHz (Davis and Annan, 1989). Nella realtà, però, non sono prevalenti condizioni di bassa perdita elettrica, si trovano più frequentemente ambienti in cui la penetrazione del segnale GPR è molto limitata per la presenza di argilla o acque sotterranee anche saline, come in ambienti costieri.

La permittività dei materiali del sottosuolo svolge un ruolo importante per la propagazione e la riflessione delle onde elettromagnetiche può variare notevolmente, soprattutto per la presenza di acqua libera e legata. L’acqua ha un valore di permittività dielettrica relativa di circa 80, mentre l'aria e il quarzo hanno valori di 1 e circa 4,3, rispettivamente. La permittività nei sedimenti è controllata quindi principalmente dal contenuto di acqua. Le perdite energetiche massime si verificarno intorno ai 10-20 GHz, e sono causate dalla dissipazione dovuta a processi associati con la natura dipolare della molecola d'acqua (Poteri, 1997). Questo limita efficacemente la gamma di frequenza per i sistemi GPR.

Nella maggior parte dei casi, l'effetto magnetico di materiali (cioè, diamagnetici, paramagnetici e fenomeni superparamagnetici) ha scarso effetto sulla propagazione dell’ onda GPR (Olhoeft, 1998) e la loro permeabilità magneticaμ spesso viene

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semplificata al valore dello spazio libero di 1.26x10-6 H/m. Tuttavia, i minerali ferromagnetici possono avere un notevole effetto sulla velocità dell'onda GPR e sull’attenuazione del segnale (Cassidy, 2009). Esperimenti di laboratorio a frequenze tipiche del GPR hanno individuato perdite magnetiche importanti sia in sabbie naturali e che artificiali ricche di ferro. In particolare ferro, nichel e i relativi solfuri e ossidi. Nei materiali geologici più comuni nel sottosuolo, la quantità di materiale ferromagnetico è considerato irrilevante (tipicamente <2%). Tuttavia, quantità apprezzabili di magnetite, maghemite ed ematite possono essere trovati in alcune rocce ignee, sabbie e terreni ricchi di ferro, generando effetti di perdita paragonabili a quelli prodotti dal permettività (Olhoeft e Capron, 1993; Cassidy, 2008). Dal punto di vista pratico, le proprietà magnetiche sono importanti solo se i loro effetti sono una parte significativa della risposta elettrica; l'assunzione che gli effetti magnetici non sono importanti è giustificato a patto che nel sottosuolo siano presenti materiali senza ferro. Se questo non si verifica, deve essere assunto un valore di permeabilità magnetica relativa diverso dall’unità e l'effetto dei componenti magnetici può essere maggiore di quella dei componenti elettrici (Cassidy, 2009).

I cambiamenti nelle proprietà elettromagnetiche derivano quindi principalmente dalle variazioni del contenuto di acqua, governati a loro volta da granulometria e porosità (Topp et al., 1980; Roth et al., 1990). Poiché l'acqua è sempre presente nello spazio interstitiziale dei materiali geologici, tranne in alcune situazioni particolari, nella gamma di frequenza 10-1000MHz, la presenza o l'assenza di acqua ha un effetto dominante sulle proprietà elettriche. Poiché modifiche di granulometria e di porosità sono legate alla storia deposizionale, ci si può aspettare un legame tra strutture sedimentarie e proprietà elettromagnetiche, permettendo l'identificazione accurata di facies radar e confini di sequenza (Gawthorpe et al., 1993).

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2.3 Metodi di acquisizione

I dati vengono raccolti spostando, manualmente o per mezzo di veicoli, le antenne di trasmissione e ricezione lungo la superficie da investigare, in due differenti modalità. La prima, quella continua, consiste nel tenere le antenne trasmittente e ricevente ad una distanza fissa, per cui l’energia radar è costantemente trasmessa nel sottosuolo. La seconda consiste invece nel muovere le antenne indipendentemente l’una dall’altra raccogliendo i dati solo in determinati punti ugualmente spaziati. Le distanze sono controllate da una ruota odometrica posta sulle antenne.

Quando viene usata una singola antenna sia come trasmittente che come ricevente, essa trasmette l’impulso radar e subito dopo si pone in ricezione per captare l’energia riflessa da un eventuale bersaglio (acquisizione monostatica). Il tempo tra la trasmissione, la riflessione e la ricezione è denominato two-way travel time TWT (doppio tempo di viaggio) e si misura in nanosecondi. Questo è funzione della profondità del riflettore, della spaziatura dell'antenna (in sistemi con due antenne), e della velocità media dell’ onda radar nel materiale sovrastante (Neal, 2004). I tempi di viaggio possono essere convertiti in profondità se è conosciuta la velocità dell’onda radar nel mezzo attraversato.

Le riflessioni dovute a discontinuità del sottosuolo non sono i soli segnali che vengono registrati su una traccia radar (Neal, 2004). Il primo impulso che arriva all’antenna ricevente è l’air wave, che viaggia da un’antenna all’altra alla velocità della luce (0,2998 m ns¯ 1). Il secondo impulso ad arrivare è il ground wave, che viaggia direttamente sulla superficie tra le due antenne. Air wave e ground wave mascherano ogni altra eventuale riflessione nella parte superiore di un profilo radar. Possono essere presenti anche onde laterali dovute a riflessioni superficiali che si avvicinano alla superficie con un appropriato angolo critico e sono successivamente rifratte lungo l'interfaccia aria-terra (Clough, 1976). Le riflessioni associate con onde laterali non sono disposte correttamente nel tempo (profondità) rispetto all’interfaccia che le ha generate.

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Con i dati registrati durante il rilevamento si costruisce un profilo di riflessione, con il tempo lungo il suo asse verticale e la posizione lungo l'asse orizzontale. Ogni traccia risulta dal sistema GPR che emette un breve impulso di energia elettromagnetica, che è trasmessa nel terreno. Come l’onda si propaga verso il basso, essa attraversa materiali con diverse proprietà elettriche, che alterano la sua velocità. Una parte dell'energia viene riflessa verso la superficie e rilevata dall'antenna ricevente a causa dei cambiamenti di impedenza d'onda elettromagnetica. Esistono quattro principali tipi di indagine a riflessione (Neal, 2004): Common Offset, Common Mid (or depth) Point, Common Source and Common Receiver. Il metodo Common Offset è il più utilizzato per studi con sistemi radar commerciali sia con una singola

Fig. 2.1 – Schema spostamento segnale tra antenna trasmittente e ricevente (da Fisher et al.,1996 mod.)

Fig. 2.2 – Tipi principali rilevamento GPR. (da Daniels, 1996 mod.)

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antenna di trasmissione e ricezione, sia con due antenne separate, una trasmittente e l’altra ricevente. In questo tipo di indagine le antenne sono mantenute ad una distanza fissa, perpendicolari alla linea di rilevamento, nella stessa direzione (cioè copolarizzate) e orientate una verso l’altra. Esistono altre possibili configurazioni che possono portare ad avere ulteriori importanti informazioni.

Le onde elettromagnetiche prodotte da un’antenna standard commerciale irradiano energia radar nel terreno in

un cono elittico generalmente allungato, il cui apice è al centro dell’antenna trasmittente, e parallelo alla direzione di moto dell’antenna lungo la superficie del terreno.

Per stimare la lunghezza dell’asse maggiore del radar footprint ad una data frequenza si usa l’equazione indicata in figura 3.5. Quando l’antenna è posta sul terreno, si ha un cambiamento del lobo di radiazione dovuto all’accoppiamento con il terreno stesso (Engheta et al., 1982). All’interfaccia aria-suolo si verifica una prima rifrazione che provoca un cambiamento di direzionalità del fascio radar: molta energia viene incanalata al di sotto dell’antenna e si propaga in un cono. La quantità di energia rifratta in profondità e perciò la quantità di focalizzazione è una funzione della legge di Snell, per la quale la quantità di energia riflessa o rifratta sulla

Fig. 2.3 – Cono ellittico della penetrazione GPR nel terreno. L’equazione definisce la geometria del cono al variare della profondità e della lunghezza dell’onda . Il footprint (di raggio A) è l’area illuminata della superficie orizzontale sepolta; D è la profondità della superficie riflettente; K è la costante dielettrica relativa e l è la lunghezza d’onda relativa alla frequenza di centro banda dell’antenna utilizzata.

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superficie di separazione tra due mezzi dipende dall’angolo di incidenza e dalla velocità dell’onda. La maggior parte dei GPR è condotta con la sorgente a terra. Nel caso limite della sorgente all'interfaccia, le onde incidenti e riflesse nell'aria si uniscono in un'onda sferica.

Limitazioni all’uso del GPR sono date dalla profondità di penetrazione e dalla risoluzione (Buynevich et al.,2009). Entrambi questi fattori dipendono dalla scelta del tipo di antenne che è subordinato all’obiettivo della ricerca. Antenne ad alta frequenza (500–1000MHz) sono piccole in dimensioni e forniscono un’alta risoluzione ma una penetrazione relativamente limitata. Antenne a bassa frequenza (12.5-50MHz) hanno una bassa risoluzione ma una migliore penetrazione (Smith and Jol, 1995). Le più comuni frequenze utilizzate in ricerche stratigrafiche costiere sono 100 e 120MHz e forniscono immagini ad alta risoluzione. In ambienti costieri i dati sono registrati sia con modalità continua che a step, ma quest’ultimo è spesso preferito (Jol et al., 2006).

La risoluzione è un parametro fondamentale per metodi di acquisizione basati su fenomeni ondulatori: indica il limite di incertezza nel determinare la posizione e le varie caratteristiche geometriche di un elemento (come forma, dimensione e spessore).

In sistemi che si basano sulla generazione di impulsi e sulla loro successiva rilevazione, gli echi riflessi possono arrivare simultaneamente, sovrapposti o separati nel tempo. Per essere distinti due impulsi devono essere separati da metà della loro larghezza.

Fig. 2.4 – Impulsi temporali con mezza larghezza W (Annan, 2009):

a) Gli impulsi sono chiaramente separati quando T»W

b) Gli impulsi sono ancora distinguibili per T~W

c) se T«W i due eventi non sono distinguibili

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Nel caso del GPR la risoluzione ha due componenti, una verticale (range resolution) e una orizzontale (lateral o angular resolution) (Annan, 2009).

La risoluzione verticale è funzione di diversi fattori come lo spessore dello strato, la velocità di propagazione e la frequenza. Un incremento della frequenza porta ad un incremento di risoluzione verticale, ovvero lunghezze d’onda più corte hanno un più alto potere di risoluzione. La lunghezza d‘onda è data dal rapporto tra la velocità di propagazione e la frequenza, cioè λ=v/f. La soglia considerata limite per una buona risoluzione verticale è λ/4 e varia da circa 2 cm per sabbie sature e antenne da 900 MHz a quasi 40 cm per sabbie asciutte e antenne da 100 MHz. Per valori minori di questo limite, i riflettori non sono più risolvibili, in quanto gli impulsi entrano in interferenza diventando indistinguibili. La risoluzione orizzontale fa riferimento a quanto due punti, giacenti sulla stessa superficie riflettente, possano essere vicini ma distinguibili.

Le perdite energetiche legate alla propagazione elettromagnetica nel sottosuolo limitano la profondità alla quale possono penetrare le onde radar ad una data frequenza. L’effettiva massima penetrazione delle onde GPR è una funzione della frequenza delle onde che si propagano nel terreno e delle caratterstiche fisiche del materiale attraverso cui esse viaggiano. Più alta è la frequenza, minore è la profondità.

Le proprietà fisiche che influenzano le onde elettromagnetiche e quindi la profondità di penetrazione nonché la risoluzione sono la conduttività elettrica e la permeabilità magnetica del mezzo stesso. Terreni, sedimenti o rocce che sono buoni dielettrici permettono il passaggio di molta energia elettromagnetica con scarsa

Fig. 2.5 – Risoluzione del GPR si può dividere in due componenti una verticale chiamata range resolution e una laterale chiamata lateral o angular resolution (Annan, 2009).

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dissipazione della stessa. Materiali a bassa conduttività, come sedimenti insaturi e grossolani, causano una piccola attenuazione e in condizioni ideali, la penetrazione è dell'ordine di decine di metri (Davis e Annan, 1989). Un materiale elettricamente molto conduttivo è invece un cattivo dielettrico. Per la massima penetrazione radar un mezzo dovrebbe essere altamente dielettrico con bassa conduttività elettrica. Tuttavia, la velocità e la lunghezza delle onde sono più alte in materiali a bassa conduttività, portando ad una diminuzione della risoluzione.

3.4 Metodi di elaborazione del dato GPR

Rappresentazione dei dati

L'informazione base ottenuta dal georadar è una singola traccia (definita Ascan). Le singole tracce sono poi rappresentate come profili verticali bidimensionali dove in ascisse viene riportata la distanza percorsa dall’antenna sulla superfcie del terreno e in ordinate i tempi doppi di viaggio delle onde radar riflesse dal sottosuolo. L’insieme delle singole tracce viene chiamato radargramma di tipo Bscan. L’ampiezza è solitamente rappresentata con toni di grigio o di colore, indicata da una scala sul lato del Bscan. Infine interpolando griglie 2D di radargrammi di tipo Bscan si ottiene una immagine 3D chiamata Cscan, rappresentanti immagini bidimensionali parallele alla superficie e tagliate a profondità variabile.

Analisi ed elaborazione dei dati

Per eliminare il rumore e correggere le scale orizzontale e verticale dei dati grezzi, è necessario che essi vengano trattati prima dell’interpretazione. Esistono numerosi programmi utilizzabili per il trattamento dati GPR. I vari metodi di elaborazione dei dati richiedono vari gradi di interpretazione e possono portare a dati che sono significativamente diversi dal dato grezzo iniziale. Tali processi possono essere metodi ampiamente utilizzati nelle sismica (Yilmaz, 2000) come ad esempio il

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filtraggio spaziale e temporale o la deconvoluzione, oppure metodi specifici per il GPR come backgroung removal, il dewow.

I filtri possono essere classificati in filtri 1D (temporali), che agiscono sulla singola traccia, quindi solo sull’informazione temporale e sull’ampiezza, e filtri 2D (spaziali), che agiscono su più tracce sia nel senso verticale, quindi sul tempo, sia orizzontale, quindi sulla distanza di percorrenza dello strumento. Solitamente i filtri temporali sono di ausilio per rimuovere segnali provenienti da oggetti piccoli o da disturbi esterni, aventi contenuti di frequenza peculiari a una o poche tracce. I filtri spaziali invece vengono usati appunto sull'asse di trascinamento del georadar, e possono essere di tipo passa-basso (low pass) e passa-alto (high pass) (Bittelli, 2009).

Ricerca del T

0

Durante lo svolgimento del rilevamento si può verificare un disallineamento delle tracce registrate, dovuto variazioni dell’altezza dell’antenna dal terreno o per altre cause. E’ necessario quindi riallineare le tracce ad uno zero comune rappresentato dalla prima riflessione che è quella della superficie prima che vengano applicati i successivi trattamenti dei dati. Questo si ottiene generalmente utilizzando alcuni determinati criteri (ad esempio sulla base di un valore di soglia preimpostato

d’ampiezza del primo picco del segnale grezzo o mediante la ricerca del picco massimo) ed

può essere fatta automaticamente dal software di elaborazione.

Background removal

Questo filtro agisce su tutte le tracce e serve a rimuovere rumori di origine interna o esterna (background). È un filtro passa-alto e riguarda la rimozione delle bande orizzontali che appare in molte immagini GPR. Queste bande, dovute a disturbi esterni costantemente presenti o alla riflessione della superficie, possono oscurare dati che dovrebbero invece essere visibili sui profili. Il metodo classico di filtraggio avviene tramite un processo che somma tutte le ampiezze delle riflessioni registrate allo stesso

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tempo lungo il profilo e divide per il numero delle tracce sommate. La traccia risultante ovvero la traccia media (trace range), che contiene il rumore di background, è sottratta dal set di dati. Dopo questo processo, il profilo ottenuto mostrerà solo riflessioni non orizzontali o riflessioni orizzontali che sono corte in lunghezza (non presenti costantemente allo stesso ritardo). Tuttavia, per questi motivi se questo filtro viene utilizzato in aree dove è presente una stratificazione orizzontale possono essere rimosse molte riflessioni significative.

Band Pass filtering (Butterworth)

Questo filtro agisce su una sola traccia e permette di filtrare una specifica banda di frequenza. I parametri da impostare sono due frequenze: quella più bassa e quella più alta, al di sotto e al di sopra della quale il filtro non agisce. Questo filtro deve essere utilizzato con attenzione e solo nel caso si sia individuata una banda di frequenza che presenta del rumore e dove il segnale è disturbato. È necessaria una buona conoscenza dello spettro elettromagnetico del segnale per poter applicare questo filtro.

Guadagno

Le funzione di guadagno (gain) vengono utilizzate per equalizzare l'ampiezza del segnale, che è attenuato con la profondità. Queste funzioni aumentano l’ampiezza degli arrivi tardivi per effetto dell’attenuazione del segnale dipendente dalla conducibilità del terreno (andamento esponenziale) e per le perdite dovute allo spreading geometrico (andamento lineare). Tutte le funzioni di guadagno operano in maniera analoga applicando un fattore moltiplicativo a successive regioni della traccia nel tempo. Esistono molteplici tipi di guadagni, lineari e esponenziali. Tuttavia bisogna tenere presente che applicando questo tipo di funzioni si alterano tutti i dati, si recuperano ampiezze utili ma si ha anche un amplificazione del rumore.

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3. Inquadramento generale dell’area

3.1 Inquadramento geografico

Il tratto di litorale oggetto di studio è situato nella Toscana nord-occidentale, precisamente al limite settentrionale della pianura di Pisa, nel comune di Vecchiano. La foce del fiume Serchio si trova in prossimità della frazione di Marina di Vecchiano, all’interno del Parco naturale di Migliarino - San Rossore - Massaciuccoli.

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La zona di interesse analizzata in questa tesi si trova nell’area a nord della foce del fiume Serchio e si sviluppa parallelamente a costa per circa 1 km e perpendicolarmente a costa per circa 200 metri dalla linea di riva verso terra (fig. 3.1). Come evidenziato nella figura a lato (fig. 3.2) questa fascia di litorale fa parte del tratto centrale dell’unità fisiografica pisano-versiliese delimitata, a nord, da Punta Bianca, in prossimità della foce del Fiume Magra, e a sud dal porto di Livorno. L’unità si estende per 63,5 km e si presenta come un lungo litorale sabbioso, più o meno urbanizzato, esposto in direzione NE-SW nella parte settentrionale e N-S nel tratto meridionale. Il tratto tra Viareggio e la foce dell’Arno, nel quale ricade l’area di studio, risulta essere il meno antropizzato dell’intera unità, le sue caratteristiche naturali sono quasi inalterate e le opere di difese sono limitate.

ll paraggio è interessato da un settore di traversia compreso tra gli azimut 170° e 302°, suddivisibile in tre settori parziali. Il primo, compreso tra le direzioni 170° e 221°, e il terzo settore, compreso tra 253° e 302°, presentano lunghezze di fetch piuttosto limitate; il secondo, compreso fra le direzioni 221° e 253°, costituisce il settore di traversia principale (Leandro et al., 1994). I venti regnanti dai dati della Stazione meteorologica di S. Rossore sono i venti del settore ESE-SE, seguiti da quelli dell’asse E-W; mentre i venti dominanti sono quelli del settore W-SW, principalmente Libeccio. Dai dati raccolti ed elaborati dall’Istituto meteorologico olandese (KNMI), le mareggiate principali provengono dal settore 240-270N e da un ristretto settore centrato su 225N (Cipriani et al., 2001). I mari dominanti sono quelli del 3° quadrante che raggiungono la massima intensità

Fig. 3.2 – Unità fisiografica pisano-versiliese. Limite settentrionale il promontorio di Punta Bianca e limite meridionale il porto di Livorno. Le frecce indicano la direzione del trasporto litorale ed il riquadro rosso l’area di studio (da Milano, 1994).

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in autunno e inverno. La figura sottostante (fig. 3.3) evidenzia i risultati di uno studio recente sul clima marino al largo del litorale pisano (Studio di progettazione della Provincia di Pisa, Servizio Difesa Suolo “Adeguamento idraulico del Canale Scolmatore d’Arno – Studio morfodinamico ed analisi degli effetti della nuova foce armata, dicembre 2012) basato sui dati della boa di Gorgona (Casarosa, 2016).

Fig. 3.3 – Dati della boa ondametrica di Gorgona, al largo del tratto meridionale del litorale pisano, relativi al periodo 2008-2012.

In alto: le onde più frequenti e di maggior intensità provengono dal settore sud-ovest. Le calme (Hs<0,5 m) costituiscono il 35% del totale delle registrazioni. Le onde con altezza compresa tra 0,5 m e 2 m il 57 % , tra 2 e 4 m il 3,6% del totale e maggiori di 4 m lo 0,5% ; tutte principalmente dal settore 220°-260° N.

In basso: grafico della distribuzione direzionale dei picchi di mareggiata, il 93% delle mareggiate che si vericano in media ogni anno proviene dal settore 220°-260° N (da Casarosa, 2016 mod.)

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Inquadramento geografico Fiume Serchio

Il bacino idrografico del Fiume Serchio, circa 1565 Km², il terzo per estensione tra quelli presenti nella Regione Toscana, è compreso principalmente nella provincia di Lucca. Interessa quella di Pisa per il suo tratto terminale e per una parte della pianura costiera (fig. 3.4).

La maggior parte del territorio, circa l’80%, è rappresentato da aree collinari e montuose mentre i terreni di pianura sono pari a circa il 20% dell'intera superficie del bacino. La fascia costiera comprende il Lago di Massaciuccoli. Il fiume Serchio scorre in direzione sud‐est per circa 50 chilometri fino alla confluenza con il Torrente Lima, suo principale affluente, successivamente si dirige verso sud in direzione della città di Lucca, dopo il suo tracciato cambia di nuovo direzione dirigendosi arginato, verso sud‐ovest attraversando la piana costiera di S.Rossore – Migliarino. Dopo un percorso totale di circa 105 km raggiunge il mare presso Marina di Vecchiano, tra la foce dell’Arno ed il porto di Viareggio.

Fig. 3.4 - Bacino Idrografico Fiume Serchio, nella sua metà superiore coincide con il territorio della Garfagnana a

cui si aggiungono due

appendici, una montana,

costituita dal bacino del torrente Lima, ed una porzione

di più bassa quota che

comprende la fascia collinare e di piana costiera (Versilia meridionale) che va da Lucca fino al mare.

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La particolare posizione del bacino, allungato longitudinalmente rispetto al mare, e le particolari caratteristiche geografiche ed orografiche fanno sì che l’area sia una delle più piovose d’Italia, con piogge la cui intensità supera, sui rilevi apuani, i 3.000 mm annui (Baldacci et al., 1994).

L’area del bacino è caratterizzata da un’elevata umidità con un tipo di clima variabile da umido ad iperumido, cioè con piovosità media annua superiore a 1600 mm (Classificazione di Thornthwait), caratterizzato da bassi valori sia dell’evapotraspirazione che del deficit idrico (valutato in base alla combinazione dell’evapotraspirazione con le precipitazioni) ed eccedenza idrica molto forte). La portata del Serchio è mediamente di 46 m3/s, con valori minimi di 6.5 m3/s ( Autorità di Bacino del Fiume Serchio).

3.2 Inquadramento geologico

L’Appennino settentrionale è una catena a falde derivata dalla deformazione terziaria di un settore del paleomargine continentale della microplacca adriatica prospiciente al Dominio oceanico ligure (Boccaletti et al., 1971; Kligfield, 1979).

A partire dal Miocene la deformazione compressiva si è propagata da occidente ad oriente attraverso la penisola fino all’Adriatico (Merla, 1952). Contemporaneamente un’importante tettonica distensiva ha interessato le strutture compressive nella parte interna della catena. Questa porta alla formazione di una serie di bacini di sprofondamento a partire del Miocene Superiore (Tortoniano Superiore-Messiniano) tra i quali il bacino pisano versiliese (fig. 3.6).

Il bacino è delimitato da una serie di faglie normali, molto inclinate, che tagliano le strutture precedenti formando una serie di graben orientati NO-SE. La pianura pisana rappresenta il riempimento di questo sistema di half-graben formatosi lungo il margine tirrenico della catena appenninica, e in relazione all’apertura del Mar Tirreno e alla contemporanea migrazione antioraria del sistema catena avanfossa

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avampaese (Sarti et al. 2008, Sarti et al. 2010). Il riempimento del bacino è costituito da un notevole volume di sedimenti neogenico-quaternari potenti fino a 3.800 m (Mariani e Prato, 1988). Il sottosuolo più profondo della pianura pisana comprende le formazioni della Serie Toscana e dell’Alloctono ligure. Successivamente nella parte intermedia risulta costituito dai sedimenti neoautoctoni depositati entro le depressioni distensive dalla fine del Tortoniano fino al Quaternario (Bartolini et al., 1983; Liotta, 1991), subordinati alle unità magmatiche e metamorfiche, riferibili prevalentemente alle fasi compressive. La grande varietà di formazioni geologiche, sedimenti continentali, lacustri e marini prevalentemente sedimentari, sono legate agli estesi fenomeni di deposizione legati alla dinamica distensiva.

Fig. 3.6 – In alto: stralcio della carta geologica della Pianura di Pisa con indicate le principali formazioni, faglie e la traccia della sezione sismica sottostante. In basso: profilo sismico lungo la pianura di Pisa che evidenzia il carattere estensionale del bacino di Viareggio (da Sarti, 2012 modificato).

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Fig. 3.7 - Stralcio della carta geologica tratta dalla Carta Geologica d'Italia alla scala 1:100.000, foglio 104, Pisa.

A lato: Legenda depositi quaternari affioranti nell’area di studio.

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3.3 Inquadramento geomorfologico e sedimentologico

La fascia costiera della Pianura di Pisa si estende verso terra per circa 4-7 km, è costituita prevalentemente da dune recenti, cordoni sabbiosi paralleli alla costa, aree depresse intracordone, derivanti dall’interazione tra dinamica eolica, costiera e fluviale che si sono formati in seguito all’apporto di sedimento da parte dei bacini fluviali dell’Arno e del Serchio.

Il trasporto litoraneo dei sedimenti all’interno dell’unità fisiografica da Bocca d'Arno fino circa a Forte dei Marmi risulta diretto da Sud verso Nord (Cipriani et al., 2001). Questo drift litoraneo (fig. 3.2) è responsabile dello spostamento verso Nord e dei cambiamenti morfologici della foce del fiume Serchio. Infatti l’area è caratterizzata dalla presenza di una freccia litorale che è condizionata dalla corrente lungo costa, spesso ostruisce e sposta la bocca di foce ma senza chiuderla completamente in quanto è influenzata anche dagli eventi di piena. Attualmente il materiale che alimenta il litorale in esame deriva principalmente dal trasporto solido e dallo smantellamento di parte del delta dell’Arno in erosione. I fiumi Arno e Serchio trasportano a mare sabbie di diversa composizione. Le sabbie del Fiume Arno hanno una composizione più matura, quelle campionate nel fiume Serchio hanno un maggior contenuto in frammenti litici in particolare basalti, selci ed argilliti. I campioni delle sabbie raccolte lungo il litorale hanno mostrato raggruppamenti composizionali affini solo a quelli delle sabbie del fiume Arno (Sarti, 2005), anche in zone dove il segnale del Serchio dovrebbe essere presente, come a nord della sua foce. Questo può essere dovuto alla portata solida media annua del Serchio che è molto bassa, circa 23 x 103 t/anno (Cavazza, 1984). Questo scarso apporto solido è causato da vari fattori tra i quali le caratteristiche litologiche del bacino e i numerosi sbarramenti artificiali presenti lungo il suo corso e su quello degli affluenti (Cipriani, 2001). L’Arno risulta quindi l’alimentatore principale del litorale.

La figura 3.8 è un dettaglio del foglio 104 Pisa (scala 1:100.000) dell’Atlante delle Spiagge Italiane, stampato nel 1985, che fornisce un quadro di sintesi sulle conoscenze dell’ epoca dello stato di conservazione dei litorali, con particolare

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riferimento alle condizioni morfo-sedimentologiche ed alla tendenza evolutiva. La legenda dei fogli dell'Atlante rappresenta una sintesi grafica delle conoscenze e delle informazioni dell'assetto delle spiagge, della tendenza evolutiva e delle principali caratteristiche morfo-sedimentologiche. Si nota come nel tratto litorale oggetto di studio le opere umane (in verde) che rappresentano lo stato di occupazione della fascia costiera, siano limitate, fatta eccezione per le sponde fluviali arginate presso la foce dei fiumi Serchio e Morto. Nella sezione dinamica idrologica e sedimentaria (in blu) è indicato il verso del trasporto solido netto lungo riva e al largo e il tipo di apporti solidi che alimentano il liotrale. I tipi naturali (in rosso) elencano tutte le caratteristiche sedimentologiche e geomorfologiche di dettaglio della spiaggia emersa e sommersa. Sono evidenziati cordoni di dune allo stato naturale non in erosione, è presente una singola barra davanti alla foce del fiume Serchio ed è indicata la pendenza del fondale marino sottocosta. Sono riportate inoltre la tendenza evolutiva della linea di riva (avanzamento/arretramento), le aree litoranee subsidenti con una stima dell’abbassamento medio per periodo di riferimento. Tutta l’area costiera è indicata come subsidente (colore rosa), in particolare per il periodo 1978/1981 è fornita una stima dell’abbassamento di 7 mm/anno nell’area a nord della foce del fiume Serchio e 8 mm/anno in quella a sud. La tendenza evolutiva nell’area di studio è indicata stabile nell’area di studio, in avanzamento nel tratto settentrionale e in erosione nel tratto meriodionale.

I fondali del litorale in destra idraulica della foce dell’Arno fino al confine settentrionale della Provincia di Pisa sono caratterizzati dall’alternanza di diverse barre sommerse fino all’isobata 6 m e da un canale continuo che si sviluppa da sud verso nord a profondità variabile tra 5 e 6 m. La spiaggia sommersa mostra una pendenza con i -3 m a circa 100-130 m dalla costa e i -10 m a circa 1,2 km (Casarosa, 2016)

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Fig. 3.8 –Dettaglio foglio 104 Pisa dell’ Atlante delle Spiaggie Italiane (scala 1:100.000). Nella legenda sono riportate informazioni relative allo stato di occupazione del litorale e agli interventi eseguiti (le opere umane), alle caratteristiche sedimentologiche e geomorfologiche di dettaglio della spiaggia emersa e sommersa (tipi naturali) e a quei caratteri dinamici che contraddistinguono il trasporto dei sedimenti (dinamica idrologica e sedimentaria).

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3.4 Evoluzione geomorfologica della Pianura di Pisa

L’evoluzione della pianura pisana è legata ad una serie di fattori che si sono alternati nel tempo. Prima la formazione di bacini tettonici di sedimentazione, poi l’aumento degli apporti di materiali alluvionali dell’ Arno e del Serchio e le variazioni del livello del mare che coprono i sedimenti fluviali recenti con sedimenti marini. In particolare la tettonica ha avuto un ruolo importante nella formazione del bacino dal Miocene superiore (7,5 – 5 milioni di anni fa) fino al Pleistocene inferiore (1,6 - 0,7 Ma).

A partire dal Pleistocene superiore (125.000 anni fa) e fino all'Olocene (circa 10.000 anni fa) nella costruzione del litorale attuale appare più evidente l’importanza che hanno avuto le oscillazioni climatiche con le conseguenti variazioni del livello del mare (Mazzanti, 1994). Con la fine dell’ultima glaciazione il livello del mare, che era piu’ basso di 110 metri rispetto all’attuale (fig. 3.9), inizia rapidamente ad innalzarsi

Fig. 3.9 – Carta della batimetria del mare prospiciente il litorale tra La Spezia e Livorno. La piattaforma

continentale si estende,

approssimativamente, fino all’ isobata dei 200 metri. Il corso del Paleoarno, oggi sommerso, risale a 18000 anni fa, ultima oscillazione glaciale. Il livello del mare era più

basso di 110 metri rispetto

all’attuale e la linea di costa spostata verso ovest di 25 km (Mazzanti, 1994).

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