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Chirurgia laparoscopica versus robotica con sistema Da Vinci Xi nel trattamento delle neoplasie del retto extraperitoneale: analisi dei risultati clinici ed oncologici a breve termine.

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Academic year: 2021

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1 EPIDEMIOLOGIA

Il carcinoma del colon-retto (CRC) è uno dei tumori più frequenti al mondo, anche se da un punto di vista strettamente epidemiologico risulta difficile valutare separatamente la patologia oncologica del colon da quella rettale, dal momento che la grande maggioranza degli studi epidemiologici tendono trattarli insieme.

Per fotografare le dimensioni del problema il progetto GLOBOCAN sviluppato dalla International Agency for Research on Cancer, un agenzia dell’organizzazione mondiale della sanità (W.H.O.) ha confrontato e raggruppato i dati epidemiologici per i vari tumori nel 2012 provenienti dai registri nazionali di 184 paesi; in accordo a questi dati (escludendo i carcinomi della cute) il CRC è la terza più frequente forma di cancro fra gli uomini e la seconda nelle donne, con un incidenza complessiva stimata di circa 1,4 milioni di nuovi casi nel 2012 e responsabile di circa 694.000 morti nel mondo (1).

Solamente negli Stati Uniti secondo l’American Cancer Society (2) nel 2017 sono stimati 39.910 nuovi casi di tumori del retto e quasi 100.000 casi di tumori del colon, che rendono il CRC la terza neoplasia per frequenza negli U.S.A., responsabile complessivamente di 50.260 morti e seconda causa di mortalità per tumore.

In Italia in accordo ai dati dell’associazione italiana registri tumori (AIRTUM) (3) è stimata nell’anno 2016 un’incidenza complessiva di circa 52.000 nuovi casi di CRC, che rendono tale neoplasia la seconda per incidenza nel nostro paese (escludendo i carcinomi della cute). Se analizziamo separatamente all’interno dei due sessi l’incidenza di questa patologia, essa risulta essere la terza per incidenza fra gli uomini (13%, preceduta dalle neoplasie di prostata e del polmone) e la seconda fra le donne (13%, preceduta solamente dalle neoplasie della mammella).

La grande diffusione di tale patologia è verosimilmente da ascrivere all’aumentata esposizione ai fattori di rischio (soprattutto quelli di tipo dietetico-comportamentale), ad una maggiore attenzione diagnostica ed al progressivo invecchiamento della popolazione; tuttavia nell’ultimo decennio, dopo un periodo di costante aumento, stiamo assistendo ad un riduzione leggera ma progressiva della sua incidenza (3), verosimilmente merito dell’attuazione sistematica dei programmi di screening sul territorio che consentono la bonifica delle lesioni precancerose prima del loro sviluppo neoplastico.

Per ciò che concerne la prevalenza secondo i dati AIRTUM (3) in Italia sono presenti oltre 427.000 pazienti con pregressa diagnosi di CRC, che risulta quindi la seconda neoplasia nel nostro paese. Segnaliamo inoltre come fra tutti questi pazienti quasi un terzo si trova ad almeno 10 anni dalla diagnosi; tale dato riflette la tendenza al decremento della mortalità per tale patologia, anche se il CRC rimane la seconda causa di mortalità per tumore in Italia in considerazione della sua ampia diffusione.

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La prognosi dei pazienti affetti da CRC è infatti relativamente favorevole, anche se è condizionata fortemente dello stadio di malattia. In Italia è stimata una sopravvivenza a 5 anni del 60,8% per le neoplasie del colon e del 58,3% per quelle del retto (3), tali valori risultano in linea con quelli di altri paesi (2).

Comunque negli ultimi anni abbiamo assistito ad un significativo miglioramento prognostico rispetto al passato, basti pensare che negli U.S.A. la mortalità per CRC si è dimezzata dal 2014 al 1975 (2); tale affermazione risulta particolarmente evidente per la patologia oncologica rettale. Il motivo di tale miglioramento è multifattoriale, ma sicuramente un ruolo fondamentale è giocato dai progressi in ambito terapeutico che sono avvenuti negli ultimi decenni.

In particolare l’introduzione nella comunità scientifica del concetto di mesoretto ad opera di Heald nella prima metà degli anni ’80 ha rivoluzionato la chirurgia rettale (4); oggi infatti l’escissione totale del mesoretto rappresenta indubbiamente lo standard di cura per la patologia oncologica del retto extraperitoneale, consentendo una drammatica riduzione delle recidive loco-regionali. Inoltre anche se la chirurgia radicale rimane il pilastro della terapia del cancro del retto, hanno contribuito in modo significativo anche lo sviluppo di schemi di chemioterapia e radioterapia efficaci, l’introduzione di nuovi farmaci biologici ed una migliore comprensione della biologia molecolare del tumore (5).

Il CRC è una neoplasia che interessa in modo relativamente omogeneo il sesso maschile e quello femminile, con particolare predisposizione per le fasce di età più avanzate.

Tuttavia è riportata una discreta variabilità geografica nell’incidenza del CRC, dal momento che risultano più colpite le regioni maggiormente sviluppate (1); in Italia i confronti geografici nazionali mostrano una minore incidenza di CRC nelle regioni meridionali rispetto al centro-nord (3).

Se l’incidenza del CRC appare avere un trend in riduzione non solo in Italia ma anche nel mondo, spicca invece il riscontro di un modesto incremento di incidenza in soggetti giovani di tumori colo-rettali distali (6); le cause di tale fenomeno non sono ancora chiarite ma potrebbero essere influenzate dai fattori comportamentali.

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3 LA CHIRURGIA MINI-INVASIVA COLON-RETTALE

L’introduzione della laparoscopia ha rivoluzionato la medicina moderna, imponendosi in modo ubiquitario nei molteplici ambiti della chirurgia. Inizialmente concepita per la colecistectomia, già dagli inizi degli anni novanta è stata applicata con successo alla chirurgia colon-rettale da Jacobs et al (7).

L’approccio laparoscopico alla chirurgia colon-rettale si è oggi ampiamente affermato, in considerazione dei vantaggi che questo comporta rispetto alla chirurgia tradizionale in termini di minor dolore postoperatorio, di minori perdite ematiche, di precoce ripresa delle normali attività fisiologiche (alvo, mobilizzazione ed alimentazione) e di migliore risultato estetico; tutto ciò contribuisce quindi nel determinare una minore ospedalizzazione (8-10).

Tuttavia la chirurgia oncologica del retto extraperitoneale rappresenta una sfida impegnativa per il chirurgo, richiedendo una escissione totale del mesoretto condotta con tecnica ineccepibile e controllata (4,11-14). Tale difficoltà è principalmente condizionata dalla necessità di lavorare in spazi ristretti e difficilmente accessibili come lo sfondato pelvico e dalla necessità di eseguire movimenti di coordinazione fine per rispettare i piani anatomici della fascia mesorettale al fine di garantire un’escissione radicale, contenere le perdite ematiche e non ledere le strutture nervose autonome ricoperte dal foglietto parietale della fascia pelvica.

La complessità tecnica di questa chirurgia ha quindi ostacolato in parte lo sviluppo e la diffusione della laparoscopia in tale settore (15); infatti l’applicazione della laparoscopia alla chirurgia del retto medio-basso ha sollevato numerose controversie per l’alta percentuale di conversione associata a preoccupazioni sulla radicalità oncologica (16,17). Inizialmente inoltre era stato riportato il rischio di metastasi sulle porte dei trocar (18,19).

Anche più recentemente sono stati avanzati alcuni dubbi sulla effettiva efficacia della laparoscopia di garantire una resezione radicale negli stadi più avanzati di malattia; nel 2015 sono stati infatti pubblicati i risultati di ACOSOG Z6051 (20), un ampio trial multicentrico randomizzato centrato sulle resezioni per cancri del retto medio e basso in stadio II e III eseguite dal 2008 al 2013. Da tale studio emerge come in questi pazienti, rispetto alla chirurgia tradizionale, la laparoscopia abbia fallito nell’incontrare i criteri di non inferiorità in base all’analisi dei dati anatomo-patologici predittivi di una resezione radicale (margine di resezione prossimale, margine di resezione distale e classificazione di Quirke).

Anche uno dei primi trial multicentrici che confrontava la chirurgia open con la laparoscopia nella terapia del cancro del retto, il MRC CLASICC trial (21), condotto nel Regno Unito dal 1996 al 2002 evidenziava una maggiore coinvolgimento neoplastico del margine circonferenziale per le neoplasie del retto medio-basso associato ad un alta percentuale di conversione; tuttavia bisogna considerare come questo studio si sia svolto in una fase inziale nello sviluppo della laparoscopia ed inoltre nel 2013 sono stati pubblicati i risultati del follow-up oncologico a lungo termine, da cui

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non emerge alcuna differenza fra i due gruppi, per cui gli autori hanno concluso che tali risultati continuano ad incoraggiare l’applicazione della laparoscopia (22,23,35).

Attualmente, grazie al notevole progresso tecnico e ad una maggiore esperienza, l’efficacia della chirurgia laparoscopica rettale è stata definitivamente chiarita. Sono infatti stati pubblicati diversi trials (24-26) per indagare la sicurezza della laparoscopia in termini di short-term outcome rispetto alla chirurgia open; da tutti questi studi emerge che la chirurgia laparoscopica offre tutti i vantaggi propri dell’approccio minivasivo (minori perdite ematiche, precoce ripristino della funzionalità intestinale e minore ospedalizzazione) con un’incidenza di complicanze peri-operatorie ed una qualità oncologica della resezione sovrapponibile alla tecnica open (se eseguita da chirurghi adeguatamente formati), a prezzo tuttavia di una maggiore durata dei tempi chirurgici.

Segnaliamo in particolare i due studi più rilevanti in materia che sono il COREAN trial (25), un trial multicentrico condotto fra il 2006 ed il 2009 reclutando 340 pazienti (randomizzati 1:1) con neoplasie del retto medio-basso localmente avanzate (cT3N0-2) sottoposte a chemioradioterapia neoadiuvante presso tre centri di riferimento terziari asiatici, ed il COLOR II (24), un ampio trial multicentrico europeo che ha reclutato più di mille neoplasie del retto randomizzate fra approccio laparoscopico o open con un rapporto 2:1; le conclusioni degli autori sono in linea con quanto riportato sopra.

Inoltre più recentemente sono stati pubblicati i risultati del follow-up oncologico di questi due studi (27,28) entrambi dimostrano come le recidive loco-regionali, l’intervallo libero da malattia e la sopravvivenza complessiva siano del tutto sovrapponibili fra le due tecniche.

In questa direzione spingono anche i risultati di altri studi che analizzano gli outcome oncologici a lungo termine (29,30), e confermano la sicurezza della chirurgia laparoscopica anche da questo punto di vista. Tali conclusioni risultano inoltre supportate da un ampio numero di metanalisi e review sistematiche (31-34), per cui in base alla letteratura si può concludere con sicurezza che la chirurgia rettale laparoscopica eseguita da un chirurgo esperto rappresenti attualmente il gold standard terapeutico rispetto alla tecnica laparotomica tradizionale.

La chirurgia robotica invece è stata concepita inizialmente in ambienti militari, per poi essere progressivamente introdotta nei vari campi della chirurgia (urologica, toracica...), in particolar modo dove l’alta precisione è considerata un fattore determinante; la sua prima applicazione alla chirurgia colon-rettale risale al 2002 da Weber et al (36).

La complessità tecnica della chirurgia oncologica del retto extraperitoneale ha quindi determinato un crescente interesse per l’applicazione delle nuove tecnologie robotiche in questo campo. Infatti la visione tridimensionale ad alta definizione, gli strumenti articolati wrist-like, la riduzione del fisiologico tremore, permettono una grande destrezza chirurgica negli spazi ristretti e difficilmente aggredibili come la pelvi unita ad un maggiore confort ergonomico per il chirurgo (37); tutti questi aspetti potrebbero quindi contribuire a superare le limitazioni tecniche della laparoscopia (38).

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Tuttavia, a dispetto di tali considerazioni, la chirurgia colo-rettale robotica eseguita con il sistema Da Vinci Si (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, California, USA) presenta alcune criticità; dal momento che tale sistema non è stato concepito per una chirurgia multiquadrante presenta un range di movimento intracorporeo limitato dei bracci robotici e l’impossibilità di muovere il paziente dopo l’esecuzione del docking (39). Per tale motivo sono stati descritte molteplici tecniche per superare tali limiti e permettere un accesso ottimale sia alla pelvi che alla flessura colica sinistra, come la tecnica ibrida laparoscopica-robotica o la tecnica dual docking (40,41), che tuttavia richiedono maggiore tempo ed interrompono la continuità dell’atto chirurgico.

L’introduzione nel 2014 del sistema robotico Da Vinci Xi (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, California, USA), specificatamente disegnato per una chirurgia multiquadrante, ha definitivamente fugato tali perplessità (42). Le nuove braccia robotiche sono infatti state progettate per limitare le collisioni esterne ed aumentare il range di movimento, il docking laser guidato risulta più semplice ed efficace, inoltre sono stati progettati vari strumenti utili come la suturatrice robotica (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, California, USA) e l’integrated table motion TS7000dV (Trumpf Medizin Systeme GmbH & Co. KG, Saalfeld, Germany), che consente di muovere il paziente senza la necessità di dovere rimuovere i bracci robotici.

Possiamo dunque affermare con certezza che la chirurgia robotica è una tecnica sicura ed efficace nel trattamento della patologia oncologica rettale (43-45) tuttavia, nonostante la grande quantità di articoli presenti in letteratura con risultati a volte contrastanti, mancano ancore chiare evidenze su eventuali benefici della tecnica robotica rispetto alla tecnica laparoscopica (43,46).

Ad oggi sono stati pubblicati molti articoli scientifici che confrontano la tecnica laparoscopica con quella robotica nella chirurgia oncologica rettale, anche se la maggior parte di questi lavori sono il risultato dell’esperienza di singoli centri (47).

Tuttavia più recentemente sono comparse varie metanalisi e studi su più ampia scala. Uno degli studi più rilevanti su questo argomento è stato condotto da Araujo (48), il quale nel 2014 ha eseguito un’ampia review sistematica reclutando 1776 pazienti in 32 differenti studi; le conclusioni dell’autore sono che non esistono differenze significative in termini di short-term outcome e di qualità oncologica della resezione fra le due tecniche, tuttavia la chirurgia robotica presenta una percentuale di conversione inferiore rispetto alla laparoscopia ma si correla tuttavia ad una maggiore durata dell’atto chirurgico e ad un sensibile aumento dei costi.

Risultati del tutto analoghi emergono anche da altre metanalisi e review sistematiche (49-53). Tuttavia è possibile riscontrare alcune sporadiche differenze fra i vari autori; ad esempio Yang e Liao (54,55) riportano che la chirurgia robotica sembrerebbe essere associata ad una minore perdita ematica, mentre Trastulli non apprezza differenza significativa nella durata dell’intervento chirurgico fra le due tecniche (56).

Baik (57) invece ha condotto uno dei pochi studi randomizzati in cui 36 pazienti con neoplasia del retto sono stati assegnati random alla tecnica laparoscopica o robotica; da questo studio non sono emerse differenze nel tempo operatorio, nei valori di emoglobinemia post-operatori o nella

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percentuale di conversione; tuttavia in questo lavoro i pazienti sottoposti ad intervento laparoscopico hanno presentato un decorso post-operatorio significativamente più lungo.

Più recentemente sono stati pubblicati anche i risultati sugli outcome oncologici a lungo termine; in particolare Park ha riportato il risultato del follow-up a 5 anni di 217 pazienti sottoposti a resezione del retto per cancro, senza documentare alcuna differenza fra le due tecniche in termine di recidive locale, intervallo libero da malattia e sopravvivenza complessiva (58). Risultati analoghi sono anche riportati da Cho che mediante uno studio retrospettivo caso-controllo condotto su 556 pazienti ha concluso che gli out come a breve e lungo termine sono sovrapponibili (59).

Wilder invece ha pubblicato una review in cui ha valutato gli studi che confrontavano il follow-up per la chirurgia laparoscopica versus robotica, analizzando complessivamente 5 studi (tutti con follow-up a 3 anni ad eccezione di quello di Park) e concludendo che non è documentabile nessuna differenza in termini di sopravvivenza complessiva e di intervallo libero da malattia (60).

In base a questi studi si può certamente affermare che la chirurgia oncologica rettale robotica è una valida alternativa alla laparoscopia, senza che tuttavia sia stata chiaramente dimostrata una indiscussa superiorità in termini di outcome clinici ed oncologici rispetto alla chirurgia laparoscopica (43-60).

Verosimilmente è possibile ipotizzare dall’analisi della letteratura che, rispetto alla laparoscopia, la chirurgia robotica sia associata ad una minore percentuale di conversione a patto tuttavia di un aumento della tempistica chirurgica e del significativo incremento del costo complessivo.

Tuttavia si avverte la mancanza di ampi trial multicentrici prospettici e di studi sul follow-up oncologico a lungo termine, che facciano maggiore chiarezza sull’argomento.

Per tale motivo la comunità scientifica aspetta con impazienza i risultati di un importante studio multicentrico su scala mondiale, il ROLARR trial (61), che è stato concepito per confrontare le resezioni rettali curative per cancro (stadio T1-3 N0-2 M0) del retto laparoscopiche e robotiche con una randomizzazione 1:1; inoltre la qualità dell’escissione mesorettale di ogni pezzo operatorio è valutata da un singolo patologo qualificato mediante un sistema di centralizzazione cieco.

Anche se i risultati definitivi di tale studio sono attesi per il prossimo anno, durante il meeting annuale dell’American Society of Colon and Rectal Surgeons nel giugno 2015 a Boston, il Dr. Pigazzi che è uno dei principali promotori di questo studio, ha presentato i risultati preliminari con 471 pazienti reclutati (62). Tali dati sono inoltre stati ampiamente discussi successivamente in sede congressuale e su siti scientifici (63). Dall’analisi di questi dati non risulta emergere nessuna differenza statistica per ciò che concerne gli short-term outcome. In particolare risultano sovrapponibili le percentuali di conversione, che rappresenta l’outcome principale dello studio; tuttavia l’analisi separata dei casi più sfavorevoli (uomini e obesi) rivela come la percentuale di conversione in questi sottogruppi raggiunga una differenza statisticamente significativa fra le due tecniche. Inoltre non sono state riscontrate differenze significative negli out come secondari come

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la positività del margine di sezione circonferenziale, l’incidenza di complicanze e gli altri parametri clinici.

Nel confronto fra la chirurgia robotica e laparoscopica, rimangono comunque fortemente dibattute in letteratura alcuni singoli aspetti, fra cui la funzionalità genitourinaria, la curva di apprendimento e l’analisi dei costi, che meritano di essere trattati separatamente.

La funzionalità genito-urinaria è un importante aspetto della chirurgia rettale, nonché indice della qualità della resezione chirurgica del mesoretto. Gli attuali principi della chirurgia rettale impongono l’escissione totale del mesoretto (TME) nel rispetto del foglietto parietale della fascia pelvica condotta lungo l’holy plane di Heald; tale tecnica ha consentito rispetto al passato una riduzione delle lesioni nervose autonomiche responsabili delle disfunzionalità genito-urinarie comunemente associate a tale tipo di chirurgia, anche se tale problematica continua ad avere un impatto notevole sulla qualità di vita dei pazienti (64). Anche la legatura all’origine dell’arteria mesenterica inferiore rappresenta una potenziale occasione di neurolesione iatrogena.

Teoricamente la chirurgia robotica può apportare alcuni benefici, grazie ad una migliore visualizzazione delle strutture nervose autonome offerta dalla visione tridimensionale e conseguentemente al loro rispetto, avvantaggiato dalla grande precisione conferita dal sistema robotico.

Vari autori hanno quindi sostenuto tale ipotesi (65); tuttavia gli studi che confrontano direttamente la tecnica robotica con quella laparoscopica in questo ambito non sono numerosi. Fra questi Kim (66) ha riportato un calo significativo della funzionalità urogenitale nei due gruppi dopo l’atto chirurgico, tuttavia il sottogruppo robotico ha dimostrato un più rapido recupero rispetto ai pazienti laparoscopici. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche da D’Annibale (67) e Park (68) che hanno riportato nel sesso maschile un recupero della funzionalità sessuale più precoce nella popolazione robotica, senza tuttavia osservare differenze significative per ciò che concerne la funzionalità urinaria. Panteleimonitis (69) ha invece recentemente pubblicato uno studio comparativo secondo cui la chirurgia robotica sembra essere associata ad un migliore risparmio delle funzionalità uro-genitali nel maschio e urologiche nella femmina.

Tuttavia bisogna considerare come questi studi siano inficiati dalla bassa numerosità dei campioni in esame e dalla difficoltà di misurare e confrontare l’outcome di interesse, dal momento che la funzionalità genito-urinaria viene solitamente valutata mediante questionari soggettivi (IPSS, IIEF-5…) e non mediante strumenti oggettivi come l’uroflussimetria. Studi randomizzati prospettici su ampia scala appaiono necessari per trarre conclusioni definitive.

Un ulteriore aspetto che merita un’analisi separata è il potenziale vantaggio che la chirurgia robotica offre rispetto alla laparoscopia in termini di riduzione della curva dell’apprendimento. La chirurgia laparoscopica rettale è, come abbiamo già detto, una procedura tecnicamente complessa, che dovrebbe essere eseguita da chirurghi esperti ed adeguatamente preparati. Conseguentemente tale chirurgia richiede una lunga curva di apprendimento; secondo la

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letteratura infatti il plateau si otterrebbe intorno ai 50 casi (70), anche se sono state riportate ampie variazioni fra un minimo di 30 casi ed un massimo di oltre 80 casi (71,72).

Grazie invece a tutti i vantaggi conferiti dal sistema robotico in termine di maggiore destrezza, ergonomia e precisione, la chirurgia robotica sembrerebbe permettere una riduzione della curva di apprendimento rispetto alla laparoscopia; per esempio Yamaguchi (73) ha proposto una fase di apprendimento limitata a 25 pazienti. In base ad una recente review sistematica della letteratura inoltre, il numero di casi necessari per definire un chirurgo esperto in chirurgia robotica rettale è stimato intorno a 39 (74); le conclusioni degli autori sono che la chirurgia robotica può avere un impatto nel ridurre la curva di apprendimento.

Altri autori tuttavia (72) non hanno riportato differenze significative nell’analisi delle curve di apprendimento per le due diverse tecniche.

Comunque la maggior parte di questi lavori non considera il background chirurgico dell’operatore, e tale aspetto potrebbe essere quindi un fattore confondente nell’interpretazione di questi dati Appare infatti intuitivo come un chirurgo con alle spalle una ampia e comprovata esperienza nell’ambito della chirurgia laparoscopica rettale risulti facilitato rispetto ad un chirurgo meno esperto in tali procedure, tutto ciò produce un bias nell’analisi della curva di apprendimento. Per tale motivo Jimenez sottolinea in conclusione che l’esperienza laparoscopica dell’operatore dovrebbe essere considerata un elemento che influenza significativamente il processo di apprendimento, determinando una riduzione dello stesso (74).

Un lavoro interessante su tale aspetto è stato recentemente pubblicato da Odermatt (75), il quale ha analizzato le resezioni rettali robotiche di due chirurghi mediante un case-match 1:1 con le resezioni laparoscopiche eseguite dagli stessi chirurghi; i risultati dimostrano che per il primo operatore (con alle spalle più di 200 TME laparoscopiche) la curva di apprendimento è da subito risultata stabile, senza dimostrare variazioni significative ascrivibili ad un processo di apprendimento e coerente con gli standard di qualità della chirurgia laparoscopica. Per l’altro chirurgo (il quale aveva eseguito 88 TME laparoscopiche, presentando quindi un’esperienza significativa, ma minore rispetto all’altro operatore) invece è stato possibile dimostrare un processo di apprendimento mediante un progressivo miglioramento degli indicatori di qualità, che comunque si è stabilizzato dopo solo 15 casi.

Da questo studio è possibile quindi concludere che la pregressa esperienza laparoscopica in chirurgia rettale accorcia significativamente il processo di apprendimento necessario per eseguire una TME robotica, suggerendo che le capacità ed il background tecnico acquisito con la chirurgia laparoscopica sia trasferibile alla tecnica robotica. Un laparoscopista esperto sembra infatti raggiungere con il robot le stesse performance chirurgiche a cui era abituato in laparoscopia in un tempo ridotto e direttamente correlato alla propria esperienza chirurgica (75).

Bisogna infine considerare l’analisi dei costi, dal momento che la patologia oncologica rettale risulta essere un problema di vaste dimensioni e di interesse globale, come già esposto sopra;

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inoltre viviamo un contesto in cui i costi correlati alla sanità appaiono in continua crescita, per cui l’ottimizzazione delle risorse economiche appare indispensabile.

Attualmente risulta chiaro che la chirurgia robotica si associa complessivamente ad un costo significativamente maggiore (46,48,52,58,76); tale aspetto rimane infatti uno dei principali fattori che frena lo sviluppo di tale tecnologia.

Uno dei pochi lavori scientifici che analizza specificatamente il problema economico è stato pubblicato da Baek (77); in tale lavoro vengono confrontati le analisi dei costi della chirurgia rettale laparoscopica con quella robotica. L’autore riporta che il costo medio complessivo per un intervento eseguito con tecnica robotica risulta pari a 14.647.000 $ mentre lo stesso intervento eseguito con tecnica laparoscopica presentava un costo di 9.978.00 $; in assenza di differenze statisticamente significative nel decorso post-operatorio o nell’insorgenza di complicanze.

Il maggiore costo della chirurgia robotica sembra essere multifattoriale. Si possono infatti considerare sia i costi fissi, correlati all’acquisto ed alla manutenzione del sistema robotico, che i costi variabili, rappresentati dagli strumenti robotici e dall’apposita attrezzatura monouso.

Anche la maggiore durata complessiva associata alla chirurgia robotica sembra essere correlata all’aumento dei costi, tuttavia è verosimile che con la sempre maggiore esperienza raggiunta in chirurgia robotica questo gap vada progressivamente colmandosi. Inoltre le piattaforme robotiche Da Vinci sono le uniche attualmente in circolazione, quindi la mancanza di competizione in questo settore non contribuisce all’abbattimento dei costi

È quindi verosimile ipotizzare che la creazione di un centro di chirurgia robotica multi-specialistico ad elevato volume possa contribuire ad ammortizzare il costo della chirurgia robotica attraverso l’ottimizzazione dei costi fissi del sistema (78).

Tuttavia un’analisi dei costi definitiva deve essere ponderata tenendo in considerazione anche i vantaggi clinico-oncologici a lungo termine; che comunque attualmente la chirurgia robotica non sembra potere garantire.

Possiamo quindi concludere affermando che la chirurgia robotica, pur avendo provato la sua sicurezza ed efficacia, non ha dimostrato un chiaro vantaggio clinico-oncologico rispetto alla chirurgia laparoscopica. Tuttavia trarre conclusioni definitive appare quantomeno affrettato; bisogna infatti ricordare come la chirurgia robotica rappresenti attualmente una tecnologia in rapida espansione ed appaiono inoltre necessari ulteriori studi sull’analisi dei costi nonché sul follow-up oncologico a lungo termine e sui risultati funzionali uro-genitali.

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10 CONSIDERAZIONI GENERALI E SCOPO DELLO STUDIO

A dispetto del numero crescente di evidenze che sostengono l’approccio mini-invasivo alla chirurgia colon-rettale (robotico o laparoscopico), questo non si è ancora affermato completamente e capillarmente (43). Infatti nonostante la chirurgia mini-invasiva abbia ampiamente dimostrato la sua efficacia e sicurezza anche da un punto di vista oncologico, e addirittura sia in grado di offrire dei risultati clinici migliori rispetto alla chirurgia tradizionale, tale approccio è ancora sottoutilizzato, in particolare nell’ambito della chirurgia rettale (43).

Le ragioni di tale dato sono verosimilmente da mettere in rapporto alla notevole complessità tecnica correlata a questo tipo di chirurgia, che deve essere eseguita in modo ineccepibile in considerazione del notevole impatto che questa ha sulla prognosi del paziente; infatti, anche se il moderno management terapeutico del cancro del retto extraperitoneale richiede un approccio multidisciplinare con la partecipazione attiva di vari specialisti, la chirurgia radicale rimane il cardine della terapia (5). Per tutti questi motivi tale patologia dovrebbe essere affrontata da chirurgi esperti, dopo una preparazione specifica, nel contesto di un centro ad alto volume (79). Per fotografare le dimensioni del problema Yeo (15) pubblica nel 2015 un’analisi della casistica del National Comprehensive Cancer Network (NCCN) project; da questo lavoro emerge che fino al 2010 le resezioni laparoscopiche non erano più del 20% del totale delle resezioni rettali per cancro negli Stati Uniti.

Anche se comunque il numero di interventi eseguiti con tecnica laparoscopica o robotica è complessivamente in aumento, la percentuale di interventi chirurgici eseguiti con tecnica open è ancora molto alta. Inoltre si possono apprezzare importanti differenze geografiche fra i vari centri, dal momento che la chirurgia mini-invasiva rettale è principalmente eseguita in ospedali universitari o specialistici ad elevato volume (15,80).

Tale fatto appare quindi ascrivibile ad un’assenza di esperienza chirurgica piuttosto che ad un reale motivo clinico (15), evidenziando la necessità di investire maggiormente in programmi di formazione e training (81).

Un altro fattore da tenere in considerazione è l’alta incidenza di tale patologia nella popolazione, che ne ostacola la centralizzazione. La conseguente dispersione di pazienti che ne deriva rende più difficile raggiungere il plateau della curva di apprendimento che, come già esposto sopra, è notoriamente lunga e richiede un ampio numero di casi.

La complessità tecnica della chirurgia oncologica rettale può spiegare il grande entusiasmo con cui la comunità scientifica ha accolto l’applicazione della tecnologia robotica in questo campo, con la speranza che quest’ultima giochi un qualche ruolo nel superare le limitazioni proprie della laparoscopia e nel ridurre la curva di apprendimento.

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Tuttavia, se analizziamo la letteratura scientifica su questo argomento, il ruolo della chirurgia robotica rispetto alla laparoscopia non sembra ancora essere ben definito.

Nel nostro istituto ci occupiamo specificatamente di chirurgia oncologica colon-rettale con particolare interesse verso la chirurgia del retto extraperitoneale, che da quasi due decenni approcciamo sistematicamente in laparoscopia.

Nonostante il sistema robotico Da Vinci Si sia utilizzato da anni, la più recente introduzione del sistema robotico Da Vinci Xi ha consentito di superare molti limiti della chirurgia robotica colon-rettale eseguita con il più vecchio sistema robotico; tutte queste considerazioni ci hanno spinto ad aggiungere tale tecnologia fra le opzioni terapeutiche per la gestione della patologia oncologica rettale presso il nostro centro.

Per tale motivo il nostro scopo è confrontare, nell’ambito della chirurgia oncologica del retto extraperitoneale, gli outcome a breve termine clinici e la qualità oncologica della resezione rispettivamente per l’approccio laparoscopico e per quello robotico.

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12 MATERIALI E METODI

Abbiamo analizzato in modo retrospettivo tutti i pazienti sottoposti consecutivamente a resezione anteriore del retto con escissione totale del mesoretto (TME) per cancro del retto extraperitoneale sia con tecnica laparoscopica che con tecnica robotica nella U.O. Chirurgia Generale S.S.N. della A.O.U.P. (Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana) diretta dal Dr. P. Buccianti, dal maggio 2015 a dicembre 2016. Sono stati inclusi i pazienti già sottoposti a pregressa asportazione endoscopica o con escissione locale trans-anale (T.E.M.) di neoplasia risultata all’esame istologico adenoma cancerizzato (4 pazienti laparoscopici e 6 pazienti robotici) ed i pazienti con adenomi a displasia di alto grado non candidabili all’asportazione endoscopica o all’escissione trans-anale (1 paziente laparoscopico e 1 paziente robotico).

Sono stati esclusi i pazienti con cancro del retto intraperitoneale trattati con una resezione anteriore del retto con asportazione parziale del mesoretto (PME), gli interventi palliativi in stadi avanzati (sia metastatici sia con carcinosi peritoneale sia infiltranti gli organi limitrofi per i quali si rende necessaria una resezione viscerale associata), i pazienti con altra patologia oncologica sincrona, i cancri del retto ultra-bassi trattati con pull-through e coloanoanastomosi differita secondo Babcock, le neoplasie non originate dall’epitelio ghiandolare.

Tutti i pazienti sono stati operati da un singolo operatore esperto in chirurgia mini-invasiva colon-rettale all’interno dello stesso istituto (U.O. Chirurgia Generale S.S.N. – A.O.U.P.) e seguiti nella gestione peri operatoria dalla stessa equipe all’interno di un centro chirurgico terziario di riferimento regionale ad elevato volume.

Dal momento che il sistema robotico Da Vinci Xi è stato introdotto nel nostro istituto nel febbraio 2015, sono stati esclusi i pazienti operati prima di maggio 2015 (15 pazienti). Infatti nonostante sia stato riportato in letteratura, come già esposto sopra, che la curva di apprendimento per eseguire una TME robotica per un operatore esperto in chirurgia laparoscopica sia ridotta (Odermatt), abbiamo comunque deciso di escludere i primi 15 pazienti, in quanto riteniamo che questo sia il numero minimo per acquisire piena confidenza con la nuova tecnica.

Tutti i nostri pazienti sono stati stadiati preoperatoriamente con TC torace-addome, RMN pelvi, pancolonscopia con biopsie ed ecografia trans-anale (la distanza preoperatoria del tumore dal margine anale è stata stabilita sulla base dell’ultimo esame condotto con strumento rigido); successivamente il percorso terapeutico e l’indicazione chirurgica sono stati discussi e concordati con un gruppo oncologico multidisciplinare.

Quando indicato è stata somministrata terapia neoadiuvante, sia radioterapia (a regime convenzionale o con ipofrazionamento della dose short-course) che chemioterapia.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a preparazione meccanica del colon (144mg di Sennosidi A + B e 30mg di Solfato di magnesio 48h prima dell’intervento, 400mg x 3 di Simeticone 24h prima

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dell’intervento) ed a tutti è stata somministrata antibioticoprofilassi preoperatoria (Amoxicillina-clavulanato 2,2gr e Metronidazolo 500mg entrambi x 3/die per 48h).

Di seguito è riportata la descrizione della nostra tecnica chirurgica.

 Approccio laparoscopico: il paziente è posizionato supino a gambe divaricate con braccio sinistro abdotto (posizione di Loyd-Davies modificata) in Trendelembug di circa 30°, inclinato a destra. Utilizziamo quattro trocar, due da 12 mm (uno ombelicale per il laparoscopio da 30° ed uno in fossa iliaca destra per l’operatore) e due da 5 mm sulla linea pararettale (uno in fianco sinistro per l’aiuto e uno in fianco destro per l’operatore), come illustrato nella figura 1.

FIG. 1

Come strumento per la dissezione utilizziamo il dissettore ad ultrasuoni Ultracision Harmonic ACE+7 (Ethicon, Cincinnati, Ohio, USA). Iniziamo la resezione con la mobilizzazione della flessura colica sinistra mediante distacco colo-epiploico, con identificazione della vena mesenterica superiore alla sua confluenza sotto il pancreas che viene isolata ma non sezionata in questo tempo. Si procede quindi con la incisione del peritoneo parietale al davanti del piano aortico ed isolamento dell'arteria mesenterica inferiore che viene sezionata alla sua origine nel rispetto del plesso nervoso ipogastrico. Sviluppiamo quindi una progressiva mobilizzazione del colon sinistro e del sigma in senso medio-laterale con ricongiungimento al piano della vena mesenterica inferiore, nel rispetto

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dei vasi gonadici sinistri e dell'uretere sinistro (che comunque non vengono isolati di principio). Previo completamento della mobilizzazione colica mediante distacco parieto-colico sinistro condotto sul piano di Toldt, si prosegue la mobilizzazione del retto intraperitoneale ed extraperitoneale posteriormente dal promontorio sacrale fino al piano degli elevatori. La dissezione viene successivamente sviluppata anteriormente e lateralmente ricongiungendosi al piano posteriore e realizzando una exeresi completa del mesoretto (TME) nel rispetto delle strutture nervose autonome. La sezione colica distale viene condotta a livello del canale anale chirurgico con suturatrice meccanica articolata tipo Echelon Flex 45 mm o 60 mm con carica verde (Ethicon, Cincinnati, Ohio, USA), a questo punto si seziona la vena mesenterica inferiore e si completa la mobilizzazione del moncone colico mediante sezione del meso con i vasi colici sinistri.

 Approccio robotico: eseguiamo un approccio completamente robotico single-docking. Il paziente è posizionato nella stessa posizione (posizione di Loyd-Davies modificata) ma entrambe le braccia sono lungo il corpo per garantire un corretto posizionamento del robot. Come sistema robotico utilizziamo il sistema Da Vinci Xi (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, California, USA) con Integrated Table Motion TS7000dV (Trumpf Medizin Systeme GmbH & Co. KG, Saalfeld, Germany). Il posizionamento dei trocar avviene quindi su una linea obliqua diretta dal quadrante superiore sinistro al quadrante inferiore destro (tre trocar robotici da 8 mm rispettivamente periombelicale pararettale destro, epigastrico e in ipocondrio sinistro, un trocar robotico da 12 mm in fossa iliaca destra e un trocar dell’assistente da 12 mm al fianco destro) come illustrato in figura 2.

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A questo punto si provvede al docking robotico. La dissezione avviene mediante forbici monopolari e pinza bipolare. La sezione colica distale viene condotta mediante suturatrice robotica Intuitive endowrist stapler 45 mm con carica verde (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, California, USA). Tutte le fasi dell’intervento sono le stesse della tecnica laparoscopica, tranne per il fatto che la vena mesenterica inferiore viene sezionata appena isolata e non successivamente come in laparoscopia.

In entrambi i casi il pezzo operatorio è estratto mediante una minilaparotomia sec. Pfannestiel opportunamente protetta da apposito dispositivo. Il ripristino della continuità digestiva viene eseguito mediante una anastomosi colo-rettale termino-terminale meccanica trans anale sec. Knight-Griffin (KG) mediante suturatrice circolare CDH 29mm (Ethicon, Cincinnati, Ohio, USA; in alternativa, nel caso di tumori ultrabassi con sezione rettale condotta a raso dei muscoli elevatori dell’ano ed assenza di spazio per l’anastomosi meccanica, effettuiamo una coloanoanastomosi manuale (CA), previa esposizione con divaricatore di Lone Star (Cooper Surgical Inc., Trumbull, Connecticut, USA) e passaggio di una serie di punti circonferenziali a tutto spessore in monofilamento riassorbibile 4/0.

Indipendentemente dalla tecnica laparoscopica o robotica, il campo è drenato con un drenaggio a caduta in pelvi e l’anastomosi viene protetta con una ileostomia laterale su bacchetta sulla sede precedentemente tatuata dallo specialista enterostomista, senza mai eseguire prove idropneumatiche.

Sistematicamente inoltre il paziente è dimesso dal blocco operatorio portatore di catetere vescicale e di un drenaggio addominale, mentre il sondino nasogastrico viene rimosso alla fine dell’intervento.

Nell’ambito della gestione postoperatoria particolare attenzione è stata posta all’ottimizzazione della copertura antalgica mediante l’utilizzo sistematico del cateterismo peridurale, al fine di permettere una mobilizzazione precoce ed una pronta ripresa delle attività fisiologiche.

Per ciò che concerne la parte di anatomia patologica tutti i pezzi operatori sono stati valutati da un servizio di anatomia patologica dedicato mediante un referto strutturato. La qualità dell’escissione chirurgica del mesoretto è valutata attraverso la classificazione di Quirke eseguita sul pezzo operatorio a fresco in sala operatoria.

Eseguiamo la ricanalizzazione intestinale mediante chiusura dell’ileostomia tra 30 e 90 giorni dall’intervento chirurgico, previa esecuzione di rettoscopia e RX clisma opaco che confermino l’assenza di deiscenze e stenosi a livello dell’anastomosi colo-rettale o colo-anale.

Mediante una revisione retrospettiva della documentazione clinica completa, sono stati estrapolati dati riguardo alle caratteristiche del paziente (demografiche, antropometriche e cliniche), riguardo a parametrici chirurgici intraoperatori, riguardo al decorso clinico ed infine riguardo alle caratteristiche anatomopatologiche, sia in termini di distribuzione del campione sia in termini di elementi predittivi della qualità dell’escissione chirurgica per ciò che concerne la radicalità oncologica.

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I parametri misurati per confrontare i due gruppi sono riportati nelle tabelle da 1 a 8 e nei grafici seguenti.

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17 ANALISI STATISTICA

Tutti i dati raccolti sono stati analizzati mediante il software SPSS 10.0 (Chicago, Il, USA). Per i confronti sulle variabili parametriche e non parametriche sono stati utilizzati rispettivamente il test t di Student per campioni indipendenti e il test di Mann-Whitney. Nel caso di variabili categoriali è stato utilizzato il test Chi quadrato (o test di Fisher quando appropriato). La significatività statistica è stata assunta per P < .05

RISULTATI

Alla fine della selezione il nostro campione è costituito da 84 pazienti, di cui 52 operati con tecnica laparoscopica (LapTME) e 32 con tecnica robotica (RobTME).

I risultati delle caratteristiche demografico-cliniche del campione ed i dati tecnici chirurgici intraoperatori sono esposti nella Tabella 1 e 2; le uniche differenze statisticamente significative riguardano il Body Mass Index (BMI) e la durata dell’intervento chirurgico.

TAB.1 Caratteristiche demografico-cliniche

LapTME (n=52) RobTME (n=32) P* Età (anni) media±DS 66.37±11.19 67.19±9.74 NS Sesso (M/F) 25/27 18/14 NS BMI media±DS 26,27±4.55 22.84±2.88 < .001 ASA 1 n° (%) 0 (0%) 2 (6.3%) ASA 2 n° (%) 40 (76.9%) 26 (81.3%) NS ASA 3 n° (%) 12 (23.1%) 4 (12.5%)

Pregressa chirurgia add.

n° (%) 16 (30.8%) 5 (15.6%) NS

Terapia neoadiuvante

n° (%) 39 (78.0%) 19 (59.4%) NS

Distanza dal margine anale

media±DS 7.67±2.80 7.34±3.14 NS

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18 TAB.2 Dati chirurgici intra-operatori

LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) P*

Tempo operatorio (min)

media±DS 271.38±72.51 325.93±50.88 < .001 Ileostomia n° (%) 52 (100%) 32 (100%) - Conversione 0 0 - CA/KG n° (%) 9 (17.3%)/43 (82.7%) 3 (9.4%)/29 (90.6%) NS

Min: minuti, CA: coloanoanastomosi, KG: Knight-Griffin

Per ciò che concerne il decorso postoperatorio non sono riscontrabili differenze fra le due popolazioni robotica e laparoscopica nei parametri clinici misurati e nell’insorgenza di complicanze; tali dati sono espressi nelle Tabelle 3 e 4.

Sottolineiamo come i tempi di degenza siano pesantemente influenzati da pochi pazienti che hanno avuto un decorso particolarmente lungo, rendendo fortemente asimmetrica la curva delle distribuzioni; per tale motivo riteniamo in questo caso corretto valutare, oltre i valori delle medie, anche i valori delle mediane.

La classificazione di Clavien-Dindo (82,83) è inoltre illustrata nel grafico 1.

TAB.3 Parametri clinici

LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) P* N° unità GRC trasfusi media±DS 0.17±0.78 0.41±1.52 NS Pazienti emotrasfusi n° (%) 3 (5.8%) 3 (9.4%) NS Canalizzazione (G.P.O.) media±DS 1.06±0.60 1.00±0.50 NS

Dieta solida (G.P.O.)

media±DS 4.54±2.40 5.31±5.42 NS UTI (giorni) media±DS 0.21±0.49 1.38±5.53 NS Degenza (giorni) media±DS mediana 7.52±4.73 6 10.94±15.97 6 NS Degenza < 7 giorni n° (%) 40 (76.9%) 23 (71.9%) NS

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19 GRAF.1 Clavien-Dindo

TAB.4 Complicanze post-operatorie

LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) P* Clavien-Dindo 0 n° (%) 37 (71,2%) 21 (65,6%) NS Clavien-Dindo 1-2 n° (%) 10 (19,2%) 7 (21,9%) NS Clavien-Dindo 3-4 n° (%) 5 (9,6%) 4 (12,5%) NS Complicanze chirurgiche n° (%) 3 (5.8%) 4 (12.5%) NS Complicanze infettive n° (%) 5 (9.6%) 3 (9.4%) NS Complicanze emorragiche n° (%) 3 (5.8%) 3 (9.4%) NS

Alta portata stomia n° (%) 2 (3.8%) 3 (9.4%) NS Ileo n° (%) 2 (3.8%) 2 (6.2%) NS TEP n° (%) 1 (1.9%) 0 NS

Mortalità peri operatoria n° (%)

0 0 -

TEP: Tromboembolia polmonare LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) 37 21 10 7 2 3 2 2 0 I - II IIIa IIIb IV

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Nella tabella 5 sono espressi i dati relativi alle riammissioni a trenta giorni le complicanze dell’anastomosi colo-rettale o colo-anale dopo la dimissione evidenziate dagli accertamenti propedeutici alla chiusura dello stoma (rettoscopia e RX clisma opaco) ed i dati sulla ricanalizzazione intestinale.

Si segnala che un paziente robotico è stato dimesso portatore di ileostomia terminale confezionata in seguito ad una colectomia subtotale per infarto intestinale ed è perciò stato escluso dal gruppo.

TAB.5 Complicanze post-dimissione e dati ricanalizzazione intestinale

LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) P* Riammissione a 30 giorni n° (%) 2 (3.8%) 5 (15.7%) NS LapTME (n°=52) RobTME (n°=31) P* Leakage anastomotico n° (%) 2 (3.8%) 2 (6.5%) NS

Chiusura stoma (giorni) media±DS

mediana 90,36±98,75 62 72,68±51,68 65 NS

Stoma > 90 giorni n° (%)

8 (15.4%) 4 (12.9%) NS

Anche se analizziamo i dati istologici, che sono riassunti nelle Tabelle 6 e 7, possiamo vedere come il campione sia complessivamente omogeneo in termini di Grading e Staging.

In tre pazienti (di cui due pazienti laparoscopici ed uno robotico) non è stato possibile determinare il Grading per problemi tecnici relativi al servizio di anatomia patologica.

Sottolineiamo infine come nello stadio 0 abbiamo inserito oltre i tumori in situ (Tis: un singolo paziente laparoscopico), anche i pazienti con esame istologico negativo per cellule neoplastiche. In particolare nello stadio 0 fra i pazienti laparoscopici troviamo 12 pazienti che hanno avuto una risposta completa al trattamento neoadiuvante (TRG4 sec. Dworak) ed un paziente con displasia di alto grado (HGDA). Fra la popolazione robotica nello stesso stadio troviamo 2 pazienti con regressione tumorale completa dopo terapia neoadiuvante (TRG4) ed un paziente con displasia di alto grado (HGDA).

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21 TAB.6 Grading LapTME (n°=50) RobTME (n°=31) P* 1 n° (%) 1 (2%) 2 (6.5%) NS 2 n° (%) 17 (34%) 15 (48.4%) NS 3 n° (%) 19 (38%) 11 (35.5%) NS Negativo (TRG4, HGDA) n° (%) 13 (26%) 3 (9.7%) NS TAB.7 Staging LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) P* 1 n° (%) 21 (40.4%) 17 (53.1%) NS 2 n° (%) 9 (17.3%) 9 (28.1%) NS 3 n° (%) 8 (15.4%) 3 (9.4%) NS 0 (Tis + TRG4, HGDA) n° (%) 14 (26.9%) 3 (9.4%) NS

Se analizziamo i dati anatomo-patologici predittivi della qualità dell’escissione chirurgica in termini di radicalità oncologica fra la popolazione robotica e quella laparoscopica (indifferentemente dal fatto che abbiano fatto o meno terapia neoadiuvante) non si evidenzia alcuna differenza statistica in nessuno dei parametri analizzati, come si evince dalla Tabella 8.

TAB.8 Dati anatomo-patologici

LapTME (n°=52) RobTME (n°=32) P* Coinvolgimento DRM n° (%) 1 (1.19%) 2 (6.3%) NS Coinvolgimento CRM n° (%) 3 (5.8%) 0 NS Quirke III n° (%) 50 (96.2%) 32 (100%) NS N°linfonodi asportati media±DS 21.58±8.69 19.41±9.61 NS <12 linfonodi n° (%) 9 (17.3%) 5 (15.6%) NS

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22 DISCUSSIONE

In base ai dati analizzati possiamo concludere che il nostro campione sia complessivamente omogeneo nei due gruppi in termine di dati anagrafici (età e sesso) e clinici (classificazione ASA, pregressa chirurgia addominale, pregressa terapia neoadiuvante e distanza dal tumore dal margine anale).

L’unico parametro che presenta una differenza statisticamente significativa nel nostro campione risulta essere il BMI, dal momento che il gruppo laparoscopico ha un indice di massa corporea decisamente maggiore (una media di 26,27 rispetto alla popolazione robotica dove raggiunge una media di 22,84).

Tuttavia è possibile apprezzare alcune discrepanze fra le due popolazioni in esame, che tuttavia non si traducono in una differenza statisticamente significativa.

Infatti se analizziamo l’anamnesi positiva per precedenti chirurgici addominali (sia laparotomici che laparoscopici), possiamo notare come nel sottogruppo laparoscopico aumenti considerevolmente la percentuale di paziente già sottoposti ad interventi chirurgici, che supera il 30%, a differenza del sottogruppo robotico, dove tale percentuale non raggiunge il 16%.

Allo stesso modo fra i pazienti operati con tecnica laparoscopica ben il 78% di questi è stato sottoposto a terapia neoadiuvante, mentre solo il 59,4% dei pazienti operati con tecnica robotica ha ricevuto chemio radioterapia preoperatoria.

Infine è possibile apprezzare alcune disomogeneità anche per la classificazione ASA, che può contribuire a darci un’idea sulla condizione clinica globale del paziente; infatti la percentuale dei pazienti ASA III è maggiore nel sottogruppo laparoscopico rispetto a quello robotico (23,1% LapTME vs 12,5% RobTME).

Queste considerazioni ci spingono a concludere che, nel nostro campione, il sottogruppo dei pazienti robotici abbia una serie di caratteristiche favorevoli rispetto al sottogruppo laparoscopico, sicuramente da un punto di vista antropometrico (BMI) e probabilmente anche clinico (precedenti chirurgici addominali, pregressa terapia neoadiuvante, classificazione ASA). Tale affermazione riflette verosimilmente un bias legato alla selezione dei pazienti, dal momento che presso il nostro centro vengono indirizzati alla chirurgia robotica preferenzialmente pazienti con un morfotipo più favorevole e con assenza di precedenti chirurgici addominali.

Per ciò che concerne l’analisi dei dati chirurgici intraoperatori un'altra differenza importante fra la tecnica laparoscopica e la tecnica robotica è data dalla durata complessiva dell’intervento chirurgico, con una durata media di circa 271 minuti per la laparoscopia versus 326 minuti della robotica.

Il riscontro nella nostra esperienza di una durata significativamente maggiore dell’atto chirurgico robotico è ampiamente in linea con la letteratura (48,52); in particolare secondo una ampia review

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sistematica pubblicata da Araujo (48) i tempi medi per una TME robotica spaziano in un range compreso fra 192 e 385 minuti contro i 158 – 297 minuti associati alla tecnica laparoscopica. Tuttavia alcuni (56) suggeriscono l’assenza di differenze statisticamente significative fra le due tecniche. È comunque lecito ipotizzare che tale gap venga progressivamente ridotto dai progressi tecnologici della chirurgia robotica, che appare in contino sviluppo.

Non vi è invece nessuna differenza per ciò che riguarda gli altri parametri: la tecnica di anastomosi per il ripristino della continuità digestiva (rispettivamente l’anastomosi transanale meccanica sec. Knight-Griffin 82% LapTME vs 90% RobTME e la coloanoanastomosi manuale 17,3% LapTME vs 9,3% RobTME), l’esecuzione della ileostomia laterale di protezione (che eseguiamo sistematicamente) e per la percentuale di conversione (che in entrambi i gruppi e pari a zero). Vari autori invece suggeriscono come la chirurgia robotica abbia una percentuale di conversione inferiore rispetto alla laparoscopia (48,56,54,51,55), dal momento che tale tecnica consente di minimizzare alcune limitazioni tecniche proprie della chirurgia laparoscopica convenzionale; altri invece non riportano differenze significative (57).

Sottolineiamo come noi approcciamo sistematicamente in modo mini-invasivo la chirurgia colon-rettale, per cui il riscontro di una percentuale di conversione pari a zero nella nostra casistica chirurgica è ascrivibile alla notevole esperienza dell’operatore piuttosto che alla selezione del campione.

Nella nostra casistica non esiste differenza statisticamente significativa nel numero di giorni di terapia intensiva necessari per il monitoraggio post-operatorio all’interno dei due gruppi, anche se vari autori suggeriscono che i pazienti operati con tecnica laparoscopica necessitino di un monitoraggio intensivo minore rispetto a quelli operati con tecnica robotica (84). Effettivamente nella nostra esperienza la durata media di degenza in UTI dei pazienti laparoscopici è inferiore (0.21 giorni LapTME vs 1.38 giorni RobTME), tuttavia tale differenza non risulta statisticamente significativa. Tale dato potrebbe essere correlato alla maggiore durata complessiva dell’intervento chirurgico e alla necessità di mantenere una posizione di Trendelembug pronunciata per maggiore tempo.

Per ciò che concerne i dati che riflettono il decorso post-operatorio e gli short-term outcomes clinici non esiste differenza statisticamente significativa fra i due gruppi nella nostra popolazione, e tali risultati sono in linea con la letteratura (56,43,48)

Del tutto sovrapponibili appaiono infatti i tempi di canalizzazione dalla ileostomia, che avviene mediamente in I° giornata post-operatoria (1.06 LapTME vs 1.00 RobTME), ed il numero di giorni necessari per rialimentarsi con dieta solida, che avviene mediamente tra la IV° e la V° giornata post-operatoria (4.54 LapTME vs 5.31 RobTME).

Anche la degenza complessiva appare simile nei due gruppi (7.52 LapTME versus 10.94 RobTME, mediana pari a 6 in entrambi i gruppi), infatti solitamente dimettiamo un paziente in VII° giornata post-operatoria. Tuttavia, come già accennato, i tempi di degenza risultano pesantemente influenzati da pochi pazienti che hanno avuto un decorso particolarmente lungo a causa di

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complicanze, infatti il valore della mediana risulta pari a 6 in entrambi i gruppi; ed allo stesso modo se analizziamo la percentuale di pazienti che viene dimesso entro la VII° giornata post-operatoria, osserviamo che ben il 77% dei pazienti laparoscopici ed il 72% dei pazienti robotici viene dimesso entro tale tempo.

Per la valutazione delle perdite ematiche riteniamo preferibile stimarle in base al numero di sacche che sono state in media trasfuse nei due gruppi ed al numero di pazienti che è stato necessario sottoporre ad emotrasfusione (indifferentemente sia in sede intra-operatoria che nel decorso post-operatorio). Infatti crediamo che tali parametri correlino meglio con l’impatto clinico causato dall’atto chirurgico, piuttosto che con la valutazione in base ai millilitri di sangue persi intra-operatoriamente adoperata da vari autori (54,55). Presso il nostro centro non trasfondiamo mai pazienti con valori di emoglobinemia superiori a 9 mg/dl e trasfondiamo sistematicamente pazienti con valori di emoglobinemia inferiori a 7 mg/dl; per valori intermedi l’indicazione alla trasfusione è data dalle condizioni cliniche del paziente.

Da questo punto di vista non abbiamo riscontrato differenze fra le due popolazioni né nel numero di pazienti sottoposti ad emotrasfusione (5.8% LapTMe vs 9.4% RobTME) né nel numero di sacche che sono state mediamente trasfuse (0.17 LapTME vs 0.41 RobTME); ciò si discosta da quello che è riportato da alcuni autori, che suggeriscono come la chirurgia robotica si associ a un minore perdita di sangue (54,55). Tuttavia i nostri dati sono concordanti con molti altri studi, che non hanno riscontrato nessuna differenza né in termini di millilitri di sangue persi intraoperatoriamente (48) né in termini di variazione dei livelli di emoglobinemia (57).

Per ciò che concerne le complicanze perioperatorie non sono riscontrabili differenze statisticamente significative fra le due popolazioni laparoscopica e robotica. Tali dati risultano ancora una volta ampiamente in linea con la letteratura (48). Inoltre in entrambi gruppi inoltre la mortalità peri operatoria è risultata pari a zero.

Se stratifichiamo il decorso dei nostri pazienti secondo la classificazione di Clavien-Dindo (82,83), possiamo osservare come non vi sia differenza nel numero di pazienti che ha avuto un decorso assolutamente regolare (71,2% LapTME vs 65,6% RobTME), nel numero di pazienti che ha avuto complicanze minori risolte con la sola terapia medica (19,2% LapTME vs 21,9% RobTME) e nel numero di pazienti in cui si è presentata una complicanza che ha reso necessario un management operativo, chirurgico o endoscopico (9,6% LapTME vs 12,5% RobTME).

Nello specifico non esiste differenza nel numero dei pazienti che hanno richiesto un reintervento chirurgico, sia per addome acuto che per anticipare la chiusura della ileostomia a (5,8% LapTME vs 12,5% RobTME).

In particolare fra i pazienti laparoscopici sono stati rioperati complessivamente tre pazienti (5,8%), di cui due per anticipare la chiusura di ileostomia a causa di eccessive perdite idro-elettrolitiche da alta portata mentre un paziente ha sviluppato un quadro di tipo occlusivo causato da un malfunzionamento dello stoma con stenosi dell’output.

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Fra i pazienti robotici invece sono stati rioperati complessivamente quattro pazienti (12,6%), di cui due per anticipare la chiusura di ileostomia (un paziente presentava un’alta portata dallo stoma mentre un altro aveva sviluppato un flemmone parietale correlato al malfunzionamento dello stoma), mentre altri due per addome acuto. Nello specifico un paziente è stato sottoposto a plurimi interventi chirurgici e laparostomie terminati con una colectomia subtotale ed ileostomia terminale per infarto intestinale (si segnala l’anamnesi positiva per sindrome mieloproliferativa cronica); mentre un altro paziente è stato sottoposto a revisione laparoscopica dell’emostasi in II° giornata post-operatoria per emoperitoneo, quindi rioperato dopo quattro giorni per deiescenza dell’anastomosi colorettale. Il paziente è stato quindi sottoposto a resezione del colon terminale e del moncone rettale laparotomica con confezionamento di pull-trough, che è stato successivamente recensito una volta che il quadro clinico si era stabilizzato con confezionamento di una coloanoanstomosi manuale.

Riteniamo comunque che il malfunzionamento della ileostomia rappresenti un evento idiosincrasico ed imprevedibile, indipendente dalla tecnica laparoscopica o robotica.

Anche tra le complicanze gestite in modo conservativo (medico o endoscopico) non si apprezzano differenze statisticamente significative fra le due popolazioni in esame.

Le complicanze di tipo infettivo hanno interessato complessivamente otto pazienti (9,6% LapTME vs 9,4% RobTME). All’interno del gruppo laparoscopico un paziente ha contratto una polmonite, un altro una infezione delle vie urinarie e altri tre pazienti hanno presentato iperpiressia; in questo ultimo sottogruppo gli accertamenti diagnostici di primo livello (rx torace, ecografia addome ed urinocoltura) sono risultati negativi ed il quadro clinico è andato incontro a risoluzione dopo antibioticoterapia senza necessità di provvedere ad ulteriore indagini. Fra i pazienti robotici invece un paziente ha presentato una sepsi da Klebsiella pneumoniae (precisamente il paziente plurioperato per infarto intestinale), mentre gli altri due pazienti hanno avuto iperpiressia. Tutti questi casi sono stati gestiti con successo esclusivamente mediante l’impostazione di antibioticoterapia empirica o mirata.

Sottolineiamo che in nessun paziente, al di fuori del paziente rioperato, si è sviluppata una deiscenza dell’anastomosi o la formazione di una raccolta ascessuale addominale clinicamente evidente durante la degenza. Inoltre in nessun caso è stato necessario eseguire procedure interventistiche di drenaggio percutaneo.

Altra complicanza rilevante è quella di tipo emorragico (5,8% LapTME vs 9,4% RobTME). Nella nostra esperienza ad eccezione di un paziente appartenente al gruppo robotico che ha presentato un sanguinamento patologico intraperitoneale ed endoluminale autorisoltosi e trattato con emotrasfusioni, tutti gli altri sanguinamenti (tre pazienti laparoscopici e due pazienti robotici) sono stati sanguinamenti digestivi a partenza dall’anastomosi. In due pazienti (uno laparoscopico e uno robotico) il quadro è andato incontro a risoluzione spontanea, mentre negli altri tre casi il management è stato di tipo endoscopico, infatti in tale eventualità eseguiamo una rettoscopia al fine di eseguire emostasi endoscopica di sanguinamenti attivi mediante clip o infiltrazione con adrenalina.

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L’alta portata dalla ileostomia costituisce una parte importante delle complicazioni nella nostra popolazione, interessando due pazienti laparoscopici e tre robotici (3,8% LapTME vs 9,4% RobTME). Tale problematica ha richiesto un’aumentata infusione endovenosa di cristalloidi ed un tempestivo reintegro elettrolitico fino alla normalizzazione dell’output dello stoma.

Due pazienti laparoscopici e due robotici (3,8% LapTME vs 6,3% RobTME) invece hanno presentato un quadro ascrivibile ad ileo paralitico, con distensione addominale, necessità di riposizionamento di SNG (che noi leviamo sistematicamente in sala operatoria al momento del risveglio) e non efficace canalizzazione dalla ileostomia (che comunque raramente ha portata pari a zero).

Occasionalmente tuttavia abbiamo osservato nella nostra popolazione un quadro misto fra queste ultime due forme, in cui si passa in modo alternante da un’aumentata portata dello stoma ad un quadro di ileo, oppure contemporaneamente si assiste ad un’alta portata dello stoma con importante ristagno gastrico. Per tale motivo non è sempre agevole distinguere fra queste due situazioni, e tale quadro clinico potrebbe essere giustificato da una enterite o da una substenosi dello stoma. A prescindere dall’eziologia il fulcro centrale della terapia comunque in questi casi rimane essenzialmente lo stesso, ed è basato sul mantenimento dell’omeostasi idroelettrolitica con eventuale somministrazione di procinetici o addensanti fecali in base al quadro clinico.

Un solo paziente appartenente al gruppo laparoscopico (1,9% LapTME) ha presentato una tromboembolia polmonare subsegmentaria, trattata con eparina a basso peso molecolare a dosaggio terapeutico.

Se analizziamo le riammissioni entro trenta giorni dalla dimissione non esiste differenza statisticamente significativa fra i due gruppi. In particolare sono stati riammessi complessivamente sette pazienti, di cui due laparoscopici e cinque robotici (3,8% LapTME vs 15,7% RobTME). Fatta eccezione per un paziente laparoscopico riammesso per un episodio di rettorragia andato incontro a risoluzione spontanea ed un paziente robotico riammesso per iperpiressia da infezione delle vie urinarie risolta con antibioticoterapia, tutti gli altri pazienti sono stati riammessi per problematiche correlate alla ileostomia (tutti quadri di sub-occlusione intestinale da malfunzionamento dello stoma ed un solo paziente per modesta insufficienza pre-renale da alto output dello stoma). In nessun caso è stato necessario eseguire un intervento chirurgico urgente, ma l’ottimizzazione del bilancio idro-elettrolitico ha sempre consentito l’esecuzione della rettoscopia e del clisma opaco, al fine di procedere alla ricanalizzazione intestinale in piena sicurezza.

Per verificare la presenza di eventuali complicanze anastomotiche misconosciute perché protette dall’ileostomia, abbiamo analizzato i dati relativi alla ricanalizzazione intestinale. Infatti la rettoscopia ed il clisma opaco, che noi eseguiamo sistematicamente, hanno evidenziato quattro deiscenze o leakage anastomotiche (LA), rispettivamente due nel gruppo laparoscopico e due nel gruppo robotico (3,8% LapTME vs 6,3% RobTME). Tutti questi LA risultavano clinicamente asintomatici, e non hanno richiesto alcun trattamento se non il procrastinare l’intervento di chiusura dello stoma, che comunque è stato effettuato regolarmente, esitando in uno pseudodiverticolo anastomotico. In tutti gli altri pazienti gli accertamenti strumentali sono

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risultati nei limiti e si è potuto procedere alla ricanalizzazione entro novanta giorni dall’intervento senza complicazioni chirurgiche perioperatorie riferibili a problematiche dell’anastomosi colo-rettale o colo-anale.

Al di là di questi quattro pazienti solo altri otto pazienti sono stati ricanalizzati dopo novanta giorni (rispettivamente due robotici e sei laparoscopici), tutti per indicazioni di tipo oncologico a procrastinare l’intervento per eseguire terapia adiuvante o problemi clinici generali che controindicavano temporaneamente l’intervento chirurgico.

Solo i cinque pazienti che sono stati sottoposti a ricanalizzazione intestinale precoce per complicanze relative allo stoma sono stati ricanalizzati prima dei trenta giorni dall’intervento chirurgico; anche in questo caso tuttavia previa esclusione di problematiche anastomotiche mediante il consueto studio endoscopico e radiologico.

Sottolineiamo come nei quattro pazienti con deiscenza dell’anastomosi, solo in due il clisma opaco ha apprezzato la deiscenza, mentre la rettoscopia ha correttamente evidenziato la problematica in tutti e quattro i casi. Infatti anche se tradizionalmente il clisma opaco rappresenta l’indagine principe per lo studio dell’integrità dell’anastomosi, vari autori hanno più recentemente suggerito che questa metodica possa risultare superflua nel work-up routinario in considerazione della sensibilità non ottimale cui si associa e dell’assenza di informazioni aggiuntive rispetto alla clinica ed alla rettoscopia (85).

Indipendentemente dall’approccio open, laparoscopico o robotico, il LA rappresenta la principale complicanza correlata alla chirurgia colon-rettale. L’incidenza di tale complicanza è variabile, in base alla letteratura tuttavia interessa un numero di pazienti compreso fra il 3% ed oltre il 23% (86), con importante differenze fra i vari autori. Tali differenze potrebbero in parte essere collegate al tipo di classificazione che si intende usare, dal momento che le problematiche anastomotiche si correlano a quadri clinici che spaziano dalla deiscenza completa con addome acuto a leakage completamente asintomatici.

Inoltre contribuire a creare confusione su tale argomento l’assenza di una definizione oggettiva e facilmente applicabile di LA. Per tale motivo l’International study group of rectal cancer (ISGRC) ha proposto una definizione sulla base di una revisione critica della letteratura, definendo tale entità come un difetto della parete intestinale perianastomotica che esita in una comunicazione tra i compartimenti intra- ed extra-luminali; sottolineiamo che tale definizione include gli ascessi perianastomotici (87).

L’ISREC ha quindi proposto una classificazione dei LA, stratificando questi in tre categorie sulla base dell’impatto che hanno avuto sul management clinico. Nel grado A troviamo LA asintomatici e che non hanno richiesto alcun intervento terapeutico attivo, riscontrati solitamente durante il work-up preoperatorio propedeutico alla ricanalizzazione intestinale. Sono classificati come grado B i LA che hanno reso necessario un intervento terapeutico conservativo (medico o radiologico-interventistico). Tutti i LA che hanno richiesto un nuovo intervento chirurgico sono classificati come grado C (87).

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