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Trapianto polmonare: valutazione dell'Oto lung donor score e della predicted total lung capacity come indicatori dell'outcome dei riceventi a breve termine

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Indice

TRAPIANTO POLMONARE

pag 4 INTRODUZIONE pag 4 PANORAMICA GENERALE DEI TRAPIANTI POLMONARI NEL MONDO pag 5 PANORAMICA GENERALE DEI TRAPIANTI POLMONARI IN ITALIA pag 6 PRINCIPI PER L’INDICAZIONE AL TRAPIANTO DI POLMONE pag 11 SCELTA DEI CANDIDATI pag 11 CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE pag 12 CONTROINDICAZIONI RELATIVE pag 13 LISTA DI ATTESA pag 14 INDICAZIONI pag 14 PRINCIPALI COMPLICANZE pag 17 RIGETTO IPERACUTO pag 17

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COMPLICANZE DELLE VIE RESPIRATORIE pag 18 INFEZIONI pag 19 RIGETTO ACUTO pag 20 BRONCHIOLITE OBLITERANTE pag 22 SCELTA DEL RICEVENTE pag 23 SCELTA E GESTIONE DEL DONATORE pag 23 SCELTA DELLA PROCEDURA pag 25 SOPRAVVIVENZA pag 26

SELEZIONE E GESTIONE DEL DONATORE

pag 29 SELEZIONE DEL DONATORE pag 30 DIMENSIONI E SESSO pag 30 ETA’ DEL DONATORE pag 31 STORIA DI FUMO pag 33 CAUSA DEL DECESSO pag 34 VALUTAZIONE DELL’EVENTUALE DONATORE pag 36 AGENTI INFETTIVI pag 37 PATOLOGIA NEOPLASTICA pag 38 GESTIONE DEL DONATORE pag 40 MORTE CEREBRALE pag 41 EMODINAMICA pag 42 VENTILAZIONE pag 45

PRELIEVO E CONSERVAZIONE DEL POLMONE NEL QUADRO

DI UN PRELIEVO MULTIORGANO

pag 51

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INTRODUZIONE pag 51 RICEVIBILITA’ DI UN ORGANO pag 52 CRITERI CLASSICI DI ELEGGIBILITA’ DI UN POLMONE DA PRELEVARE (“DONATORE IDEALE”) pag 53 DONATORI LIMITE pag 54 ACCETTAZIONE DEFINITIVA DI UN ORGANO DA PARTE DELL’EQUIPE PRELEVANTE pag 55 CONSERVAZIONE DELL’ORGANO: OBIETTIVI, LIQUIDI, TECNICHE DI CONSERVAZIONE UTILIZZATI pag 56 LIQUIDI DI CONSERVAZIONE pag 57 TECNICHE DI PERFUSIONE DEL LIQUIDO DI CONSERVAZIONE pag 57 TECNICA DI PRELIEVO pag 58 GESTIONE DEL DONATORE DA PARTE DELLE DIVERSE EQUIPE PRELEVANTI pag 58 VALUTAZIONE INTRATORACICA PER VALIDARE IL PRELIEVO E DARE IL VIA ALL’INTERVENTO CHIRURGICO SUL RICEVENTE pag 59 PRELIEVO BIPOLMONARE pag 60 PRELIEVO BIPOLMONARE IN BLOCCO pag 64 SEPARAZIONE DEI POLMONI pag 66

VALUTAZIONE DELL’OTO LUNG DONOR SCORE E DELLA PREDICTED

TOTAL LUNG CAPACITY COME INDICATORI DELL’OUTCOME DEI

RICEVENTI A BREVE TERMINE

pag 68 MATERIALI E METODI pag 70 RISULTATI pag 76 CONCLUSIONI pag 85

BIBLIOGRAFIA

pag 87

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Trapianto polmonare

INTRODUZIONE

Il trapianto polmonare è un'opzione terapeutica per il trattamento di alcune patologie polmonari non neoplastiche avanzate. Tuttavia, il suo successo dipende da una selezione molto rigorosa di candidati, in modo che possano ottenere una soddisfacente sopravvivenza e una migliore qualità della vita postoperatoria. Il registro del 2016 dell’International Society of Heart and Lung Transplantation (ISHLT) ha registrato l’esecuzione di 55.795 trapianti di polmone nell’adulto e di 3.879 trapianti blocco cuore-polmone nell’adulto in tutto il mondo, fino al 30 giugno 2015.

Il numero molto più basso rispetto agli altri trapianti di organi solidi, come fegato, reni e cuore, è giustificabile con l’elevata complessità della procedura, con pochi centri al mondo qualificati

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per eseguirla, oltre alla difficoltà nel trovare donatori con polmoni che soddisfano i requisiti minimi per il loro utilizzo: a ciò è fatto fronte in parte con la minore ristrettezza dei criteri di selezione del donatore, con i protocolli di gestione dello stesso che preservano e ottimizzano la funzione polmonare e lo sviluppo di tecniche ex-vivo di perfusione per "ricondizionare" organi non ottimali.

La sopravvivenza post-trapianto è costantemente migliorata, ma vincoli significativi sulla sopravvivenza a lungo termine persistono come evidenziato da un tasso di sopravvivenza mediana che attualmente è pari a 5,7 anni. Questo ha messo a fuoco la questione del se e per quali pazienti il trapianto in realtà conferisce un vantaggio di sopravvivenza, una domanda a cui, in assenza di studi clinici randomizzati, si può solo rispondere con un modello statistico. Il rigetto acuto, le infezioni e la Bronchiolite Obliterante sono complicanze comuni incontrate dal ricevente del trapianto del polmone e sono i principali ostacoli alla sopravvivenza a lungo termine.

PANORAMICA GENERALE DEI TRAPIANTI POLMONARI NEL MONDO

Il primo trapianto cardiopolmonare eseguito con successo nel mondo ha avuto luogo nel 1981 ed è stato condotto da una squadra della Stanford University. Nel 1983, il team dell'Università di Toronto, guidato dal Dr. Joel Cooper, ha eseguito con successo il primo trapianto di polmone singolo (trapianto unilaterale) in un paziente con fibrosi polmonare idiopatica (IPF), sopravvissuto per 6,5 anni. Nel 1986 fu eseguito il primo trapianto doppio e fu solo nel 1990 che

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fu eseguito il primo trapianto polmonare sequenziale bilaterale, la tecnica più usata oggi in tutto il mondo.

Circa il 30% dei trapianti polmonari è ancora unilaterale (Figura 1). Nonostante una sopravvivenza globale inferiore rispetto al trapianto bilaterale, questa tecnica è ancora giustificata dalla possibilità di trapiantare due pazienti con un donatore, consentendo la riduzione della mortalità in lista d'attesa. Inoltre, per i pazienti di età superiore a 60 anni con altre comorbidità, un tempo operatorio più breve potrebbe significare una minore mortalità nel primo periodo postoperatorio. Figura 1 Grafico che mostra l'evoluzione del numero di trapianti bilaterali e unilaterali in tutto il mondo nel corso degli anni

PANORAMICA GENERALE DEI TRAPIANTI POLMONARI IN ITALIA

Il primo trapianto di polmone in Italia è stato eseguito nel 1991 al Policlinico Umberto I dell’Università di Roma La Sapienza, dall’equipe guidata dal Prof Costante Ricci.

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In questo momento sono tredici i centri autorizzati a eseguire il trapianto di polmone in Italia, in prevalenza situati al Nord (8). Quattro centri servono l’Italia centrale; uno solo, a Palermo, è situato al Sud.

Figura 2 Numero di trapianti polmonari in Italia dal 1992 al 2017

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Figura 3 Numero di trapianti polmonari per centro nel 2016 (fonte dati: Report CRT)

Alla data dell’8 febbraio 2017 sono un milione e 894.000 gli italiani che hanno espresso il loro consenso alla donazione generica di organi: 149.686 mediante registrazione presso le Asl, 415.333 mediante registrazione presso i Comuni e 1.329.150 mediante iscrizione all’Aido (Associazione italiana per la donazione di organi). Nello stesso periodo il flusso delle liste d’attesa per un trapianto di polmone in Italia offre questo scenario: su 571 pazienti in lista nel 2016 si registrano 147 trapianti, con purtroppo 56 decessi di soggetti in attesa durante l’annata. Ciò significa che al termine dell’anno ancora 346 pazienti sono rimasti in attesa di trapianto (22 persone sono uscite dalle liste per motivi non significativi). Il grafico seguente mostro l’andamento nell’anno 2017.

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Figura 4 Flussi in lista d’attesa nell’anno solare 2017

Figura 5 Liste di attesa al 31/12/2017

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Figura 6 Andamento % delle liste di attesa e dei trapianti – confronto fra 2015 e 2016 Figura 7 Andamento delle liste di attesa dal 2002 al 2017

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PRINCIPI PER L'INDICAZIONE AL TRAPIANTO DI POLMONE

SCELTA DEI CANDIDATI

Parallelamente all'aumento del numero di trapianti eseguiti in tutto il mondo e dell’aumento della sopravvivenza complessiva dei pazienti trapiantati, vi è una crescente domanda di pazienti candidabili al trattamento, che porta ad un aumento sproporzionato dei pazienti in lista d'attesa, e conseguente maggiore mortalità tra loro, considerando la relativa scarsità di organi per la donazione. Pertanto, la selezione dei candidati per il trapianto dovrebbe essere molto severa per far si che a beneficiarne siano gli individui con possibilità di una maggiore sopravvivenza a lungo termine. Il trapianto di polmone può essere indicato per i pazienti con malattia polmonare avanzata e quelli in progressione, nonostante tutte le terapie cliniche e chirurgiche, e che hanno una ridotta aspettativa di vita. Inoltre, i candidati devono dimostrare la conoscenza della procedura, la buona conformità al trattamento medico fornito e un'adeguata struttura psicosociale e supporto familiare. È importante che il paziente sia consapevole del fatto che il trattamento fornisce una migliore qualità della vita e una più lunga aspettativa di vita, ma non è curativo. È uno scambio di una grave malattia polmonare con uno stato di immunosoppressione cronica e le sue possibili complicanze per tutta la vita.

Prendendo in considerazione il fatto che si tratta di una forma di terapia con alti livelli di mortalità, si dovrebbe ricordare che il candidato ideale per il trapianto è un giovane paziente, con malattia polmonare avanzata e assenza di malattie in altri organi e sistemi, con una buona possibilità di sopravvivenza immediata e a lungo termine. Un'adeguata valutazione delle controindicazioni contribuisce a ridurre l'insorgenza di esiti clinici sfavorevoli non correlati

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all'innesto, a vantaggio dei pazienti con maggiori possibilità di successo e, quindi, a migliorare la sopravvivenza globale con il trattamento. CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE: - Storia di neoplasie trattate negli ultimi due anni (ad eccezione delle neoplasie cutanee non melanoma)

- Carcinoma polmonare: sebbene vi siano segnalazioni sull'uso del trapianto come trattamento chirurgico per carcinoma polmonare, attualmente non è raccomandato a causa degli alti livelli di recidiva sistemica

- disfunzione cardiaca non correlata alla malattia polmonare, caratterizzata da significativa disfunzione ventricolare sinistra o insufficienza coronarica non trattabile per via percutanea; alcuni centri ammettono le prestazioni della chirurgia di rivascolarizzazione miocardica contemporaneamente al trapianto

- Disfunzione significativa di qualsiasi altro organo nobile (cervello, reni e fegato) verificata dalla storia clinica e test per la valutazione specifica di ciascun organo

- Infezioni da virus dell'epatite B e C senza controllo con il trattamento specifico e con evidenza istologica di danno epatico significativo - Tubercolosi polmonare attiva - Dipendenza da tabacco, alcol, narcotici, sostanze psicoattive o cessazione meno di sei mesi prima - Grave malattia psichiatrica senza controllo o non trattabile, che potrebbe interferire con la compliance al trattamento - Mancanza di conformità al trattamento medico proposto (paziente non compliante).

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- Mancanza di sostegno sociale e familiare - Grave deformità della gabbia toracica.

CONTROINDICAZIONI RELATIVE:

- Età oltre 65 anni: non deve essere considerato una controindicazione assoluta, ma la sopravvivenza dopo i 60 anni e, soprattutto dopo 65 anni, è più alta, soprattutto a causa delle comorbidità presentate dai pazienti e scarsa riserva sistemica a vari insulti (chirurgia, rene e disfunzione cardiaca, sepsi). La somma di questi fattori con l'età di solito corrobora la controindicazione

- Instabilità clinica grave (intubazione orotracheale, membrana extracorporea, sepsi, disfunzioni organiche acute, embolia polmonare).

- Grave limitazione funzionale dei muscoli periferici con incapacità di eseguire la riabilitazione ambulatoriale

- Colonizzazione da agenti infettivi difficili da trattare (ad es. Burkholderia cenocepacia, Mycobacterium abcessus)

- Infezioni da virus HIV (alcuni centri trapiantano i pazienti con il virus, purché presentino una buona compliance alla terapia antivirale e abbiano una carica virale non rilevabile)

- Obesità o grave malnutrizione - Osteoporosi severa o sintomatica

- Altre malattie sistemiche non adeguatamente controllate come diabete mellito, ipertensione arteriosa, malattia da reflusso gastroesofageo, disturbi del tessuto connettivo.

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LISTA DI ATTESA

Il momento dell'inclusione nella lista d'attesa del trapianto dovrebbe avvenire quando l'affezione polmonare ha raggiunto un livello invalidante e potenzialmente pericoloso per il paziente, tale da considerare la sopravvivenza con il trapianto statisticamente più probabile della sopravvivenza senza. Questa raccomandazione della International Society of Heart and Lung Transplantation (ISHLT) si basa principalmente su dati provenienti da paesi in cui il tempo trascorso in una lista di attesa fino al trapianto effettivo varia da tre a sei mesi. I dati attuali del Centro Nazionale Trapianti mostrano un tempo medio di attesa di 1,1 anni. Quindi, il momento di riferimento al centro trapianti, dovrebbe essere il più precoce possibile in un paziente con malattia polmonare cronica che presenta un peggioramento clinico e funzionale. Dobbiamo ricordare che le malattie polmonari croniche sono eterogenee nella presentazione clinica e nel declino funzionale. Pertanto, i pazienti con fibrosi polmonare idiopatica e fibrosi cistica dovrebbero essere indirizzati prima rispetto a quelli con malattia polmonare ostruttiva cronica, in quanto quest'ultimo gruppo presenta un'evoluzione più lenta e un tempo di sopravvivenza maggiore negli stadi più avanzati della malattia rispetto al precedente gruppo. INDICAZIONI A causa dell'assenza di studi con un numero elevato di pazienti specifici per questo argomento, le attuali raccomandazioni si basano su registri internazionali e opinioni di specialisti. I criteri di indicazione non possono essere generalizzati, a causa dell'eterogeneità dei caratteri clinici delle malattie polmonari che rappresentano le indicazioni per il trapianto. L'indicazione per un

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trapianto non dovrebbe basarsi su un solo fattore, ma su un insieme di caratteristiche cliniche, laboratoriali e funzionali. In generale, le principali indicazioni al trapianto polmonare nel mondo sono rappresentate dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) nel 34% dei casi; IPF nel 24%; fibrosi cistica (CF) nel 17%; deficit di alfa-1-antitripsina (alfa-1) nel 6%; ipertensione arteriosa polmonare idiopatica (IPAH) nel 3%; fibrosi polmonare (non-IPF) nel 4%; bronchiectasie nel 3%; retrapianto nel 2,6%; e sarcoidosi nel 2,5% (Figura 2). Altre indicazioni per il trapianto di polmone includono malattie del tessuto connettivo, bronchiolite costrittiva, linfangioleiomiomatosi, ipertensione polmonare secondaria a cardiopatie congenite (in cui il difetto cardiaco ha subito una correzione tardiva o che può essere corretta al momento del trapianto), istiocitosi a cellule di Langerhans e altri. I grafici seguenti descrivono le indicazioni specifiche per le principali patologie di base. Figura 8 Numero di trapianti polmonari adulti per le principali indicazioni diagnostiche primarie e anno di trapianto (trapianti: dal 1990 al 2014). CF, bronchiectasie associate a fibrosi cistica; IIP, polmonite interstiziale idiopatica; ILD, malattia polmonare interstiziale; BPCO senza A1ATD, malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO) senza deficienza di α1-antitripsina (A1ATD).

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Figura 9 Criteri per l’indicazione al trapianto come da specifica malattia

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PRINCIPALI COMPLICANZE

RIGETTO IPERACUTO

Per rigetto iperacuto s’intende quella condizione caratterizzata dallo sviluppo di edema polmonare non cardiogeno che si forma entro le 72 ore dal trapianto in assenza di cause secondarie identificabili. Il rigetto iperacuto è presunto essere una conseguenza del danno da ischemia-riperfusione, ma, ad esempio, il trauma chirurgico o la rottura linfatica possono essere fattori che ne contribuiscono la realizzazione. È’ stato identificato un certo numero di fattori di rischio per lo sviluppo del rigetto iperacuto: i fattori di rischio relativi al donatore includono il sesso femminile, la razza afro-americana, l'età più avanzata e un basso rapporto PaO2/FIO2. Un livello elevato di interleukina 8 nel liquido di lavaggio broncoalveolare recuperato dal donatore è stato associato allo sviluppo di rigetto iperacuto, sostenendo la tesi che eventi infiammatori che precedono l'espianto possano svolgere un ruolo in questo tipo di complicanza. Anche il tempo ischemico può diventare un fattore di rischio per rigetto iperacuto, ma solo quando supera una certa soglia: in letteratura questa è indicata con 6 ore. La diagnosi del rigetto iperacuto è basata sulla presenza radiografica di opacità dell'organo entro le 72 ore dal trapianto, ipossiemia e dall'esclusione di cause secondarie, come il sovraccarico di volume, la polmonite, l'atelettasia o l'ostruzione del flusso venoso polmonare. Un sistema di classificazione viene comunemente utilizzato per classificare la gravità del rigetto in base al rapporto PaO2/FIO2. Nella maggior parte dei casi, il processo è lieve e transitorio, ma in circa il 10-20% dei casi, l'insulto è sufficientemente grave da provocare severa ipossiemia (PaO2/FIO2 = 200; Grado 3) e un decorso clinico analogo a una sindrome da distress respiratorio acuto. Il

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trattamento di un importante rigetto iperacuto consiste nella regolazione della ventilazione meccanica (strategia di ventilazione protettiva), nella riduzione di pressione polmonare, l’uso di ossido nitrico, nella gestione volemica ed emodinamica e, in casi molto gravi, nell’uso di supporto extracorporeo come l'ECMO (ossigenazione della membrana extracorporea). Lo sviluppo di nuove tecnologie legate al supporto extracorporeo è stato fondamentale per migliorare la sopravvivenza perioperatoria ottenuta nell'ultimo decennio. Il rigetto iperacuto è una delle principali cause di morte nel periodo perioperatorio, con tassi di mortalità a breve termine tra il 30 e il 40% . Il rischio di morte rimane comunque elevato anche oltre il primo anno, suggerendo che le conseguenze negative del rigetto iperacuto persistono ben oltre la risoluzione dell'evento acuto.

COMPLICANZE DELLE VIE RESPIRATORIE

La complicanza più comune delle vie respiratorie è la stenosi bronchiale, che può verificarsi distalmente all'anastomosi, e che nella maggior parte dei casi é una manifestazione ritardata di un insulto ischemico iniziale. Il restringimento è più comunemente dovuto a stenosi fibrotiche, ma la broncomalacia o una presenza eccessiva di tessuto di granulazione possono essere fattori predisponenti. Il restringimento delle vie aeree si sviluppa tipicamente settimane o mesi dopo il trapianto. Può essere clinicamente silente o contrassegnato da dispnea focale, attacchi ricorrenti di polmonite o bronchite purulenta. La broncoscopia conferma la diagnosi e permette interventi terapeutici, tra cui la dilatazione con palloncino, lo sbrigliamento laser, la brachiterapia endobronchiale.

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INFEZIONI

L'infezione è una minaccia sempre presente nel ricevente ed é la principale causa di morte precoce e tardiva. La polmonite batterica è di gran lunga la più frequente infezione, con un'incidenza di picco nel primo mese dal trapianto. Sono i fattori correlati al ricevente che favoriscono maggiormente questa complicanza e questi includono lo stato immunosoppresso del destinatario, la necessità di un supporto ventilatorio meccanico prolungato, l'interruzione chirurgica dei vasi linfatici, l'aspirazione legata alla disfunzione postoperatoria di deglutizione e all'alterata clearance mucociliare, associati a lesioni ischemiche delle vie aeree. P. aeruginosa è l'organismo predominante, seguita da Staphylococcus aureus. Citomegalovirus (CMV) è l'agente patogeno virale più comunemente incontrato dopo il trapianto del polmone. Anche con misure profilattiche standard, fino a un terzo dei destinatari del trapianto di polmone è a rischio di sviluppare malattia da CMV entro il primo anno. Destinatari sieronegativi che acquisiscono gli organi da donatori sieropositivi sono più a rischio per lo sviluppo di questa infezione. La malattia da CMV può presentarsi come una mononucleosi, con malessere e leucopenia, o come infezione invasiva del tessuto del polmone, del tratto gastrointestinale o del sistema nervoso centrale. Il trattamento standard dell'infezione da CMV consiste di ganciclovir o, nei casi più lievi, valganciclovir orale, somministrati per un minimo di 2 o 3 settimane e idealmente fino alla documentazione di due dosaggi consecutivi negativi della carica virale. L'aggiunta di globuline iperimmuni al CMV è di chiaro beneficio ma dovrebbe essere considerata nel solo trattamento della malattia severa. Numerosi studi prospettici e randomizzati hanno documentato l'efficacia della profilassi antivirale nel ridurre l'incidenza e la severità della malattia da CMV nei riceventi. Altro consueto patogeno opportunista nei riceventi è l'Aspergillo. L'infezione può coinvolgere le

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vie aeree, il parenchima polmonare o può essere extrapolmonare. Le infezioni delle vie respiratorie si verificano in circa il 5% dei riceventi, in genere entro i primi 6 mesi dal trapianto. Le infezioni delle vie respiratorie sono spesso asintomatiche e riconosciute solo da una broncoscopia di controllo. Radiograficamente, l'aspergillosi polmonare può apparire come singola o multiple nodulazioni o cavità opache o come consolidazioni alveolari. La diagnosi di aspergillosi polmonare può essere problematica: il medico deve decidere se la clinica è sufficientemente indicativa per giustificare l'inizio di una terapia antimicotica o se la conferma bioptica è necessaria. Il Voriconazolo è il cardine della terapia per l'aspergillosi invasiva.

RIGETTO ACUTO

Il 36% dei destinatari di trapianto di polmone presenta almeno un episodio di rigetto acuto cellulare (ACR), entro il primo anno. Oltre il primo anno, l'incidenza di ACR diminuisce notevolmente. Il rigetto acuto può essere clinicamente silente nel 40% dei casi. Quando è presente, le manifestazioni cliniche includono malessere, febbricola, dispnea, tosse e leucocitosi. Un declino nell'ossigenazione e/o dei parametri spirometrici e la presenza di opacità all'Rx del torace o alla TC forniscono indizi supplementari, seppur aspecifici. La biopsia transbronchiale del polmone è il gold standard per la diagnosi. La caratteristica istologica dell'ACR è la presenza di infiltrati linfocitari perivascolari che, nei casi più gravi, si estendono all'interstizio adiacente e agli spazi aerei alveolari. Un sistema di classificazione istologica è stato universalmente adottato per la gravità del ACR, con una scala da 0 (assente) a 4 (grave). Il trattamento convenzionale del ACR è costituito dall'infusione per 3 giorni di SoluMedrol endovena, spesso seguito dalla somministrazione di prednisone. Nella maggior parte dei casi,

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questo si traduce in un rapido miglioramento nei sintomi, della funzione polmonare e delle anomalie radiografiche. Pazienti asintomatici con minimo rigetto (A1) vengono generalmente non trattati, ma i dati dimostrano progressione a un grado superiore di ACR in un quarto dei casi. Stanno emergendo prove per una seconda forma di rigetto acuto, mediata da alloanticorpi anti-HLA donatore specifico. Il quadro clinico può essere indistinguibile dal ACR, con dispnea, ipossiemia e diffusa opacità radiografica. I criteri diagnostici suggeriti per il rigetto acuto anticorpo-mediata sono: (1) la presenza in circolo gli anticorpi anti-HLA donatore specifico, (2) evidenza sito patologica di capillarite e (3) la deposizione delle cellule endoteliali C4d. Meno di metà dei pazienti ha risposto ai soli corticosteroidi; l'aggiunta della plasmaferesi è favorevole nella maggior parte dei casi steroido-refrattaria. La prevenzione del rigetto cellulare acuto viene effettuata con la combinazione di tre farmaci: corticosteroidi, un inibitore della calcineurina (ciclosporina o tacrolimus) e un inibitore del ciclo cellulare (azatioprina o micofenolato). Questa combinazione di farmaci dovrebbe essere mantenuta durante il resto della vita del paziente, a meno che non vi sia un qualche tipo di complicazione che giustifica la sua sospensione. Per i pazienti che evolvono con insufficienza renale cronica correlata all'uso di inibitore della calcineurina, un'opzione è l'uso di inibitori mTOR (sirolimus o everolimus).

BRONCHIOLITE OBLITERANTE

La Bronchiolite obliterante severa rappresenta l'impedimento maggiore per la sopravvivenza a lungo termine. È’ un processo fibroproliferativo che restringe e, infine, oblitera il lume delle piccole vie aeree, con conseguente ostruzione del flusso d'aria progressivo e in gran parte

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irreversibile. Circa il 50% dei destinatari del trapianto di polmone sviluppa BOS a 5 anni e il 75% a 10 anni. Il BOS è caratterizzato da una caduta del FEV1 di almeno il 20% rispetto al basale post-trapianto. Il rigetto acuto e la bronchiolite linfocitaria sono stati costantemente identificati come i principali fattori di rischio per lo sviluppo di BOS, favorendo la tesi che la BOS sia una manifestazione di rigetto cronico. L'esordio della BOS avviene entro i primi 2 anni dopo il trapianto da un terzo fino alla metà dei casi. Il declino di FEV1 che annuncia l'inizio della BOS può essere graduale o improvvisa. La perdita di peso, la dispnea, la tosse e gli attacchi ricorrenti di bronchite purulenta, con riscontro di P. aeruginosa nelle espettoratocolture, rappresentano le caratteristiche cliniche. Le radiografie del torace sono solitamente non diagnostiche, ma una TC ad alta risoluzione dimostra comunemente l'intrappolamento dell'aria o le bronchiectasie. La storia naturale del BOS è altamente variabile; quelli con esordio precoce e veloce generalmente mostrano un più rapido declino della funzione polmonare e una mortalità più elevata. La sopravvivenza mediana dalla diagnosi è fra i 1,5 anni e i 2,5 anni. La strategia di trattamento fino ad ora adottata é l'aumento di immunosoppressione, ma i benefici di tale approccio sono discutibili e il rischio di infezione è considerevole. Più recentemente, é stato prospettato un possibile ruolo terapeutico dei macrolidi, i cui potenziali benefici sono dovuti alla loro capacità di sopprimere l'infiammazione delle vie aeree. La fundoplicatio chirurgica per controllare il reflusso gastroesofageo è stata associata ad un miglioramento della funzione polmonare in alcuni pazienti con BOS. Il ritrapianto rimane il trattamento definitivo solo per i casi avanzati di BOS: l'identificazione precoce di riceventi con reflusso gastroesofageo e la correzione aggressiva con fundoplicatio può ritardare o prevenire l'insorgenza di BOS.

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SCELTA DEL RICEVENTE

Le regole per l'allocazione degli organi variano tra i diversi paesi, ma comunemente riguardano una classifica basata sul tempo o sulle necessità dei candidati in lista d'attesa, o più spesso una combinazione dei due. Un sistema di allocazione del polmone è stato implementato negli Stati Uniti nel 2005 che destina i polmoni sulla base sia dell'urgenza medica (cioè, il rischio di morte senza un trapianto) che sul “beneficio netto del trapianto” (cioè, la misura a cui si estenderà la sopravvivenza post-trapianto). Questo sistema tenta di evitare di destinare gli organi di un donatore marginale ai candidati marginali, quindi con un tasso di mortalità post-trapianto inaccettabilmente elevato. Il tempo medio di attesa, che variava dai 2 a 3 anni nell'ambito del sistema di allocazione basato sul tempo, è diminuita a meno di 200 giorni, e un quarto dei pazienti è in attesa da meno di 35 giorni. Soprattutto, c'è stata una significativa riduzione del tasso di mortalità dei pazienti in lista d'attesa. La percentuale di pazienti in terapia intensiva al momento del trapianto è quasi triplicato a circa il 9%.

SCELTA E GESTIONE DEL DONATORE

I polmoni di un donatore di organi cerebralmente morto sono sensibili a vari insulti, tra cui il sovraccarico di volume, il danno polmonare acuto, la contusione, l'aspirazione e la polmonite, così come le conseguenze del fumo. Per evitare l'impianto di polmoni compromessi, i criteri di selezione sono stati stabiliti quasi 30 anni fa e ancora oggi definiscono il donatore di polmone "standard". La maggior parte dei donatori di organi però non risponde a questi criteri, che portano il tasso di trapiantabilitá del polmone a soltanto il 15-25% di tutti i donatori, il più basso

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fra i principali organi trapiantabili. E' opinione comune che questi criteri standard siano, infatti, troppo severi: evidenze in questo senso provengono dalla letteratura recente, in cui i risultati con donatori dai criteri estesi sono simili a quelli ottenuti con donatori che soddisfano i criteri standard. L'utilizzo di protocolli di gestione del donatore su misura per il polmone, che coinvolgono un'oculata gestione dei fluidi, una broncoscopia terapeutica e manovre di reclutamento del polmone hanno dimostrato di migliorare i tassi di raccolta del polmone, in gran parte, migliorando i parametri di ossigenazione in donatori inizialmente inadatti. Lo sviluppo di sistemi di perfusione ex-vivo per ricondizionare polmoni altrimenti non idonei al trapianto, prima dell'impianto, aggiunge un nuovo aspetto alla gestione del donatore. Quello che viene perfuso nell'organo è un siero ipertonico che richiama il liquido nello spazio extra vascolare e conduce alla disidratazione i polmoni edematosi. Anche se attualmente tale tecnica è disponibile soltanto in un piccolo numero di centri, la perfusione ex-vivo ha significativamente dimostrato di migliorare l'ossigenazione e di permettere la riuscita di un trapianto di polmoni inizialmente ritenuti inadatti. La carenza di organi ha alimentato inoltre la ricerca di donatori alternativi ai pazienti cerebralmente morti. Una fonte emergente è quella dei donatori dopo morte cardiaca (DCD) (noto anche come donatore a cuore non battente) con cessazione del supporto vitale in sala operatoria. I primi risultati con l'utilizzo di questi donatori sono stati promettenti, con sopravvivenza a breve e medio termine simile a quella connessa con l'uso di donatori convenzionali cerebralmente morti.

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SCELTA DELLA PROCEDURA

Il trapianto di polmone singolo (SLTX) e il trapianto polmonare bilaterale (BLTX) costituiscono attualmente oltre il 97% di tutte le procedure eseguite nel mondo. Il trapianto singolo offre un uso più efficiente del gruppo limitato dei donatori ed è meglio tollerato dai pazienti fragili, ma fornisce una riserva funzionale ridotta rispetto al trapianto bilaterale, e i risultati possono essere ostacolati da complicanze che interessano il polmone nativo. Il trapianto cuore-polmone (HLTX), storicamente la prima procedura che ha raggiunto risultati positivi, ora rappresenta meno del 3% di tutte le procedure e il suo utilizzo è limitato in gran parte ai pazienti con la sindrome di Eisenmenger con difetti cardiaci chirurgicamente non correggibili. In rari casi, l’HLTX è utilizzato per i pazienti con malattia polmonare avanzata e che presentano contemporaneamente disfunzione ventricolare severa di sinistra o una coronaropatia estesa. Una quarta tecnica è rappresentata dal trapianto da donatore vivente di due lobi polmonari, introdotta nel 1990 principalmente come un mezzo per garantire il trapianto a quei candidati molto malati per i quali non era ritenuta possibile un'attesa prolungata per un donatore cadaverico. Tale procedura però è stata abbandonata e dal 2005 sono stati segnalati solo nove trapianti bilobari da donatore vivente negli Stati Uniti. Nella scelta tra SLT e BLT, è la malattia sottostante ad essere determinante. Il BLT è la procedura esclusiva per i pazienti affetti da FC e dalle altre forme di malattie polmonari suppurative a causa delle possibili complicanze che la permanenza di un polmone cronicamente infetto, come avviene nel caso di un SLT, può sviluppare. La scelta della procedura nei pazienti affetti da BPCO e IPF rimane una questione di dibattito: storicamente, il SLT era la procedura predominante per entrambe le malattie, ma il BLT ora rappresenta i due terzi di tutte le procedure per la BPCO e poco più di metà delle procedure

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eseguite per IPF. Nel caso dei pazienti con BPCO, questo cambiamento può essere spiegato dai recenti risultati in letteratura secondo i quali il BLT porta ad una sopravvivenza più lunga rispetto a SLT (il vantaggio di sopravvivenza rettificato va dal 4 al 6,3% a 5 anni). È invece più difficile identificare una convincente spiegazione razionale per l'uso aumentato del BLT nei pazienti con IPF. In uno studio dal campione molto ampio, Thabut e colleghi hanno analizzato i risultati di 3.327 pazienti con IPF sottoposti SLT o BLT negli Stati Uniti tra il 1987 e il 2009: gli autori non hanno trovato alcuna differenza nella sopravvivenza tra destinatari di SLT e di BLT. Ciò è verosimilmente dovuto alla compensazione degli effetti: un aumento del rischio relativo di morte con BLT nel periodo postoperatorio precoce, seguita da un ridotto rischio relativo di morte diversi anni dopo il trapianto.

SOPRAVVIVENZA

Secondo il registro ISHLT del 2013, gli adulti sottoposti a trapianto polmonare hanno avuto una sopravvivenza mediana di 5,6 anni. L'81% delle persone sopravvive almeno un anno dopo il trapianto di polmone. Dopo tre anni, tra il 55% e il 70% di quelli che ricevono trapianti di polmone sono vivi, con la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a trapianto bilaterale (sopravvivenza mediana di 6,9 anni) superiore rispetto ai trapianti unilaterali (sopravvivenza mediana di 4,6 anni). L'età al momento del trapianto è il fattore più importante che influenza la sopravvivenza del trapianto polmonare.

Gli adulti sottoposti a trapianto di polmone tra gennaio 1990 e giugno 2014 (N = 49.453) avevano una sopravvivenza mediana di 5,8 anni, con tassi di sopravvivenza non aggiustati

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dell'89% a 3 mesi, 80% a 1 anno, 65% a 3 anni, 54% a 5 anni e 32% a 10 anni. I pazienti che sopravvivevano 1 anno dopo il trapianto avevano una sopravvivenza mediana condizionale di 8,0 anni.

La sopravvivenza varia anche in base alla malattia di base e la migliore aspettativa di vita, sia a breve che a lungo termine, è per i pazienti con CF (sopravvivenza media di 8,9 anni). Si ritiene che la migliore sopravvivenza di questi pazienti sia dovuta al fatto che sono giovani, e dal momento che sono stati ammalati dalla loro nascita, acquisiscono una cultura della compliance al trattamento e hanno un sostegno familiare per la loro condizione (che è cruciale per questi pazienti sopravvivono durante gli anni pretrapianto), il che ha facilitato il rigoroso trattamento post-trapianto. La peggiore sopravvivenza perioperatoria è stata osservata in pazienti con ipertensione arteriosa polmonare (idiopatica o secondaria), a causa della disfunzione del ventricolo destro che può peggiorare nei primi giorni post-trapianto e migliora completamente durante le prime settimane, e al rischio aumentato di gravi disfunzioni dell’organo trapiantato, che spesso porta alla necessità di utilizzare l'ECMO, come accennato in precedenza. In entrambi i casi, questo gruppo di pazienti ha la seconda migliore sopravvivenza in 10 e 15 anni dopo il trapianto, giustificando l'indicazione della procedura. La sopravvivenza del trapianto polmonare bilaterale tende ad essere superiore a quella del trapianto cuore-polmone combinato per i pazienti con ipertensione arteriosa polmonare idiopatica (IHAP), anche con grave dilatazione e disfunzione del ventricolo destro nella fase preoperatoria.

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Figura 10 Andamento della sopravvivenza dopo trapianto polmonare per malattia di base e sopravvivenza media per malattia di base

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Selezione e gestione del donatore

I progressi nella selezione dei donatori, nella loro gestione e nelle tecniche chirurgiche hanno contribuito a migliorare il tasso di sopravvivenza a 1 anno, che attualmente supera l'81% in tutto il mondo, rispetto al 45% circa dei primi anni ‘90. Lo sviluppo continuo delle strategie di gestione dei donatori di organi potrebbe aumentare il numero di organi adatti disponibili per il trapianto, che è la chiave per aumentare il numero di trapianti.

Dopo che la famiglia del donatore ha dato il consenso formale per la donazione di organi, un'adeguata gestione del donatore è fondamentale per mantenere gli organi vitali fino a quando l'operazione di espianto non ha luogo. La standardizzazione delle pratiche di gestione dei donatori è stata introdotta per aiutare a superare le complicanze nelle cure e potenzialmente per ottimizzare il numero di donatori di organi adatti. Non appena un paziente è stato identificato come un potenziale donatore di organi, dovrebbe essere contatto il Centro Trapianti di pertinenza e il protocollo avviato. Questo evento iniziale è fondamentale e spesso determina se l'opportunità di donare procede o è completamente persa. La maggior parte delle

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segnalazioni di pazienti che possono essere potenziali donatori di organi ai Centri Trapianto provengono da Unità di Terapia Intensiva.

SELEZIONE DEL DONATORE

DIMENSIONI E SESSO La corrispondenza delle dimensioni fra il donatore e il ricevente rimane un fattore determinante quando si prendono in considerazione i trapianti polmonari e gli esiti di questi. Negli Stati Uniti, i destinatari potenziali per un trapianto sono suddivisi sulla base di intervalli accettabili di altezza del donatore. Come regola generale, un donatore può essere considerato idoneo per un destinatario che è più alto fino a 10 centimetri o più basso del donatore. Se si utilizza questa regola grezza, si deve tenere conto delle differenze sessuali, delle modificazioni specifiche della parete toracica e infine dell'età e della qualità del polmone del donatore. L'uso della riduzione del volume dei polmoni dei donatori - anche la donazione selettiva del lobare - rende possibile l'uso di donatori con grandi polmoni in molte circostanze. Per quanto riguarda i polmoni sottodimensionati, è chiaro che anche senza prendere in considerazione le pareti toraciche modificate, si può usare un polmone con un volume inferiore del 20% a quello del polmone nativo del ricevente. Le complicanze relative al mismatching delle dimensioni, nel caso di trapianto di un organo piccolo in un ricevente più grande sono rappresentate da uno pneumotorace persistente, dall’ iperespansione polmonare e dalla compromissione emodinamica con tolleranza all’esercizio limitata; nel caso di impianto di organi di grandi

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dimensioni in riceventi più piccoli si possono osservare atelettasia persistente e infezioni lobari. Comunemente, la preferenza generale è sottostimare i pazienti con malattia polmonare fibrotica e sovradimensionare i pazienti con malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO). Nei riceventi con fibrosi polmonare, la parete toracica si restringe a causa della significativa contrazione dei muscoli intercostali, provocando così l'avvicinamento delle coste. Al contrario, i pazienti con BPCO in attesa di trapianto hanno un aumento delle dimensioni della loro cavità toracica insieme all'ampliamento degli spazi intercostali e all'appiattimento del diaframma. In genere, le discrepanze di piccola entità possono essere superate mediante resezione dei segmenti polmonari periferici. Quando le discrepanze dimensionali sono più pronunciate, il lobo medio è spesso asportato preferenzialmente, mentre sul lato sinistro, la lingula è l'obiettivo primario per il ridimensionamento: questa tecnica consente una riduzione delle dimensioni dal 10% al 15% circa, riducendo così la dimensione del graft non solo in altezza ma anche nel suo diametro antero-posteriore, poichè il lobo superiore ruota verso il lobo inferiore.

ETA’ DEL DONATORE

È noto che la funzionalità polmonare generalmente si deteriora con l'avanzare dell'età. I cambiamenti funzionali specifici legati all'età che si verificano nel sistema respiratorio sono il risultato di tre eventi fisiologici: diminuzione progressiva della compliance del torace, riduzione dell’elasticità del polmone e della forza dei muscoli respiratori. Come, con l’avanzare dell’età, si riduce il ritorno elastico della parete toracica, allo stesso modo la compliance respiratoria è del 20% in meno in un adulto di 60 anni rispetto a un 20enne. Con l'avanzare dell'età, si verifica un notevole ingrandimento omogeneo delle vie aeree terminali, con i dotti alveolari che

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aumentano di diametro e di conseguenza diventano più larghi e meno profondi. Le fibre elastiche del polmone si riducono, con conseguente distensione degli spazi alveolari e aumento del volume polmonare; lo scambio gassoso è ben conservato nonostante la riduzione della superficie alveolare e l'aumentata eterogeneità ventilazione-perfusione. Questi normali cambiamenti non dovrebbero di per sé escludere l'uso di polmoni più vecchi, ma la comprensione di questi cambiamenti è ancora critica quando si valutano i polmoni.

Sebbene i criteri attuali pongano il limite di età per la donazione a 55 anni, la liberalizzazione dell'attuale criterio dei donatori ha portato all'uso di organi da donatori di 70 anni con risultati paragonabili a quelli dei polmoni di donatori più giovani. Alcuni centri trapianti non hanno riportato alcuna associazione tra età ed esiti del donatore, mentre altri hanno riportato una diminuzione della sopravvivenza a lungo termine e un'aumentata incidenza di bronchiolite obliterante (BOS) quando vengono utilizzati polmoni da donatori di età superiore ai 55 anni. Uno studio retrospettivo del database UNOS condotto da Bittle e colleghi ha esaminato 10.666 trapianti di polmone eseguiti nel periodo dal 2000 al 2010; hanno concluso che l'uso di donatori di età compresa tra 55 e 64 anni ha portato a risultati simili a quelli osservati con l'uso di donatori che soddisfano il criterio convenzionale di età inferiore ai 55 anni. Inoltre, l'età del donatore non era associata a nessuna differenza nella causa di morte, tasso di BOS o tempo per lo sviluppo di BOS. Gli autori hanno tuttavia concluso che l'uso di donatori di età superiore ai 65 anni era associato a una diminuzione della sopravvivenza a breve termine.

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STORIA DI FUMO Dati gli effetti avversi ben documentati del fumo sui trapianti di polmone, tra cui complicanze postoperatorie polmonari, neoplasie occulte, diminuzione della funzione polmonare, ostruzione del flusso aereo e aumento delle infezioni a causa della ridotta clearance mucociliare, il valore soglia della storia del fumo dei donatori in cui il rischio per il ricevente è tale da comprometterne i benefici rimane poco chiaro. Le linee guida attuali della Società Internazionale per il trapianto cardiaco e polmonare (ISHLT) raccomandano l'uso di donatori con una storia di fumo inferiore a 20 pack/years. Tuttavia, la scarsità di organi adatti al trapianto e la mortalità in lista d'attesa hanno portato a maggiori sforzi per ampliare gli attuali criteri di accettabilità dei donatori e utilizzare organi da donatori marginali i cui polmoni sono stati considerati non idonei per il trapianto. Bonser e colleghi hanno esaminato il registro dei trapianti nel Regno Unito. Lo studio, che è il più grande che esamina l'uso di organi da donatori con storia di fumo, ha dimostrato che l'uso di organi da donatori con storia di fumo ha avuto esiti peggiori rispetto a quando sono stati utilizzati gli organi di donatori non fumatori; tuttavia, la sopravvivenza dei pazienti con organi da donatori fumatori è rimasta migliore di quella dei pazienti che sono rimasti in lista di attesa. L'aumento della mortalità osservata nei pazienti con organi da donatori con storia di fumo superiore a 20 pack/years può essere causa di un aumento dell'incidenza della disfunzione primaria del trapianto, che richiede supporto per l'ossigenazione della membrana extracorporea, mortalità precoce e riduzione della sopravvivenza a 5 anni dopo il trapianto. Altri studi, come quelli di Taghavi e colleghi hanno esaminato il data base UNOS per i trapianti di polmone singolo effettuati dal 2005 al 2011: gli

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autori hanno concluso che i trapiantati da donatori con storia di fumo superiore ai 20 anni avevano più lunghe degenze in unità di terapia intensiva e ospedaliere in generale. I risultati di un'analisi multivariata di Shigemura e colleghi hanno rivelato diversi fattori di rischio per la morte che hanno contribuito alle differenze di mortalità dopo trapianto di polmone tra le coorti di fumatori e non fumatori. I fumatori sono da tre a cinque volte più a rischio rispetto ai non fumatori perché il cancro del polmone si sviluppi nella loro vita. Considerati gli studi limitati sull'associazione tra la storia di fumo dei donatori e lo sviluppo delle neoplasie polmonari nei pazienti trapiantati, si deve usare cautela quando si utilizzano polmoni ottenuti da donatori con storia di fumo positiva, data la consolidata relazione tra fumo, malignità e immunosoppressione. Infine, e soprattutto, i dati presentati fino ad oggi hanno quantificato solo i non fumatori e quelli con una storia di fumo inferiore o superiore a 20 pack/years; a causa dei pericoli del trapianto di polmone da donatore fumatore > di 20 pack/years, tali polmoni dovrebbero essere usati con cautela e consenso del ricevente.

CAUSA DEL DECESSO

L'influenza della causa di morte del donatore per la sopravvivenza del ricevente è stata ampiamente descritta in letteratura. I cambiamenti fisiopatologici che avvengono negli organi, che danneggiano direttamente la loro funzione e la sopravvivenza di quelli trapiantati, sono ben conosciuti.

La morte cerebrale di per sé conduce a una moltitudine di cambiamenti patofisiologici che possano compromettere notevolmente la funzione e la sopravvivenza degli organi trapiantati.

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Una revisione retrospettiva di 500 trapianti polmonari consecutivi eseguita tra il luglio 1988 e il dicembre 1999 condotta da Ciccone e colleghi ha mostrato esiti precoci equivalenti e nessuna differenza significativa nella sopravvivenza a lungo termine tra trapianti di polmoni da donatori che hanno subito lesioni cerebrali traumatiche e quelli da donatori con lesioni cerebrali non traumatiche. Tuttavia, hanno notato che i trapianti polmonari da donatori con lesioni cerebrali traumatiche erano associati alla gravità del rigetto acuto e allo sviluppo di BOS nei riceventi che ricevevano questi organi. I donatori con lesioni cerebrali traumatiche hanno un'incidenza molto più elevata di aspirazione al momento del trauma, che aumenta la possibilità di infezione, specialmente se associata con l'intubazione sul territorio, in un ambiente non sterile e non incontrollato.

Negli Stati Uniti, la stima annuale degli episodi di annegamento e asfissia va da 6000 a 8000. Molti centri trapianti non utilizzano abitualmente polmoni da donatori affogati o asfissiati. Si pensa che l'asfissia e l'annegamento producano cambiamenti nella superficie polmonare con la possibilità di contribuire alla disfunzione del trapianto polmonare. Un'analisi retrospettiva del database UNOS/OPTN di Analisi e ricerca dei trapianti (STAR) ha valutato l’idoneità dei donatori di organi la cui causa di morte è stata l'asfissia o l'annegamento come potenziale opzione per allargare il pool di donatori. Gli autori hanno concluso che l'asfissia o l'annegamento non hanno avuto alcun impatto sulla sopravvivenza e non sono stati associati a scarsa sopravvivenza o rigetto a lungo termine nel primo anno dopo il trapianto. Per quanto riguarda altre forme di trauma polmonare, i donatori con contusioni di grandi dimensioni situate nel centro non sono probabilmente usati; tuttavia, contusioni periferiche più piccole non dovrebbero controindicare la donazione.

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I donatori cerebralmente deceduti sono a rischio per lo sviluppo di danno polmonare acuto a causa dei cambiamenti emodinamici, ormonali e infiammatori comunemente sperimentati durante le prime fasi della morte cerebrale; tuttavia, non esiste ancora un consenso generale sulla causa specifica della morte che influenza la funzione del trapianto polmonare e gli esiti post-trapianto.

VALUTAZIONE DELL’EVENTUALE DONATORE

Inizialmente, il coordinatore della donazione di organi in loco condurrà un'intervista completa di storia medica e sociale con i familiari o parenti prossimi. Come parte del processo di revisione standard, i donatori deceduti vengono sottoposti a screening per qualsiasi storia di trattamento di cancro, diabete, malattie cardiache e ipertensione; uso di droghe, alcol e tabacco; comportamento ad alto rischio. Durante questa intervista viene anche valutata la storia familiare del donatore. Gli eventi che portano al ricovero del paziente vengono valutati esaminando i rapporti di assistenza sul territorio e dei servizi di emergenza e le note di ammissione in pronto soccorso. Si notano informazioni come lesioni al torace o il trauma addominale, l’eventuale tempo di arresto cardiopolmonare e di rianimazione, insieme con i farmaci somministrati e in corso. Completare l'analisi ematologica e clinica sierologica e generale richiesta è estremamente importante per accelerare il processo complessivo e ridurre l'intervallo tra la gestione del donatore e la fase operativa di espianto.

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AGENTI INFETTIVI

Data l'espansione dei criteri dei donatori di polmoni, l'aumento dell'età in particolare può presentare sfide date le maggiori potenzialità di infezione e tumori maligni. Tutti i potenziali donatori di organi sono sottoposti a una valutazione completa dello screening per le infezioni che potrebbero essere trasmesse ai riceventi tramite il trapianto. Questo processo di valutazione include non solo un'intervista approfondita sulla storia medica e sociale dei donatori deceduti con il parente più prossimo, ma può anche includere interviste con altri individui, come amici, che potrebbero avere informazioni su qualsiasi comportamento rischioso. Le poche controindicazioni mediche assolute alla donazione di organi fino ad oggi sono le seguenti:

• Virali: antigene di superficie dell'epatite B reattiva, virus dell'herpes simplex attivo, varicella zoster o citomegalovirus (CMV). • Batteriche: tubercolosi, meningite, intestino cancrenoso o sepsi intra-addominale. • Infezioni fungine: criptococcosi, aspergillosi, istoplasmosi, coccidiosi, candidemia attiva. • Prione: malattia di Creutzfeldt-Jakob. • Infezioni parassitarie: malattia di Chagas, rabbia, leishmania, strongyloidiasis o malaria. • Neoplasia: anamnesi positiva per neoplasia negli ultimi 5 anni, tranne le neoplasie della

pelle non melanoma (cellule basali e cellule squamose) e le neoplasie primitive del sistema nervoso centrale (SNC) senza evidenza di malattia metastatica.

I test sierologici standard per il virus dell'epatite B (HBV), il virus dell'epatite C (HCV), l’HIV, il CMV, insieme allo screening per l'antigene treponemico (sifilide), vengono ordinariamente richiesti durante l’osservazione di qualsiasi potenziale donatore. Sfortunatamente, in alcuni casi la trasmissione inattesa dell'HIV, dell'HCV, del Mycobacterium tuberculosis e della rabbia può potenzialmente verificarsi indipendentemente dalle attuali linee guida di screening. Le infezioni

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virali persistono principalmente nelle cellule epatiche, ma anche in altri luoghi come le cellule endoteliali, come nel caso dell'HBV e dell'HCV. Un donatore che è positivo per un anticorpo di superficie dell'epatite B di solito implica la vaccinazione, mentre un donatore in cui risulta positiva la ricerca per l'antigene di superficie dell’epatite riflette l'infezione da epatite B attiva o un'infezione a distanza che non è stata eliminata. L'HCV è un virus molto più persistente, con una velocità di trasmissione più elevata di quella dell'HBV. Qualsiasi potenziale donatore di organi con un test sierologico positivo per l'anticorpo dell'epatite C deve essere considerato infettivo e inadatto alla donazione di polmoni in considerazione dell'elevata velocità di trasmissione del virus. Nei casi in cui il ricevente è HCV positivo, riservare organi da donatori che sono anche’essi positivi all'HCV rende possibile l'uso di organi da donatori HCV-positivi: un trapianto di polmone HCV-positivo può essere considerato per il trapianto in un ricevente che non è HCV positivo se non esiste un'alternativa, la morte è imminente e il ricevente o il parente più prossimo ha dato il consenso informato appropriato ad accettare un donatore ad alto rischio.

PATOLOGIA NEOPLASTICA

Il rischio di trasmissione di una neoplasia da un donatore di organi a un ricevente è una complicazione ben nota del trapianto. La letteratura attualmente non include alcuna evidenza di alto livello che stabilisca la reale velocità di trasmissione delle neoplasie correlate dal donatore al ricevente dopo il trapianto. Una revisione di Ison e Nalesnik sulla potenziale trasmissione di neoplasie derivata dai donatori segnalata tra il 2005 e il 2009 ha mostrato che di 146 segnalazioni presentate, 20 riguardavano casi confermati di trasmissione di neoplasie derivate

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da donatori con 9 decessi attribuiti a: cancro del polmone (3), linfoma (2), carcinoma neuroendocrino (2), melanoma (1) e glioblastoma multiforme (1). La causa della morte cerebrale deve essere presa in considerazione quando si tratta di potenziali neoplasie occulte, specialmente in donatori con cause non chiare di emorragia intracranica. C'è sempre la possibilità di trasmissione maligna derivante da una diagnosi errata della causa della morte cerebrale del donatore. In alcuni casi i donatori con una storia clinica di alcuni tipi di neoplasia possono ancora donare i loro organi per il trapianto; questo include alcuni tipi di neoplasie primitive del sistema nervoso centrale. Donatori con tumori del SNC altamente aggressivi come l'astrocitoma o il medulloblastoma o la precedente craniotomia con shunt ventricolo-peritoneale hanno un tasso di trasmissione molto alto e non dovrebbero essere considerati per la donazione di organi. I trapianti di polmone da donatori con una storia di neoplasia della pelle non melanoma, così come alcuni tumori del SNC, possono ancora essere utilizzati se i tumori sono di basso grado e non è stata eseguita alcuna operazione di biopsia. Una storia di neoplasia non esclude automaticamente un individuo dalla donazione di organi a condizione che venga eseguita una valutazione approfondita, una storia dettagliata del donatore sia disponibile e che si sia ottenuto il consenso informato dal ricevente.

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Figura 11 Criteri standard ed estesi dei donatori per il trapianto di polmone

GESTIONE DEL DONATORE

La gestione dei donatori inizia usando strategie volte a limitare la quantità di danni che i polmoni possono sostenere a causa del disordine fisiologico che comunemente avviene durante la morte cerebrale. Tale limitazione è possibile solo quando i medici sono esperti nella patofisiologia della morte cerebrale e, di conseguenza, eseguono manovre razionali per ridurre al minimo il danno polmonare. Il successo del trapianto di organi dipende direttamente dalle strategie di gestione dei donatori. Il periodo durante e subito dopo la morte cerebrale è fondamentale, e i potenziali donatori possono manifestare una profonda instabilità metabolica ed emodinamica che spesso si traduce nella perdita di organi già numericamente scarsi per il trapianto. Anche con strategie aggressive di gestione dei donatori, solo circa il 15% - 20% dei polmoni sono adatti per il trapianto.

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MORTE CEREBRALE

La stragrande maggioranza degli organi per il trapianto proviene da pazienti che si sono aggravati fino alla morte cerebrale. La morte cerebrale è ben nota per i suoi importanti e dannosi effetti sugli organi, in particolare per causare lesioni ai polmoni. L'implementazione della gestione precoce dei donatori una volta determinata la morte cerebrale è importante per massimizzare la resa dei polmoni dai donatori multiorgano e migliorare i risultati dei riceventi. L'evidenza indica che durante la cascata degli eventi parafisiologici che avviene dopo la morte cerebrale, il polmone è il primo organo ad incorrere in lesioni. Clinica e studi sperimentali hanno dimostrato che la scarica simpatica comunemente associata alla morte cerebrale determina il rilasciamento enormi quantità di catecolamine come dopamina, epinefrina e norepinefrina in circolo. La Figura 12 illustra molti dei cambiamenti fisiologici che si verificano durante la morte cerebrale.

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Figura 12 Variazioni fisiologiche associate alla morte cerebrale EMODINAMICA La gestione emodinamica di un donatore di organi è la base e l'intervento più cruciale che può essere fornito. Si stima che l'80% dei donatori di organi richiederà un supporto vaso-attivo e circa il 25% dei donatori di organi si perde durante questa fase. L'ipovolemia è un evento comune, soprattutto a causa degli agenti osmotici somministrati per trattare la crescente

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pressione intracranica, il diabete insipido mal trattato e la perdita di sangue in caso di trauma sono tutti fattori che contribuiscono all'ipotensione. Il trauma e la gestione dei donatori includono un significativo carico di fluido per migliorare l'instabilità emodinamica, specialmente nei casi correlati a traumi; tuttavia, questa strategia potrebbe non essere l'ideale per il recupero ottimale degli organi. L'equilibrio fluido restrittivo è stato associato a più alti tassi di ottenimento di polmoni nonostante la controversa teoria della restrizione dei fluidi che influenza la funzione renale del donatore dopo il trapianto. Minambres e colleghi hanno dimostrato per la prima volta che una strategia aggressiva di gestione dei potenziali donatori di polmoni, che include manovre di reclutamento ventilatorie, pressione positiva di fine espirazione (PEEP) superiore a 8 cm H2O, uso di terapie ormonali sostitutive e restrizione dei fluidi per mantenere la pressione venosa centrale (PVC) inferiore a 8 mmHg, si traduce in un maggiore utilizzo dei polmoni senza compromettere il recupero dei reni e la funzionalità renale post-trapianto.

Quando si parla di rianimazione con liquidi, l'obiettivo è quello di stabilire l'euvolemia piuttosto che l'ipervolemia, che insieme all'edema polmonare neurogenico, può avere gravi effetti sui polmoni, influenzando direttamente l'ossigenazione. L'obiettivo della gestione emodinamica dovrebbe essere quello di mantenere un volume adeguato, una corretta gittata cardiaca e un'adeguata perfusione, assicurando quindi un apporto ottimale di ossigeno agli organi sottoposti a valutazione per il trapianto. L’ edema polmonare neurogenico come l’edema polmonare infusione di liquidi devono essere trattati con dosi intermittenti di furosemide per via endovenosa (Lasix). Data la più recente tecnologia, la perfusione polmonare ex vivo è in molti casi un percorso di valutazione dell'alternativa ed è stata utilizzata con successo con

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polmoni caratterizzati da sovraccarico di volume, riducendo così in modo significativo l'edema a causa del suo perfusato iperosmotico.

L'uso della terapia ormonale sostitutiva è stato accettato come standard di cura: la vasopressina stabilizza la pressione arteriosa sistemica, corregge l'iperosmolarità del siero, migliora il mantenimento del metabolismo energetico negli organi solidi e diminuisce o elimina la necessità di catecolammine. La vasopressina viene integrata poi con la dopamina, con basse dosi che si traducono in un'aumentata perfusione renale e conseguente aumento dell'output urinario, riducendo in tal modo l'edema polmonare nei donatori cerebrali. L'instabilità emodinamica è stato suggerito essere causata da livelli significativamente diminuiti di tiroxina circolante, che a sua volta porta alla riduzione delle riserve di energia del miocardio e al passaggio dal metabolismo aerobico a quello anaerobico, meno efficiente, con conseguente aumento dei livelli di lattato. La triiodotironina (T3), che è comunemente usata nei donatori cerebrali, è stato dimostrato che migliora la funzione del cuore del donatore. Una riduzione della pressione atriale sinistra e una migliore funzionalità cardiaca complessiva possono limitare l'edema polmonare; inoltre, il T3 aumenta la clearance del fluido alveolare. L'uso della terapia ormonale tiroidea non è senza discussione. Diversi studi non hanno mostrato alcuna correlazione tra instabilità emodinamica e diminuzione dei livelli di ormoni tiroidei. Data la carenza continua di donatori di organi idonei, l'uso di routine della terapia ormonale sostitutiva è importante e dovrebbe essere avviata senza indugio in qualsiasi potenziale donatore di organi.

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VENTILAZIONE I donatori cerebrali devono avere la testa sollevata tra i 35 ei 45 gradi e un sondino nasogastrico posizionato per prevenire ogni possibilità di aspirazione. Tutti i potenziali donatori di polmoni dovrebbero avere una radiografia del torace di riferimento, anche se è stato dimostrato che è in qualche modo inaffidabile nella diagnosi definitiva della polmonite. I reperti radiografici del torace mostrano un'accuratezza predittiva solo dal 50% al 60% per la polmonite e dal 60% all'80% per l'edema polmonare. La TC del torace, sebbene non eseguita di routine sui donatori, è una tecnica più precisa per l'imaging del torace in quanto offre maggiore accuratezza e coerenza quando si tratta di reperti di polmonite, contusioni e lesioni che spesso non vengono rilevate durante la radiografia del torace di routine. I donatori con una storia di oltre 20 anni di fumo dovrebbero avere una TC di base del torace eseguita come parte del processo di valutazione della donazione dei polmoni per il trapianto. Viene eseguito un esame broncoscopico per valutare la qualità delle vie aeree (eventuale iperemia) e cercare prove di aspirazione, corpi estranei, sangue e secrezioni (mucose, purulente, emorragiche); consente inoltre la raccolta diretta delle secrezioni per le colture. Notare se le secrezioni si riformano è importante perché ciò potrebbe indicare un processo continuo come la polmonite. Un esame broncoscopico deve essere eseguito il più vicino possibile al momento in cui vengono assegnati gli organi. I team responsabili devono poi sempre eseguire la propria valutazione broncoscopica. Una strategia di ventilazione protettiva è costituita da bassi volumi correnti (da 6 a 8 ml / kg) e un valore di PEEP inferiore a 8 cm H2O. Gli alti volumi correnti dovrebbero essere evitati o limitati il più possibile a causa del potenziale barotrauma nei polmoni. Elevati livelli di PEEP sono scoraggiati e potenzialmente dannosi perché esacerbano la lesione polmonare nel donatore già innescata dalla risposta infiammatoria sistemica alla morte cerebrale. Idealmente, la PEEP

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dovrebbe essere mantenuta a meno di 8 con una pressione inspiratoria di picco inferiore a 30 cm H2O. I gas ematici devono essere misurati circa ogni 3 ore per consentire interventi

polmonari in corso e determinare le tendenze. La ventilazione minuta deve essere regolata per mantenere i livelli di CO2 e pH nell'intervallo per alcalosi respiratoria lieve. Le manovre di

reclutamento senza barotrauma sono una componente estremamente importante dell'ottimizzazione degli organi per il possibile trapianto, sebbene il metodo ottimale sia ancora discusso. A parte gli effetti dannosi della cascata di eventi associati alla morte cerebrale sui polmoni, il danno alveolare secondario alla ventilazione meccanica risulta dalle forze di taglio, che a loro volta producono stress alveolare. Si verificano anche danni epiteliali ed endoteliali con aumento della risposta alle citochine: questi effetti sono esacerbati dalla soluzione di conservazione e dal danno da ischemia-riperfusione.

L'uso di una ventilazione a volume controllato consente regolazioni automatiche della pressione inspiratoria in risposta a cambiamenti dinamici nella meccanica polmonare del donatore. Poiché la meccanica respiratoria cambierà in base al respiro in ogni paziente ventilato meccanicamente, l'uso di questa ventilazione nei donatori di polmoni consente di regolare le pressioni target per raggiungere il volume corrente richiesto: ottenere pressioni aeree più basse aiuterà a compensare le lesioni alveolari nei potenziali donatori.

La pressione parziale arteriosa dell'ossigeno (PaO2) rimane un elemento critico nella valutazione

della funzionalità del polmone del donatore. I criteri standard dei donatori di polmoni in letteratura raccomandano che il set point della PaO2 del donatore sia di 300 mmHg o maggiore

con una frazione di ossigeno inspirato (FiO2) del 100% quando un polmone viene considerato

per il trapianto. Sebbene molti centri molto probabilmente non considerassero più un donatore con un PaO2 inferiore a 300 mmHg, Zafar e colleghi hanno messo in discussione questo

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standard. Lo studio retrospettivo degli autori ha esaminato i dati UNOS su 12.545 trapianti di polmone performati tra il 2000 e il 2009 per valutare l'effetto della PaO2 del donatore sulla

sopravvivenza del trapianto. Al momento, il loro studio ha rivelato che il 20% dei trapianti di polmoni eseguiti negli Stati Uniti nel decennio precedente aveva un PaO2 inferiore a 300 mmHg

al momento della donazione: gli autori hanno concluso che l'uso di organi da donatori con una PaO2 inferiore a 300 mm Hg non ha influenzato la sopravvivenza del trapianto a breve o medio

termine nei trapianti polmonari doppi.

Sebbene comunque i criteri standard dei donatori suggeriscano un PaO2 superiore a 300 mmHg,

"stimolare i gas" con una Fio2 del 100% dopo reclutamento polmonare potrebbe non rappresentare con precisione la vera qualità dei polmoni. Spesso, quando altri valori, come quelli degli studi radiografici e broncoscopici e le tendenze nei valori della PaO2 sono favorevoli,

viene inviato un team di chirurghi, che procederà all’eventuale espianto, nella sede della donazione e possono eseguire un'ulteriore valutazione, come nel caso della valutazione di gas venosi polmonari selettivi dopo le procedure di reclutamento intraoperatorio. Valori intraoperatori di gas venosi polmonari selettivi forniscono un supporto corroborativo ai reperti intraoperatori durante la palpazione e la valutazione visiva dei polmoni, come l'esame broncoscopico di supporto eseguito subito prima dell’espianto. Grandi differenze in PaO2 (>

100) sono indicative di lesioni lobari selettive, come polmonite o contusione, che possono avere conseguenze postoperatorie significative. Le manovre di reclutamento sono aumenti sostenuti della pressione atmosferica con l'obiettivo di aprire unità alveolari collassate, dopo di che viene applicata una PEEP sufficiente a prevenire il ricollasso (derecruitment). Le strategie di reclutamento polmonare consistono in diverse modalità di ventilazione, come il controllo della pressione e la ventilazione a rilascio della pressione delle vie aeree (APRV). Le strategie di

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