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Capitolo 3

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Academic year: 2021

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Capitolo 3

Ovariectomia Laparoscopica

3.1 Cenni storici

L’ovariectomia è l’intervento d’elezione per la castrazione negli animali domestici. Essa viene praticata nei cani e nei gatti attorno ai 6 mesi d’età, sia appena prima che appena dopo il primo ciclo estrale. In alcuni testi è riportato che l’ovariectomia diminuisca l’incidenza dei tumori mammari a meno dello 0.5 % (Slatter, 1995). In realtà, a riguardo vi sono ancora pareri contrastanti. I tumori ovarici più frequenti nel cane che richiedono la rimozione delle ovaie sono i tumori delle cellule della granulosa (TCG) e i carcinomi, maligni e i luteomi, benigni. La rimozione di ovaio e utero è eseguita anche come terapia in caso di piometra aperta, prima del ciclo successivo dell’animale.

L’ovariectomia può essere eseguita in laparoscopia. La laparoscopia è una tecnica chirurgica mini invasiva che utilizza dei cateteri rigidi o flessibili (endoscopi) per visualizzare le cavità corporee e gli organi al loro interno con fine diagnostico o terapeutico. Il primo esploratore di una parte interna del corpo è stato Bozzini che nel 1806, a Francoforte, ha utilizzato una cannula per visualizzare un’uretra.

Un secolo più tardi, nel 1901 in Germania, George Kellin insuffla l’addome di cani vivi utilizzando un cistoscopio inventato qualche anno prima dall’urologo tedesco Maximilian Nitze. L’esperimento di Nitze potrebbe essere considerato come il pioniere della veterinaria.

Di uguale importanza risultano i nomi di Walk, Ferves e Verres che sono stati rispettivamente gli inventori dell’insufflazione delle cavità corporee con l’anidride carbonica e della tecnica con doppio trocar, del primo intervento endoscopico eseguito a scopo chirurgico (rimozione di aderenze intestinali e prelievo di biopsie) e dell’ago a molla per indurre il pneumotorace per il trattamento della tubercolosi polmonare, tutt’oggi utilizzato nell’ovariectomia laparoscopica. Infine, un importante contributo è da riconoscere al professor Kurt Semm che ha automatizzato e monitorato il flusso di gas insufflato in

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addome e ha pensato alla coagulazione termica dei vasi con pinze elettriche (Lau et al., 2007).

Nell’ultimo decennio, l’interesse per l’endoscopia è notevolmente cresciuto in medicina veterinaria, anche se il suo utilizzo è rimasto sempre inferiore rispetto all’impiego in medicina umana (Moor, 2012). Il minor utilizzo della micro chirurgia negli animali da compagnia piuttosto che in umana può essere spiegato dal fatto che, sebbene la laparoscopia permetta una piccola incisione e un minor danno tissutale e quindi una più rapida ripresa dei pazienti, è richiesta una tecnica estremamente precisa e una buona conoscenza da parte del chirurgo che opera.

3.2 Valutazione preoperatoria del paziente

Prima della chirurgia, i cani sono sottoposti a visita anestesiologica. La visita prende in considerazione il segnalamento dell’animale (nome, sesso, età, peso, temperamento, ecc.), i dati anamnestici e diversi parametri fisiologici quali : la frequenza del polso (FP) in accordo con la frequenza cardiaca (FC), la frequenza respiratoria (FR), la temperatura, la pressione (PAS, PAD, PAM), lo stato di nutrizione abbreviato come “body condition score” (BCS), il tempo di sanguinamento buccale o “buccal mucosal bleeding time“ (BMBT) e il colore delle mucose, eventuali aritmie, soffi cardiaci e sforzi respiratori. Per lo stato d’idratazione sono valutate il ritorno della plica cutanea dorsale a livello cervicale, l’umidità della mucosa buccale e la presenza o l’assenza della vascolarizzazione nella congiuntiva oculare.

Viene verificato se i cani sono vaccinati e se seguono la profilassi per le malattie parassitarie quali leishmaniosi e filariosi. Anche la presenza o meno di dolore è un’informazione importante per l’anestesia e, se presente, viene indicato con un punteggio secondo la scala del dolore impiegata nella struttura. Sono segnalati il motivo della visita, i principali problemi, quali esami diagnostici sono stati eseguiti (profilo ematico, radiografie, addome, eco-cardio), il decorso di eventuali altre anestesie precedenti al giorno della visita e se sono in corso delle terapie.

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La FC viene rilevata attraverso l’auscultazione dei focolai cardiaci mitrale, polmonare, aortico rispettivamente all’altezza del 3°, 4°,5° spazio intercostale di sinistra e del focolaio tricuspidale a destra, al 3° spazio intercostale. Dei soffi viene presa in considerazione l’origine (da stenosi o da insufficienza valvolare, da anemia), il tempo di comparsa (soffio sistolico se occupa il primo tono, soffio diastolico se occupa il secondo tono), la durata, l’intensità o grado. I cani sottoposti a chirurgia laparoscopica subiscono un’insufflazione addominale con CO2 che comprime i vasi venosi determinando un minor

ritorno venoso all’atrio destro del cuore e ipotensione. Per garantire ugualmente ai tessuti una quantità di sangue necessaria per l’attività metabolica del momento, il cuore risponde all’ipotensione aumentando la propria gittata cardiaca che è data dalla gittata sistolica (stroke volume) e dalla frequenza cardiaca. Parallelamente si verifica anche un incremento dell’attività ionotropa del cuore, ossia la forza di contrazione, e un aumento delle resistenze vascolari periferiche che garantiscono una maggiore quantità di sangue per ogni sistole (Sakamoto, 2014). Pertanto, la visita ecocardiografica prima dell’anestesia è necessaria per avere una rappresentazione dell’anatomia e della funzionalità del cuore al fine di eseguire l’intervento chirurgico.

L’esecuzione dell’ecocardiogramma avviene generalmente con l’animale sveglio. L’ecocardiografia cambia secondo la modalità di visualizzazione del cuore. Quella bidimensionale (2-D) registra un’immagine piena del cuore e fornisce una valutazione migliore del ventricolo destro, degli atri destro e sinistro e permette una diagnosi di versamento pericardico e di tamponamento cardiaco. La visualizzazione monodimensionale (M-mode) determina in modo accurato le dimensioni delle camere cardiache, lo spessore delle pareti cardiache e la cinetica valvolare. Infine, l’esame Doppler misura la direzione e la velocità dei globuli rossi in movimento attraverso le camere cardiache e i grossi vasi e permette di distinguere tra i flussi laminari e quelli turbolenti. Il color Doppler è una forma di Doppler pulsato che integra l’immagine 2-D o M-mode a quella dei flussi di sangue e, diversamente dal Doppler normale, utilizza più volumi campioni invece che uno. Normalmente, un flusso di sangue diretto verso il trasduttore è visualizzato in rosso e un flusso in allontanamento in blu. Una maggiore o una minore intensità dei colori indicano

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rispettivamente la presenza di velocità di flusso più alte o più basse. Il verde indica la presenza di turbolenze (Tilley, 2003).

I punti ecocardiografici per il cane misurati in millimetri (mm) sono: le dimensioni interne del ventricolo sinistro in telediastole e in telesistole (VSd,

VSs) , la parete posteriore del ventricolo sinistro in telediastole e in telesistole

(PpVSd, PpVSs), il setto interventricolare in telediastole e in telesistole (SVd,

SVs), la grandezza dell’atrio sinistro in sistole (AS) e quella della radice aortica

in diastole (Ao), le velocità del flusso intravascolare e la gittata cardiaca (G) massima.

In particolare, alcune razze possono presentare delle anomalie dell’apparato cardiocircolatorio (Pelligand, 2008):

 Stenosi aortica: Boxer, Bull terrier, Terranova, Golden Retriver, Rottweiller, Pastore Tedesco

 Stenosi polmonare: Bulldog inglese, Boxer, Bull terrier, Bull mastiff, West highland white terrier, Cocker spaniel

 Persistenza del dotto arterioso: Cavalier king Charles spaniel, Cocker spaniel, Border collie, Shetland, Volpino di Pomerania, Barbone, Pastore Tedesco

 Cardiomiopatia dilatativa: tutti i cani di razza grande e Cocker spaniel. Boxer e Dobermann possono presentare una forma ereditaria, aritmogenica, associata a una sindrome da morte improvvisa. La razza Dobermann, insieme ad altre razze, può presentare anche un disturbo dell’emostasi primaria (Malattia di Von Willebrand).

Il polso è percepito facendo una pressione digitale sull’arteria femorale e la sua frequenza (FP) è segno della capacità contrattile del cuore di spingere il sangue fino all’arteria presa in esame. Il polso può essere ritmico o aritmico, pieno o vuoto, iperteso e duro o ipoteso e molle (Bizzeti, 2012).

Lo stato di nutrizione (BCS) è rappresentato da una scala numerica con valori compresi tra 1 e 5 a indicare una costituzione corporea di un animale molto magro, magro, normale, grasso, obeso.

La frequenza respiratoria (FR) di un cane varia tra 10 e 30 atti respiratori al minuto, secondo la taglia e lo stato fisiologico dell’animale al momento dell’esame. Una maggiore frequenza respiratoria o una polipnea possono essere

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presenti in condizioni ambientali particolarmente calde, in cani ansiosi e stressati o in condizioni patologiche come per esempio nella sindrome brachicefalica, caratteristica di tali razze.

3.3 Sala operatoria e tecnica chirurgica

3.3.1 Ovariectomia con gas

L’intervento di ovariectomia laparoscopica si esegue con l’animale intubato in anestesia generale e in decubito dorsale, su un’area addominale prima tricotomizzata, asettica e delimitata da teli sterili fissati alla cute con pinze Backhaus.

La chirurgia effettuata presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Universitaria di Pisa prevede un’incisione di cute e sottocute con bisturi a livello dell’ombelico lungo la linea mediana, una dissezione per via smussa del grasso sottocutaneo per esporre la fascia muscolare e l’inserimento, nello stesso punto dell’incisione, di un trocar che perfora il peritoneo.

Il trocar è uno strumento appuntito (otturatore) contenuto all’interno di una cannula che viene lasciata in sede una volta estratta la cannula e da cui è possibile inserire gli strumenti chirurgici laparotomici.

La lunghezza dell’incisione dei tessuti e la grandezza dei trocars varia secondo la taglia del cane, per esempio il diametro del trocar può essere di 5 mm per cani di piccola taglia, fino a 10 mm per cani sopra a 25 Kg (Moor, 2012). Dal trocar s’inserisce un mezzo ottico (laparoscopio o ottica) che è illuminato da un cavo a fibre ottiche e collegato a uno schermo per avere una visione ingrandita della cavità addominale e degli organi contenuti al suo interno. Per visualizzare chiaramente i visceri e aumentare lo spazio per le manovre chirurgiche, dalla cannula s’insuffla anidride carbonica all’interno dell’addome a una pressione prescelta di otto millimetri di mercurio (8 mmHg). In tal modo risultano apprezzabili in senso cranio-caudale: la milza sotto il trocar, il fegato e la vescica.

In alternativa al metodo classico, lo pneumoperitoneo si può ottenere con la cosiddetta “tecnica chiusa”, utilizzando un ago di Verres che è collegato

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all’insufflatore e inserito direttamente vicino all’ombelico, nella regione paramediana destra, senza utilizzare l’accesso chirurgico del trocar. L’utilizzo dell’ago di Verres si può notare nel cane alla fine della chirurgia come un piccolo foro di un’iniezione.

Dopo l’insufflazione, s’inserisce un trocar accessorio, caudale all’ombelico e distante circa cinque centimetri dall’ottica da cui vengono inseriti gli strumenti chirurgici per coagulare i vasi e tagliare le connessioni dell’ovaia. I dispositivi sono elettrici e controllati da un generatore e da un interruttore a pedale azionato dal chirurgo.

Posizionati i due trocars, si inclina cranialmente il tavolo operatorio di quindici gradi, in posizione Trendelerburg per spostare la compressione dei visceri addominali dall’ovaia e migliorare la visuale operatoria. Il tavolo è inclinato a destra e a sinistra a seconda della gonade interessata e si procede quindi con la chirurgia dell’ovaia: la borsa ovarica viene reperita e afferrata con la pinza laparoscopica di Babcock, fissata dall’esterno con un filo da sutura alla volta addominale. Le pinze bipolari coagulano i vasi (termocoagulazione), sono estratte e sostituite da forbici a lama curva che dissezionano l’ovaia in corrispondenza del mesovario, del legamento proprio dell’ovaio, del legamento sospensore dell’ovaio in cui decorre l’arteria ovarica principale e di parte dell’ovidutto e del mesosalpinge. Si isola per ultimo il meso ventrale.

L’ovaia appena isolata rimane legata all’addome e il medesimo procedimento è effettuato per l’ovaia contro laterale, di solito la destra, più craniale e vicina al rene dell’ovaia sinistra.

Le ovaie, prima una e poi l’altra, sono quindi afferrate nuovamente con la pinza Babcock, sciolte dal nodo sulla parete addominale e asportate. Per estrarle è necessario ampliare la breccia operatoria di un centimetro e apporre un dito per mantenere lo pneumoperitoneo.

Infine, dopo essere certi dell’assenza di emorragie, si estraggono le forbici e la microcamera dai trocars, si elimina la CO2 dall’addome, i trocars stessi e si

sutura il peritoneo e il muscolo retto dell’addome con filo riassorbibile, il sottocute con lo stesso filo e la cute con filo non riassorbibile che verrà rimosso a dieci giorni circa dalla chirurgia.

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3.3.2 Ovariectomia senza gas

La rimozione chirurgica dell’ovaia può essere eseguita anche con la tecnica laparotomica (dal greco lapara ventre, e tomé incisione), eseguendo un’incisione della parete addominale ventrale dall’ombelico per 4-8 centimetri in direzione caudale e legando i legamenti, i vasi e le strutture dell’ovaio utilizzando un filo da sutura riassorbibile, come per esempio il catgut cromico o il polidiossanone, nelle misure USP 2-0 o 3-0/EP 3,5 o 3 (Fossum, 2012). Questa tecnica è ancora utilizzata in medicina veterinaria in alternativa alla chirurgia laparoscopica, ogni volta che questa non è praticabile, o come unica possibilità chirurgica.

Una tecnica laparoscopica particolare senza l’utilizzo di CO2 per insufflare

l’addome è stata studiata tra il 2008 e il 2009 in America in 7 cani e 5 gatti. La procedura descrive un dispositivo in grado di sollevare la parete addominale in corso di diverse chirurgie, come la colecistectomia o la gastropessi. Nello specifico, per l’ovariectomia non ci sono state delle difficoltà a localizzare le ovaie con gli animali in decubito dorsale, mentre in posizione laterale la procedura è stata più complessa. In quattro cani su sei, anche se di ASA (American Society of Anesthesiology) superiore a 2, non si sono verificati variazioni negative a livello respiratorio o emodinamico, suggerendo che questa particolare tecnica può essere considerata sicura nella pratica clinica, sia nel cane che nel gatto. In letteratura molti documenti riportano che l’insufflazione del peritoneo con la CO2 determina un incremento della

frequenza cardiaca, delle resistenze vascolari e della pressione nelle arterie e nelle vene centrali. In cavalli e in uomini sottoposti a laparoscopia con pneumoperitoneo sono descritti una diminuzione della gittata cardiaca e della compliance polmonare. La gittata cardiaca in corso di chirurgia e gli effetti cardiopolmonari al risveglio non sono stati valutati nella tecnica laparoscopica senza CO2 (Frasson et al., 2011).

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3.4 Anestesia in corso di ovariectomia

Il protocollo anestesiologico in caso di ovariectomia può essere estremamente vario, a seconda del paziente, del suo stato ASA e dei cambiamenti che si verificano durante il corso della chirurgia.

L’analgesia viscerale può essere coperta con l’utilizzo di oppioidi in premedicazione e continuati in infusione continua endovenosa (CRI o Costant Rate Infusion) in chirurgia.

L’anestesia epidurale o spinale possono assicurare una completa analgesia intra- e postoperatoria. La ropivacaina o la bupivacaina sono due anestetici locali che possono essere somministrati per via epidurale e hanno una durata rispettivamente di 3-10 e 6 ore, a seconda della concentrazione a cui l’anestetico è utilizzato. La morfina (0,1 mg/Kg), in aggiunta alla ropivacaina, favorisce la diffusione dell’anestetico locale e prolunga la durata dell’anestesia regionale, riduce la dose di anestetico locale, migliora l’analgesia postoperativa e riduce l’incidenza del blocco nervoso (Senard, 2002).

Ciononostante, visto la lunga durata dell’anestesia lombo-sacrale, la scelta di una simile procedura può risultare una scelta dubbia per un intervento non eccessivamente invasivo come l’ovariectomia, a meno che a questo non sia associato un altro intervento più traumatico (es. mastectomia totale). Inoltre, la via epidurale o spinale è sconsigliata in animali ipotesi, con dermatiti e con problemi di coagulazione (Campoy, 2013).

Il TAP block (Trasversus abdominis plane) è una tecnica di anestesia loco-regionale che prevede l’iniezione ecoguidata di anestetico locale nello spazio epimisiale tra i muscoli addominali obliquo interno e trasverso. Esso coinvolge l’innervazione della parete addominale da T11 a L3. Tuttavia, perché il blocco abbia effetto è necessario che l’anestetico copra almeno tre nodi del Ranvier, corrispondenti a una lunghezza di 3-4 mm (Schroeder, 2011).

Anche la lidocaina è un farmaco utilizzato come analgesico locale e può essere impiegato nell’ovariectomia come infiltrazioni sulla linea mediana ventrale. La dose massima di lidocaina considerata sicura per la somministrazione perineurale e le infiltrazioni nel cane è 8 mg/ kg. Dosi troppo elevate di lidocaina, in caso d’iniezione locale o accidentale intravenosa provocano segni

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di tossicità nervosa (sedazione, atassia, tremore, nistagmo) e cardiovascolare (bradicardia, disturbi del ritmo, arresto cardiaco). I cerotti di lidocaina (Lidoderm®) contengono lidocaina al 5% in una sospensione in gel (700 mg totali) e possono essere applicati sulla cute e rimossi dopo 12 ore per evitare un assorbimento generalizzato del farmaco (Perkowski, 2006).

In 24 cani sottoposti ad ovariectomia, dopo 15 minuti dall’induzione endovenosa con diazepam (0,5 mg/kg) e ketamina (5-6 mg/kg), una somministrazione endovenosa di lidocaina a 2mg/kg seguita da un’infusione in CRI a 50 µg/kg/min, in associazione a fentanil (4 µg/kg/h e poi 8 µg/kg/h) o buprenorfina (0,02 mg/kg) e in anestesia gassosa con sevoflurano, non ha mostrato un miglior sollievo dal dolore postoperatorio rispetto al fentanyl o alla buprenorfina da soli (Columbano, 2012).

La ketamina, invece, agisce sull’analgesia somatica e può essere impiegata nel momento in cui viene incisa la cute. La sua azione analgesica è dovuta all’interazione con i recettori per gli oppioidi e previene l’instaurarsi di fenomeni di tolleranza agli oppioidi.

Inoltre, la ketamina inibisce in modo non competitivo i recettori N-Metil-D-Aspartato (NMDA) per il glutammato che, se attivati, sono responsabile dei fenomeni di ipersensibilità del messaggio nocicettivo a livello centrale (“wind-up”) (Schmid, 1999).

Quindi, la ketamina ha effetti anti-iperalgesici e somministrata a dosi sub anestetiche (da 0,1 a 0,5 mg/kg per via endovenosa) limita alcuni effetti di iperalgesia postoperatoria nel cane e nel gatto. In fase perioperatoria in infusione continua a dosi da 0,1 a 0,6 mg/kg/h non agisce sul dolore postoperatorio, ma limita le reazioni agli stimoli chirurgici, diminuendo il consumo di anestetici generali volatili (Holopherne, 2007).

La ketamina è anche utilizzata in premedicazione in associazione con oppioidi o sedativi per ridurre la dose di farmaci per l’induzione o la MAC dell’alogenato, nel mantenimento in associazione col propofol per aumentare la frequenza cardiaca, oppure durante la chirurgia a dosi di 0.5 mg/Kg quando si vuole arrestare la respirazione spontanea.

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Tra i possibili farmaci per la premedicazione vi rientrano anche gli alfa-2-agonisti, le benzodiazepine (diazepam, midazolam) e le fenotiazine (es: acepromazina).

I bloccanti neuromuscolari, come per esempio il rocuronio, sono talvolta impiegati se il rilassamento muscolare dalla premedicazione non è stato sufficiente, o quando si vuole indurre l’apnea e impostare una ventilazione meccanica. In tal caso, l’utilizzo della PEEP (Positive End Expiratory Pressure- Pressione di fine espirazione positiva) a 5 cmH2O di pressione in

corso di ovariectomia laparoscopica previene la completa espirazione inibendo così il collabimento degli alveoli e riducendo l’atelettasia polmonare (Bufalari, 2012).

Per il mantenimento dell’ovariectomia può essere utilizzato un anestetico inalatorio. Il propofol in infusione continua potrebbe rappresentare un’alternativa all’alogenato, nonostante il costo molto elevato.

3.5 Monitoraggio

Il monitoraggio durante l’anestesia controlla le funzioni vitali dell’animale, direttamente e attraverso i monitor multiparametrici che forniscono valori numerici e curve grafiche.

I parametri misurati sono:

 la funzionalità cardiaca: elettrocardiogramma (ECG), frequenza

cardiaca (FC)

 la pressione: non invasiva (NIBP) e invasiva (IBP)

 la funzionalità respiratoria: frequenza respiratoria (respiri/minuto), CO2

di fine espirazione, quantità dei gas freschi (O2/aria) inspirati ed espirati (in

L/min), alogenato (vol.%) con frazione espirata ed inspirata, meccanica di ventilazione, misurazione della frazione inspiratoria dell’ossigeno (FiO2) ed

espiratoria (FeO2)

 la stima della saturazione dell’Hb in O2 nel sangue arterioso (SaO2)

attraverso l’ossimetria del polso (SpO2)

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 la valutazione del colore delle mucose e il tempo di riempimento capillare (TRC)

 la profondità del piano anestesiologico, attraverso la valutazione del riflesso palpebrale, della posizione dell’occhio e della tonicità muscolare L’elettriocardiogramma (ECG) viene misurato utilizzando degli elettrodi in corrispondenza di derivazioni precordiali posizionate sugli arti dell’animale. Gli elettrodi possono essere pinze “a coccodrillo” bagnate dall’alcool, patch adesivi applicati sui polpastrelli oppure una sonda endoesofagea (Kona-Boun, 2008).

L’elettrocardiogramma misura la frequenza cardiaca (in battiti/min) e il ritmo attraverso la rappresentazione grafica di onde e segmenti (onda P, complesso QRS, onda T) e fornendo un valore numerico.

La frequenza cardiaca può essere valutata anche utilizzando un fonendoscopio endoesofageo che viene inserito direttamente in esofago quando il cane è addormentato.

La misurazione indiretta (non invasiva) della pressione arteriosa può essere rilevata con un manicotto posizionato su un arto o sulla coda, collegato al monitor (pressione oscillometrica) oppure a uno sfigmomanometro utilizzato insieme a un manicotto e ad un sistema doppler (flusso doppler). La macchina insuffla e desuffla il bracciale della pressione in modo automatico, oppure su richiesta premendo un pulsante in modo che il monitor possa misurare le oscillazioni di pressione all’interno della cuffia date dal flusso dell’arteria presente sotto il bracciale, fornendo un valore numerico (in mmHg) della pressione stessa. La cuffia è insufflata a una pressione superiore a quella sistolica. Durante la fase di sgonfiamento, quando la pressione nella cuffia è prossima a quella sistolica, il sangue comincia a fluire nell’arteria sotto il bracciale, determinando variazioni ritmiche della pressione nella cuffia che corrispondono alla pressione sistolica (PAS). Quando la cuffia è più sgonfia e la quantità di sangue che fluisce nell’arteria sotto la cuffia aumenta, le oscillazioni pressorie nella cuffia sono massime e indicano la pressione media (PAM). Successivamente le oscillazioni diminuiscono ancora e rimangono costanti per la pressione diastolica (PAD) finché non scompaiono del tutto (Corletto, 2010). Il sistema Doppler, invece, riproduce un suono caratteristico

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al passaggio del sangue nell’arteria. La cuffia è posta sullo stesso arto del sensore Doppler, prossimalmente, e collegata a un manometro e al dispositivo per insufflarla. Quando la cuffia è insufflata comprime l’arteria e il Doppler non produce alcun suono. Quando la pressione nella cuffia è vicina a quella sistolica dell’animale il sangue ricomincia a scorrere nell’arteria e viene di nuovo percepito dal Doppler. La tecnica Doppler sottostima, lievemente, la pressione nel cane, mentre nel gatto è prossimo alla pressione arteriosa media più che alla sistolica (Corletto, 2010).

La pressione diretta (invasiva) si ottiene collegando un trasduttore a un catetere inserito nell’arteria metatarsale mediante una prolunga riempita di soluzione fisiologica eparinizzata collegato al monitor su cui appare la curva pressoria e i valori di pressione arteriosa sistolica, diastolica e media.

La CO2 presente nella miscela gassosa è misurata con il capnometro che la

visualizza in forma numerica (mmHg) e/o grafica (capnogramma).

L’ossigenazione del sangue arterioso è misurato attraverso il pulsossimetro ed indicato dalla SpO2 che fornisce dei valori da considerare normali dal 95 al

98% (fino al 100% in caso di somministrazione di O2 puro).Valori < 90% sono

indice di ipossiemia. La cianosi delle mucose si osserva solitamente quando la saturazione arteriosa scende a valori prossimi a 70% con una quantità di emoglobina superiore a 5 g/dl (Bufalari, 2012).

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3.6 Trattamenti postoperatori

In anestesia i trattamenti postoperatori sono decisi in base al decorso della chirurgia e al monitoraggio dell’animale al risveglio.

L’analgesia postoperatoria è un fenomeno consolidato e tiene conto del concetto di analgesia multimodale che si basa sull’associazione di due o più prodotti analgesici, o tecniche di analgesia, per migliorare e eliminare la sensazione dolorifica.

Tra gli analgesici non morfinici ricoprono un ruolo importante gli antinfiammatori non steroidei (FANS). Essi esercitano la propria azione antalgica soprattutto per il dolore infiammatorio, agendo sui recettori periferici e, per quelli che attraversano la barriera ematoencefalica, a livello midollare dove avviene l’integrazione del messaggio nocicettivo. Impediscono la sintesi delle prostaglandine a partire dall’acido arachidonico, inibendo le ciclossigenasi (COX, tipo 1 e 2). Nello specifico, agiscono sulle prostaglandine che hanno azione sulle terminazioni nervose, oppure con un’azione diretta (inibizione delle PGI2) o ancora, abbassando la soglia di depolarizzazione

neuronale (inibizione delle PGE2) (Bufalari, 2012)

I FANS sono noti per i loro effetti collaterali, in particolare per l’effetto lesivo a livello gastroduodenale, la tossicità epatica e per l’azione antiaggregante piastrinica e anticoagulante.

La nefropatia da FANS è un effetto collaterale relativamente comune nell’uomo, ma non altrettanto frequente negli animali domestici, in parte perché correlato a somministrazioni prolungate, che sono meno frequenti in medicina veterinaria (Fonda, 2009). Il rischio d’insufficienza renale acuta può essere dato da ipoperfusione, che viene aggravata dall’ipovolemia (possibile complicazione in caso di anestesia). Pertanto, la nefropatia indotta da FANS a livello renale può essere prevenuta in preanestesia monitorando l’idratazione degli animali, controllando la normovolemia intraoperatoria e garantendo un’adeguata fluidoterapia per tutta la durata dell’anestesia (Fonda, 2009). I farmaci inibitori di COX-1 non selettive (ketoprofene, piroxicam, paracetamolo) possiedono più effetti collaterali, le sostanze che bloccano sia gli enzimi COX-1 che COX-2 (flunixin) hanno un effetto minore

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sull’aggregazione piastrinica, ma mantengono gli effetti gastroenterici, mentre farmaci selettivi per i COX-2 (carprofen, robenacoxib, meloxicam) hanno effetti lievi e transitori a livello dello stomaco e dell’intestino, quali vomito, feci molli e diarrea (Troncy, 2008). La tossicità epatica del carprofen nel cane sembra essere provocata da una reazione idiosincrasica che può essere risolta interrompendo la somministrazione del farmaco con l’ausilio di una cura di supporto (Egger et al., 2014). Tuttavia, un FANS difficilmente è sufficiente per il trattamento del dolore postoperatorio. Infatti, un FANS tratta efficacemente solo un dolore di Grado I, mentre l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) classifica il dolore chirurgico come Grado II o III (Troncy, 2007).

Figura 3.1: Andamento dell’intensità e della durata del dolore in seguito a lesione tissutale importante e duratura (Troncy, Anestesia del cane e del gatto)

Sebbene gli antinfiammatori non steroidei siano molto utili in caso d’intervento chirurgico, la gestione del dolore perioperatorio si basa principalmente sugli oppioidi (Troncy, 2008). Tra i farmaci oppioidi possono essere utilizzati i cerotti transdermici a base di fentanil o buprenorfina, iniezioni ripetute di metadone, morfina, buprenorfina, a dosi differenti e secondo la necessità.

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Gli α-2 agonisti interagiscono con gli andrenorecettori ampiamente presenti sia a livello encefalico che spinale. Somministrati per via sistemica, medetomidina e dexmedetomidina determinano uno stato di sedazione e di analgesia. Essi hanno diversi effetti cardiovascolari: dapprima provocano una vasocostrizione periferica e un’ipertensione transitoria seguitata da un’ipotensione per un minor rilascio di norepinefrina e una maggior azione vagotonica a livello centrale con conseguente diminuzione della frequenza e della gittata cardiache. Possono provocare depressione respiratoria e incrementare la produzione di urina. Pertanto tali farmaci non sono la prima scelta per il trattamento dell’analgesia postoperatoria, anche se bassi dosi di dexmedetomidina (0,5-3 µg/kg/h) in CRI hanno mostrato un miglioramento dell’analgesia con minimi effetti cardiovascolari (Murrel, 2005).

Basse dosi di ketamina somministrate in bolo a meno di 2 mg/kg intramuscolo (o meno di 1 mg/kg endovena o per via epidurale), o in infusione continua endovenosa a meno di 20 µg/kg/min possono migliorare la gestione del dolore postoperatorio se aggiunte ad anestetici locali, oppioidi o altri analgesici (Schmid, 1999).

3.7 Complicazioni dell’ ovariectomia laparoscopica in corso di anestesia

Le complicazioni perioperatorie possono essere molteplici, diverse a seconda del paziente, della sua categoria ASA e del tipo di chirurgia.

L’emorragia è una grave complicazione di un intervento chirurgico. In corso di ovariectomia laparoscopica, una cospicua perdita di sangue si può verificare per un’errata coagulazione o legatura dei vasi, ma anche all’inizio della chirurgia quando viene inserito in addome il primo trocar. Sopratutto quando l’addome è poco insufflato, un’eccessiva pressione della parete addominale all’altezza dell’ombelico può lesionare la milza che si trova subito al di sotto. In questi casi, il valore dell’ematocrito (Hct) è l’indice di riferimento per valutare la perdita di sangue.

In seguito allo pneumoperitoneo con CO2, un’eccessiva pressione addominale

(>12 mmHg) può causare una compressione dei visceri, dei vasi e un minor

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maggiore pressione intratoracica e a un aumento delle resistenze periferiche, fa diminuire la gittata cardiaca quindi la pressione arteriosa media (Fukushima et al., 2011). La rapida insufflazione del gas porta a formazione di emboli che vanno a localizzarsi nella vena cava o in atrio destro.

Poiché la CO2 è più solubile nel sangue rispetto all’aria o al N2O, l’impiego di

questo gas aumenta il margine di sicurezza durante l’esecuzione dello pneumoperitoneo (Bufalari & Lachin, 2012).

Le alterazioni emodinamiche sul sistema cardiovascolare possono essere causate direttamente dall’effetto della CO2, oppure da una stimolazione

indiretta del sistema simpatico (Fukushima et al., 2011).

La stessa pressione addominale disloca cranialmente il diaframma riducendo il volume polmonare e aumentando le resistenze delle vie aeree.

La CO2 insufflata per formare la volta addominale diffonde dal peritoneo ai

tessuti.

L’ipercapnia è dovuta all’assorbimento di CO2 da parte dei tessuti e a una

ridotta ventilazione alveolare che altera il rapporto ventilazione/perfusione polmonare (V/Q). Fisiologicamente questo rapporto è di 0,8 (la perfusione supera leggermente la ventilazione). Gli scambi di CO2 a livello della

membrana alveolare dipendono direttamente dal rapporto

ventilazione/perfusione ed eventuali anomalie di questo parametro causano un’alterazione dell’equilibrio tra pressione di CO2 capillare (PaCO2) e

alveolare (PACO2). Il gradiente arterioso- alveolare ([a-A] CO2) è molto basso

(2-5 mmHg) in condizioni normali e ciò è dovuto alla diluizione della concentrazione effettiva di CO2 da parte dei gas dello spazio morto anatomico e

alveolare (Manassero et al, 2008).

L’aumento di anidride carbonica nel sangue è rilevata da un valore di EtCO2

(CO2 emessa alla fine dell’espirazione o End Tidal CO2) superiore a 45 mmHg,

visibile sul capnogramma con una curva più alta del normale.

L’ipercapnia può produrre acidemia perché si verifica una ritenzione di biossido di carbonio nel sangue e i continui incrementi di PaCO2 sono più

rapidi dell’aumento compensatorio delle basi tampone extracellulari. Tale condizione causa un immediato abbassamento del pH cellulare, soprattutto a livello cerebrale (Fraser et al., 2007).

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Valori di EtCO2 pari a 60 mmHg determinano una vasodilatazione cerebrale e

un aumento della pressione del liquido cefalo rachidiano (LCR) con edema cerebrale (Bufalari, 2012).

Gli effetti dell’ipercapnia acuta sono meno tollerati di quelli dell’ipercapnia cronica. Quando l’acidemia è grave (pH < 7,3) contribuisce ulteriormente alla vasocostrizione arteriolare polmonare, alla vasodilatazione sistemica, alla riduzione della contrattilità miocardica, all’ipokaliemia e all’ipotensione con il rischio di aritmie potenzialmente fatali. Nei casi di acidosi metabolica, si osserva una tipica iperpnea come conseguenza degli sforzi fatti per compensare questo stato tramite l’eliminazione di CO2. Si può inoltre osservare depressione

del sensorio che può esitare in coma (Fraser et al., 2007).

Un peggioramento dell’acidosi metabolica si può notare in seguito a una maggior produzione di lattati. L’acido lattico viene prodotto normalmente in piccole quantità a partire dal glucosio nella via glicolitica anaerobica e può aumentare successivamente a un’ipoperfusione tissutale o a un danno ossidativo, come quello che si verifica in corso di ovariectomia laparoscopica per un’eccessiva pressione addominale (Lee et al., 2013).

In realtà, lo studio di Lee sullo “stato ossidativo” in 12 cani operati di ovariectomia non ha mostrato differenze di PO2, CO2, pH e EtCO2 tra la

tecnica laparoscopica e quella laparotomica. Inoltre, la quantità totale di antiossidanti nel plasma, calcolata con un kit, è risultata inferiore nella chirurgia laparoscopica piuttosto che in quella “classica”, a dimostrazione del fatto che l’ovariectomia laparoscopica è responsabile di un minor danno ossidativo rispetto all’ovariectomia laparotomica.

L’ipotermia è un’altra complicazione che si verifica in molti pazienti sottoposti ad anestesia. È dovuta inizialmente a una vasocostrizione che ridistribuisce il calore all’estremità del corpo, e successivamente, a una perdita fisiologica del tono vasomotore periferico. I farmaci utilizzati per l’induzione e per il mantenimento dell’anestesia deprimono la termoregolazione, inducono vasodilatazione e facilitano la dispersione di calore. Inoltre, il lento metabolismo in corso di anestesia deprime la capacità di produrre calore, aumentando la tendenza dei gas freschi ad indurre un calo di temperatura rispetto a quella basale. Inoltre, alcune manovre come l’utilizzo di alcool sulla cute, il contatto dell’animale su superfici fredde e l’apertura delle cavità

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corporee possono ulteriormente alterare la termoregolazione degli animali (Tan et al., 2006).

Un abbassamento della temperatura (34o-36oC) in persone anziane e malate porterebbe ad un aumento nella concentrazione plasmatica di norepinefrina tre volte superiore a quella che si verifica in un paziente normotermico e predisporrebbe il cuore ad aritmie ventricolari (Sessler, 2001).

Schimed et al. hanno verificato che durante la chirurgia di sostituzione dell’anca, alcuni soggetti ipotermici hanno mostrato una maggior perdita di sangue in seguito a una coagulopatia indotta da ipotermia. A riguardo vi sono però pochi dati disponibili.

In veterinaria, simili complicazioni sono state osservate in animali debilitati o critici (Tan et al., 2006).

Una strategia per limitare il più possibile la termodispersione nel cane e nel gatto è coprire le estremità delle zampe fin dall’inizio dell’anestesia, al momento dell’induzione. Alcuni dispositivi termoregolabili come tappetini elettrici (max 41o C), materassi preriscaldati utilizzati in pediatria, lampade a raggi infrarossi e umidificatori caldi connessi alla branca inspiratoria della macchina anestesiologica sono stati testati per riscaldare 48 cani e confrontati con cani non riscaldati e sottoposti alla stessa chirurgia. In una sala chirurgica a temperatura ambiente, per procedure brevi e non invasive, il tappetino preriscaldato si è dimostrato sufficiente per evitare un’eccessiva perdita di calore. Tuttavia, questo non è bastato quando la procedura chirurgica ha richiesto molto tempo (Tan et al., 2006).

Il monitoraggio della pressione sanguigna è particolarmente importante in corso di anestesia chirurgica, per valutare una condizione d’ipotensione e il livello del piano anestetico. La larghezza del manicotto della pressione dovrebbe rappresentare circa il 30-40% della circonferenza dell’arto nel punto di applicazione. Se il bracciale è troppo stretto o piccolo, la pressione arteriosa sistemica viene sovrastimata, viceversa, se è troppo largo viene sottostimata perché la pressione della cuffia è superiore a quella sistemica, andando a occludere il flusso (Kona-Boun, 2008).

Per il cane esistono diversi studi condotti sull’attendibilità della misurazione della pressione non invasiva riguardanti le differenze tra la localizzazione della cuffia a livello dell’arto toracico o dell’arto pelvico (McMurphy et al., 2006),

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le differenze tra misurazione diretta e indiretta durante l’anestesia (Sawyer et al, 1991; Shih et al., 2010) e in caso d’ipertensione (MacFarlane et al., 2010). A livello gastro-enterico, la contrattilità gastrica e la mobilità enterica diminuiscono in cani anestetizzati con sevoflurano durante la chirurgia laparoscopica (Boscan et al., 2014).

Anche se la mobilità gastrica si risolve in 12-15 ore dopo la fine della chirurgia, l’incapacità di svuotamento gastrico dopo 30-40 ore predispone i cani a ileo nel periodo post operatorio (Boscan et al., 2014).

Figura

Figura  3.1:  Andamento  dell’intensità  e  della  durata  del  dolore  in  seguito  a  lesione  tissutale  importante e duratura (Troncy, Anestesia del cane e del gatto)

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