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Sintomi di spettro autistico in un campione di studenti universitari arruolati in scuole ad alta selettivita

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

“Sintomi di spettro autistico in un campione di studenti

universitari arruolati in scuole ad alta selettività”

RELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Liliana

Dell’Osso

CANDIDATO

Mario Ferraro

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3

INDICE

1. RIASSUNTO ANALITICO

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2. INTRODUZIONE

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2.1 IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

8

2.1.1 Epidemiologia ed eziologia

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2.1.2 Evoluzione del Disturbo Autistico nel DSM

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2.1.3 Il DSM-5 e il concetto di “spettro autistico”

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2.1.4 Lo Spettro Autistico Sottosoglia

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2.1.5 Broader Autism Phenotype

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2.2 COMORBIDITA’ PSICHIATRICHE E SPETTRO

AUTISTICO

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2.2.1 Sguardo d’insieme sul problema delle comorbidità

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2.2.2 Disturbo Post-Traumatico da Stress e Disturbo

di Spettro Autistico

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2.2.3 I disturbi dell’umore e lo spettro autistico

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2.3 SPETTRO AUTISTICO E PERFORMANCE

ACCADEMICA

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2.3.1 Performance accademica, talento e spettro autistico

29

2.3.2 Lo studio dei tratti autistici tra gli studenti

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3. PARTE SPERIMENTALE

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4

3.2 MATERIALI E METODI

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3.2.1 Campione di studio

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3.2.2 Strumenti di valutazione

38

3.2.3 Analisi statistica

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3.3 RISULTATI

46

3.4 DISCUSSIONE

51

3.5 CONCLUSIONI

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4. TABELLE E FIGURE

55

5. BIBLIOGRAFIA

66

(5)

5

1.RIASSUNTO

Introduzione: i Disturbi dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorders - ASD) sono una categoria di disordini del neurosviluppo, ad insorgenza generalmente precoce, che si caratterizzano, nonostante la sconvolgente variabilità interindividuale della presentazione clinica, per due gruppi sintomatici: (a) deficit di interazione sociale e di comunicazione e (b) pattern di comportamento, interessi o attività, ristretti, ripetitivi, stereotipati. Con il DSM-5 si giunge a definire il disturbo autistico come uno “spettro”, ovvero un vasto ed eterogeneo gruppo di alterazioni che possono manifestarsi con intensità e modalità differente pur mantenendo inalterato il nucleo della patologia. Studi recenti hanno inoltre devoluto crescente attenzione alle forme sottosoglia e parziali, che possono tuttavia avere una significativa rilevanza dal punto di vista clinico e sulle quali ci concentreremo nel presente studio. La scelta di analizzare un campione di studenti universitari, arruolati in un contesto altamente selettivo dal punto di vista accademico, è dettata dal fatto che in letteratura è ampiamente dimostrata l’elevata presenza di tratti autistici in questi gruppi di soggetti. Partendo da un indagine di questo tipo ci soffermeremo su alcuni aspetti a cui la letteratura negli ultimi anni ha dato una crescente importanza, come il rapporto fra i tratti autistici e altri disturbi mentali, in particolare i disturbi affettivi e quelli di spettro post-traumatico da stress, come pure le differenze di genere.

Obiettivi: 1) Valutare la prevalenza di uno spettro autistico sottosoglia e di altri disturbi mentali in un campione di studenti proveniente da scuole ad alta

selettività e di osservare le differenze di genere. Si presterà particolare attenzione ad indagare la presenza di disturbi dell’umore e l’area dei disturbi post-traumatici da stress; entrambe le condizioni psicopatologiche saranno indagate utilizzando sia le diagnosi categoriali, sia due strumenti di spettro. 2) Valutare se elevati livelli di tratti autistici si associno alla presenza/assenza di specifiche diagnosi della SCID-5. 3) Valutare se lo spettro autistico sottosoglia correla con i sintomi di spettro dell’umore e di spettro PTSD rispettivamente, separatamente negli

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6

studenti di sesso femminile e in quelli di sesso maschile. 4) Valutare se la relazione fra i sintomi di spettro autistico e i sintomi di spettro dell’umore sia mediata dalla presenza di eventi potenzialmente traumatici, sia nel campione totale che separatamente negli studenti di sesso femminile e in quelli di sesso maschile.

Materiali e Metodi: 178 studenti (93 maschi e 85 femmine) appartenenti a tre Università italiane d’eccellenza (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Collegio di Merito di Pavia e Scuola Superiore di Catania) sono stati valutati con i seguenti strumenti: SCID-5, AQ, AdAS Spectrum, MOOD-SR, TALS-SR

Risultati: non si sono evidenziate differenze di genere significative nei punteggi AQ [F vs M; 17.2 (6.3) vs 17.9 (7.0)]. I risultati dell’AdAS Spectrum [F vs M; 50.0 (21.3) vs 50.3 (21.8)] ugualmente non mostrano differenze di genere. Il 66.9% dei soggetti mostravano almeno un disturbo mentale, dei quali il 36.5% era rappresentato da disturbi d’ansia, il 23.6% da disturbi del sonno, il 16.9% da disturbi depressivi, il 14% da disturbi ossessivo-compulsivi, il 9% da disturbi dell’alimentazione e il 5.1% da disturbi bipolari. Il confronto maschi/femmine rispetto alla distribuzione delle diverse diagnosi permetteva di rilevare, nelle donne, un maggior numero di disturbi dell'umore depressivi (p=.028) e di disturbi d’ansia (p=.042). Per quanto riguarda i sintomi di spettro dell’umore valutati con il MOODS-SR, le femmine presentavano rispetto ai maschi punteggi superiori in: MOODS-SR totale (p=.002); totale MOODS-SR depressivo (p=<.001). I maschi piuttosto presentavano punteggi più alti rispetto alle femmine nel: totale MOODS-SR maniacale (p=.022). I confronti effettuati sui punteggi del TALS-MOODS-SR fra femmine e maschi vede le prime avere punteggi più alti dei secondi nei domini “eventi di perdita” (p=.013) e “reazione agli eventi di perdita” (p=.009). La presenza di disturbi dell'umore di tipo bipolare e di disturbi di spettro OC era associata con punteggi significativamente maggiori alla AQ (tutti i p<0.05) mentre la presenza di disturbi del sonno e di disturbi dell'alimentazione e della nutrizione era associata con punteggi significativamente superiori alla AdAS Spectrums (tutti i p<0.05).

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7

Il punteggio totale AdAS Spectrum era significativamente correlato con il totale MOODS-SR (r=0.660), con il totale maniacale del MOODS-SR (r=0.607), con il totale TALS-SR (r=0.529). Correlazioni più deboli vi erano fra il totale depressivo del MOODS-SR (r=0.498) e con gli eventi potenzialmente traumatici del TALS-SR (r=0.359) (tutti i p<0.01). Dividendo il campione nei due sottogruppi, maschi e femmine, le correlazioni rimanevano significative nei maschi mentre nelle donne vi era una correlazione più debole con il totale TALS-SR e assenza di correlazione con eventi potenzialmente traumatici del TALS-SR.

Nel campione totale, gli eventi traumatici mediavano parzialmente la relazione fra punteggi AdAS Spectrum e MOODS-SR totale (B differenziale=0.129). Dividendo il campione in soggetti di sesso maschile e soggetti di sesso e femminile, questa mediazione continuava ad essere presente in entrambi i sottocampioni. Limitando l'osservazione solo al sottopunteggio depressivo del MOODS-SR, l’effetto di mediazione dei traumi sussisteva solo nel sottocampione maschile, non in quello femminile.

Conclusioni: i risultati sulla prevalenza dei tratti autistici negli studenti sono in linea con quelli presenti in letteratura. Inoltre si sono evidenziate alcune importanti relazioni fra spettro autistico, spettro dell’umore e spettro PTSD e suggeriscono l’esistenza di alcune possibili differenze di genere nel modo in cui i sintomi di spettro autistico mediano i sintomi affettivi. Ulteriori studi in campioni di studenti sono necessari per confermare questi dati preliminari, mentre ulteriori studi in campioni epidemiologici potranno servire per chiarire quanto i nostri risultati possano essere generalizzati a popolazioni più ampie.

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8

2.INTRODUZIONE

2.1 Il Disturbo dello Spettro Autistico

2.1.1 Epidemiologia ed Eziopatogenesi

Epidemiologia

I Disordini dello Spettro Autistico (Autistic Spectrum Disorder – ASD) colpiscono circa l’1% della popolazione mondiale (M. C. Lai, Lombardo, & Baron-Cohen, 2014) e sono fra i più comuni difetti del neurosviluppo (McPartland, Reichow, & Volkmar, 2012), la cui prevalenza negli ultimi 50 anni ha visto un notevole incremento; si è stimato che fra il 1966 e il 1991 la prevalenza era di 4,4 casi ogni 10.000, tra il 1992 e il 2001 invece si attestava essere di 12,7 casi ogni 10.000 (Fombonne, 2003). Stime del 2008 parlano di 1 bambino ogni 88 positivo per diagnosi di ASD, un incremento del 25% rispetto al 2006 dove si parlava di 1 bambino ogni 110 ("Prevalence of autism spectrum disorder among children aged 8 years - autism and developmental disabilities monitoring network, 11 sites, United States, 2010," 2014). Una recente stima riguardante dati epidemiologici statunitensi riferisce una prevalenza di 14.6 casi ogni 1000 (Christensen et al., 2016); lo stesso studio ha stimato che nei maschi la prevalenza è di 23,6 ogni 1.000 mentre nelle femmine è di 5,3 ogni 1.000, questo a riconferma del fatto che l’ASD è circa 4/5 volte più frequente nei maschi rispetto alle femmine. In Italia non vi sono studi di prevalenza sull’intero paese, piuttosto i dati disponibili riguardano due regioni, Piemonte ed Emilia Romagna; in Piemonte, stime del 2008 riportano una prevalenza di 3,7 casi ogni 1.000 bambini (fascia di età: 6-10 anni), e similarmente in Emilia Romagna i dati più recenti (2011) parlano di 3,5 casi ogni 1.000 bambini (fascia di età: 6 anni). La maggior parte degli autori concorda nel sostenere che questa “epidemia autistica” è dovuta ad un miglioramento delle metodiche diagnostiche, piuttosto che ad un vero e proprio aumento dell’incidenza della patologia (McPartland et al., 2012), ciononostante qualche studio ha ipotizzato che

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potrebbe esserci un reale aumento dei casi dovuto essenzialmente all’esposizione a particolari inquinanti ambientali (Nevison, 2014).

Eziopatogenesi

Con il termine ASD si fa riferimento ad un gruppo di disordini del neurosviluppo che si manifestano in giovane età, caratterizzate da un anomalo sviluppo delle connessioni neuronali, con una serie di effetti a cascata sulle funzioni neurofisiologiche (Narzisi, Muratori, Calderoni, Fabbro, & Urgesi, 2013), (Kana, Uddin, Kenet, Chugani, & Muller, 2014). La causa esatta non è ancora stata individuata (Levy, Mandell, & Schultz, 2009). Nonostante solo nel 20% dei casi di ASD può essere rintracciato uno specifico gene (nel contesto di una sindrome genetica ad esempio) o variazioni del numero di copie di geni (Copy Number Variants – CNV) come causa determinante (Jeste & Geschwind, 2014), studi recenti sui gemelli sembrano dimostrare una ereditarietà fra il 64 e il 91% (Tick, Bolton, Happe, Rutter, & Rijsdijk, 2016) suggerendo quindi una interazione fra una vulnerabilità genetica da una parte e fattori ambientali dall’altra (Rossignol, Genuis, & Frye, 2014).

Riguardo i fattori genetici, sono state individuate diverse sindromi Mendeliane capaci di determinare (in modo differente) disturbi classificabili come ASD; la sindrome dell’X fragile, la neurofibromatosi, la sindrome di Rett, la sclerosi tuberosa (Jeste & Geschwind, 2014).

Uno studio ha dimostrato che mutazioni nel gene CNTNAP2, codificante per una proteina implicata nel corretto sviluppo dei circuiti neuronali del linguaggio, determina appunto i disturbi del linguaggio tipici dei soggetti con ASD (Alarcon et al., 2008), altri autori invece hanno dato molta importanza ad alcune mutazioni in geni codificanti per canali ionici (canalopatie) (Schmunk & Gargus, 2013). Da qualche anno, inoltre, si è abbastanza persuasi che un ruolo importante, nella genetica dell’autismo, lo svolgano le variazioni nel numero di copie di geni (CNV). A questo proposito, uno studio della Dott.ssa Chow e del Dott.Pramparo si è focalizzato sull’espressione di geni cerebrali età-dipendenti e le variazioni del numero di copie in soggetti autistici giovani e adulti. I ricercatori hanno studiato le

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mutazioni nella corteccia prefrontale e hanno riscontrato alterazioni differenti a seconda che il paziente fosse un giovane o un adulto: nei giovani vi erano disregolazioni in pathways che regolano il pattern, il numero, la differenziazione delle cellule della corteccia; negli adulti vi erano disregolazioni nel signaling cellulare e nel meccanismi di riparazione. Gli autori hanno perciò ipotizzato che le alterazioni riscontrate potrebbero derivare da processi patogenetici differenti in base al fatto che il paziente sia giovane o adulto (Chow et al., 2012).

Un lavoro interessante del 2015 ha passato in rassegna diverse alterazioni neurofisiologiche/neuroanatomiche riscontrabili in pazienti con ASD dividendole in due gruppi, a seconda che il risultato derivi da un iperattività di segnali stimolanti la crescita di determinate aree cerebrali o da una ipoattività di questi segnali (Subramanian, Timmerman, Schwartz, Pham, & Meffert, 2015). Nel primo gruppo di alterazioni possiamo riscontrare:

 Macrocefalia (Courchesne et al., 2007).

 Iperconnettività aberrante di circuiti neuronali (Keown et al., 2013; Meikle et al., 2007; Supekar et al., 2013).

 Aumentata sopravvivenza e proliferazione a livello cellulare (Callan et al., 2010; Castren et al., 2005).

 Aumento della crescita sinaptica a livello subcellulare (Irwin et al., 2001; Jaworski, Spangler, Seeburg, Hoogenraad, & Sheng, 2005; Kwon et a l., 2006; Tang et al., 2014).

 Eccessiva sintesi proteica (Osterweil et al., 2013; Santini et al., 2013). Nel secondo gruppo di alterazioni invece possiamo trovare:

 Microcefalia (Bronicki et al., 2015; van Bon et al., 2016).

 Ridotta connettività di circuiti neuronali (Anderson, 2014; Assaf et al., 2010).

 Ridotta sopravvivenza e proliferazione a livello cellulare (Yufune et al., 2015).

 Ridotta crescita sinaptica a livello subcellulare (Cheng & Qiu, 2014).  Ridotta sintesi proteica (Li et al., 2013; Tian et al., 2015)

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Sono inoltre stati chiamati in causa fattori neuroendocrini che determinerebbero una aumentata vulnerabilità cerebrale (Pfaff, Rapin, & Goldman, 2011) nonché, a cavallo fra predisposizione genetica ed esposizione a fattori ambientali, è stato studiato il ruolo del sistema immunitario e di determinate infezioni (sia in epoca pre-natale che post-natale), focalizzando quindi l’attenzione sullo stato infiammatorio, le citochine e anticorpi anti SNC (Meltzer & Van de Water, 2016). Per quanto riguarda le cause ambientali si rammenta l’assunzione in gravidanza di acido valproico ("Valproate in pregnancy linked to autism in children," 2013) e una lunga lista di inquinanti ambientali come pesticidi, ftalati, PCB, solventi (Rossignol et al., 2014).

A quanto detto finora si aggiungono numerosi altri studi che rivelano le più disparate alterazioni capaci di determinare un aumentato rischio di ASD, per cui risulta evidente che l’eziopatogenesi è tutt’altro che semplice da individuare, dal momento che le alterazioni interessano ampi circuiti neuronali e possono quindi essere il risultato di molteplici disfunzioni. Nonostante questo, un team di ricerca recentemente (Novembre, 2016) ha individuato quello che potrebbe essere un primo fattore unificante fra i pazienti con Disturbo dello Spettro Autistico. Come è stato detto precedentemente le mutazioni di singoli geni possono spiegare una minima parte dei casi di autismo, per cui non sono dei candidati ideali per spiegare la eziopatogenesi della malattia. In questo studio gli autori si sono focalizzati sull’analisi dell’acetilazione del DNA, analizzando campioni di tessuto cerebrale di soggetti con spettro autistico e manifestazioni cliniche differenti, e hanno osservato un pattern di acetilazione peculiare, che si presentava nel 68% dei pazienti (Sun et al., 2016). Questo potrebbe essere il primo passo per individuare un processo patogenetico che spieghi l’estrema eterogeneità delle manifestazioni cliniche del Disturbo Autistico.

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2.1.2 Evoluzione del Disturbo Autistico nel DSM

Il Disturbo dello Spettro Autistico è oggi definito dal DSM-5 come la persistente compromissione della comunicazione sociale reciproca e dell’interazione sociale, accompagnata dalla presenza di pattern di comportamento, interesse o attività ristretti e ripetitivi (Biondi, 2014). Questi sintomi si manifestano nella prima infanzia e limitano o compromettono il funzionamento quotidiano. Il momento in cui la compromissione funzionale diventa evidente varia in base alle caratteristiche dell’individuo e del suo ambiente.

La definizione attuale di autismo è la conclusione di dibattiti e progetti di ricerca iniziati a metà del secolo scorso. In effetti intorno agli anni 50’ l’autismo veniva considerato come una manifestazione precoce della schizofrenia infantile, un disturbo emotivo radicato nelle dinamiche genitore-figlio; di fatto non si incontra ancora una definizione coerente e completa. Con la pubblicazione del DSM-III (1980) si giunge ad una collocazione e ad una definizione precisa di Autismo che viene incluso in una classificazione diagnostica come entità clinica separata e indipendente, facente parte dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (Association, 1980). Il Disturbo Autistico viene quindi distinto della schizofrenia e dalle psicosi infantili in cui era inserito nel DSM-II (1968) (Association, 1968).

Con il termine “pervasivo” si intende un disturbo che comprende più ambiti, compromettendo in modo globale tutti i sistemi, cognitivi, comunicativo-linguistici e comportamentali, alterando complessivamente i processi di crescita e di sviluppo di tre aree essenziali, la comunicazione, la socializzazione e il comportamento (Vannucchi et al., 2014; Volkmar & Cohen, 1991).

Viene definito come un disturbo che coinvolge tre domini: mancanza di responsività verso gli altri (autismo), grave deterioramento delle capacità comunicative, risposte bizzarre a diversi tipi di ambiente. Tutto ciò doveva manifestarsi entro i 30 mesi di vita.

In seguito il DSM-III-R (1987), fornisce una definizione più complessa, portando a 16 i criteri presenti nei tre principali domini, che saranno:

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b) Compromissione qualitativa della comunicazione. c) Restrizione di interessi e attività.

Viene eliminato il requisito dell'insorgenza precoce e viene introdotto il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non altrimenti specificato (PDD-NOS) per i soggetti che soddisfano solo alcuni criteri (American Psychiatric Association, 1987).

Il DSM-IV (American Psychiatric Association, 1994) e il DSM-IV-R (American Psychiatric Association, 2000) continuano a parlare di Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, vengono affinati maggiormente i criteri diagnostici che comunque rimangono i medesimi del DSM-III (compromissione qualitativa dell’interazione sociale e della comunicazione, modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati), ma per la diagnosi è necessario un numero inferiore di voci. Infatti se nel precedente DSM III ne occorrevano 8, nel DSM IV ne bastano 6 di cui almeno 2 specifici per la capacità di socializzazione e 1 ciascuno per i domini della comunicazione e pattern di attività ripetitive. Si devono inoltre registrare ritardi o funzionamento anomalo con esordio prima dei 3 anni di età (entro 36 mesi).

Nel DSM IV il disturbo autistico è affiancato dalla Sindrome di Asperger, il Disturbo Disintegrativo Dell'infanzia (o Disturbo di Heller), il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (PDD-NOS) e la Sindrome di Rett. Il Disturbo Autistico e la Sindrome di Asperger sono accomunati dalla compromissione qualitativa dell’interazione sociale e da modalità di comportamenti, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, differenziati fra loro dall’assenza nella Sindrome di Asperger della compromissione qualitativa del linguaggio e del ritardo nello sviluppo cognitivo.

Vi sono però alcune differenze sul piano dello sviluppo cognitivo e relazionale; non vi è, a differenza di quanto accade nel Disturbo Autistico, un ritardo del linguaggio clinicamente significativo. I soggetti con Sindrome di Asperger possono comunque presentare una scarsa prosodia e il ritmo del discorso può risultare insolito o poco fluente con una scarsa capacità nel modulare il volume di voce. Anche dal punto di vista dello sviluppo cognitivo non è presente un ritardo evidente così come non

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è presente un’evidente compromissione nella capacità di auto-accudimento adeguate all'età. Nel DSM IV-R i criteri della Sindrome di Asperger verranno meglio specificati.

2.1.3 Il DSM-5 e il concetto di "spettro autistico"

Con il DSM-5 (Biondi, 2014) si cerca di colmare il divario fra le categorie diagnostiche dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo utilizzando un approccio di “spettro” al problema autistico, piuttosto che un approccio categoriale, come conseguenza di numerosi studi i quali evidenziano che le differenze nelle abilità cognitive e sociali dei sottogruppi diagnostici si caratterizzino meglio in termini di un continuum. Vengono quindi eliminate le cinque sottocategorie dei disturbi pervasivi dello sviluppo e riunite sotto un’unica identità: il Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorders - ASD).

Le caratteristiche essenziali del disturbo dello spettro autistico nel DSM-5 sono:

A. La compromissione persistente della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, presenti attualmente o nel passato.

B. I pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, presenti

attualmente o nel passato.

C. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo, ma

possono non manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate o possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva.

D. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del

funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva o da

ritardo globale dello sviluppo.

Le compromissioni della comunicazione sociale e dell’interazione sociale (Criterio A) sono pervasive e costanti e sono contraddistinte da:

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1) I deficit della reciprocità socio-emotiva (definita come la capacità di

rapportarsi con gli altri, condividere pensieri e sentimenti) che si manifestano con: un approccio sociale anomalo e nella incapacità di avere una normale conversazione nei tempi, nei modi, nella reciprocità; una ridotta condivisione degli interessi e delle proprie emozioni; un fallimento nell’iniziare o nel rispondere ad una interazione sociale.

2) I deficit dei comportamenti comunicativi non verbali che si manifestano

con: scarsa capacità di integrare la comunicazione verbale con quella non verbale; un uso anormale del contatto visivo e del linguaggio del corpo o deficit nell’uso e nella comprensione delle gestualità; una assenza, anche totale, di espressività facciale.

3) I deficit nell’instaurare, mantenere e comprendere le relazioni, che si

manifestano con: difficoltà nel modulare il proprio comportamento affinchè ci si possa inserire adeguatamente nei contesti sociali più disparati; difficoltà nella condivisione del gioco di immaginazione o nel creare nuovi rapporti di amicizia; assenza, anche totale, di interesse verso le relazioni.

Anche le modalità di comportamento, d’interessi o attività ristretti, ripetitivi (Criterio B), devono essere presenti, attualmente o nel passato e manifestarsi in almeno due modi su quattro:

1) Movimenti, uso di oggetti o eloquio stereotipati e ripetitivi, come per

esempio stereotipie motorie semplici, che vanno dallo schioccare le dita a battere le mani, oppure mettere in fila oggetti, o anche l’eloquio ripetitivo: ecolalia, uso stereotipato di parole, frasi o pattern prosodici, inversione pronominale.

2) La resistenza al cambiamento, con una estrema aderenza alla routine o

pattern di comportamento verbale o non verbale ritualici, come eccessivo stress anche a fronte di piccoli cambiamenti, difficoltà nei periodi di transizione come il cambio di scuola, schemi mentali ridigi, necessità di percorrere la stessa strada o di mangiare le stesse pietanze ogni giorno.

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3) Interessi limitati e rigidi che suscitano un’attenzione anormale

nell’individuo, come l’attaccamento o la preoccupazione verso oggetti inusuali o interessi eccessivamente circoscritti.

4) L’iperreattività o iporeattività come risposta ad alcuni stimoli sensoriali o

interesse anomalo in alcuni stimoli sensoriali, come l’apparente indifferenza al dolore o alla temperatura, le reazioni avverse a stimoli sonori o tattili, l’eccessiva tendenza a toccare o annusare oggetti o l’essere affascinati da luci e oggetti in movimento.

Bisogna specificare anche:

 Se è presente una compromissione intellettiva associata.

 Se è presente una compromissione del linguaggio associata (che si può manifestare con una eloquio non comprensibile o solo singole parole o fresi isolate).

 Se il disturbo è associato a una condizione medica o genetica nota o ad un fattore ambientale, come un disturbo genetico (sindrome di Down, sindrome di Rett, sindrome dell’X fragile), un disturbo medico come l’epilessia oppure l’esposizione ambientale (Valproato, sindrome alcolica fetale o basso peso alla nascita).

 Se associato a un altro disturbo del neurosvilupppo, mentale o comportamentale (Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), Disturbo dello Sviluppo della Coordinazione, disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta, disturbi d’ansia, Disturbo Depressivo o Bipolare, tic o Disturbo di Tourette, autolesionismo, disturbo della nutrizione, dell’evacuazione del sonno).  Se è presente un comportamento motorio di tipo catatonico.

Sono presenti anche degli specificatori di gravità che sono utilizzati per descrivere concisamente la sintomatologia attuale:

 Livello 1 (è necessario un supporto).

 Livello 2 (è necessario un supporto significativo).  Livello 3 (è necessario un supporto molto significativo).

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L’ultimo cambiamento apportato dal DSM-5 riguarda la possibilità di una doppia diagnosi quando vi sia una forte evidenza di comorbilità con altri disordini psichiatrici o di sviluppo (es ADHD), in virtù di diversi studi che hanno dimostrato come l’ereditarietà dei ASD sono geneticamente indipendenti dalle cause di altri comuni disturbi neuropsichiatrici e quindi è possibile per un individuo essere affetto da più di una condizione neuropsichiatrica.

Volendo quindi riassumere le principali differenze fra il DSM-IV e il 5:

 Si passa da Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (che erano 5, Disturbo Autistico, Disturbo di Asperger, Disturbo di Heller, Sindrome di Rett, e Disturbi Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato) a Disturbi

dello Spettro Autistico, che comprende tutti i precedenti sottotipi tranne la

sindrome di Rett che viene inserita fra i disturbi neurologici.

 Nel DSM-V viene introdotto il “Disturbo della Comunicazione Sociale” , le cui caratteristiche diagnostiche si sovrappongono parzialmente con i disturbi dello spettro autistico, poiché la diagnosi di disturbo della comunicazione sociale richiede la presenza di una “menomazione del linguaggio pragmatico” e di una menomazione “nell’uso sociale della comunicazione verbale e non-verbale”; tuttavia la presenza di interessi rigidi e ripetitivi è un criterio di esclusione per questa diagnosi ed un criterio essenziale per la diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

 Introduzione della scala su 3 livelli per specificare la gravità dell’ASD.  A differenza del DSM-IV che usava 3 categorie (menomazione

dell’interazione sociale, menomazione della comunicazione, repertori ristretti e ripetitivi di interessi/attività), i sintomi sono ora raggruppati in 2 categorie:

a) Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione

sociale (che comprende sia le difficoltà sociali che quelle di comunicazione).

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 Inoltre nel DSM-IV ognuna delle tre categorie comprendeva quattro sintomi; per effettuare una diagnosi di “disturbo pervasivo dello sviluppo” era necessario fossero presenti almeno sei sintomi, nel DSM-5 ne servono 5.

 Eliminazione nel DSM-5 del “ritardo/menomazione del linguaggio” fra i sintomi necessari alla diagnosi e l’introduzione della “sensibilità insolita agli stimoli sensoriali” come sintomatologia compresa tra i “comportamenti ripetitivi”.

 Nel DSM-IV si parlava di esordio entro i 36 mesi di età, ora si parla più genericamente di un esordio nella prima infanzia.

 Secondo il DSM-5 è possibile assegnare una doppia diagnosi se il bambino presenta sintomi aggiuntivi sufficienti a rientrare nei criteri diagnostici di un altro disturbo.

Il DSM-5 applica quindi il modello di “spettro” al disturbo autistico, un approccio dimensionale alla malattia mentale che si basa sulla presenza di una gradualità continuativa tra il disturbo mentale, i tratti temperamentali e le modalità comportamentali, in un continuum, cioè una sequenza ininterrotta, che spazia dalla normalità alla malattia senza precisi confini diagnostici (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). Il modello di spettro presuppone che i disturbi non nascano all’improvviso nel momento in cui diventano clinicamente manifesti, ma che siano preceduti da precursori e prodromi che, talora anche dall’infanzia, persistono nel decorso o possano evolversi. Un importante novità riguarda inoltre il fatto che questi tratti possono essere rintracciabili anche nei familiari (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). Grazie all’approccio di “spettro” è stato possibile mappare tutta l’area delle manifestazioni collegate ad uno specifico disturbo, attraverso la messa a punto di specifiche interviste cliniche strutturate e questionari di autovalutazione. Le principali dimensioni psicopatologiche sono: lo spettro panico-agorafobico (PAS-SR) (Shear et al., 2002), lo spettro dell’umore (MOODS-(PAS-SR) (Dell'Osso, Armani, et al., 2002), lo spettro da stress post-traumatico (TALS-SR) (Dell'Osso et al., 2009), lo spettro fobico sociale (SCY-SR) (Dell’Osso et al., 2003) e lo spettro

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ossessivo-compulsivo (OBS-SR) (Dell'Osso, Rucci, et al., 2002). Sembrerebbe inoltre che i vari spettri siano correlati fra loro, condividendo sintomi, fattori di rischio genetici e ambientali e probabilmente anche substrati neurali; segni e sintomi delle diverse dimensioni si trovano quindi spesso a coesistere, si intrecciano nel produrre un numero svariato di manifestazioni cliniche. Il modello di spettro tende dunque a oltrepassare la categorizzazione e tipizzazione, molto usata in passato nei disturbi psichiatrici e rivelatasi fallacea poiché questi particolari disturbi sono caratterizzati da una elevata variabilità di espressione clinica e dalla tendenza a modificare le proprie caratteristiche nel tempo (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). Lo spettro autistico si propone di risolvere un ulteriore problema, che affligge la psichiatria da sempre, ovvero le comorbidità psichiatriche. Quello che di fatto accade è che frequentemente un paziente rientra nella diagnosi di più disturbi psichiatrici che fra loro non hanno apparentemente alcuna correlazione; stabilire quale sia il disturbo principale e quali i disturbi secondari diventa complesso (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). Il modello di spettro riesce in parte a superare il limite della categorizzazione, applicando un metodo dimensione come si è detto; d’altra parte però finché il modello di spettro si applica alle singole dimensione psicopatologiche il problema delle comorbidità resta poiché un paziente può rientrare in più spettri psicopatologici. Anzi, dal momento che il modello di spettro tiene conto anche delle manifestazioni sottosoglia, in questo contesto un singolo paziente può avere diagnosi di più spettri psicopatologici e di spettri sottosoglia. Risulta chiaro quindi la necessità di uno spettro unificante tra le varie dimensioni; lo spettro autistico sottosoglia si propone il ruolo di spettro matrice, dal momento che molti segni e sintomi di spettro autistico sono presenti in svariati disturbi psichiatrici. Inoltre, dal punto di vista biologico, ci sono ormai consistenti evidenze di come lo spettro autistico nasca da un’ampia gamma di alterazioni neurobiologiche, coinvolgendo svariati sistemi (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016).

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2.1.4 Lo Spettro Autistico Sottosoglia

Il modello di “spettro”, di cui si è parlato nel paragrafo precedente, è un approccio innovativo e diffuso a livello internazionale che attribuisce rilievo clinico anche alle le manifestazioni cliniche atipiche, attenuate, sottosoglia, come alcuni tratti caratteriali, sfaccettature della personalità che non rientrano pienamente fra i criteri diagnostici di ASD ma comunque vi sono correlati. Cerca quindi di rilevare l’intero

range sintomatologico che è espressione di un sottostante processo psicopatologico

e neurobiologico unitario (Dell'Osso, Dalle Luche, & Maj, 2015). Gli individui, nella popolazione generale, possono manifestare un ampio range di abilità socio-comunicative così come un range vario di comportamenti idiosincratici, quindi alcuni individui possiedono spiccate doti socio-comunicative mentre altri manifestano difficoltà in questo ambito. Le abilità fondamentali che permettono una comunicazione efficace in un contesto sociale, come la capacità di linguaggio pragmatico, modulare il contatto degli occhi, appropriate espressioni facciali, possedere un adeguato livello di empatia, capacità di prestare attenzione, uso corretto dei gesti, sono adoperate da ogni individuo in modo coerente con quello che è l’intento comunicativo; analogamente gli individui manifestano in modo differente interesse verso certi argomenti, l’attaccamento verso la routine o il bisogno di schematizzare. La variabilità con cui gli aspetti finora elencati possono manifestarsi negli individui può rispecchiare l’eterogeneità della popolazione generale o essere il campanello d’allarme di un disturbo psichiatrico e ciò che funge da discriminante è l’impatto che un certo deficit ha nella vita di un individuo, tanto più l’impatto è forte (quindi tanto più condiziona la vita di un individuo fin anche a peggiorarla) tanto più probabile è che ci si trovi davanti ad una diagnosi di spettro autistico (Kanne, Wang, & Christ, 2012).

In effetti quanto detto rientra a pieno con quella che è la definizione di spettro, in cui la soglia diagnostica è un parametro arbitrario che divide convenzionalmente il “normale” dal patologico e varia a seconda dei contesti sociali e storici (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016).

Per cui, forme lievi o sottosoglia di autismo, con intelligenza normale o addirittura superiore alla media, spesso con abilità particolari in ambiti limitati (come il

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Disturbo di Asperger del DSM-IV-TR, derubricato nel DSM-5) possono quindi sfuggire alla diagnosi precoce in età infantile ed emergere così soltanto nell'età adulta attraverso la manifestazione di disturbi psicopatologici diversificati (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016; Dell'Osso 2015). Studi recenti (Dell'Osso 2015; Kato et al., 2013; Storch et al., 2013) hanno individuato in pazienti adulti affetti da vari disturbi mentali (psicosi, Disturbo Bipolare, Disturbo Post-Traumatico Da Stress,) tratti autistici. Si è così cominciato quindi a parlare di autistic-like traits (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016).

Queste manifestazioni minime ed isolate, rilevabili in individui che non soffrono di autismo infantile (una forma di autismo grave, evidente e disabilitante) ma ne condividono alcuni tratti, non hanno un significato clinico-diagnostico, ma rivelano una condizione psichiatrica che rappresenta un terreno di vulnerabilità su cui dei fattori scatenanti fisici o psichici possono agire portando a sviluppare disturbi d’ansia, dell’umore, ossessivi o psicotici, fino a pensieri e comportamenti suicidari (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016; Tse & Bond, 2004). E’ importante individuare precocemente queste manifestazioni di spettro sottosoglia dal momento che possono essere responsabili di interventi autoterapeutici errati, come aderire rigidamente a convinzioni culturali di moda, come il salutismo e stili alimentari peculiari, come l’ortoressia; altre volte invece questi soggetti intraprendono condotte pericolose come abuso di sostanze o promiscuità sessuale (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). E’ ragionevole ritenere che rientrano nello spettro autistico comportamenti di adolescenti e giovani adulti che manifestano forme di ritiro domestico, di chiusura interpersonale, di addiction a internet e videogiochi (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016).

Gli aspetti di spettro autistico a cui la letteratura si riferisce come autistic-like traits sono svariati: deficit empatici e delle capacità relazionali, (social cognition), deficit della memoria di lavoro e verbale (working and non verbal memory) che soggiacciono alla ossessività, ai disturbi di concentrazione, a fenomeni psichici ripetitivi (stereotipie, manierismi), oppure alla mancata inibizione dei ricordi (che mantengono vivi ricordi traumatici tramite pensieri ruminativi) fino alla compromissione del problem solving (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016; Thoma, Friedmann, & Suchan, 2013).

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In questa tipologia di pazienti con spettro autistico sottosoglia, la diagnosi viene posta raramente, anche perché questi pazienti spesso mancano di insight sui loro sintomi, non lamentano sofferenza soggettiva; si rivolgono pertanto agli specialisti solo con l’insorgere di altri disturbi mentali che fanno precipitare la situazione, scatenati dalle più varie situazioni o circostanze, come la rottura delle relazioni, l’elaborazione di un lutto, il percorso scolastico o altri cambiamenti significativi (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016).

Negli ultimi anni è stato ipotizzato che un’alterazione del neurosviluppo, ad eziologia multifattoriale, sia il substrato vulnerabile che sottostà a molti disturbi mentali (ADHD, Schizofrenia, Disturbo Bipolare), presenti spesso in associazione con ASD e con il quale condividono fattori di rischio genetici comuni e aggregazione familiare; è stato coniato il termine “globalopatie” (Peled, 2013; Peled & Geva, 2014) per descrivere armonicamente i disturbi mentali, cioè patologie che interessano estesi circuiti cerebrali piuttosto che singole e specifiche reti neurali. In questa ottica quindi lo spettro autistico potrebbe essere visto come una base fisiopatologica transnosografica che sottende vari disturbi mentali (Dell'Osso, Dalle Luche, & Maj, 2016).

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2.1.5 Broader Autism Phenotype

Dati epidemiologici genetici suggeriscono che tratti di personalità simili all’ASD, ma non così gravi, sono anch’essi ereditabili (Freitag, 2007). Questi gruppi sintomatologici sottosoglia, che si pensa siano manifestazioni blande di ASD (Dell'Osso et al., 2016) sono indicati con il nome di Broader Autism Phenotype (BAP) (Piven, Palmer, Jacobi, Childress, & Arndt, 1997). Nel BAP ritroviamo pazienti con interazioni sociali, modi di comunicare e processi cognitivi anomali, interessi ristretti e una personalità distaccata (Gerdts & Bernier, 2011; Sucksmith, Roth, & Hoekstra, 2011). Si è inoltre visto che il BAP ha una prevalenza maggiore nei parenti di primo grado di individui con ASD conclamato, supportando pertanto l’ipotesi che l’ASD ha una elevata componente ereditaria (Bailey, Palferman, Heavey, & Le Couteur, 1998; Losh, Childress, Lam, & Piven, 2008). A supporto di quest’ultima ipotesi, alcuni studi hanno dimostrato che i parenti di soggetti affetti da ASD non mostrano solo alcuni tratti di personalità tipici di un soggetto autistico ma anche simili funzioni neuro-cognitive (Koczat, Rogers, Pennington, & Ross, 2002) e simili strutture neuroanatomiche (Lainhart et al., 2006).

Attraverso studi sui fratelli, è stato anche dimostrato che i fattori genetici possono conferire una spinta eziologica molto importante nello sviluppo dell’ASD: i fratelli dei soggetti con ASD sono colpiti con una frequenza in media 20-25 volte superiore rispetto alla popolazione generale. (Campbell et al., 2006),(Alarcon et al., 2008), (Chakrabarti et al., 2009), (Ronald et al., 2010), (Anney et al., 2010).

I meccanismi genetici coinvolti nello sviluppo del ASD sono complessi ed eterogenei (Constantino et al., 2006; Persico, 2014; Rutter, 2014), e riflettono la grande variabilità delle manifestazioni cliniche, sia in termini di gravità che di espressione sintomatologica. I dati ottenuti possono aiutare a comprendere meglio sia i meccanismi genetici che contribuiscono alla sviluppo delle caratteristiche autistiche tipiche e atipiche, ma possono essere utili anche nell’identificazione dei fattori genetici specifici per i diversi fenotipi di autismo, e non solo nei soggetti affetti da ASD ma anche negli individui sani nella popolazione generale. Pertanto Wheelwright e colleghi (Wheelwright, Auyeung, Allison, & Baron-Cohen, 2010) suggeriscono che studiare l’ASD nei soggetti non affetti ( quindi in un campione

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non clinico) può essere utile e prezioso a causa, sia della grande variabilità clinica che caratterizza questo disturbo, sia perché un approccio più inclusivo di espressione genetica, che comprende deficit cognitivi, sociali, di comunicazione e personologici, non può che far trarre vantaggi alla ricerca genetica in questo campo (August, Stewart, & Tsai, 1981; Folstein & Rutter, 1977)

Il concetto di BAP copre un range ampio ed eterogeneo di tratti sociali, cognitivi e di personalità, per cui, stabilire con precisione quali caratteristiche debbano esservi incluse è un’impresa alquanto controversa; ad oggi le caratteristiche generalmente riconosciute come più tipiche per il Broader Autism Phenotype sono: funzionamento sociale, difficoltà di linguaggio pragmatico, pattern ristretto di interesse e comportamenti ripetitivi, deficit cognitivi, in particolar modo riguardo la Teoria della Mente e più in generale la “social cognition”, ovvero il termine con cui si intende il complesso dei processi attraverso cui le persone acquisiscono informazioni dall’ambiente, le interpretano, le immagazzinano in memoria e le recuperano, utilizzandole per indirizzare il proprio comportamento (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). Tra i deficit cognitivi identifichiamo anche la debole coerenza centrale, la compromissione delle funzioni esecutive e una personalità rigida (Pisula & Ziegart-Sadowska, 2015).

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2.2 Comorbidità psichiatriche e spettro autistico

2.2.1 Sguardo d’insieme sul problema delle comorbidità

Uno studio ha stimato che il 53% degli adulti con diagnosi di HFA soffre di Disturbo Depressivo, il 50% di disturbi d’ansia, il 43% di Deficit di Attenzione e Iperattività (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder – ADHD), 24% di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Obsessive-Compulsive Disorder – OCD), il 20% hanno disordini quali tic e il 12% disturbi psicotici (Hofvander et al., 2009). La diagnosi di ASD in questi casi non è di facile elaborazione poiché, come detto precedentemente, questi pazienti giungono all’attenzione degli specialisti al momento della manifestazione di altri disturbi mentali e quindi si può incorrere nell’errore diagnostico di individuare solo il disturbo psichiatrico insorto di recente e non l’ASD. I sintomi che allarmano il paziente compaiono spesso in modo dirompente, al sopraggiungere di circostanze di vita oggettivamente critiche o vissute come tali dal soggetto (divorzio, lutto, cambio di lavoro), facendo precipitare una situazione di equilibrio (Dell'Osso et al., 2016). Questi disturbi a volte nascono a causa di un cronico conflitto interpersonale dovuto ad una percezione dei rapporti sociali distorta (Tebartz van Elst, Pick, Biscaldi, Fangmeier, & Riedel, 2013); inoltre, soprattutto nei soggetti ad alta performance cognitiva, le ripetute strategie messe in atto per camuffare le difficoltà incontrate nei più disparati contesti (come mantenere il contatto visivo, capire quando inserirsi in una conversazione e quando parlare, svolgere piccole conversazioni) finiscono, in età adulta, per determinare un forte disagio psichico nell’individuo fino allo sviluppo di depressione, ad esempio. Il pensiero rigido, i comportamenti stereotipati e la loro aderenza alla routine spesso li porta a confondere la diagnosi con un disturbo OCD; allo stesso modo le comuni reazioni allo stress nei pazienti con ASD, come ipersensibilità sensoria, un comportamento dissociativo o di ritiro nella situazione stressante, sensibilità ridotta al dolore e comportamento autolesivo al fine di rispondere alla situazione stressante sono spesso scambiati come Disturbo di Personalità Borderline (Tebartz van Elst et al., 2013)

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Quindi l’idea è che la condizione patologica di base (ASD) determina delle conseguenze psicodinamiche che causano o contribuiscono a scatenare secondari disturbi psichiatrici. Per comprendere meglio questo fenomeno si osserva quello che spesso è l’iter accademico di studenti HFA e il corrispettivo andamento nelle relazioni sociali; si può notare che spesso questi studenti manifestano buoni risultati accademici fintanto che le richieste sociali non sono troppo alte. In questi tipi di contesti la difficoltà maggiore non è tanto nell’ambito dell’apprendimento ma piuttosto nella loro ridotta capacità di inserirsi socialmente e nello stabilire e mantenere relazioni interpersonali; queste problematiche possono conseguentemente condizionare anche il rendimento accademico, come visto negli studi precedenti. Tali soggetti vengono descritti dai collegi come rigidi, complicati, bizzarri e con scarso interesse a socializzare con i coetanei. Il fallimento nel capire gli aspetti concreti del linguaggio determina una serie di fraintendimenti a catena che peggiorano la situazione. E’ di comune risconto che il periodo post-scolastico rappresenta un punto di rottura del labile equilibrio mantenuto fino a quel momento; difatti la vita post-accademica (ad esempio attività lavorativa) è meno strutturata rispetto alla vita universitaria e sono richieste maggiori competenze sociali, nel linguaggio concreto e nel lavoro di gruppo. Il crollo si estrinseca in un cronico conflitto interpersonale per i problemi riscontrati nell’ambiente lavorativo e una serie di esperienze fallimentari che alla fine causano il ritiro dalla vita sociale, depressione e ansia nei confronti delle situazioni dove è richiesta interazione sociale con conseguenti comportamenti compensativi. E’ quindi importante individuare l’ASD come disordine di base poiché l’approccio terapeutico va adeguato di conseguenza (Tebartz van Elst et al., 2013).

2.2.2 Il Disturbo Post-Traumatico da Stress e lo Spettro Autistico

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (Post-Traumatic Stress Disorder – PTSD) è una condizione psicopatologica inserita, nel DSM-5, fra i Disordini Correlati ad Eventi Traumatici e Stressanti. Il PTSD insorge in seguito all’esposizione, sia diretta che indiretta, a eventi traumatici che determinano la comparsa di un complesso quadro sintomatologico, che prevede la presenza di: sintomi intrusivi

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legati l’evento traumatico (ricordi o sogni spiacevoli, ad esempio), condotte di evitamento verso ricordi/ambienti/oggetti correlati con l’evento traumatico, alterazioni negative in ambito cognitivo e dell’umore (anedonia, apatia o atteggiamento negativo verso se e verso gli altri, ad esempio), sintomi di iperarousal (aumento della vigilanza, insonnia, attacchi di rabbia, ecc…). La sintomatologia deve durare almeno un mese per poter porre diagnosi di PTSD (se regredisce entro un mese di parla di Disturbo Acuto da Stress). Non è insolito che il disturbo cronicizzi.

Dalla letteratura emerge che soggetti affetti da ASD hanno una probabilità maggiore di sperimentare eventi traumatici o stressanti e ciò ha fatto supporre ad alcuni autori (King & Desaulnier, 2011) che l’ASD stesso possa rappresentare un fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di un PTSD. In effetti una condizione come quella di spettro autistico predispone ad una esposizione maggiore a traumi interpersonali (Dell'Osso et al., 2016; Dell'Osso 2015), rendendo traumatiche anche esperienze banali, quotidiane (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). Altri studi dimostrano che il pensiero ruminativo è fortemente associato al PTSD (Ben‐Sasson et al., 2008; Nicpon, Doobay, & Assouline, 2010); l’incapacità di eliminare certi ricordi, la persistenza del loro valore e del loro peso emotivo porta a rivivere situazioni sgradevoli senza metabolizzarle mai del tutto (Dell'Osso & Dalle Luche, 2016). L’insieme di queste due constatazioni, la maggior esposizione a traumi da parte dei soggetti con spettro autistico e la loro tendenza alla ruminazione possono spiegare come mai spesso il PTSD trova terreno fertile in un paziente con spettro autistico (Dell'Osso et al., 2016).

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2.2.3 Disturbi dell’umore e spettro autistico

Diversi studi hanno messo individuato tratti autistici in pazienti a cui era già stata posta la diagnosi di un disturbo d’umore o d’ansia (Pine, Guyer, Goldwin, Towbin, & Leibenluft, 2008; Towbin, Pradella, Gorrindo, Pine, & Leibenluft, 2005). Ad esempio Pine et al. hanno riscontrato che nel 57% di giovani pazienti con Disturbo Bipolare, nel 38% di pazienti con Disturbo Depressivo Maggiore e nel 25% di pazienti con disturbo d’ansia, si superava la soglia clinica per porre diagnosi di ASD. Similarmente a questi, altri studi hanno dimostrato la presenza di autistic-like

traits in campioni non clinici, dimostrando anche in questi casi l’associazione con

disturbi dell’umore e d’ansia (Kanne, Christ, & Reiersen, 2009; Kunihira, Senju, Dairoku, Wakabayashi, & Hasegawa, 2006).

Un importante studio (Matsuo et al., 2015) ha esaminato 290 soggetti, fra i quali vi erano diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore e Disturbo Bipolare ed è emersa una chiara associazione fra questi due disturbi e autistic-like trais. Inoltre l’analisi condotta ha mostrato che la severità dei sintomi depressivi, per quanto riguarda il Disturbo Depressivo Maggiore, fosse correlata con la presenza di tratti autistici, in modo direttamente proporzionale; spiegare questo riscontro non è semplice, anche perché entrambe le patologie (ASD e Disturbo Depressivo Maggiore) hanno sintomi comuni come il ritiro dalla vita sociale e l’ossessività. Gli autori esortano infine a considerare l’ipotesi che vi sia una sovrapposizione fra ASD e altri disturbi psichiatrici; questa ipotesi è sostenuta da ricerche di genetica che hanno evidenziato alcuni loci come fattori di rischi condivisi sia per ASD, sia per Disturbo Depressivo Maggiore, sia per ADHD, sia per Disturbo Bipolare ("Identification of risk loci with shared effects on five major psychiatric disorders: a genome-wide analysis," 2013).

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2.3 Spettro autistico e performance accademica

2.3.1 Spettro autistico, performance accademica e talento

Sebbene i deficit cognitivi non siano fra i criteri necessari per fare diagnosi di ASD, la performance cognitiva nel soggetto autistico ha sempre suscitato molto interesse da parte degli studiosi; una review analizza il rapporto storico tra autismo classico e sindrome di Asperger, riassumendo concisamente che Kanner e Asperger stavano essenzialmente descrivendo due condizioni simili, ma in pazienti differenti, portando in seguito alla ''tendenza ad equiparare la sindrome di Kanner con il 'classico' bambino autistico a basso funzionamento, la sindrome di Asperger con il bambino autistico senza deficit verbali e intellettivi'' (Volkmar, Klin, Schultz, Rubin, & Bronen, 2000). Dai tempi di Kanner e Asperger i criteri diagnostici di ASD sono profondamente mutati e finirono per ricadere nella stessa diagnosi pazienti con differenti performance cognitive, cosa che portò alla nascita del termine Autismo ad Alto Funzionamento (High Functioning Autism – HFA). Va certamente puntualizzato che il termine autismo ad alto funzionamento (HFA) è emerso per descrivere quelle persone con QI superiore al “range borderline” (livello del QI da 71 a 84). Purtroppo, la descrizione di ''alto funzionamento'' non si riferisce alle caratteristiche di autismo ma alla capacità cognitiva, e questo ha creato confusione.

In generale, potremmo dire che soggetti affetti da ASD presentano, per quanto riguarda le performance cognitive, punti di forza e punti di debolezza. Sebbene vi siano differenze intraindividuali nel panorama delle funzioni cognitive, anche in studenti con alto QI (Rowe, Kingsley, & Thompson, 2010), tipicamente studenti affetti da ASD mostrano deficit nel ragionamento di ordine superiore e nel problem-solving, così come hanno una forte propensione nella ripetizione meccanica piuttosto che nella memoria di riconoscimento (Meyer, 2002). Solitamente hanno quindi bassi punteggi nella velocità di elaborazione piuttosto che nella memoria verbale, non verbale e di lavoro (Mayes & Calhoun, 2005, 2007) e piuttosto che nelle funzioni esecutive, nella teoria della mente e nel ragionamento astratto

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(Ozonoff & Griffith, 2000). Gli individui con ASD presentano spesso difficolta nel linguaggio pragmatico, quindi a comprendere i significati nascosti, le sfumature di una conversazione. Alcuni studi hanno usato il ‘tracking’ dei movimenti oculari per studiare come i soggetti HFA osservano le interazioni sociali (Hanley et al., 2015) e recentemente è stato eseguito uno studio su 16 giovani ragazzi con diagnosi ASD mentre osservavano un video che mostrava delle situazioni complesse dal punto di vista comunicativo; a seguire è stata effettuata una valutazione che prevedeva domande riguardo il contesto presentato nel video (da un punto di vista pragmatico). Quello che ne è venuto fuori essenzialmente è che i soggetti con ASD avevano una difficoltà maggiore a comprendere il contenuto del video rispetto ai controlli (Lonnqvist et al., 2016), difficoltà che emergeva sia studiando i movimenti oculari sia dalla valutazione verbale a ciò che avevano assistito. La maggior parte dei ricercatori concorda che studenti con ASD riscontrano maggiori difficoltà in ambito scolastico; lo stesso accade a quelli con un elevato QI, nonostante questi ultimi riescano frequentemente a camuffare eventuali disagi, riuscendo ad eludere una potenziale diagnosi (Susan G Assouline, Nicpon, & Doobay, 2009). Gli studi che analizzano i profili di rendimento accademico di studenti con ASD sono pochi e hanno dato risultati non concordi: in uno di questi fu osservato che studenti con diagnosi di ASD e con un range vario di QI raggiungevano risultati accademici proporzionali al proprio QI (Eaves & Ho, 1997); viceversa uno studio più recente riporta discrepanze tra le capacità intellettuali e i risultati accademici suggerendo così che le competenze sociali (deficitarie in un soggetto con ASD) possono influenzare positivamente il rendimento scolastico (Estes, Rivera, Bryan, Cali, & Dawson, 2011).

Un ulteriore studio (S. G. Assouline, Foley Nicpon, & Dockery, 2012) ha esaminato i profili cognitivi e accademici di studenti con elevate capacità cognitive e ASD giungendo alla conclusione che le abilità di low order thinking (memoria di lavoro e velocità di elaborazione) sono fattori importanti nel raggiungimento del successo accademico e che nei soggetti con ASD queste abilità sono compromesse. I risultati del WISC-IV (in nell’ambito di memoria di lavoro e velocità di elaborazione) correlano significativamente con i punteggi ottenuti nella lettura, in matematica e nel linguaggio scritto, nonostante l’alto livello di abilità verbali e non verbali che

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possono presentare questi studenti. Viene pertanto proposto di considerare in modo differente il contributo che i profili QI offrono nel raggiungere importanti risultati in studenti dotati che posseggono o meno la diagnosi di ASD, poiché non sembrerebbe esserci un rapporto direttamente proporzionale fra profilo QI e rendimento accademico, ma anzi quest’ultimo pare sia inferiore rispetto all’atteso sulla base del QI (S. G. Assouline et al., 2012).

Merita di essere citato inoltre uno studio del 2009 (Happe & Vital, 2009) riguardo l’associazione tra abilità speciali e ASD, in particolare si tenta di capire quali aspetti dell’ASD potrebbero predisporre al talento. E’ abbastanza consolidata l’idea che abilità come moltiplicazioni immediate, identificazione di numeri primi, calcoli inerenti il calendario, orecchio assoluto, capacità di effettuare un perfetto disegno prospettico, riproduzione immediata di musica appena ascoltata e una straordinaria memoria fotografica o eidetica nonché un’ottima memoria per i fatti accaduti, siano più frequenti in soggetti affetti da ASD. Questi soggetti sono spesso descritti come “idioti sapienti”, nel caso in cui vi sia una o poche abilità molto sviluppate in un contesto di deficit cognitivo diffuso (Treffert, 2009). E’ abbastanza consolidata l’idea che alla base del ASD vi sia una difficolta nel riconoscere e rappresentare stati mentali altrui (Frith, 1989; Happé & Frith, 2006). Questa difficoltà a mettersi “nei panni degli altri” o “leggere la mente” (mind-blindness) delle altre persone spiega anche gran parte delle difficoltà che questi soggetti riscontrano nei rapporti sociali e nella comunicazione. Quanto detto potrebbe agevolare lo sviluppo di un talento in 3 modi:

 Il primo prende in esame la possibilità che i soggetti ASD non utilizzino quei processi mentali che i soggetti “neurotipici” mettono in atto per riconoscere e ricordare contesti sociali: un esempio a supporto di questa tesi è lo studio sul giovane autistico che, studiato con Risonanza Magnetica Funzionale, non mostrava attivazione del giro fusiforme quando gli venivano mostrati volti di persone ma bensì la mostrava quando vedeva personaggi del cartone Digimon (Grelotti et al., 2005).

 Una seconda possibilità è che la difficoltà a tracciare gli stati mentali degli altri può contribuire all’originalità, che può estrinsecarsi con lo sviluppo di

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un talento. E’ infatti noto che i bambini che sviluppano normalmente tendono a perdere aspetti di originalità, per esempio nel disegno, in sostituzione di una abilità più stereotipata, simile a quella dei propri compagni; questo perché l’automatico riconoscimento dello stato mentale degli altri e il voler apparire parte di un gruppo porta ad uniformarsi. Un soggetto ASD non si cura generalmente del pensiero altrui spingendolo ad avere una visione del mondo unica, non uniformata. Va specificato che questa originalità non necessariamente si estrinseca in un talento (Happe & Vital, 2009).

 Terzo, la difficoltà a rappresentare gli stati mentali se applicata alla propria mente può rappresentare un vantaggio per lo sviluppo di alcuni talenti. Se viene meno la consapevolezza di se stessi in taluni aspetti, questo può aiutare lo sviluppo di quelle capacità che seguono un apprendimento implicito. Si è in effetti visto che alcuni compiti si imparano e si migliorano meglio con un apprendimento implicito e anzi che un tentativo di rilevare una regola esplicita risulta svantaggioso per l’apprendimento/svolgimento del compito stesso (Fletcher et al., 2005).

Anche la coerenza centrale è chiamata in causa come possibile determinante in alcuni talenti. Normalmente i soggetti “neurotipici” elaborano le informazioni in entrata per darle un senso complessivo più ampio, mantenendo contenuto e forma ma eliminando dettagli superflui, elaborano quindi una integrazione a più livelli delle informazioni in entrata. Nei soggetti con ASD si ritiene vi sia una debolezza nella coerenza centrale (weak central coherence) che li porta a focalizzarsi sui dettagli delle informazioni in ingresso, non riuscendo a unificare tutte le informazioni per dare un senso complessivo superiore (Happé & Frith, 2006). Proprio l’attenzione per i dettagli viene correlata al possibile sviluppo di alcuni talenti, come in matematica, arte e musica. A sostegno della “weak central

coherence theory” vi sono i risultati più alti ottenuti dai pazienti ASD nei “block design test” e nei “embedded figures tests” rispetto al gruppo di controllo (Happé

& Frith, 2006). La teoria della “weak central coherence” non è la sola ad aver dato risalto a questo particolare approccio utilizzato dai soggetti con ASD, ovvero quello di elaborare le informazioni focalizzandosi sui dettagli; la teoria del funzionamento

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percettivo (enhanced perceptual functioning) si focalizza anch’essa sulla particolare attenzione per i dettagli posseduta da questi soggetti (Mottron, Dawson, Soulieres, Hubert, & Burack, 2006) e lo stesso fa Baron-Cohen quando tratta il bisogno ossessivo di un soggetto ASD di sistematizzare e creare schemi e classificazioni (S. Baron-Cohen, 2002).

2.3.2 Lo studio dei tratti autistici tra gli studenti

Fra gli strumenti più utilizzati per studiare i tratti autistici vi è l’Autism-Spectrum

Quotient (AQ), un questionario conciso, facile da compilare e auto-somministrabile

che serve a misurare la presenza di questi tratti in ogni individuo adulto (di età maggiore di 16 anni) con normale QI. Progettato e sviluppato dallo psicologo Simon Baron-Cohen, si basa sull’idea che i tratti autistici siano collocati su un continuum di gravità nelle manifestazioni cliniche dei soggetti affetti da ASD ma anche nei loro parenti (definiti come Broader Autism Phenotype) e nella popolazione generale. In quest’ottica, il questionario si propone di identificare a quale livello ogni singola persona adulta si collochi all’interno di questo continuum; successivamente sono stati sviluppati anche i test somministrabili ai bambini (Auyeung, Baron-Cohen, Wheelwright, & Allison, 2008) e agli adolescenti (S. Baron-Cohen, Hoekstra, Knickmeyer, & Wheelwright, 2006). L’AQ è composto da 50 items, divisi in cinque sottogruppi di dieci domande, che esplorano cinque diversi domini: le abilità sociali, la capacità di variare l’attenzione, l’attenzione ai dettagli, la comunicazione e l’immaginazione (S. Baron-Cohen, Wheelwright, Skinner, Martin, & Clubley, 2001)

Fin dalla presentazione iniziale, il test AQ ha avuto un’ampia diffusione e un largo utilizzo in svariati studi e nei più variegati contesti culturali. Nel primo studio condotto da Baron-Cohen nel Regno Unito (2001), sono stati testati quattro gruppi di soggetti: 58 adulti con AS / HFA (sindrome di Asperger/ high functional autism), 174 adulti scelti a caso (usati come gruppo di controllo), 840 studenti della

Cambridge University, e 16 vincitori del UK Mathematics Olympiad. Come

previsto, il gruppo AS / HFA ha ottenuto un punteggio superiore rispetto ai gruppi di controllo. Inoltre, all'interno del gruppo di controllo, il punteggio dei maschi era

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leggermente, ma in modo statisticamente significativo, superiore rispetto a quello delle femmine, sia a livelli intermedi che a livelli elevati di tratti autistici. Tuttavia non vi era alcuna differenza nei punteggi AQ medi tra maschi e femmine con AS / HFA.

Questa discrepanza nell’interessamento dei maschi e delle femmine ha suggerito a Baron-Cohen la formulazione di altre due teorie, una è l’Extreme male brain theory

(EMB) (Asperger, 1944; S. Baron-Cohen, 2002) e l’altra è l’Empathizing– systemizing theory (S. Baron-Cohen, 2009). Le due teorie sono strettamente

correlate, la prima amplia la seconda (S. Baron-Cohen, 2010), spiegando la correlazione fra ASD e maschi con l’Empathizing–systemizing theory la quale, come dice il nome stesso, afferma che il cervello autistico è una forma estrema di cervello maschile, che si differenza da quello femminile per essere più sistematico (Tipo-S) piuttosto che empatico (Tipo-E): con empatia si intende il processo con cui si cerca di comprendere il pensiero e le sensazioni di un altro individuo, attraverso il quale si ottiene ad una miglior conoscenza del carattere di una persona; d’altra parte in questo contesto si utilizza il termine sistematizzazione per indicare il mezzo con cui si analizzano le variabili in un sistema per comprendere le regole celate che lo governano. Con il termine “sistema” Baron-Cohen intende qualsiasi cosa riceva un input e risponda con un output, durante questo processo essenzialmente si ragiona in termini di “se…allora” cercando di ricavare una regola dalla correlazione fra i due eventi; il cervello si concentra maggiormente sui dettagli o i parametri del sistema e osserva come variano.

Nello studio del 2001, oltre alle differenze di genere, sono emerse anche differenze di prevalenza del disturbo a seconda del campo di studio; in particolare vi erano 3 aree da confrontare, studenti di facoltà scientifiche, di facoltà umanistiche e di facoltà riguardanti scienze sociali. La prevalenza maggiore vi era nel gruppo delle facoltà scientifiche, confermando il rapporto fra disturbo autistico e abilità scientifiche/matematiche (Simon Baron-Cohen et al., 1998); tra coloro iscritti in facoltà scientifiche, i punteggi più alti sono stati raggiunti dai matematici.

Uno studio successivo (Wakabayashi, Baron-Cohen, Wheelwright, & Tojo, 2006) ha riprodotto i risultati dello studio inglese originario sull’Autism Spectrum

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Quotient (AQ) (2001) in gruppi di studenti giapponesi. In generale, i risultati del

Regno Unito sono stati confermati sotto ogni aspetto:

1) Il gruppo AS / HFA ha ottenuto un punteggio simile ed equiparabile a quello dello studio del 2001 di Baron-Cohen (UK cut-off> 32, giapponese cut-off> 33).

2) Una differenza di genere (maschi > femmine) è stata riscontrata in entrambe le popolazioni generali e nella popolazione degli studenti, ma non tra gli individui con AS / HFA.

3) Tra gli studenti, quelli ad indirizzo scientifico hanno ottenuto un punteggio significativamente più alto rispetto agli studenti a indirizzo umanistico in entrambi i paesi.

4) I matematici e fisici hanno ottenuto punteggi più alti rispetto agli studenti delle altre discipline scientifiche.

Nel campione giapponese, proprio come nel campione originale del Regno Unito, le donne con AS/HFA sembrano avere un QI più alto rispetto ai maschi con AS/HFA, ma in entrambe le culture, maschi e femmine con AS / HFA non differiscono statisticamente nel punteggio al test AQ.

Hoekstra e colleghi hanno utilizzato il test AQ per valutare, in tre differenti gruppi, i tratti autistici: il primo gruppo era composto da 961 studenti universitari (n=128 di storia e diritto; n=594 di psicologia, scienze della formazione e la scienza della comunicazione; n= 239 di matematica, fisica e scienze dell’informazione); un secondo gruppo comprendeva i genitori di figli gemelli (n = 302). L'ultimo gruppo era costituito da tre sottogruppi di pazienti psichiatrici reclutati da un servizio ambulatoriale per i disturbi d’ansia (12 soggetti affetti da ASD, 12 soggetti con un disturbo ossessivo-compulsivo; 12 soggetti con un disturbo d'ansia generalizzata). I risultati erano in linea con studi precedenti che avevano utilizzato il test AQ (Hoekstra, Bartels, Cath, & Boomsma, 2008).

Un ulteriore studio ha compreso 723 studenti britannici, 245 studenti malesi e 271 studenti indiani. Gli studenti malesi e indiani hanno ottenuto un punteggio maggiore rispetto agli studenti del Regno Unito. Inoltre si conferma, in tutte e tre le popolazioni, che i maschi tendono a raggiungere un punteggio più alto rispetto alle

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