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Il rischio da Movimentazione Manuale dei Carichi dei fisioterapisti in un centro privato: il ruolo del dirigente per la prevenzione

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE

NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE RIABILITATIVE DELLE

PROFESSIONI SANITARIE

TESI DI LAUREA

Il rischio da Movimentazione Manuale dei Carichi dei

Fisioterapisti in un centro privato:

il ruolo del dirigente per la prevenzione

CANDIDATO

RELATORE

Emiljano Tosuni

Prof. Alfonso Cristaudo

(2)

2

I

NDICE

P

ARTE

I

0: I

NTRODUZIONE

... p. 4

1: N

ORMATIVE DI RIFERIMENTO

... p

. 8 1.1. Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 ... p. 9 1.2. Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/2008 ... p. 14 1.3. Decreto ministeriale del 10 giugno 2014 ... p. 20

2: A

NATOMIA DEL RACHIDE E STUDI DI BIOMECCANICA

... p

. 22 2.1. Anatomia e fisiologia del rachide ... p. 22 2.2. Patogenesi e biomeccanica ... p. 27 2.3. Studi di biomeccanica ... p. 27 2.3.1. Biomeccanica del rachide ... p. 29 2.3.2. Esempi di carico sul rachide ... p. 31 2.3.3. Confronto tra stazione seduta e in piedi ... p. 33 2.4. Rischi da sovraccarico biomeccanico del rachide ... p. 39

3: FATTORI DI RISCHIO ... p. 41 3.1. Il rischio da Movimentazione Manuale dei Carichi per l'operatore

sanitario ... p. 42 3.2. Patologie ... p. 45 3.2.1. La spondilodiscoartrosi ... p. 47 3.2.2. Spondilolisi e Spondilolistesi ... p. 50 3.2.3. L’ernia del disco ... p. 51

(3)

3

4: I METODI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA SOVRACCARICO BIOMECCANICO ... p. 53 4.1. Indice NIOSH ... p. 56 4.2. Indice Snook & Ciriello ... p. 60 4.3. Metodo MAPO ... p. 63 4.4. Indice REBA ... p. 67 4.5. Metodo OWAS ... p. 72 4.6. Metodo Criteri guida del SUVA ... p. 76

5: IL RUOLO DEL DATORE DI LAVORO/DIRIGENTE NELLA TUTELA DEL

LAVORATORE ESPOSTO A RISCHIO MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI ... p. 81 5.1. Dispositivi di protezione individuale ... p. 87 5.1.1 Guanti ... p. 88 5.1.2. Scarpe di sicurezza ... p. 88 5.1.3. Indumenti di lavoro ... p. 88 5.2. Ausili ... p. 89 5.3. Sorveglianza sanitaria ... p. 90 5.4. Formazione, informazione e addestramento ... p. 91

P

ARTE

II

1. LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI PAZIENTI IN UN CENTRO DI FISIOTERAPIA ... p. 94 1.1 Materiali e Metodi ... p. 94 1.2 Analisi dei risultati ... p. 96

2. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI... p. 107

B

IBLIOGRAFIA

...

p. 112

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4

0.

I

NTRODUZIONE

Nel mondo del lavoro le patologie muscolo-scheletriche costituiscono uno dei più importanti problemi sanitari, in quanto sono la principale causa di assenza per malattia, il che è motivo di disagio economico sia in termini di costi diretti sia indiretti per l’azienda stessa. Inoltre, esse rappresentano disturbi limitanti che si ripercuotono in maniera negativa sulla vita sociale dei lavoratori e sulla loro capacità di compiere le consuete mansioni previste dai loro incarichi.

La definizione di malattie muscolo-scheletriche raggruppa sia malattie con insorgenza acuta e breve, sia malattie croniche come mal di schiena, artrosi, osteoporosi e artrite reumatoide. Vanno oltremodo menzionate sotto questa etichetta le malattie da sovraccarico biomeccanico e i movimenti ripetuti, la cui incidenza è aumentata progressivamente nel corso degli anni.

L’impatto delle patologie da sovraccarico biomeccanico risulta particolarmente alto tra gli operatori della riabilitazione, i quali eseguono la movimentazione manuale dei carichi e dei pazienti con frequenza elevata. Dati riportati in letteratura riferiscono, ad esempio, che nella categoria dei lavoratori addetti alla movimentazione manuale dei carichi la prevalenza di lombalgia arrivi fino all’80% [Juniper M, Le TK, Mladsi D, 2009].

Tuttavia, le problematiche che interessano gli operatori della riabilitazione non si riducono esclusivamente a disturbi riguardanti il rachide dorso-lombare, bensì si estendono ai disturbi muscolo-scheletrici relativi al rachide cervicale, alle spalle e agli arti inferiori.

Il motivo per il quale la categoria degli operatori sanitari è altamente colpita da disturbi di natura muscolo-scheletrica è da rintracciarsi nella struttura dei movimenti richiesti dalla loro attività. Infatti, il lavoro in ambito sanitario, e in particolar modo quello del fisioterapista, implica continue e ripetute manovre di movimentazione manuale. Queste, seppur effettuate nel pieno rispetto delle condizioni ergonomiche ideali, possono provocare affaticamento muscolare, infiammazione delle strutture tendinee e degenerazione dei dischi della colonna in quanto anche le azioni di sollevamento, spinta e traino di pesi leggeri, se eseguite con frequenza e ripetizione, sono logoranti.

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Per tale ragione la figura del fisioterapista è considerata a rischio: la rilevanza della forza fisica richiesta durante il turno lavorativo e le manovre da MMC sono talmente consistenti da rappresentare uno dei fattori principali per l’insorgenza di affezioni da sforzo biomeccanico.

In questo senso risultano essenziali la sorveglianza sanitaria dei lavoratori e il rispetto delle norme vigenti nell’ambito della prevenzione delle patologie lavoro-correlate. In particolare, il decreto legislativo in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) disciplina al Titolo VI proprio le attività lavorative di Movimentazione Manuale dei Carichi che «comportano per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari» e include:

a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari;

b) patologie da sovraccarico biomeccanico: patologie delle strutture osteoarticolari, muscolotendinee e nervovascolari.1

Questa nuova definizione è in linea con i contenuti dell’Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/2008, nel quale sono citate anche le operazioni di movimentazione dei carichi leggeri ad alta frequenza, che si presentano come causa di patologie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.

Il D.Lgs. 81/2008 inserisce anche la “postura” tra i fattori principali che possono aumentare il rischio in ambito lavorativo, e lo descrive come «l’atteggiamento abituale del corpo e dei diversi distretti corporei». In quest’ambito è rilevante la conoscenza ergonomica, ossia la consapevolezza dei parametri più importanti per il corretto rapporto dell’uomo con il proprio lavoro, in modo da eliminare i fattori negativi e rendere così più semplice l’utilizzo degli oggetti di lavoro.

Occorre dunque sottolineare l’importanza della tutela della salute del lavoratore e, nello specifico, individuare le azioni tendenzialmente pericolose in modo da evitarle, garantendo al contempo una prevenzione degli infortuni che consenta di raggiungere due obiettivi inscindibili: la tutela della salute del lavoratore e una migliore qualità dell’attività lavorativa.

1 http://www.altalex.com/documents/leggi/2011/09/19/testo-unico-in-materia-di-sicurezza-sul-lavoro-titolo-vi#titolo6

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Per determinare il livello di pericolosità dei diversi movimenti effettuati e il loro potenziale di rischio, sono stati creati diversi indici di valutazione. Attraverso questi indici si può determinare il livello di pericolosità di un’azione e, qualora questo risultasse troppo elevato, tanto da comportare un rischio per la salute, effettuare interventi mirati di correzione per ripristinare il livello di rischio entro valori ritenuti accettabili.

Se per le altre categorie di operatori sanitari la tipologia di lavoro può essere definita e standardizzata, e di conseguenza il livello di rischio delle azioni lavorative può essere valutato efficacemente con un indice come ad esempio il MAPO, per i fisioterapisti la situazione è più complicata a causa della difficile categorizzazione delle azioni e dei diversi compiti lavorativi (che spaziano dalle mobilizzazioni passive al massaggio di scollamento, dall’assistenza attiva alla guida del movimento, dalla deambulazione all’addestramento, dalle ADL al rinforzo muscolare, dai trasferimenti ai passaggi posturali oltre a bendaggi e lavori sul lettino).

D’altra parte la presenza di un indice specifico sarebbe fortemente auspicabile in quanto l’aumentare dell’età media dei lavoratori (e il conseguente rinvio dell’età pensionabile) è proporzionale all’aumento di disturbi fisici sviluppati in ambito lavorativo, come ad esempio l’insorgenza di problematiche muscolo-scheletriche da

overuse, solitamente con valenza cronica.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che una percentuale non trascurabile di fisioterapisti non è aggiornata in maniera costante sui corsi di mobilizzazione manuale dei carichi, e che le adeguate competenze di ergonomia posturale spesso vengono disattese, pur possedendone la conoscenza. Questa disattenzione nella corretta esecuzione dei movimenti è in parte dovuta a carenze strutturali del reparto in cui il fisioterapista opera, in parte alla mancanza di tempo (ad esempio, un trasferimento ausiliato richiede un tempo maggiore rispetto a un trasferimento manuale e spesso ai fisioterapisti è richiesto di svolgere più compiti nel minor tempo possibile).

In quest’ambito gioca un ruolo centrale la figura del dirigente, il quale è responsabile della formazione, dell’informazione e dell’addestramento del personale della riabilitazione. Egli ha il compito di garantire un ambiente di lavoro idoneo, nel quale l’esecuzione dei compiti lavorativi non incontri ostacoli o, se questi non siano del tutto eliminabili, che perlomeno non costituiscano un pericolo per la salute fisica del lavoratore.

Per valutare le condizioni lavorative e la salute fisica dei fisioterapisti di un centro privato è stato somministrato un questionario che mira ad indagare l’incidenza del rischio da MMC. Per tale ragione, oltre a una prima sezione in cui si raccolgono i dati relativi

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alla frequenza di manovre da movimentazione manuale e di altre posture tipiche dell’attività del fisioterapista, sono presenti una sezione in cui si acquisiscono informazioni sulle caratteristiche dei pazienti trattati e una in cui si richiede al fisioterapista di spiegare il rapporto con il proprio corpo durante l’esecuzione di manovre da MMC, ma anche al di fuori dell’ambito lavorativo.

I dati estrapolati dai questionari, seppur esigui vista la ridotta casistica di riferimento, permettono di tracciare una panoramica relativa alla natura dello svolgimento delle attività riabilitative nell’ambito di un piccolo centro privato.

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1.

N

ORMATIVE DI RIFERIMENTO

La sicurezza sul luogo di lavoro è un requisito fondamentale per la tutela della salute del lavoratore e per la prevenzione di eventuali rischi che potrebbero comprometterne l’abilità lavorativa. La normativa in merito alla tutela della sicurezza ha subito importati mutamenti in relazione allo sviluppo e al miglioramento tecnologico del settore agricolo come anche di quello industriale. Tuttavia, è soprattutto in seguito alla crescita del settore terziario che è stata constatata l’insorgenza di nuovi rischi e patologie strettamente collegati al tipo di professione praticata.

In qualsiasi azienda, il datore di lavoro e il dirigente sono tenuti a garantire un ambiente di lavoro confortevole e sicuro, che tuteli la salute del soggetto in ogni fase del ciclo lavorativo. Tale dovere si è rafforzato anche grazie allo sviluppo della medicina del lavoro, la quale ha permesso di acquisire una maggiore consapevolezza riguardo l’importanza della prevenzione nell’insorgenza di malattie professionali.

L’attenzione alla prevenzione dei rischi e alla sicurezza sul luogo di lavoro inizia a manifestarsi già alla fine del XIX secolo, quando vengono emanati i primi provvedimenti contro gli infortuni nell’industria (1898). Al 1912 risale invece l’istituzione dell’Ispettorato del Lavoro e nel 1933 viene fondata l’INAIL, l’assicurazione a tutela di alcune malattie professionali. Va inoltre menzionato il testo sulla “Tutela del lavoro delle donne e del fanciullo”, emanato nel 1934, il quale prevede già una disciplina dei carichi massimi sollevabili e/o trasportabili distinguendo tre categorie: fanciulli, donne minorenni e donne maggiorenni.

Il progresso tecnologico e la crescente sensibilizzazione verso la salute lavorativa portano alla pubblicazione del D.P.R. 303/1956 in merito alle disposizioni per il controllo dell’igiene negli ambienti di lavoro e il controllo sanitario periodico dei lavoratori esposti al rischio di malattie professionali. Si è successivamente giunti all’approvazione del “Testo Unico sull’assicurazione obbligatoria degli infortuni e delle malattie professionali” con il D.P.R. 1124/1965 e alla pubblicazione dello Statuto dei Lavoratori nel 1970 con la Legge n. 300. Nel 1978, con la Legge n. 833, si è avuta la Riforma sanitaria e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. La figura e i compiti del medico del lavoro, denominato “medico competente”, appaiono nel D.Lgs. 277/1991 e nel 1994 il D.Lgs. n. 626 ha

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recepito le direttive CEE sulla sicurezza in ambito lavorativo e sulla tutela della salute dei lavoratori, obbligando il datore di lavoro a effettuare un’accurata valutazione dei rischi, oltre alla loro costante monitorazione nel tempo.

Attualmente in Italia la salute e la sicurezza sul lavoro sono regolamentate dai seguenti decreti:

 Decreto Legislativo numero 81 del 9 aprile 2008, noto anche come ”Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro”, entrato in vigore il 15 maggio 2008 e composto da 306 articoli;

 Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/2008, riferito alla “Movimentazione manuale dei carichi”;

 Decreto Ministeriale 10 giugno 2014, con il quale sono state modificate e integrate le tabelle delle malattie professionali.

Di seguito vengono presentate e analizzate le dette normative.

1.1.DECRETO LEGISLATIVO N.81 DEL 9 APRILE 2008

Al Titolo I, Capo I, Articolo 2, comma 1, lettera b si trovano le seguenti definizioni della figura e dei compiti del datore di lavoro:

«“datore di lavoro”: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165(N) , per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa».

Tale decreto ha completato e abrogato il D.Lgs. 626/1994 il quale trattava la Movimentazione Manuale dei Carichi nel Titolo V, introducendo la consapevolezza delle

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condizioni ergonomiche che, se disattese, possono comportare l’insorgenza di rischi di lesioni per la colonna dorso-lombare.

Con l’attuazione del decreto del 2008 il legislatore italiano non si limita a responsabilizzare solo il datore di lavoro, ma coinvolge direttamente nel dovere di sicurezza anche tutti i suoi principali collaboratori. Tra questi ultimi compare la figura del dirigente, il quale è responsabilizzato a titolo originario come avviene per il datore di lavoro.

Nello stesso testo legislativo sono presenti, infatti, anche le definizioni della figura e dei compiti del dirigente:

«Il dirigente è la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa» (Titolo I, Capo I, Articolo 2, comma 1, lettera d).

Esistono diversi criteri che consentono di identificare al meglio la figura del dirigente. Ad esempio, può essere considerato l’alter ego dell’imprenditore e/o della direzione politica; possiede autonomia decisionale ma non indipendenza; ha un ampio margine di discrezionalità; l’esercizio delle sue funzioni è svincolato da istruzioni; ha la possibilità di influenzare la vita dell’azienda e /o dell’ufficio.

Nello stesso decreto legislativo, si ritrovano al Titolo VI importanti normative che disciplinano e regolamentano gli obblighi del datore di lavoro in merito alla Movimentazione Manuale dei Carichi. Occorre riportare, a tal proposito, gli articoli 167, 168 e 169.

TITOLO VI – MMC

CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI

 Articolo 167 – Campo di applicazione

1. Le norme del presente Titolo si applicano alle attività lavorative di MMC che comportano per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari.

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a) movimentazione manuale dei carichi (MMC): le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari;

b) patologie da sovraccarico biomeccanico: patologie delle strutture osteo-articolari, muscolo-tendinee, nervo-vascolari.

Rientrano dunque nel campo di applicazione di tale Titolo tutte le azioni che possono comportare rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico e non esclusivamente le patologie dorso-lombari,alle quali si riferiva il D.Lgs. 626/1994. Infatti, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, il principale riferimento utilizzato per effettuare una valutazione dei rischi da MMC era costituito dalle linee guida per l’applicazione del Titolo V, D.Lgs. 626/1994. Queste linee guida si riferivano alle azioni di sollevamento, trasporto, traino e spinta; non erano trattate invece le attività di movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza che sono la causa principali dell’insorgenza di patologie a carico degli arti superiori, sebbene esistessero già diversi metodi per la loro valutazione.

 Articolo 168 – Obblighi del datore di lavoro

1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una MMC da parte dei lavoratori.

2. Qualora non sia possibile evitare la MMC ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’Allegato XXXIII, e in particolare:

a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;

b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’Allegato XXXIII;

c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle

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caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’Allegato XXXIII;

d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, sulla base delle valutazioni del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’Allegato XXXIII. 3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’Allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida.

In questo articolo sono regolamentati i compiti del datore di lavoro in relazione alla tutela dei lavoratori riguardo i rischi che potrebbero insorgere dalla continua movimentazione manuale dei carichi. In particolare, egli è tenuto a garantire un ambiente di lavoro in cui detti compiti possano essere svolti in modo sicuro.

Da sottolineare è il richiamo al ruolo di affiancamento che il medico del lavoro è tenuto a svolgere nei riguardi del datore di lavoro/dirigente e del responsabile del SPP, così come è stabilito dall’articolo 41 (Titolo I, Capo III, Sezione V) del D.Lgs. 81/2008, il quale disciplina la “Sorveglianza sanitaria”. A tal proposito occorre riportare il comma 2, lettere b e c:

b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;

c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

La costante monitorazione della salute del lavoratore si presenta come un dovere etico, oltre che giuridico: il medico del lavoro è infatti l’unica figura in possesso delle conoscenze di biomeccanica indispensabili, insieme a chi organizza le attività lavorative, per procedere alle necessarie valutazioni e alle conseguenti decisioni operative per assicurare che i compiti di MMC non arrechino problemi di salute in chi li esegue. Il

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medico del lavoro deve mettere a disposizione del datore di lavoro/dirigente tutte le sue conoscenze e, nel caso di eventuali lacune, ricorrere ad altri specialisti e a eventuali forme di documentazione.

L’articolo contiene, infine, un riferimento relativo alle norme tecniche dell’Allegato XXXIII.

 Articolo 169 – Informazione, formazione e addestramento

1. Tenendo conto dell’Allegato XXXIII, il datore di lavoro:

a) fornisce ai lavoratori le informazioni adeguate relativamente al peso e alle altre caratteristiche del carico movimentato;

b) assicura a essi la formazione adeguata in relazione ai rischi lavorativi e alle modalità di corretta esecuzione delle attività.

2. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori l’addestramento adeguato in merito alle corrette manovre e procedure da adottare nella movimentazione manuale dei carichi.

Da questo articolo emerge un’ulteriore importante compito del datore di lavoro: egli non solo è tenuto a garantire un ambiente di lavoro idoneo all’esecuzione di determinate attività lavorative, bensì deve informare i lavoratori riguardo le caratteristiche del carico da movimentare e i potenziali rischi che potrebbero derivare dall’esecuzione di tale attività. In questo senso i lavoratori acquisiscono una maggiore consapevolezza dei rischi e devono essere addestrati in modo da poter effettuare detti compiti nel modo più sicuro possibile.

CAPO II – SANZIONI

 Articolo 170 – Sanzioni a carico del datore di lavoro e del dirigente

1. Il datore di lavoro ed il dirigente sono puniti:

a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro per la violazione dell’articolo 168, commi 1 e 2;

b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 822,00 a 4.384,00 euro per la violazione dell’articolo 169, comma 1.

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1.2. ALLEGATO XXXIII DEL D.LGS.81/2008

MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI

La prevenzione del rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi dovrà considerare, in modo integrato, il complesso degli elementi di riferimento e dei fattori individuali di rischio riportati nel presente ALLEGATO.

ELEMENTI DI RIFERIMENTO

1. CARATTERISTICHE DEL CARICO

La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:

 il carico è troppo pesante;

 è ingombrante o difficile da afferrare;

 è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;

 è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato a una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;

 può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.

2. SFORZO FISICO RICHIESTO

Lo sforzo fisico può presentare rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:

 è eccessivo;

 può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;

 può comportare un movimento brusco del carico;

 è compiuto col corpo in posizione instabile.

3. CARATTERISTICHE DELL’AMBIENTE DI LAVORO

Le caratteristiche dell’ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, nei seguenti casi:

 lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell’attività richiesta;

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 il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è scivoloso;

 il posto o l’ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale di carichi a un’altezza di sicurezza o in buona posizione;

 il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi;

 il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;

 la temperatura, l’umidità o la ventilazione sono inadeguate.

4. ESIGENZE CONNESSE ALL’ATTIVITÀ

L’attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze:

 sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati;

 pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti;

 distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;

 un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.

FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO

Fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in tema di tutela e sostegno della maternità e di protezione dei giovani sul lavoro, il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:

 inidoneità fisica a svolgere il compito in questione tenuto altresì conto delle differenze di genere e di età;

 indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;

 insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione o dell’addestramento.

RIFERIMENTI A NORME TECNICHE

Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all’articolo 168, comma 3.

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L’allegato XXXIII fornisce dunque un’attenta e dettagliata analisi dei rischi che possono verificarsi a causa della natura stessa del carico da movimentare e, di conseguenza, dello sforzo fisico che il lavoratore deve compiere in relazione al peso e alla grandezza del carico. Inoltre, l’allegato elenca determinate caratteristiche che il luogo di lavoro dovrebbe possedere per poter essere considerato idoneo allo svolgimento degli sforzi fisici richiesti.

Importante è anche il richiamo alla durata temporale dell’attività fisica da svolgere. Al punto 4 si fa infatti riferimento agli sforzi fisici prolungati e frequenti. Si può affermare che un’attività lavorativa svolta in modo costante e ripetuto può provocare l’insorgenza di rischi e patologie per la salute del lavoratore, anche se il carico da movimentare non è eccessivo. In questo senso va tenuto sotto controllo anche il periodo di riposo necessario per il recupero fisiologico del lavoratore.

Infine, le norme tecniche alle quali si fa riferimento sono norme standard per la movimentazione manuale dei carichi, valide tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale:

UNI ISO 11228-1: Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 1: Sollevamento e

spostamento;

UNI ISO 11228-2: Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 2: Spinta e traino; UNI ISO 11228-3: Ergonomia – Movimentazione manuale - Parte 3: Movimentazione

di piccoli carichi con grande frequenza.

Queste norme consentono di adottare standard internazionali nella valutazione di attività di movimentazione manuale dei carichi. In particolare, la parte 1 relativa al sollevamento e allo spostamento dei carichi confronta, per ogni azione di sollevamento, il Peso Limite Raccomandato con quello effettivamente movimentato attraverso un’equazione che, a partire da un peso massimo sollevabile in condizioni ideali, considera l’eventuale esistenza di fattori lavorativi sfavorevoli introducendo nell’equazione fattori moltiplicativi che per ciascun fattore considerato possono assumere valori compresi tra 0 e 1. Propone inoltre una distinzione di pesi sollevabili dagli uomini e dalle donne, stabilendo per i primi un limite massimo di 25 kg e per le seconde un limite di 20 kg.

La norma UNI ISO 11228-2 valuta invece il rischio connesso al traino e alla spinta di un carico effettuato da un lavoratore adulto in posizione eretta identificando i pericoli (che possono risultare da forza, postura, distanza percorsa, caratteristiche dell’oggetto, caratteristiche individuali dell’operatore, organizzazione del lavoro), stimando il rischio e procedendo a alla successiva valutazione e quantificazione di quest’ultimo. Per quanto

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17

riguarda la fase di valutazione, la norma prevede la possibilità di utilizzare due metodi di analisi, caratterizzati da diverso grado di approfondimento.

METODO 1

Viene utilizzato per valutare in modo relativamente rapido i rischi connessi alle operazioni di spinta e traino di un oggetto. Sulla base dell’analisi condotta con una check list, si procede alla valutazione generale dei rischi connessi alle operazioni di traino e spinta, per le quali occorre conoscere l’altezza delle maniglie o del punto di applicazione della forza, la distanza da percorrere, l’entità della forza impiegata, la sua frequenza di applicazione e la composizione della popolazione lavorativa (maschile/femminile). Il confronto tra i valori di forza (iniziale e di mantenimento) misurati con un dinamometro e quelli ricavati dalle “tabelle psicofisiche” di Snook e Ciriello determina l’indice di rischio (IR), che permette di classificare come “accettabile” o “inaccettabile” un compito di spinta o traino di un carico.

METODO 2

Viene impiegato nei casi in cui il metodo 1 rilevi una condizione operativa “inaccettabile” dal punto di vista del sovraccarico biomeccanico. Permette di calcolare i limiti di accettabilità basati sulla forza muscolare (FBr) e sulla forza compressiva nella zona lombare (FLs). A partire da questi valori, si può calcolare il limite di sicurezza (FL), determinato dal rapporto tra i valori di forza esercitata dall’operatore durante la spinta o il traino, effettivamente misurati con il dinamometro, e quelli individuati nelle tabelle appropriate. Il metodo in questione, estremamente complesso, necessita di una notevole esperienza per la sua applicazione.

La norma UNI ISO 11228-3 stabilisce alcune caratteristiche dell’attività, quali forza, postura dei diversi distretti, ripetitività, durata del compito ripetitivo e quella del turno lavorativo, entità e distribuzione delle pause, oltre a fattori complementari. In particolare, sono valutati i rischi che attività costanti e ripetute possono arrecare agli arti superiori, ad esempio l’insorgenza di patologie da sovraccarico biomeccanico interessanti le strutture osteo-articolari, muscolo-tendinee e nervo-vascolari.

Sempre in riferimento alla regolamentazione della Movimentazione manuale dei carichi si può far riferimento anche alle norme UNI EN 1005-2 concernenti aspetti della

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“Sicurezza del macchinario; Prestazione fisica umana: Movimentazione manuale di macchinario e di parti componenti il macchinario”.

Tali norme, inizialmente pubblicate nel 1998 e revisionate nel 2009, specificano le raccomandazioni ergonomiche per la progettazione di macchinari che prevedono attività di movimentazione manuale connessa all’uso dei macchinari e di parti degli stessi, compresi gli strumenti collegati alle macchine. Si applicano alla movimentazione manuale di parti componenti il macchinario e oggetti lavorati dalla macchina (in entrata/uscita) di 3 kg o maggiori, per un trasporto minore di 2 m. Al contrario, non tratta il mantenimento di oggetti (senza camminare), di azioni di spinta e traino e di sollevamenti effettuati da seduti.

Al fine della riduzione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, il progettista/fabbricante del macchinario dovrebbe in prima analisi eliminare il rischio o, quando ciò non risulti possibile, fornire ausili tecnici e/o riprogettare il macchinario ed infine fornire specifiche tecniche e istruzioni per il corretto utilizzo dello stesso.

Il modello di valutazione del rischio proposto dalla norma UNI EN 1005-2 prevede tre “metodi” per la valutazione del rischio da movimentazione manuale di carichi: il primo finalizzato ad una verifica rapida; il secondo più approfondito, ma ancora semplice nell’applicazione e da usare nel caso in cui il primo metodo di verifica evidenzi situazioni di rischio; il terzo da applicare nel caso in cui i primi due non soddisfino la valutazione in atto in quanto si tratta di un metodo maggiormente esaustivo, che contempla l’utilizzo di ulteriori fattori di rischio non previsti dai primi due metodi.

METODO 1 “VERIFICA MEDIANTE VALORI CRITICI”

1° fase: si determina la massa di riferimento;

2° fase: si esegue la valutazione del rischio, ossia si identifica se le operazioni di movimentazione soddisfano i seguenti criteri:

 l’operazione può essere eseguita utilizzando solo due mani,

 la postura è eretta e i movimenti non sono limitati,

 la movimentazione avviene da parte di un’unica persona,

 il sollevamento è graduale,

 la presa dell’oggetto è buona,

 buona interfaccia tra piedi e pavimenti,

 le attività di movimentazione manuale diverse dal sollevamento sono minime e gli oggetti da sollevare non sono molto freddi, molto caldi o contaminati,

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 l’ambiente termico è moderato (per ambiente termico moderato si intende un ambiente in cui vi sia una temperatura tra i 19 e i 26°C, con umidità relativa tra il 30% e il 70% e velocità dell’aria < 0,2 m/s) EN ISO 7730.

Quando sono soddisfatti tutti i criteri sopra riportati e la movimentazione avviene

 a tronco eretto e non ruotato,

 con carico tenuto vicino al corpo.

METODO 2 “VALUTAZIONE MEDIANTE PROSPETTI”

Si applica la tabella NIOSH, che nella norma viene tradotta nel “prospetto 2” - moltiplicatori per il calcolo del limite di massa raccomandato (RML2). Ottenuto il limite di massa raccomandato, si calcola l’indice di rischio R1 come segue:

R1 = massa effettiva/ (RML2).

L’indice di rischio R1 della Norma UNI EN corrisponde all’indice di sollevamento IS del Metodo NIOSH.

Quando

R1 è < 0,85 il rischio è accettabile (area verde), tra 0,86 e 0,99 il rischio è significativo (area gialla), > 1 il rischio è elevato (area rossa).

METODO 3: “CALCOLO MEDIANTE FORMULA”

Viene applicato nei casi in cui non siano rispettati i criteri elencati nel metodo 1 (movimentazione con una sola mano, oppure effettuata da due persone, o con compiti supplementari).

In questi casi il limite di massa raccomandato RML2 viene ulteriormente corretto per i seguenti fattori demoltiplicativi:

 il peso viene sollevato con una mano (OM): applicare un fattore = 0,6;

 i sollevamenti vengono eseguiti da due persone (PM): applicare un fattore = 0,85 (in questo caso nel calcolo dell’indice di sollevamento, il peso sollevato dovrà essere diviso per due);

 vengono eseguiti compiti supplementari (Aτ) (fisicamente impegnativi da esposizione a microclima sfavorevole, precisione nella collocazione del carico, spinta del carico con una mano): applicare un fattore = 0,8.

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A tutte queste norme occorre far riferimento per le finalità del Titolo e dell’allegato. Nei casi in cui le norme tecniche non siano applicabili, ad esempio nella movimentazione dei pazienti, si potrà fare riferimento a linee guida e buone prassi approvate secondo le procedure previste dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2008. Il ricorso a tali norme tecniche consente di adottare metodologie e criteri di valutazione delle diverse attività di movimentazione manuale dei carichi secondo standard internazionali e in modo sostanzialmente conforme a quanto già contenuto nelle Linee Guida delle Regioni e dell’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro).

Le norme tecniche consentono anche la scelta di valori di riferimento nella valutazione delle attività di sollevamento, anche specifiche per diverse popolazioni lavorative, e consentono quindi al medico del lavoro di assumere, nella valutazione dei rischi, orientamenti che considerino anche le differenze di genere e di età.

1.3.DECRETO MINISTERIALE DEL 10 GIUGNO 2014

Con il Decreto Ministeriale del 10 giugno 2014 sono state modificate e integrate le tabelle delle malattie professionali del D.P.R. 1124/65. Le nuove tabelle prevedono 85 voci per l’industria (prima erano 58) e 24 per l’agricoltura (in precedenza erano 27). Conservano la stessa struttura delle precedenti con suddivisioni in tre colonne (malattie, lavorazioni, periodo massimo di indennizzabilità) e, in ordine, sono elencate le malattie da agenti chimici, dell’apparato respiratorio, della pelle non descritte in altre voci e quelle da agenti fisici.

Tra le diverse patologie hanno trovato collocazione numerose forme neoplastiche con indicazione dell’organo bersaglio. Per la maggior parte degli agenti, oltre alle malattie espressamente elencate, è stata inserita l’ulteriore indicazione di “altre malattie causate dall’esposizione professionale a...”.

Tra le novità sono da richiamare le malattie da “sovraccarico biomeccanico” (arto superiore e ginocchio, che manca nella tabella dell’agricoltura) e “l’ernia discale lombare”, causata da vibrazioni trasmesse al corpo intero e da movimentazione manuale di carichi.

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Di seguito è presentato un estratto della lista relativamente alla MMC e a microtraumi provocati da attività ripetitive:

LISTA I – MALATTIE LA CUI ORIGINE LAVORATIVA È DI ELEVATA PROBABILITÀ GRUPPO II – MALATTIE DA AGENTI FISICI

AGENTE MALATTIE CODICE (#) IDENTIFICATIVO

03 Movimentazione

manuale di carichi eseguita con continuità durante il turno lavorativo

Spondilodiscopatie del tratto lombare

I.2.03 M47.8

Ernia discale lombare

I.2.03 M51.2

LISTA II – MALATTIE LA CUI ORIGINE LAVORATIVA È DI LIMITATA PROBABILITÀ GRUPPO II – MALATTIE DA AGENTI FISICI

AGENTI E LAVORAZIONI MALATTIE CODICE (#) IDENTIFICATIVO 01 Microtraumi e posture incongrue a carico degli arti superiori per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi per almeno la metà del tempo del turno lavorativo

Sindromi da sovraccarico biomeccanico:

Sindrome da

intrappolamento del nervo ulnare al gomito

II.2.01 G56.2

Tendinopatia inserzione distale tricipite

II.2.01 M77

Sindrome del canale di Guyon

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2.

A

NATOMIA DEL RACHIDE E STUDI DI BIOMECCANICA

2.1. ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL RACHIDE

La colonna vertebrale, o rachide, è costituita dalla sovrapposizione di ossa dette vertebre e forma lo scheletro assile del tronco. È una struttura complessa che svolge funzioni di sostegno e movimento, ma esplica anche un’azione protettiva nei confronti delle strutture nervose contenute all’interno del canale vertebrale.

La colonna vertebrale è formata nel suo insieme, sul piano sagittale, da quattro curve che sono, dal basso verso l’alto:

 cifosi sacrale (è rigida poiché le vertebre sacrali sono fuse tra loro; è una curva a concavità anteriore);

 lordosi lombare (curva a concavità posteriore);

 cifosi dorsale (curva a concavità anteriore);

 lordosi cervicale (curva a concavità posteriore).

La presenza di tali curve aumenta la resistenza del rachide alle sollecitazioni di compressione assiale; infatti è stato dimostrato che la resistenza di una colonna che presenta delle curve è direttamente proporzionale al quadrato del numero delle curve più uno (R=N2+1).

Le vertebre sono ossa corte, si contano tra le 33 e le 35 vertebre, disposte in successione una sull’altra e articolate fra di loro.

Si dividono in:  7 vertebre cervicali,  12 vertebre toraciche,  5 vertebre lombari,  5 vertebre sacrali,  3-5 vertebre coccigee.

Figura I: colonna vertebrale (piano frontale e sagittale).

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Le vertebre sacrali sono fuse tra loro formando l’osso sacro; le vertebre coccigee, anche esse saldate tra loro, formano il coccige. Si parla pertanto di regione vertebrale cervicale, toracica, lombare, sacro coccigea della colonna.

La vertebra è costituita dalle seguenti parti:

 il corpo vertebrale, situato in avanti, di forma cilindrica; presenta una faccia superiore, una faccia inferiore e una superficie interposta fra le due facce, incavata. Esso è simile in tutte le vertebre, tranne nelle prime due vertebre cervicali, l’atlante e l’epistrofeo;

 i due peduncoli (o radici) della vertebra che si staccano dalle porzioni postero-laterali del corpo e continuano nelle lamine vertebrali; queste ultime, destra e sinistra, si presentano come lamine ossee appiattite e si uniscono posteriormente formando il processo spinoso, diretto indietro e in basso. I peduncoli della vertebra e le lamine formano, posteriormente al corpo vertebrale, l’arco della vertebra; quest’ultimo delimita con il corpo vertebrale il foro vertebrale attraverso il quale passa il midollo spinale;

 i processi trasversi: sono due sporgenze, destra e sinistra, che staccandosi dalla vertebra al limite tra il peduncolo e la lamina si portano lateralmente;

 i processi articolari: sono sporgenze ossee che si staccano dalla stessa zona limite tra peduncolo e lamina diretti versi l’alto e verso il basso. Si distinguono infatti due processi articolari superiori, destro e sinistro, diretti verso l’alto e due processi articolari inferiori diretti in basso. I processi articolari servono per l’articolazione tra le vertebre, presentano pertanto una superficie articolare. I processi articolari superiori di una vertebra si articolano quindi con i processi articolari inferiori della vertebra soprastante; i processi articolari di una vertebra si articolano si articolano con i processi articolari superiori della vertebra sottostante;

 i margini superiore e inferiore dei peduncoli della vertebra sono leggermente incavati e formano l’incisura vertebrale superiore e l’incisura vertebrale inferiore; considerando la colonna vertebrale nel suo insieme, formata dalla sovrapposizione seriale delle vertebre, si rileva che ciascuna incisura vertebrale superiore delimita con l’incisura vertebrale inferiore della vertebra soprastante un foro, detto foro intervertebrale o foro di coniugazione, attraverso il quale passano il nervo spinale e i vasi sanguigni.

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Figura II: vertebra cervicale.

Le vertebre presentano caratteri peculiari in relazione alla regione cui appartengono. Le vertebre cervicali sono di dimensioni inferiori rispetto alle vertebre delle altre regioni e presentano un corpo di forma quadrangolare con diametro trasverso prevalente su quello antero-posteriore. I processi trasversi presentano un foro detto foro trasversario, dalla cui successione risulta il canale trasversario attraverso il quale passano i vasi vertebrali.

Figura III: percorso dell’arteria vertebrale.

Le vertebre toraciche hanno un corpo vertebrale cilindrico più sviluppato rispetto a quello delle vertebre cervicali. Le vertebre toraciche dalla seconda alla nona presentano

ciascuna due semifaccette costali, Figura IV: vertebra toracica.

unasuperiore e una inferiore,

per l’articolazione con le coste. Anche i processi trasversi presentano una faccetta

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Le vertebre lombari sono caratterizzate da un corpo vertebrale molto voluminoso. I processi trasversi sono costituiti da robuste sporgenze, dette processi costiformi, che possono considerarsi coste rudimentali saldate alla vertebra.

Figura V: vertebra lombare.

L’osso sacro è costituito dalla fusione delle cinque vertebre sacrali. Incuneato fra le ossa iliache, contribuisce con queste a formare il bacino.

Figura VI: osso sacro e coccige (vedute posteriore e anteriore).

Il coccige risulta costituito dalla fusione delle vertebre coccigee, il cui numero varia da tre a cinque.

Dal punto di vista strutturale, il corpo vertebrale è paragonabile a un osso breve: ha una struttura a guscio con una corticale di osso denso che circonda il tessuto spongioso. La corticale della faccia superiore e inferiore prende il nome di piatto vertebrale. Le travate dell’osso spongioso seguono delle linee di forza, alcune con andamento verticale, altre con andamento a ventaglio; l’intersezione di queste due tipologie di lamelle conferiscono una forte resistenza alla vertebra, ad esclusione di un punto in cui sono presenti soltanto lamelle con andamento verticale. Si tratta del punto più fragile della vertebra, suscettibile alla frattura.

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La connessione intervertebrale è assicurata da numerosi elementi fibro-legamentosi, tra i quali il legamento longitudinale anteriore e il legamento longitudinale posteriore; fra questi due legamenti, notevolmente lunghi, ad ogni livello il collegamento è assicurato dal disco intervertebrale

Figura VII: legamento longitudinale anteriore e posteriore.

Il disco intervertebrale è formato da due parti distinte:

 un nucleo centrale polposo, costituito per la maggior parte da acqua (85%) e per la restante parte da una sostanza fondamentale a base di mucopolisaccaridi;

 un anello periferico fibroso, formato dalla successione di strati fibrosi concentrici che hanno obliquità incrociata. Il sistema di fibre fa sì che l’anello fibroso sia inestensibile, in modo da contenere il nucleo polposo anche durante pressioni notevoli.

Figura VIII: articolazione intervertebrale e componenti del disco intervertebrale.

Il disco intervertebrale consente il movimento e sopporta l’80% del carico; le faccette articolari, fungendo da cardini, consentono e limitano il movimento di rotazione e sopportano il 20% del carico. La morfologia e l’integrità di ciascuna componente influisce inevitabilmente sulla funzione e sull’integrità dell’intero sistema.

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2.2.PATOGENESI E BIOMECCANICA

Grazie alla sua costituzione, il disco intervertebrale è in grado di sopportare carichi notevoli, deformandosi e recuperando forma e dimensioni normali alla cessazione dell’azione della forza meccanica.

Tuttavia, un carico eccessivo sulla colonna può causare, in modo acuto o per traumi cumulativi (bassi livelli di carico ma ripetuti nel tempo) il superamento dei limiti di tolleranza dei tessuti e quindi l’inizio di una sequela di lesioni che possono portare al dolore e alla degenerazione del disco intervertebrale (EWCS, 2007; Marras, 2008; Seidler, 2009).

Fattori ergonomici negativi presenti sul luogo di lavoro possono sommarsi al normale processo degenerativo dell’età e contribuire a provocare disturbi dorso-lombari in una schiena sana, oppure accelerare i cambiamenti in atto in una schiena già lesionata.

L’entità del sovraccarico può essere misurata: gli studi di biomeccanica forniscono dati che consentono di stimare i carichi che insistono sulle strutture della colonna vertebrale e la loro direzionalità (forze compressive, di taglio, di torsione, di flesso-estensione, combinate) in relazione al peso movimentato e al movimento eseguito. Queste misurazioni possono essere effettuate in vivo, con misure dirette, o in modo indiretto attraverso la stima mediante modelli sperimentali della grandezza delle forze esercitate sulle strutture interne dell’unità funzionale vertebrale (Menoni, 2011).

I primi studi di biomeccanica (Ulin, 1997) hanno utilizzato modelli prevalentemente statici, che hanno comunque consentito di stimare i livelli di compressione e i limiti di tolleranza del disco intervertebrale. Successivamente, grazie ai modelli sperimentali, è stato possibile stimare i limiti di tolleranze anche delle altre strutture coinvolte (legamenti-tendini, processi articolari posteriori), consentendo così di definire con precisione i valori da non superare per non provocare danni irreversibili (Marras, 2008). Negli ultimi anni, gli studi di biomeccanica hanno permesso di definire modelli multidimensionali che consentono di stimare le forze compressive che agiscono sul disco intervertebrale e sulle strutture adiacenti durante il movimento.

2.3.STUDI DI BIOMECCANICA

Per postura si intende la posizione del corpo nello spazio e le relazioni tra i diversi segmenti corporei.

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La postura più corretta è quella che consente di svolgere le attività quotidiane e lavorative con il minor dispendio di energia ed è influenzata da numerosi fattori che possono essere di natura neurofisiologica, biomeccanica, emotiva, psicologica e relazionale.

Per classificare cosa si intende per “postura incongrua” occorre dapprima ricordare come costituiscano ormai patrimonio conosciuto e condiviso nell’ambito della medicina del lavoro, e non solo, i dati relativi all’antropometria dei lavoratori e la conseguente precisazione sia delle aree di lavoro corrette e ottimali, sia delle aree che costringono l’operatore ad assumere posture definite scorrette.

Tabella I: Principali posture scorrette.

Una premessa importante riguarda il modo di approccio allo studio delle possibili patologie correlate al lavoro; sono possibili almeno tre tipologie di indagine di eventuali sovraccarichi: biomeccanico, metabolico, psicofisico.

In questa sintesi sul carico posturale saranno trattati quasi esclusivamente gli aspetti di natura biomeccanica. Per spiegare i possibili danni derivanti dal mantenimento di posture scorrette, anche per periodi prolungati, secondo i distretti e le strutture anatomiche coinvolti, sono state proposte diverse ipotesi fisiopatologiche:

 la prolungata contrazione muscolare isometrica (che ostacolerebbe lo smaltimento dell’acido lattico),

 la fissità articolare vertebrale (che impedirebbe la fisiologica nutrizione dei dischi) [Occhipinti E, et al., 1989],

 la compressione e/o l’allungamento del nervo periferico (che ne causerebbe la sofferenza) [Ugbolue UC, et al., 2005].

Collo:

– ruotato

– inclinato, flesso o esteso > 20°

Spalla:

– braccio flesso e/o abdotto > 45°,

Schiena:

– flessa > 45°

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Vengono quindi sinteticamente presentate le conseguenze di determinate posture nell’insorgenza delle patologie a carico di spalla, polso e rachide.

Tabella II: sintesi delle principali review recenti. 2.3.1. Biomeccanica del rachide

Un carico esterno molto elevato, posizionato o sollevato in maniera corretta, comporta pressioni vertebrali notevolmente inferiori rispetto a un carico esterno molto basso posizionato o sollevato in modo scorretto. Contrariamente a quanto si crede, anche alcune semplici posizioni o movimenti effettuati con il solo carico naturale possono comportare delle notevoli pressioni sui dischi intervertebrali.

Durante l’attività di sollevamento di un carico, dal punto di vista biomeccanico il disco intervertebrale e le due vertebre contigue costituiscono il fulcro di una leva di primo grado. Considerando il fulcro come un punto posto al centro del disco intervertebrale, ci si rende conto di come il braccio della resistenza (la distanza tra il fulcro e il centro del peso che si movimenta) risulti più lungo del braccio della potenza (la distanza tra il fulcro

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e il centro della muscolatura paravertebrale, che mediamente è di soli 5 cm) rendendo la leva estremamente svantaggiosa.

Per questo motivo anche il sollevamento di pesi non particolarmente pesanti, soprattutto durante i movimenti di rotazione o flesso-estensione della colonna, determinano elevate forze di compressione sul disco intervertebrale, in grado di provocare lesioni a livello degli anelli cartilaginei che limitano il nucleo polposo, compromettendo il metabolismo del disco intervertebrale e dando inizio al processo degenerativo.

Per quanto riguarda l’analisi delle pressioni intradiscali in funzione del grado di movimento del rachide, soprattutto in flessione, le ricerche di Nachemson A, et al. [1964] sono state fondamentali perché hanno esaminato la pressione subita durante l’assunzione di diverse posizioni e movimenti quotidiani. Gli studi di Mottier R. [1999], misurando in vivo le pressioni discali nelle attività quotidiane, hanno confermato in gran parte i lavori di Nachemson.

Figura IX: esempio di pressione intradiscale in diverse posizioni.

La pressione intra-discale varia molto a seconda della posizione: è importante in posizione seduta, tronco inclinato in avanti, e massima al momento di sollevare un peso. In posizione di flessione, esiste un reclutamento progressivo dei muscoli spinali, che diventano totalmente inattivi in flessione completa: la stabilità è allora soltanto assicurata dal disco, sottoposto a costrizioni di taglio, e le articolazioni posteriori, sede di pressioni verticali. In piedi, il disco è la sede delle forze di compressione, mentre le articolazioni sono la sede di forze di taglio. In flessione, il disco è cuneiforme a base posteriore. Il

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disco è sottoposto ad importanti forze di compressione, ma anche di trazione e di taglio: compressione nella concavità, trazione della convessità [Van Cuyck A, Milon E].

2.3.2. Esempi di carico sul rachide

Modificazione del carico vertebrale in funzione dell’angolo del tronco e della forza dei soggetti [Nett T.: “Leichtathletisches muskeltraining” - Bartels, Wernitz, Berlino 1967].

Figura X: da tabella descrittiva in “L’allenamento della forza” di Manno R. – Soc. Stampa Sportiva 1988.

Forza agente sulla vertebra L3 in diverse situazioni in un soggetto di circa 70 kg.

Figura XI: carico avvertito sulla vertebra L3 da un soggetto di 70 kg.

Forza elastica dei muscoli estensori della colonna vertebrale necessaria per sostenere il tronco di un uomo di circa 82 kg in stazione eretta con il tronco flesso a 60° rispetto alla

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verticale (con le braccia sospese liberamente) e con un peso di 23 kg [Strait L.A., Inman V.T. and Ralston H.J. “Sample illustrations of physical principles selected from physiology and medicine. Am. J. Physics, 15: 375-382, 1947].

Figura XII: esempio di carico sulla schiena flessa di 60°.

La flessione del tronco porta a:

 un peso maggiore sui muscoli estensori posteriori e sui legamenti della schiena;

 una diminuzione dell’angolo di tensione P (avvicinamento verso le vertebre rispetto alla stazione eretta) per cui si rende necessario un aumento di forza di contrazione muscolare [da “Esercizi terapeutici per la funzione e l’allineamento del corpo” di Daniels L. e Worthingham C. - Verduci Editore 1980].

Durante la postura assisa, il bacino ruota all’indietro con orizzontalizzazione della base sacrale e appiattimento della lordosi lombare, con un aumento delle pressioni intradiscali lombari, della tensione legamentosa posteriore ed un aumento dell’attività dei muscoli statici del rachide necessaria al mantenimento della posizione seduta con un aumento delle pressioni intradiscali lombari [Andersson GBJ, et al., 1978].

Questi autori hanno rilevato che la forma della colonna in posizione seduta, con uno schienale a 110° ed un supporto lombare di 4 cm, era simile a quella in posizione eretta. Usando uno schienale, parte del peso corporeo viene trasferito ad esso, riducendo il carico sulla colonna lombare da parte dei segmenti superiori del corpo. L’appoggio dei piedi al suolo su apposito sostegno o il supporto delle gambe è importante per ridurre e distribuire in maniera adeguata il carico.

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2.3.3. Confronto tra stazione seduta e in piedi

La stazione seduta rispetto a quella in piedi comporta una maggior pressione a carico dei dischi intervertebrali [Nachemson A,1970; Callaghan 2001], determinando uno scivolamento posteriore del nucleo polposo con conseguenze negative per l'anulus fibroso, la cui porzione posteriore risulta essere meno resistente di quella anteriore [Pynt, 2008] .

Figura XIII: variazione della pressione intradiscale delle vertebre lombari in diverse posizioni.

Tale fenomeno è dovuto al fatto che il braccio della gravità a livello lombare è decisamente maggiore nella stazione seduta che in quella in piedi. Infatti il baricentro del tronco, cadendo posteriormente rispetto alle tuberosità ischiatiche che fungono da fulcro, determina una retroversione di circa 28° del bacino che causa la flessione del tratto lombare (in particolare a livello di L4-L5) fino a 38° [Andersson, 1979].

In tale condizione anche le strutture muscolo-connettivali posteriori del rachide risultano decisamente sollecitate, fino a 6 volte in più che in stazione eretta [Callaghan, 2001]. Si deve, inoltre, ricordare che il disco intervertebrale è una struttura priva di vasi, che riceve il nutrimento ed elimina i cataboliti solamente per diffusione; il regolare

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alternarsi di condizioni di sovraccarico e sottocarico del disco (attraverso la compressione/decompressione della sua struttura) determina il normale ricambio di fluidi metabolici.

Figura XIV: Ricambio di fluidi metabolici del disco intervertebrale in condizioni di sovracarico e sottocarico.

Il rimanere a lungo in posizioni che comportano sovraccarico, o viceversa in condizioni di sottocarico, durante lo svolgimento di lavori che prevedono posture fisse e protratte, comporta dopo poche ore un arresto del ricambio per diffusione e quindi una sofferenza discale.

Nella valutazione delle posture fisse oltre al valore intrinseco della pressione assiale (che agisce in particolare sui dischi lombari) agisce il fatto di quanto tale pressione sia frequentemente variata ed alternata, al di sopra e al di sotto del valore di passaggio osmotico all’interno del disco; quanto più frequentemente ciò avviene, tanto meglio la struttura discale potrà essere nutrita.

Soggetto di circa 80 Kg di peso e carichi sulla vertebra L3 in posizione eretta e seduta. Il carico totale di (equilibrio delle forze) è dato dalla somma del peso del busto e dalla forza dei muscoli estensori della colonna [da “Anatomie et science du geste sportif” di Virhed R. - Ed. Vigot 1987] .

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Con le moderne tecnologie bio-ingegneristiche non invasive [Frigo C, 1989] è possibile attualmente calcolare con precisione l’entità del carico biomeccanico che viene sopportato dalle strutture anatomiche in conseguenza dei diversi atteggiamenti posturali assunti dai soggetti. Alcuni esempi significativi sono evidenziati nella figura XVI [Bazzini G, et al., 2010]. Come si vede dalla figura, il carico biomeccanico maggiore a livello articolare si registra in quelle posizioni che tanto più si discostano dalla posizione articolare anatomica neutra e il rischio viene accresciuto quanto più queste posizioni vengono mantenute per tempi prolungati durante il turno lavorativo.

Figura XVI: stima dei carichi biomeccanici sulla schiena.

Se in un recente lavoro [Jang R, et al., 2007] il carico biomeccanico a livello del rachide in una popolazione sanitaria viene indicato come prevalentemente al di sotto dei limiti di tolleranza NIOSH (AL = 340 Kg), è anche vero che questo limite viene superato per circa il 6-7% del turno di lavoro, e ciò può già costituire un livello di rischio da tenere sotto controllo. Infatti, è noto come l’eventuale postura e movimentazione dei pazienti eseguita solo manualmente, anche se svolta da due operatori, risulta sempre determinare un carico elevato, come evidenziato nella figura XVII [Winkelmolen GH, et al., 1994] .

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Figura XVII: stima del carico posturale sul rachide durante MMP.

Per quanto riguarda quindi la necessità condivisa di eseguire un’appropriata analisi del rischio sopradescritto, la letteratura presenta numerose tipologie utilizzabili, a partire da schede di descrizione minuziosa dei movimenti su base osservazionale, fino alle più moderne e sofisticate strumentazioni [Capodaglio, EM, et al., 2008].

Così pure è molto larga la scelta dei metodi utilizzabili per l’analisi quantitativa del rischio [Violante FS, et al., 2008], nei quali i fattori posturali vengono considerati in varia misura, ma influiscono pressoché sempre nel calcolo dell’indice finale.

Dal punto di vista delle indicazioni legislative, ricordiamo che:

lo standard di riferimento nella valutazione delle posture è il documento ISO, che stabilisce valori di riferimento relativamente a posture lavorative fisse e, rifacendosi anche ai documenti EN 1005-4 e 1005-5, stabilisce criteri di accettabilità basati sull’angolo articolare:

- abduzione di spalla < 20°,

- gomito e polso < 50% dell’articolarità massima, - tronco flesso < 20°(60°),

raccomanda, inoltre, che al termine del ciclo la rimanente capacità di mantenimento dello sforzo sia ≥80%.

Le analisi hanno generalmente indicato che le attività di trasferimento dei pazienti, come il riposizionamento, sono compiti che provocano un carico da compressione

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eccessiva sul rachide (tipicamente localizzata a L5/S1) [Garg A, et al. 1991; Garg A, e Owen 1992; Owen e Garg, 1991; Owen, 2000].

Gli studi biomeccanici [Gagnon M, et al., 1986; Garg A, et al., 1991; Colombini, D, et al. 1989; Ulin SS, 1997] hanno in sintesi evidenziato come la MMC induca spesso un carico discale superiore ai valori definiti tollerabili (circa 275 kg per le donne, 400 kg per gli uomini) e grossolanamente corrispondenti al concetto di “limite d’azione” [NIOSH].

Gagnon M, et al. [1987] ha valutato in 640 kg il carico massimo agente sui dischi lombari durante il sollevamento da seduto a stazione eretta di un paziente di 73 kg.

Garg A, et al. [1991] hanno stimato in 448 kg il carico medio sul disco L5/S1 nei trasferimenti letto/carrozzina di pazienti non collaboranti di diverso peso.

Winkelmolen GH, et al. [1994], su cinque diverse tecniche di trasferimento dei pazienti di peso variabile tra i 55 e 75 kg, hanno valutato che il carico medio discale in tutte le operazioni supera i 350 kg.

In Italia un importante contributo in ambito di ricerche è fornito dall’EPM (Unità di ricerca di Ergonomia e Postura dei Movimenti), operante a Milano, che da un decennio circa conduce studi in numerose strutture sanitarie proprio in merito al rischio da MMC. In un’indagine curata EPM è stato rilevato un carico lombare massimo di 800 kg nel trasferimento letto/carrozzina di un paziente non collaborante di 80 kg.

Inoltre, in alcune manovre (in pratica nei sollevamenti veri e propri) viene superato anche il valore di carico di rottura delle unità disco-vertebrali pari a circa 580 kg nei maschi e 400 kg nelle femmine [Jager M, et al., 1991] .

Ulteriori studi [Dehlin O, et al., 1976; Magora A, 1974; Stobbe T, et al., 1988; Winkelmolen GH, et al., 1994] correlano il rischio da MMC anche a:

 entità della disabilità del paziente;

 tipo di operazione di movimentazione effettuata;

 frequenza giornaliera delle attività di sollevamento;

 formazione degli operatori;

 inadeguatezza dei letti o assenza di attrezzature (ausili per il sollevamento dei pazienti).

Tra i molti lavori scientifici al riguardo, quello di Marras e Lavender pubblicato su Spine nel 1993 in cui, per mezzo di studi di biomeccanica, fu dimostrato che dall'incremento della velocità con cui sono compiuti gli atti di MMC deriva un progressivo, e dannoso, innalzamento della pressione intra-addominale e delle forze tangenziali agenti sul disco intervertebrale, tali da far superare il limite di tolleranza offerto dalle proprietà visco-elastiche del disco stesso.

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Marras WS, et al. [1999] hanno valutato le operazioni di sollevamento e riposizionamento del paziente effettuate da uno/due operatori. Quasi tutti i compiti superavano i limiti di tolleranza per un sollevamento sicuro. Quando due assistenti hanno eseguito un trasferimento del paziente, la compressione è stata generalmente inferiore (ma spesso ancora eccessiva). Il peso del paziente sollevato durante questa indagine è stato relativamente leggero (50 kg). Si può verosimilmente supporre che nella pratica gli operatori siano sottoposti a carichi molto maggiori. Pertanto, lo studio ha concluso che sarebbe estremamente difficile la riduzione del carico sulla colonna vertebrale a livelli di sicurezza utilizzando uno o due operatori per effettuare tecniche di sollevamento manuale, e viene quindi raccomandato l'uso di ausili di trasferimento dei pazienti come intervento per ridurre effettivamente il rischio di lombalgia.

Più recentemente, alcuni studi hanno indicato grandi carichi di compressione sul rachide lombare a seguito di attività di sollevamento e riposizionamento del paziente [Skotte JH, et al., 2002; Schibye B, et al., 2003; McGill SM, et al., 2005; Jang R, et al., 2007].

Di seguito, nella tabella III, vengono riassunte alcune misure di carichi lombosacrali ottenute durante manovre di sollevamento o trasferimento di pazienti non collaboranti riferite in letteratura.

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