• Non ci sono risultati.

Traduzioni varie

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Traduzioni varie"

Copied!
52
0
0

Testo completo

(1)

TRADUZI ONI VA

SALERNO

(2)
(3)

TRADUZIONI VARIE.

SALERNO

STA B. TIÈ5. F R A T E L L I JO V A N E

(4)

Proprietà Letteraria d e ll’ autore.

(5)

I N D I C E

P r e f a ,io n e ... $ag. 3.

Gerusilemme (Descriz. tra d . dal tedesco) . . . » 7.

I l Sa-to de’ nani (Racc. trad . dal tedesco). . . » 13.

L a saverta dell'America (Racc. S tor. tra d . d a l­

l ’inglese) ... » 33.

(6)
(7)

A L L E T T O R E

Pubblicai, o r n on è m olto, u n saggio la tin o sul- l ’ opera eli E ro d o to di A licarnasso, o, m eglio, sulle sue credenze religiose, p er isca g io n a r lo storico antico d alle accuse che a i c ritic i p iacq u e m uovergli ; e, o ltre q u a l­ che autorevole giudizio, m e n e ebbi, con an im o lieto, qu el titolo m a g istra le, onde il M inistro d ella P . I., senza prove d ’ esam e, volle an d assi ornato.

Or piacerai raccogliere qu i a lcu n e trad u zio n i d al tedesco, d a ll’inglese, dallo spagnuolo; perchè, come g ià per le a n tic h e e m orte, u n a te stim o n ia n z a vi sia del mio cu lto p er le lin g u e m oderne e vive.

Se i cu lto ri di filologia seppero, benevoli, com pa­ tire al mio lavoruccio, com e a quello di u n esordiente; vogliano, in p iù g ra n n um ero, i le tto ri, scorrendo q u este pagine, p e r onesto svago, p erd o n arm i le in e ­ v ita b ili m ende.

Tale 1’ a u g u rio che m i faccio, rivolgendo il saluto a l discreto letto re.

(8)

. .

(9)

GERUSALEMME ‘)

i.

Avvenne in me un solenne risveglio il prim o giorno che mi trovai in G erusalem m e. Con lo sp u n tar dell’ alba, il mio cuore fu preso da u n ’ ansia indicibile, al pensiero d i ciò che av rei dovuto vedere.

*) Eacconto di F ed erig o G uglielm o H aclilaen d er (1816-1817), che dovette, forse, d ettarlo , reduce d a ll’ O riente, ove andò come se g re tario e compagno del baro n e di T aubenheim .

P e r la p o situ ra d ella c ittà , cfr: C h a te au b rian d « Itinéraire de P aris

h Jérusalem. »

G erusalem m e , sotto D avide , divenne, come si sa, la capitale del R egno d ’ Isra e le . I l figliuolo del re S alm ista, onde l’ascensione al trono si colloca l’ anno 1015 av. C., vi edificò, n e ll’ anno 1012, il tem pio, che fu, poscia, detto p roprio di Salomone; e venne com piuto l ’ anno 1005 a. c. — A ssediata invano da Sennacheribbo, l ’anno 707 a. c., fu a ssa lita da Nabuccodonosor o N ebucchadnezzar, tr a gli anni 606, 598 e 596 a. c.; e, poscia, p resa t r a g li anni 588 e 586 a. c.; e questo re stesso tolse da quel tempio alcuni v asi sacri, p e r ornare, in B abilonia, il tem pio di Belo.

R iedificata da Ciro, re di P e rsia , 1’ anno 538 a. c., riebbe, dopo la c a ttiv ità di B abilonia, g ra n p a rte del suo antico splendore. A lessandro il G rande mosse p e r d istru g g e rla l’anno 332 a. c. ; m a non potè effet­ tu a re il suo disegno ; e, anzi, secondo qualche storico, oifrì sacrifizii al Dio degli E brei, e diede prove di affetto a que’ cittad in i.

Antioco il G rande v i en trò l’anno 198 a. c., e fu benevolm ente accolto dagli E brei.

Antioco E pifane l’assaltò e la p rese l ’anno 170 a. c., esercitando il suo furore contro i c itta d in i di essa, e contam inandone perfino il tem pio;

(10)

T rascorsa lentam ente la p rim a ora del m attino, d a­ vamo p rem u ra alla scorta, perchè ci conducesse al S an ­ tuario.

e , 1’ anno 168 a. c., col co n tin u are a sfo g ar la su a rab b ia contro gli E b re i, ordinò la distru zio n e di G erusalem m e, e fece il possibile p erch é si abolisse il culto che quel popolo av e v a nel vero Dio.

A ntioco E u p a to re concesse la pace ag li E b re i e fece dem olire le fortificazioni del tem pio, l ’anno 163 a. c.; m a A ntioco S otere l’assediò, l ’anno 135 a. c ; Pom peo la conquistò l’anno 64 a. c.; e ne fece a t te r ­ ra re le m ura, che Cesare, l’anno 44 a. c., prom ise a Irc a n o di rialzare . D is tr u tta da T ito, 1’ anno 70 d c., — dopo q u e ll’ assedio, in cu i si segnalarono, prodi, G iovanni di G isgala e Sim one figlio di G iora, e in cui i G iudei perirono, secondo rife risce lo storico Gioseffo Elavio, in n u ­ m ero di un m ilione e centom ila, e furon v en d u ti sch iav i in num ero no- v a n ta se tte m ila — com inciò la dispersione deg li E b re i pel m ondo , che, p u r e rra n ti qua e là, insorsero sotto l ’im pero di T raian o , prim a, e contro il successore di lui, poi, p e r a v e r questi, tr a g li a ltri o ltra g g i loro r e ­ cati, fa tto cam biare il nome d ella c ittà in quello di E lia C apitolina. In so rsero , q u esta seconda volta, c a p ita n a ti da certo B arcocheba, l ’anno 132 d. c., p erp e tra n d o indicibili s tra g i e c ru d e ltà . A driano fece, allora, v en ire d alla B re tta n ia G iulio S e v e ro , il più esp erim e n tato dei suoi capitani, che mosse loro contro, e ne sterm inò, in due an n i, oltre sei- centom ila, senza co n tare quelli che periro n o di fam e, di ste n ti, di m i­ seria; m en tre a ltr i era n v en d u ti schiavi e confinati in E g itto . G eru sa­ lem m e fu di nuovo p r e s a , b ru c ia ta e p ro fa n ata . C ostantino le diede l ’antico suo nome; ed E len a, m adre di q u ell’ im peratore, colà rec ata si, vi fece scovrire, come si n a rra , il sepolcro del S ignore, accertan d o in ­ siem e, p e r v ia di m iracolo, quale delle tre croci, che si tro v av a n o li presso fosse quella appunto su cui fu inchiodato il N azareno. S o rse , così, p er la p ia im p eratrice la C hiesa del S anto Sepolcro, cui accenna 1’ au to re tedesco n ella n arrazio n e.

Gli A postoli vi ten n ero un prim o concilio, tr a g li anni 49 e 50 d. c. F u p re sa d a ’ P e rsia n i l ’ anno 614 d. c. ; d a’ S aracen i l ’ anno 638 d. c.; dai C rociati, che fondarono il R egno (1099-1187); da Saladino, l’ anno 1187; e vi si recò, c ro c ia to , l ’ im p erato re F ederico B a rb a ro ssa, l’ anno 1189; e l ’im p erato re F ederico I I , l ’anno 1229. L a posseggono i T urchi, fin d a ll’ anno 1224; e, oltre a ’ M aom ettani, o r si tro v an o in q u ella c ittà . G reci, A rm eni etc.

In to rn o a G erusalem m e, in sig n e n ella sto ria delle n o stre le tte re per lo im m ortale poem a del Tasso, Cfr: — Sacra S c r ittu ra , passim ; e, tr a g li a ltri, sp ecialm en te: F ilone, G iuseppe F lavio, E usebio da C esarea, e P rid e a u x : « Storia de’ G iudei e d e’ popoli vicini » .—

(11)

Quando entram m o nella Chiesa del S. Sepolcro, io aveva quasi tim ore di prem ere il suolo col mio piede pesante. I m iei occhi erano come velati, e il mio spi­ rito si sollevava, m aravigliosam ente, a m istici pensieri, m entre le sculture e le m agnifiche e colossali opere di q u ell’ edificio ap p ariv an o a me e al pellegrino come i m erli di un castello, che si sollevino, in lontananza, p e ’ verdi m onti, tr a le nebbie. Senza accorgerm i di ciò che accadeva in me, io ero salito, intanto, sul verone della Chiesa, donde poteva rim ira re tu tta G erusalem m e.

Quivi, si spiegò innanzi al mio sguardo la c ittà m il­ lenaria, che quasi pareva una vedova t u t t ’avvolta nel suo lutto. Gli ulivi cad en ti p e r vetustà, i m onum enti sepol­ c ra li dalle bianche p ietre, le ru p i forate dal tempo, le disperse m ura, che lì quasi incom bevano, ram m entavano il doloroso evento, di cui essa fu v ittim a.

Pensa il pellegrino che li si debba z ittire , come in sito di p a tim e n ti, e che la gente debba attrav ersare quelle vie col capo velato. E p p u re, in quei dolenti luoghi, da cento anni in q u a , s’ insinua il tum ulto m ondano, affollandosi dovunque co m p rato ri e m ercanti, im portune guide e avida plebaglia !

II .

« G uardi — disse la scorta — questa v ia , che mena alla Chiesa del Sepolcro : è la Via dolorosa. Qui non vi ha pietra o l a s t r a , che non sia sta ta testim one di un grande avvenim ento. Questo spazio ha veduto N ostro Signore Gesù C risto in tu tto 1’ o b b ro b rio , cui fu espo­ sto ; l’ha veduto condannato e so fferen te, coronato di spine, sotto il grave peso della croce, condotto a m orte. Q uali sacre rim em branze sono im presse in queste p ie­ tre ! Quante m ig liaia *) di cuori, a com inciar dai tem pi

‘) P ellegrini, crociati, in o gni tem po, si recarono alla c ittà sa c ra :— da B arbarossa, n ell’ anno 1189, a G uglielm o, im peratore di G erm ania,

(12)

di C ostantino e di E lena, non si sono, a questo s p e tta ­ colo , sciolti in am are la c r im e , rito rn an d o , quindi, a casa, a lle v iati nelle loro pene ! »

« L à, poi, verso mezzogiorno — continuava, accen­ n a n d o , la scorta — giace B etlem m e, la più g aia delle C ittà . Essa si posa, tra n q u illa , sul m onte ; ed il S o le , d a ll’ alto, l ’ indora così bellam ente coi suoi raggi, che io non ricordavo di aver visto m ai sito ta n to am eno e magnifico insieme. Colà, poi, verso il lato sin istro , tra le colline, t r a ’ m onti, si e ste n d e , p er lungo t r a t t o , dol­ cemente, la valle de’ pastori, che pochi alb eri om breg­ giano intorno. N elle sacre n o tti, le celesti schiere lì an ­ nunziarono agli um ili la buona novella. M olti ch io stri si distinguono su le case di Betlem m e, e quella cupola, che, quasi troneggiando, sporge fuori, è della Chiesa fa tta costruire da E len a im p eratrice '): della chiesa che sta di là della g ro tta, dove nacque C risto. »

I I I .

C hiesi alla g u id a: « Che nome ha la re g g ia , c h e , un centinaio di passi lungi di qui, si vede in v e tta a

quel colle? ».

« Q uella è la reggia di D avide sovra Sionne — rispose

la scorta, con accento monotono —; colà ebbe sua stanza

il quale, col suo p assag g io in T e rra S a n ta , p a re ab b ia voluto rin v e r ­ dire la m em oria di q u ell’antico costum e, che ta n to conferì al pro g resso d ella civ iltà e del cristianesim o.

M a q u a n ta differenza t r a i due im p e rato ri ! Q uegli, il B a rb a ro ssa, benché poi m orto a mezzo d e ll’ im presa, l ’ anno 1190, vi si recò quale lib e ra to re del S anto Sepolcro, e contro il Turco; il p rese n te sovrano germ anico vi si è recato, da v isitato re , e d ’accordo col G overno d ella P o rta .

E , in T e rra S anta, fu di recente, il celebre o rie n ta lis ta A ngelo de G u bernatis, p e r darne, poi, u n a descrizione da p a r suo; e l ’illu stre s c r it­ tric e M atilde Serao, di cui am m iriam o la su g g e stiv a p ro sa: « Nel paese

d i Gesù. »

(13)

quel personaggio che, assai insigne in qu ell’epoca rem ota, fu vate, re e profeta. D i li, egli poteva avere sottocchi Gerusalemme, e rim ira re , placido, le fuggitive onde del fiume, la rim o ta e verdeggiante valle e i te re b in ti e gli ulivi, che ornan pom posam ente la cim a de’ colli. Verso scirocco, si presenta allo sguardo, la valle di G iosafat, *) la moschea d i sovra M oriach; p iù in giù, il bacino del M are morto. »

Non v ’ ha spettacolo che possa cosi riem pire l’animo di te tri pensieri come quello della valle di G iosafat: una angusta valle, che, tr a due colline — di cui una sostiene il monte degli ulivi, e l ’a ltra le altu re di Gerusalem m e — è lam bita dalle scarse acque del Cedron. G iam m ai p e­ n e tra raggio di luce in questo tenebroso burrone: al m at­ tino, il sole si nasconde d ietro il m onte degli ulivi; dopo mezzodi, d ietro M oriach. È la valle delle ombre e dei sepolcri ; e chiunque oltrepassa i po n ti e re tti colà, sopra il Cedron, è compreso da un sùbito terro re. A destra dei ponti, sorgono le tom be di A ssalonne, di G iosafat e di Zaccaria.

L a gente, p ro strata, prega a tto rn o a quelle; ed un cumolo di p ietre fa p iù tr is ti quei luoghi !

IV .

« Là, a O riente — dicevam i la guida — ella scorge B etania e il m onte O liveto 2). »

Dopo B ettelem m e, B etan ia è la più am ena tr a le villette: e care m em orie v i si collegano. Q uivi ebbero dim ora Lazzaro, M aria e M arta, nel cui grem bo Gesù trovò riposo dalle sante occupazioni, raccogliendo nuove energie p er l ’ adem pim ento del gi’ave suo m andato. Q uivi, il ban d ito da G erusalem m e trovò il ricetto; 1’ e- sule, la p a tria ; qui chi fu dispregiato dai suoi concit­

’) Cfr. M atilde Serao : « N el paese d i Gesù »; pag . 146. 2) Op. cit.: pag. 115.

(14)

ta d in i, trovò assistenze ed affetti. P o tre i ch iam are B e­ tan ia, il tra n q u illo ritro v o d e ll’ amore. Com ’ è dolce e rom ita, su quel monte, c in ta a d estra da om brosi alberi, da v erdeggianti cam pi, dove si passerebbero v o len tieri i p ro p rii giorni, tr a cuori am ab ili!

A llu n g ai lo sguardo verso B etania, ritro v o dei cuori : verso B e t a n ia , così p re d ile tta dal Signore ; e il mio anim o si sentiva preso da una ineffabile commozione.

Insiem e con B etan ia lo sguardo, com prende il m onte oliveto J). L ì presso è G etsem ani, con a ’ piedi il g iard in o degli ulivi, con in v etta la chiesa d ell’A scensione. M i­ ra re il m onte oliveto co’ suoi alberi, è come m ira re il m onte della pace.

E quasi non potevo lev ar l’occhio da quelle m istich e colline, che ridestano rim em branze ind eleb ili !

(15)

IL SARTO DEI NANI *)

D a un tem po orm ai abbastanza remoto, viveva, in A quisgrana, antica c ittà im periale, uno d i quei m aestri s a r t i , che non m ancano anche oggidì. M a il singoiar pregio, onde andava adorno m aestro G aspare era di cu­

cir, coll’artistico ago, g u ald rap p e e m an telli p e’ cavalli im periali, e quanto altro servisse p e r ab b ig liare il ser- vidorame. Presum eva, però, tro p p o di sè in un tale officio; e, quando si vedeva seduto presso il suo tavolo, con il b erretto bianco a p u n ta sul capo, con il passetto tr a le m ani a guisa di uno scettro, si sarebbe, con tu tta ragione, creduto di scorgere in lu i l ’ im p erato re medesimo ! E , sebbene fosse un om iciattolo stecchito e allam panato, nondimeno ispirava agli operai e ai garzoni della bottega, un rispetto quasi incredibile; e ciò ta n to p iù non si poteva spiegare, in quanto che egli, p u r non abbandonandosi a schiamazzi o stre p iti co’ suoi dipendenti, tu ttav ia, ad ogni occasione che presentava s i , diceva loro, con fioca voce e con molta garbatezza, che essi erano de’ fu rfan ti e de’ mascalzoni fin nelle m idolla delle ossa. E la m a­ rav ig lia era che bastava agli operai s a rti lavorare un ta n tin o nella bottega di m astro G aspare, perchè dive­ nissero subito pieghevoli e m ansueti da indocili e

bal-’) Questo racconto si potrebbe anche in tito la re : « del tacere a

tem po d(bito » ; è dello stesso p rec ed en te au to re e fa p a rte dei suoi :

(16)

danzosi che erano ; e si m utassero in d ilig e n ti i p ig ri ; e quelli che, prim a, cucendo, solevano o scio rin ar rac- contini, o can ticch iare canzonette, perdessero la rite n ­ tiv a e am m utolissero come pesci. A siffatta educazione aveva, forse, di molto, e solam ente, conferito la severità del maestro.

V ’eran, però, di quelli, i quali sostenevano, che gli operai, quando lo stecchito om iciattolo, con la sua voce finissima come un capello, teneva loro un discorso, fossero più co rriv i a r id e r e , che a seguire i suoi p r e c e t t i , e che, in casa fosse un a ltro essere a m m a lia to re , fo rn ito di possanza bastevole a conquidere g li anim i in to lle­ ra n ti e te m e rarii dei sarti. Q uest’ essere am m aliatore e ra la sedicenne figliuoletta di m astro G a s p a re , la quale — m o rta che fu la moglie di lui, la m aestra sar- to ra — gli m enava innanzi l ’azienda dom estica. E lla cuo­ ceva le vivande p e r gli operai, e le serviva loro a mensa; e, se v ’ era tra quelli chi avesse c o n tra tta , in casa p ro ­ pria, la bella ab itu d in e di m angiare, con comodo, alla tu rca, vale a d ire , di an d ar vagando col pugno nella scodella, incontanente ris ta v a , ad un sem plice sguardo bieco, onde fulm inavalo R osa (chè così nom avasi la fi­ gliuola di m astro Gaspare).

O r bene, i ric o rd a ti m odi di m aestro G aspare nella sua bottega e il lodato zelo di R osa nelle faccende do­ m estiche , che insieme si e r a n o , a poco a poco , im ­ posti tra gli operai e tr a i garzoni della bottega, estranei alla fa m ig lia , non costituivano l ’ unica sp ec ia lità ; di fa tti più s t r a n i , in vece, era strano autore u n ’ a ltra persona della p aren tela di m astro G aspare, e, p ro p ria ­ m ente, il figlio di sua sorella. — F ilip p o (così nom avasi questo nipote) era, p eraltro , un uomo dabbene, e, quando la volontà non lo abbandonava, era a ltre sì un solerte e diligente operaio. P e rò , aveva la m aledetta a b itu ­ dine di non persistere m ai, con assiduità, in un lavoro. A m o’ d ’ esempio, se prendeva egli un ab ito nuovo o qualcosalt.ro di simile, cuciva, p er una mezz’ ora,

(17)

inde-fessamente e con a ria disinvolta, e faceva de’ p unti belli, im pareggiabili, con piena m aestria; di guisa che m astro G aspare ne gongolava di gioia. Ma, trascorsa quella p rim a mezz’ora o poco più o poco m en o , non era dato al buon Filippo di p ersev erare tran q u illam en te nel suo lavoro, e, quel che è più, di starsene silenzioso. C om in­ ciava, allora, o a u rta re il compagno che gli stava dappresso, o a cicalar con lu i di faccende che poco o nu lla g li appartenevano; o cantava, o rideva, o celiava; insomma, metteva, in poco tem po, in disordine ed a soqquadro, l’ in tera bottega.

P e r siffatta in u rb a n ità , il m aestro, or con le buone, o r con asprezza, l ’aveva p iù volte ripreso ; e, in presenza d e’ compagni, come se fosse stato con lui a solo a solo n ella sua camera, g li aveva c an ta ta bellam ente la zolfa; m a indarno! F ilip p o spingeva o ltre le sue celie, si faceva > beffe degli a ltri in tu tti i modi p o s sib ili, m ostran­

dosi p iù attento in ciò che nel suo m estiere ; onde so­ leva, p er simili bazzecole, sciupar, d ’un tra tto , un lavoro , incominciato con piena m aestria. P e r far de’ punti, im ­

piegava, talvolta, delle lunghe o re; e, invece di battere un bavero nelle pieghe regolari, vi cuciva sopra, senza alcuna riflessione, come se volesse lav o rare un grem biale p er un cuoco o p er qualcuno de’ servi !

Così Filippo avea sciu p ati al m aestro v ari pezzi di lavoro, ed era stato da lui spesse volte fatto segno alla m inaccia, che, alla p rim a occasione, l ’avrebbe m andato via, in paesi stran ieri. T u tta v ia , or p er la solenne p ro ­ messa che egli faceva di un m iglioram ento, or p er le preghiere di Rosa, che sapeva to lle ra re lo sgarbato cu­ g in o , lo sdegno di G aspare si placava. D ’altronde, al vecchio sarto rincresceva veder cad u ti tu tti i bei castelli in aria, che avea fa b b ric a ti p er suo nipote; si era, in fatti, procacciati alcuni c ap itali e una splendida clientela, in cui avrebbe collocato F ilip p o come in un caldo nido. Con siffatte m ire egli aveva a ltresì provveduto a ll’avve­ n ire di Rosa, sua figlia, che volentieri gli avrebbe d ata

(18)

in moglie. Ma, p er la scorrettezza c iarlerà del nipote e cugino, andavano a m onte t u tti i disegni ! Q uanto più il m aestro usava indulgenza, ta n to più F ilip p o diveniva sfre­ nato ed inurbano, e peggiorava sem pre più, di giorno in giorno, p u r con le preghiere di Rosa. N on consegnava più lavoro, in cui non si lam entasse un grave sbaglio, e alla negligenza che ne era causa, egli accoppiava l ’astuzia, onde com m etteva bene spesso e rro ri sem pre p iù grossolani. Q uindi, gli accadeva di foderare l ’abito nero ed elegante di un giudice di pezzuole m ulticolori, che, a p rim a giunta, coperte, non apparivano, ma che, poscia, ove spirasse, p er via, un po’ di vento, esponevano la nobile e dignitosa p e r­ sona del m agistrato alle beffe dei m onelli! E il proverbio: « Tante volte al pozzo va la secchia che, alla fin , ne vien

V orecchia » doveva essere sperim entato anche da F ilip p o .

In fa tti, dopo una settim ana in cui il nipote ne aveva fa tte di tu tti i colori, m astro G aspare prese un grosso jjezzo di gesso, e seguo sulla p arete una linea m olto si­ gnificativa p er F ilip p o : gli ingiungeva, cioè, di ab b an ­ donare la casa. E, siccome, poi, m astro G aspare tem eva, ch e, di nuovo, non lo intenerissero le p reg h iere di F ilip p o e le lagrim e di Rosa, fece subito solenne g iu ­ ram ento di non p iù accoglierlo in casa e in bottega, se p rim a non fosse divenuto m igliore, e, come segno, non fosse in grado di p orre sul tavolo, quale fru tto dei suoi lavori, alm eno sei fiorini d ’ oro, somma a que’ tem pi assai vistosa.

G li operai ed i garzoni della bottega, che stavano d ’ intorno, im pallidirono a q u e ll’ a tto ; e F ilip p o , come quegli che aveva capito esser sonata 1’ ora di a n d ar via, era rassegnato. Q uindi, presa la valigia, vi legò sopra fo rb ici e quadrello, e, nel pom eriggio di quel giorno i- stesso, si presentò al cospetto di m astro G aspare e di Rosa, p er prendere com m iato.

A h, se avesse p referito di non vedere più la cugi- n etta, e se ne fosse tran q u illam en te p a rtito ! L icen zian ­ dosi, senti di nuovo il fascino di quei belli occhi

(19)

cile-stri, e amm irò le grazie di quella personcina svelta e slanciata, e pensò come fortem ente battesse il cuora d i lei, mentre, p er l’u ltim a volta, gli porgeva la mano! E nella mano R osa aveva un borsellino, in cui era una mo­ n e ta spicciola, da consegnare al cugino. D ue lagrim e in u ­ midirono gli occhi della bella, e caddero quasi sul cuore del povero giovane ! A llo ra, p er la prim a volta, egli capì la sua leggerezza, 1’ en o rm ità della sua colpa, e, d ’ im ­ provviso, corse fuori di casa p e r nascondere il pian to !

Era allo ra più difficile di quanto oggi non sia, p er un giovane operaio, tro v a re lavoro e ricapito. E ciò sapeva, p u r troppo, anche F ilip p o , che, ora, conobbe tu tta la g ra ­ v ità delle sue indisciplinatezze. D ’altronde, non avea af- fattoilcoraggio d ’in cam m in arsi verso q u alch eg ran d ecittà; quindi, sognando ed alm anaccando, ten tò la via dei p a trii m onti di A squisgrana. Iv i si sm arrì tr a le ru p i e i casta­ gn eti del colle, che ora si chiam a di « L u ig i e Losberg. » C iò lo rese assai triste . A d ogni p ie tra , ad ogni poggio,

lo assaliva il ricordo d ella fanciullezza, in cui, con a ltri ragazzi, lì si recava a tra stu lla rsi. L ì sp o rg ev an o , tu t- t ’ intorno, grosse rocce di p ie tre aren arie, su cui s’in ­ crostano belle conchiglie p ietrificate e piccoli anim ali m arini, che i fanciulli tolgono via con sassolini, per ser­ virsene come di d iletto si gio catto li. Oh quante volte egli avea di là rip o rta te a casa le tasche piene di gusci di lum a­ che pietrificate, di scale a chiocciola, di a ltre conchiglie! Alle spalle di questi te rre n i, dove, con poca fatica, si trovano le più belle pietrificazioni, s’estendevano folte ed estese abetaie, di cui non oltrepassavano i lim iti nè fanciulli, nè ad u lti ; poiché, d ietro questi annosi e n eri alberi, a d ir d ella gente, non si poteva esser molto si­ curi. Sebbene colà, tr a i m onti, si trovassero belle p ie­ trificazioni ; p u re , secondo si aggiungeva, in quanto d i lì proveniva, era alcun che di pericoloso. Spesso i taglialegna portav an o seco, alle loro case, le più belle conchiglie, p er o rn arn e cornici e arm ad ii ; però, subito, essi le rip o rtav an o via; poiché, verso la m ezzanotte,

(20)

pareva s’ elevasse dalle p ietre un canto, un bisbiglio som­ messo, quasi un lam ento, un sospiro, sim ile a voci di fanciullini, cui si sia fatto del male. Ciò proveniva dagli g n o m i1) che dim oravano nelle p ietre e nelle conchiglie, secondo accertavano gli an tich i, e che non bisognava in im icarsi; laonde, era anche lasciata in pace questa p a rte di Losberg, e di lì non si rim oveva alcuna p ie trifi­ cazione.

F ilip p o — dopo aver riv isti, intorno intorno, tu tti quei te rre n i, dove, nella ten era età, s’ era baloccato con i ragazzi suoi coetanei — continuò a sa lir p er le balze, sognando ed alm anaccando, volgendo il pensiero ad A - squisgrana , a m aestro G aspare, e, sopra tu tto , a Rosa. Q uando , d ’ im provviso, raggiunse le e strem ità di quei boschi di abeti, dove, in mezzo a ’ m onti, è un continuo salire e scendere, egli non supponeva che lì non vi era nè una via nè un sentiero, e si trovò talm en te im p ig liato tr a g li a lti e folti a l b e r i , che non sapeva più dove si ra t- trovasse e donde m ai potesse riuscirne.

I l sole, in tan to , com inciava a tram o n tare, e il po­ vero g io v a n e , an sio sam eu te, pensava in qual bosco si trovasse. C orreva a destra, a sinistra, in cerca di u n ’u scita, e non ne tro v av a a lc u n a ; e, se, ta lv o lta , levava la voce, perchè qualcuno l ’udisse e g li potesse mo­ stra re la d ir itta via, 1’ eco, soltanto l ’eco, gli rispondeva, e, con suo raccapriccio, g li giungeva a ll’ orecchio, come un fino e sonoro riso di scherno! Sopraggiunse la notte, e, allora, F ilip p o ben si accorse, che non vi era u scita fuori del bosco di abeti; e si piegò al suo destino, e andò in cerca di un luogo dove, rip a ra to dal vento g h iac­ ciato, potesse probabilm ente alcun poco dorm ire. Trovò questo luogo, e vi si mise a giacere, nel m uschio, sotto il tronco di un abete; e, m orm orando due « P ater », si addorm entò.

J) Y a le : n a n i, pel no stro autore, e, p ropriam ente, n a n i a ddetti alla

(21)

Aveva appena chiusi gli occhi, quando senti chia­ m arsi per n o m e; e , poiché R o sa, al m attino, sveglian­ dolo, soleva ap p u n to chiam arlo così, restando presso la p o rta della sua cam era da letto, credette, assonnato, che fosse ora di recarsi in bottega, e rispose, come il solito: « un momento, un mom ento, R osa ! ».

Un lungo e fino sorriso, che gli percosse l ’orecchio, rispondendogli, lo destò affatto dal sogno. A p rì gli occhi: e non poteva p re s ta r fede al suo sguardo, allorché si trovò in mezzo al bosco e, a un fioco b a g lio re , che non era nè lume di luua, nè raggio di sole, si vide d i­ nanzi un om iciattolo, alto appena un piede. Q uesti che aveva un’ espressione b o n aria e una lunga b arb a bianca come la neve, si appoggiava a un bastone. F ilip p o cre­ dette di sognare; si stropicciò rip etu tam en te gli occhi; tossì; si chiam ò egli stesso p e r nome; ma 1’ om iciattolo non voleva spaxùi’e; chè, anzi, sollevò, più volte, la mano, e g li fece cenno che lo seguisse.

Filippo, iu sulle prim e, ebbe g ra n voglia di svignar­ sela; ma, in quel momento, non avea m u tata ancora la céra benigna, il nano che, a F ilip p o , al confronto della sua propria statu ra, p arv e au co r più piccino e di niun conto. Q u in d i, presa la sua v aligia sulle s p a lle , seguì lo gnomo (chè non poteva fare altrim en ti). Mossero in ­ sieme verso quella fioca lu c e , che F ilip p o già avea scorta, nel suo s v e g lia rs i, pen etran d o con lo sguardo nel btsco. A lla fin fine , si accorse che quella luce ve­ n iva da un fuoco, b ru cian te tr a grosse p ietre arenarie. E , imorno al fuoco, sedevano, sulla nuda t e r r a , a ltri cinque gnomi, i qu ali avevano, però, un triste piglio; fra questi si sedette anche la scorta di F ilip p o , ingiungendo a costui di fa r lo stesso.

L i n o tte era gelida, e quel calore gli fece bene; si distesi accanto al fuoco, e si stropicciò le m ani in tiriz ­ zite. 7 ra quella m utola b rig a ta , presto 1’ assalì la noia. E g li, )iù di una volta, aveva cercato di in tav o lar discorso con uio dei piccoli vicini; ma, o che rivolgesse a q u al­

(22)

cuno una d o m a n d a , o che con u n ’ am ichevole g o m itata sollecitasse una risposta, i nani digrignavano i denti, e, in v ip e riti, lo dardeggiavano con g li sguardi. E , quando F ilipjx) giurò di non fa r più nè cicalecci nè do­ m ande , il n a n o , che l’ avea condotto l à , spinse il bastone nel fuoco, in modo che i carboni accesi gli sal­ tarono sul v is o , sui c a p e lli, scottandolo ben bene. F i ­ lippo fu lì p er lì p er assestale un colpo sulla nuca allo gnomo, col suo nodoso bastone. A llo ra, p er sua buona fortuna, si ricordò di alcune storielle racco n tateg li d alla sua b a lia : come, cioè, in sim ili circostanze, i nani, presi da sdegno, avessero, spietatam ente, rito rto il collo a un povero fanciullo. Q uindi, se ne stette tra n q u illo ; e, po i­ ché non aveva p iù sonno, si mise dinanzi la valigia, e si diede a spaccottarla.

A ta l’ atto , egli si a c c o rse , come quei n a n i , tu tti insieme, allungassero il viso e , cou c u rio s ità , g u ard as­ sero nella valigia a p erta. F ilip p o , da canto suo, anche adesso, con disinvoltura, si distese innanzi un panno, e vi collocò ago, forbici, filo e refe : ogni cosa in bellis­ simo ordine, e con accanto il lucido quadrello. G li gnom i si spingevano innanzi sul suolo, andando di qua e di là, e allungavano il collo, p er vedere esattam ente ciò che il giovane com inciava a fare.

F ilip p o che pensava tr a sè : — oh, adesso staran n o un po’ a tte n ti ! — o p erav a, come se p e r n u lla si fosse accorto della curiosità di quegli o m iciatto li ; quindi, messosi dinanzi un giubbone vecchio, com inciò a r a t ­ to p p arv i, con l ’ a rtistico suo ago, un grosso buco. A siffatto lavoro gli sguardi dei nan i divennero giulivi, e t u tti, reggendosi sulle pu n te dei p ie d i, m ovevano verso F ilip p o , p er veder bene. In o ltre, tu tti e sei d ie­ dero in un profondo sospiro ; così che F ilip p o , sb ir­ ciando di su il c u c ito , si accorse che g li om iciattoli avevano una céra anche p iù fosca di prim a. Ciò lo im pensierì, e cred ette di potere, adesso, ricevere una risposta ; q u in d i, di nuovo, li richiese. M a , appena

(23)

ebbe profferita la p rim a p aro la, t u t t i , in fero citi, gli gittarono gli occhi addosso ; e F ilip p o ricevè dalla p a rte di dietro un colpo così forte su ll’ o re c ch io , che stramazzò col capo nel muschio. In sulle prim e, ei cre­ d ette , che fosse m astro G a s p a re , che lo cercasse e lo volesse destare da un profondo sonno; poscia, si accorse che era stato un tronco di albero, che, in un modo tan to singolare ed energico, era caduto sul suo orecchio.

Incollerito, si sedette un ’ a ltra volta, e cominciò, d i nuovo, il suo lavoro. A d ogni punto che faceva, gli gnom i gli si avvicinavano p iù dappresso, e sospiravano lamentevolmente. A llo ra, F ilip p o , alla buona pensò : — di che mai possono aver bisogno quei piccini ? E , quando la sua scorta, fa tta g lisi m olto dappresso, lo guardò m eravigliato, e gli passò, in o ltr e , la mano sulla spalla, F ilip p o pensò: — forse, dovrò ra tto p p a re a ’ nani le camiciole ed 1 calzoni — E p a r v e , in f a t t i , come se il nano avesse in trav ed u to il suo pensiero; poiché sul suo volto, pieno di corruccio, apparve un sorriso di compiacenza. Onde, in c o ra g g ia to , il sarto lo gherm ì p er la nuca del collo, e se lo collocò sul ginocchio, p er esaminarne gli ab iti. Ciò facendo, vide, sul dorso d ella camiciola, una gran d e fessura ; e , disgiungendo la r o b a , si a cc o rse , che q u e ll’ a p e rtu ra non correva soltanto lungo la fodera e la cam icia, ma giungeva fin sul corpicino dello gnomo. Questo corpicciuolo era form ato in modo del tu tto speciale. Non era di c a r n e , e assomigliava in tu tto a una cipolla, di cui le b u c c e , collocate 1’ una sull’ a ltra , erano di stoffa finissima, come foglie di rose. A llo ra, d ’ im provviso, g li si affacciò alla m ente, che la sua avola, un tem p o , gli raccontava come gli gnomi (a differenza di tu tti i nani e di tu tte le m an­ dragole *), che provenivano d alla stirp e um ana) discen­ dessero dalla fam ig lia delle cipolle.

‘) Alraunen si leg g e nel t e s t o , e così denom inavasi n ell’ antico alto tedesco , la m a n d ra g o la o m a n d ra g o ra , erba rite n u ta m agica nei

(24)

Secondo abbiam o detto, il nostro sarto, quando si poneva al lavoro, era uomo diligente ed esatto ; onde egli, anche ora, rifletteva, tem endo che non gli capitasse di cucire anche il corpicciuolo del nano, p rim a che gli cucisse insieme fodera e cam iciola.

Ma, aveva anche l ’intenzione — ricordando ciò che gli era cap itato innanzi al fuoco e il colpo sull’orecchio — di fare al nano, qua e là, una p u n tu ra più profonda del necessario; e, col finissimo ago, di cui era fornito, si pose a ll’ opera. Curiosi, gli a ltri nani, si. fecero in to rn o più dappresso, e il loro volto si risch iarò alquanto, quando videro che il sarto, con abile zelo, risarciva, anzi tu tto , gli orli della g u a rn itu ra . O ra —pensa va F ilip p o — sarebbe p iù giusto e conveniente, che quei pigm ei dessero alcuna risposta a qualche m ia dom anda! E , n e ll’atto che passava il filo nella cruna di un nuovo ago, spalancò la bocca, e pregò i n an i che gli dicessero chi essi fossero. Ohimè ! A ppena ebbe profferito quel m otto, l ’ago g li si arroventò tr a le dita, e gli penetrò un pollice profondo n ella mano; onde, pel dolore, si pose a g rid a re a squarciagola. In o l­ tre , si sentì, d a ll’ a ltro lato, sull’orecchio, un colpo non meno forte del prim o. Che dovea fare ? F ilip p o diè di piglio al suo nodoso bastone ; però, gli parve di scor­ gere come, ad un sim ile m ovimento, gli gnomi, d ’ im ­ provviso, com inciassero a crescere in lunghezza e la r ­ ghezza: onde, con un sospiro, lasciò cadere la mano, e cominciò di nuovo il suo lavoro.

M a tu tti i pu n ti che già avea fatti, erano scuciti ; e dovette d u rare fatica, una buona mezz’ ora, p er giu n ­ gere un’ a ltra volta lì dove era p rim a giunto. P ro fo n ­ dam ente egli era addolorato p er la c attiv a com pagnia, in

tem pi an tichi; circa, poi, lina specie di nani, così denom inati « cfr. D u M éril M élanges archéologiques e t litté r a ire s » pag. 71; B riidern G rim m D eutsche Sagen , 81 ; Du Cange, G lossarium m ediae e t infim ae la tin i- ta tis , voi. l.° a lla voce A lyrum nae; Jaco b Grim, D eutsche M ythologie I I B and. Cap. X X X V II.

(25)

cui era cap itato ; e, mesto, rivolgeva il pensiero alla sua bottega in A q u isg ran a, a m astro G aspare, e a Rosa. In questo suo nuovo ritrovo, egli si trovava certam ente più a disagio, che non colà, dove avrebbe potuto cica­ lare una g io rn a ta in te ra , senza ricevere alcun colpo sul- l ’orecchio, senza che l ’ago gli si fosse arro v en tato !

Ah, — egli pensava — cicalare m entre si lavora de- v’ essere una g ra n b ru tta ab itu d in e ! E , se già un ’ ora lungi da A quisgi’ana lo si puniva così severam ente, an­ dando di questo passo, in una c ittà più lontana, p er la benché menoma e innocua p a ro la , gli avrebbero, a d ir poco, mozzato il capo. E r a la p rim a volta, in sua vita, che pensava di correggersi !

I l lavoro, intanto, procedeva alacrem ente: soltanto, g li accadeva che, p er ogni punto p iù grosso del neces­

sario, si sentiva pungere, in modo singolare e dolorosa­ m ente, come pel p e n e tra r nelle sue carn i di un ago in­ visibile.

F rattan to , gli a ltri n an i portavano ciascuno un p ic­ colo fastello di legna secche, e insieme m antenevano ac­ ceso il fuoco nel m ig lio r modo possibile.

Filippo, in quel tem po, aveva finito il lavoro; ma non adoperò, alla fine, il quadrello p er ispianare la camiciola, soltanto, prese le grosse forbici, distese, con quelle, la cu­ c itu ra sulla schiena del nano, dove, del resto, b a tte tte più fortemente di quanto non fosse necessario. Poscia, gherm ì il nano e, sollevatolo sulla mano, l ’esaminò un ’a ltra volta con ogni cura. S i accorse, con sua gioia, che ogni t r i ­ stezza era scom parsa dal volto di quello. Onde, con la palm a della mano, gli assestò tale uno scappellotto a certa p arte del corpo, che quegli andò a cadere, a traverso il fuoco, nel tenero muschio. Questo modo di agire parve non ir ­ ritasse per nu lla il nano, il quale, anzi, si rizzò subito

in piedi; come fuor di sé p er la gioia, danzò lungo tempo, in giro ; e, avvicinatosi, poi, al sarto e cavato di tasca un grosso pezzo d ’ oro, glielo fece scivolar nella mano. Filippo, stupefatto, guardava l ’ im pronta della moneta,

(26)

e si avvide che era uno splendido fiorino d ’oro, che, pel peso e pel suono, doveva essere di g ran valore.

L a no tte si era in o ltra ta , e si sentiva quel vento fresco, che scom pare col m attino, quando F ilip p o , im- p a cc o tta ti gli arnesi del suo m estiere e distesovi d ietro il suo nodoso bastone, s’ accom iatò dai n a n i. P o rse a tu tti, 1’ uno dopo 1’ altro, la mano, e g l’ increbbe non poco vedere che quei cinque avevano la céra ancor p iù fosca, e che soltanto quel nano, al quale avea fa tti i ra tto p p i, presentava un più lieto e vivace aspetto. C ostui cavò di tasca una piccola coppa d ’oro, se l ’accostò alle lab b ra, e la porse, di poi, al sarto, il quale non ebbe nessuna c attiv a intenzione di succhiare, insino alle u l­ tim e stille, il dolce liquore, che vi era contenuto. Non p ertan to , che cosa g li accadde? In sulle prim e, gli sem­ brò di ro to lare giù da un m onte ; poscia, con ispavento e raccapriccio, av v ertiv a che il corpo, a poco a poco, gli si raccorciava, e che, in pochi istan ti, diveniva p ic­ colo quasi come quello dei nani.

Questo fu un te rrib ile mom ento pel povero F ilip p o , che era tu i’bato fino a perdere il lum e della ragione ; poscia, calde lagrim e gli velarono gli occhi; e pensò a Rosa, innanzi alla quale, divenuto pigmeo, non avrebbe osato più fa r ritorno. Ma, quando si riebbe e rie n trò in sé, a p rì la bocca p er gran tem po chiusa, e, nel modo p iù energico, tr a lacrim e am are, rinfacciò a ’ n an i la loro in g ratitu d in e. Questi, tu tti insiem e, si strinsero nelle spalle, e gli fecero segno come se g li volessero d ire che di nuovo avrebbe ria c q u istata la sua p rim itiv a sta­ tu ra , e che bisognava soltanto aver tolleranza.

Che fare ? I l povero sarto dovette rassegnarsi, aver pazienza, e seguire i nani, i quali, andando innanzi, g li fecero cenno perchè li seguisse.

Come gli sem bravano, ora, m aestosi gli abeti, sulle cime dei quali egli poteva a stento elevar lo sguardo. I l basso ginepro e il cespuglio di cardi, che, ieri, egli avea calpestato col piede, ora gli sorpassavano il capo;

(27)

e g li scarafaggi e i rag n atelli, che, d estati dal m attino che spunta, correvano, volenterosi, a ’ p ro p rii lavori, gli sembravano, ora, grossi e spaventevoli.

In breve tem po, egli giunse insieme con g li gnomi a una rupe così alta, di cui la sim ile non si era mai vista, e, quivi, insiem e sostarono davanti ad una scala scavata in una di quelle chiocciole pietrificate, che, spesso, egli, fanciullo, con a ltre conchiglie, aveva r ita ­ g liate dalle rupi, e ch e, ora, g li parve oltre m isura grande.

Uno de’ nan i cavò fuori un corno dorato, e vi soffiò d e n tro ; ciò fatto, la scala a chiocciola, a poco a poco, girò, e offerse u n ’a p e rtu ra , in cui entrò la brigata, che,

lentamente, vi salì.

L a prodigiosa e non m ai vista magnificenza, che ora gli si spiegava allo sguardo, valse a dileguargli, p er q ual­ che istante, il dolore n e ll’ anim o. D a lla scala a chioc­ ciola passarono in un g ra n portico, ornato di assai belle e rilucenti e sim m etriche p ietre, e sostenuto da colonne di cristallo color di rosa e bianco. D i lì passarono in grandi sale, di cui una era p iù splendidam ente adorna d e ll’altra. N elle cam ere e n e’ corridoi, non si vedeva a- nim a viva ; ma che, poche ore p rim a, vi fosse stata della gente, lo dicevano i vasellam i d ’ oro e d ’argento in d i­ sordine su pei tavoli, e le candele mezzo b ru ciate agli estremi.

Pareva come se vi si fossero celeb rate g ran d i feste o im banditi dei ban ch etti; e, forse, anche la musica non v ’era mancata, poiché, in una delle più g ra n d i sale, si ve­ devano ancora, n e ll’orchestra, stru m en ti di ogni sorta. I nani s’avanzavano, p er questi splendidi portici, m utoli e tr is ti; e F ilip p o li seguiva col massimo stupore. A un t r a t t o , percorse le sale, si trovarono innanzi a m olte­ p lici e in trig a ti corridoi, presso i quali i sei gnom i si strinsero la mano, e ciascuno, p er suo conto, enti’ò in uno dei passaggi che si aprivano intorno. I l nano dai rattoppi accennò a F ilip p o di seguirlo, ed entram bi

(28)

entrarono in un corridoio fa tto a v o lta , ove, a ll’ estre­ m ità, risonava una m usica p iana e soave come lam ento di arp e eoliche. In questo corridoio le porte si aprivano, 1’ una dopo l ’a ltr a ; e, quasi a ll’estrem ità di esso, il nano aperse una' p o rticin a, chiam ò il sarto perchè vi entrasse, e g liela chiuse dietro.

F ilip p o , cui tu tte le m araviglie che gli si erano p a­ ra te dinanzi d u ran te il giorno avean dato il capogiro, non a rd i in sulle prim e, di g u ard arsi in to rn o , tem endo non gli incogliesse qualche nuova disavventura; ma n u lla g li accadde, p e r buona fortuna, di sinistro. Quando si fece a esam inare la sua cam eretta, tr o v ò , che, qu an ­ tunque lav o rata in p ietra, era elegante e adorna assai p iù d ell’a ltra che egli aveva presso m astro G aspare. S oltanto si m eravigliò a vedere il cassone del letto fatto di una grossa conchiglia p ietrificata. P erò , i cuscini e le coverte erano strao rd in ariam en te fini e m orbidi; onde si svesti, e, in nome di D io, vi si distese entro.

L ’assali, dapprim a, il pensiero d i Rosa, fortem ente; e, talvolta, p arev ag li di starle vicino, ta lv o lta di esserne lontano; ma la musica, che sem pre p iù risuonava negli androni, lo distolse d a ’ foschi pensieri : e le b ru tte visioni e i sospiri si m utarono in amene e gioconde p a rv e n z e , che lo lusingavano in to rn o ; e, così, si addorm entò.

Q uanto tem po avesse potuto dorm ire, non sapeva. L a sua scorta, che, fin dalla sera precedente, gli stava dinanzi, 10 esortò a levarsi, e seguirlo. I l povero sarto , cui ora 11 pensiero della sua in te ra trasform azione e di quanto gli era accaduto, lo angustiava di nuovo, e gravem ente, si levò, sospirando, e seguì il nano fuori del corridoio, dove non più udivansi que’ soavi concenti, bensì u n ’ a ltra musica, sonora e gaia, che sem brava provenisse da quelle splendide s a le , attrav erso le qu ali erano passati il giorno innanzi. A ll’ estrem ità del corridoio, un’ a ltra volta, si avvicinarono loro gli a ltri cinque gnomi e tu tti, silenziosi, procedettero attrav erso p o rtici situ ati di fianco, e splendidam ente illu m in ati. I sei n a n i, m u­

(29)

to li e t r i s t i , abbassavano lo sguardo al su o lo , m entre F ilip p o non poteva rista re di volgere ovunque gli oc­ elli d ’ intorno. E , guardando, si accorse, che, qua e là, si ap riv a una p o rticin a, e ne sbucava fuori un nano o una nana, v estiti in una m an iera più che mai lussosa , con degli a b iti bellam ente ric a m a ti; ma tu t t i , a ll’ a ­ spetto della triste com pagnia, di nuovo disparvero. O ra, giunsero, da un a ltro lato, in quel g ran portico d a ’ p ila ­ stri di cristallo bianco e rosa. Quel nano dai ra tto p p i soffiò un’ a ltra volta nel corno. L a scala a chiocciola si voltò. E, secondo che lentam ente scendeva verso di loro, la fragorosa m usica e il sonoro grido di giubilo si a n ­ davano sempre p iù affievolendo n el castello de’ nani, ces­ sando, in fine, del tu tto , quando qu elli di nuovo giunsero nel bosco, sotto g li abeti.

Era, allora, n o tte come ieri ; soltanto F ilip p o pensò che, oggi, faceva assai p iù freddo. Onde, i nani accesero di nuovo del fuoco, a lla cui rilu cen te fiamma il sarto p o tette riscaldarsi le m orbide d ita. In o ltre, si acc o rse , che quel nano che lo aveva fa tto le v ar di letto, teneva sospesa la sua v aligia sopra le spalle, e, ora, gliel’ aveva collocata d’accanto. L a com pagnia si sedette attorno al fuoco e stava m utola, come il giorno prim a. A nche F ilip p o , come colui che pensava a ll’ago arro v en tato e al colpo sull’orecchio, non osava a p r ir bocca. Lo prese d ’im prov­ viso la noia; aperse la valigia; ne trasse fuori l ’ago ed

il refe; e, con segni, chiese a ’ nani, se m ai vi fosse alcuno tra loro, che avesse bisogno di ratto p p i. Q ue’ cinque diedero un salto in a ria p e r la gioia, e gli si strinsero d’attorno. E g li ne g h erm ì uno p er la m anica, ed, esami­ nandone il farsetto, trovò, al fianco, una sd ru citu ra quasi sim ile all’a ltra , che il nano di p rim a avea sul dorso.

Situato il nano acconciam ente, si mise a cucire con attenzione e con d isin v o ltu ra insieme. P erò, oggi avea le m ani piccole quanto quelle del nano; quindi, procedeva nel suo lavoro p iù len tam en te d i ieri ; e, benché fosse ben riguardoso p er non isd ru cire da capo, con violenza,

(30)

il rappezzo, p o tette com piere il lavoro, non p rim a che il cielo cominciasse a rosseggiare a ll’oriente e il sole salisse alto, a poco a poco.

I l nano, cui era stato fatto il ratto p p o , preso da q u e ll’ istessa gioia del compagno, com inciò a saltare a lungo, in giro, n ell’erb a; poi, cavò an ch ’ egli di tasca un fiorino d ’oro, e lo diede al sarto. E , anche ora, come nel giorno precedente, rito rn aro n o al castello de’ nani; a- scesero la scala a chiocciola; a ttrav ersaro n o quelle sale divenute vuote; e F ilip p o si mise a giacere nella sua conchiglia, e si addorm entò u n ’a ltra volta al suono delle arpe.

I l sim igliante toccò al sarto n ella terza, q u a rta e q u in ta notte. E g li, ogni volta, si m etteva d a v a n ti, nel bosco, uno degli gnomi ; e, con la m assim a diligenza, g li ra tto p p a v a insieme pelle, fodera ed ab ito ; ne riceveva il suo fiorino d ’oro, e si rassegnava al suo tris te destino, (poiché la cosa non poteva an d ar diversam ente) di es­ sere, nel vero senso della parola, il sarto dei nani, e di non p o te r p iù to rn a re fra i suoi ! Soltanto, in questa n o t­ tu rn a v isita nel bosco di abeti, g li parve cosa singolare che l ’ inverno di qu est’anno si fosse così rapidam ente in o ltrato . Grià nella terza notte, in fa tti, faceva un freddo così intenso, pel quale, senza il fuoco de’ nani, gli si sarebbero gelate le dita; e non era che ai^pena la fine di agosto, quando avea lasciato A quisgrana.

N ella q u a rta n o tte , poi, prestav a appena fede ai suoi occhi, quando vide che i ram i degli abeti, coperti di folta neve e mossi da un vento diaccio, m estam ente sospiravano; e così anche gli avvenne nella q u in ta e nella sesta notte, in cui si mise dinanzi l ’ultim o nano p er racconciarlo come g li a ltri.

E g li, oggi, cuciva con i>iù sollecitudine, p e r risc a l­ d arsi in quel freddo am biente, ed avea già com piuto il lavoro, quaudo poco era passato d alla m ezzanotte. A llo ra , come avea p ra tic ato con gli a ltri, licenziò il nano con un tenero scappellotto, e scorse, con sua grande m eraviglia,

(31)

che tutti e sei, rizzati in piedi, si davan le mani, e, con volto giulivo, danzavano a lui d ’ intorno una rid d a sel­ vaggia. Dopo alcu n i secondi, gli gnom i posarono; e colui al quale, p er il prim o, aveva fa tti i ra tto p p i, gli si avvicinò, aprì la bocca, e, p er la p rim a volta, gli rivolse le seguenti parole : « A ccogli, p er quan to ci hai prodigato, i nostri più cordiali e sin ceri rin g raziam en ti, e sappi quali im ­ portanti serv ig ii tu ci h ai resi.

Tu — am m irando il nostro castello e n ell’aspetto e nelle magnifiche sale abbandonate, sia la prim a volta sia al nostro rito rn o , d alla g aia gente dei nani — hai potuto comprendere che noi m eniam o v ita am ena e piacevole. D urante quel tem po, che voi, uom ini, chiam ate giorno, ed in cui 1’ astro m aggiore, il sole, con la sua luce in ­ sostenibile, quasi vi abbacina, noi dorm iam o, e, soltanto nel colmo della notte, si anim a il nostro castello, e pas­ siamo le più gioconde o r e , a llie ta ti da giuochi e da danze. Sappi, che noi a ltr i n an i abbiam o una tem pera ancor più ir r ita b ile di voi uom ini. E d avvenne, quindi, in una notte, che noi sei, nel castello di un re di nani stranieri, messo in b a ld o ria p e r danze e giuochi — a- vendo d im en ticata una delle nostre p rin c ip a li leggi : quella, cioè, di tacere a tempo debito,1) — venimmo con g li altri nani p rim a a contesa di parole, poi a fa tti di sangue. T u h ai visto q u ali fe rite ne riportam m o : e dovemmo soltanto re n d e r grazie a lla p rero g ativ a di una v ita m illenaria, se non v i soccombemmo. In o ltre, al ritorno, il nostro re ci im pose, p e r severo castigo, di restare, g ran temilo, lo n tan i dalle feste del gaio castello, e, d u ra n te le ore in cui g li a ltr i a b ita n ti di esso s’in tratten essero con giuochi e danze, starcene nel- l ’ oscuro bosco, finché non si fosse tro v ato un uomo, che, senza essere da noi rich iesto e senza profferire m otto di sorta, avesse, a modo vostro, risarcito i nostri ab iti

') Circa q u e sta m assim a, che 1’ au to re tedesco m ette quivi in bocca al nano, Cfr. Dota l a.

(32)

e le ferite. P e r acuire auchè p iù siffatta pena e tenerne p iù lontano il riscatto, non ci era nep p u re una volta concesso di ren d erci v isibili al cospetto di quelli uom ini, che, la notte, p e r avventura, potessero passare tr a noi; ma soltanto, nelle fasi lu n ari, potevam o, nel nostro stato compassionevole, lasciarci vedere, p e r im plorare, in p ro ­ fondo silenzio, aiu ti. T u rim a rra i atto n ito e sbigottito, se io accenno alla lunghezza del tem po, che quivi a b ­ biam o ind arn o aspettato. Sono trasco rsi orm ai p iù di cento anni, onde il nostro debito verso di te è im p a ­ gabile !

F ilip p o , atto n ito p er questo discorso del nano, sta- vasene mutolo, e non sapeva che cosa volesse dire. Q ue­ g li cavò fuori, di sotto il suo m an tello , la ben n ota coppa d ’ oro, e la porse a F ilip p o , c h e , dubbioso, 1’ ac­ cettò; ma, poi, p er la fiducia che avea riposta nei nani, subito vi bevve, vuotandola d ’ un sorso. Senti, allora, in tu tte le sue m em bra, una potente b ram a di distendersi, di allungarsi. Crebbe, così, a vista d ’occhio, in lunghezza e larghezza, e si avvide, con sua somma g io ia, che, in pochi m inuti, aveva ria c q u ista ta la sua p rim itiv a statu ra.

« P re n d i — proseguì a d ire il nano — i sei pezzi d ’ o r o , che n o i , in sei n o tti, ti abbiam o d a t i , come r i ­ com pensa del servizio che ci h ai reso. So, che, p e r voi uomini, non v ’ è niente che superi il lucido m etallo. P erò , fa in modo, che nessuno di questi pezzi d ’ oro sia speso da te; e chiu d ili tu tti in un forziere, dove tro v e ra i ogni v o lta il danaro necessario p e r le tue spese. T ram an d ali, p er ered ità, a ’ tuoi figli e nipoti, i quali, un giorno, po­ tra n n o averne anche m aggiori servigi; poiché esse, qu e­ ste monete, hanno una forza o ccu lta, p er la quale pos­ sono fru tta re , la p rim a volta, dopo alcune cen tin aia di anni. O ra sta s a n o , e bada a ll’ aurea regola : « taci a

tempo debito », che, tra scu rata , ci apportò sventura, e alla

quale neppure tu, in p ratica, sem bri di essere stato os­ sequente. »

(33)

cinque g n o m i, porse la mano al sarto rim asto lì in ­ tontito; e, poscia, in un attim o, tu tti e sei disparvero. I n questo momento, il prim o raggio del sole m attu tin o si riverberava su p e’ m o n ti, dando luccichio alla neve, che giaceva sul suolo e che penzolava da’ ram i degli abeti. O ra , p e r la p rim a v o lta , divenne ch iaro , p er l ’ avventuroso F ilip p o , come m ai egli, d’ improvviso, in sei notti, fosse stato tra sp o rta to d all’ estate nel cuore d e ll’ inverno; poiché, siccome i nani potevano soltanto, di mese in mese, lasciarsi vedere da lui, così lo aveano, in quel frattem po, ra tte n u to , con un incantesim o, che 10 lasciava d o rm ire ogni v o lta un mese intero.

Si era in F e b b r a io , e faceva abbastanza freddo. Filippo ebbe il vantaggio di poter, ora, ritro v are la via, che menava fuori del bosco di abeti, poiché dagli um ili arboscelli non penzolavano p iù foglie, che gli im pedissero la prospettiva. A ndavasene egli, vispo e a g ran d i passi, ed esultava, grid an d o solo p e r la g io ia , quando gli si presentò allo sguardo, fu o ri della valle, la maestosa c a t­ tedrale dell’ im p erato re C arlo. Subito, come ebbe ra g ­ giunte le m ura d ella c ittà , attrav ersò , frettoloso, le vie, movendo verso la casa di m astro G aspare.

Costui, in tan to , si p en tiv a della sua severità verso 11 nipote; ed egli e R osa piangevano a calde lagrim e, quando F ilip p o , vestito di a b iti laceri, si precipitò nella camera. Ma grande fu la loro m erav ig lia e la loro gioia, vedendo che F ilip p o m etteva fu o ri d alla valigia sei m a­ gnifici e pesanti fiorini d ’oro e li faceva luccicare innanzi agli occhi del m aestro , m en tre raccontava delle strane vicende incoltegli. G aspare, p er una form alità, lo volle esperim entare ancora alcun poco, p er vedere se avesse m ai smesso l ’ab ito di c iarlare, e trovò, a ll’uopo, che F i ­ lippo era ta n to m igliorato, che g li potette, in breve tempo, affidar la clientela, e d a rg li in m atrim onio l ’avventurata Rosa.

Con 1’ an d are del tem po, non vi fu operaio p iù d i­ ligente e più assiduo di F ilip p o ; poiché, se, talvolta, era

(34)

tr a tto a lev ar gli occhi dal lavoro e a cicalare, sentiva, subito, un lieve pizzicore a ll’orecchio e una leggera pu n ­ tu ra nella m an o ; la qual cosa, poi, del re s to , a poco a p o c o , andò scomparendo. L a profezia del nano si av­ verò, ed i fiorini d ’oro, che furono chiusi in uno spe­ ciale fo rz ie re , fornivano prontam ente, in ogni benché menoma occasione, il danaro necessario : e, così, non tocchi, rim asero in possesso della fam ig lia !

(35)

LA SCOVERTA D E L L ’AMERICA ‘j

E ra di venerdì, ai 3 di agosto dell’ anno 1492, quando Colombo s’im barcò, un poco p rim a del levar del sole, in presenza di una m o ltitu d in e di sp ettato ri, che innalza­ vano, lassù, nel cielo, le loro p reg h iere, invocando un prospero successo pel viaggio, p iù che m ai ansiosamente aspettato.

11 ligure ard ito mosse d ire tta m e n te p er l ’ isola C a­ naria, e giunse colà, senza alcun incidente degno di nota. Ma, per un viaggio ta n to asp ettato e di siffatta im por­ tanza, ogni co n g iu n tu ra era oggetto di attenzione.

Come più si procedeva , le indicazioni dell’ avvici­ narsi di un luogo aum entavano la certezza, ed eccitavano m aggiorm ente le speranze. G li uccelli com inciavano ad apparire a storm i, dirigendosi verso libeccio. Colombo, a imitazione de’ n a v ig ato ri portoghesi che, in parecchie loro scoverte, aveano avuto p e r guida gli uccelli, can­ giò il suo corso da ponente verso il luogo dove quelli puntavano il volo. M a , trasco rsi parecchi giorni in questa nuova direzione, senza successi m igliori di prim a e senza aver visto altro , d u ra n te tre g io r n i, che m are e cielo , le speranze dei com pagni scemarono più ce- lerem ente di quanto si eran p rim a sollevate e la loro p au ra si accresceva sem pre p iù ; l ’ im pazienza, la

rab-*) Dal « The discovery o f A m erica » di W illiam R obertson (1721-93), da cui ho to lto il p re se n te r a c c o n to , pubblicato 1’ anno 1777.

(36)

b i a , la d isp erazio n e, apparivano in ogni volto. Ogni sentim ento di subordinazione si era perduto. G li uf­ ficiali , che finora aveano p arteg g iato p er C o lo m b o , e aveano to lle ra ta la sua a u to rità, ora abbracciarono il p a rtito de’m arin ari, i quali, assem brati tum ultuosam ente sul ponte, esposero i loro p ia ti al c o m an d a n te , e , ag­ giungendo alle recrim inazioni le m inacce, g li chiesero che, in su ll’ istante, si virasse di bordo e si facesse r i ­ torno in E uropa. Colombo si accorse che a nu lla sa­ rebbe giovato rico rrere a uno di quei mezzi, che, così spesso s p e rim e n ta ti, aveano p e rd u ta ogni efficacia ; e capì che era orm ai im possibile riaccendere alcun po’ di zelo pel buon successo della spedizione, fra i m a rin a ri, nel cui anim o la p au ra avea spento ogni sentim ento generoso. E g li intendeva che era opportuno ad o p erar modi g e n tili, p iuttosto che p ren d ere m isure energiche p er rep rim ere un am m utinam ento così generale e così violento. E r a necessario , an zitu tto , b lan d ire p a ssio n i, che e g l i , in nessun m o d o , poteva più a lungo dom i­ n a re , e sottom ettersi a un to rre n te tro p p o im petuoso p er p o ter essere frenato. Fece solenne prom essa ai m a­ rin a ri, che avrebbe accondisceso alle loro richieste, p u r­ ché lo avessero accom pagnato e u b b id ito p er tre giorni ancora ; e, ove, d u ran te questo tem po, non si fosse sco­ v e rta alcuna te rra , abbandonerebbe l ’ im presa, e d iriz­ zerebbe il suo corso alla volta della Spagna.

I m arinai, che erano esasperati e insiem e im pazienti di volger lo sguardo verso la co ntrada nativa, pensarono che, in fondo, non era irragionevole la proposta ; nè Co­ lombo, d ’ a ltra p a r t e , fu m olto ardim entoso , n ell’ asse­ gnare a sé stesso uu periodo di tem po così breve. I p re ­ sagi della te rra da scovrirsi erano adesso così innum ere­ voli e p rom ettenti, che egli sembrò loro infallibile. Da alcuui giorni lo scandaglio toccava il fondo, e la m elm a che ne veniva tra s p o rta ta f u o r i, indicava che la te rra non era m olto distante. G li storm i d ’ uccelli aum enta­ vano di num ero ; ed erano non soltanto uccelli m a rin i,

(37)

m a anche t e r r e s t r i , de’ qu ali si doveva supporre che volassero non lungi d a lla spiaggia. L a ciurm a della

P inta *) osservò una canna galleg g ian te, che sem brava

essere stata di fresco re c isa , e un pezzo di legname in ­ tagliato artificialm ente. I m a rin a ri, a bordo della Nigna 2), pigliavano bellam ente il fresco presso ram i di un albero dalle bacche rosse. L e nu b i a tto rn o al sole che tram on­ ta v a , assunsero un nuovo a sp e tto ; l ’ a ria era m olto più m ite e calda e , d u ra n te la n o tte , cominciò il vento ad essere ineguale e v ariab ile. P e r t u tti questi indizi, Co­ lombo era fiducioso, che, di lì a non molto, si sarebbe raggiunta la t e r r a ; d i guisa che, nella sera dell’ 11 di ottobre, dopo av er fa tte p u b b lich e p reg h iere pel successo, ordinò ai m a rin a i di am m ainare le vele e di ferm are i bastim enti ; quelli ten n ero una rigorosa sorveglianza, te ­ mendo di d are in secco d u ran te la notte. M entre gli a- nim i erano sospesi ed in asp ettativ a, nessuno chiuse gli occhi; tutti, rim asti sul ponte, volgevano attentam ente lo sguardo verso quel lato, di dove aspettavano lo sco­ prim ento della te rra , che era stato, da gran tempo, l ’og­ getto del loro desiderio.

Circa due ore p rim a della m ezzan o tte, C olom bo, stando sul castello d i p ru a, scorse, in lontananza, un ba­ gliore, e, in segreto, a v v ertì di ciò D. P ie tro Gruttierez 3), un paggio del g u ard aro b a d ella regina. A nche Gruttierez vide quel bagliore, e l ’ indicò a Saliceto, controlloro della flotta; tu tti e tre lo videro in movimento, come se, p er così dire, corresse celerm ente da un posto al- 1’ altro. Poco dopo la m ezzanotte, il sonoro giubilante grido d i: « Terra! Terra! » fu udito dalla P in ta , e , p o s c ia , si propagò alle a ltre navi. Ma, già più volte

*) Nome di u n a delle q u a ttro caravelle, con cui Colombo s’ avven­ tu rò a lla m aravigliosa scoperta.

2) U n ’ altra di d e tte n av i.

3) D al nomo di costui e di Colombo s ’ in tito la uno dei dialoghi del Leopardi.

(38)

in g an n ati da fallaci apparenze, ognuno adesso era p iù restìo a cred ere, e tu tti insieme, pieni di angoscia, in ­ certi , im p a z ie n ti, aspettavano il rito rn o del nuovo dì. A ppena spuntò il m a ttin o , sparvero t u tti i dubbi ed i tim ori; da ogni nave fu veduta, circa due leghe verso il S e tte n trio n e , u n ’ is o la , i cui estesi e verdeggianti cam pi, ben provvisti di boschi e irrig a ti da parecchi ruscelletti, offrivano 1’ aspetto di una deliziosa contrada. L a ciurm a della Pinta intuonò, in sull’ istante, il Te Deum, come un inno di ringraziam ento a Dio; e ciò fu im itato da quelli che eran sulle a ltre navi, con lagrim e di gioia e con tra sp o rti di congratulazioni. A questo debito di g ra titu d in e verso il cielo, seguì un atto di giustizia verso il loro com andante. Si g ittaro n o ai piedi di Colombo, con sincero pentim ento e con risp e tto ; im plorarono da lui che perdonasse alla loro ignoranza, alla loro in cred u lità ed insolenza, onde gli aveano procacciate non poche ed in u ­ tili inquietudini, così spesso distogliendolo dal proseguire nel suo disegno tan to bellam ente concepito; e, nel calore della loro am m irazione, passando da un estrem o a ll’altro, considerarono l’ uomo, che aveano dianzi o ltrag g iato e fatto segno alle m inacce, come un personaggio isp irato dal Cielo, e fornito di sagacia e di forza sovrum ana, nel re care a com pim ento un disegno che superava di g ran lunga, p er la idea e la concezione, tu tti quelli delle età

precedenti.

A ppena si levò il sole, tu tti i b a tte lli veunero fo r­ n iti di uom ini e di arm i. I m arin aj rem avano verso q u ell’ isola, con bandiere spiegate, con m usica g u erriera e a ltre pompe m arziali. N ell’ avvicinarsi alla spiaggia, la videro riboccante di p o p o lo , che la novità dello spet­ tacolo avea colà a ttira to e raccolto ; e i gesti e g li a t­ teggiam enti degli accorsi esprim evano m eraviglia e stu ­ p ore p er gli stran i asp etti che si offrivano a l loro sguardo. Colombo era il prim o E u ro p e o , che m etteva piede nel nuovo mondo da lui scoperto. E vi sbarcò ve­ stito di ricch i a b i t i , e con la spada nuda nella mano.

(39)

Seguivanlo i suoi m a rin a ri, che, messisi tu tti ginocchioni, umilmente baciavano la te rra , che, da gran tempo, ave- van desiderato di vedere. In d i, eretto un crocifisso, gli si prostrarono innanzi, e resero un’ a ltra volta grazie a D io, per av erli g u id a ti nel m enare a term ine il loro viaggio con una così p ro sp era riuscita. P o s c ia , presero solennemente possesso della contrada, p er la corona del regno di C astig lia e del Leone, con tu tte le form alità che i Portoghesi eran so liti di osservare in sim ili rin ­ contri, p er le loro nuove scoperte.

Gli Spagnuoli, m en tre così facevano, furono cir- condati da p arecch i degli indigeni, i quali guardavano, silenziosi e com presi d ’ a m m ira z io n e , per a tti che essi non potevano p e r n u lla intendere, e di cui non potevano prevedere le conseguenze. L ’ abbigliam ento degli S p a­ gnuoli, la bianchezza della loro pelle, le loro b a rb e , le loro a rm i, ap p ariv an o stran e e sorprendenti. L e vaste macchine , in cui avevauo essi attra v ersa to 1’ oceano e che parevano m uoversi sovra le acque p er v irtù di ali, e che producevano un te rrib ile rim bom bo, accom pagnato da lampi e da fumo, li a tte rriro n o talm ente che com in­ ciarono ad aver risp e tto pe’ loro nuovi ospiti, come per esseri d’uu ordine superiore, e conchiusero esser quelli figli del sole, discesi a v isita re la te rra .

G li E uropei erano non meno sorpresi alla scena che si parava loro dinanzi. E rb e, e arboscelli, e alb eri erano diversi da quelli che fioriscono in E uropa. I l suolo sem­ b rav a esser fertile, m a p resen tav a poche tracce di col­ tivazione. I l clim a perfino dag li S p a g n u o li, fu trovato caldo, ma assai delizioso.

G li indigeni si m ostravano, n ella semplice innocenza di natura, in tie ra m e n te ignudi. I loro capelli neri, lunghi e ricci, ondeggiavano sui loro om eri, o erano lig ati a trecce sulle loro teste. N on avevano barba, e ogni p arte del loro corpo era p erfettam en te liscia. L a loro carn a­ gione era d i un colore di ram e scuro, i loro lineam enti singolari piu tto sto che sgradevoli, il loro aspetto m an­

Riferimenti

Documenti correlati

Professoressa associata di Igiene generale e applicata, Università degli Studi di Udine. Alimentazione

Nei vari campi riconducibili ai servizi domestici ed alle persone stanno nascendo rapporti di lavoro individuali che occupano giovani a condizioni di lavoro e

24 BWI: Guida pratica sulla salute e la sicurezza per i sindacati durante la pandemia di COVID-19, 2020, Internazionale dei lavoratori dell’edilizia e del legno, disponibile

La malattia di Wolman e la malattia da accumulo degli esteri del colesterolo (CESD) sono due rare malattie geneti- che caratterizzate da un continuum clinico dovuto

La malattia di Wolman e la malattia da accumulo degli esteri del colesterolo (CESD) sono due rare malattie geneti- che caratterizzate da un continuum clinico dovuto

Le azioni richieste sono varie e attingono al repertorio di azioni alla loro portata: trasportare contenitori, prendere oggetti da scatole, posizionare oggetti in

in questo caso, dalla tensione della corda e dalla sua densità lineare:. Perturbazione = cambiamento

essere, si scrive con l’accento (È); l’accento serve a distinguere il verbo essere dalla parola E che, come ricorderai, serve a unire parole o frasi.. PASSATO 1 PRESENTE