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Italia-Dati generali  doc

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Academic year: 2021

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L'aspetto fisico dell'Italia

L'Italia è una repubblica, costituitasi nel 1946 e succeduta alla monarchia ereditaria di casa Savoia. Politicamente e giuridicamente è rappresentata da un Capo dello stato, eletto dal Parlamento.

Amministrativamente è divisa in 20 regioni.

Il suo territorio naturale è caratterizzato dalla catena montuosa delle Alpi, che segna il confine settentrionale, e dalla catena degli Appennini, che la attraversa in senso longitudinale. La pianura più estesa è la pianura Padana, mentre il corso d'acqua di maggiore lunghezza e portata è il Po. Il coefficiente di accrescimento annuo della popolazione, nel periodo tra il 1988 e il 1993, si è attestato sullo 0,1% annuo. Significativo, soprattutto, è il flusso migratorio proveniente dall'Europa orientale e dall'Africa settentrionale: al dicembre 1992 erano presenti in Italia oltre un milione di immigrati.

Localizzazione e confini

L'Italia, localizzata nell'Europa meridionale, in gran parte protesa nel mare Mediterraneo, presenta lineamenti naturali facilmente rintracciabili.

A nord generalmente si fa coincidere il confine naturale con la linea dello spartiacque della catena delle Alpi, che si snoda lungo 1610 km, partendo a est dal monte Clapier, nelle vicinanze di Nizza, e finendo a ovest al passo di Vrata, in prossimità della città di Fiume.

Un limite naturale che a tratti è ben definito e a tratti invece più incerto, come per esempio agli estremi occidentali e orientali, dove la natura del terreno crea spazi di discontinuità.

Decisi e indiscutibili invece sono i confini marittimi, essendo l'Italia bagnata su tre versanti, rispettivamente occidentale, meridionale e orientale, dal mare Mediterraneo, con una linea di costa che si estende per oltre 7500 km.

Con la sua caratteristica forma a stivale, così lunga e stretta, l'Italia si estende da nord a sud per circa 1200 chilometri.

Nelle alpi Aurine, in Alto Adige, si trova la massima estremità settentrionale, costituita dalla Vetta d'Italia, mentre la punta più meridionale corrisponde all'isola di Lampedusa, a sud della Sicilia. Il punto più occidentale è Roche Bernaude, nelle Alpi Cozie, in Piemonte, e quello più orientale è Capo Otranto, in Puglia, quasi all'estremità del tacco.

Così definita, la regione fisica italiana si estende all'incirca dal 35° al 47° parallelo nord e dal 6° al 18° meridiano est: è quindi interamente situata nella zona temperata dell'emisfero Nord, ed è proprio attraversata, in prossimità del Po, dal 45° parallelo che costituisce la linea equidistante tra il polo Nord e l'equatore.

Tre grandi regioni fisiche

Dal punto di vista fisico, il territorio italiano può essere diviso in tre grandi regioni: quella continentale, che corrisponde al territorio posto a nord di un'immaginaria linea che collega La Spezia a Rimini; quella peninsulare, che costituisce lo stivale vero e proprio; la regione insulare, che oltre alla Sicilia e alla Sardegna comprende numerose piccole e medie isole e arcipelaghi. Su questa particolare struttura fisica si estende un territorio accidentato e irregolare, composto prevalentemente da rilievi di varia altitudine, interrotti da spazi, vallivi ed estensioni pianeggianti di varie grandezze, frutto dell'evoluzione geologica dell'Italia, che nel corso di milioni di anni ne ha modellato le forme fino ad arrivare a delineare la fisionomia attuale del paese.

La conformazione geologica

L'Italia come ci appare oggi, con le sue forme, i suoi rilievi e le sue acque, si è formata in epoche geologiche relativamente recenti. Se si considera che la nascita della Terra si fa risalire a 5 miliardi di anni fa, che i primi lembi dell'Italia sono emersi nell'era primaria (da 570 a 225 milioni di anni fa), ma che solo in epoca terziaria (da 70 a 2 milioni di anni fa) si delinea l'ossatura principale,

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allora si può capire come mai i geologi quando parlano della nostra penisola la definiscono come una terra giovane.

La genesi dell'Italia va dunque inserita nell'epoca terziaria, all'interno di quelle complesse vicende geologiche che portarono alla vistosa deriva delle zolle verso la loro posizione attuale e alla orogenesi alpina, cioè alla nascita delle Alpi. È infatti nell'Eocene, un sottoperiodo dell'era terziaria, che si avvia il processo di sollevamento della catena alpina e di parte di quella appenninica, con i movimenti di ripiegamento, rovesciamento e scorrimento delle zolle che sono continuati nelle epoche successive e che d'altra parte, come dimostrano i fenomeni sismici e vulcanici che interessano ancora oggi l'Italia, non si possono considerare del tutto conclusi.

Nel Miocene, sul finire dell'era terziaria, si assiste al sollevamento di grandi massicci calcarei, dal Gran Sasso alla Sicilia, e nel Pliocene, l'ultimo sottoperiodo del Terziario, si individua precisamente già il mare Mediterraneo con una configurazione simile a quella attuale, inclusa una forma di mare Adriatico, e si assiste a nuovi sollevamenti che portano a considerevole altezza numerosi sedimenti marini, come arenarie, marne e conglomerati.

La fine del Pliocene è caratterizzata da una diminuzione della temperatura che segna l'inizio dell'era delle grandi espansioni glaciali: il Quaternario.

Questa fu un'era di forti cambiamenti, nella quale lunghi periodi particolarmente freddi, le glaciazioni, si alternarono a periodi più miti, le interglaciazioni. Nei primi i ghiacciai estesero ampiamente la loro superficie, grandi quantità di acque furono immobilizzate sotto forma di ghiaccio e il livello del mare si abbassò; nei secondi, invece, i ghiacci si ritirarono modellando il territorio che avevano ricoperto e innalzando di molti metri il livello delle acque. Quattro sembrano le fasi di massima espansione glaciale, Gunz, Mindel, Riss e Würm, nomi derivati da altrettante località della Baviera dove all'inizio del secolo alcuni geologi studiarono le composizioni moreniche, tracce degli antichi ghiacciai. A queste quattro glaciazioni se ne è aggiunta una quinta, quella di Donau, più antica delle precedenti, il cui nome deriva dal fiume Danubio, in prossimità del quale sono stati trovati i segni inequivocabili di quegli antichi movimenti geologici.

Le tracce delle glaciazioni sono ancora oggi ben visibili anche sul territorio della penisola italiana e caratterizzano gran parte delle forme. Durante il periodo würmiano il limite delle nevi perenni sembra corresse nelle zone alpine a una quota inferiore di 1200 metri a quella attuale; solo le vette più alte emergevano dalla coltre di ghiaccio che, con lunghe colate dello spessore di centinaia di metri, confluenti spesso in un'unica possente lingua, si espandeva in grandi placche nella pianura. Quando il ghiaccio si sciolse, l'enorme massa di acqua che confluì nei mari portò con sé grandi quantità di detriti modificando le forme del terreno.

A testimonianza di queste antiche trasformazioni troviamo nell'Italia settentrionale i circhi, grosse conche nei quali si depositava il ghiaccio, spesso distribuiti in gradinate, ampie valli a forma di "U", pareti rocciose arrotondate e striate e grandi accumuli di detriti, le morene. Dove i detriti hanno dato vita a colline di forma allungata si parla di morene laterali; dove, al contrario, in corrispondenza delle fronti dei ghiacciai, si sono create forme arcuate, si parla di anfiteatri morenici.

All'escavazione delle valli e alla formazione degli anfiteatri morenici si deve la nascita di tutti i nostri laghi prealpini: il lago Maggiore, il lago di Como, il lago di Iseo e il lago di Garda.

L'Italia appenninica è stata meno interessata dal fenomeno delle glaciazioni quaternarie, soprattutto a causa della minore latitudine e della contenuta altitudine del rilievo. In questa zona, al contrario, si sono formati grandi bacini lacustri, come quelli della Garfagnana, dell'Ombrone, di Sulmona o del Fucino che si sono via via prosciugati.

L'Italia dopo le glaciazioni

Circa 15 000 anni fa, al termine delle glaciazioni, l'Italia assunse una forma più o meno simile a quella attuale, con i rilievi e le pianure localizzati dove li troviamo oggi; l'unica differenza sostanziale riguarda la linea di costa, che era molto più arretrata rispetto a quella che possiamo osservare oggi.

Infatti, nel corso di queste migliaia di anni i fiumi, con la loro azione di trasporto, e i mari, con l'azione di deposito di detriti, hanno fatto avanzare le coste italiane, espandendo così le zone di

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pianura che bordano attualmente la penisola; in particolare è avanzata la pianura Padana, che prima era interamente ricoperta da acque marine.

I vulcani

Alla formazione del territorio italiano ha contribuito in maniera rilevante anche l'attività vulcanica. Lungo la costa tirrenica l'Italia presenta un discreto allineamento di vulcani, a partire dal monte Amiata in Toscana fino a scendere in Campania, dove si trova il vulcano estinto di Roccamonfina e quello tuttora quiescente del Vesuvio. Più nell'interno del territorio, vicino a Potenza, si erge il Vulture, e in Sicilia il grande cono dell'Etna, tuttora attivo, mentre in mare si innalzano numerose isole vulcaniche, come Ischia, Ponza, le Eolie, Ustica, Linosa e Pantelleria.

La maggior parte di questi vulcani risulta ormai estinta, ma ha lasciato forti tracce nel territorio, di cui i laghi di Bolsena, di Vico, di Bracciano, di Albano e di Nemi rappresentano una testimonianza. Segno di un passato vulcanico è anche, oltre naturalmente ai rilievi dalla tipica forma a cono, il tipo di suolo che ricopre queste zone: in prossimità del vulcano Sabatino (Bracciano) si trovano per esempio grandi accumuli di tufi (rocce derivanti da ceneri e lapilli).

I rischi sismici

Per la sua storia e la sua conformazione, l'Italia ha delle regioni a rischio di eventi sismici. Recenti studi hanno elaborato una previsione in base alla quale, in capo a qualche migliaio di anni, la conformazione che l'Italia andrà ad assumere sarà quella di una penisola leggermente più allungata di ora e un poco più protesa verso oriente.

Morfologia dell'Italia

Il rilievo

Certamente non si può dire che il territorio italiano presenti paesaggi monotoni e uniformi. Sia per la sua storia geologica, sia per la forma allungata che la estende in latitudine, o ancora per la varietà di climi, la nostra penisola si apre agli occhi con una grande ricchezza di panorami; paesaggi che fra l'altro da molti secoli non sono più solo prodotto della natura, ma sovrapposizione di elementi fisici e di continue modifiche portate dall'uomo.

Grosso modo si è soliti comunque individuare tre unità morfologiche: la montagna, che copre il 35,2% del territorio, la collina, che si estende per il 41,6%, e la pianura, che occupa il restante 23,2%.

Un territorio prevalentemente montuoso e collinare, dunque, che con il suo alternarsi di pendii, valli e vette contribuisce a rendere di grande varietà i quadri paesaggistici italiani.

La montagna comprende due ampie catene: le Alpi, che uniscono l'Italia al continente europeo, e gli Appennini, che corrono lungo tutta la penisola costituendone l'ossatura principale.

Le Alpi

Le Alpi sono il maggiore sistema montuoso d'Europa e, oltre che in Italia, si estendono in Francia, in Svizzera, in Germania, in Austria e in Slovenia.

Il versante italiano, che si estende con una caratteristica forma ad arco per circa 1200 km, si eleva dal passo di Cadibona in Liguria al passo di Vrata, in Slovenia. Tradizionalmente si usa suddividere le Alpi in tre ripartizioni: quelle occidentali, che comprendono le Alpi Liguri, Marittime, Cozie, Graie e Pennine fino al Sempione, quelle centrali, che includono Lepontine, Retiche, Orobie e i gruppi dell'Adamello-Presanella e dell'Ortles-Cevedale, e quelle orientali, costituite dalle Alpi Atesine, Carniche e Giulie. Le forme dei rilievi e le stesse altitudini si modificano nei vari tratti della catena. Particolarmente elevate, ripide e strette verso ovest, le Alpi si fanno più ampie e meno brusche via via che si procede verso est, dove in Lombardia e in Veneto sono accompagnate da un sistema di Prealpi.

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Differenze rilevanti si notano anche tra il versante interno italiano e quello esterno, appartenente agli altri stati europei, risultando quello italiano generalmente più scosceso, mentre quello esterno molto più ampio e dolcemente digradante verso la pianura. Anche la natura della roccia non è sempre la stessa: nella parte mediana della catena si trovano rocce cristalline, mentre nelle parti laterali rocce calcaree.

L'altra grande catena montuosa dell'Italia è l'Appennino, che si allunga per 1350 km dalla Liguria fino alla Sicilia, superando lo stretto di Messina. Diverso è invece, per origine geologica, il rilievo sardo, che costituisce la più antica formazione rocciosa d'Italia.

Gli Appennini

Meno elevati delle Alpi, gli Appennini superano raramente i 2000 metri e sfiorano i 3000 solo nel caso del Gran Sasso; presentano forme più dolci e arrotondate a causa delle formazioni rocciose, prevalentemente argille e calcari, che risultano molto più soggette all'azione erosiva degli agenti atmosferici.

Dagli Appennini si individuano due versanti: quello esterno, che si affaccia sulla pianura Padana e sull'Adriatico, e quello interno, ligure e tirrenico. Il primo si presenta più morbido e dolce, con lo spartiacque collocato a una certa distanza dalla pianura, e quindi con un digradare più lento. Il secondo è invece più brusco; in alcuni tratti (Liguria e Calabria) corre in prossimità della linea costiera formando ripidi pendii, mentre in altri si allontana dal mare lasciando spazio all'Antiappennino, una serie di rilievi più modesti decisamente separati dal corpo principale dell'Appennino.

Come le Alpi, anche gli Appennini vengono suddivisi in tre sezioni: si riconosce un Appennino settentrionale, limitato dalla val Tiberina e da quella del Metauro (Appennino Ligure e Tosco-Emiliano), un Appennino centrale, che normalmente si fa chiudere con l'Alto Sangro e con il Volturno (Appennino Umbro-Marchigiano e Abruzzese), e infine un Appennino meridionale, che si conclude con le Madonie (Appennino Campano, Lucano, Calabro e Siculo).

Un paesaggio collinare

Gran parte del territorio italiano, però, più che da montagne è coperto da colline, rilievi di scarsa altitudine (dai 200 ai 600 metri sul livello del mare) che accompagnano la penisola in tutta la sua lunghezza. Ne troviamo una prima estensione nell'Italia settentrionale, le colline subalpine, dove si susseguono rilievi di diversa origine: depositi sedimentari come le Langhe, il Monferrato o i monti Berici, anfiteatri morenici, come il Canavese o la Brianza, e coni vulcanici, come i monti Euganei. Nell'Italia centrale la collina diventa il paesaggio dominante. Si tratta del cosiddetto Antiappennino, al quale si è già accennato, che si apre sia sul versante tirrenico sia su quello adriatico. Il primo, che si estende in Toscana, Umbria, Lazio e Campania, include le colline Metallifere, i monti Volsini, i monti Cimini, i monti Sabatini, i colli Albani, i monti Ausoni e infine il cono del Vesuvio. Pur essendo spesso denominati con il termine "monti", si tratta di rilievi collinari, in genere disposti in gruppi isolati, separati dagli Appennini da valli percorse da fiumi.

Il versante adriatico, invece, vede snodarsi dall'Emilia al Molise una serie abbastanza regolare e uniforme di colline, il Preappennino, che si conclude con un sistema separato, quello delle Murge, un altopiano di origine calcarea, che si eleva a gradoni talvolta interrotti da avvallamenti. Il paesaggio collinare domina anche nelle due grandi isole italiane, la Sicilia e la Sardegna, dove si estende per numerosi chilometri.

Le pianure

La descrizione del rilievo italiano si conclude con la pianura, che in Italia non è molto ampia ma riveste un ruolo fondamentale perché concentra la maggior parte degli insediamenti e delle attività economiche. La massima estensione pianeggiante è quella padano-veneta, che si protende per circa 42 000 kmq lungo l'asse del Po fino al mare Adriatico. Formatasi in seguito all'accumulo in mare di enormi quantità di detriti trasportati dai fiumi alpini e appenninici, continua ad ampliarsi ancora oggi, tant'è che la linea di costa in corrispondenza del delta padano avanza ogni anno di qualche metro.

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Molto più ridotte sono invece tutte le altre pianure italiane, che si estendono per lo più lungo le coste e alla foce dei fiumi maggiori. Da nord verso sud, lungo il versante tirrenico, troviamo il Valdarno inferiore, la Maremma, l'Agro Pontino, l'Agro Romano, anch'esse di origine alluvionale, poi la pianura Campana, che si presenta molto fertile perché ai terreni alluvionali si sono unite le ceneri vulcaniche del Vesuvio, ricche di minerali.

Sul versante adriatico le pianure sono più rare, in quanto per un lungo tratto l'Appennino scende in prossimità della costa. La più ampia zona pianeggiante è il Tavoliere delle Puglie, che un tempo era un mare, riempitosi poi di detriti e microorganismi fino a sollevarsi e a emergere dalle acque.

Più a sud si estendono la pianura della penisola salentina, la piana di Metaponto, in Basilicata, e la piana di Sibari, in Calabria. In Sicilia troviamo la fertile piana di Catania, formatasi per le alluvioni del fiume Simento, ma ricoperta in seguito dalle ceneri dell'Etna, e in Sardegna la pianura del Campidano, che divide il massiccio del Gennargentu dai monti dell'Iglesiente, di grande fertilità.

L’Alta e la Bassa Pianura Padana

La Pianura padana, la maggiore estensione pianeggiante d'Italia, si presenta anche a un'analisi superficiale con paesaggi assai nettamente differenziati.

Tale varietà può essere attribuita sicuramente all'intervento trasformatore operato dall'uomo che l'ha resa parzialmente industrializzata, parzialmente urbana e parzialmente anche agricola, ma prima ancora è dovuta alla natura del terreno che si diversifica da zona a zona.

La fascia a ridosso dei rilievi alpini e appenninici è distinta dal nome di alta pianura. Si tratta di una zona a terreno permeabile, costituito nella più larga parte da materiale detritico grossolano come per esempio ghiaie e ciottoli.

Un terreno così composto può trattenere solo a fatica l'acqua ed è quindi difficile da irrigare e, di conseguenza, difficilmente sfruttabile ai fini della coltivazione e della produzione agricola.

Nelle zone agricole prevalgono colture asciutte come, appunto, il frumento, la vite, le piante da frutta, ma il paesaggio dominante è senz'altro quello urbano misto a quello industriale.

La bassa pianura, che si estende nella zona centrale, è invece costituita da un terreno più fine, compatto, meno permeabile, come l'argilla e la sabbia. È una zona molto ricca di acqua, sia in superficie sia nello spessore sotterraneo, dove prevalgono le colture irrigue. Al confine tra l'alta e la bassa pianura, infatti, si estende la linea delle risorgive, dette anche linea delle fontanili. L'acqua piovana che cade sui terreni permeabili dell'alta pianura penetra in profondità fintanto che non trova uno strato impermeabile di argilla. Seguendo questo strato scivola verso la bassa pianura dove riaffiora in superficie sotto forma di risorgive.

Quest'acqua ha la particolarità di mantenere una temperatura costante di 10-12 gradi centigradi anche durante l'inverno, quindi ha la prerogativa non trascurabile di non ghiacciarsi troppo facilmente nella stagione rigida. Proprio per questa sua non comune caratteristica conosce un ampissimo utilizzo per l'irrigazione delle risaie e delle altre colture che necessitano di un rifornimento idrico continuo in stagione fredda.

La rete idrografica

La rete idrografica italiana, se confrontata con quella di altri paesi europei, risulta di dimensioni abbastanza modeste; questo soprattutto a causa sia della particolare forma a stivale, così stretta e allungata, con l'Appennino che spesso corre in prossimità della costa, sia per il clima, che in gran parte della penisola è di tipo mediterraneo, quindi si presenta con lunghe estati calde e secche, tutti elementi, questi, che non favoriscono lo sviluppo di una vasta rete idrografica.

I fiumi

Rispetto alla loro origine i fiumi italiani possono essere suddivisi tra alpini e appenninici; rispetto alla foce si classificano invece come adriatici, ionici, tirrenici e liguri.

Il maggiore fiume italiano è il Po, che nasce dal Monviso e corre per 652 km lungo la pianura Padana, fino a sfociare con un ampio delta nel mare Adriatico. È un fiume con una portata abbastanza regolare in quanto è alimentato sia dalle acque dei ghiacciai e dei nevai alpini, che vi

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giungono attraverso i numerosi affluenti di sinistra, sia dalle piogge autunnali e primaverili, che gonfiano anche gli affluenti di destra provenienti dagli Appennini. Nel suo alto corso il fiume scorre rapido, compiendo una forte azione di erosione, in pianura poi la sua velocità diminuisce, e il fiume assume un aspetto sinuoso, fatto di ampie e lente curve. Nel tratto finale il Po si muove lentamente e deposita i detriti che ha raccolto nel suo lungo percorso; diventa allora un fiume pensile, che scorre cioè fra due alti argini sollevati rispetto alla pianura circostante. Infine vi è il delta, un paesaggio molto particolare costituito da cinque rami principali, Po di Maestra, Po della Pila, Po di Tolle, Po di Gnocca e Po di Gora, e da numerosi altri bracci minori. Nel suo corso il Po è alimentato da numerosi affluenti; tra quelli di sinistra i principali sono la Dora Baltea, il Ticino, l'Adda, l'Oglio e il Mincio, tra quelli di destra bisogna ricordare la Bormida, lo Scrivia, il Trebbia, il Taro e il Secchia.

L'Italia continentale è percorsa da altri fiumi di una certa rilevanza; nascono tutti dai rilievi alpini e sfociano nel mare Adriatico.

Tra i principali si annoverano l'Adige, il Brenta, il Piave e il Tagliamento, tutti nell'Italia del nord. Brevi, ripidi, spesso a carattere torrentizio sono invece i fiumi appenninici che scorrono nell'Italia peninsulare e insulare. Essendo alimentati prevalentemente dalle piogge piuttosto che dalle nevi e dai ghiacciai dell'alta montagna, presentano un regime irregolare, costituito da un'alternanza di periodi di piena con periodi di magra.

Un caso particolare è quello delle fiumare dell'Italia meridionale, corsi d'acqua a carattere torrentizio che nella maggior parte dell'anno risultano in secca.

Tra i fiumi appenninici che sfociano nel mare Adriatico i principali da ricordare sono il Reno, il Metauro, il Tronto, il Pescara, il Sangro e l'Ofanto; tra quelli tirrenici il Magra, l'Arno, il Cecina, l'Ombrone, il Tevere, il Garigliano, il Volturno e il Sele; tra quelli ionici sono invece da segnalare il Crati, il Basento, il Bradano e l'Agri e infine tra quelli insulari sono degni di menzione il Simeto, il Platani e il Salso, in Sicilia, il Tirso, il Flumendosa e il Coghinas, in Sardegna.

I laghi

Parlando di idrografia, non si possono trascurare i laghi che, pur in maggior parte di modeste dimensioni, in Italia sono piuttosto numerosi, oltre un centinaio. Se a quelli naturali si aggiungono poi i laghi artificiali, dovuti allo sbarramento di bracci di fiume per la creazione di serbatoi di acqua potabile o per la produzione di energia idroelettrica, il numero oltrepassa i trecento. I laghi vengono generalmente classificati in base alla loro origine.

Nell'Italia settentrionale prevalgono i laghi glaciali, a loro volta distinti in laghi di circo, laghi morenici e laghi vallivi. I primi sono laghetti alpini che occupano le nicchie di alimentazione di antichi ghiacciai; i secondi si sono formati a seguito dell'azione di sbarramento operata dalle morene; i terzi, infine, occupano i solchi che sono stati scavati dall'azione erosiva dell'era quaternaria.

Tra i laghi vallivi si annoverano i maggiori specchi lacustri italiani: il lago Maggiore, il lago di Lugano, il lago di Como, il lago d'Iseo e quello di Garda. Tutti alimentati da immissari provenienti dalle Alpi, scaricano le loro acque in fiumi emissari, dei quali spesso regolano la portata evitando il verificarsi di rovinose piene a valle. L'ampiezza di questi laghi vallivi costituisce un fattore di condizionamento del clima, che in queste zone risulta mite favorendo una vegetazione di tipo mediterraneo, con piante quali gli ulivi e gli agrumi.

Il maggiore lago dell'Italia peninsulare è il Trasimeno, che ha un'origine particolare: esso ha infatti riempito una conca che si è formata in seguito all'abbassamento della crosta terrestre.

Tra gli altri laghi italiani meritano di essere ricordati quelli di origine vulcanica, che sono concentrati in Lazio (Bolsena, Vico, Bracciano, Albano, Nemi) e che presentano una caratteristica forma circolare, occupando appunto il cratere di antichi vulcani; quelli originati dallo sbarramento di un corso d'acqua a opera di una frana, come il lago di Alleghe o di Levico, in Trentino; quelli carsici, che occupano delle cavità formate dall'azione dell'acqua piovana sui terreni calcarei; e infine quelli costieri, bacini di acqua salmastra separati dal mare da dune e da cordoni detritici. Tra i maggiori laghi costieri si ricordano, quelli di Varano, Lesina e Alimini in Puglia, quello di Burano in Toscana, quelli di Fondi, Fogliano e Sabaudia in Lazio, quelli d'Averno e di Fusero in Campania.

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Popolazione e territorio in Italia

Entità e dinamica della popolazione

Sono del 1861, subito dopo l'unità d'Italia, i primi dati censuari che riguardano lo stato italiano. Ai tempi la popolazione ammontava a 22 milioni di abitanti (entro i confini di allora) ed era caratterizzata da un'equa distribuzione tra maschi e femmine e da una struttura per età assai giovane: poco più della metà degli italiani non superava i 25 anni e gli anziani costituivano una percentuale esigua. La natalità era allora molto elevata (si raggiungeva quasi il 40%, vale a dire 40 nati ogni 100 abitanti), prossima a una fecondità naturale, perché praticamente non veniva effettuato alcun controllo delle nascite; le famiglie erano numerose, sia per l'elevato numero di figli sia per la loro struttura allargata, così che diverse generazioni vivevano sotto lo stesso tetto gestendo collettivamente i loro terreni.

Nell'Italia prevalentemente rurale di allora le condizioni di vita erano però difficili: l'alimentazione incompleta, le condizioni igieniche scarse, le conoscenze mediche lacunose causavano numerosi e precoci decessi. Alla fine del secolo scorso nel loro primo anno di vita morivano mediamente 170 bambini ogni 1000 nati e la durata media della vita umana si aggirava intorno ai 30 anni.

Da allora molte cose sono cambiate: nell'arco di un secolo l'Italia si è completamente trasformata dal punto di vista economico e sociale, diventando una delle maggiori potenze a livello mondiale. Parallelamente si sono modificati i modi di pensare, sono cambiate le esigenze e il paese ha acquisito un regime demografico moderno.

Tendenze demografiche attuali

Oggi la popolazione italiana, secondo il censimento del 1991, è costituita da circa 57 milioni di abitanti e ha cambiato la sua struttura per sesso e per età: prevalgono le donne, soprattutto oltre i 60 anni, ed è molto cresciuto il numero degli anziani, si conta infatti un ultrasessantacinquenne ogni sette residenti e un giovane (0-14 anni) ogni sei.

Nel corso del secolo la natalità è andata via via diminuendo, con bruschi cali nel periodo compreso tra i due conflitti mondiali e una discesa costante e rapidissima dal 1964 in avanti, anno apice del cosiddetto baby-boom, cioè di un periodo nel quale le nascite in Italia avevano ripreso la curva ascendente.

I dati del 1992 parlano di 562 000 nati, corrispondenti a una fecondità molto bassa, intorno a 1,2 figli per donna.

Sono scomparse le famiglie numerose di un tempo e tendenzialmente si contano uno o due figli per coppia. L'unione matrimoniale è più tardiva ed è posticipato anche il concepimento del primo figlio; la nascita di un bambino è diventata una scelta ragionata, condizionata dai modi e dai ritmi di vita di una società postindustriale, dove le donne lavorano, le esigenze delle famiglie sono diversificate e il costo di mantenimento di un figlio è elevato. Molti giovani oggi vanno a scuola fino a 18 anni e altri continuano gli studi universitari; fino all'età adulta non contribuiscono quindi al bilancio familiare ma necessitano di essere mantenuti in una società che fra l'altro induce numerosi bisogni e che soffre di mancanza di spazi.

La sussistenza economica inoltre non è più basata, come nell'Ottocento, su attività agricole, per cui tanti figli potevano garantire un aiuto nel lavoro dei campi, e le abitazioni non sono più costituite dalle grandi case rurali: oggi le città offrono piccoli appartamenti, molto costosi e con spazi esigui.

Stili di vita e conquiste medico-sanitarie

Nel corso del secolo oltre a cambiamenti nello stile di vita si sono registrate anche profonde trasformazioni in campo sanitario e medico che hanno portato a un forte abbassamento della mortalità; l'alimentazione è diventata molto varia, in alcuni casi addirittura troppo ricca e sproporzionata al reale fabbisogno calorico dell'individuo, l'educazione igienica si è diffusa grazie alla costruzione generalizzata di reti fognarie e acquedotti, ma soprattutto si sono avuti grandi progressi in campo scientifico.

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La scoperta degli antibiotici in grado di curare molte infezioni un tempo anche mortali, l'introduzione delle vaccinazioni che consentono di prevenire epidemie di gravissime proporzioni e lo sviluppo di tecniche chirurgiche per intervenire dove il farmaco non è in grado di risolvere il male hanno modificato il tasso di mortalità cosicché la durata della vita media si approssima agli 80 anni, soprattutto per il sesso femminile che risulta più longevo, e la mortalità infantile tocca livelli molto bassi (11,8 per 1000 nati nel 1991).

Le cause di morte sono cambiate e oggi sono più diffuse le malattie circolatorie e i tumori che si ascrivono in gran parte allo stress della vita quotidiana e alle condizioni ambientali minacciate dall'inquinamento. Per il traffico delle nostre strade sono diventati numerosi anche i decessi per incidenti e nuove patologie si affacciano alle soglie del 2000: l'Aids e l'Ebola, un virus mortale esploso nell'Africa centrale, e del quale si sa purtroppo ancora molto poco.

Dal quadro della natalità e della mortalità finora delineato emerge che la popolazione italiana presenta ormai una crescita zero, cioè il numero delle nascite e dei decessi più o meno si equivalgono. Se la tendenza attuale dovesse mantenersi nel tempo, il fenomeno si trasformerebbe in un calo di popolazione. A modificare la tendenza demografica attuale potrebbe però intervenire il movimento migratorio.

Come cambiano i costuni: lo sport

Tra gli indicatori sociali che testimoniano il cambiamento del modo di vivere degli italiani nell'ultimo ventennio senz'altro curioso e significativo è quello relativo alla pratica sportiva.

L'Italia compare nelle statistiche internazionali come uno dei massimi "consumatori di sport": si pensi per esempio che pubblica ben tre quotidiani specializzati su argomenti di carattere sportivo, dedica al tema numerose trasmissioni televisive in prima serata e nell'arco di tutta la settimana, ospita un campionato di calcio tra i più quotati del mondo, investe nello sport altissime somme di denaro, offre a un pubblico in rapida crescita (e in prevalenza anche molto giovane) una variegata e continuamente rinnovata gamma di possibilità di pratica.

Il calcio mantiene una posizione privilegiata tra gli sport praticati in Italia, ma ha perso dagli anni Ottanta il monopolio, fiancheggiato da numerose altre attività un tempo considerate elitarie.

Notevole per esempio è la pratica del tennis e dello sci che sono diventati sport di massa, ai quali i praticanti sono stati trascinati dalle vittorie internazionali di tanti campioni italiani e stimolati da un'offerta in continua crescita di prodotti industriali specifici.

In espansione sono anche le discipline definite ecologiche, come lo sci di fondo, il trekking o il jogging.

Accanto a queste si difendono anche le discipline sportive considerate "tradizionali", come il nuoto, e quelle di nuova introduzione come il free-climbing o il parapendio, che si rivolgono agli amanti del rischio e della sfida.

Tra tanta varietà di offerta l'italiano medio sembra orientarsi con una certa sicurezza; alla ricerca di uno stile di vita più sano, ma anche di una certa prestanza fisica da ostentare in pubblico, oltre il 25% della popolazione pratica sport e investe in questa attività una spesa procapite tra le più elevate d'Europa.

L'emigrazione

La storia delle migrazioni italiane è abbastanza articolata. Nei primi anni di vita nazionale, e per molti decenni a seguire, l'Italia non ha avuto uno sviluppo economico adeguato alla continua crescita della sua popolazione. In molte zone del paese si sono così create sacche di disoccupazione che hanno portato ampie fasce di popolazione a vivere in condizioni di miseria talvolta insopportabile.

Le alternative non erano molte e in luogo di una vita di stenti molti cercarono una via d'uscita nell'emigrazione. Se nell'ultimo quarto di secolo si potevano contare circa 100 000 partenze annue, all'inizio dell'attuale erano circa 500 000 e alla vigilia della prima guerra mondiale quasi 900 000. Le direzioni privilegiate erano oltreoceano: Stati Uniti, Canada, America meridionale.

Si trattò di un'emigrazione di massa, proveniente soprattutto dalle zone rurali e dalle regioni meridionali più povere ed economicamente arretrate, costituita da una popolazione maschile in

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larga misura analfabeta e senza alcuna qualifica professionale; le donne rimanevano a casa dove ricevevano le rimesse, cioè il denaro, dai loro uomini lontani. Solo alcune di loro in un secondo tempo raggiungevano i mariti per stabilirsi definitivamente in un altro paese.

Le migrazioni si interruppero durante il primo conflitto mondiale, ma ripresero subito dopo, nonostante i provvedimenti restrittivi di alcuni paesi come gli Stati Uniti, e si protrassero anche durante il ventennio fascista, pur in dimensioni più contenute.

Dopo la seconda guerra mondiale le migrazioni cambiarono direzione e i paesi oltreoceano non furono più l'unica meta perseguita: punti di arrivo furono le zone più ricche dell'Europa, in prevalenza Germania e Paesi Bassi, e le regioni più sviluppate d'Italia, quelle del triangolo industriale, cioè Lombardia, Piemonte e Liguria (migrazioni interne).

Negli anni Cinquanta l'Italia settentrionale ha vissuto il momento del cosiddetto miracolo economico: l'industria è fiorita creando centinaia e centinaia di posti di lavoro e negli anni a seguire si è sviluppato il settore terziario, anch'esso bisognoso di manodopera. Si è assistito così a un significativo spostamento di popolazione dal Sud, dal Centro e dal Nord-est verso il Nord-ovest e dalla montagna e la campagna verso la città.

L'immigrazione

Questo intenso flusso migratorio interno ed estero ha accompagnato la storia italiana fino a tutti gli anni Settanta, periodo nel quale ha incominciato ad affievolirsi sia a causa della crisi che ha investito le economie dei paesi europei di destinazione, sia per la saturazione delle città del nord Italia, sia infine per la crescita economica delle regioni dell'Italia centrale e orientale e di alcune circoscritte zone del Meridione.

Quello che invece si è avviato nel corso degli anni Ottanta e che per l'Italia è stato un fenomeno del tutto nuovo, è la forte immigrazione dai paesi in via di sviluppo. Nel 1971 si contavano in Italia 121 000 immigrati, nel 1991 il numero degli stranieri era aumentato fino a 781 000 e se a questi si somma l'immigrazione clandestina si raggiungono facilmente i 2 milioni di unità.

Il flusso migratorio è per lo più costituito da extracomunitari, vale a dire da stranieri provenienti da paesi esterni all'Unione economica europea (africani, asiatici, americani, europei dell'Est), in fuga dal loro paese per persecuzioni politiche o etniche, alla ricerca di condizioni economiche migliori. Alcuni immigrati hanno trovato lavoro nell'industria, nell'edilizia, nell'agricoltura, generalmente con mansioni faticose e dequalificate; le donne spesso sono occupate come baby-sitter o come aiuti domestici, ma molti sono privi di un'occupazione che permetta loro condizioni di vita più dignitose e meno deprivate.

Il crescente ingresso di immigrati ha fatto esplodere alcuni problemi di carattere economico e sociale, per l'Italia del tutto inediti. Il governo ha dovuto porsi il problema della regolamentazione dei flussi d'entrata e del blocco dell'immigrazione clandestina e ha dovuto affrontare i bisogni di base di queste persone: oltre al lavoro, la casa, la scuola per i loro figli, i servizi sanitari, l'assistenza sociale e, non ultima, la protezione contro atti di intolleranza razziale.

L'alto numero di immigrati, soprattutto nelle zone turistiche e nelle grandi città, ha fatto nascere in alcuni gruppi sociali un sentimento di xenofobia che talvolta purtroppo si è manifestato in azioni di persecuzione e violenza.

Distribuzione della popolazione

L'Italia è uno dei paesi d'Europa più densamente popolato, con un valore nel 1991 pari a 189 abitanti per kmq.

Alta densità non corrisponde però a distribuzione omogenea; sul territorio italiano si trovano aree ad altissima densità abitativa e zone con valori estremamente modesti. Ciò è dovuto alla conformazione del territorio e al diverso grado di sviluppo economico.

Basse densità, con valori inferiori ai 50 ab/kmq, si trovano in corrispondenza dei rilievi montani, alpini e appenninici, e in vaste zone della Sardegna.

L'altitudine, il clima e la conformazione accidentata del terreno scoraggiano l'insediamento in queste zone così poco agevoli ai fini delle comunicazioni e delle attività economiche.

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Unica eccezione è costituita dalle vallate più ampie, come quella dell'Adige, in Trentino-Alto Adige, e della Dora Baltea, in Valle d'Aosta, o da alcune conche intermontane dell'Appennino, come in Abruzzo. Basse densità si registrano anche in Maremma (Toscana), fino a non molti decenni fa occupata da una fascia paludosa, e nell'interno della Basilicata dove il terreno franoso e poco fertile non è adatto all'agricoltura.

Alte densità corrispondono invece alle zone di pianura e alle fasce costiere, dove per altro si estendono anche i maggiori centri urbani italiani.

I valori più elevati si registrano nelle aree di Torino, Milano, Genova, Venezia, Padova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo. Densamente abitata è tutta la pianura Padana, così fitta di attività economiche e di centri urbani, la costa ligure pressata alle spalle dalle montagne e gran parte di quella adriatica, dove si alternano centri turistici e attività industriali e commerciali, e infine il Valdarno, in Toscana, e la Penisola Salentina, in Puglia.

Nella graduatoria della densità per regione il primato va alla Campania, seguita dalla Lombardia, dalla Liguria e dal Lazio. I valori più bassi si registrano invece in Valle d'Aosta, Basilicata, Trentino-Alto Adige e Sardegna.

I centri urbani

La maggior parte della popolazione italiana viene oggi classificata come urbana. Sebbene questa denominazione acquisti accezioni diverse a seconda dei vari studiosi, tutti concordano nel dire che le zone urbane oggi superano di gran lunga per popolazione quelle rurali. Peraltro risulta difficile, in un paese come l'Italia, distinguere sempre con certezza il limite delle zone urbane da quello delle aree rurali, essendosi creato in molte parti della penisola un alternarsi quasi indistinto delle due zone.

Se si guarda il territorio italiano dall'alto questo inframmezzarsi di urbano e rurale appare molto evidente; si potrebbe paragonare a una rete, la rete urbana, i cui nodi sono le città, le maglie sono le strade, gli spazi vuoti la campagna. La rete diventa più fitta in alcune zone, più rada in altre, in corrispondenza del variare della conformazione fisica del terreno e del condensarsi delle attività economiche.

Alta densità urbana si registra nella pianura Padana dove si individuano due allineamenti di città, uno lungo la linea di separazione tra le Alpi e la pianura, a cominciare da Torino per proseguire verso Novara, Varese, Milano, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Verona e Vicenza, e l'altro che parte da Milano e si snoda lungo i piedi dell'Appennino passando per Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna e proseguendo poi verso la riviera adriatica fino ad Ancona. Tutta urbanizzata risulta la costa ligure, da Ventimiglia fino a La Spezia, attraverso il grande nodo portuale di Genova, e parte di quella Toscana fino a Livorno dove l'allineamento ligure si congiunge con quello che proviene dal Valdarno passando per Firenze-Prato.

La maglia urbana poi si fa più rada, e a mano a mano che si scende verso sud diminuiscono gli allineamenti a favore del prevalere di grossi nodi, come quelli di Roma, di Napoli, di Bari e di Palermo. Oltre alla presenza dell'Appennino, la diversa distribuzione urbana dell'Italia meridionale è dovuta a una differente evoluzione storica: la mancanza di una civiltà comunale sostituita dal susseguirsi di diverse dominazioni straniere privilegiò la crescita delle città capitali destinando il resto del territorio a uso agricolo e pastorale. Oltre all'emergere dei grossi centri urbani citati, nell'Italia meridionale troviamo due zone con una distribuzione abbastanza ampia e variegata di città: la Puglia e la Sicilia.

Lungo tutta la penisola tra le maglie della rete urbana rimangono ampi spazi decisamente rurali, che corrispondono a quelli montani, quelli più aridi o quelli con una maggiore vocazione agricola. L'insediamento rurale si presenta in due aspetti: accentrato, quando la popolazione è raccolta in centri abitati, e sparso, quando la popolazione vive in abitazioni isolate. Si trovano con facilità centri rurali nell'Italia meridionale, in corrispondenza delle zone agricole condotte a latifondo, mentre l'insediamento sparso è più diffuso e caratteristico delle zone un tempo condotte a mezzadria, come le colline toscane.

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Un'antica vocazione cittadina

L'urbano rimane comunque la peculiarità del territorio, considerando fra l'altro che l'Italia gode di un'antichissima tradizione cittadina.

Molte delle sue città, piccole e grandi, hanno un'origine antica che risale all'epoca romana o a quella medievale e che ancora si legge nella loro conformazione o nei profili architettonici. Alcuni di questi centri nel corso dei secoli, per la favorevole posizione geografica nella quale si trovavano, hanno goduto di un maggior sviluppo e sono diventati oggi grosse città, altri hanno invece mantenuto dimensioni modeste, pur essendo ancora vitali. Le città maggiori, come Milano, Roma, Napoli, Torino, Palermo, hanno costruito intorno a sé un'area metropolitana, cioè una zona densamente urbanizzata in cui si susseguono centri di medie e piccole dimensioni che gravitano per i servizi maggiori sul polo centrale.

L'influenza dell'area metropolitana va spesso al di là dei suoi confini per estendersi a livello regionale e talvolta anche nazionale. Nelle grandi metropoli si insediano infatti servizi importanti sia per le imprese (sedi centrali di banche, consulenze finanziarie, centri di ricerca ecc.) sia per il singolo (teatri, ospedali specializzati ecc.) così che il territorio è continuamente attraversato da flussi di merci, di mezzi e di persone.

Non mancano però nelle aree metropolitane gravi problemi ambientali e sociali, che vanno dal traffico caotico all'inquinamento, a episodi di violenza e solitudine. Le condizioni di vita non sono facili, e gli elevati costi degli appartamenti hanno incoraggiato un allontanamento dai grandi centri urbani a favore di zone tranquille ed economicamente più accessibili. Il comune di Milano per esempio nel decennio 1981-1991 ha perso ben 230 000 abitanti. Crescono, per contrasto, i comuni di medie dimensioni (dai 20 000 ai 100 000 abitanti), molti dei quali svolgono prevalentemente una funzione terziaria, offrono cioè servizi alla popolazione.

Le città dell'industria, del commercio, del turismo

Molte delle numerose città italiane si presentano inoltre con funzioni particolari essendosi specializzate in alcune particolari attività economiche.

Tra le città industriali primeggia Torino, che è cresciuta nell'ultimo secolo insieme alla Fiat e che ospita nel suo territorio, oltre alla grande impresa, anche una miriade di piccole e medie aziende prevalentemente meccaniche che lavorano su commesse della Fiat stessa. L'industria è anche l'anima di molti centri di medie-piccole dimensioni come Prato, Ivrea, Piombino, Marghera, Crotone, Ragusa e Gela.

Il commercio è il settore invece delle città portuali, tra le quali si ricordano Genova, Ancona, Savona, Brindisi. Peraltro il porto è un centro economico molto vivace intorno al quale, oltre agli scambi, si articolano numerosissime altre attività industriali (lavorazione di materie prime, cantieri navali), e di servizio (assicurazioni, dogane) favorendo così la nascita di numerosi posti di lavoro. Molte città di mare e di montagna sono fiorite negli ultimi decenni intorno al turismo, per le bellezze naturali che le circondano, per le testimonianze artistiche che si trovano nel loro territorio e anche per l'attrezzatura alberghiera e le attività sportive e di svago che sono in grado di offrire. Tra i numerosi centri turistici si distinguono quelli marittimi, quelli montani, quelli lacustri e quelli termali. Vocazioni particolari sono quelle delle città universitarie (Pavia, Pisa, Urbino), agricole, pescherecce (San Benedetto del Tronto, Mazara del Vallo).

Lingue e religioni

L'italiano è la lingua ufficiale che si parla ovunque sul territorio d'Italia.

È una lingua neolatina, che nasce cioè dall'evoluzione attraverso il tempo del latino parlato. Diffuso nel I secolo d.C. in tutta l'Europa occidentale, il latino si è evoluto successivamente al crollo dell'impero romano in maniera del tutto autonoma da zona a zona, in parte per essersi mescolato con i più vari contributi apportati dalle nuove lingue parlate dai popoli invasori, in parte per il riemergere invece delle lingue preesistenti.

Sulla penisola italica si sono in questo modo diffuse lingue differenti, quelle che nel periodo dell'Umanesimo furono detti i volgari, ovverossia lingue parlate dal volgo, ossia parlate colloquialmente.

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Tra queste nei secoli XIII e XIV è emerso in maniera particolare il fiorentino, lingua utilizzata da grandi scrittori come Dante, Petrarca e Boccaccio e assunta poi come modello strutturale e lessicale per una lingua nazionale.

Questo tuttavia non ha comportato affatto la diffusione omogenea dei linguaggi: per molti secoli ancora infatti l'Italia ha utilizzato una grande varietà di dialetti, spesso assai diversi tra loro.

All'epoca dell'unità d'Italia si stima che addirittura il 97% della popolazione parlasse il proprio dialetto, ossia la lingua volgare specifica diffusa nel suo luogo di nascita, e avesse serie difficoltà nell'impiego della lingua nazionale.

Oggi la percentuale è scesa al 14%, ma molte persone, pur conoscendo correttamente l'italiano, preferiscono usualmente comunicare in dialetto, per abitudine, per cultura o per tradizione familiare.

Il processo di unificazione linguistica è stato molto lento, essendo stata la lingua italiana a lungo confinata all'uso scritto La sua diffusione nel parlato ha avuto una rapida accelerazione in seguito a due fatti importanti: la scolarizzazione di massa, cioè l'introduzione dell'obbligo scolastico, e la diffusione dei mass-media, vale a dire dei giornali, della radio, ma soprattutto della televisione. Pur in questa generale tendenza di unificazione linguistica, in Italia permangono delle comunità alloglotte, cioè gruppi di persone che parlano altre lingue; si tratta delle cosiddette minoranze linguistiche, la sopravvivenza delle quali è tutelata dalla Costituzione italiana.

Le lingue parlate da queste comunità sono il provenzale, soprattutto in Valle d'Aosta; il francese, parlato anch'esso in Valle d'Aosta dove viene parificato all'italiano nelle scuole e utilizzato negli atti pubblici; l'occitanico, parlato ancora in alcune aree del Piemonte; il tedesco, utilizzato in Alto Adige (o Sud Tirolo), anch'esso parificato all'italiano; il ladino diffuso in alcune zone dell'Alto Adige, del Veneto e del Friuli; lo sloveno parlato nelle province di Trieste, Udine e Gorizia; il serbo-croato diffuso tra piccole comunità del Molise; il catalano parlato da alcune comunità sarde nella zona di Alghero; il greco, utilizzato in alcune aree della Calabria e della Puglia, e l'albanese, diffuso in diversi paesi sparsi per l'Italia meridionale. A ciò gli esperti aggiungono il sardo, non più limitato alla Sardegna, ma diffuso dagli emigrati anche in molte zone del continente, e il sinti e il rom, le lingue proprie degli zingari.

Dal punto di vista religioso l'Italia si presenta come un paese prevalentemente cattolico. Secondo recenti indagini statistiche sulla pratica religiosa in Italia, solo il 18% si definisce "cattolico praticante". Nonostante la revisione del Concordato tra Stato e Chiesa abbia abrogato il riconoscimento del cattolicesimo come religione di stato, quasi il 98% della popolazione risulta battezzato dalla Chiesa cattolica. Le altre comunità religiose di una certa consistenza sono rappresentate da protestanti (200 000 tra valdesi-metodisti, battisti, avventisti e altre denominazioni) ed ebrei, con le comunità ortodosse, i musulmani, i testimoni di Geova.

L'aspetto politico-amministrativo dell'Italia

Territorio e poteri istituzionali

Lo stato italiano è il risultato di una serie di processi storici che si sono susseguiti nel corso dei secoli su un territorio suddiviso in tanti piccoli stati spesso in conflitto tra loro e dominati da potenze straniere.

È nato nel 1861, quando si è costituito il Regno d'Italia, come stato monarchico costituzionale, è diventato poi una dittatura per tutto il periodo della dominazione fascista e infine, con il referendum del 6 giugno 1946, si è trasformato in una Repubblica parlamentare.

Come tutti gli stati moderni prevede una separazione dei poteri: quello legislativo è affidato al Parlamento, composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, quello esecutivo al governo, costituito dal Consiglio dei ministri presieduto dal presidente del Consiglio, e quello giudiziario alla magistratura.

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Il territorio italiano, secondo un inviolabile dettame costituzionale, si suddivide in regioni, province e comuni, assumendo ciascuna unità una particolare funzione amministrativa.

La suddivisione in regioni

Oggi le regioni italiane sono venti, ognuna delle quali fa capo a un centro urbano principale chiamato capoluogo di regione. La suddivisione attuale è giustificata da motivi preminentemente amministrativi, ma è anche il risultato di vicende storiche e di aggregazioni geografiche e culturali. Fu l'imperatore Augusto a suddividere per primo il territorio in undici regioni (Lazio e Campania, Puglia e Calabria, Lucania e Bruzio, Sannio, Piceno, Umbria, Etruria, Gallia Cispadana, Liguria, Venezia e Istria, Gallia Transpadana), che in molti casi non coincidono con le regioni che oggi portano lo stesso nome.

Queste suddivisioni furono modificate col passare del tempo e furono sostituite nel Medioevo da nuove aggregazioni; bisognerà attendere il XIX secolo e l'unità d'Italia perché le ripartizioni regionali assumano una precisa validità.

Nel 1867 vengono istituiti sedici compartimenti (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzi e Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) che però non coincidevano con gli ambiti territoriali della suddivisione augustea, piuttosto cercavano di rispettare una certa individualità fisica, storica e culturale. I compartimenti assumono la definitiva denominazione di regioni nel 1912.

Dopo la prima guerra mondiale diventano diciotto con l'annessione della Venezia Giulia e della Venezia Tridentina, si è poi aggiunta la Valle d'Aosta e infine nel 1963 il Molise, che viene staccato dagli Abruzzi.

Le regioni sono sottoposte al potere del Parlamento, ma parimenti hanno l'autonomia e il potere decisionale in alcune materie alle quali provvedono direttamente in armonia con l'interesse nazionale. Tra le diverse competenze regionali si ricorda per esempio la polizia locale urbana e rurale, l'organizzazione del territorio, i trasporti, il turismo, l'agricoltura e le foreste, le istruzioni artigiana e professionale e l'assistenza scolastica.

Regioni a statuto speciale

Una particolarità amministrativa contraddistingue cinque regioni e precisamente la Valle d'Aosta, il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, la Sicilia e la Sardegna.

Sono regioni a statuto speciale, chiamate anche regioni autonome in quanto i loro poteri sono più ampi di quelli previsti per le regioni a statuto ordinario. Il motivo di tale diversità è dovuto ai particolari problemi che devono affrontare: l'insularità, le tendenze separatiste, la presenza di minoranze linguistiche.

Province e comuni

A loro volta le regioni sono suddivise in province, la sede amministrativa delle quali risiede nel centro urbano principale denominato capoluogo di provincia. Vi sono inoltre le regioni più piccole, come la Valle d'Aosta, con un'unica provincia, il Molise e l'Umbria con due province; le regioni più grandi come la Lombardia o la Toscana ne contano rispettivamente undici e dieci. La suddivisione provinciale del territorio viene aggiornata nel tempo in relazione alla crescita urbana dei singoli centri. Per tale motivo nel 1990 sono state istituite le seguenti nuove province: Biella e Verbania in Piemonte, Lecco e Lodi in Lombardia, Prato in Toscana, Rimini in Emilia-Romagna, Crotone e Vibo Valentia in Calabria. In totale le province italiane ammontano a centotré unità. Le loro competenze sono relative ai seguenti campi: risorse idriche ed energetiche, difesa dell'ambiente, costruzione e manutenzione di strade pubbliche e provinciali e degli edifici scolastici per l'istruzione tecnica e i licei scientifici, beneficenza pubblica, assistenza sanitaria e ospedaliera, laboratori di igiene, insieme a vigilanza e ispezione.

Ogni provincia è suddivisa a sua volta in comuni, la cellula amministrativa più piccola dello stato. Se ne contano 8103, alcuni urbani, altri rurali.

Responsabile dell'amministrazione comunale è il sindaco, eletto, secondo la legge del 25 marzo 1993, direttamente dai cittadini. Le competenze dell'amministrazione comunale sono numerose:

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anagrafe, urbanistica, lavori pubblici, polizia urbana, igiene e sanità, assistenza sociale, cultura e spettacolo, sport e turismo, trasporti, istruzione, commercio, aziende municipalizzate.

L'Italia, una sintesi attraverso le regioni: le ripartizioni interne

Nell'ambito di una ripartizione interna del paese, in più d'una occasione l'Italia è stata suddivisa in Italia continentale e Italia peninsulare, parti abbastanza ben distinte da un limite immaginario che corre all'incirca lungo il 44° parallelo, o meglio lungo una linea che unisce i fiumi Magra e Rubicone.

La parte continentale dello stato copre circa il 40% della superficie nazionale, quella peninsulare il 42%, mentre alle isole compete il rimanente 18%.

Se, con un termine comunemente usato, la porzione continentale del paese si fa coincidere con l'Italia settentrionale, la parte peninsulare è suddivisa in Italia centrale e meridionale, separate da una linea che corre dal fiume Garigliano al Trigno, oppure al Fortore.

Una denominazione, comunque, che ben si addice a quest'ultima parte di penisola è quella di Mezzogiorno, o di Meridione, mentre è scorretta la definizione di bassa Italia - in contrapposizione ad alta - per i significati altimetrici e topografici che se ne potrebbero del tutto erroneamente dedurre.

Nell'ambito regionale l'Italia si divide, a settentrione, in Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna; centralmente si articola in: Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise; a meridione in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria; l'Italia insulare è infine composta dalle sole Sardegna e Sicilia.

La difesa dell'ambiente Italia

La questione ambientale

L'Italia, paese fortemente urbanizzato, si trova ad affrontare, insieme a molte altre nazioni sviluppate, il problema dell'emergenza ambientale. La questione è molto complessa perché si compone di numerosi fattori tra loro interconnessi e spesso non circoscrivibili spazialmente. Il nodo comunque sta nel rapporto che l'uomo ha instaurato con l'ambiente. Convinta per molti secoli dell'inesauribilità delle risorse e della possibilità illimitata di sfruttamento delle stesse, l'umanità non ha confrontato la crescita economica con i vincoli che imponeva l'ambiente. Ciò ha provocato trasformazioni irreversibili e danni di entità inimmaginabile.

Per l'Italia un primo problema consiste nella forte urbanizzazione del suo territorio. Dagli anni dell'unificazione, ma più ancora dallo sviluppo industriale degli anni Cinquanta, i paesaggi italiani si sono modificati in maniera incisiva. L'ammontare totale della popolazione è andato crescendo, grazie agli sviluppi in campo medico e sociale, e sono parallelamente cresciuti i bisogni di case, lavoro, servizi. Si è cominciato così a costruire. L'insediamento non si è sviluppato però in modo uniforme: la popolazione ha abbandonato le campagne e le più inospitali zone di montagna per trasferirsi quindi in pianura dove le possibilità di lavoro erano maggiori.

Le città si sono espanse a dismisura trasformando la loro periferia in un alternarsi spesso impersonale di condomini, capannoni industriali, strade e campi incolti. Soprattutto nell'Italia settentrionale, dove l'industrializzazione è più diffusa, il tessuto urbano è assai fitto.

I risvolti negativi di questa trasformazione sono vari. Innanzitutto la qualità della vita di coloro che vivono in queste zone: il traffico, i lunghi e affollati tragitti obbligati per raggiungere il posto di lavoro, l'elevato costo delle abitazioni, lo stress continuo, la mancanza di spazi verdi dove far giocare i bambini costituiscono solo qualche esempio.

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L'inquinamento

L'inquinamento è senz'altro uno dei problemi più gravi. La concentrazione del traffico e delle industrie comporta percentuali molto elevate di gas tossici nell'atmosfera, così che in alcuni periodi dell'anno nei quali la pioggia e il vento sono scarsi (gennaio) o le temperature sono elevate (estate) in molte città italiane si supera la soglia di tollerabilità. Le autorità locali sono quindi costrette a prendere misure restrittive del traffico per ridurre la tossicità dell'aria.

Tra gli incidenti responsabili di pericolose concentrazioni di gas tossici nell'aria si ricorda il caso di Seveso, una cittadina in provincia di Milano, dove nel 1976 una nuvola di veleni (diossina) provenienti da un guasto allo stabilimento Icmesa si sparse sulla zona contaminando tutto l'ambiente circostante. Le conseguenze furono serie e tra tutte forse la più grave fu l'aumento di bambini nati con malformazioni.

L'inquinamento dell'acqua ha le sue origini anche dagli scarichi industriali e domestici. Molte aziende, evadendo la normativa che regola la questione, scaricano rifiuti tossici nei fiumi dove spesso si congiungono con quelli delle reti fognarie dei centri abitati.

Si crea così nell'acqua un concentrato di veleni che viene progressivamente condotto ai laghi e al mare. La vicenda del mare Adriatico è stata esemplare in questo senso. Alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta lungo le coste settentrionali si è assistito a un insolito sviluppo di alghe che nel periodo della riproduzione emettevano enormi e disgustose quantità di muco gelatinoso (mucillagine) che risalivano a galla impedendo la balneazione.

Pare che il fenomeno fosse dovuto alle alte concentrazioni di azoto e fosforo, di cui le alghe si nutrono, giunte al mare con gli scarichi industriali e urbani. Dell'inquinamento dell'acqua sono responsabili anche l'allevamento e l'agricoltura. Il primo a causa dei residui zootecnici, carichi di azoto, la seconda per via di un uso eccessivo di prodotti chimici che con la pioggia e l'irrigazione penetrano nel terreno, raggiungendo anche le falde acquifere più profonde.

A testimonianza si segnalano i rilevamenti di alte percentuali di atrazina nelle falde acquifere di molte zone della pianura Padana che negli ultimi anni hanno portato frequentemente alla chiusura degli acquedotti e all'isolamento idrico degli abitanti.

Il degrado del paesaggio

Tra gli altri capitoli inquietanti del degrado ambientale italiano va ricordato lo scempio continuato del paesaggio che in molte situazioni ha perso la sua integrità e la sua bellezza. Le costruzioni sono spesso state realizzate senza tutelare le caratteristiche principali dell'ambiente e senza la regia di un piano razionale di salvaguardia generale.

Casi di questo genere sono molto frequenti nelle località turistiche di mare e di montagna, dove le costruzioni non sono in armonia con lo stile architettonico locale: troviamo infatti palazzi in vetro e cemento che si stemperano contro la montagna e lunghe strade di condomini che si susseguono sul lungomare. Le località turistiche, se da un lato si avvantaggiano economicamente per l'afflusso di visitatori, dall'altro pagano uno scotto molto alto perché nelle alte stagioni la concentrazione di persone è tale che le strutture risultano insufficienti e il traffico insopportabile.

La minaccia dell'uomo sull'ambiente non è quindi solo una questione estetica. Se l'intervento trasformativo non è preceduto da un adeguato studio di impatto ambientale, come finora in molti casi è avvenuto, i rischi ai quali si va incontro sono gravissimi.

Il dissesto idrogeologico

Un ulteriore esempio a suffragio di questa affermazione è il dissesto idrogeologico dovuto all'alluvione del novembre 1994. Nel mese di novembre, in seguito a qualche giorno di pioggia insolitamente forte, molti tratti dell'alto Po e dei suoi affluenti sono straripati invadendo i territori circostanti, distruggendo campi, case, strade, stabilimenti e provocando la morte di molte persone. In quegli stessi giorni si sono registrate numerose frane, alcune delle quali, come per esempio quella di Varallo Sesia, fortemente distruttive.

Se le cause occasionali e naturali sono state le piogge incessanti, le responsabilità più profonde vanno cercate nelle trasformazioni dell'ambiente che l'uomo ha apportato in quelle zone: i tratti di

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fiumi imbrigliati, le aree golenali edificate, i pendii montani disboscati hanno reso più vulnerabile tutta la zona.

In difesa dell'ambiente si muovono in Italia organizzazioni internazionali, come il WWF, o nazionali, come per esempio Legambiente, che animano numerose iniziative di tutela del paesaggio. Tra le attività di tutela si ricorda in particolare l'istituzione di molti parchi e aree protette gestiti in parte a livello nazionale e in parte a livello regionale.

Le aree protette in Italia

Tra le emergenze ambientali che destano maggiore allarme si riconosce come primaria a livello internazionale e non solo italiano la lotta per la difesa della biodiversità, cioè della varietà e della peculiarità del patrimonio vegetale e animale. Consapevoli delle potenzialità che la natura offre e che devono ancora essere esplorate (si pensi che dei presunti 30 milioni di specie esistenti se ne conoscono solo 1 400 000), le Nazioni Unite e i governi di molti paesi si sono posti come priorità nella lotta per la difesa dell'ambiente quella della protezione delle aree naturali più o meno ancora intatte.

L'obiettivo prefisso si può raggiungere attraverso l'emanazione di una legislazione che vincoli lo sfruttamento del territorio e l'istituzione di aree protette.

In Italia, le aree protette censite nel 1994 coprono circa il 6% del territorio nazionale e sono istituite in parte con provvedimenti statali e in parte regionali.

I primi parchi nazionali risalgono agli anni Venti: sono i parchi del Gran Paradiso e d'Abruzzo, e nel tempo se ne sono aggiunti altri, così che oggi se ne contano diciassette. I più famosi per anzianità di istituzione sono quelli dello Stelvio, del Circeo e della Calabria.

A ciò vanno aggiunti i parchi regionali, le riserve naturali di terraferma e le riserve marine. Le aree protette sono località di particolare interesse naturalistico, per la varietà delle specie che le abitano e la bellezza dell'insieme paesaggistico che presentano: non sono però del tutto prive della presenza umana.

Anzi molto spesso la legislazione si è proposta di tutelare in queste zone oltre agli elementi fisici quelle attività umane compatibili con le finalità di protezione dei parchi, come un turismo e un'agricoltura attentamente controllata.

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