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La web reputation sui social media: il caso Costa Crociere

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE D’IMPRESA

E POLITICHE DELLE RISORSE UMANE (LM59)

LA WEB REPUTATION SUI SOCIAL MEDIA: IL CASO COSTA

CANDIDATA

Eleonora Manfredi

Anno Accademico 2012

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE D’IMPRESA

POLITICHE DELLE RISORSE UMANE (LM59)

LA WEB REPUTATION SUI SOCIAL MEDIA: IL CASO COSTA

CROCIERE

CANDIDATA RELATORE

Prof.ssa Roberta Bracciale

Anno Accademico 2012-2013

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE D’IMPRESA

POLITICHE DELLE RISORSE UMANE (LM59)

LA WEB REPUTATION SUI SOCIAL MEDIA: IL CASO COSTA

RELATORE

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Alla mia famiglia e a Marco che mi hanno supportato e “sopportato” in questo percorso

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Indice

Introduzione

pag. 4

Capitolo 1 La reputazione

1.1Reputazione 2.0 » 7

1.1.1 L’importanza di una buona reputazione online » 13

1.1.2 Monitorare e misurare la reputazione online » 18

1.2La reputazione: un’arma a doppio taglio » 25

Capitolo 2 Reputazione e social media

2.1 La reputazione sui blog » 35

2.2 La reputazione sui social network » 39

2.2.1 Facebook » 40

2.2.2 Twitter » 48

2.2.3 La reputazione su altri social network » 52

2.3 La reputazione e il turismo: il caso TripAdvisor » 56

Capitolo 3

3.1 Costa Crociere oggi » 88

Riflessioni conclusive

» 105

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Introduzione

«Ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per distruggerla», niente di meglio della frase dell’economista americano Buffet sintetizza il cuore della questione presa qui in esame.

Come facilmente intuibile dal titolo, le tre parole chiave di questo elaborato possono essere individuate in “web reputation”, “social media” e “Costa Crociere”, concetti che vengono trattati singolarmente nei tre capitoli ma che sono legati da un filo conduttore molto stretto. Ogni azienda ha bisogno, oggi più che mai, di instaurare un legame di fiducia e generare consenso nei propri stakeholder.

La reputazione rappresenta un asset strategico in grado di generare vantaggi competitivi inimmaginabili se adeguatamente costruita e monitorata. Oggi questa è fortemente legata al mondo del web, è sui social media infatti che si genera, mantiene ed in certi casi distrugge la propria reputazione.

Con l’avvento del c.d Web 2.0 si può iniziare a parlare quindi di web reputation cioè della reputazione che si sviluppa sulla rete. Da sempre le persone sentono il bisogno di comunicare e oggi la rete offre spazi ben definiti per farlo, che si abbia avuto un’esperienza positiva o negativa si tende sempre più spesso a raccontarlo e la maggior caratteristica del web risiede nella sua capacità di raggiungere un pubblico potenzialmente infinito.

Monitorando i racconti e le esperienze che gli utenti condividono sui social media le aziende possono informarsi su ciò che si dice di loro e quindi, con i dovuti interventi, migliorare sempre di più la propria reputazione

Con il termine social media si intendono sia i vari social network che i blog. Essi sono in grado di creare un luogo d’incontro virtuale tra le persone che viene spesso identificato con il termine di comunità online. La parola d’ordine è interazione, qui si forma la reputazione in quanto si scambiano informazioni su un certo prodotto o azienda.

Uno degli strumenti messi a disposizione dalla rete per favorire questo passaparola è il blog. Da Wikipedia (2013) si legge che :

[…] nel gergo di internet un blog è un particolare tipo di sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in forma cronologica. In genere un blog è gestito da uno o più blogger che pubblicano, più o meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post, concetto assimilabile o avvicinabile ad un articolo di giornale […]

Per le aziende e la loro reputazione il blog rappresenta la possibilità di instaurare con i potenziali clienti un rapporto più diretto e sicuramente meno formale rispetto a un sito

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aziendale. La possibilità di interazione è però sicuramente meno immediata rispetto ad un social network ma anche il blog offre agli utenti uno spazio per confrontarsi ed esprimersi.

Con il termine social network si intende, come ben descritto sempre da Wikipedia (2013) «un qualsiasi gruppo di individui connessi tra loro da diversi legami sociali». Questi costituiscono una risorsa utilissima per le aziende per la gestione della loro reputazione online, infatti è su questi spazi che si possono reperire cosa gli utenti pensano di loro o dei loro prodotti ma allo stesso tempo esse stesse devono essere presenti per poter instaurare un rapporto diretto con gli utenti che, non va dimenticato, sono soprattutto potenziali consumatori.

I due social network maggiormente diffusi sono Facebook e Twitter: con il primo è possibile creare una FanPage cioè uno spazio espressamente dedicato ad un’azienda, un marchio oppure un prodotto. Questo permette di compiere azioni che hanno ripercussioni sulla reputazione come mantenere un contatto diretto con i fan ed aggiornarli su nuovi prodotti o servizi rendendoli così partecipi, ma sparatutto generando un passaparola “naturale” grazie al contributo dei visitatori della pagina.

Per quanto riguarda Twitter anche su questa piattaforma è possibile creare una pagina aziendale tramite la quale si può inviare direttamente un messaggio all’azienda stessa utile per creare quel coinvolgimento con il fan che ha ripercussioni positive sulla reputazione. Ma anche in questo caso rappresenta sopratutto un modo per raccogliere informazioni in modo gratuito tramite i racconti degli utenti. Uno dei punti di forza di questo social network risiede nella brevità dei messaggi (massimo 140 caratteri) che consentono al lettore di acquisire le informazioni molto più velocemente rispetto per esempio a un blog.

L’importanza della web reputation si fa ancora più chiara in un settore come quello turistico, qui le recensioni ed i commenti su hotel o ristoranti sono considerati sempre più importanti per scegliere dove alloggiare o mangiare. I questo campo gioca sicuramente un ruolo di leader TripAdvisor, dove appunto i vari utenti commentano e scambiano esperienze su determinate strutture, liberamente consultabili da tutti i frequentatori del sito. Occorre in questo caso però prestare la dovuta attenzione alla diffusione delle recensioni false, le quali possono essere comunque in parte smentite grazie alla possibilità dei responsabili delle strutture di intervenire direttamente.

Infine è quasi doveroso riportare, a titolo d’esempio, un caso di gestione della reputazione proprio quando questa sembrava essere danneggiata irrimediabilmente. Il tragico naufragio della nave Costa Concordia, appartenente al gruppo Costa Crociere, verificatosi la notte tra il 13 e il 14 Gennaio 2012 ha scosso la compagnia navale non solo sotto il profilo umano ed economico ma anche dal punto di vista reputazionale. Le foto, i video e le notizie sull’accaduto hanno fatto

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il giro del mondo in tempi brevissimi grazie alla capacità pervasiva del web ed hanno sferrato un duro colpo all’immagine di Costa Crociere.

L’azienda aveva comunque a sua disposizione varie piattaforme (blog, Facebook, Twitter ecc) da poter sfruttare per “salvare la faccia” ma soprattutto poteva, e può contare tutt’oggi, su un nutrito gruppo di strenui “difensori” che hanno permesso alla reputazione della nave di non affondare con essa.

Il momento del naufragio è stato confrontato con le operazioni più recenti del parbukling cioè la messa in asse della nave, questa operazione è stata svolta analizzando in particolare i post pubblicati dalla compagnia navale su Facebook nel periodo che va da un mese prima a un mese dopo l’incidente e le operazioni di recupero. Attraverso l’osservazione del numero di “mi piace”, commenti e condivisioni si è potuto avere un quadro piuttosto completo della situazione e trarre alcune conclusioni. Per una maggiore comprensione di alcuni risultati questi dati sono stati confrontati con il contenuto dei singoli post, potendo così anche individuare quali argomenti hanno attirato maggiormente l’attenzione degli utenti.

Inoltre ho ritenuto interessante riportare i comunicati ufficiali pubblicati dalla compagnia sul suo blog, che è stato comunque lo strumento più utilizzato in entrambe le fasi oggetto di studio.

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7 Capitolo 1

La reputazione

[…]il reale valore del terzo millennio delle aziende e dei manager che le dirigono non sarà il fatturato che essi producono, bensì il numero e la qualità delle relazioni da essi

instaurati con i propri target interlocutori e di riferimento interni ed esterni […] Jeremy Rifkin (2005)

1.1 Reputazione 2.0

I rilevanti cambiamenti derivati dal dinamismo del web hanno sicuramente inciso su vari aspetti della vita quotidiana, tra questi si può sottolineare come essi abbiamo avuto un ruolo rilevante sul nuovo concetto di reputazione.

Come sottolinea il CeSAR (Centro Studi Accademici sulla Reputazione) essa è determinata da due elementi fondamentali:

• Il coinvolgimento emotivo: è indicativo di sentimenti, quali ad esempio la simpatia, che per loro natura sono mutevoli nel breve periodo. Il coinvolgimento emotivo può generare complicità per questo motivo può facilitare il rapporto fiduciario con gli stakeholder.

• La fiducia: rappresenta la componente reputazionale di lungo periodo, riguarda infatti le aspettative sui futuri comportamenti dell’organizzazione. È la fiducia che nel lungo periodo crea fedeltà da parte dei portatori d’interesse permettendo di costruire con essi relazioni stabili nel tempo.

La reputazione può essere definita come una percezione condivisa rispetto a qualcosa o qualcuno. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, la definisce come «quello che la gente dice di te dopo che hai lasciato la stanza» (cit. in Dossena, 2012, p.83).

Ogni soggetto dipende dagli altri, la reputazione di un’entità (sia essa persona fisica o un’organizzazione) dipende dal parere delle persone che interagiscono con essa. La loro libertà d’azione dipende in buona parte da come la società li giudica. Quindi non esiste una sola reputazione, ma molte reputazioni quanti sono i portatori di interesse. Gestirla al meglio sarà quindi fonte di guadagno. La reputazione costituisce una sorta di biglietto da visita. Essa

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implica una valutazione sociale, un giudizio espresso da un gruppo di individui, non a caso su Wikipedia si legge: «La reputazione di un’entità sociale (una persona, un gruppo di persone, un’organizzazione) è un’opinione circa questa entità, di solito il risultato di una valutazione sociale di certi criteri».1

Sempre il CeSAR afferma che la reputazione si basa su:

• Esperienze dirette o mediate che gli stakeholder fanno dell’organizzazione

• Informazioni sull’attività dell’organizzazione anche in riferimento al rapporto con la concorrenza.

Il suo rapporto con il web cambia in particolare con l’avvento del Web 2.0. Con questo termine si intende semplicemente l’evoluzione del web, ne fanno parte tutte quelle applicazioni online che permettono un alto livello di interazione ad esempio blog, forum, chat e sistemi quali wikipedia, youtube etc. Viene contrapposto al web 1.0 con il quale si indicano invece siti web prevalentemente statici cioè senza alcun tipo di interazione se non la normale navigazione tra le pagine o la consultazione di motori di ricerca. Si può quindi usare l’espressione “reputazione 2.0” proprio per indicare come questa venga influenzata dall’evoluzione del web. I cambiamenti rispetto al passato quando, appunto, sul web non c’erano forme di interazione con altri utenti sono notevoli, ancora più rilevanti sono le differenze con la reputazione offline. Da sempre le persone sentono il bisogno di comunicare, di scambiarsi opinioni e commentare. Queste azioni oggi si compiono in gran parte sul web. Si tende sempre più spesso ad informarsi online, a fidarsi più del parere degli altri utenti che viene considerato più credibile dei messaggi aziendali che spesso risultano solo auto promozionali. Sul web le interconnessioni tra individui sono maggiori ed il mondo diventa “più piccolo” proprio perché le nuove tecnologie offrono a ciascun individuo la possibilità di generare contenuti che possono raggiungere istantaneamente un pubblico globale. Gli utenti grazie al web 2.0 possono produrre contenuti, condividerli e personalizzarli. Oggi chi dispone di una connessione internet si trova a contatto con moltissime informazioni messe in rete da aziende, media oppure altri utenti. Che si abbia vissuto un’esperienza positiva o negativa si tende a raccontarlo, anzi molto spesso è il cliente insoddisfatto a condividere maggiormente la sua esperienza.

Come sottolinea Di Fraia (2011):

[…] quando per scegliere l’agriturismo dove trascorrere un weekend, per decidere quale lavastoviglie comprare tra l’infinità di modelli offerti, o quando, per farci un’idea sulle caratteristiche tecniche di una fotocamera, andiamo a leggere i consigli, le esperienze e le competenze che altri soggetti hanno condiviso in rete, stiamo utilizzando parte della loro intelligenza, ma anche della loro memoria, sensibilità, competenza. Tutte risorse straordinariamente preziose che, sino a qualche anno fa, sarebbero rimaste confinate nelle loro

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menti o circoscritte alla cerchia di persone con cui erano in relazione diretta e che oggi possono, invece, diventare risorse utilizzabili da chiunque abbia una connessione internet. […] (p.11).

Il rapporto con la reputazione si fa sempre più stretto con l’avvento del Web 2.0 proprio perché grazie a questo gli utenti hanno iniziato a condividere in rete le proprie esperienze e valutazioni su aziende ed altri soggetti costituendo così uno dei canali di influenza della reputazione più importanti, con ripercussioni anche nel mondo offline.

Nel web le informazioni disponibili sono molte e spesso poco controllate o controllabili: permangono nel tempo e nella memoria, esse attraverso blog o social network vengono postate a una velocità impensabile.

Alla luce quindi dei notevoli cambiamenti apportati dal web si deve sempre più prestare attenzione alla web reputation. Questa può essere definita come la reputazione che una determinata azienda o brand (ma può riguardare benissimo anche persone dello spettacolo, politici o noi stessi) ha in rete che nasce da commenti articoli, recensioni o semplici opinioni espresse dagli utenti sul web. Anche prima dell’avvento del web 2.0 le aziende si sono sempre servite di PR ed uffici stampa per la costruzione di una buona reputazione, ma è con lo sviluppo di questo che la reputazione acquista un ruolo ancora più forte soprattutto attraverso prima lo sviluppo dei blog e poi ancora di più con i social network. È molto difficile attribuire una data esatta alla nascita di un fenomeno così di grandi proporzioni come la web reputation ma secondo Cavallini (2011) tutto ebbe inizio con uno specifico episodio: nel 2009 durante un volo la compagnia aerea United Airlines danneggia la chitarra del cantante folk canadese Dave Carroll. Carroll fa tutte le richieste di risarcimento del caso ma la compagnia si rifiuta categoricamente, non può nemmeno contare sul servizio clienti che si dimostra tutt’altro che collaborativo. I reclami vanno avanti per sei mesi fino a quando l’uomo ha un’idea: carica su YouTube un video musicale che racconta la vicenda. Il video viene visualizzato da circa 500.000 persone nei primi tre giorni arrivando poi a 5 milioni in due mesi, i messaggi di sostegno al cantante si moltiplicano a dismisura e la compagnia aerea si trova ad affrontare per la prima volta la voce del popolo del web.

Essa è legata a quella che viene definita la forza del passaparola cioè quell’atto con cui i consumatori ricevono informazioni da altri consumatori, è un’azione “naturale” per gli utenti parlare di prodotti o servizi di cui hanno avuto esperienza, però ovviamente se nel mondo offline il raggio d’azione è limitato alla propria cerchia di amici e conoscenti, online può raggiungere volumi molto più consistenti.

Quello del passaparola è un fenomeno che esiste da sempre, esso nasce sia dalla delusione che dalla soddisfazione, concorrendo a formare un giudizio. Per la sua incontrollabilità il passaparola può diventare potenzialmente dannoso per la reputazione, e questo si verifica ancor

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di più con il web dato che questa incontrollabilità delle informazioni aumenta esponenzialmente. Il passaparola sul web giunge ovunque.

Sempre riferito al sistema del passaparola si parla sempre più spesso di Buzz Marketing cioè l’insieme delle operazioni volte a stimolare l’interesse e lo scambio di informazioni riguardo un prodotto oppure un brand. Lo scopo è ovviamente quello di aumentare la notorietà del prodotto tra i consumatori, cioè consiste nel dare motivo alla persone di parlare di un argomento specifico.

Non a caso Dellarocas (2003), un ricercatore del MIT, paragona internet a un grandissimo ed efficace sistema di passaparola. Questo viene visto come la soluzione a un antico problema delle organizzazioni sociali cioè la trasparenza della buona condotta in quelle comunità i cui membri hanno un interesse nel breve periodo ad ingannarsi perché induce alla cooperazione senza bisogno di imposizioni “dall’alto”.

È bene fin da subito chiarire che la web reputation non è solo legata al mondo online perché essa si costruisce nel mondo offline, attraverso comportamenti trasparenti e corretti.

Guido Di Fraia (2011) indica alcuni elementi che differenziano la reputazione oggi con l’uso degli strumenti del web 2.0 da quella dello scenario precedente:

1. Persistenza: qualunque cosa viene scritto sul web è di solito rintracciabile anche dopo molto tempo.

2. Indeperibilità: l’informazione rimane intatta, il messaggio non viene ne perso ne modificato dopo la sua trasmissione.

3. Virulenza: ogni messaggio sul web può essere diffuso tramite copia e incolla oppure un link alla risorsa. La notizia si diffonde con una velocità senza precedenti.

4. Incancellabilità: il web non dimentica, anche quando un’informazione viene cancellata dai server originari questa potrebbe ritrovarsi in un secondo tempo in altri siti o blog. 5. Verificabilità: le informazioni nel web sono molto più facilmente reperibili grazie per

esempio ad una semplice ricerca in Google o su di un Social Network. La reputazione online si può definire molto più pubblica di quanto non fosse quella offline, ed esiste indipendentemente dal fatto che l’azienda se ne voglia occupare o meno.

6. Ponderabilità: la novità consiste nel fatto che tendono a formarsi in rete degli influencer che sono coloro che a loro volta hanno conquistato una certa reputazione all’interno di un gruppo e che quindi potremmo dire “contano più di altri” e riescono meglio a incidere sulla reputazione di un’azienda o di un prodotto.

7. Multimedialità: la televisione (rappresentante dell’era pre web 2.0) ha perso ormai il monopolio della trasmissione dei filmati in favore di piattaforme streaming e

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peer a cui va aggiunto la trasmissione di video tramite telefoni cellulari quindi la possibilità di partecipare in prima persona.

8. Frammentarietà degli interlocutori e dei mezzi di comunicazione: i soggetti e i mezzi con cui si ha a che fare diventano sempre di più.

9. Incontrollabilità: visto che la reputazione online deriva sempre più da opinioni espresse da terzi e sempre meno da ciò che viene comunicato su se stessi, l’unico modo per controllarla è il dialogo. Ma per fare ciò occorre prima saper ascoltare e conoscere. Online si possono monitorare le conversazioni che nascono spontaneamente, è questa la grande forza del web, chi scrive lo fa perché ha voglia di farlo.

La più grande differenza rispetto al mondo offline è forse la velocità, tutto si trasforma e si diffonde ad una velocità senza precedenti quindi aumentano anche le variabili da tenere sotto controllo per gestire la reputazione. Comunque esattamente come la reputazione “reale” anche quella sul web può essere sia solidissima che, in altri momenti, debole. Può essere lesa o scalfita e modificata, proprio come nella vita reale, semplicemente da ciò che la gente dice.

Per gestire la propria reputazione online non basta avere un sito ufficiale, inoltre è bene ricordare che anche chi non è presente sul web può essere citato, criticato ed al centro di discussioni tra gli utenti. Allo stesso tempo la sua gestione non è poi così complicata, per le aziende basta essere attenti al consumatore, ascoltarlo, l’errore più grande è l’indifferenza, non bisogna vedere le critiche come problemi ma come opportunità per migliorare.

Molte aziende hanno paura di aprirsi al mondo dei social network per il timore di ricevere brutti commenti, come se questo basti a fermare le persone dall’esprimere il loro disappunto. Eppure il web offre alle aziende opportunità fino a qualche anno fa inimmaginabili per potenziare e migliorare i rapporti con la clientela. A questo proposito Di Fraia (2011) individua alcuni vantaggi di cui l’azienda può beneficiare con l’avvento del web 2.0: innanzitutto la possibilità di essere visibili a livello globale indipendentemente dalla propria localizzazione geografica. Poter inviare messaggi personalizzati (es via e-mail) ai propri clienti oppure ai clienti potenziali, ovviamente dopo averne avuto il loro consenso. Monitorare i comportamenti che i visitatori tengono sul proprio sito aziendale ed allo stesso tempo migliorare la navigazione e l’accesso agli stessi. Cosa importantissima ascoltare le conversazioni online, ciò che si dice dell’azienda e dei suoi prodotti e quindi controllare la reputazione. Ed infine sicuramente il web offre una capacità maggiore di coinvolgere gli utenti anche ai fini promozionali e di miglioramento del prodotto stesso.

Tutti questi cambiamenti del web si ripercuoto nelle relazioni tra l’impresa ed i suoi stakeholder: al tradizionale rapporto top down in cui l’impresa diffonde il suo messaggio, si avvia ora la possibilità di attivare flussi bidirezionali che prevedono meccanismi di feedback.

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Per molto tempo le aziende si sono basate sulla logica “io produco e voi consumate” e più i consumi sono vasti ed omologati più l’azienda ne trae vantaggio dallo sfruttamento delle c.d. economie di scala. Questo modo di vedere il rapporto con il mercato è stato definito del broadcasting cioè dell’uno a molti ed uguale per tutti. Come spiega Di Fraia (2011):

[...] Il modello del broadcasting prevede che un certo emittente produca un messaggio, utilizzando un certo codice, e lo veicoli attraverso qualche mezzo di cui ha il controllo o comunque l’accesso a una massa indifferenziata di destinatari per colpirne singoli individui ed ottenerne un qualche effetto[...] (p.8).

Per sopravvivere in questo scenario le organizzazioni cercano di rafforzare e tutelare sempre più le relazioni con i propri stakholder quindi di consolidare e difendere la loro reputazione.

Questi nuovi cambiamenti del web trovano la loro massima espressione nei c.d. social network: applicazioni web volte a facilitare la creatività, la collaborazione e la condivisione dei contenuti creati dagli utenti stessi.

In particolare per quanto riguarda la reputazione aziendale, intendendo con essa, come sottolineato da Dossena (2012)

[…] il giudizio che i diversi stakeholder hanno della credibilità dei comportamenti dell’azienda, delle sue affermazioni, della qualità dei suoi prodotti e servizi, della legittimità e responsabilità delle sue azioni[…] (p.65)

questa subisce notevoli cambiamenti con il web 2.0, i consumatori infatti riescono a scambiare molte più informazioni tra loro, non sono più soggetti passivi ma acquistano voce in capitolo. A questo si deve aggiungere che il consumatore oggi è sempre meno fidelizzato perché sa di avere a disposizione una vasta gamma di scelte possibili, è anche più critico e compie le sue scelte solo dopo essere entrato in possesso di molteplici informazioni, talvolta anche “non ufficiali”, sui prodotti o sulle aziende.

Nei forum, sui social network, sui blog spesso descrivono esperienze con l’azienda stessa incidendo quindi inevitabilmente sulla sua reputazione.

Una buona reputazione se da un lato costituisce lo specchio che riflette il successo di un’impresa dall’altro agisce anche da calamita: se gli stakeholder apprezzano un’impresa la supportano a loro volta alimentando un circolo virtuoso a tutto vantaggio dell’impresa stessa. Alla luce quindi delle evoluzioni del web le imprese perdono notevolmente il controllo sul flusso informativo verso i clienti, questo deriva sia dalla facilità con cui i vari soggetti possono creare contenuti sia alla minor credibilità che di conseguenza acquistano le comunicazioni formali dell’impresa.

Comportamenti trasparenti, qualità delle relazioni, oggi più che mai dovrebbero essere la base di qualsiasi piano di marketing e rappresentare il punto di partenza per costruire un vantaggio

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competitivo. Un costante monitoraggio ed un’accurata gestione della propria reputazione sono oggi fondamentali per il consenso tra i propri interlocutori attuali e futuri.

Internet ha sicuramente spostato l’equilibrio del Power of voice a favore degli stakeholder, da ciò deriva che la reputazione non è sempre definita da ciò che le imprese fanno o dicono ma da come gli utenti percepiscono e rispondono alle loro azioni.

Bisogna infine specificare che se è vero che tutti possono scrivere, uno studio di Jackob Nielsen ha dimostrato che in realtà su 100 utenti solo 1 scrive, 9 commentano (utenti attivi) e 90 leggono e non partecipano2. Comunque sia che a scrivere siano uno o più utenti, la grande rivoluzione è che i contenuti nascono dal basso e non sono più esclusivamente pubblicati dai “siti ufficiali” (aziende, enti etc.). «Viviamo in un’epoca in cui ogni consumatore ha un megafono. Molti lo stanno usando e le aziende farebbero meglio ad ascoltare» (Anderson 2006, p.10).

1.1.1 L’importanza di una buona reputazione online

Il bisogno di una buona reputazione si può affermare faccia parte delle esigenze innate per l’essere umano. Se infatti si fa riferimento alla piramide dei valori di Maslow (figura 1), che fa parte della “teoria motivazionale” elaborata nel 1954, si può osservare che al quarto livello della piramide compare la categoria “bisogno di stima”.

Maslow ha gerarchizzato i bisogni che portano alla realizzazione di un individuo, secondo la sua teoria la soddisfazione dei bisogni è ciò che motiva l’uomo ad agire. Man mano che l’individuo soddisfa i bisogni primari (alla base della piramide) emergono bisogni di rango superiore. In particolare il bisogno di stima include sia la stima per se stessi (autostima) che l’essere apprezzati dagli altri (eterostima).

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Si fa qui riferimento alla regola dell’1% che Nielsen ha esteso anche al mondo di internet. Liberamente consultabile al sito http://it.wikipedia.org/wiki/Regola_dell'1%25

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14 Fig.1 – La piramide dei bisogni di Maslow

Fonte: http://studiotrevisani.wordpress.com/2011/05/03/piramide-dei-bisogni-di-maslow/

Secondo Maslow se un individuo ha una bassa stima di sé (dovuta sia a considerazioni personali che al giudizio degli altri e quindi alla sua reputazione) difficilmente sarà motivato ad auto realizzarsi perché sarà troppo concentrato su quell’aspetto per riuscire a desiderare di migliorarsi e di far leva sulle proprie potenzialità.

Amy Jo Kim (cit in Dossena, 2012 p.50) ha ripreso la teoria di Maslow applicandola all’utente in rete e ne ha ricavato i seguenti bisogni:

1. Fisiologici: corrispondono all’accesso al sistema e alla partecipazione a comunità web. 2. Sicurezza: protezione da attacchi personali e da intrusioni da parte di terzi.

3. Sociale: appartenenza ad una comunità sia nel suo insieme che ai sottogruppi che la compongono.

4. Stima: contribuire alla crescita della comunità ed essere apprezzati per questo.

5. Autorealizzazione: assumere un ruolo trainante nella comunità che possa portare a nuove opportunità.

Si può quindi notare che anche in questo secondo caso compare il bisogno di stima e quindi l’importanza di avere una buona reputazione online per ricoprire un ruolo centrale.

Più specificatamente per le aziende monitorare cosa si dice di loro sul web è fondamentale, conoscere infatti cosa pensano gli utenti (potenziali consumatori) permette di creare un rapporto diretto, si possono ideare strategie di marketing più efficienti ed efficaci che rispondano meglio alle esigenze dei clienti.

Si possono cosi schematizzare i benefici di una buona reputazione online, facendo riferimento sia alle conclusioni cui arriva Cavallini (2011) sia a quelle di Di Fraia (2011), entrambi concordi che avere una buona reputazione online costituisce un asset strategico per le aziende:

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1. Vendite: una buona reputazione di un prodotto spinge il consumatore al suo acquisto. E permette di migliorare il grado di fedeltà dei clienti che se hanno una buona opinione di quel prodotto non saranno incentivati ad abbandonarlo. Tramite gli strumenti del web poi, le aziende sono in grado di dialogare direttamente con il cliente e questo porterà ulteriori benefici al rapporto.

2. Marketing: attraverso il passaparola sul web si raggiungono nuovi potenziali clienti. 3. Pubblic Relations: permette di rafforzare l’immagine di sé e del proprio prodotto. Ma

una buona reputazione, rafforzando l’immagine dell’azienda, aiuta anche nelle relazioni con il personale interno (che si sente naturalmente più motivato) e con i propri fornitori incentivandoli alla collaborazione.

4. Sviluppo del prodotto: si possono più agevolmente comprendere le esigenze del mercato attraverso i commenti degli utenti.

5. Customer care: attraverso l’analisi della web reputation si può valutare la soddisfazione dei clienti.

6. Strategia: si può osservare tramite il web che cosa viene detto sui nostri concorrenti. Si possono ora individuare alcuni “consigli” per gestire una buona reputazione: prima di tutto occorre essere sempre informati sia sul proprio target online sia su cosa si dice di noi sul web perché solo sapendo “cosa c’è la fuori” si può gestirlo.

Secondariamente avere una presenza attiva, cioè se si inizia un percorso o si affida il monitoraggio della propria reputazione a soggetti esterni bisogna evitare che esso si blocchi all’improvviso. Non c’è niente di peggio di un blog o di una pagina Facebook, per esempio, che funzioni a singhiozzo o che sparisca improvvisamente. Condividere e partecipare alle conversazioni online è il modo più semplice per dimostrare le proprie competenze, farsi conoscere meglio dagli utenti,attirare la loro fiducia ed essere raggiungibile da un ampio numero di persone. Da ricordare che la web reputation rispecchia quello che si è, quello che si legge in una recensione o su un post deriva principalmente da ciò che si è trasmesso.

Promuovere le recensioni dei clienti costituisce un altro elemento molto utile per la gestione della propria reputazione in quanto i potenziali clienti si rivolgono al web in cerca di recensioni su prodotti o servizi di loro interesse e prenderanno le loro decisioni in base a questo, promuovere le recensioni dei clienti è il modo migliore per raccogliere informazioni sulla propria attività. Bisogna invitare gli utenti a lasciare un commento. Assolutamente da evitare sono le finte recensioni positive, spesso vengono scoperte e producono un effetto boomerang. Infine bisogna sfruttare al meglio le potenzialità derivati dal web 2.0 ed in particolar modo dai social media, per poter costruire una reputazione su questi mezzi occorre:

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• Condividere: condividere foto, video o retroscena attira l’attenzione degli utenti e li coinvolge positivamente

• Ascoltare: monitorare cosa si dice sul proprio marchio o prodotto

• Chiedere: porre domande ai propri fan\follower per raccogliere e dimostrare che si è interessati alla loro opinione

• Rispondere: rispondere sempre ai commenti sia positivi sia negativi al più presto possibile. La cosa peggiore è ignorare i commenti negativi, il potenziale danno che potrebbe derivare da un utente insoddisfatto viene affievolito da una decisa risposta dell’azienda dove spiega le proprie ragioni, si impegna a migliorare i propri servizi ed a mantenere un costruttivo dialogo con l’utenza. Nelle risposte ai commenti negativi non bisogna mai attaccare brutalmente, ma spiegare le proprie ragioni. È importante anche dichiarare la propria identità, meglio se accompagnata dal ruolo aziendale.

Senza poi contare che un giudizio negativo può trasformarsi in un’occasione per scoprire un difetto di produzione e di correre ai ripari il prima possibile. • Ricompensare: occorre gratificare i propri fan\follower con offerte e sconti. • Semplificare: ciò non vuol dire essere banali ma gli utenti dei Social Network

tendono a preferire un dialogo diretto e magari anche un tono simpatico dal brand che decidono di seguire.

• Curare il proprio sito internet: il sito deve essere facile da consultare, con il giusto numero di immagini e video e magari cataloghi da scaricare. Occorre essere rapidi e precisi nel rispondere a mail o richieste da parte degli utenti. • Comunicare: diffondere comunicati stampa consente di gestire le notizie

contraddittorie e poco pertinenti che si possono trovare sul web.

A questi consigli piuttosto semplici ma efficaci, possiamo aggiungere il c.d. “schema delle 7 T” (di cui però si prenderanno in esame solo le quattro inerenti alla reputazione), riportato da Di Fraia (2011) a cui si aggiunge una “regola d’oro” considerata la base di tutto e cioè: non ingannare le persone!

Fanno quindi parte di questo schema:

1. Trasparency: bisogna essere trasparenti, non cercare semplicemente di nascondere gli errori o di non considerarli. La reputazione aumenta quando l’azienda accetta le critiche e si mette alla pari dei propri interlocutori.

2. Talk: il linguaggio con il quale si comunica deve privilegiare umiltà, empatia ma soprattutto è consigliabile evitare monologhi e di porsi al centro della conversazione.

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3. True: i clienti devono percepire che l’interesse verso di loro è vero e non dettato solamente da logiche commerciali.

4. Trust: l’approccio positivo verso i propri clienti è il punto di partenza, non bisogna mai sminuire i loro commenti.

Per gestire al meglio la reputazione Cavallini (2011) arriva a proporre una vera e propria road map della web reputation, che si sviluppa in sei passi principali.

Il primo passo (o meglio come viene definito da Cavallini «passo zero») consiste nel redigere un “Digital Reputation Plan”, la parola d’ordine è pertinenza cioè bisogna individuare gli obiettivi che si vuol perseguire (es. vendere più prodotti, far conoscere i propri prodotti ecc.). L’obiettivo deve essere misurabile, solo così infatti si può capire se esso è stato raggiunto o meno, ad esempio può consistere nel numero di fan della propria pagina Facebook oppure il numero di visualizzazioni del video caricato su YouTube. Bisogna inoltre stabilire tempi e metodi per raggiungere l’obiettivo ed aggiornare periodicamente il proprio Digital Plan.

Il secondo passaggio è il monitoraggio delle azioni e delle conversazioni online: utilizzando gli strumenti informatici adatti, si possono scansionare siti, blog, commenti, pagine Facebook ecc. alla ricerca di informazioni pertinenti. Il monitoraggio si può eseguire utilizzando i vari strumenti messi gratuitamente a disposizione dal web (es. Google Alert, Technocrati, etc.). Dopo occorre quantificare cioè essere in grado di filtrare ed interpretare le informazioni raccolte nella fase di monitoraggio in modo da ricavarne dati utilizzabili.

Quasi sicuramente una volta avviato il monitoraggio ed individuato i dati da prendere in considerazione si troveranno delle imprecisioni o dati non esatti, ma questi possono essere corretti in modi piuttosto semplici: il blog personale costituisce ancora una modalità piuttosto efficace per inviare un messaggio forte e chiaro, per rettificare notizie che vengono riportate nel web che non corrispondono propriamente alla realtà. Proporre argomenti con il proprio nome od il marchio della propria azienda garantisce un’esposizione più alta nei motori di ricerca e quindi maggior visibilità, quanto più il blog è aggiornato meglio è. Altrimenti ci si può affidare agli altri social media (Facebook, Twitter, Wikipedia, YouTube solo per citarne alcuni) che sono in grado di offrire innumerevoli modi per partecipare alle comunità online.

Ciò che viene ricavato da questi primi passaggi deve essere condiviso all’interno dell’azienda perché riguarda tutte le sue funzioni, come si è visto precedentemente infatti la tematica della reputazione investe vari settori dell’azienda e quindi tutti devono essere tenuti aggiornati. Infine c’è l’interazione cioè dopo la raccolta dei dati e la loro elaborazione si può iniziare ad interagire con gli utenti, partecipare alle conversazioni e stimolare il dialogo, occorre accettare la critiche e partecipare in modo costruttivo ai dibattiti, solo così si riuscirà a difendere la propria reputazione.

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Tutti i passaggi vanno ripetuti nel tempo, facendo tesoro dei propri errori e capitalizzando i successi.

Fig.2 – Road map della digital reputation

Fonte: www.gaia-matrix.it

1.1.2 Monitorare e misurare la reputazione online

Dopo aver prestato la dovuta attenzione alla Web Reputation ovviamente occorre mettere in pratica sistemi che sono in grado di misurarla e di monitorarla nel corso del tempo.

Sempre più persone trascorrono il loro tempo sui social media dove, a differenza di chat od email, le conversazioni sono pubbliche e quindi visibili e monitorabili. Questi scambi comunicativi sono dedicati prevalentemente ad aziende, prodotti, brand e personaggi pubblici sui quali gli utenti chiedono informazioni ed esprimono opinioni.

Quando si sente parlare di social media monitoring si fa riferimento proprio all’attività pianificata di ascolto del passaparola che ha luogo su blog, social network, siti di recensioni od

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altre forme di espressione sul web. Questo si differenzia, secondo Di Fraia (2011), dai metodi tradizionali di ricerca essenzialmente per tre motivi: i sondaggi tradizionali sono costruiti su risposte prestabilite, le risposte sono influenzate dalla consapevolezza di chi risponde di essere osservato e valutato mentre sul web le conversazioni sono spontanee, infine le opinioni online sono pubbliche e per questo in grado di influenzare altri utenti. Il social media monitoring si articola in tre fasi distinte:

1. Fase di ascolto: consiste nella individuazione delle fonti nelle quali si sviluppano le conversazioni e l’acquisizione degli user-generated content (tweet, post su blog, etc). le fonti sul web sono tantissime, per circoscrivere al meglio la ricerca si possono seguire alcuni accorgimenti: il monitoraggio si può concentrare su quei luoghi online di maggiore rilevanza (es. i social network più frequentati), si può concentrare l’attenzione su fonti specifiche (es. blog dedicati a particolari temi), il monitoraggio potrebbe limitarsi a precisi mercati geografici di riferimento ed infine seguire un criterio linguistico e quindi per esempio limitare l’ascolto alle fonti web in italiano.

2. Fase di comprensione: è la fase centrale del social media monitoring in quanto consiste nell’effettiva comprensione dei dati raccolti, di classificarli ed ordinarli. Spesso si rende necessaria una suddivisione dei dati raccolti attraverso uno schema gerarchico detto ad albero dove le singole unità sono dette nodi o classi. Mano a mano che si scende lungo l’albero le classi diventano sempre più specifiche. La divisione nelle varie classi dei dati raccolti avviene sulla base di appartenenza ad uno stesso campo.

3. L’analisi ed il reporting: l’ultima fase consiste appunto nell’analisi dei dati raccolti e classificati. Grazie a vari meccanismi si possono separare le analisi di tipo qualitativo da quelle di tipo quantitativo. Da tener presente due accorgimenti: di solito di fronte a una mole piuttosto consistente di informazioni si tende a focalizzarsi sui fenomeni di maggior dimensione rischiando così di prestare attenzione solamente a fenomeni già conosciuti e scontati, mentre l’analisi dei trend minori potrebbe far emergere informazioni inaspettate. Inoltre non bisogna prestare attenzione solo ai messaggi pubblicati nel lungo periodo, infatti una lettura quasi in tempo reale di post o commenti può consentire di rilevare messaggi critici e potenzialmente lesivi in tempi brevissimi. Per comprendere ancora meglio il social media monitoring, Di Fraia (2011) riporta anche l’esempio del monitoraggio dei social media eseguito da Samsung Italia. La società voleva monitorare il lancio dei nuovi televisori 3D, il focus veniva posto su alcuni temi chiave come prezzo, innovazione, design, promozioni, supporto tecnico, etc. La fase di ascolto si svolge su una piattaforma apposita, dall’analisi ne risulta che Samsung è di gran lunga il brand più citato sul web per quanto riguarda i televisori 3D. I temi più discussi dagli utenti e quindi quelli da

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tenere maggiormente in considerazione sono: il prezzo (gli utenti hanno sia riportato sia discusso sul web i prezzi), gli accessori, l’innovazione (gli utenti hanno discusso dei possibili futuri sviluppi paragonando il prodotto Samsung anche ai concorrenti) ed infine le promozioni. Si può fin da subito chiarire che esistono sul web varie aziende che forniscono proprio servizi di monitoraggio e misurazione della web reputation a pagamento. Ma per non avere ulteriori costi ci si può servire di strumenti che si trovano “naturalmente” online per compiere questo tipo di azioni in modo altrettanto efficace. Innanzitutto possono essere utili alcuni siti web per monitorare la reputazione e vedere che cosa si dice della propria azienda o della propria persona online. Puppin, consulente web marketing, dal suo blog ne suggerisce alcuni:3

1. Google Alert: basato su avvisi tramite appunto “alert” sulla nostra casella di posta elettronica quando compaiono sulla rete articoli che riportano l’argomento che si è messo in alert. Quindi per esempio all’azienda basterà inserire magari il proprio nome per controllare quando viene citato sul web.

2. Boardtracker: è in grado di cercare discussioni all’interno di blog o forum con riferimento a specifiche parole chiave, anche in questo caso è possibile attivare un servizio di notifica via e-mail.

3. Gli affidabili.it: Proprio basato sui meccanismi forniti dal web 2.0 ed il loro legame con la reputazione è nato il progetto de “gli affidabili.it”. Su questo sito il rating dei servizi e dei professionisti presenti è dato dalla loro reputazione basata sui feedback degli altri utenti.

Lo scopo di base è quello di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di uno specifico servizio di cui viene garantita l’affidabilità perché appunto già provato da altri utenti, chi offre un servizio (da una baby sitter a un dj a un avvocato etc.) può inserire gratuitamente il proprio profilo richiedendo ai proprio clienti di lasciare un commento, una valutazione sul servizio ricevuto. Dall’altra parte chi invece ricerca un servizio può orientarsi tra i diversi fornitori basandosi sul giudizio degli altri utenti. Per effettuare una ricerca basta compilare l’apposita barra di ricerca dove sono indicati i campi “cosa\chi?” e “dove?”, eventualmente si può affinare ulteriormente la ricerca ordinando i risultati ottenuti per i professionisti “più visti” o “più votati”.

L’affidabilità, indicata dal numero di stelline (fino a un massimo di cinque) accanto al nome del soggetto che offre il servizio, viene calcolata sulla base dei giudizi e dei commenti espressi dagli utenti registrati.

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Fonte reperibile all’indirizzo http://www.puppin.it/social_network/monitorare-la-reputazione-online.html

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Inoltre è possibile acquistare dei servizi “premium” per chi offre che gli permettono di avere maggior visibilità negli appositi spazi promozionali del sito e essere raggiunti più velocemente.

Inoltre alla fine del 2011 è stato lanciato il progetto “il blog affidabile” selezionando appunto i blog che si dimostrano più utili alle diverse categorie di mestieri presenti sul sito. Il meccanismo è molto semplice: sono gli stessi blog che ricevono il premio di affidabilità a premiare gli altri blogger. Cioè chi viene “votato” da un blogger come affidabile deve menzionare a sua vola il nome di altri 5 siti\blog che ritiene meritevoli di un giudizio positivo.

4. Social Mention: è un motore di ricerca che permette di raggruppare in un’unica pagina i contenuti provenienti da più social network relativi a uno specifico argomento. Nella home page è presente una barra di ricerca dove è possibile fin da subito selezionare quali siti l’applicazione andrà ad analizzare (Facebook, Flickr, Google Video etc..) e una volta avviata la ricerca Social Mention scandaglia i contenuti sui vari social network e li rende disponibili all’utente in un’unica schermata.

5. Technorati: traccia il passaparola sulla blogosfera e dal Dicembre 2005 scandaglia più di 20 milioni di blog. Dopo aver effettuato la registrazione si può inserire il nome e l’indirizzo del proprio blog e conoscere la propria reputazione rappresentata da un numero intero che indica quanto il proprio blog è stato citato su altri blog, un blog che ne cita un altro (se entrambi sono iscritti su Tecnorati) riceve al massimo un punto ogni sei mesi. Più il punteggio accumulato è alto più i post di quel determinato blog vengono considerati autorevoli.

Oltre a questi strumenti che si trovano già a nostra disposizione ci si può servire di strumenti “più sofisticati” oppure creare ad hoc nuovi metodi di misurazione.

Nel primo caso Dossena (2012) cita due importanti indici per la misurazione della Web Reputation: Il media reputation index che è stato sviluppato dal Reputation Institute in collaborazione con una società di ricerche di mercato, la Delahaye-Medialink. Prende in considerazioni le dimensioni che compongono la reputazione aziendale: emotional appeal (vale a dire quanto l’impresa suscita ammirazione e rispetto), vision e leadership (quanto l’impresa mostra di avere una visione chiara, lungimirante e una solida leadership), financial performance (le performance reddituali e finanziarie legate alle percezioni relative alla redditività, alle prospettive di crescita e al rischio d’impresa), product e services (la percezione diffusa in merito alla qualità, alla convenienza e all’affidabilità dei prodotti e dei servizi dell’impresa), workplace environement (cioè la qualità del lavoro deducibile dalla professionalità dei dipendenti e dalla qualità dell’ambiente di lavoro) ed infine la social responsability ( intesa come l’attenzione

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dimostrata dall’azienda nei confronti dell’ambiente, nella comunità in cui opera e l’impegno a favore di buone cause). In particolare il MRi misura la media reputation delle cento più grandi multinazionali americane basandosi sul numero di volte che il loro nome compare su giornali, televisione e web. Si basa sull’indicatore Net Effect calcolato come media dei valori relativi a tutti i diversi sei elementi della reputazione rapportato poi al valore mediano relativo al totale delle cento imprese rilevate. Quindi si avrà:

MRi = net effect di un’impresa mediana del net effect × 100

Se il risultato ha un valore minore di cento indica che l’impresa ha un valore della media reputation inferiore alla media delle imprese analizzate se, viceversa, l’impresa ha un valore maggiore di cento significa che l’impresa ha un media reputation superiore alla media delle altre.

L’altro indice è il reputation yardstick, simile al media reputation index, è stato ideato dall’istituto InsightFarm. Alle sei componenti precedenti ne vengono aggiunti quattro: etica (che riprende comunque in considerazione anche il tema della sicurezza sul lavoro ma anche la sostenibilità ambientale e la presa di distanza da fenomeni negativi quali ad esempio la corruzione), focus sul cliente (cioè quanto più l’azienda si interessa al cliente, segue le sue esigenze personali e non solo quelle del mercato in generale) , management (con esso si intende come l’azienda viene gestita) e performance finanziaria (cioè la variazione finanziaria in un certo lasso di tempo). Per queste dieci elementi della reputazione il reputation Yardstick ne calcola il tono della copertura e della visibilità.

I due indici illustrati presentano però secondo Dossena (2012) alcune criticità. Prima di tutto la valutazione della copertura è una stima soggettiva che dipende dal contesto, dall’impresa in esame, dal periodo di riferimento e dal valutatore stesso. Secondariamente esistono problemi per la costituzione del campione di media da esaminare ed infine sono utilizzati prevalentemente come strumento di controllo ex post dei risultati conseguiti e raramente sono impiegati come strumenti di pianificazione.

Se volessimo invece costruire un sistema di misurazione ad hoc Vincenzo Cosenza (2010) suggerisce quattro tipologie di misurazione di cui un sistema di misurazione dovrebbe tenere conto, mentre il blog “metricsman” (www.metricsmann.wordpress.com) opera un’interessante divisione tra i modi di pensare che si dovrebbero abbandonare e quelli invece da tenere ben presenti per le misurazioni riguardanti i social network (e quindi anche per la web reputation). Tra gli elementi da prendere in considerazione per la costruzione di un sistema di misurazione si può citare:

1. Counting Metrics: sono le metriche caratteristiche di ogni piattaforma sociale, sono il numero di fan, di followers, di visitatori. Questi “numeri” hanno però senso se

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utilizzati assieme ad altre metriche e spesso cambiano nel tempo. Se prendiamo ad esempio un blog i counting metrics da tenere in considerazione sono per esempio le visite, il numero dei visitatori, il tempo di permanenza, le citazioni in altri blog, i commenti e le condivisioni sui social media.

2. Business Value Metrics: sono quelli più facili da comprendere per gli stakeholder dell’organizzazione perché sono legati al core business, tra questi possiamo ricordare prima di tutto l’impatto sul fatturato in base al quale occorre calcolare il contributo che una specifica attività sui social media ha avuto sul fatturato, per far ciò bisogna che i risultati non siano influenzati da altre attività online e offline e concentrarsi su quella attività specifica. Per esempio per il lancio della nuova Fiat 500 Diesel, Fiat UK ha utilizzato soltanto i social media costruendo un’apposita pagina web come unico modo per ordinare lo specifico modello di auto. Cosi è stato possibile calcolare il contributo preciso alle vendite. Secondariamente possiamo citare l’impatto sulla soddisfazione degli utenti sia misurando le interazioni avvenute online sia sottoponendogli un piccolo questionario in rete. Ed infine l’impatto sulla riduzione dei costi.

Ovviamente organizzazioni diverse possono essere interessate a misurazioni diverse e anche all’interno della stessa organizzazione soggetti diversi possono avere interessi differenti per le varie misurazioni.

3. Outcome Metrics (KPI): permettono in qualunque momento di comprendere il grado di approssimazione ad un obiettivo prestabilito.

4. Foundational Measures: sono quelle ideate per varie attività di marketing e PR non solo quelle sui social media. Queste sono: l’interaction (misura la risposta ottenuta a specifici stimoli riguardanti attività di marketing e public relation. Può fare riferimento a commenti ottenuti sul blog o alla condivisione di un link o ancora alla compilazione di un modulo); l’engagement (misura il grado di coinvolgimento nel fare una determinata azione. Può essere rappresentato da un punteggio da 1 a 100 dove la soglia che separa le attività meno coinvolgenti da quelle più coinvolgenti è individuabile a 50); l’influence (rappresenta il potere di un’azienda o di una persona di influenzare le azioni degli altri); l’advocacy (è la capacità di un brand di essere talmente tanto apprezzato dai consumatori da indurli a promuovere o sponsorizzare il prodotto già prima del sul lancio sul mercato) ed infine l’impact (è l’abilità di una o più persone di determinare il risultato desiderato).

5. Measurable objectives: oggi nelle valutazioni che si fanno su un prodotto, un’azienda o un marchio, si può avere a che fare con obiettivi non misurabili e ciò

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rende le operazioni di calcolo più difficili. Se noi affermiamo per esempio che il nostro obiettivo è misurare la consapevolezza del prodotto X questo obiettivo di per se non è misurabile. Infatti mancano le due caratteristiche che lo renderebbero tale e cioè indicare il cambiamento di interessi che si avrebbe passando dal prodotto X a quello Y e l’individuazione di un periodo di tempo in cui si deve effettuare questo cambiamento. Quindi ciò vale anche per la misurazione della reputazione che deve darsi obiettivi precisi, misurabili e individuati nel tempo attraverso un monitoraggio costante.

6. ROI: il return on investment è un indicatore che deriva dal mondo dell’economia e calcola la redditività del capitale investito cioè quanto del capitale investito ritorna in termini di reddito. Questo indicatore è applicabile anche al mondo dei social media perché si può calcolare quanto ritorna del capitale investito in questi mezzi di comunicazione. Il ROI è in questo caso una forma di impatto che si crea quando le persone diventano consapevoli di noi, sono influenzati da contenuti o da altri utenti e sono quindi portati a compiere qualche azione come consigliare a un amico o scrivere una recensione o acquistare un prodotto, insomma tutte azioni che ritornano come frutto di un nostro investimento.

Tra la cose da abbandonare invece si possono citare:

1. L’impression: le public relations hanno sempre preferito affidarsi alla quantità e non alla qualità. Oggi questo modo di pensare se già trova poco riscontro nei media tradizionali perde del tutto il senso nel mondo dei social media. Le impressioni portano a sovrastimare i dati, non permettono di individuare la percentuale del pubblico potenziale che in realtà ha visto quel contenuto. Facciamo l’esempio di Twitter: molte persone tendono a prendere a riferimento la somma dei seguaci che ha un determinato tweet (secondo la regola “più ce ne sono meglio è”) anche proprio per valutare la reputazione, il problema evidente è che la probabilità che ogni follower veda qualsiasi tweet è abbastanza bassa e quindi non se ne può ricavare una stima precisa.

2. Vanity metrics (fans e followers): alcuni tipi di misurazioni tendono a dare troppa importanza al numero di fan o followers che un’azienda o un marchio ha, si presta attenzione solo a questo aspetto cercando di massimizzare il numero di seguaci. In realtà, come già ricordato in precedenza, questo è solo uno degli aspetti che si possono valutare per misurare la reputazione ma non sicuramente l’unico ne il più preciso. Avere tanti seguaci può essere sintomo di

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popolarità ma non necessariamente di influenza cioè di riuscire ad indirizzare le opinioni altrui e quindi garanzia di buona reputazione.

3. Standardization: c’è chi afferma che occorra standardizzare per riuscire meglio nelle operazioni di raccolta ed elaborazione dei dati e chi invece sostiene che ogni situazione sia unica e quindi necessita di metriche diverse. Possiamo però affermare che per quanto riguarda i social media la scelta di standardizzare o meno dipende dall’obiettivo che quell’azienda vuole raggiungere, che tipo di influenza vuole esercitare, c’è infatti differenza se si vuole motivare per sviluppare un azione (per esempio spargere la voce su un proprio prodotto e quindi migliorare la reputazione attraverso il passaparola) o solo indurre all’acquisto. Nel primo caso è più difficile standardizzare ma anzi occorre diversificare il più possibile i “canali” per raggiungere una buona reputazione, nel secondo caso ci si rifà un po’ alle regole del mercato di massa cioè non è il prodotto che segue le esigenze dei clienti ma un prodotto standard per più clienti.

Un esempio concreto di misurazione della reputazione è quello condotto dal Reputation Institute in collaborazione con Doxa4. Nell’indagine sono state condotte 3644 interviste online nel mese di Febbraio 2012 della durata media di dieci minuti in cui si è chiesto agli intervistati di valutare fino ad un massimo di cinque aziende. Le aziende selezionate sono quelle risultate le principali società italiane nei settori industria, commercio, finanza, leasing e del settore business to business, dal rapporto Mediobanca del 2011. La misurazione è state condotta attraverso il media reputation index. I risultati hanno promosso Giorgio Armani come l’azienda con la migliore reputazione in Italia seguito da Ferrero e Barilla rispettivamente al secondo e terzo posto. Le “nostre” aziende sono però tallonate dai tre colossi tedeschi di Volkwagen, BMW e Mercedes che consacrano la loro superiorità in campo automobilistico (Fiat si piazza solo al settantesimo posto).

1.2 La reputazione un’arma a doppio taglio

A ulteriore dimostrazione di quanto la web reputation sia importante e di conseguenza vada curata si possono citare alcuni casi molti significativi.

Il primo è il caso di Patrizia Pepe e della modella considerata troppo magra, questo esempio viene riportato da Vincos Blog (2011) a dimostrazione proprio di un pessimo caso di

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Oggi una delle più importanti aziende italiane di ricerche di mercato e sondaggi di opinione (www.doxa.it)

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comunicazione in rete. Il brand di abbigliamento italiano Patrizia Pepe sceglie per il lancio della sua campagna pubblicitaria per la nuova collezione di servirsi anche dei Social Network in particolare Facebook pubblicando foto di modelle con indosso gli abiti dell’azienda in luoghi particolari. Una di queste foto in particolare attira l’attenzione di alcuni utenti ma non in modo positivo, infatti ciò che viene criticato è l’eccessiva magrezza della modella arrivando a apostrofarla come anoressica. La risposta di Patrizia Pepe non si fa attendere ma invece di prendere comunque in considerazione una critica mossa da alcune fan (e quindi potenziali clienti), l’azienda opta per il contrattacco sostenendo che il loro linguaggio sta offendendo “modelle magre per DNA”.

Indipendentemente da come la si pensi sull’argomento è innegabile che questo approccio sia sbagliato, l’azienda, infatti, invece di promuovere una discussione seria che mettesse in luce la responsabilità sociale di un’azienda di moda, magari pubblicando foto del backstage della modella in questione per dimostrare che di anoressia non vi era traccia, ha continuato per la via dell’intransigenza.

Un secondo episodio, riportato da Di Fraia (2011), assai disdicevole ha come protagonista la catena di supermercati “Carrefour Italia”, qui durante un tour promozionale del cartone animato “Cars” in cui i bambini potevano farsi fotografare accanto a un modello di dimensioni reali del protagonista, un bambino con problemi di autismo viene trattato piuttosto bruscamente dal fotografo e da altri addetti. Questo provoca naturalmente la reazione della madre che si sente addirittura rispondere da una hostess presente “ se non è normale non lo deve portare in mezzo alla gente”. La donna, che da tempo gestisce un blog, decide di usare l’arma del web, scrive una lettera aperta che in poco tempo riceve 600 commenti solo sul blog arrivando anche ad essere trattata da alcuni giornali.

Arriva a questo punto una risposta piuttosto formale dell’azienda in cui si fanno le scuse per l’accaduto e dove si impegna a prendere provvedimenti contro chi ha mancano di rispetto al bambino. La vicenda può però dirsi conclusa in modo piuttosto ambiguo: la signora afferma di aver rinunciato a qualsiasi offerta economica ma di aver ottenuto la promessa dell’apertura di una raccolta fondi a favore della ricerca sull’autismo, ma in rete non vi è traccia di seguito (l’episodio risale al 2008).

Questo caso mostra comunque come la totale impreparazione di Carrefour verso certe situazioni critiche e il grosso clamore e la rapidità di diffusione che ha riscosso la notizia sul web, abbiano pesantemente condizionato la reputazione dell’azienda.

Altro episodio viene riportato dal blog Media Gu (2013) che cita il caso di Kenneth Cole famoso stilista di star di Hollywood nonché brand di moda, profumi ed accessori. Proprio nei giorni delle sanguinose rivolte in Egitto, Cole ha avuto la pessima idea di pubblicare un tweet

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che affermava «c’è grande confusione al Cairo, alcune voci dicono che hanno saputo che la nostra collezione primaverile è in vendita on line». Frase a dir poco agghiacciante e fuori luogo che provoca la reazione di centinaia di proteste sul web (si contano 1500 retweet solo nella prima ora), lo stilista viene accusato di non aver rispetto della vita delle persone. Cole reagisce cancellando il tweet di poco gusto e porge le sue scuse, ma il danno ormai è stato fatto: il web non dimentica. Tra l’altro episodio molto simile a quello accaduto in tempi piuttosto recenti a Groupalia, azienda che si occupa della vendita a prezzi convenienti di viaggi, servizi e prodotti. La vicenda, riportata da molti siti e blog tra cui Tech Economy (2012), si svolge nei terribili giorni del terremoto in Emilia, precisamente il 29 maggio 2012 l’azienda pubblica un tweet che recita “Paura del terremoto? Molliamo tutto e scappiamo a Santo Domingo!”. Il post non passa inosservato e scatena, come prevedibile, una reazione molto forte del web. Dopo pochi minuti il tweet viene rimosso seguito dalle scuse di Groupalia, ma per il popolo del web non è ancora abbastanza. L’azienda allora tenta la carta della solidarietà, ma sarà un tentativo piuttosto maldestro, infatti annuncia di voler donare un euro alla Croce Rossa Italiana per ogni deal (pacchetto) venduto in quella giornata. Ciò scatena ancora di più l’ira degli utenti, accusando l’azienda di voler continuare a speculare sulla tragedia. A Groupalia non resta che porgere le scuse ufficiali tramite il Country Mangaer per l’Italia, facendo ricadere la responsabilità dell’accaduto su persone poco esperte all’interno della società.

Di esempi da riportare ce ne sarebbero molti altri, è possibile però concludere che non esiste sicuramente un modo univoco o una regola precisa per agire davanti ad un commento o post negativo, l’importante è “mantenere la calma” e non reagire aggressivamente nei confronti dell’utente.

Guido Di Fraia (2011) propone, a questo proposito, un’interessante insieme di consigli per affrontare al meglio una situazione di dissenso sul web:

1. Mettersi nei panni del cliente, ricostruire la sua esperienza e quindi individuare chi è, perché non è rimasto soddisfatto e cosa si può fare per migliorare il servizio.

2. Valutare l’attendibilità o meno di chi ha scritto il commento negativo, domandarsi quindi se è un cliente prevenuto, se è davvero un cliente o se addirittura scrive per conto di concorrenti dell’azienda. Può essere coinvolto in questa fase anche l’ufficio legale, ma è consigliabile farlo sono nei casi piuttosto gravi.

3. Valutare l’impatto del commento sul pubblico, in pratica ci si chiede “quanti clienti può raggiungere?”, bisogna infatti tenere conto che un post di uno sconosciuto o di un persona che non gode di un’alta reputazione o fiducia in quel determinato campo, può avere un’influenza irrilevante ed essere ignorato dalla maggior parte degli utenti. Ciò

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però non significa che anche l’azienda debba ignorare del tutto quel commento ma occorre dargli la dovuta importanza.

4. A chi può interessare? Un commento negativo su un particolare prodotto o servizio non è detto che sia considerato pessimo da tutti gli utenti, se per esempio una struttura alberghiera viene etichettata come noiosa perché “non succede mai nulla”, questo potrebbe essere una caratteristica positiva per chi cerca tranquillità.

5. Risposta dell’azienda: la risposta non deve essere ne ironica ne tanto meno aggressiva, deve contenere la “risoluzione amichevole” e quindi trovare un punto d’incontro con gli utenti, il tono della conversazione deve rispecchiare i toni utilizzati nell’ambiente in cui il post è scritto.

Alcune volte potremmo trovarci di fronte a commenti “in malafede”, in questo caso è bene non dare troppa visibilità a quel commento da parte dell’azienda, è infatti probabile che gli altri utenti si siano accorti della non sincerità di quell’intervento. Inoltre prima di qualsiasi altra azione è consigliabile di rivolgersi direttamente al forum al blog o al social network dove compare il commento per chiedere di moderarlo o eliminarlo, anche se quest’ultima soluzione deve utilizzarsi solo nei casi più gravi.

In ogni caso è bene che l’azienda incentivi sempre i propri clienti a lasciare commenti o testimonianze sul web delle loro esperienze, per riuscire cosi a creare magari un bacino di utenti soddisfatti i cui commenti possano in qualche modo “bilanciare” eventuali commenti negativi. È comunque bene ricordare sempre che una dose di dissenso si può considerare fisiologica e naturale e può servire a rendere più credibile l’offerta dell’azienda stessa.

In conclusione possiamo riportare, sempre a titolo di esempio, il caso di un’azienda, la EA Sport, che ha saputo sfruttare a proprio favore una critica mossa proprio dal mondo del web. L’episodio non è recentissimo, siamo nel 2008, e riguarda il videogioco “Tiger Woods PGA TOUR 08” qui per un errore di visualizzazione della schermata del gioco si vedeva il golfista Tiger Woods camminare sull’acqua. Un piccolo errore che non ha evitato però la reazione del web che era diviso tra chi prendeva l’episodio con spiccata ilarità e chi addirittura “gridava allo scandalo” per il presunto accostamento tra lo sportivo e Gesù.

L’azienda ha saputo affrontare l’episodio nel migliore dei modi, prendendolo come stimolo a fare meglio, attraverso la collaborazione con gli utenti il tutto si trasforma quasi in uno sforzo di co-creazione. Non facendosi abbattere dalle numerose critiche ricevute, ma anzi considerandole in modo costruttivo, la società si è impegnata in un’opera di miglioramento del videogioco in questione prendendo spunto dai suggerimenti degli utenti, facendoli così partecipare attivamente a possibili miglioramenti raccogliendo i loro messaggio sul web. La reputazione è così salva.

Figura

Fig. 3 – Ricerca Business Intelligence Ottobre 2011
Fig. 8- L’immagine del profilo di Nutella
Fig. - 26 La Category list             Fig.-27 Il box Tag

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