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Implementazione e test di un sistema di ricircolo di gas combusti per una caldaia a biomassa

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Academic year: 2021

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Testo completo

(1)

Elenco delle figure 3

Elenco delle tabelle 6

1 Introduzione 1

1.1 Biomassa . . . 3

1.1.1 Biocombustibili allo stato solido . . . 6

1.2 Stoccaggio e movimentazione . . . 10

1.3 Combustione della biomassa legnosa . . . 12

1.3.1 Formazione di inquinanti nella combustione . . . 13

1.4 Tecnologie per la produzione di energia termica . . . 14

1.4.1 Generatori di calore a biomassa legnosa . . . 14

1.4.2 Combustione di piccola e media potenza . . . 15

1.4.3 Tecnologie per la riduzione degli inquinanti . . . 17

2 Impianto prima delle modifiche 20 2.1 Sistema di stoccaggio e alimentazione . . . 21

2.2 Caldaia . . . 21

2.3 Evaporatore . . . 23

2.4 Sistema di distribuzione dell’aria . . . 24

2.5 Sistema di acquisizione delle misure . . . 25

2.5.1 Acquisizione temperature . . . 25

2.5.2 Acquisizione portate . . . 27

3 Modifiche all’impianto 28 3.1 Sistema di ricircolo dei gas combusti . . . 28

3.2 Modifica definitiva al sistema di ricircolo . . . 30

3.2.1 Manometro a U . . . 36

3.3 Modifica al sistema di misura . . . 40

(2)

4.1 Risultati ottenuti in letteratura . . . 44

4.1.1 Rendimento . . . 45

4.1.2 Emissioni di CO . . . 46

4.1.3 Emissioni di NOx . . . 46

4.2 Stima delle concentrazioni . . . 48

4.2.1 Bilanci di massa . . . 48

4.2.2 Bilanci per specie . . . 50

4.2.3 Concentrazioni dei fumi in ingresso e in uscita . . . 52

4.3 Stima delle temperature . . . 55

4.3.1 Temperatura dei fumi in uscita dalla caldaia . . . 57

4.3.2 Temperatura dei fumi in ingresso alla caldaia . . . 59

4.4 Considerazioni finali sui risultati . . . 61

5 Studio sperimentale del sistema 62 5.1 Approvvigionamento del cippato di pioppo . . . 62

5.2 Impostazione dei sistemi di misura e controllo . . . 64

5.3 Analisi dei risultati . . . 67

5.3.1 Temperature nel letto di combustione . . . 67

5.3.2 Temperatura dei fumi in ingresso allo scambiatore . . . 70

5.3.3 Termoresistenze (RTD) . . . 71

5.3.4 Concentrazione di ossigeno nei fumi . . . 73

6 Conclusioni e sviluppi futuri 75

(3)

1.1 Logo e indirizzo del CRIBE. . . 2

1.2 Ciclo della biomassa legnosa. . . 3

1.3 Periodo di rispristino e di sfruttamento delle biomasse. . . 4

1.4 Principali forme di biomasse allo stato solido. . . 6

1.5 Potere calorifico inferiore dei vari combustibili [6]. . . 8

1.6 Depositi al coperto o all’aperto [7]. . . 11

1.7 Strutture per il contenimento della biomassa sfusa [7]. . . 11

1.8 Suddivisione % delle componenti del legno durante la combustione [8]. 12 1.9 Schema di funzionamento del Reburning, Fonte: ENEL. . . 19

2.1 Schema attuale dell’impianto [11]. . . 20

2.2 Sistema di stoccaggio e alimentazione [11]. . . 21

2.3 Caldaia a letto fisso da 140kW e schema con le dimensioni [11]. . . . 22

2.4 Ugello per l’aria secondaria in alto, ugelli per l’aria primaria in basso. 22 2.5 Deposito delle ceneri [11]. . . 23

2.6 Sistema di distribuzione dell’aria [11]. . . 24

2.7 Ventilatore secondario [11]. . . 25

2.8 Disposizione delle termocoppie all’interno del letto della caldaia, misure in millimetri [11]. . . 26

3.1 Schema dei tubi per il ricircolo dei fumi [11]. . . 28

3.2 Ventilatore per ricircolo dei fumi [11]. . . 29

3.3 Schema del collegamento e collegamento realizzato [11]. . . 29

3.4 Disegno schematico delle termoresistenze e delle portate in gioco [11]. 30 3.5 Errore di misura sulla portata dei fumi al variare della T fumi e della T aria. . . 32

3.6 Temperatura dei fumi al variare della lunghezza del tubo di ricircolo. 33 3.7 Tubo di ricircolo coibentato, parte iniziale. . . 34

3.8 Tubo di ricircolo coibentato, parte finale. . . 34

3.9 Raccordo a T coibentato. . . 35 3.10 Schema del sistema di ricircolo fumi, raccordo a T e sistema di misura. 36

(4)

ricircolati. . . 37

3.12 Disegni 3D dei supporti da stampare. . . 38

3.13 Stampe 3D in plastica dei supporti. . . 39

3.14 Nuovo supporto per termocoppie. . . 40

3.15 Disegno tecnico del nuovo supporto per termocoppie. . . 41

3.16 Schema a blocchi di LabVIEW per il test delle termocoppie. . . 42

3.17 Posizionamento e fissaggio delle termocoppie al supporto. . . 42

3.18 Posizionamento della TC aggiuntiva. . . 43

3.19 Posizionamento completo del supporto e delle termocoppie. . . 43

4.1 Andamento del rendimento in funzione del rapporto di aria totale [11]. 45 4.2 Andamento della concentrazione di NOx letto in funzione del rap-porto α/αst (a), Andamento della temperatura superiore del letto in funzione del rapporto α/αst (b) [11]. . . 46

4.3 Schema dei flussi in caldaia. . . 47

4.4 Schema dei bilanci di massa. . . 49

4.5 Schema dei bilanci di specie chimica. . . 50

4.6 Schema di bilancio al NODO 2. . . 51

4.7 Punti di interesse per le concentrazioni in ingresso alla caldaia e in uscita da essa. . . 52

4.8 Concentrazione dei fumi in ingresso (MA+R) al variare di R. . . 54

4.9 Concentrazione dei fumi in ingresso (MA+R) al variare di α e R. . . 55

4.10 Concentrazione dei fumi in uscita (MF) al variare di α. . . 55

4.11 Schema della camera di combustione adiabatica. . . 56

4.12 Temperatura dei fumi in uscita al variare di α . . . 58

4.13 Variazione della temperatura dei fumi in funzione della lunghezza del tubo di ricircolo con isolante spesso 30 mm. . . 59

4.14 Schema del bilancio entalpico al NODO 1. . . 59

4.15 Temperatura dei fumi in ingresso al variare del ricircolo R. . . 60

4.16 Temperatura dei fumi in ingresso al variare di α. . . 61

5.1 Logo della società [40]. . . 62

5.2 Fase di approvvigionamento del combustibile. . . 63

5.3 Collegamento del manometro a U al tubo di ricircolo. . . 64

5.4 Schema definitivo dell’impianto. . . 65

5.5 Disposizione delle TC nel letto di combustione. . . 67

5.6 Temperature sul lato sinistro del letto di combustione. . . 68

5.7 Temperature nella parte centrale del letto di combustione. . . 69

5.8 Temperature sul lato destro del letto di combustione. . . 70

5.9 Temperatura dei fumi in ingresso allo scambiatore. . . 71

(5)

raccordo. . . 72 5.12 Concentrazione di ossigeno nei fumi al variare di α/αst. . . 73 5.13 Concentrazione di O2 nei fumi al variare di ˙mR/ ˙ma,P. . . 74

(6)

1.1 Composizione elementare delle principali biomasse legnose [5]. . . . 5

1.2 Densità energetica di alcune tipologie di biomasse legnose [7]. . . 10

1.3 Limiti di legge per medi impianti di combustione nuovi alimenta-ti a biomasse solide di potenza inferiore a 1 MW installaalimenta-ti dal 19 dicembre 2017 [3]. . . 14

2.1 Strumenti di misura e rispettivi errori strumentali [11]. . . 25

4.1 Composizione della biomassa e potere calorifico inferiore [17]. . . 54

4.2 Intervalli di interesse per i parametri di studio. . . 61

5.1 Strumenti di misura e rispettivi errori strumentali. . . 64

5.2 Matrice delle prove da effettuare con i rispettivi punti di lavoro teorici. 66 5.3 Valori di ˙mR e del suo rapporto con ˙maP nei casi di R al 50 o al 75%. 67 5.4 Matrice delle prove effettuate con i valori reali di α/αst. . . 74

(7)

La biomassa lignocellulosica è tutt’oggi una risorsa fontamentale nel panorama ener-getico globale, il suo utilizzo ricopre un ruolo chiave per lo sviluppo delle tecnologie per la conversione da fonti rinnovabili. Per questo motivo è necessario studiare nuove strategie sia tecnologiche che gestionali per sfruttare questa risorsa in modo sostenibile e migliorare le attuali tecniche per il controllo degli inquinanti emessi dalla combustione. Nel presente elaborato si è analizzato l’effetto del ricircolo dei gas combusti all’interno di una caldaia da 140 kW alimentata con cippato di pioppo. Lo scopo principale è quello di capire se la tecnica del ricircolo dei fumi permette di uniformare effettivamente le temperature all’interno del letto di combustione in modo da poterle controllare e quindi poter gestire la produzione di CO e NOx. Il controllo delle temperature è inoltre fondamentale per evitare la formazione di ceneri e particelle trasportate dai prodotti di combustione. Si vuole, però, valu-tarene la criticità per quanto riguarda il raffreddamento del letto di combustione, immediata conseguenza della reimmissione in caldaia di fumi più freddi. Per effet-tuare le prove è stato necessario progettare e implementare il sistema di ricircolo e apportare alcune modifiche al sistema di misura già presente.

(8)

Introduzione

Le previsioni dei centri meteorologici del Regno Unito prevedono che il 2020 sarà uno dei sei anni più caldi dal 1850, da quando cioè sono iniziate le registrazioni di temperatura. Tutti gli altri anni più caldi sono avvenuti dal 2015 in poi. La temperatura media globale si posizionerà fra 0.99°C e 1.23°C sopra la media del periodo pre-industriale, dal 1850 - 1900, secondo le previsioni del Met Office [33] del Regno Unito.

Se questa previsione diventerà realtà, continuerà la tendenza per gli anni più caldi che il mondo abbia vissuto dal 2015, quando le temperature globali superarono per la prima volta di 1°C quelle del periodo preindustriale del 1850 - 1900. La previsione porta il mondo più vicino all’orlo della “disgregazione climatica”. Ai ritmi attuali, la soglia dell’1,5°C sarà infatti superata nell’arco di due decenni, con conseguenze gravissime per l’intero pianeta. Tali previsioni non fanno altro che aggravare l’urgenza di un piano globale per la riduzione delle emissioni di gas serra. Prima e forse anche ultima occasione utile, sarà la COP26 (26-esima United Nations Climate Change Conference) di Glasgow del prossimo dicembre.

Gli esperti dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), in occasione della sua decima assemblea annuale di Abu Dhabi, hanno annunciato che le fonti rinnovabili oggi forniscono il 26% della potenza energetica globale, ma questa quota deve più che raddoppiare entro il 2030 per garantire la sicurezza cli-matica e accelerare lo sviluppo sostenibile. È stato presentato un documento che riporta i progressi compiuti dal 2010 a oggi e le prospettive future del mercato mondiale delle rinnovabili. Secondo IRENA, almeno il 57% della produzione glo-bale di energia deve arrivare entro il 2030 da fonti rinnovabili come energia solare, eolica, geotermica e biocarburanti. Tuttavia, per riuscirci, dovranno raddoppiare gli investimenti annuali nel settore passando da 330 a 750 miliardi di dollari.

Nella presente tesi si vuole studiare nello specifico una delle diverse fonti rin-novabili, la biomassa. La biomassa può essere una fonte principalmente per la produzione di combustibili alternativi che possono essere utilizzati per sostituire gradualmente i combustibili fossili. Ad ogni tipologia di combustibile, però, sono

(9)

legate diverse tecnologie di conversione energetica. In particolare, si vuole analiz-zare la combustione del cippato di biomassa in una una caldaia a letto fisso (di tipo underfeed stoker) da 140 kW per la quale è progettato e implementato un sistema di ricircolo di gas combusti in caldaia con lo scopo di controllare la temperatura e quindi ridurre potenzialmente le emissioni di NOx e CO utilizzando la tecnica di abbattimento del ricircolo dei fumi in camera di combustione.

Lo studio è stato realizzato presso il CRIBE (Centro di Ricerca Interuniversitario sulle Biomasse da Energia) a San Piero a Grado, Pisa. Il centro promuove e realizza studi e ricerche sulla produzione e conservazione delle biomasse da energia (agricole, agroindustriali e forestali, residuali o da colture dedicate) e sulle tecnologie e gli impianti per la trasformazione ed utilizzazione di queste in campo energetico e nella produzione di materiali ed intermedi, anche allo scopo di favorire il trasferimento tecnologico, lo scambio di informazioni, stimolare iniziative produttive, didattiche, di divulgazione e di collaborazione interprofessionale.

Figura 1.1: Logo e indirizzo del CRIBE.

Nel presente elaborato è stata innanzitutto migliorata la configurazione sia del sistema di misura che del sistema di ricircolo di gas combusti in caldaia, sono stati valutati gli intervalli di funzionamento per avere analiticamente una stima di quali fossero le concentrazioni e successivamente testato il sistema sperimentalmente per stabilirne l’effettiva efficacia nel controllo delle temperature, della concentrazione di ossigeno e quindi delle potenziali emissioni.

(10)

1.1

Biomassa

Tra le diverse fonti, in particolar modo in Italia, le biomasse costituiscono nel complesso la prima fonte di energia rinnovabile impiegata per la produzione di calore. Tra queste la legna da ardere è la tipologia di combustibile più utilizzata (con circa l’88% del totale e 5,8 milioni di t equivalenti di petrolio) [34], in Figura 1.2 il ciclo della biomassa legnosa.

Figura 1.2: Ciclo della biomassa legnosa.

La biomassa rappresenta una sofisticata forma di accumulo dell’energia solare infatti, l’energia radiante, grazie alla fotosintesi clorofilliana, viene trasformata in energia chimica ad alto contenuto energetico. Per questo motivo la biomassa viene considerata una risorsa rinnovabile ed inesauribile, se opportunamente utilizzata, ovvero se il ritmo di impiego della stessa non supera la capacità di rigenerazione delle formazioni vegetali.

Il meccanismo più importante per la fissazione del carbonio nei tessuti viventi è la fotosintesi. Con la fotosintesi l’anidride carbonica atmosferica viene assorbita dalle piante e assieme ad acqua ed energia solare va a formare zuccheri ad alto contenuto energetico, necessari sia ad alimentare i tessuti vegetali, che per essere trasformati in altre sostanze, come la cellulosa. A loro volta queste sostanze vanno a formare il legno e come sottoprodotto della fotosintesi si forma ossigeno che viene rilasciato nell’atmosfera.

Si può perciò affermare che le biomasse dal punto di vista dell’emissione di gas serra hanno un bilancio nullo in quanto, durante il processo di crescita, la pianta, assorbirà una quantità di anidride carbonica che successivamente sarà proprio pari a quella rilasciata durante il processo di combustione.

Inoltre, la formazione di ossidi di zolfo (SOx) e di ossidi di azoto (NOx) è nettamente inferiore a quella rilasciata dai combustibili fossili.

(11)

Per poter definire una fonte come “rinnovabile”, però, è necessario che il periodo di ripristino sia identico a quello di rigenerazione e che lo sfruttamento energetico sia sostenibile, con impatto trascurabile o nullo sull’ambiente (Fig. 1.3).

Figura 1.3: Periodo di rispristino e di sfruttamento delle biomasse.

In particolare, per quanto attiene il primo elemento, il periodo di ripristino delle biomasse risulta essere piuttosto breve: in altre parole, il tempo di sfruttamento della sostanza è confrontabile con quello della sua rigenerazione, consentendo così di adempiere a uno dei principali requisiti utili per la riconduzione di una sostanza chi-mica organica nel recinto delle biomasse. Proprio per questo motivo, peraltro, altre materie chimiche organiche come i fossili, non possono essere considerate biomasse. Perciò, per quanto concerne la sostenibilità, la strada da percorrere riguarda tre procedure: la riattivazione della gestione forestale sul territorio nazionale, la razionalizzazione degli impianti e la promozione di filiere corte1 locali.

Per ridurre l’impatto ambientale è necessario un continuo sviluppo delle tec-nologie applicate ai processi di conversione termochimica delle biomasse al fine di garantire un uso efficiente delle stesse, aumentando l’energia ricavabile.

Molta attenzione, infatti, è posta sui sistemi di conversione di piccole dimensioni, che consentono l’utilizzo di biomasse locali2. Questi sistemi permettono la raccolta e la produzione di energia localizzata ottenendo il massimo vantaggio, cosa che non avverrebbe per impianti più grandi dove occorre una raccolta su larga scala.

1Rispetto al contesto italiano, il concetto di filiera corta per le biomasse a fini energetici ha

trovato un riconoscimento e una qualificazione normativa [1] - si considerano da filiera corta biomasse prodotte entro il raggio di 70 km dall’impianto di produzione.

2Per la produzione di biomassa legnosa in genere si adottano cicli brevissimi che vanno da 1-2

anni fino a 5-7 anni con specie come, ad esempio, pioppo, salice, robinia, platano, olmo, frassini, ontano, carpini o querce [35].

(12)

Definizione di biomassa:

Ai sensi della legislazione comunitaria e nazionale sull’incentivazione delle fonti rinnovabili (Direttiva 2001/77/CE e D.Lgs. 387/2003, modificati dalla Direttiva 2009/28/CE e D.Lgs. 28/2011), con il termine biomassa deve intendersi “la fra-zione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dal-le industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci e dal-le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani” [2].

La definizione di biomassa, dunque, comprende materiali di origine eterogenea (vegetale ed animale, ma anche la parte biodegradabile dei rifiuti) che possono essere anche molto diversi tra loro per caratteristiche chimiche e fisiche. In questo caso studio si pone particolare attenzione alle biomasse di tipo legnoso, i biocombustibili allo stato solido (Tabella 1.1).

C H O N S Cl Ceneri PCI Combustibile [%] [%] [%] [%] [%] [%] [%] [MJ/kg] Legno di abete 49,00 5,98 44,75 0,05 0,01 0,01 0,2 18,74 Legna di pioppo 48,45 5,85 43,69 0,47 0,01 0,10 1,43 18,19 Legna di faggio 51,64 6,26 41,45 - - - 0,65 18,63 Legna di quercia 49,98 5,38 43,13 0,35 0,01 0,04 1,61 18,33 Legna di eucalipto 49,00 5,87 43,97 0,30 0,01 0,13 0,72 18,23 Paglia di frumento 43,20 5,00 39,40 0,61 0,11 0,28 11,40 16,49 Paglia di riso 41,78 4,63 36,57 0,70 0,08 0,34 15,90 15,34 Stocchi di mais 43,65 5,56 43,31 0,61 0,01 0,60 6,26 16,52 Residui potatura: Vite 47,14 5,82 43,03 0,86 0,01 0,13 3,01 17,86 Mandorlo 51,30 5,29 40,90 0,66 0,01 0,04 1,80 19,93 Lolla di riso 40,96 4,30 35,86 0,40 0,02 0,12 18,34 15,27 Gusci di mandorla 44,98 5,97 42,97 1,16 0,02 - 5,60 18,17 Noccioli di pesca 53,00 5,90 39,14 0,32 0,05 - 1,59 19,62 Noccioli di oliva 48,81 6,23 43,48 0,36 0,02 - 1,10 21,12 Sanse esauste 32,73 5,29 37,82 - 0,64 - 12,52 15,50

Tabella 1.1: Composizione elementare delle principali biomasse legnose [5].

Le principali caratteristiche chimico - fisiche vengono evidenziate dall’analisi immediata e dall’analisi elementare della biomassa solida.

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La prima permette la determinazione del contenuto di umidità, ceneri, sostanze volatili e carbonio fisso, la seconda invece permette di evidenziare i vari elementi presenti nel campione di biomassa come carbonio, azoto, idrogeno, ossigeno e zolfo.

1.1.1

Biocombustibili allo stato solido

Le biomasse lignocellulosiche, prima di essere immesse sul mercato, subiscono gene-ralmente un processo di trasformazione volto a conferire loro caratteristiche fisiche ed energetiche necessarie al loro utilizzo commerciale.

La scelta tra le principali forme è legata soprattutto ai costi di stocaggio e di utilizzo, quindi alla loro densità energetica. Le principali forme commerciali per le biomasse allo stato solido sono la legna da ardere, il cippato, il pellet e i bricchetti (Fig. 1.4).

(a) Legna in ciocchi. (b) cippato di legno.

(c) Pellets di legno. (d) Bricchette di legno.

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1. Legna da ardere (in ciocchi o tronchetti): La legna da ardere è un combusti-bile solido ancora oggi molto utilizzato in Italia ed è anzi il principale combu-stibile legnoso utilizzato (circa 19,1 Mt/anno [4]). Ciononostante, l’utilizzo di questa tipologia di biocombustibile avviene quasi esclusivamente a livello domestico in piccoli impianti alimentati manualmente come camini aperti e stufe tradizionali. Generalmente, gli utilizzatori finali provvedono autono-mamente alla produzione del combustibile oppure lo acquistano sul mercato locale. La legna è solitamente venduta in ciocchi o tronchetti, con pezzature che vanno dai 50 ai 500 mm di lunghezza [4].

2. Cippato: Questa tipologia di biocombustibile si ottiene tramite la cippatura dei residui delle utilizzazioni boschive tanto erbose quanto legnose (sottomi-sure, ramaglie e cimali) e la successiva riduzione in scaglie omogenee (3-5 cm [4]), idonee all’alimentazione automatica degli impianti energetici. L’omoge-neità (ottenuta con la calibratura tramite vagli) è infatti uno dei parametri più importanti per i chips destinati alla combustione, dato che la presenza di chips di dimensioni disomogenee provoca spesso fastidiosi blocchi dei sistemi d’alimentazione degli impianti.

3. Pellet: Il pellet è un biocombustibile densificato normalmente di forma ci-lindrica, derivante da un processo industriale attraverso il quale la biomassa polverizzata viene compressa e trasformata in piccoli cilindri di diametro va-riabile da 6 a 8 mm e lunghezza tra i 5 ed i 40 mm [4]. Il pellet può essere utilizzato sia in stufe che in caldaie appositamente adattate. Il grande in-teresse suscitato da questo biocombustibile deriva dal fatto che esso, nella movimentazione, si comporti in maniera simile ai fluidi: ciò permette un ele-vato grado di automazione degli apparecchi e degli impianti di combustione. Per la produzione di pellet possono essere impiegate diverse tipologie di mate-rie prime, di origine legnosa e non, anche se tutt’oggi l’origine legnosa rimane quella più comune. Nello specifico, per quanto concerne i pallet di legno, la materia prima impiegata può provenire tanto da legno vergine, quanto da sottoprodotti e residui dell’industria di lavorazione del legno e da legno usato. 4. Bricchetto: Le bricchette sono un combustibile densificato, generalmente di forma cubica o cilindrica, prodotto dalla pressatura di differenti residui legnosi polverizzati. Al pari della pellettizzazione3, la bricchettatura rappresenta una tecnologia di interesse infatti, riducendo notevolmente la densità del materia-le, consente di concentrare elevate riserve energetiche in un volume contenuto.

3Il processo di bricchettatura, al pari della pellettizzazione, necessita di un preventivo

condi-zionamento del materiale e in particolare dell’essiccazione della biomassa fino a valori di umidità pari all’8-10%, al fine di ottenere bricchetti con umidità del 6-8%, condizione per la quale questi mostrano buona resistenza, non si fessurano e il processo di bricchettatura offre buone rese [4].

(15)

I bricchetti possono essere utilizzati in sostituzione della legna da ardere e del carbone, adeguando opportunamente alcuni parametri operativi e sono ge-neralmente impiegati in apparecchi termici con caricamento manuale, quali stufe e caminetti.

I parametri fondamentali da considerare nella scelta della forma di biocombu-stibile da utilizzare sono i seguenti:

1. Umidità: l’umidità tipica della biomassa non prende in considerazione l’in-fluenza del clima ed è chiamata intrinseca, quindi indipendente dal luogo di nascita o di stoccaggio. Tuttavia, è più di interesse pratico l’umidità estrin-seca, con cui si vuol indicare quella conseguente a condizioni climatiche del luogo o del momento di raccolta. Un alto contenuto diminuisce la quanti-tà di sostanza secca effettivamente presente nell’uniquanti-tà di peso, per questo incide fortemente sul potere calorifico e ne diminuisce il valore. In questo senso, il pellet, grazie al particolare processo di lavorazione cui è sottoposto, presenta valori di umidità inferiori al 10% [36]: questo, insieme alle tipiche caratteristiche di compattezza e omogeneità, ne spiega l’alto potere calorifico. 2. Potere calorifico inferiore (PCI): indica il contenuto energetico della biomas-sa che viene rilasciato durante il processo di combustione ed è fortemente correlato al contenuto di carbonio e idrogeno presenti nel combustibile. Gli alti valori dei rapporti O/C e H/C spiegano i bassi valori del PCI di circa 4 - 8 volte rispetto ai combustibili fossili tradizionali, vedi Figura 1.5.

(16)

3. Conenuto di carbonio fisso e volatile: la materia volatile corrisponde alla per-centuale in massa persa in seguito a un riscaldamento a 950°C per 7 minuti. La parte rimanente, escluse le ceneri e l’umidità, corrisponde invece al carbo-nio fisso. Il rapporto tra materia volatile e carbocarbo-nio fisso per la biomassa è compreso tra 4 e 5, mentre per il carbone è minore di 1 [7].

4. Contenuto di ceneri/residui: Le ceneri prodotte con i processi termici influen-zano negativamente le prestazioni dei dispositivi di conversione utilizzati, que-ste possono causare corrosione sui vari componenti del sique-stema, possono fon-dere e causare scaling, fenomeno a rapida evoluzione che porta alla formazione di depositi sulle superfici della camera di combustione direttamente esposte a irraggiamento, mentre una loro eccessiva quantità può causare invece fouling, fenomeno ad evoluzione lenta innescato dalla condensazione di specie vola-tili con formazione di depositi compatti. Inoltre, alte percentuali di cenere abbassano il PCI.

5. Contenuto di alcali: Gli alcali contenuti nelle biomasse sono in genere Na, K, Mg, P e Ca. Alle temperature di combustione, tendono a reagire con la silice presente nelle ceneri producendo una fase liquida che può intasare i percorsi dell’aria nei boiler, incrementando i costi operativi.

6. Rapporto tra cellulosa e lignina: La cellulosa costituisce le microfibre che danno resistenza meccanica alle piante, l’emicellulosa tiene insieme le va-rie microfibre conferendogli un ova-rientamento preferenziale, forma le fibre più grandi normalmente visibili nel legno "spaccato". La lignina funziona da col-lante tra le varie fibre e rinforza inoltre, le difese della pianta contro l’attacco di funghi e altri agenti patogeni. La lignina è infatti presente in maggior quan-tità nelle piante legnose rispetto a quelle erbacee. Il rapporto tra cellulosa e lignina è però importante solo nelle conversioni biochimiche.

7. Densità energetica [MJ/m3]: La densità energetica di un combustibile è misu-rata come il rapporto tra il suo potere calorifico inferiore e la massa volumica apparente. Parametro che influenza sia gli aspetti logistici di trasporto e stoccaggio della biomassa sia aspetti legati alla gestione dell’alimentazione al generatore di calore o al reattore, ed è quindi molto importante nella scelta dei sistemi e dei componenti dato che ne influenza il comportamento nei pro-cessi biochimici o termici, ma soprattutto per le fasi di trasporto, stoccaggio, movimentazione e alimentazione del combustibile.

(17)

Tutto ciò fa aumentare i costi associati alle biomasse che necessitano di precisi processi di pretrattamento per aumentarne la densità. Di seguito si riporta una tabella riassuntiva delle diverse densità energetiche (Tab. 1.2).

Biomassa Tipologia Umidità Massa Densità Energetica

[%] [kg] [MJ/m3]

Faggio Tronchetti (33 cm) 15 445 6,797

Faggio Cippato 15 295 4,505

Faggio Tronchetti (33 cm) 30 495 6,018

Faggio Cippato (33 cm) 30 328 3,987

Abete rosso Tronchetti (33 cm) 15 304 4,753

Abete rosso Cippato 15 194 3,032

Abete rosso Tronchetti (33 cm) 30 349 4,339

Abete rosso Cippato 30 223 2,768

Legno generico Pellet 8 650 11,115

Tabella 1.2: Densità energetica di alcune tipologie di biomasse legnose [7].

1.2

Stoccaggio e movimentazione

Gli impianti alimentati a biomassa necessitano di un sistema di approvvigiona-mento periodico e di uno stoccaggio di combustibile per assicurarne la continuità del funzionamento, a causa della assenza di una rete diretta di alimentazione del combustibile stesso.

A causa della bassa densità energetica della biomassa, il dimensionamento dello stoccaggio è di cruciale importanza. È quindi necessario tenere conto delle esigen-ze connesse alle varie fasi di reperimento della biomassa che precedono la fase di conversione energetica:

- conferimento della materia prima; - stoccaggio presso sito di utilizzo; - alimentazione all’impianto4.

4Con il termine “alimentazione all’impianto” si intende generalmente il sistema di estrazione

(18)

In base alla biomassa utilizzata, gli stoccaggi variano per tipologia e dimensione: dalla catasta realizzata presso l’utenza privata, al piazzale o alle strutture coperte per il cumulo. I singoli generatori di calore che non dispongono di uno stoccaggio con estrazione automatica della biomassa (ma solo di uno stoccaggio in deposito) possono essere ad alimentazione manuale o automatica. In quest’ultimo caso l’o-peratore deve periodicamente riempire il serbatoio di caricamento integrato. Sono inoltre spesso utilizzati, in aggiunta ai serbatoi integrati laddove ci sia disponibilità di spazio, dei silos che per gravità alimentano il serbatoio delle caldaie a pellet o a cippato. In sintesi, la biomassa può essere accumulata in [7]:

• Depositi (al coperto o all’aperto): strutture per il contenimento della biomassa sia sfusa sia confezionata ad estrazione manuale;

(a) Deposito all’aperto di cippato. (b) Catasta di legna.

Figura 1.6: Depositi al coperto o all’aperto [7].

• Silos: strutture per il contenimento della biomassa sfusa, dotate di sistema di estrazione automatica. Il silo devono essere progettato in modo da essere facilmente accessibile dal mezzo di trasporto e deve essere provvisto di una o due aperture che consentano di riempirlo in modo adeguato.

(a) Silo in muratura. (b) In tessuto ad autoestrazione.

(19)

1.3

Combustione della biomassa legnosa

Il processo termochimico di combustione della biomassa risente fortemente del con-tenuto di umidità presente nel combustibile, infatti un elevato concon-tenuto idrico nei combustibili diminuisce la velocità di combustione in quanto parte dell’energia termica sviluppata serve a riscaldare e a far evaporare l’acqua. La combustione è un processo costituito da una successione di reazioni chimiche che, nel caso ideale, portano all’ossidazione della parte idrocarburica e alla produzione di CO2 e H2O. Le principali fasi della combustione sono le seguenti:

• Essiccazione: questa fase di tipo endotermico avviene a tempreature di circa 100°C, se la biomassa in ingresso ha un eccessivo contenuto idrico l’energia richiesta in questa fase è tale per cui le temperature scendono al di sotto della temperatura minima necessaria al processo per autosostenere la combustione; • Pirolisi e devolatilizzazione: con l’aumento della temperatura, tra 200 e 350°C [8] la biomassa subisce una degradazione termica liberando gas di pirolisi, in questa fase avviene la formazione di prodotti gassosi quali CO, CO2, H2, vari idrocarburi (CxHy) e tar;

• Combustione primaria in fase gas: i prodotti gassosi liberati bruciano spri-gionando calore, perciò la fase di pirolisi riesce ad autosostenersi e si ha la formazione del char (residuo carbonioso);

• Ossidazione del char: in presenza di ossigeno il char e i gas di pirolisi vengono ossidati completamente e bruciando producono CO2 e calore (a temperature di circa 1200°C [8]).

In Fig. 1.8 si mostra la decomposizione del legno durante le fasi della combustione.

(20)

Questi processi portano al rilascio di sostanze inquinanti come nel caso dei combustibili fossili ma, come accennato nelle pagine precedenti, le biomasse hanno un minore contenuto di zolfo che porta ad una formazione minore di SO2 durante la combustione. Per quanto riguarda i gas climalteranti, la CO2 nelle biomasse non viene considerata dato che durante il processo di crescita della panta i vegetali assorbono una quantità di anidride carbonica circa pari a quella rilasciata durante il processo di combustione.

1.3.1

Formazione di inquinanti nella combustione

I processi di conversione termochimica elencati dipendono fortemente dalla tem-peratura, dal tempo di residenza e dalla turbolenza nel reattore. Gli inquinanti atmosferici emessi dagli impianti termici alimentati a biomasse, pur dipendendo molto dal tipo di biomassa in ingresso, sono costituiti principalmente da:

• Ossidi di azoto (NOx): il biossido di azoto (NO2), ad esempio, ha un odore pungente e può provocare irritazione oculare, nasale o a carico della gola e tosse. Alterazioni della funzionalità respiratoria si possono verificare in soggetti sensibili, quali bambini, persone asmatiche o affette da bronchite cronica. Una sintomatologia precoce a carico delle prime vie aeree in soggetti con patologia polmonare può manifestarsi a partire da concentrazioni pari a 0,2 mg/m3 [37].

• Ossidi di zolfo (SOx): hanno effetti a breve termine su occhi e sistema respi-ratorio, esposizioni prolungate causano bronchiti, tracheiti, enfisemi. Oltre a essere la causa principale per le piogge acide.

• Particolato carbonioso (PM): causa bronchiti croniche, problemi respiratori e morte prematura.

Sono presenti anche impurità legate ad una combusitione incompleta come il monossido di carbonio (CO) e composti organici volatili (COV) come diossine e fu-liggine. Ovviamente, più il sistema è efficiente meno inquinanti dovuti a incompleta combustione vengono prodotti.

Per questo motivo anche per le biomasse sono previsti dalla legge dei limiti sull’emissione di inquinanti.

Limiti di emissione

Si riporta la Tabella 1.3 della normativa [3] in vigore dal 2017 sui limiti di legge per medi impianti di combustione nuovi alimentati a biomasse solide e impianti di combustione a biomasse solide di potenza inferiore a 1 MW installati dal 19 dicembre 2017. Valori riferiti ad un tenore di ossigeno nell’effluente gassoso del 6%.

(21)

Potenza termica nominale [MW ] >0,035-0,15] (0,15-0,5] (0,5-1) [1-5]

Polveri [mg/Nm3] 105 75 60 45

Carbonio organico totale [mg/Nm3] 75 75 75 45

CO [mg/Nm3] 525 525 375 375

N O2 [mg/Nm3] 500 500 500 500

SO2 [mg/Nm3] 150 150 150 150

Tabella 1.3: Limiti di legge per medi impianti di combustione nuovi alimentati a biomasse solide di potenza inferiore a 1 MW installati dal 19 dicembre 2017 [3].

Per rispettare questi limiti di legge è necessario far riferimento alle migliori tecnologie disponibili (BAT, Best Available Techniques) sia riguardo alle caldaie che alle tecnologie di riduzione degli inquinanti.

1.4

Tecnologie per la produzione di energia termica

Per produrre energia termica la biomassa legnosa viene bruciata all’interno di un generatore di calore: l’energia chimica contenuta nel combustibile si trasforma in energia termica dei fumi prodotti.

In una caldaia, il calore sviluppato durante la combustione viene utilizzato per riscaldare un fluido termovettore. Il fluido termovettore che può essere costituito da aria, acqua, olio diatermico o vapore può essere impiegato per: riscaldamento, produzione di acqua calda sanitaria, produzione di calore o vapore di processo in ambito industriale e teleriscaldamento.

Gli apparecchi termici quali stufe o camini trasmettono, invece, il calore svi-luppato durante la combustione direttamente all’ambiente per irraggiamento (es: tramite superficie vetrata) e/o convezione (tramite circolazione dell’aria calda).

1.4.1

Generatori di calore a biomassa legnosa

I generatori termici in generale, in base alle caratteristiche tecnologiche e allo scopo per cui sono preposti, possono essere apparecchi (caminetti, inserti, cucine, stufe) il cui scopo è il riscaldamento diretto o caldaie che scaldano un fluido termovettore, il quale tramite un circuito di distribuzione alimenta i corpi scaldanti dell’ambiente da riscaldare. In particolare, i generatori atti a sfruttare la biomassa lignocellulosica si distinguono in base alla potenza termica in uscita, al tipo di sistema di caricamento e in base alle caratteristiche del combustibile da utilizzare (pezzatura, umidità, contenuto di ceneri).

(22)

Taglie dei sistemi di combustione a biomassa

• Grande taglia: hanno una potenza termica maggiore di 20MWth sono princi-palmente impianti CHP e centrali elettriche di potenza superiore a 100MWel e utilizzano tutti i tipi di biomassa ed i residui agricoli.

• Media taglia: hanno una potenza termica che va da 300kWth fino a 20MWth, vengono utilizzati principalmente in impianti cogenerativi CHP, come combu-stibile utilizzano segatura, cippato, residui forestali, paglia e residui agricoli. Si possono distinguere in caldaie ad acqua bollente, caldaie a vapore e caldaie ad olio diatermico. Le categorie principalmente utilizzate sono i sistemi a letto fisso a griglia e i forni a polverino di biomassa.

• Piccola taglia: hanno una potenza termica inferiore a 300kWthe vengono uti-lizzati per il riscaldamento residenziale e possono sfruttare come combustibile il pellet, il cippato o i tronchetti.

1.4.2

Combustione di piccola e media potenza

Le caldaie a biomassa legnosa di piccola - media taglia vengono utilizzate per produrre energia termica, impiegata per:

• il riscaldamento di singole abitazioni o di complessi di edifici , con potenze termiche tipiche a partire da circa 15 kW;

• servire una rete di teleriscaldamento;

• usi industriali e di processo presso utenze che necessitano di riscaldare fluidi termovettori di varia natura destinati ad usi industriali e di processo, tra cui acqua calda (a temperature inferiori a 100°C), acqua surriscaldata (a tempera-ture di circa 120°C), vapore d’acqua saturo o surriscaldato (fino a temperatempera-ture superiori ai 400°C) e olio diatermico (fino a circa 300°C). Esempi di applica-zioni possono essere gli ospedali, le industrie di essiccazione, lavaggi, cosmesi e alimentari;

• produrre energia elettrica e termica in impianti cogenerativi in tutti i casi in cui si presenti un’utenza termica a bassa temperatura come per esempio riscaldamento di serre, piscine o reti di teleriscalmento.

Una tipologia interessante sono le caldaie a tronchetti di legna, disponibili per potenze fino a circa 200 kW e possono essere alimentate con ciocchi aventi pezzature variabili fino ad un metro [9]. Presentano una prima zona in cui si ha la fase di gassificazione, durante la quale si sviluppa un gas combustibile che viene bruciato nella camera secondaria, in cui viene introdotta aria secondaria in modo da completare le reazioni di ossidazione.

(23)

Le caldaie a pellet invece sono disponibili fino a circa 300 kW di potenza e possono essere alimentate in modo automatico, hanno la caratteristica di avere na ampia flessibilità e semplicità di utilizzo (accensione/spegnimento programmabili). Inoltre, essendo il pellet, di norma, di buona qualità, anche i piccoli apparecchi garantiscono alte efficienze e emissioni ridotte [9].

Infine, le caldaie a cippato sono generalmente alimentate in modo automatico (tramite sistemi a coclea, a nastro o a spintore), hanno una potenza che può partire da circa 50 kW fino a diverse decine di MW [9]. Sono particolarmente indicate per il riscaldamento di edifici di dimensioni medie o grandi, quali condomini, alber-ghi, scuole, ospedali, centri commerciali o più utenze termiche collegate da reti di teleriscaldamento.

A seconda delle tipologie costruttive, le caldaie si possono suddividere in varie categorie. In riferimento alla tipologia di camera di combustione adottata, le caldaie a cippato si distinguono in sistemi a griglia fissa o a griglia mobile. Nel caso di cippato di piccole dimensioni poco umido generalmente si usano i primi, mentre i secondi sono indicati nel caso di cippato più eterogeneo, di pezzatura più grossolana e con più alto contenuto di umidità [9].

UNDERFEED STOKERS

Nella famiglia dei combustori a letto fisso si possono inserire anche i così detti un-derfeed stokers. Questi rappresentano indubbiamente la tecnologia più economica e affidabile per le applicazioni di taglia medio-piccola, soprattutto quando si ha a che fare con sostanze organiche caratterizzate da un basso tenore di umidità. La peculiarità che li distingue è la modalità con cui la biomassa viene introdotta all’in-terno del sistema. Il dispositivo di alimentazione prevede infatti la presenza di una coclea che conduce il combustibile alla base di una cavità a forma piramidale dalla quale, per effetto della spinta indotta dalla vite, risale fino a fuoriuscire nella prima camera di combustione propagandosi nelle varie direzioni. In questa zona viene in-trodotta, come di consueto, solamente l’aria primaria la quale, passando attraverso il combustibile, ha il compito di attivare il processo di ossidazione che verrà poi completato nella parte alta della camera di combustione in seguito all’immissione della seconda frazione di comburente.

Considerato il meccanismo di alimentazione, le biomasse utilizzabili (chips, pel-let, segatura) è bene che abbiano un basso contenuto di cenere e una pezzatura generalmente inferiore ai 50 mm così da scongiurare pericoli di intasamenti e bloc-chi. Gli underfeed stokers, che sono generalmente integrati alla caldaia, possono, per alcune applicazioni, essere costruiti anche separatamente e adattati a diverse tipologie di impianti.

(24)

Il vantaggio principale che si può riscontrare nell’utilizzo di questi sistemi risie-de indubbiamente nella possibilità di lavorare in maniera ottimale ai carichi par-ziali, vista la facilità di gestione e controllo del dispositivo di alimentazione del combustibile.

Un inconveniente non ancora risolto è invece quello che si manifesta per effet-to della presenza di cenere sinterizzata: questa tende infatti a ricoprire la parte superiore del letto di sostanza organica e qualora tale strato venga lacerato dal-la biomassa o dal passaggio dell’aria primaria, il processo di combustione tende a diventare rapidamente instabile.

1.4.3

Tecnologie per la riduzione degli inquinanti

In questo studio si vuole innanzitutto controllare la potenziale formazione di CO e di NOx, i primi sono dovuti ad una combustione incompleta che si verifica sostanzialmente a causa di :

• inadeguato mescolamento aria/combustibile in camera di combustione; • carenza di ossigeno disponibile;

• temperature di combustione troppo basse; • tempi di permanenza troppo brevi.

Gli NOx, invece, sono di tre tipi e si distinguono in base al processo di forma-zione:

• Fuel NOx: derivano dalla presenza di azoto nel combustibile, questi rappre-sentano la maggiore produzione di NOx in ambiente con elevate concentra-zioni di ossigeno. Il controllo può essere effettuato con trattamenti a monte del processo, con lo scopo di eliminare o ridurre l’azoto nel combustibile. • Thermal NOx: si formano nel caso di alte temperature in camera di

combu-stione.

• Prompt NOx: si formano nelle prime fasi della combustione, generalmente sono trascurabili rispetto agli altri due.

Gli NOx, in generale, possono essere controllati o con trattamenti interni al pro-cesso (misure primarie) o con trattamenti a valle del propro-cesso (misure secondarie) tramite sistemi di abbattimento inquinanti e pulizia dei fumi.

(25)

Misure primarie di abbattimento

• Riduzione dell’eccesso d’aria: ridurre l’eccesso d’aria in camera di combustio-ne permette di avere una minore concentraziocombustio-ne di ossigeno disponibile per l’ossidazione dell’azoto contenuto nel combustibile, questo potrebbe portare però alla produzione CO e altri incombusti. Questa tecnica è sostenibile per vecchi impianti dato che le recenti installazioni dispongono di sistemi di rego-lazione e controllo della portata d’aria in camera, in grado di ottimizzare la stechiometria della combustione. Può portare inoltre alla riduzione dell’effi-cienza della caldaia e a probabile aumento di fenomeni di corrosione e fouling, comunque è una misura che riduce i costi coperativi.

• Ridotto preriscaldamento d’aria: riducendo il grado di preriscaldameno del-l’aria in ingresso nella camera di combustione, si va ad abbassare la tempera-tura massima in camera; ciò permette un maggior controllo sulla formazione degli NOx termici. Tuttavia, anche con questo metodo, si va ad abbassare il rendimento del generatore.

• Combustione a due stadi: consiste nel bruciare il combustibile in un primo stadio con aria substechiometrica (combustione primaria) dove la formazione di NOx fuel è dunque contenuta, e di completare la reazione in un secondo stadio fornendo aria secondaria (il 10 – 20% dell’aria totale [10]) per comple-tare la combustione di CO, fuliggine ed idrocarburi senza modificare i livelli di NOx generatisi in fiamma primaria.

Dal punto di vista tecnologico il frazionamento dell’aria può essere ottenuto in diversi modi, un caso è quello dell’Over Firing Air (OFA) che prevede porte di alimentazione dell’aria immediatamente al di sopra dei bruciatori, si capisce che questa modifica può diventare complessa in centrali diversamente concepite.

• Combustione a tre stadi (Reburning): La maggior parte del combustibile (85 - 90% [10]), è alimentato al bruciatore principale con un limitato eccesso d’aria, in questo modo si intende evitare la produzione di incombusti e il passaggio di un’eccessiva quantità di ossigeno alla seconda fase di combu-stione. L’aliquota rimanente di combustibile, detto secondario, è iniettata in un livello superiore ed è utilizzato per creare una zona riducente, infatti in questo stadio gli NOx prodotti nella zona sottostante, vengono ridotti ad azoto atmosferico dai radicali idrocarburici. In uscita viene poi alimentata una corrente d’aria (OFA) per completare la combustione (vedi FIg. 1.9).

(26)

Figura 1.9: Schema di funzionamento del Reburning, Fonte: ENEL.

Per questa tecnica possono essere utilizzati diversi combustibili, ma il gas na-turale (come combustibile ausiliario) è il più appropriato. Comunque, le no-tevoli dimensioni di cui ha bisogno, è una misura applicabile ragionevolmnete soltanto in caldaie di nuova costruzione il cui progetto ne preveda l’adozio-ne, inoltre, si adatta a caldaie che permettono tempi di residenza abbastanza lunghi. L’esperienza mostra che questa misura di abbattimento di NOx non presenta l’economicità delle altre anche se molto efficace.

• Ricircolazione dei gas combusti: con questa misura si preleva una frazione dei gas combusti, tipicamente il 20 - 30% [10], a valle del preriscaldatore e si reimmette in caldaia, si ottiene una riduzione della temperatura di picco e della concentrazione di ossigeno in fiamma. In queste circostanze sono penalizzati sia il meccanismo fuel che il meccanismo thermal di formazione degli ossidi di azoto, sebbene i risultati più apprezzabili si ottengono nella riduzione di quelli termici. Solitamente questo metodo dà i migliori risultati con sistemi di combustione ad alta temperatura. Di contro, il ricircolo di una quota eccessiva di gas può portare alcuni inconvenienti, come l’aumento nelle emissioni di CO e l’instabilità di fiamma. Per questo motivo si cerca di limitare entro il 20% [10] la percentuale dei prodotti di combustione ricircolati. Per questo lavoro di tesi, come accennato, si è utilizzata una caldaia di tipo underfeed stoker per la quale è stato progettato e implementato un sistema di ricircolo dei gas combusti in caldaia come tecnica di controllo delle temperature.

(27)

Impianto prima delle modifiche

In Figura 2.1 è riportato lo schema dell’impianto allo stato attuale.

(28)

L’impianto a combustione di biomasse del CRIBE è composto da un silo di stoccaggio per la biomassa, da un sistema di alimentazione per la caldaia, dalla caldaia e da un sistema di generazione del vapore.

2.1

Sistema di stoccaggio e alimentazione

Il serbatoio di accumulo si trova all’esterno dell’edificio in cui è situata la caldaia. Durante l’utilizzo la biomassa è trasportata da una coclea di estrazione situata sul fondo del serbatoio, che viene così trasportata ad un silo interno di capacità inferiore.

Sul fondo di quest’ultimo accumulo, una coclea 80x80x40 mm (i.e. Diametro esterno, passo, diametro interno, rispettivamente), ruotando porta il combustibile all’interno del letto della caldaia (vedi Fig. 2.2).

(a) Silo esterno. (b) Silo interno. (c) Braccia rotanti.

Figura 2.2: Sistema di stoccaggio e alimentazione [11].

La portata di alimentazione può essere regolata variando il numero di giri del motore di alimentazione della coclea.

La separazione della biomassa in due silos di volumetria decrescente ha lo scopo di garantire sempre la presenza del minimo ammontare di combustibile nella zona caldaia.

2.2

Caldaia

La caldaia, prodotta dalla Standardkessell Italiana S.R.L., ha una potenza nominale di 140kWth ed è un combustore a letto fisso alimentato per mezzo di una coclea e pensato per bruciare combustibili vegetali, di tipo underfeed stoker.

(29)

(a) Caldaia da 140kW. (b) Schema della caldaia, dimensioni in millimetri [11].

Figura 2.3: Caldaia a letto fisso da 140kW e schema con le dimensioni [11].

L’aria in ingresso al letto viene frazionata in due:

> Primaria: immessa attraverso 68 fori rettangolari posti sotto la griglia; > Secondaria: immessa sopra al focolare attraverso 9 ugelli (in Figura 2.4 un

ugello per l’aria secondaria in alto, e ed basso gli ugelli dell’aria primaria).

Figura 2.4: Ugello per l’aria secondaria in alto, ugelli per l’aria primaria in basso.

(30)

La cenere prodotta durante il normale funzionamento della caldaia viene raccol-ta in un apposito scomparto situato sotto la camera di combustione e deve essere periodicamente rimossa a mano, Figura 2.5.

Figura 2.5: Deposito delle ceneri [11].

Il vapore non viene prodotto direttamente per scambio di calore tra fumi e acqua, ma attraverso un fluido intermedio, olio diatermico Seriola 1510. In pratica i fumi caldi derivanti dal processo di combustione della biomassa forniscono calore all’olio diatermico che circola nei fasci scambiatori della caldaia.

La generazione vera e propria del vapore avviene in uno scambiatore di tipo Kettle, dove l’olio diatermico cede calore all’acqua.

L’utilizzo dell’olio diatermico porta notevoli vantaggi:

• Elevato punto di ebollizione e bassa pressione del vapore per avere tempera-ture di esercizio fino a 350°C e evitare i sistemi pressurizzati.

• Bassi costi di manutenzione.

• Per quanto concerne le leggi italiane per le caldaie ad olio diatermico non è richiesta la presenza di un conduttore patentato che comporterebbe un aggravio dei costi di impianto.

2.3

Evaporatore

L’evaporatore rappresenta il componente principale del sistema di produzione del vapore. L’olio diatermico, riscaldato all’interno della caldaia, cede il suo calore all’ acqua che viene riscaldata e vaporizzata. Il generatore di vapore può essere regolato mediante valvola a tre vie posta sul lato olio che ha il compito di modulare la portata di olio nell’evaporatore. Parte dell’olio viene cortocircuitato e inviato alla pompa

(31)

di aspirazione, così facendo si regola la portata che fluisce all’interno del generatore e di conseguenza il calore ceduto. La tipologia costruttiva dell’evaporatore è quella di un Kettle con l’olio diatermico lato tubi ed il vapore lato mantello. Il vapore prodotto è usato per alimentare le varie utenze del centro. Nel circuito di ritorno all’evaporatore le condense vengono fatte passare nel degasatore che ha il compito di rimuovere dal circuito di sostanze gassose, soprattutto, l’ossigeno disciolto che potrebbe causare problemi di corrosione.

2.4

Sistema di distribuzione dell’aria

Il ventilatore premente dell’aria in ingresso alla caldaia viene regolato attraverso un inverter, cambiando la velocità di rotazione si riesce di conseguenza a regolare la portata d’aria totale immessa in caldaia. Al collettore di uscita dalla soffiante è fissata una tubazione in PVC del diametro di 120 mm, questa successivamente si divide in due rami, entrambi del diametro di 80 mm, uno per l’aria primaria e l’altro per l’aria secondaria. Su entrambe le condutture che si diramano da quella principale sono montate delle valvole a sfera, una per conduttura, che permettono la regolazione della portata primaria e secondaria in ingresso (che le due differenti condutture trasportano direttamente al sistema di combustione), ed i sensori a filo caldo, che permettono la misura delle rispettive portate circolanti. Quanto elencato è visibile in Figura 2.6.

(a) Ventilatore primario. (b) Sensori a filo caldo. (c) Valvole a sfera.

Figura 2.6: Sistema di distribuzione dell’aria [11].

Per quanto riguarda la linea fumi, invece, all’uscita dello scambiatore è situato un secondo ventilatore (Figura 2.7) aspirante, anche questo regolato per mezzo di un inverter attraverso il pannello di controllo. Lo scopo di questo ventilatore è quello di tenere la caldaia in depressione (di circa 20 Pa) per un motivo di sicurezza. Infatti, qualora ci fosse una perdita dalla caldaia, i fumi dei gas combusti non uscirebbero invadendo il locale bensì si verificherebbe un ingresso di aria nella caldaia, senza quindi perdite pericolose per gli utenti.

(32)

Figura 2.7: Ventilatore secondario [11].

2.5

Sistema di acquisizione delle misure

Nella Tabella 2.1 sono riportati gli strumenti utilizzati nello studio di Grillo R. [11] per effettuare tutte le misurazioni con le rispettive incertezze strumentali.

Misura Strumento Acquisizione Range Errore

Ta TC (T) Temperatura -200 ÷ 350 ℃ 2,5 ± 0,0075|t|

Temp. nel letto TC (K) Temperatura -270 ÷ 1370 ℃ 2,5 ± 0,0075|t| Tf,in e Tf,out TC (K) Temperatura -270 ÷ 1370 ℃ 2,5 ± 0,0075|t|

To,out TC (T) Temperatura -200 ÷ 350 ℃ 2,5 ± 0,0075|t|

Va,p e Va,s t-flow T112 Veloc. flusso 0 ÷ 30 m/s < 2,5% sul f.s.

Tabella 2.1: Strumenti di misura e rispettivi errori strumentali [11].

2.5.1

Acquisizione temperature

Per quanto riguarda l’acquisizione delle misure di temperatura e portata, il sistema utilizzato è composto da una parte hardware e da una software, la parte hardware comprende il sistema all’interno del quale sono state alloggiate le schede NI-DAQ

(33)

utilizzate per ricevere i segnali dai vari misuratori e per interfacciarsi alle schede NI-DAQ viene impiegato il software LabVIEW, che permette la registrazione delle misure. Le misure di temperatura vengono acquisite dalla scheda NI9214. Si riporta in Figura 2.8 la disposizione delle termocoppie all’interno del letto della caldaia [11].

Figura 2.8: Disposizione delle termocoppie all’interno del letto della caldaia, misure in millimetri [11].

(34)

2.5.2

Acquisizione portate

Due sensori a filo caldo sono stati utilizzati per determinare la portata di aria primaria e secondaria. Il sensore è costituito da una resistenza elettrica il cui valore varia in base alla propria temperatura. Viene fatta circolare all’interno della resistenza una corrente costante, il cui valore è noto e viene misurato di conseguenza con un voltmetro, la tensione ai capi del circuito.

Noto il grafico di calibratura dello strumento [12], che mette in relazione la velocità del flusso d’aria e la tensione, una volta trovata la tensione, è ricavata la velocità del flusso e quindi la portata.

Le misure di tensione Vap e Vas sono acquisite tramite la scheda NI9207 e una volta elaborate dal software LabVIEW, permettono di ottenere le portate di aria primaria ( ˙map) e secondaria ( ˙mas) come nelle Equazioni 2.1, 2.2 e 2.3.

˙ map = ρa· A · Vap· 3 ˙ mas = ρa· A · Vas· 3 ˙ mtot = ˙map+ ˙mas (2.1) (2.2) (2.3) Dove: • ρa è la densità dell’aria; • A è la sezione del tubo;

• il valore "3" serve nel calcolo delle portate perché il sensore ha range 0-10V lineare con 0-30 m/s [12].

(35)

Modifiche all’impianto

Studiare il comportamento della caldaia con ricircolo dei fumi necessita di modifica-re il sistema di misura in modo da migliorarne l’accuratezza nell’acquisizione dati, di modificare la configurazione del sistema di ricircolo per minimizzare le perdite di carico e di coibentare tubo e raccordi per mantenere temperature elevate dei fumi in ingresso al letto fisso.

3.1

Sistema di ricircolo dei gas combusti

Un primo prototipo del sistema di ricircolo è stato realizzato durante la tesi di Grillo R.[11], nella Figura 3.1 è schematizzata la configurazione dei tubi di diametro 120 millimetri.

(36)

Per il ricircolo dei gas è stato modificato un ventilatore per aria inutilizzato pre-sente in facoltà (Figura 3.2) cambiando il sistema di movimentazione e rendendolo adatto per l’applicazione ad alta temperatura.

(a) Disegno 3D del ventilatore. (b) Ventilatore [11].

Figura 3.2: Ventilatore per ricircolo dei fumi [11].

All’uscita del ventilatore sono state collegate in successione una valvola di non ritorno ed una valvola a saracinesca che permette di regolare il flusso di gas com-busti. Utilizzando un raccordo a T è stato possibile il collegamento al manicotto dell’aria primaria dove nella parte più a monte viene posta anche qui una valvola di non ritorno, per evitare che il flusso di gas esausti risalga la tubazione. Si riporta in Figura 3.3 lo schema del sistema così descritto.

(a) Schema del collegamento. (b) Collegamento realizzato.

(37)

3.2

Modifica definitiva al sistema di ricircolo

Per effettuare le prove devono poter essere calcolate le portate dei fumi di ricirco-lo. Nello studio precedente [11] è stato scelto di utilizzare termoresistenze RTD, scartando l’opzione di utilizzo dei sensori a filo caldo. In tal caso, infatti, si rischie-rebbe di avere misure falsate dai depositi che si potrischie-rebbero formare sulla resistenza a causa dello sporcamento indotto dai fumi di ricircolo (Fig. 3.4).

Figura 3.4: Disegno schematico delle termoresistenze e delle portate in gioco [11].

Quindi, mediante bilancio entalpico (metodo indiretto) si calcola la portata dei fumi di ricircolo:

˙

Q0+ ˙Qf,in+ ˙Qa,in = ˙Qout+ ˙Qloss (3.1) dove:

- ˙Q0 è la potenza termica radiativa dovuta alle pareti della caldaia; - ˙Qf,in = ˙mf · cp,f · Tf è la potenza termica dei fumi di ricircolo;

- ˙Qa,in = ˙ma· cp,a· Ta è la potenza termica dovuta all’aria comburente; - ˙Qloss è la potenza termica dirspersa attraverso le pareti dei condotti.

Per poter minimizzare i due effetti dovuti a ˙Q0 e a ˙Qloss i sensori sono stati posti [11] il più lontano possibile dalla caldaia ed il più vicino possibile tra loro in modo da poterli trascurare senza eccessivi errori.

(38)

Sostituendo e ricavando ˙mf dal bilancio si ottiene: ˙

mf = ˙

ma· (cp,a−fTa−f − cp,aTa)

cp,fTf − cp,a−fTa−f (3.2)

Come si può notare, la misura indiretta di ˙mf dipende dalla temperatura dei fumi e dell’aria in ingresso dato che Ta−f è la media pesata tra le due.

Per calcolare la dipendenza effettiva dall’errore di misura delle temperature è necessario vedere come si propaga nell’equazione e calcolare le derivate parziali.

E( ˙mf) = s  ∂ ˙mf ∂ ˙ma 2 · E2( ˙m a) +  ∂ ˙mf ∂Tf 2 · E2(T f) +  ∂ ˙mf ∂Ta 2 · E2(T a) (3.3)

La valutazione qualitativa dell’errore commesso al variare della temperatura dei fumi richiede la conoscenza di alcuni termini1, quindi in prima approssimazione è vengono ipotizzati i valori medi2 dei vari calori specifici (c

p,a = 1005 J/kgK, cp,f = 1090 J/kgK e cp,a−f media aritmetica degli altri due), della temperatura e della portata dell’aria. Con questi valori è possibile fare una media pesata sui calori specifici e ipotizzare Ta−f, quindi la portata dei fumi media.

Dalla scheda del sensore di velocità del flusso (T112) di aria primaria [12] si ottiene la precisione dello strumento dalla quale poi viene ricavato l’errore E( ˙ma) attraverso la seguente formula in funzione della sezione dei tubi di diametro Φ 120: E( ˙ma) = ρa· A · E(Vap) · 3 (3.4)

Come nelle Equazioni 2.1 e 2.2, il valore "3" nel calcolo dell’errore sulla portata serve perché il sensore ha range 0-10 V lineare con 0-30 m/s.

L’errore di misura per le temperature è dato invece, dalla classe di precisione delle termoresistenze RTD. Quelle già installate sono di classe A (0,15 ± 0,002 |t| °C) quindi la variazione della temperatura, in confronto all’errore sulla portata, non è poi così rilevante. Infatti, in Figura 3.5, si nota un leggero scostamento (∼ 1%) sull’errore di misura all’aumentare della temperatura dei fumi e al diminuire della temperatura dell’aria, l’errore sulla portata d’aria domina sul calcolo finale.

1Gli errori E( ˙m

a), E(Ta) e E(Tf) sono reperibili sui datasheet degli strumenti di misura. 2I valori medi della portata di aria primaria e della temperatura sono calcolati, grazie al

(39)

Figura 3.5: Errore di misura sulla portata dei fumi al variare della T fumi e della T aria.

Si è poi valutata la possibilità di installare una coibentazione adeguata al tubo di ricircolo, la valutazione è ancora grossolana ma serve a dare un’idea e ad indirizzare un eventuale acquisto di materiale.

Grazie al software Python si è creato un vettore con i diversi spessori degli isolanti in commercio ed un altro con le diverse conducibilità termiche. Poi, da-to il conda-to approssimativo, si è stimada-to un coefficiente convettivo interno pari a circa 200 W/m2K ed esterno di circa 10 W/m2K [30] e calcolato il coefficiente di scambio globale della tubazione al variare della lunghezza del tubo e dei parametri caratteristici dei vari isolanti. Quindi, sempre considerando i valori medi di tempe-ratura fumi in uscita dalla caldaia, tempetempe-ratura dell’aria, portata dei fumi e calore specifico dei fumi si ottiene un’equazione differenziale del primo ordine:

dT dx = − U 2πr ˙ mfcp,f · (T − Ta) (3.5)

Facendo i calcoli si vede che la conducibilità dell’isolante non è un parametro di confronto tra le varie soluzioni dato che non influisce minimamente sul risultanto, è invece lo spessore che influisce in modo considerevole sulla temperatura. Infatti in Figura 3.6a si può notare come in assenza di isolante dopo circa 8 metri di tubo la temperatura scende sotto i 100 °C, mentre con una coibentazione di minimo spessore si mantiene sui 150 °C come si vede in Figura 3.6b.

(40)

(a) Temperatura fumi in assenza di isolante.

(b) Temperatura fumi in funzione dello spessore dell’isolante.

(41)

Per quanto riguarda lo spessore si osserva che l’aggiunta di un isolate spesso 80 mm non produce risultati nettamente diversi rispetto a quello di 30 mm, perciò si decide di acquistare un tubo in lana di roccia da 30 mm, più economico e facil-mente reperibile. Acquistato il materiale (isolante in lana di roccia [39] e nastro in alluminio) si procede con la coibentazione del tubo come nelle Figure 3.7 e 3.8.

Figura 3.7: Tubo di ricircolo coibentato, parte iniziale.

(42)

Dato che il tubo corrugato che collega la valvola a saracinesca per la regolazione del flusso e il raccordo a T con le termoresistenze è molto lungo e superfluo, si decide di eliminarlo in modo da diminuire ulteriormente la lunghezza totale, quindi le perdite termiche e fluidodinamiche.

I due tubi in acciaio INOX sono perciò coibentati e installati ad un supporto in legno. Questo è alloggiato al compensato che sorregge il ventilatore, così da com-pattare il tutto e avere una maggiore comodità di utilizzo della valvola a saracinesca (vedi Fig.3.9).

Figura 3.9: Raccordo a T coibentato.

La fase di prove sperimentali necessita di un controllo dei rapporti di aria prima-ria e totale (αP e α) e del rapporto di ricircolo3 (R), questi devono essere mantenuti all’interno di intervalli prestabiliti noti dalla letteratura. L’originario sistema per la stima della portata ricircolata, basato sul bilancio entalpico, deve essere, però, integrato con un sistema basato sull’equazione della portata elaborata da un ugello [32], in cui la portata viene determinata sulla base della misura della sovrapres-sione impressa e della temperatura del fluido a monte della sezione di immissovrapres-sione. La sovrapressione è misurata per mezzo di un manometro ad U che consente un confronto con i dati ottenuti dalle RTD.

3I parametri α

(43)

3.2.1

Manometro a U

Questa tipologia di manometro è la più semplice e funzionale per il caso in questione, può essere costruito ad-hoc con materiali di recupero assicurando misure accurate.

Figura 3.10: Schema del sistema di ricircolo fumi, raccordo a T e sistema di misura.

Date ρ2, c2 (rispettivamente la densità e la velocità allo scarico dell’ugello) e C · Arif. la sezione efficace di passaggio, si ottiene la portata fluente attraverso la sezione C · Arif. che dipende dalle condizioni di ristagno all’ingresso:

˙ m = C · Arif.ρ2c2 = C · Arif.c∗R1ρR1 v u u t 2 k − 1 "  p2 pR1 2k − p2 pR1 k+1k # (3.6) dove:

• k è il rapporto tra il calore specifico a pressione costante e quello a volume costante che per l’aria è circa a 1,4.

• c∗ R1 =

(44)

• R = R∗/P M

a è la costante del gas aria pari a circa 287 kJ/kgK. • ρR1 e pR1 sono la densità e la pressione.

Si osserva che la portata ˙m per unità di superficie di passaggio non è costante all’interno di un condotto, ma varia al variare della pressione statica locale.

Il calcolo della portata dei fumi all’uscita del T è quindi fatto seguendo un semplice procedimento: note tutte le caratteristiche dell’aria e la portata di aria primaria, si chiude la saracinesca che fa passare i fumi di ricircolo e si misura la pressione di ristagno con il manometro a U. Ciò permette di fissare il parametro geometrico (CArif.) riquadrato nell’Equazione 3.7:

˙ m = C · Arif. · c∗R1ρR1 v u u t 2 k − 1 "  p2 pR1 k2 − p2 pR1 k+1k # (3.7) Quindi, fissato il parametro geometrico, una volta aperta la saracinesca del ricircolo la sola incognita dell’equazione è la portata dei fumi ricircolati ( ˙mR) che può essere ricavata una volta misurata la pressione di ristagno dei fumi (pR,f). In Figura 3.11 lo schema a blocchi del procedimento di calcolo.

(45)

Per ricavare la pressione di ristagno pR1 dalla misura con il manometro a U si utilizza la legge di Stevino:

∆p = ρg∆h (3.8)

Il ∆h è direttamente misurato dal manometro a U.

Il manometro è stato costruito in laboratorio. Una volta acquistato il materia-le necessario (tubi di vetro, tubo Rilsan per aria compressa, righello in metallo e raccordi), sono stati disegnati dei supporti ad - hoc in 3D sul programma SOLID-WORKS 2018 come si vede in Figura 3.12, in modo da poterli stampare in plastica dura con la stampante 3D del dipartimento.

(a) Supporto superiore.

(b) Supporto inferiore 1.

(c) Supporto inferiore 2.

(46)

In Figura 3.13 i pezzi stampati e fissati alla tavola di legno.

(a) Supporto superiore.

(b) Supporto inferiore 1.

(c) Supporto inferiore 2.

(47)

3.3

Modifica al sistema di misura

Il sistema di acquisizione delle misure è stato introdotto nel Capitolo 2 ma, come anticipato, ha bisogno di manutenzione straordinaria dato il deterioramento dei vari componenti. Inoltre, dove possibile, vengono aggiunti supporti in grado di migliorare la stabilità e quindi l’acquisizione ed ottimizzare il funzionamento e la regolazione durante gli esperimenti con la caldaia in esercizio.

3.3.1

Supporto per termocoppie

Il supporto presente in acciaio inossidabile (Figura 2.8), dopo numerose prove ad alta temperatura, ha prodotto una tipica reazione di corrosione chimica, il metallo reagendo con i gas caldi ha formato uno strato di ossido ferroso. Per questo motivo si è deciso di riutilizzare la barra di sostegno, ma di sostituire i supporti cilindrici in acciaio che non avrebbero sopportatto altri sforzi sia termici che meccanici. In occasione della sostituzione dei pezzi si sceglie, quindi, di aggiungere un quarto supporto in maniera tale da riuscire ad acquisire delle misure su ulteriori quattro punti più vicini all’ingresso del combustibile.

Si nota, inoltre, che per i supporti collegati al profilato di sostegno si è scelto di aumentarne il diametro (Φ6), questo per avere una maggior resistenza agli sforzi meccanici durante il funzionamento. Infine, in fase di produzione del pezzo, si è deciso di aggiungere un ulteriore sostegno al supporto in acciaio così da appesantire il pezzo, garanzia in più alla stabilità all’interno del letto di combustione (Fig. 3.14).

(48)

In Figura 3.15 il disegno tecnico del pezzo, fatto con il programma SOLID-WORKS 2018, per fornire al tecnico una guida qualitativa alla realizzazione.

Figura 3.15: Disegno tecnico del nuovo supporto per termocoppie.

Il supporto è posizionato all’interno della caldaia in modo da mantenere gli alloggiamenti nella parte centrale del letto fisso.

(49)

Quindi, si verifica il funzionamento delle termocoppie già presenti con un pro-gramma LabVIEW ad hoc (vedi Figura 3.16). Per identificarle è bastato scaldare la punta di ogni termocoppia con le dita, questo fa aumentare la temperatura di qualche grado e permette di riconoscere sullo schermo a quale canale della scheda è collegata.

Figura 3.16: Schema a blocchi di LabVIEW per il test delle termocoppie.

Con questo procedimento si nota che tutte le termocoppie all’interno funzionano ancora, tranne una. Si decide però di non rimuoverla per evitare che vengano rotte anche le altre, quindi si procede al posizionamento di quelle funzionanti e al fissaggio sul supporto mediante filo di ferro (Fig. 3.17a)in modo che le teste di ogni termocoppia coincidano con la punta dell’alloggiamento. Per ogni supporto ci sono tre termocoppie: una superiore, una centrale e una inferiore come in Figura 3.17b.

(a) Fissaggio al supporto. (b) Posizionamento delle tre TC.

(50)

All’interno del letto ci sono 14 termocoppie di tipo K: una di queste è non fun-zionante, 12 sono alloggiate ai quattro supporti nelle tre posizioni sopra elencante e la restante termocoppia è posizionata al centro del supporto di sinistra sporgente per circa 20 mm come è possibile vedere in Figura 3.18.

Figura 3.18: Posizionamento della TC aggiuntiva.

Il posizionamento completo del supporto e delle TC è illustrato in Figura 3.19.

(51)

Studio analitico del sistema

Per avere una prima idea delle condizioni di lavoro durante la fase sperimentale, è opportuno fare alcuni calcoli analitici relativi al sistema con ricircolo, è però necessario fare riferimento ai parametri utilizzati in letteratura: il rapporto di aria totale (α/αst) e il rapporto di aria primaria (αP/αst).

Dove:

• αst è il rapporto di aria stechiometrico totale, ovvero il rapporto tra massa di aria totale stechiometrica (Mst

a ) e la massa di biomassa in ingresso (MB); • α è il rapporto tra massa di aria totale (Ma) e la massa di biomassa in ingresso

(MB);

• αP è il rapporto tra massa di aria primaria (Map) e la massa di biomassa in ingresso (MB).

4.1

Risultati ottenuti in letteratura

In letteratura sono spesso usati, per caldaie a letto fisso di diverse scale, valori del rapporto α/αst intorno a 1,2. Buchmayr et al. [20] ad esempio, studiando il caso di un piccolo combustore da laboratorio con potenza pari a 50 kW utilizza valori del rapporto α/αst pari a 1,4 ed un rapporto αp/αst compreso tra 0,2 e 0,5. Carroll et al. [21] invece, nel suo studio di una caldaia da 35 kW, utilizza un rapporto α/αst ompreso tra 1,2 e 2 ed una concentrazione di ossigeno nei gas di scarico compresa tra il 6% ed il 12%. Con tali premesse Grillo R. [11] nel suo lavoro di tesi ha fatto i test alla caldaia da 140 kW del CRIBE al variare del rapporto α/αst.

Riferimenti

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