UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia Tesi di Laurea Magistrale
Impatto della modalità di preparazione alla terapia radiometabolica con 131-I in pazienti con carcinoma tiroideo differenziato
RELATORE Chiar.ma Prof.ssa Rossella Elisei
CORRELATORE Dott.ssa Eleonora Molinaro CANDIDATA
Elisabetta Addante
Ai miei genitori
“Se son riuscita a guardare lontano è stato perché ero sulle spalle di giganti” (I.N.)
INDICE
Pg.
1. RIASSUNTO 5
2. INTRODUZIONE 10
A 2.1 Il carcinoma differenziato della tiroide 10
A 2.1.1 Epidemiologia 10
2.1.2 Comportamento biologico 12
2.1.3 Stadiazione 13
2.1.4 Trattamento 16
2.1.5 Follow-up 22
2.1.6 Scintigrafia totale corporea con 131-I 23
2.1.7 Dosaggio della Tiroglobulina 24
2.1.8 Test di stimolo della Tiroglobulina con rhTSH 25
2.1.9 Altre procedure diagnostiche 26
2.2 Il TSH umano ricombinante 27
.2.1 Impiego di rhTSH in trials clinici in pazienti affetti da
carcinoma differenziato della tiroide 2 27 2.2.2 Impiego di rhTSH nel follow-up post-chirurgico del
DTC 29
2.2.3 rhTSH nell’ablazione del residuo post-chirurgico 31 2.2.4 Preparazione del paziente all’ablazione del residuo
tiroideo post-chirurgico 33
2.2.5 Ablazione del residuo tiroideo post-chirugico 35 2.2.6 rhTSH nel trattamento delle metastasi 38 2.2.7 Sicurezza nell’utilizzo di rhTSH 42
3 SCOPO DELLO STUDIO 45
4.1 Pazienti 46
4.2 Metodi 49
4.2.1 Ricerca dati e revisione del percorso diagnostico
terapeutico 49
4.2.2 Analisi statistica 49
5 RISULTATI 51
5.1 Dati epidemiologici ed anatomopatologici dei due gruppi
di studio 51
5.2 Dati clinici dei due gruppi di studio 52 5.3 Risultati della scintigrafia totale corporea dopo il primo
trattamento radiometabolico ad alte dosi di 131-I 53 5.4 Confronto dell’andamento clinico al primo controllo 6-8 mesi dopo la terapia radiometabolica ad alte dosi di 131-I 54 5.5 Stato di malattia altermine del follow-up e correlazione
tra i due gruppi di studio 55
6 DISCUSSIONE 57
7 CONCLUSIONI 60
8 BIBLIOGRAFIA 61
9 GRAFICI E TABELLE 69
1. RIASSUNTO
Introduzione: in passato la sospensione della terapia con levotiroxina (LT4) era l’unica strategia utilizzata per raggiungere l'aumento della concentrazione del TSH sierico necessario ad ottimizzare la captazione di iodio radioattivo (131-I) per le procedure diagnostiche, per l’ablazione del residuo tiroideo post-intervento chirurgico di tiroidectomia e per il trattamento di pazienti affetti da carcinoma differenziato della tiroide (DTC).
Tuttavia, la sospensione prolungata di LT4 comporta l’insorgenza di ipotiroidismo clinico, con conseguente compromissione della qualità della vita e della capacità di lavorare.
Il TSH umano ricombinante (rhTSH) è stato sviluppato per fornire una stimolazione sicura del TSH nei pazienti con DTC, al fine di evitare i sintomi dell'ipotiroidismo causati dalla sospensione di LT4. Studi multicentrici hanno dimostrato che la somministrazione di rhTSH prima di 131-I stimola l'assorbimento di radioiodio e la produzione di Tg da parte delle cellule tiroidee sia sane che cancerose. Ciò ha consentito di rilevare la presenza di lesioni di DTC locali e/o metastatiche e la visualizzazione del residuo tiroideo post-intervento chirurgico di tiroidectomia. L’uso di rhTSH è stato ben tollerato e ha apportato un miglioramento nella qualità della vita dei pazienti affetti da DTC. Questi risultati hanno portato all'approvazione di rhTSH come aiuto per la diagnosi e il monitoraggio di DTC. Inoltre oggi rhTSH è approvato ed utilizzato nella terapia radioablativa del residuo tiroideo mentre non è ancora approvato per il trattamento del DTC metastatico. Solo in casi particolari in cui l’ipotiroidismo potrebbe severamente nuocere al paziente, rhTSH può essere utilizzato anche per la preparazione al trattamento radiometabolico di lesioni metastatiche (i.e., uso compassionevole). Ad oggi mancano tuttavia studi che dimostrino
la stessa efficacia del trattamento radio metabolico e lo stesso stato finale di malattia in soggetti metastatici preparati alla terapia radiometabolica con i due diversi sistemi. Scopo dello studio: Scopo primario di questo studio è stato quello di confrontare l’efficacia della prima terapia radiometabolica ad alte dosi di 131-I in pazienti preparati con sospensione della terapia con LT4, e quindi in ipotiroidismo, e in pazienti preparati con somministrazione di rhTSH, e quindi in eutiroidismo valutando i risultati della scintigrafia totale corporea eseguita dopo la terapia in entrambi i gruppi e confrontando quindi l’andamento della patologia dopo il trattamento radio metabolico nei due gruppi. Scopo secondario è stato poi quello di confrontare lo stato di malattia (guariti, persistenti biochimici e persistenti strutturali) alla fine del follow-up nei due gruppi di studio. Pazienti e metodi: abbiamo analizzato retrospettivamente i dati epidemiologici, clinici ed anatomo-patologici di 198 pazienti con DTC, suddivisi in due gruppi in base alla modalità di preparazione alla prima terapia radiometabolica ad alte dosi di 131-I, ovvero con sospensione della terapia con LT4 e quindi in ipotiroidismo (GRUPPO IPO) o mediante somministrazione di rhTSH e quindi in eutiroidismo (GRUPPO EU). Tutti i pazienti erano stati sottoposti ad intervento di tiroidectomia totale e alla radioablazione del tessuto tiroideo residuo. Tutti i pazienti sono stati seguiti presso l’Unità Operativa di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa per un follow-up mediano di 6 anni. I dati epidemiologici, clinici ed anatomo-patologici sono stati ricavati dalla revisione delle cartelle cliniche e da 2 database computerizzati. Al termine del follow-up i pazienti sono stati definiti curati (se imaging negativo e tireoglobulina (Tg) sierica indosabile in assenza di anticorpi anti-tireoglobulina (AbTg) interferenti, non curati, con persistenza biochimica di malattia (BED) (se imaging negativo ma con valori di Tg sierica basale >0.5 ng/ml o stimolata con rhTSH>1 ng/ml o con AbTg >30 UI/ml); non curati, con persistenza strutturale di malattia (SED) (imaging positivo per malattia locale o a distanza).
Risultati: In base al tipo di stimolazione eseguita abbiamo distinto 96/198 (48%) pazienti nel GRUPPO IPO e 102/98 (52%) al GRUPPO EU. I dati epidemiologici ed anatomopatologici sono risultati sovrapponibili nei due gruppi [età (p=0.45), sesso (p=0.78), stadiazione in base al sistema AJCC/TNM 7th (p=0.41), classe di rischio di recidiva dell’ATA (p=0.62) e variante istologica (p=0.77)] Anche le motivazioni per cui i pazienti sono stati sottoposti a terapia radiometabolica erano sovrapponibili nei due gruppi: 50/96 (52%) pazienti del GRUPPO IPO e 56/102 (55%) nel GRUPPO EU sono stati sottoposti a terapia radiometabolica per Tg dosabile e 46/96 (48%) pazienti del GRUPPO IPO e 46/102 (45%) pazienti del GRUPPO EU sono stati sottoposti a terapia radiometabolica per metastasi locoregionali o a distanza, senza alcuna differenza significativa tra i due gruppi di studio (p=0.47). Non abbiamo riscontrato alcuna differenza significativa anche in relazione all’attività di 131-I somministrata che aveva una media di 4371.9±627 mCi nel GRUPPO IPO e di 4259.4±677 mCi nel GRUPPO EU (p=0.16).
Abbiamo valutato quindi i risultati della scintigrafia totale corporea (STC) post-terapia radiometabolica con alte dosi di 131-I nei due gruppi e abbiamo visto che 12/96 (13%) pazienti del GRUPPO IPO e 25/102 (25%) pazienti del GRUPPO EU mostravano una STC negativa, mentre 84/96 (88%) pazienti del GRUPPO IPO e 76/102 (75%) pazienti del GRUPPO EU mostravano una STC positiva. Tra i pazienti con STC positiva 65/84 (77%) pazienti del GRUPPO IPO e 58/76 (76%) pazienti del GRUPPO EU presentavano la captazione del residuo; 13/84 (15%) pazienti del GRUPPO IPO e 9/76 (12%) pazienti del GRUPPO EU presentavano metastasi linfonodali laterocervicali e/o mediastiniche e 6/84 (7%) pazienti del GRUPPO IPO e 9/76 (12%) pazienti del GRUPPO EU presentavano metastasi a distanza (p=0.15).
Abbiamo quindi valutato i pazienti di entrambi i gruppi di studio a 6-8 mesi dalla prima terapia con 131-I ad alte dosi riscontrando che i casi positivi alla STC per residuo [18/84
(21%) del GRUPPO IPO e 11/75 (15%) del GRUPPO EU] risultavano tutti in remissione clinica di malattia già al primo controllo, sia quelli trattati in IPO che quelli trattati in EU. I casi positivi per metastasi alla STC dopo la dose di radioiodio [66/84 (79%) del GRUPPO IPO e 64/75 (85%) del GRUPPO EU] presentavano invece persistenza di malattia senza alcuna differenza statisticamente significativa (p= 0.27). Per quanto riguarda i pazienti con metastasi del GRUPPO IPO, 32/66 (48%) presentavano una persistenza strutturale di malattia e di questi 23/32 (72%) pazienti aveva metastasi linfonodali in sede laterocervicale e/o mediastinica e 9/32 (28%) metastasi a distanza; 34/66 (52%) presentavano, invece, persistenza biochimica di malattia.
Per quanto riguarda i pazienti con metastasi del GRUPPO EU, 25/64 (39%) presentavano una persistenza strutturale di malattia e, tra questi, 16/25 (64%) per presenza di metastasi linfonodale in sede laterocervicale e/o mediastinica e 9/25 (36%) per metastasi a distanza; 39/64 (61%) mostravano invece una persistenza biochimica di malattia. Confrontando lo stato di malattia a 6-8 mesi di follow-up dei pazienti con STC positiva dopo la prima terapia radiometabolica con alte dosi con 131-I non abbiamo riscontrato alcuna differenza significativa tra i due gruppi di studio (p=0.28). Tra i pazienti con STC negativa [12/96 (13%) pazienti appartenenti al GRUPPO IPO e 23/102 (23%) pazienti appartenenti al GRUPPO EU] 6/12 (50%) del GRUPPO IPO e 11/23 (48%) del GRUPPO EU risultavano in remissione al primo controllo post-terapia. Sei/12 (50%) nel GRUPPO IPO e 12/23 (52%) nel GRUPPO EU presentavano persistenza di malattia senza alcuna differenza significativa tra i due gruppi di studio (p=0.9). Dei 6 pazienti con persistenza di malattia appartenenti al GRUPPO IPO, 1/6 (2%) mostrava persistenza strutturale di malattia per presenza di metastasi a distanza e 5/6 (98%) presentavano invece persistenza biochimica di malattia. Dei 12 pazienti appartenenti al GRUPPO EU con persistenza di malattia, 7/12 (58%) mostravano una persistenza strutturale, di cui 1/7 (1%) per metastasi a distanza e 6/7 per presenza di metastasi linfonodali latero-cervicali e/o mediastiniche, invece 5/12
(42%) mostravano una persistenza biochimica di malattia. Anche in questo caso, correlando la distribuzione dello stato di malattia al primo controllo dopo la prima terapia radiometabolica ad alte dosi di 131-I non abbiamo riscontrato alcun differenza tra i due gruppi di studio (p=0.15).
Abbiamo, infine, valutato lo stato di malattia nei due gruppi dopo un follow-up mediano di 6 anni e abbiamo riscontrato che 50/96 (52%) dei pazienti del GRUPPO IPO e 53/98 (54%) pazienti del GRUPPO EU risultavano in remissione clinica di malattia, mentre 46/96 (48%) pazienti del GRUPPO IPO e 45/98 (46%) pazienti del GRUPPO EU mostravano una persistenza di malattia, senza alcuna differenza statisticamente significativa in questa analisi.
Analizzando poi tutti i pazienti con persistenza di malattia, nel GRUPPO IPO 18/96 (19%) pazienti aveva una persistenza strutturale di malattia e 28/96 (29%) pazienti aveva una persistenza biochimica di malattia, mentre nel gruppo EU 25/98 (26%) avevano una persistenza strutturale di malattia e 20/98 (20%) presentavano una persistenza biochimica di malattia (p = 0.28).
Conclusioni: Nonostante il limite retrospettivo dello studio, la assoluta comparabilità delle caratteristiche cliniche e anatomopatologiche dei due gruppi ci ha garantito la possibilità di confrontare i risultati. Poiché i risultati della SCT post terapia, il follow-up a 6 mesi da tale trattamento e lo stato di malattia alla fine del follow-up sono sovrapponibili nei due gruppi IPO e EU possiamo concludere che, per quanto riguarda la prima terapia radiometabolica ad alte dosi di 131-I post-ablazione, la preparazione al trattamento eseguita con rhTSH o in ipotiroidismo non ha alcun impatto sul successivo andamento della malattia.
2. INTRODUZIONE
2.1 Il carcinoma tiroideo differenziato
2.1.1 Epidemiologia
Il carcinoma della tiroide rappresenta l'1-2% di tutte le neoplasie maligne dell'adulto, ed è la più comune neoplasia maligna del sistema endocrino. La sua incidenza è andata aumentando dal 2,4 per 100.000 abitanti negli anni 40'-50', fino al 8,5 per 100.000 abitanti secondo le più recenti statistiche prevalentemente nelle regioni più sviluppate rispetto a quelle meno sviluppate. Questo aumento di incidenza è verosimilmente più apparente che reale, dovuto al costante miglioramento delle tecniche diagnostiche, e in particolare all'ecografia del collo, che consente di identificare anche piccoli noduli tiroidei, che in passato, spesso, passavano inosservati. Nonostante tale aumento, la mortalità annua per carcinoma della tiroide è rimasta stabile: nel 1973 era dello 0,57%, nel 1980 dello 0,48% fino allo 0,46% nel 2010. Incidenze elevate sono state rilevate in particolare in zone vulcaniche, come le Hawaii (dove l'incidenza del cancro della tiroide è la più elevata del mondo), il Giappone, le Filippine, la Nuova Zelanda, l'Islanda e la Sicilia.
In letteratura sono descritti numerosi fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma tiroideo, tra i quali si sono dimostrati prevalenti l'esposizione a radiazioni ionizzanti e la carenza iodica. L'esposizione a radiazioni ionizzanti, rappresenta l’unico fattore di rischio ad oggi noto, particolarmente durante l'infanzia e l'adolescenza, utilizzate frequentemente in passato per trattare l'iperplasia del timo, delle tonsille, delle adenoidi e per il trattamento dell'acne grave.
tiroidei di tipo papillare riscontrato nelle regioni della Bielorussia, dell'Ucraina e del Sud della Russia colpite dal fall-out radioattivo in seguito al disastro nucleare di Chernobyl del 1986. L'altro fattore di rischio, la carenza iodica, è responsabile di un deficit ormonale tiroideo che, stimolando l'asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, aumenta la secrezione di TSH e dunque la proliferazione cellulare nel tentativo di compensare il deficit nutrizionale, predisponendo alla trasformazione tumorale.
Ogni anno negli Stati Uniti e in Europa vengono diagnosticati circa 30.000 nuovi casi di carcinoma tiroideo e di questi l'85% è rappresentato da carcinomi differenziati della tiroide (DTC) di tipo papillare (PTC) e follicolare (FTC). Gli altri tipi di cancro sono nettamente meno frequenti, e sono rappresentati dai carcinomi anaplastici (ATC) (5-10%), dai carcinomi midollari (MTC) (5-8%)e dai linfomi primitivi della tiroide (LPT) (1-2%) originati spesso su una ghiandola tiroidea affetta da tiroidite di Hashimoto di lunga durata.
Con il termine carcinomi differenziati della tiroide (DTC) si intendono le neoplasie maligne che derivano dall'epitelio follicolare della tiroide a morfologia papillare (PTC) e/o follicolare (FTC), che mantengono le caratteristiche di differenziazione tipiche del tessuto tiroideo normale: la dipendenza dall’ormone tireostimolante (TSH), la sintesi di Tg e la capacità iodocaptante.
Le forme differenziate colpiscono tutte le fasce di età con un picco di incidenza tra la terza e la sesta decade di vita, ed hanno una netta prevalenza per il sesso femminile nell'età adulta (F:M=3/4:1), ad eccezione dei bambini, dove il rapporto femmine/maschi è di poco superiore all'unità.
Il PTC rappresenta il 70% dei DTC, e le varianti istologiche sono:
• Variante classica (CVPTC): 70% dei casi clinicamente diagnosticati caratterizzata microscopicamente da papille, ciascuna di esse formata da un asse connettivo-vascolare rivestito di cellule, con un nucleo di aspetto tipico.
• Variante follicolare (FVPTC): 20% dei casi clinicamente diagnosticati, formato esclusivamente da follicoli ripieni di colloide. Colpisce prevalentemente soggetti giovani. • Variante sclerosante (SVPTC): sono rare e si osservano essenzialmente nei bambini e nei giovani adulti. Si presentano come un ingrandimento globale della tiroide, dove i due lobi sono costituiti da un tessuto tumorale duro. Microscopicamente, questa neoplasia si caratterizza per la sua multifocalità.
• Variante a cellule alte o cilindriche (TCPTC): sono neoplasie spesso voluminose che invadono i tessuti peri-tiroidei. Sono tipiche dei soggetti anziani.
L'FTC rappresenta il 20% circa dei DTC, e le sue varianti istologiche sono:
• Variante classica: si presenta abitualmente come un nodulo tiroideo unico, più o meno capsulato. L'OMS, in funzione del grado di invasione dei vasi e della capsula, distingue due forme: la forma minimamente invasiva e la forma altamente invasiva. • Variante a cellule chiare: sono rari. Le cellule sono chiare a causa della presenza di vescicole citoplasmatiche o per l'accumulo intra-cellulare di grasso o di glicogeno. • Variante a cellule ossifile o a cellule di Hürthle: sono formati da cellule di grandi dimensioni, citoplasma abbondante, granulare (per l'abbondanza di mitocondri) e eosinofilo, da grandi nuclei con nucleolo prominente.
2.1.2 Comportamento biologico
Il PTC ha la tendenza a rimanere confinato all'interno della ghiandola tiroidea. Quando metastatizza, le prime stazioni di diffusione, sono i linfonodi cervicali, e i linfonodi più frequentemente interessati sono quelli giugulari superiori, medi e inferiori. Talvolta i linfonodi sede di metastasi possono essere facilmente palpati, a differenza del tumore primitivo, di dimensione nettamente inferiore rispetto ai linfonodi metastatizzati, infatti
la maggior parte dei carcinomi papillari si manifesta con una tumefazione di un linfonodo cervicale. Tuttavia, da un punto di vista prognostico, il superamento della capsula tiroidea, è ancora più grave della diffusione linfatica, in quanto, seppur raramente, la neoplasia può diffondere lungo le fasce cervicali, verso l'esofago e verso la trachea, interessando, nelle fasi molto avanzate, anche le pareti dei grossi vasi del collo e le formazioni nervose quale il nervo laringeo. Le localizzazioni a distanza intessano prevalentemente polmoni e ossa. Più rare sono le localizzazioni epatiche, renali, cerebrali e cutanee.
Il PTC è un tumore a crescita lenta ed è uno dei tumori a prognosi più favorevole vista la sopravvivenza a 5, 10, 20 anni, rispettivamente del 95, 90, 83%.
Anche il FTC è un tumore a lenta crescita, e con prognosi relativamente favorevole, tuttavia risulta essere più aggressivo rispetto al PTC soprattutto per quanto riguarda la forma ampiamente invasiva e il carcinoma a cellule di Hürthle. I FTC, inoltre metastatizzano prevalentemente per via ematogena, localizzandosi a livello polmonare e osseo, dove in quest'ultimo provocano lesioni osteolitiche, soprattutto a carico del cingolo scapolo-omerale, dello sterno e del cranio.
Benchè il DTC abbia una lenta evoluzione, con una prognosi generalmente buona, non bisogna dimenticare che resta una neoplasia potenzialmente letale in una percentuale di casi non trascurabile. Pertanto il trattamento iniziale deve essere il più radicale possibile e deve tendere ad ottenere una guarigione definitiva, una bassa incidenza di recidive locali e di metastasi a distanza ed una ottima qualità di vita senza complicanze iatrogene.
2.1.3 Stadiazione
Nel corso degli anni sono stati sviluppati numerosi sistemi di stadiazione che, attraverso la valutazione delle caratteristiche cliniche e istopatologiche del carcinoma,
hanno lo scopo di predire la prognosi “quoad vitam” del paziente. Il più utilizzato (consigliato anche dall’American Joint Committee on Cancer e utilizzato dal National Thyroid Cancer Treatment Cooperative Study Registry) è il sistema di stadiazione TNM, del quale è uscito recentemente l’ottava edizione, tuttavia in questo studio faremo riferimento alla settima edizione. Questo sistema di stadiazione TNM ha un alto valore predittivo del rischio di morte correlata alla malattia ma non è altrettanto utile nel predire l’outcome generale ed in particolare il rischio di recidiva. Questo è soprattutto legato al fatto che i pazienti giovani hanno un bassissimo rischio di morte correlata alla malattia associato invece ad un significativo rischio di recidiva; i pazienti con età più avanzata hanno invece un aumentato rischio sia di recidiva che di mortalità. Pertanto un sistema di stadiazione capace di predire il rischio di morte è capace anche di predire il rischio di recidiva nei pazienti ad età più avanzata ma sottostima significativamente il rischio di recidiva nei pazienti giovani.
Per tale motivo, sia nelle linee di consenso europeo per il trattamento del carcinoma differenziato che nelle linee guida Americane del 2015 sono stati proposti due nuovi sistemi di stadiazione molto simili che attraverso dati clinico-patologici permettono di valutare il rischio di recidiva. In particolare, nelle linee guida americane, i pazienti sono suddivisi in:
- Rischio Basso di recidiva: DTC confinato alla tiroide, senza metastasi linfonodali o a distanza e senza infiltrazione dei tessuti lassi peritiroidei e/o invasione vascolare, con istologia non aggressiva.
- Rischio Intermedio di recidiva: DTC con infiltrazione dei tessuti lassi peritiroidei e/o metastasi linfonodali e/o con istologia aggressiva e/o PTC con invasione vascolare.
- Rischio Alto di recidiva: grossa estensione extratiroidea e/o metastasi a distanza.
Le ultime linee guida americane hanno apportato alcune piccole modifiche a queste tre classi di rischio. In particolare sono entrati a far parte del basso rischio anche i casi di DTC con micrometastasi linfonodali (cioè con diametro maggiore <0.2 cm) quando in numero inferiore o uguale a 5 come pure i microcarcinomi mutati per BRAFV600E. Nella classe di rischio intermedio invece non tutti i pazienti con metastasi linfonodali sono considerati a rischio intermedio ma solo coloro che presentano più di 5 linfonodi metastatici con dimensioni superiori a 0,2 cm ma inferiori a 3 cm. Sono inoltre inclusi della classe di rischio intermedio anche PTC con estensione extratiroidea, mutati per BRAFV600E. La classe ad alto rischio di recidiva pertanto adesso include non solo i pazienti con grossa estensione extratiroidea e con metastasi a distanza ma anche pazienti con solo metastasi linfonodali, quando dimensionalmente superiori o uguali a 3 cm.
La popolazione scientifica, se fino a qualche anno fa si affidava alla sola stratificazione iniziale del rischio di recidiva, basata esclusivamente sui dati anatomo-patologici, negli ultimi anni si è evoluto sempre di più il concetto dell’”ongoing risk stratification” o “delayed risk stratification” che va ad includere non solo i dati patologici ma tutti risultati del trattamento iniziale (chirurgia e terapia ablativa con 131-I). Sulla base di tale stratificazione del rischio è possibile infatti che un paziente inizialmente con un tumore localmente avanzato (T4) possa, dopo il trattamento iniziale, rientrare nella classe a basso rischio, sulla base dei dati post-trattamento. A tale proposito, le più recenti linee guida americane hanno proposto la suddivisione dei pazienti in 4 categorie, in base ai dati ottenuti dopo l’intervento chirurgico e la terapia radioablativa con 131-I:
- Eccellente risposta: pazienti con imaging negativo, con un valore di Tg sierica <0.2 ng/ml in terapia soppressiva o stimolata < 1 ng/ml e AbTg negativi; Risposta biochimica incompleta: pazienti con imaging negativo con un valore
di Tg soppressa ≥ 1 ng/ml o Tg stimolata ≥ 10 ng/ml o con incremento del titolo anticorpale di AbTg.
- Risposta strutturale incompleta: pazienti con imaging positivo indipendentemente dal valore della Tg e/o AbTg.
- Risposta indeterminata: pazienti con imaging apparentemente negativo con la presenza di un valore di Tg sierica in terapia soppressiva dosabile ma < 1 ng/ml e stimolata < 10 ng/ml.
A queste 4 categorie sono state associate percentuali diverse di recidiva di malattia e quindi management e follow-up diverso.
I pazienti con DTC hanno un’alta probabilità di guarigione completa ed una bassa probabilità di recidiva. Tra i fattori che ci permettono di identificare la piccola percentuale di pazienti ad alto rischio di recidiva e di morte troviamo l’età del paziente al momento della diagnosi, le dimensioni del tumore primitivo, la presenza di estensione extratiroidea e dalle metastasi a distanza. La presenza delle metastasi linfonodali invece non aumentano il rischio di mortalità per DTC ma aumentano il rischio di recidiva locale e regionale.
Da segnalare che anche lo stato mutazionale dei principali oncogeni coinvolti nella carcinogenesi tiroidea ha un ruolo prognostico.
2.1.4 Trattamento
Il trattamento iniziale del carcinoma tiroideo differenziato, pur essendo ad oggi ben consolidato, ha ancora aspetti dibattuti che riguardano l'estensione del primo intervento chirurgico nei pazienti a “basso rischio”, l'uso routinario dell'ablazione post-chirurgica con I-131 e l'impiego della scintigrafia totale corporea (STC) nel monitoraggio
post-chirurgico dei pazienti con DTC.
In presenza di una diagnosi di DTC, la strategia terapeutica prevede: a) terapia chirurgica:
Il trattamento iniziale consiste in una tiroidectomia totale o “quasi totale”, associata, nei casi di ovvio coinvolgimento linfonodali, a dissezione linfonodale, che deve preservare l'integrità dei nervi laringei e delle paratiroidi: infatti le due più importanti complicanze chirurgiche, ma fortunatamente rare, sono la paralisi permanente del nervo laringeo e l'ipoparatiroidismo post-chirurgico (circa 2% in entrambi i casi) se l'intervento è eseguito da un chirurgo esperto.
Una tiroidectomia radicale riduce significativamente il rischio di recidive su tessuto tiroideo residuo e di metastasi loco-regionali e/o a distanza, inoltre facilita l'ablazione post-chirurgica con radioiodio ed un adeguato follow-up.
In uno studio condotto alla Mayo Clinic, a 20 anni dalla diagnosi, la frequenza di recidive locali e metastasi linfonodali era rispettivamente del 14 e del 19% dopo emi-tiroidectomia e del 2 e del 6% dopo tiroidectomia totale.
L'alta frequenza di multifocalità e bilateralità soprattutto nei pazienti con PTC rende ragione dell'importanza della tiroidectomia totale. Studi istologici hanno infatti dimostrato la presenza di foci microscopici di carcinoma tiroideo nel lobo contro laterale in circa il 30-80% dei pazienti con carcinoma papillare della tiroide.
Una chirurgia meno radicale può rappresentare un trattamento adeguato nei carcinomi tiroidei a “basso rischio” (carcinomi papillari di dimensioni inferiori a 1,5 cm, unifocali e intralobulari).
Il trattamento dei linfonodi loco-regionali rimane argomento ancora controverso, perché da un lato, trattandosi di un tumore a lenta evoluzione raramente mortale, non è attribuibile alle metastasi una chiara influenza sulla sopravvivenza totale, dall'altro viene
invece riconosciuto allo I-131 un importante ruolo terapeutico, dopo la chirurgia. In presenza di metastasi accertate la necessità che l'intervento vada esteso alle sedi coinvolte è universalmente condivisa.
La chirurgia dei linfonodi del comparto centrale viene effettuata in caso di sospetto pre-operatorio e/o evidenze intra-operatorie di metastasi linfonodali. Il beneficio di una dissezione profilattica “in blocco” del compartimento centrale in assenza di evidenza di malattia pre- ed intra-operatoria è infatti controverso. Sebbene non vi sia alcuna evidenza di miglioramento della frequenza di recidive o di mortalità, la rimozione dei linfonodi del compartimento centrale permette un’accurata stadiazione della malattia che guida il successivo trattamento ed i follow-up. Tuttavia, la chirurgia profilattica del comparto centrale è gravata da un alto tasso di ipoparatiroidismo post chirurgico a fronte di uno scarso impatto sull’andamento della malattia. La linfadenectomia laterocervicale è guidata dalla ecografia del collo che è in grado di identificare linfonodi sospetti anche di piccole dimensioni: un controllo citologico mediante agoaspirazione e dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio dirime qualsiasi dubbio fornendo al chirurgo le adeguate informazioni.
b) ablazione post-chirurgica del residuo tiroideo con iodio radioattivo:
In molti centri, la tiroidectomia totale è seguita dall'ablazione del tessuto tiroideo residuo mediante 131-I, che emette essenzialmente radiazioni β (90%) ma anche radiazioni γ (10%).
Il razionale dell'ablazione del tessuto tiroideo residuo risiede in tre punti:
1-Eliminare la presenza di possibili foci di tessuto tumorale residuo, e dunque di diminuire la frequenza di recidive, dato che il PTC è multifocale circa nel 50% dei casi. 2-Aumentare la sensibilità della STC post-dose per identificare precocemente un eventuale malattia locale o metastasi linfonodali laterocervicali dopo somministrazione
di 131-I.
3-Facilitare l'interpretazione clinica del dosaggio della (Tg) circolante come marcatore tumorale, dato che la Tg è prodotta sia dal residuo tiroideo, sia dalle metastasi di carcinoma tiroideo; quindi eliminando la Tg derivante dal residuo tiroideo, la Tg diviene in marcatore di malattia metastatica.
Molti autori hanno dimostrato che l'ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico diminuisce la frequenza di recidive e, secondo alcuni, anche la mortalità, tuttavia tale beneficio non sembra essere così evidente nel caso di PTC unifocali di diametro inferiore al centimetro (microPTC) e pertanto nelle recenti linee di consenso europee per il trattamento del carcinoma tiroideo, così come nelle linee guida americane ATA del 2015, l’ablazione con radioiodio è raccomandata in tutti i pazienti con metastasi a distanza note, macroscopica estensione extratiroidea del tumore indipendentemente dalla dimensione tumorale, o diametro massimo del tumore primitivo >4 cm anche in assenza di altre caratteristiche di rischio più elevato. L’ablazione con radioiodio è altresì raccomandata in pazienti selezionati con carcinomi tiroidei di 1-4 cm confinati entro i limiti della ghiandola, che hanno metastasi linfonodali documentate o altre caratteristiche di rischio più elevato quando la combinazione di età, dimensione del tumore, stato dei linfonodi e istologia predice un rischio intermedio-alto di recidiva di malattia o di morte per carcinoma tiroideo.
L’ablazione con radioiodio non è, invece, raccomandata in pazienti con carcinoma unifocale <1 cm senza altre caratteristiche di rischio più elevato, né in pazienti con carcinoma mulitifocale quando la somma di tutti i foci è <1 cm in assenza di altre caratteristiche di rischio più elevato.
L’ablazione del residuo richiede la stimolazione del TSH. Non sono stati eseguiti studi per determinare quali sono i livelli adeguati di TSH endogeno per un’ablazione ottimale o per i controlli del follow-up. Studi non controllati suggeriscono che un TSH >30 mUI/L
è associato ad un aumentato assorbimento di radioiodio nei tumori, mentre studi che hanno usato una dose singola di TSH esogeno suggeriscono una massimale stimolazione dei tireociti per valori di TSH compresi tra 51 e 82 mUI/L. Tuttavia, non soltanto il picco sierico delle concentrazioni di TSH, ma anche l’area totale sotto la curva del TSH è potenzialmente importante per una captazione ottimale del radioiodio da parte delle cellule follicolari tiroidee. L’aumento del TSH endogeno può essere raggiunto mediante sospensione della somministrazione di ormoni tiroidei, sospendendo la somministrazione di LT4 e sostituendola per 2-4 settimane con LT3, facendo seguire poi una sospensione di quest’ultima per 2 settimane, oppure interrompendo la somministrazione di LT4 per 30 gg senza l’introduzione dell’LT3. Entrambi i metodi di preparazione possono far raggiungere livelli sierici di TSH >30 mUI/L nel 90% dei pazienti.
Un ruolo controverso riguarda la dose di 131-I da utilizzare per l'ablazione del residuo post-chirurgico. Una revisione dei nostri casi trattati prima del 1990 ha consentito di osservare che la percentuale di pazienti che ottenevano una radioablazione efficace e definitiva del residuo tiroideo, non era dissimile tra i pazienti che venivano trattati con 30 mCi o tra 30 e 80 mCi o maggiori di 80mCi, e la percentuale si attestava intorno al 60%. Tuttavia quando abbiamo cominciato ad evitare la STC diagnostica, eseguita dopo somministrazione di 1 mCi 48 ore prima della somministrazione della dose terapeutica, ottenevamo una percentuale di casi ablati dell'85%, anche se trattati con soli 30mCi di 131-I. Questo incremento di percentuale di ablazione è dovuta all'eliminazione dell'effetto stunning determinato dalla somministrazione di 1 mCi per la STC diagnostica. Vista l'elevata percentuale di radioablazione ottenuta con soli 30mCi, considerando altre evidenze che le recidive sono simili nei soggetti trattati con 30mCi rispetto a quelli trattati con 100mCi e che il rischio degli effetti collaterali da terapia radiometabolica aumenta a partire da dosi >100mCi, si consiglia di utilizzare l'impiego di attività di 30mCi per la
radioablazione dei pazienti con patologia a rischi basso e intermedio e riservare il trattamento con attività più elevate solo ai pazienti con patologia ad alto rischio.
c) Terapia soppressiva e sostitutiva con levo-tiroxina (L-T4):
Dopo la tiroidectomia tutti i pazienti con DTC devono intraprendere la terapia con ormoni tiroidei. Le finalità di questo trattamento sono essenzialmente due:
1. Correggere l'ipotiroidismo iatrogeno post-chirurgico, somministrando un dosaggio appropriato, in modo da ottenere livelli ormonali fisiologici di ormoni tiroidei (terapia sostitutiva);
2. Sopprimere i livelli circolanti di TSH sierico. Una terapia soppressiva ottimale è quella che utilizza le dosi più basse di L-T4 sufficienti a sopprimere i valori di TSH al di sotto di 0,1 μU/ml in presenza di normali concentrazioni di T3 e T4 libere. Questa terapia si basa sul fatto che la soppressione del TSH priva il DTC del più importante fattore di crescita qual è appunto il TSH. L'utilità di questa soppressione è supportata da studi sull'uomo e sugli animali, dove è stato visto che la soppressione del TSH è in grado di inibire la proliferazione delle cellule follicolari neoplastiche.
Il trattamento soppressivo si è dimostrato efficace nel ridurre sia la frequenza di metastasi che il tasso di mortalità, tuttavia in base a quanto affermato dalle ultime linee guida, allo scopo di evitare gli effetti collaterali della terapia sostitutiva a lungo termine, dovrebbe essere rivalutata la somministrazione in relazione alla classe di rischio del paziente. Infatti, se da una parte è stato dimostrato che un TSH costantemente soppresso (≤ 0.05 mUI/l) era associato ad una sopravvivenza libera da recidiva più lunga rispetto a livelli di TSH sierico pari a 1 mUI/l o maggiori, e che il grado di soppressione del TSH era un predittore indipendente di recidiva all’analisi multivariata, dall’altra un noto studio ha dimostrato che lo stadio di malattia, l’età del paziente e la terapia con 131-I sono predittori
indipendenti di progressione di malattia, mentre il grado di soppressione del TSH non si è dimostrato tale. Un terzo studio ha dimostrato che in corso di terapia con LT4 i livelli medi di Tg erano significativamente più alti con un livello di TSH normale rispetto a un livello di TSH soppresso (<0.5 mU/l), ma solo nei pazienti con recidiva locoregionale o a distanza. Un quarto studio di 2936 pazienti ha dimostrato, infine, che la sopravvivenza complessiva migliorava significativamente quando il TSH era soppresso a < 0.1 mUI/l in pazienti con stadio III o IV, e tra 0.1 e 0.5 in pazienti con stadio II; tuttavia, la soppressione del TSH a livelli indosabili non apportava benefici aggiuntivi nei pazienti con malattia allo stadio II, e i pazienti allo stadio I non avevano vantaggi dalla soppressione del TSH.
2.1.5 Follow-up
Il follow-up diagnostico del DTC ha lo scopo di mantenere un'adeguata terapia con ormoni tiroidei e di individuare precocemente la persistenza o la recidiva di malattia. Il follow-up deve essere protratto per l'intera vita del paziente, data la possibilità di recidiva anche a distanza di molti anni dal trattamento iniziale. Circa il 5-20 % dei pazienti sviluppa recidive locali o metastasi loco-regionali, mentre il 5-10% di essi sviluppa metastasi a distanza. Le recidive sono più frequenti durante i primi 5 anni di follow-up, tuttavia possono manifestarsi anche a distanza di alcune decadi dal trattamento iniziale, pertanto il follow-up deve essere continuato per tutta la vita.
Il follow-up del DTC si avvale essenzialmente di metodiche integrate comprendenti: • La scintigrafia totale corporea con dose diagnostica di 131-I;
• Il dosaggio della Tg circolante come marcatore tumorale; • Test di stimolo della Tg con TSH umano ricombinante;
2.1.6 Scintigrafia totale corporea con 131-I
La base razionale per l'utilizzo del 131-I nella diagnosi e nella terapia delle metastasi del carcinoma tiroideo, è la capacità delle cellule follicolare di tumori tiroidei ben differenziati, primitivi e metastatici, di concentrare lo iodio.
La STC è una metodica altamente sensibile e specifica; se ne distinguono due tipi: la STC diagnostica eseguita dopo somministrazione di una dose terapeutica di 131-I (1-4mCi) che ha lo scopo di identificare le eventuali aree di captazione e fare calcoli dosimetrici; e la STC post-dose terapeutica che viene eseguita dopo trattamenti con dosi elevate di 131-I (30-150 mCi) per confermare la captazione e per evidenziare aree di captazione non viste alla STC diagnostica. Per effettuare la STC, sia diagnostica che terapeutica, si utilizza una gamma camera (Aspex SPX 4000, Elscint Italia) con un collimatore ad alta energia. Data la scarsa sensibilità della STC diagnostica è stata recentemente esclusa dalla lista delle tecniche da utilizzare nel follow-up del paziente con DTC non accompagnati da positività del titolo di AbTg. La STC dopo dose terapeutica viene effettuata dopo 3-5 giorni dalla somministrazione della dose stessa. Nel caso del trattamento radioablativo, la somministrazione di 131-I viene preceduta da una valutazione della captazione a livello della regione del collo dopo somministrazione di una dose traccia minima di 50 mCi. La capacità di captare lo iodio da parte del tessuto tiroideo residuo o metastatico è dipendente dal TSH. Tradizionalmente, elevati livelli circolanti di TSH (<25 mU/l) venivano ottenuti mediante la sospensione della terapia con ormoni tiroidei, con conseguente ipotiroidismo spesso mal tollerato dai pazienti e con impatto negativo nella loro vita familiare, sociale e lavorativa, inoltre l'ipotiroidismo può rappresentare un pericolo particolarmente in pazienti anziani con comorbidità associate. L'introduzione
nella pratica clinica di una preparazione esogena di TSH (rhTSH) rappresenta una valida alternativa alla sospensione della terapia con ormoni tiroidei. Il rhTSH è stato ottenuto mediante tecnologia ricombinante e, dopo un vasto numero di studi pre-clinici e clinici che ne hanno dimostrato l'efficacia e la sicurezza, è entrato nella pratica clinica del follow-up diagnostico del DTC. Attualmente la STC viene eseguita a distanza di 6-12 mesi dal trattamento radiometabolico con 131-I in condizioni di eutiroidismo, previa somministrazione intramuscolo di due fiale di rhTSH (0,9 mg) a distanza di 24 ore l'una dall'altra. La dose di 131-I (4 mCi) deve essere somministrata a distanza di 24 ore dalla seconda fiala, e la STC deve essere eseguita a distanza di 48 ore dalla somministrazione di 131-I. In presenza di STC negativa e di indosabilità della Tg, il follow-up non prevede ulteriori scintigrafie ma solo periodici controlli clinici, ecografici e della Tg circolante durante il trattamento con LT4. L'orientamento attuale è quello di utilizzare in maniera più selettiva la STC e di monitorare il paziente mediante il dosaggio della Tg circolante, infatti è stata ampiamente dimostrata una eccellente correlazione tra i livelli di Tg e lo stato della malattia in assenza di anticorpi anti-Tg.
2.1.7 Dosaggio della Tg
La Tg è una glicoproteina ad alto peso molecolare che rientra nella costituzione della colloide del follicolo tiroideo. Ha un peso molecolare di 330.000 dalton, viene sintetizzata nel reticolo endoplasmatico, viene poi trasferita nell'apparato del Golgi per la glicosilazione e successivamente viene immagazzinata in vescicole e liberata nella cavità del follicolo. La Tg è una proteina organo-specifica, dunque dopo tiroidectomia totale e radioablazione con 131-I del tessuto tiroideo residuo, i livelli di Tg dovrebbero essere indosabili, mentre valori dosabili dovrebbero allertare il clinico, dunque il dosaggio della
Tg diventa un importante indicatore prognostico della malattia. Il dosaggio della Tg come indice di persistenza o recidiva di DTC è stato per la prima volta raccomandato da Van Herle e Uller e confermato da successivi studi che hanno dimostrato la validità clinica del dosaggio della Tg. Due sono i limiti principali del dosaggio della Tg: 1) nei pazienti con positività dei titoli di anticorpi anti-Tg, il dosaggio può essere gravato da falsi negativi, pertanto i livelli indosabili di Tg non possono essere interpretati come indicatore attendibile di remissione di malattia, data l'interferenza che questi hanno nel dosaggio della Tg. 2) livelli indosabili di Tg in terapia soppressiva non sono sufficientemente attendibili per dichiarare il paziente in remissione clinica. Durante il trattamento con LT4, la Tg è indosabile in circa il 98% dei pazienti che sono considerati liberi da malattia, mentre è dosabile in tutti i pazienti che presentano metastasi a distanza. Esiste però un 20% di soggetti con metastasi linfonodali e circa un 5% con micrometastasi a distanza che presentano valori indosabili di Tg durante trattamento con ormoni tiroidei. Occorre quindi avere sempre una misurazione della Tg sotto stimolo. Mentre questo problema è stato superato grazie all'introduzione di routine del test di stimolazione con rhTSH, rimane il problema della interferenza da AbTg. Nei pazienti affetti da DTC con AbTg si consiglia di eseguire sempre il dosaggio della Tg sierica e degli AbTg e di associare sempre la STC diagnostica, considerata invece scarsamente sensibile nei pazienti con DTC e assenza di AbTg. Estremamente importante è seguire l'andamento nel tempo del titolo anticorpale durante il follow-up perché una progressiva riduzione del titolo è fortemente suggestiva di una evoluzione verso la guarigione, mentre la persistenza o l'aumento del titolo sono considerati suggestivi di persistenza di tessuto tiroideo residuo e/metastatico.
Il rhTSH è in grado di riprodurre gli stessi effetti del TSH endogeno, senza che il paziente debba sospendere la terapia con LT4. Il rhTSH è stato approvato nel follow-up post-chirurgico del DTC negli Stati Uniti nel 1998 dalla FDA (Food and Drug Adminitration) e in Europa nel 2001 dalla EMEA (European Medicines Agency). Il protocollo di impiego del rhTSH prevede la somministrazione intramuscolo di due fiale di rhTSH (0,9 mg) a distanza di 24 ore l'una dall'altra. Il dosaggio della Tg viene eseguito in condizioni basali e a distanza di 48 e 72 ore dalla somministrazione della seconda fiala di rhTSH. Il dosaggio della Tg dopo stimolo con rhTSH è molto sensibile nei pazienti con titolo anticorpale AbTg negativo, molto più sensibile della STC diagnostica nel documentare la persistenza di malattia. Nei pazienti con positività agli AbTg è indicata la STC diagnostica somministrando la dose di 131-I (4 mCi) a distanza di 24 ore dalla seconda fiala, ed eseguendo la STC a distanza di 48 ore dalla somministrazione del 131-I. Recenti studi hanno evidenziato come il rilievo di valori indosabili di Tg dopo rhTSH in assenza di AbTg sia in grado di individuare correttamente il 98% dei pazienti liberi da malattia. Pertanto attualmente si utilizza tale test di stimolo come guida per decidere quali siano i pazienti che necessitano di terapia con 131-I, dopo la quale si eseguirà una STC che risulta molto più sensibile della STC diagnostica per rilevare eventuali lesioni metastatiche o residui di tessuto tiroideo.
2.1.9 Altre procedure diagnostiche
Ecografia (US) della regione del collo (entrata nella pratica clinica dal 1986), associata all'esame citologico su agoaspirato tiroideo (con dosaggio della Tg su liquido di lavaggio) di linfonodi sospetti (metastatici e/o recidiva/persistenza di malattia). Oggi l'ecografia del
collo rappresenta la più accurata tecnica di imaging per l'identificazione di noduli tiroidei. E' in grado, inoltre, di identificare linfonodi cervicali sospetti di pochi millimetri di diametro, rappresentando anche una guida per l'agoaspirazione degli stessi con ago sottile. Aspetti che ci fanno sospettare la natura maligna sono:
– Nodulo tiroideo ipoecogeno, bordi irregolari, assenza di alone ipoecogeno periferico, ipervascolarizzazione intranodulare e presenza di microcalcificazioni intranodulari.
– Linfonodo ipoecogeno, di forma rotondeggiante, senza ilo, ipervascolarizzato e con presenza di microcalcificazioni.
Questi elementi, sopratutto se associati, pongono il sospetto di malignità che dovrà essere confermata dall'esame citologico e dal dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio. In pazienti con persistenza di malattia possono essere utilizzate altre metodiche radiologiche quali la radiografia dello scheletro, TC, RMN e scintigrafia ossea per evidenziare eventuali localizzazioni metastatiche.
2.2 Il TSH umano ricombinante (rhTSH)
2.2.1 Impiego dell’rhTSH in trials clinici in pazienti affetti da carcinoma differenziato della tiroide.
Negli ultimi anni una particolare attenzione é stata rivolta alla qualità di vita dei pazienti affetti da malattie neoplastiche. Nel follow-up post-chirurgico del carcinoma differenziato della tiroide (DTC) la condizione di ipotiroidismo dovuta alla sospensione della terapia ormonale ha un impatto negativo nella vita del paziente. Per tale motivo nel corso degli anni sono state sperimentate metodiche alternative potenzialmente in grado di
assicurare la stessa sensibilità diagnostica della Tg e della STC eseguite in condizioni di ipotiroidismo.
La disponibilità di grandi quantità di rhTSH ha permesso la realizzazione di ampi studi clinici nei pazienti affetti da DTC.
La somministrazione esogena di due fiale IM di rhTSH, a distanza di 24 ore l’una dall’altra, è in grado di stimolare, a livello del tessuto tiroideo residuo e/o metastatico, la captazione del radioiodio e la produzione di Tg. L’incremento massimo dei valori sierici di TSH si osserva a distanza di 24h dalla seconda somministrazione e valori superiori a 20 U/ml si osservano a distanza di 72 ore dall’ultima somministrazione. L’incremento dei valori di Tg è invece più tardivo e si osserva a distanza di 48-72 ore dalla somministrazione della seconda fiala di rhTSH.
Dopo somministrazione di rhTSH, la sensibilità diagnostica della Tg aumenta significativamente rispetto a quella osservata in terapia soppressiva sia nei pazienti con residuo tiroideo (dal 22 al 52% rispettivamente) sia nei pazienti con metastasi loco-regionali e/o a distanza (dal 72 al 100%). I valori di Tg dopo somministrazione di rhTSH sono significativamente più bassi di quelli osservati, negli stessi pazienti, in condizioni di ipotiroidismo e non sono sufficienti a discriminare tra presenza di residuo tiroideo e metastasi loco-regionali e/o a distanza.
La sensibilità diagnostica della scintigrafia totale corporea con 131-I, eseguita dopo rhTSH, è sovrapponibile a quella osservata negli stessi pazienti in condizioni di ipotiroidismo. L’uso combinato della scintigrafia totale corporea con 131-I e del dosaggio della Tg dopo rhTSH aumenta la sensibilità diagnostica della metodica solo nei pazienti con persistenza di residuo tiroideo (dal 52% al 93%) e non nei pazienti con metastasi. L’rhTSH non stimola la formazione di anticorpi anti-TSH, nemmeno nei pazienti sottoposti a più cicli di trattamento con rhTSH, e migliora significativamente la qualità di
vita del paziente quando confrontata con quella osservata dopo sospensione della terapia con ormoni tiroidei.
2.2.2 Impiego di rhTSH nel follow-up post-chirurgico del DTC.
Impiego di rhTSH a scopo diagnostico
L’impiego del rhTSH a scopo diagnostico è supportato da importanti studi della letteratura scientifica. Robbins e collaboratori hanno valutato retrospettivamente 289 pazienti con DTC: 161 eseguivano la valutazione diagnostica (SCT e dosaggio della Tg) in ipotiroidismo e 128 dopo somministrazione di rhTSH. In questo studio l’accuratezza diagnostica della SCT e della Tg eseguite in eutiroidismo, dopo somministrazione di rhTSH, non differiva significativamente da quella osservata nei pazienti in sospensione di terapia. Mazzaferri e Kloos hanno utilizzato il rhTSH in 107 pazienti affetti da DTC con Tg indosabile basalmente in terapia con L-T4. In base al risultato delle indagini eseguite, il 10% dei pazienti studiati risultava affetto da persistenza di malattia. In tutti questi casi le concentrazioni di Tg (indosabile basalmente) aumentavano oltre 2 ng/ml dopo rhTSH, indicando la presenza di tessuto tiroideo neoplastico. La SCT diagnostica risultava negativa in tutti. La conclusione di questi Autori era che il solo dosaggio della Tg dopo stimolo era in grado di mostrare la persistenza di malattia, mentre l’utilità della SCT diagnostica era praticamente nulla. Si proponeva quindi di utilizzare lo stimolo della Tg come guida per decidere quali pazienti necessitano di terapia con 131-I.
La scarsa utilità della SCT diagnostica è stata recentemente confermata in due studi retrospettivi in pazienti studiati in ipotiroidismo. In questi studi il dosaggio della Tg aveva un valore diagnostico superiore alla SCT diagnostica. Quando la Tg era indosabile, la SCT era sempre negativa o al massimo dimostrava la presenza di piccoli residui nel letto
tiroideo di scarso significato clinico. Dopo 10 anni di follow-up, i pazienti inclusi in questi studi risultavano in remissione completa di malattia e solo lo 0,6% aveva una recidiva locale, svelata all’ecografia del collo, ma non dalla SCT. Perfino quando la Tg sierica è dosabile in ipotiroidismo, la SCT può risultare falsamente negativa in circa il 20% dei pazienti. In questi pazienti la sede delle metastasi può essere identificata mediante SCT eseguita dopo somministrazione di alte dosi terapeutiche di 131-I. Sulla base di questi rilievi, è possibile proporre di evitare l’esecuzione di una SCT diagnostica in pazienti con Tg stimolata indosabile, riservando il trattamento con 131-I e la SCT post-dose a quei pazienti in cui la Tg basale o stimolata è dosabile o elevata.
La possibilità di utilizzare il dosaggio della Tg dopo rhTSH come unico test predittivo di persistenza o recidiva di malattia nel follow-up post-chirurgico dei pazienti affetti da DTC è stata ulteriormente validata da uno studio prospettico condotto su 72 pazienti nei quali veniva effettuato il dosaggio della Tg dopo rhTSH e successivamente, dopo opportuno sospensione della terapia ormonale veniva effettuato il dosaggio della Tg e la SCT in ipotiroidismo. In tutti i pazienti con metastasi loco-regionali o a distanza si osservava un incremento della Tg dopo rhTSH, quindi con un valore predittivo del 100% dei casi. I picchi di Tg dopo rhTSH hanno solo un valore qualitativo, ma non quantitativo, in quanto si osservava un’ampia sovrapposizione tra i valori di Tg in presenza di residuo tiroideo e di metastasi linfonodali o a distanza. In tutti i casi in cui il valore della Tg rimaneva indosabile anche dopo rhTSH veniva esclusa la persistenza di malattia ad eccezione di un esiguo numero di casi in cui si osservava la persistenza di residuo tiroideo. L’elevata concordanza tra i valori di Tg dopo rhTSH e la presenza e/o assenza di malattia conferma il possibile impiego del dosaggio della Tg dopo rhTSH come metodica singola da utilizzare nel follow-up del DTC. Il test è in grado di discriminare i pazienti in remissione di malattia da quelli che invece necessitano di ulteriori indagini e/o trattamenti per persistenza di malattia.
Sulla base delle pubblicazioni citate, un recente editoriale di Wartofsky conclude che un approccio di follow-up basato sul dosaggio della Tg dopo stimolo con rhTSH senza SCT diagnostica può essere riservato ai pazienti a basso rischio e servirà a identificare malattia residua o recidivante in un 10-20% di pazienti. Il restante 80-90% di pazienti nei quali la Tg dopo stimolo rimane indosabile possono essere seguiti con sufficiente sicurezza mediante il dosaggio della Tg in condizioni basali, esame clinico e ecografia del collo.
Impiego di rhTSH a scopo terapeutico
L’rhTSH a scopo terapeutico è stato utilizzato in diverse centinaia di pazienti nell’ambito di un protocollo definito “uso compassionevole”.
In questi pazienti infatti la sospensione della terapia ormonale poteva esporli a gravi rischi neurologici, dovuti all’aumento della massa tumorale, nel caso di metastasi ossee o celebrali. In un minor numero di casi la produzione del TSH endogeno non era sufficiente per l’età avanzata dei pazienti o per la presenza di concomitanti patologie ipofisarie. Infine in alcuni pazienti la sospensione della terapia ormonale era controindicata per la presenza di cardiopatia ischemica o malattia mixedematosa.
Dall’analisi di alcuni studi in letteratura è emerso che l’rhTSH è in grado di assicurare una sufficiente captazione di 131-I da parte dei tessuti metastatici. Non è stato comunque possibile valutare la reale efficacia della terapia radiometabolica con 131-I dopo somministrazione di rhTSH dal momento che la maggior parte dei pazienti presentava, al momento del trattamento, una malattia in fase avanzata. Nonostante le condizioni critiche dei pazienti il farmaco è stato comunque ben tollerato, ad eccezione di alcuni casi che hanno sviluppato complicazioni neurologiche dovute alla crescita del tumore, all’edema o all’emorragia, e ha permesso di garantire ai pazienti una migliore qualità di vita rispetto alla condizione di ipotiroidismo.
2.2.3 RhTSH nell’ablazione del residuo post-chirurgico (RRA)
L'ablazione del tessuto tiroideo residuo post-chirurgico (RRA) rientra nella strategia terapeutica dei DTC per almeno tre importanti motivi:
1. De Groot nel 1994 e Mazzaferri nel 1997 hanno dimostrato che è in grado di ridurre sia la recidiva di malattia che la mortalità;
2. Permette di accrescere la sensibilità della STC post chirurgica e, rimuovendo il tessuto tiroideo sano, che è molto più avido di iodio rispetto a quello canceroso, aumenta la sensibilità della misurazione della Tg;
3. È un trattamento sicuro.
Il razionale di tale trattamento risiede nell’eliminazione del residuo tiroideo post-chirurgico che, in circa il 50% dei casi, nasconde altri microfoci di carcinoma tiroideo. Inoltre questo trattamento può facilitare sia l’iniziale staging dei pazienti con DTC identificando precocemente un eventuale malattia locale o metastasi linfonodale latero-cervicale con la scintigrafia totale corporea post-terapeutica, inoltre permette di facilitare l’interpretazione clinica del dosaggio della Tg (Tg) circolante come marcatore tumorale che rappresenta il più sensibile test per identificare una persistenza/recidiva di malattia , dato che la Tg è prodotta sia dal residuo tiroideo, sia dalle metastasi di carcinoma tiroideo. Tuttavia il beneficio ottenuto dall’RRA in pazienti con DTC a rischio basso ed intermedio è ancora controverso e oggetto di dibattito. Tutti siamo d’accordo che i pazienti con piccoli DTC (<1 cm), intratiroidei, unifocali, con variante istologica non aggressiva e senza metastasi linfonodali (T1aN0M0, secondo 7th classificazione TNM) non dovrebbero essere sottoposti alla RRA per il basso rischio di recidiva e di mortalità cancro-correlata a cui sono esposti, come appunto dicono le più recenti linee di consenso
europee per il trattamento del carcinoma tiroideo, così come nelle linee guida americane. Invece, la presenza di metastasi a distanza, una resezione chirurgica incompleta o una resezione chirurgica completa ma con alto rischio di recidiva e/o mortalità (T3, T4 and M1, secondo la 7th classificazione TNM) rappresentano delle chiare indicazioni alla RRA.
2.2.4 Preparazione del paziente all’ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico
Tradizionalmente l'RRA con 131-I veniva eseguita in ipotiroidismo dopo un’adeguata sospensione della terapia con LT4 per 4 o più settimane in modo da ottenere un livello di TSH al di sopra del valore empirico di 30 mU/L, necessario per un'ottimale captazione del radioisotopo. Tuttavia l'ipotiroidismo determina una ridotta qualità di vita specialmente nei pazienti giovani e rappresenta un potenziale pericolo nei pazienti anziani con patologie associate. Inoltre, nei pazienti con malattia metastatica l'incremento prolungato dei valori di TSH può rappresentare un rischio per la progressione della malattia.
Negli anni novanta, studi di ingegneria genetica hanno portato alla produzione del rhTSH. Dopo l'introduzione nella pratica clinica del rhTSH a scopo diagnostico, numerosi pazienti a rischio di sviluppare complicanze potenzialmente pericolose per la vita a causa della sospensione prolungata di LT4, sono stati trattati con 131-I previa somministrazione di rhTSH. In considerazione dei vantaggi in termini di qualità di vita, i modesti effetti collaterali e la ridotta esposizione radiogena dei tessuti, grazie alla più rapida clearance renale, l’impiego di rhTSH è stato considerato una valida alternativa alla sospensione della terapia ormonale con LT4 per l'RRA con 131-I.
Molti studi hanno cercato di stabilire se la percentuale ablativa ottenuta dopo somministrazione del rhTSH fosse simile a quella ottenuta in ipotiroidismo.
Nel 2006 uno studio randomizzato, controllato, multicentrico ha definitivamente dimostrato che l'ablazione del tessuto tiroideo residuo con rhTSH, utilizzando un'attività di 100 mCi di 131-I, aveva un’efficacia sovrapponibile all'ablazione eseguita in ipotiroidismo. Da questi risultati è derivata l'approvazione per uso clinico del rhTSH per l'RRA dapprima in Europa (European Medicines Agency, EMA), nell'Aprile 2005, successivamente negli USA (Food Drug Administration, FDA) nel dicembre 2007 ed infine in America Latina.
Il maggior beneficio dell’utilizzo del rhTSH deriva dall’evitare gli effetti negativi dell’ipotiroidismo che potrebbero interferire con la vita sociale ed il lavoro. Infatti è stato dimostrato che la preparazione dell’RRA con rhTSH è in grado di migliorare non solo la qualità di vita dei pazienti ma anche in grado ridurre l’esposizione del corpo alle radiazioni.
Un altro importante problema da valutare per il successo ablativo è il pool corporeo di iodio perché il sovraccarico di iodio potrebbe interferire con l’uptake del 131-I e quindi ridurre la percentuale del successo ablativo. Il dosaggio della ioduria potrebbe essere utile nei pazienti che devono sottoporsi a RRA, ma tale dosaggio non sempre è disponibile. Sebbene oggi non esistano ancora studi che stabiliscono quale possa essere il limite maggiore della ioduria potenzialmente interferente con l’RRA, 250-300 µg/l è considerato empiricamente un limite alto da non superare. Molti studi fanno vedere come una dieta a basso contenuto di iodio riduce la ioduria; molti autori ritengono utile fare una dieta a basso contenuto di iodio (<50 µg/day) da 1 settimana a 3 settimane prima della RRA in particolare nelle aree ad altro introito di iodio. Ciononostante, in un ampio studio retrospettivo italiano non è stata riscontrata alcuna differenza nella percentuale ablativa tra pazienti con diverso contenuto iodico preparati o in ipotiroidismo o in eutiroidismo dopo somministrazione di rhTSH.
2.2.5 Ablazione del RRA con rhTSH
Nella pratica clinica routinaria, il protocollo di amministrazione comune consiste in un'iniezione di rhTSH (0,9 mg IM.) per due giorni consecutivi. La misurazione della Tg viene effettuata in condizioni basali e dopo 48 e 72 ore dopo la seconda iniezione di rhTSH. La misurazione della Tg deve sempre essere associata alla rilevazione degli anticorpi anti-Tg (AbTg). Se gli AbTg risultano essere positivi, a causa della loro interferenza, la misura della Tg diventa inaffidabile. Se viene richiesto un STC diagnostica, la dose di tracciante 131-I (4 mCi) deve essere somministrata 24 ore dopo la seconda iniezione e la STC eseguita dopo 48 ore dall'amministrazione 131-I. L’attività da utilizzare per RRA (basse attività quale 30 mCi vs alte attività come 100 mCi) rappresenta ancora oggi argomento di acceso dibattito.
Sebbene l'indicazione alla preparazione con rhTSH per l'ablazione del residuo fu approvata per l'utilizzo di attività di 131-I elevate (come 100 mCi), a seguito di studi che dimostrano una efficacia ablativa sovrapponibile anche con attività minori,oggi il rhTSH può essere utilizzato anche con attività di 30 mCi. Già nel 2002 Pacini et. al., in uno studio prospettico e randomizzato, ha confrontato pazienti trattati con 30 mCi sia in ipotiroidismo con o senza stimolazione con rhTSH e pazienti in eutiroidismo dopo stimolazione con rhTSH. Lo scopo dello studio di Pacini et al. era stato quello di valutare se la stimolazione con rhTSH poteva essere utilizzata nell’ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico in pazienti con carcinoma differenziato della tiroide usando una dose standard di 30 mCi di 131-I: il successo ablativo era stato confrontato nei tre gruppi di pazienti diversamente trattati (in ipotiroidismo con o senza stimolazione con rhTSH e in eutiroidismo con stimolazione con rhTSH). Si osservava però che la percentuale ablativa era significativamente maggiore nel gruppo di pazienti in ipotiroidismo (con o senza
rhTSH) rispetto ai pazienti eutiroidei trattati con rhTSH e pertanto l’impiego del rhTSH nell’ablazione con basse dosi subiva una battuta d’arresto. Un più recente studio di Pacini et al. ha dimostrato non solo una efficacia ablativa con attività di 131-I di 50 mCi pari a quella attenuta con 100 mCi ma tale efficacia si otteneva anche nei pazienti con metastasi linfonodali a rischio intermedio. Infine uno studio prospettico randomizzato ha confrontato l'efficacia ablativa di una dose bassa fissa di 131-I (30 mCi) in pazienti a basso rischio, sia in ipotiroidismo che in eutiroidismo dopo stimolo con rhTSH, previa breve interruzione della terapia con LT4 (4 giorni). Il successo dell'ablazione nei pazienti eutiroidei era equivalente a quello ottenuto nel gruppo dei pazienti in ipotiroidismo. Recentemente due grandi studi multicentrici randomizzati condotti rispettivamente in Francia (studio Estimabl) ed in Inghilterra (studio Hilo), hanno dimostrato che una percentuale ablativa simile veniva ottenuta in 4 gruppi di pazienti con DTC randomizzati, preparati o con rhTSH o in ipotiroidismo e trattati con 30 o 100 mCi di 131-I (1.1 GBq e 3.7 GBq). In particolare, da Gennaio 2007 a Luglio 2010, sono stati coinvolti 24 e 29 centri rispettivamente in Francia ed in Inghilterra e sono stati eletti pazienti di età compresa tra 18 e 80 anni, con DTC a basso rischio (T1-T2; Nx-N1) nello studio francese e pazienti con rischio basso ed intermedio (T1- T3 con o senza coinvolgimento linfonodale) nello studio inglese. Tutti i pazienti sono stati assegnati casualmente ad uno dei quattro gruppi di studio: basse attività o alte attività di 131-I ognuno combinato con rhTSH o l’ipotiroidismo. L’obbiettivo primario era rappresentato dalla percentuale del successo ablativo valutato circa a 6-9 mesi dall’ablazione e definito da un esame ecografico del collo negativo, dal riscontro di un valore di Tg stimolata dopo rhTSH <1 ng/ml o dalla scintigrafia totale corporea diagnostica con 131-I negativa nei pazienti con AbTg positivi nello studio francese; diversamente nello studio inglese il successo ablativo veniva confermato dal riscontro di una valore di Tg stimolata con rhTSH < 2 ng/ml o da una scintigrafia totale corporea diagnostica negativa nei pazienti con AbTg positivi. Il
successo ablativo veniva ottenuto rispettivamente in 180/214 (85%) e 182/214 (85%) pazienti dei gruppi che avevano ricevuto una bassa attività di radioiodio contro i 180/210 e 184/207 (88.9%) pazienti del gruppo che aveva ricevuto alte attività di radioiodio. Il successo ablativo risultava simile anche se venivano confrontati i pazienti preparati con rhTSH (183/210 pazienti, 87.1 %) con i pazienti preparati con l’ipotiroidismo (183/211 pazienti,86,7%).
Da segnalare che mentre in uno studio sono stati arruolati solo pazienti con DTC a basso rischio nell’altro studio sono stati inclusi pazienti con DTC sia a basso che rischio intermedio. Questi due studi hanno chiarito definitivamente la questione se le basse attività di 131-I e la stimolazione con rhTSH possano essere utilizzate tranquillamente per ottenere la RRA.
Infine abbiamo riscontrato in letteratura alcuni studi che dimostrano che le “miniattività” (0.74 GBq/20 mCi) potrebbero essere efficace quanto le basse attività (1 GBq/27 mCi) di 131-I e non solo potrebbero essere utili nell’individuare metastasi linfonodali o metastasi a distanza nei pazienti con DTC a basso rischio preparati o con rhTSH o in ipotiroidismo. Nel DTC sono necessari almeno 10 anni di follow-up per stabilire che l'efficacia terapeutica sia accompagnata anche da una efficacia duratura e che il rischio di recidiva non sia diverso tra le due strategie. Ad oggi gli studi condotti su pazienti con DTC preparati per la RRA con rhTSH hanno follow-up brevi. Alcuni dati iniziali su periodi di follow-up relativamente brevi sono già disponibili: nel 2009 Elisei et al. hanno dimostrato che, dopo un follow-up mediano di 3.7 anni, pazienti con DTC a basso rischio preparati per la RRA con rhTSH o in ipotiroidismo presentavano una percentuale di recidiva/persistenza di malattia sovrapponibile. Tuttle et al, in uno studio retrospettivo, non randomizzato e non controllato, hanno dimostrato che dopo un follow-up breve (mediana 2,5 anni), la percentuale di persistenza di malattia e la recidiva di malattia erano sovrapponibile nei due gruppi. Percentuali simili sono state ottenute da Rosario et al. che
hanno confermato una percentuale del successo ablativo simile utilizzando basse o alte attività di 131-I con rhTSH o dopo sospensione della terapia ormonale sostitutiva dopo un follow-up minimo di almeno 5 anni.
2.2.6 RhTSH nel trattamento delle metastasi
L'uso di 131-I nel carcinoma tiroideo differenziato (DTC) si basa su oltre 60 anni di esperienza clinica. Le indicazioni cliniche di 131-I sono:
-il trattamento iniziale dopo la tirodectomia totale
-il trattamento del linfonodo e / o metastasi a distanza e / o recidiva locoregionale nella malattia avanzata.
Circa il 10-15% dei pazienti con DTC sviluppa metastasi a distanza con il 50% della mortalità dopo 20 anni. I siti più frequenti di metastasi a distanza sono il polmone e / o l'osso seguiti dal sistema nervoso centrale, dalla pelle e dal fegato; raramente il DTC coinvolge il rene, la ghiandola surrenale e l'ovaio.
Il radioiodio è il trattamento di prima scelta nelle metastasi piccole o non resecabili che conservano la proprietà di captare radioiodio, mentre, in caso di grandi masse tumorali, l'approccio più appropriato è quello chirurgico. In pazienti selezionati con malattia localizzata isolata la chirurgia potrebbe essere curativa e in ogni caso potrebbe aumentare l'efficacia del trattamento con 131-I.
Nei pazienti con DTC che presentano un quadro clinico con un importante coinvolgimento metastatico, il trattamento con 131-I seguito dalla STC è l'approccio più appropriato. Sfortunatamente nelle metastasi polmonari macroscopiche o nelle metastasi ossee si può ottenere solo una risposta parziale o la stabilizzazione della malattia, ma nel