UNIVERSITÀ DI PISA
Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie
in Medicina e Chirurgia
Tesi di laurea
SPETTRO PANICO-AGORAFOBICO E ANSIA DI
SEPARAZIONE IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI OBESI
CANDIDATI ALLA CHIRURGIA BARIATRICA
Relatore:
Candidato:
Chiar.mo Prof. Stefano Pini
Eleonora Torri
Indice
CAP.1 L’OBESITA’ ... 4
1.1 DEFINIZIONE ... 4
1.2 EPIDEMIOLOGIA ... 5
1.3 TERAPIA DELL’OBESITA’ ... 6
1.4 INDICAZIONI ALLA CHIRURGIA BARIATRICA ... 7
1.5 TIPI DI INTERVENTI CHIRURGICI... 9
CAP.2 ASPETTI PSICOPATOLOGICI DEI PAZIENTI CANDIDATI ALLA CHIRURGIA BARIATRICA ... 12
2.1 PSICOPATOLOGIA ED OBESITA’ ... 12
2.2 SPETTRO PANICO-AGORAFOBICO ... 14
2.3 COMORBIDITA’ CON DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE ... 16
2.4 ATTACCAMENTO ED OBESITA’ ... 17
2.5 DISTURBO D’ANSIA DI SEPARAZIONE ... 22
SCOPO DELLA TESI ... 28
CAP.3 MATERIALI E METODI ... 29
CAP.4 STRUMENTI PSICODIAGNOSTICI ... 30
1. M.I.N.I.: ... 30
2. ADULT SEPARATION ANXIETY QUESTIONNAIRE (ASA – 27): ... 31
3. ATTACHMENT STYLE QUESTIONNAIRE: ... 31
4. PANIC AGORAPHOBIC SPECTRUM QUESTIONNAIRE SELF-REPORT (PAS-SR Lifetime ) 33 RISULTATI ... 35
DIAGNOSI PSICHIATRICHE ... 35
DISCUSSIONE ... 38
BIBLIOGRAFIA ... 42
CAP.1 L’OBESITA’
1.1 DEFINIZIONE
L’obesità è una condizione cronica caratterizzata da un accumulo eccessivo di tessuto adiposo che influisce negativamente sullo stato di salute, infatti, essendo un importante
fattore di rischio per varie malattie croniche quali diabete mellito tipo2, malattie
cardiovascolari e tumori, è responsabile di un aumento di morbilità e mortalità nei
pazienti che la presentano.(1, 2) L’obesità è definita in base a criteri clinici e al calcolo
del Body Mass Index o Indice di Massa Corporea (BMI o IMC). IL BMI è l’indice
maggiormente utilizzato per definire la condizione di obesità ed è un valore numerico
che si ottiene dal rapporto tra peso corporeo in kg ed altezza in metri al quadrato.
Secondo le linee guida del 1998 del “National Heart, Lung and Blood Institute” si parla
di sovrappeso per valori di BMI 25-29,9 kg/m² e di obesità quando il BMI è >30 kg/m². L’obesità viene suddivisa in varie classi: I classe per un BMI di 30-34.9 kg/m², II classe per un BMI di 35-39.9 kg/m² e infine di obesità di III classe per un BMI maggiore di 40
kg/m². All’interno della III classe si riconoscono due gruppi di pazienti: quelli con BMI
compreso tra 40 e 50 e i super-obesi con BMI>50.Questa suddivisione deriva dagli studi
di Mason e colleghi in cui è stato osservato che pazienti con BMI>50, se sottoposti a
gastroplastica verticale, ottenevano risultati peggiori in termini di calo ponderale(3) e
1.2 EPIDEMIOLOGIA
L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale. Il rapido e progressivo incremento di casi osservato negli ultimi anni, fa si che venga
considerata una vera e propria “epidemia “o “pandemia”. (linee guida SICOB)
I dati della WHO del 2014 riportano come nel mondo oltre 1,9 miliardi di persone
adulte siano in sovrappeso e circa 600 milioni siano obese. Complessivamente circa il
39% degli adulti (38% maschi e 15% femmine) era in sovrappeso e circa il 13%
dell’intera popolazione mondiale (11% maschi e 15% femmine) era obeso.
In tutto il mondo la prevalenza dell’obesità è più che raddoppiata dal 1980 al 2014
(WHO 2016).
Studi epidemiologici indicano che la maggioranza della popolazione americana è
sovrappeso o obesa; negli Stati Uniti la prevalenza dalla condizione di obesità morbosa
o di 3° grado è aumentata di quattro volte in quattordici anni tanto che nel 2004 il 6,4%
delle donne ed il 3,3% degli uomini presentavano obesità morbosa.(4, 5) Anche la
percentuale dei super-obesi è in aumento: negli USA, dal 2000 al 2005, è incrementata
del 75%.(6)
In Europa la prevalenza dell’obesità è aumentata di tre volte nelle ultime due decadi ed è destinata a raddoppiarsi nei prossimi trenta anni se non verranno effettuati interventi
efficaci (Conferenza ministeriale europea per la lotta all’obesità; Istanbul, 2006).
Anche in Italia l’obesità rappresenta un problema sanitario di crescente e pressante gravità. La percentuale di soggetti in sovrappeso è di circa il 35%, con una prevalenza
del sesso maschile, mentre la percentuale di soggetti francamente obesi è di circa il
10%, con una piccola prevalenza per il sesso femminile e per le regioni meridionali.
L’andamento di tale patologia in Italia è in preoccupante aumento se si considera che: il numero degli obesi negli ultimi venti anni è cresciuto del 25%, ad aumentare non è stato
tanto il numero dei soggetti in sovrappeso quanto quello dei pazienti obesi e infine si
registra il record europeo di bambini/adolescenti in sovrappeso (36%) ed obesi
(10-15%).
Il rapporto dell’Istituto Auxologico Italiano indica un ulteriore significativo
peggioramento. Il dato più allarmante è costituito dal fatto che in soli 4 anni la
popolazione dei soggetti in sovrappeso sia aumentata di circa 6.000.000 di unità. Ad
aggravare queste considerazioni si aggiunge il dato emergente dagli ambienti pediatrici
che indica un notevole incremento dell’obesità nella popolazione giovanile ed infantile.
1.3 TERAPIA DELL’OBESITA’
La terapia dell'obesità è definita dal conseguimento di una riduzione di peso del 5-10%
e dal mantenimento di questo obiettivo a lungo termine. In termini di equilibrio
metabolico, un bilancio negativo deve essere mantenuto sia nella fase di riduzione del
peso che in quella di mantenimento.
Il primo approccio si dovrebbe basare su modifiche comportamentali che dovrebbero
avere lo scopo di cambiare in modo duraturo lo stile di vita del paziente . L'associazione
di una dieta e di attività fisica, con o senza una terapia farmacologica, può contribuire al
raggiungimento di risultati intermedi che hanno dimostrato di essere transitori solo in
assenza di modifiche comportamentali.
Il Documento redatto nel 2010 da Donini e colleghi(7) raccomanda un approccio
articolato, multi-professionale che consiste in interventi paralleli su nutrizione,
riabilitazione motoria e funzionale, psicoterapia mirata e terapia farmacologica in casi
Nei casi in cui il grado di riduzione del peso non è soddisfacente o quando l’obesità e le comorbidità sono così gravi da costituire un rischio per la vita del paziente, si può
ricorrere alla chirurgia bariatrica.
L’obesità e le malattie correlate hanno un enorme impatto sociale, comportano una
riduzione della quantità ed uno scadimento della qualità della vita nonché costi sanitari
e sociali, diretti ed indiretti estremamente rilevanti.
Questo fatto, unito con i modesti risultati raggiunti dai soggetti affetti dai gradi più
elevati di obesità che tentano di ottenere una perdita di peso con modificazioni
comportamentali o trattamenti farmacologici, hanno contribuito probabilmente
all’aumento di popolarità del trattamento chirurgico dell’obesità. (8)
Nonostante la chirurgia bariatrica non sia assimilabile a una cura per l’obesità, in quanto
il circolo vizioso dell’incremento ponderale che caratterizza l’obesità di terzo grado può essere interrotto solamente dalla restrizione dell’introito alimentare, essa può comunque
determinare un soddisfacente decremento ponderale a lungo termine e una migliore
prognosi “quod valetudinem” per i pazienti. (9, 10)
La chirurgia bariatrica è in genere un intervento efficace, ma i suoi risultati a lungo
termine dipendono prevalentemente dalla compliance del paziente nel seguire una dieta
adeguata e regole comportamentali corrette.(11)
1.4 INDICAZIONI ALLA CHIRURGIA BARIATRICA
Le attuali indicazioni alla chirurgia bariatrica fanno riferimento alla gravità dell’obesità e alla potenziale reversibilità del quadro clinico.
Come riportato dalla Consensus Conference del National Institute of Health Americano
Il BMI, in quanto massimo valore raggiunto dal paziente, consente di dare indicazione
alla chirurgia, nonostante i suoi importanti limiti. Insieme al BMI sono stati valutati
paramenti metabolici, funzionali e psicologici sempre in un bilancio complessivo fra
rischi e benefici. I pazienti devono soddisfare alcuni requisiti:
-presentare BMI >40 kg/m2 , in assenza di ogni altra comorbidità o BMI >35 kg/m2 ,
in presenza di comorbidità fra quelle classicamente considerate come associate
all’obesità:diabete mellito di tipo II, ipertensione arteriosa, sindrome da apnea notturna, pseudo tumori cerebrali, etc.
-età >18 anni. Nel paziente in età evolutiva, valgono criteri più restrittivi rispetto a
quelli dell’adulto: • BMI >35 kg/m2 (>99,5° percentile per età) con almeno una comorbilità; • trattamento medico da almeno 6 mesi presso un Centro specializzato; • maturità scheletrica e sviluppo completato; • capacità di aderire a programmi multidisciplinari pre- e postoperatori; • possibilità di accedere a una struttura con
supporto pediatrico specialistico.
- avere la capacità di esprimere un valido consenso, essere motivati e disponibili ai
controlli periodici e al regime dietetico;
-piena disponibilità ad un impegno costante nel seguire terapia nutrizionale,
comportamentale e le istruzioni mediche;
-essere compatibili con il rischio operatorio, valutato in base all’Obesity Surgery
Mortality Risk Score (OS-MRS).
-non avere controindicazioni maggiori.
Le controindicazioni alla chirurgia bariatrica, in base alle linee guida consigliate e
adottate dalla S.I.C.OB., interessano prevalentemente l’ambito psicologico e
- Il Disturbo d’ansia e/o di depressione non associato a un programma psichiatrico di
sostegno ( indice predittivo negativo per il risultato della chirurgia bariatrica).
-Il Disturbo bipolare non in compenso, sia per le sue caratteristiche sintomatologiche,
che per la difficoltà a stabilizzare il trattamento farmacologico nel postintervento.
-La schizofrenia e la psicosi non in compenso.
-La Dipendenza da alcol, sia per le caratteristiche psicopatologiche sia per quelle
fisiopatologiche.
- Il paziente con Disturbo da alimentazione incontrollata o Binge Eating Disorder
(BED) è indicato per la chirurgia bariatrica dopo valutazione interdisciplinare e
trattamento psicoterapeutico
-La diagnosi di Bulimia Nervosa. Solo in seguito alla totale e stabile remissione dei
sintomi, conseguente a un trattamento psicoterapeutico, si potrà rivalutare il percorso
chirurgico
-I pazienti affetti da Night Eating Syndrome (NES, Sindrome da alimentazione
notturna) o da Disturbo da alimentazione incontrollata o Binge Eating Disorder (BED)
hanno indicazione alla chirurgia bariatrica solo dopo valutazione interdisciplinare e
trattamento psicoterapeutico
(Linee guida SICOB 2016)(12)
1.5 TIPI DI INTERVENTI CHIRURGICI
Negli ultimi decenni, numerosissime tecniche chirurgiche sono state proposte
nell’ambito della chirurgia dell’obesità grave, ma molte di esse sono state successivamente abbandonate, o per la povertà dei risultati o per l’insorgenza di
complicanze. I pochi interventi che hanno superato questo processo di selezione
1) Interventi di restrizione gastrica (bendaggio gastrico regolabile, gastroplastica
verticale).
Agiscono semplicemente riducendo il volume dello stomaco e quindi causando un
precoce senso di sazietà ed una riduzione del senso di fame. La digestione e
l’assorbimento degli alimenti avviene normalmente. Il paziente deve essere disponibile a seguire una serie di consigli alimentari riguardanti soprattutto il modo di mangiare.
2) Interventi di restrizione gastrica con associato by-pass duodeno-digiunale (bypass
gastrico).
Agiscono in parte come i precedenti, ma in questo
caso il cibo non transita più nel primo tratto
dell’intestino tenue, che viene appunto by-passato chirurgicamente. Questo provoca una maggior
riduzione del senso di fame, almeno nel primo
anno dopo l’intervento. Il by-pass può interferire con l’assorbimento di alcuni elementi (ferro calcio) che vanno quindi introdotti come
supplementi.
3) Interventi di restrizione gastrica con associato malassorbimento (diversione
bilio-pancreatica, interventi di “duodenal switch”, by-pass bilio-intestinale). In questo caso la riduzione dello stomaco è minore rispetto agli interventi di restrizione gastrica e
l’elemento più importante dell’intervento è il by-pass di gran parte dell’intestino. Il meccanismo che provoca il calo di peso è quindi
la riduzione dell’assorbimento di quello che il
paziente mangia. Il cibo ingerito ma non
assorbito viene eliminato per via fecale. Vi sono
deficit di assorbimento anche di nutrienti
importanti per il benessere fisico (proteine,
vitamine, ferro, calcio). Il paziente deve
assumere supplementi di tali nutrienti per tutta la
vita.(13)
CAP.2 ASPETTI PSICOPATOLOGICI DEI PAZIENTI
CANDIDATI ALLA CHIRURGIA BARIATRICA
2.1 PSICOPATOLOGIA ED OBESITA’
La correlazione tra obesità e disturbi mentali è ancora ampiamente dibattuta.
Petry e colleghi, utilizzando i dati dal National Epidemiologic Survey on Alcohol and
Related Conditions (NESARC,2006), hanno rilevato una maggior prevalenza di disturbi
dell’umore e di ansia degli ultimi 12 mesi nel gruppo di soggetti obesi rispetto al gruppo dei soggetti normopeso(14). Questi risultati sono in accordo con quelli ottenuti
dall’indagine condotta da Scott e colleghi utilizzando il Composited International
Diagnostic Interview (CIDI 3.0). Questo studio trasversale si proponeva di indagare
l’esistenza di un’associazione tra obesità e disturbi mentali nella popolazione generale e i potenziali moderatori, come le variabili demografiche, di questa eventuale
associazione. Da tale ricerca è stata riscontrata una relazione significativa tra obesità e
Disturbo Depressivo Maggiore (OR=1,27), Disturbo bipolare (OR=1,47), Disturbi
d’ansia (OR=1,46) come il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) (OR=2,64), il Disturbo di Panico e Agorafobia (OR=1,27). Le variabili socio demografiche
influenzavano l’associazione tra obesità e disturbi dell’umore mentre non veniva influenzata significativamente l’associazione tra obesità e disturbi d’ansia.(15)
Uno studio ulteriore, utilizzando il questionario HSCL-25, ha rivelato che l’obesità in
età adolescenziale rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di depressione in età
adulta così come soggetti di sesso maschile con obesità addominale hanno un rischio
1,76 volte maggiore di manifestare sintomi depressivi rispetto ai pazienti non obesi e di
sesso femminile(16).
Altri studi, invece, non hanno riscontrato una associazione significativa tra obesità e
stati reclutati per valutare un’eventuale relazione tra obesità e disturbi psichiatrici. Non veniva rilevata una maggior incidenza di patologia psichiatrica tra i soggetti obesi del
campione, rispetto ai non obesi. Nei soggetti del campione in esame, inoltre, l’obesità risultava associata con malattie somatiche e con un basso stato socio economico,
tuttavia i soggetti obesi erano più frequentemente sposati o con un partner e meno
frequentemente divorziati: probabilmente questa condizione spiegava l’assenza di correlazione tra problemi psicologici ed obesità.(17)
Tuttavia studi condotti su soggetti affetti da obesità di 3° grado hanno rilevato una più
alta prevalenza di patologie psichiatriche rispetto a studi effettuati su pazienti con grado
inferiore di obesità sebbene le percentuali riscontrate oscillassero
ampiamente.(18)Infatti Sarwer e colleghi avevano notato che la percentuale di soggetti
con anamnesi psichiatrica positiva variava dal 20% al 70% in studi condotti su candidati
alla chirurgia bariatrica. Gli stessi ricercatori, inoltre, avevano osservato che, in un
campione di 90 soggetti obesi che si sarebbero sottoposti all’intervento chirurgico, la
percentuale di paziente con diagnosi psichiatrica era del 64,4% ed in più della metà dei
soggetti veniva riscontrata più di una patologia psichiatrica. Depressione e Binge Eating
Disorder erano le due diagnosi più frequenti (rispettivamente del 28% e del 24%) (8).
In un altro studio il 66% dei partecipanti aveva almeno un disturbo di asse I in
anamnesi ed il 38% presentava una patologia psichiatrica in atto(19).
Dai dati ricavati dalle suddette ricerche emerge che i più comuni disturbi diagnosticati
nei candidati alla chirurgia bariatrica sono in ordine decrescente disturbi dell’umore, ansia, disturbi della condotta alimentare e da uso di sostanze.(8, 18)
2.2 SPETTRO PANICO-AGORAFOBICO
Tutti gli studi citati sopra sono basati su un metodo di classificazione categoriale dei
disturbi mentali; tuttavia l’approccio categoriale non tiene in considerazione lo spettro
dei disturbi sotto-soglia, i sintomi atipici e parziali dei disturbi mentali conclamati. In
psichiatria il termine spettro è stato introdotto inizialmente per designare tutte le
malattie con basi genetiche comuni e, successivamente ampliato, a causa della difficoltà
di identificare con esattezza i fenotipi dei disturbi mentali, fino ad includere tutti quei
disturbi che, rispetto ad un dato disturbo di Asse I, sono caratterizzati da manifestazioni
fenomeniche simili ma non coincidenti con essi. Quindi il modello di spettro identifica e
riconosce le caratteristiche cliniche parziali, attenuate ed atipiche dei disturbi
pienamente conclamati; tutti questi sintomi spesso trascurati, quando duraturi, possono
causare disagioe possono influenzare la scelta del trattamento e la risposta ad esso.
Il modello di spettro(20) comprende:
1. Sintomi tipici, atipici e subclinici dei disturbi di asse I del DSM.
2. Segni, sintomi isolati, gruppi di sintomi e modelli comportamentali correlati ai
sintomi principali. Queste caratteristiche possono essere prodromiche e/o rappresentare
i precursori di una condizione non completamente espressa; inoltre possono essere
conseguenze cliniche di un precedente disturbo conclamato.
3. Temperamento e/o tratti di personalità. Infatti, il modello di spettro applicato al
Disturbo di Panico (DP), include la sintomatologia tipica di attacchi di panico,
agorafobia ed ansia anticipatoria, e i sintomi subclinici e atipici di panico e fobia che
sono frequentemente associati al disturbo di panico e spesso trascurati nell’approccio categoriale al disturbo.
Secondo Cassano et al.(21) lo spettro panico-agorafobico comprende otto domini
1. Ansia di separazione: il Disturbo di Panico è frequentemente associato ad una
estrema sensibilità alla separazione e alla perdita, anche se transitoria e di modesta
entità.
2. Sintomi di panico: questo dominio comprende, oltre ai sintomi classici elencati nel
DSM-IV, anche sintomi atipici di panico come sensazione di confusione e vertigini,
disorientamento, sensazione di nervosismo o disagio di fronte a prospettive sfocate
come nebbia, mare aperto o paesaggi innevati.
3. Sensibilità allo stress: studi clinici hanno dimostrato un’elevata vulnerabilità agli
eventi stressanti in soggetti con DP.(22-24)
4. Sensibilità a farmaci e sostanze: l’ipersensibilità alle sostanze psicostimolanti è un
indice affidabile del modello di spettro.(25, 26)
5. Aspettativa ansiosa: questo dominio include sintomi che appartengono a due diversi
sottodomini, Ansia Anticipatoria e il fenomeno dello Stato di Allarme.
6. Agorafobia e altre fobie: comprende comportamenti fobico-evitanti sia tipici, come
l’evitare spazi aperti e luoghi affollati, che atipici, come la fobia sociale e la claustrofobia.
7. Fobie per le malattie e ipocondria: è caratterizzato dalla presenza di preoccupazioni
pervasive e non realistiche relative allo stato di salute e dalla tendenza a interpretare i
vari eventi fisiologici come segni e sintomi di malattie potenzialmente letali.
8. Orientamento alla rassicurazione: il senso di insicurezza, l’incapacità di agire
autonomamente e la forte sensibilità alla rassicurazione sono le caratteristiche tipiche
dello spettro panico-agorafobico.
Il modello di spettro panico-agorafobico può essere visto come un complemento
dell’attuale approccio categoriale, sia per scopi diagnostici che epidemiologici. L’identificazione di una sintomatologia subclinica e atipica permette quindi interventi
terapeutici specifici con ripercussioni sostanziali sulla prognosi e la qualità della
vita.(27)
2.3 COMORBIDITA’ CON DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Anche per quanto riguarda i disturbi dell’alimentazione è di frequente osservazione nella pratica clinica la presenza di forme forme atipiche, sindromi parziali e
sotto-soglia. Questi stili alimentari anomali, pur non rispettando i criteri diagnostici, hanno un
impatto significativo sul funzionamento quotidiano.(28)
Ricerche che coinvolgono popolazioni non-cliniche suggeriscono che la prevalenza di
sindromi parziali è superiore a quella di disturbi alimentari a piena espressività (29) e
che i soggetti con sindrome parziale spesso presentano lo stesso comportamento
disturbato di quelli con sindrome di piena, tuttavia di grado inferiore per frequenza o
gravità.(30).
Nella pratica clinica sono frequentemente osservati episodi di abbuffate soggettive
caratterizzate dall’ingestione di piccole quantità di cibo per un periodo di tempo prolungato associate alla sensazione di perdita di controllo; questo pattern alimentare è
comunemente denominato "grazing". Si tratta di un modello che può essere considerato
un disturbo alimentare sotto-soglia ed è stato descritto in letteratura in pazienti con
bypass gastrico, sia precedentemente (31, 32) che successivamente all’intervento
chirurgico (33). Mentre certe abitudini alimentari possono migliorare per alcuni pazienti
dopo l'intervento, soprattutto nel breve termine, alcuni studi hanno dimostrato che i
disturbi alimentari tendono a persistere dopo l'intervento chirurgico e sono legati a
scarsi risultati e ad un maggior incremento ponderale post-chirurgico.(19, 34).
In un studio di Saunders del 2001, la prevalenza di soggetti che incontravano i criteri
gastrico. Se fossero state incluse sindromi parziali, la percentuale sarebbe stata molto
più alta.(28)
È pertanto importante che sia ampliata la gamma di disturbi alimentari da studiare, sia
prima che dopo la chirurgia bariatrica in modo che possano essere sviluppati interventi
appropriati.
2.4 ATTACCAMENTO ED OBESITA’
La teoria dell’attaccamento, secondo Bowlby(35) è ”un modo di concettualizzare la
propensione degli esseri umani a creare solidi legami affettivi con altri individui
significativi”. Questa teoria è stata originariamente creata da Bowlby al fine di dare una
spiegazione alla marcata sofferenza emotiva che segue una separazione inaspettata o
una perdita di persone significative. Bowlby propose che nel tempo i bambini
interiorizzassero le relazioni con i loro caregivers all’interno di internal working
models, ovvero schemi riguardanti il sé vicino agli altri e il sé in relazione agli altri.
Gli internal working models sono un insieme di aspettative e credenze relative al sé e
agli altri che permettono al bambino di predire ed interpretare il comportamento delle
figure di attaccamento. Questi working models si integrano nella struttura della
personalità e perciò creano il prototipo delle future relazioni sociali. Nel corso della vita
questi modelli rappresentano le strutture portanti che regolano il comportamento nelle
successive relazioni e forniscono il fondamento per l’interpretazione delle future
esperienze di relazione.
Bowlby ha ipotizzato che la capacità di un individuo nell’ottenere supporto sociale
quando si verifica un evento negativo o una malattia dipende da modi di relazionarsi
con gli altri che si sono formati e sviluppati nell’infanzia e che rimangono relativamente
nell’adulto: una categoria sicura, attaccamento sicuro e due categorie insicure, attaccamento rifiutante e preoccupato/ansioso.
Soggetti con attaccamento ansioso temono il rifiuto e l’abbandono, hanno un eccessivo
bisogno di approvazione da parte degli altri, marcata dipendenza nei rapporti stretti con
gli altri, si sentono profondamente angosciati quando le persone vicine non sono
disponibili. Invece soggetti con stile di attaccamento evitante temono rapporti troppo
intimi e dipendenti, hanno estrema necessità di indipendenza e autosufficienza e sono
riluttanti nel fidarsi degli altri.
La teoria dell’attaccamento proposta da Bowlby fornisce un quadro per la comprensione di come venga vissuta dai pazienti la malattia cronica e di conseguenza anche
dell’associazione tra attaccamento ed obesità
Lo studio di Zwann et al. (36) del 2009, esplorando il ruolo dello stile di attaccamento
nello sviluppo di disturbi alimentari e il rapporto tra attaccamento e BMI, conferma
quanto possa essere rilevante il ruolo dello stile di attaccamento nei pazienti obesi.
Data la stabilità dell’attaccamento rispetto ad altre variabili psicosociali, lo studio dello stile insicuro potrebbe fornire informazioni preziose sullo sviluppo dell’obesità, sulla
risposta agli interventi di chirurgia bariatrica e sulla qualità di vita dei pazienti obesi
(valutato tramite il HRQOL: Health Related Quality Of Life).
In uno studio di Sockalingam e Colleghi del 2011(37) viene confermata l’importanza
dello stile di attaccamento e dell’eventuale presenza di depressione quando si valuta la
qualità di vita del paziente candidato alla chirurgia bariatrica. Dallo studio emerge
infatti che il modo di relazionarsi del paziente è il principale fattore che determina il
HRQOF soprattutto per quanto riguarda la salute mentale. Inoltre si è visto che i sintomi
depressivi sono maggiormente associati ad una riduzione significativa di HRQOF
Secondo Floor e colleghi (38) lo stile di attaccamento influenza la salute mentale e la
funzionalità fisica mediante diversi tipi di coping (pensieri ed azioni che si usano per
affrontare le situazioni stressanti)(39). Pazienti con attaccamento sicuro tendono ad
adottare strategie attive nella risoluzione dei problemi e nel cercare volontariamente
supporto quando ne hanno bisogno, ciò si traduce in una migliore salute mentale. Al
contrario pazienti con attaccamento insicuro tendono ad adottare un coping
caratterizzato dal sentirsi sopraffatti e dal non sapere cosa fare (avoidance coping,
passive coping) da cui deriva una maggior prevalenza di disturbi mentali rispetto a
quelli con attaccamento sicuro. Nello specifico i pazienti con attaccamento ansioso
mostrano maggiore tendenza a focalizzarsi sulle sensazioni fisiche, manifestano più
frequentemente sintomi fisici da stress e fanno ricorso alle cure sanitarie in modo da
regolare ad eccessivo.
Partendo dal fatto che l’ attaccamento precoce ai caregivers costituisce il fondamento
per lo sviluppo della regolazione delle emozioni e dei comportamenti, incluso quello
alimentare(40), si è visto che stili di attaccamento insicuri sono correlati ad una scarsa
regolazione emotiva che, di conseguenza aumenta il rischio di emotional eating(41)
ovvero la tendenza a mangiare in risposta ad uno stato di emotività negativa.(42)
Si è riscontrato che uno stile di attaccamento insicuro è associato sia a difficoltà nella
regolazione emotiva che ad una maggior prevalenza di disturbi alimentari ,tra cui anche
il Binge Eating Disorder.(43)
Il disturbo da Binge Eating si caratterizza per ricorrenti episodi di abbuffata. Un
episodio di abbuffata è caratterizzato da mangiare, in un determinato periodo di tempo,
una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli
individui mangerebbe nello stesso tempo, con la sensazione di perdere il controllo. Agli
1.mangiare molto più rapidamente del normale;
2.mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni;
3.mangiare grandi quantità di cibo anche se non si ha fame;
4.mangiare da soli;
5.sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo l’episodio; è presente
marcato disagio riguardo le abbuffate.
Le abbuffate si verificano almeno una volta alla settimana per tre mesi.
L’abbuffata non è associata alla messa in atto di condotte compensatorie inappropriate(44).
Molti studi hanno espresso il concetto secondo cui il Binge Eating sarebbe una strategia
maladattiva messa in atto per gestire le emozioni.
I risultati dello studio di Shakory e Colleghi del 2015(45) sono coerenti con la
letteratura precedente e sostengono che la relazione tra attaccamento insicuro e Binge
Eating sia mediata da una scarsa regolazione emotiva. Nello specifico tra i pazienti con
attaccamento ansioso si rileva una maggiore incidenza di Binge Eating correlata ad
un’enorme difficoltà nella gestione delle emozioni infatti questi pazienti mostrano una tendenza al discontrollo degli impulsi. Al contrario gli evitanti tendono a sopprimere le
loro emozioni attenuando anche le emozioni negative per cui il Binge Eating risulta
meno frequente.
Tra i molti fattori di rischio per l’obesità in età adulta è stata identificata anche l’esposizione ad eventi stressanti o traumatici durante l’infanzia, soggetti con storia di abusi fisici e sessuali in età infantile hanno maggiori probabilità di diventare obesi e
Il meccanismo è ancora in via di chiarimento ma uno studio di Gustafson e Sarwer del
2004 suggerisce che disturbi alimentari e reazioni psicologiche al trauma possano
rappresentare un rischio aggiuntivo per l’obesità in età adulta.(50)
In questi pazienti i disturbi che presentano una maggior prevalenza sono: depressione,
disturbo da stress post traumatico ed ansia (51).
I risultati dello studio di Gunstad del 2006(52) confermano l’associazione tra stress in
età precoce e la presenza di obesità in età adulta soprattutto in uomini che hanno subito
bullismo/rifiuto o abuso emotivo durante l’infanzia. L’esposizione ad un trauma infantile può, infatti, determinare cambiamenti neurobiologici noti per influenzare il
comportamento alimentare tra cui disregolazione del sistema 5-HT, dopaminergico,
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del correlato sistema nervoso autonomo.(53)
Inaspettatamente ciò non vale per le donne e le vittime di abuso sessuale in cui
sembrerebbe che il BMI possa dipendere in gran parte da disturbi affettivi e ansia.
D’Argenio nel suo studio del 2006(54) ha dimostrato che anche forme di stress meno gravi rispetto all’abuso fisico e sessuale, come la separazione dei genitori, e malattie
psichiatriche della madre o del padre, potrebbero aumentare il rischio obesità in età
adulta. Nel suddetto studio viene anche confermata la forte associazione tra
attaccamento preoccupato, che è frequentemente risultato di esperienze avverse mal
gestite, e lo sviluppo di disordini alimentari come impulsive food intake ed emotional
eating che possono condurre all’obesità. Infine dallo studio emerge che la disfunzione psicologica non è l’unico meccanismo coinvolto nell’associazione tra trauma precoce ed obesità. Altri possibili meccanismi sono quelli epigenetici ed alterazioni fisiologiche a
lungo termine che influiscono sull’assunzione di cibo e sul bilancio energetico.(55, 56) Esperienze stressanti precoci causano attivazione cronica dell’asse
ipotalamo-ipofisi-adrenocorticale(57) che, a sua volta, favorisce l’accumulo di grasso nel tessuto adiposo
viscerale.(58)
2.5 DISTURBO D’ANSIA DI SEPARAZIONE
Criteri diagnostici del DSM-V:A. Paura o ansia eccessiva e inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo che riguarda la
separazione da coloro a cui l’individuo è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti criteri:
1. Ricorrente ed eccessivo disagio quando si prevede o si sperimenta la
separazione da casa o dalle principali figure di attaccamento
2. Persistente ed eccessiva preoccupazione
riguardo alla perdita delle figure di attaccamento, o alla possibilità che accada
loro qualcosa di dannoso, come malattie, ferite, catastrofi o morte.
3. Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento
imprevisto comporti la separazione dalla principale figura di attaccamento (per
es. perdersi, essere rapito, avere un incidente, ammalarsi)
4. Persistente riluttanza o rifiuto di uscire di casa per andare a scuola, al lavoro o
altrove per paura della separazione.
5. Persistente ed eccessiva paura di, o riluttanza a, stare da soli o senza le
principali figure di attaccamento a casa o in altri ambienti.
6. Persistente riluttanza o rifiuto di dormire fuori casa o di andare a dormire senza
avere vicino una delle principali figure di attaccamento
7. Ripetuti incubi che implicano il tema della separazione.
8. Ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco,
figure di attaccamento.
B. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti, con una durata di almeno 4 settimane nei bambini ed adolescenti, e tipicamente 6 mesi o più negli adulti.
C. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
D. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il rifiuto di
uscire di casa a causa di un’eccessiva resistenza al cambiamento nel disturbo dello
spettro dell’autismo; deliri e allucinazioni riguardanti la separazione nei disturbi psicotici; il rifiuto di uscire in assenza di un accompagnatore fidato nell’agorafobia; preoccupazioni riguardanti la malattia o altri danni che possono capitare a persone
significative nel disturbo d’ansia generalizzata; oppure preoccupazioni relative all’avere una malattia nel disturbo da ansia di malattia
La quinta edizione del DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali)
classifica il “disturbo d’ansia di separazione” (DAS) all’interno del vasto gruppo dei disturbi d’ansia e la sua diagnosi non è più basata sull’insorgenza in età infantile o adolescenziale. Nelle precedenti edizioni del DSM veniva classificato tra i disturbi che,
di solito, vengono diagnosticati per la prima volta durante l’infanzia o l’adolescenza, con il requisito dell’esordio dei sintomi prima dei 18 anni: gli adulti sintomatici avrebbero potuto ricevere solo una diagnosi retrospettiva, basata sull’insorgenza
precoce dei sintomi. La nuova collocazione del disturbo d’ansia di separazione si è resa necessaria in quanto i risultati di studi epidemiologici hanno evidenziato una prevalenza
di questa condizione inaspettatamente elevata negli adulti, spesso in soggetti con
Il disturbo d’ansia di separazione con esordio in età adulta si riferisce a quegli individui i cui sintomi dell’ansia di separazione si manifestano in età adulta, in assenza di una storia documentata di sintomi correlati durante l’infanzia, mentre il disturbo di ansia di separazione dell’adulto con esordio infantile indica gli individui i cui sintomi si sono sviluppati durante l’infanzia e si sono mantenuti fino all’età adulta.(60) Una buona parte dei pazienti adulti con disturbi d’ansia hanno problemi che possono essere ricondotti ad esperienze e condizioni vissute durante l’infanzia, ma che si sono manifestate clinicamente solo in età adulta, ciò è valido anche per il disturbo da ansia di
separazione. Con la rimozione dai criteri diagnostici dell’età, il disturbo d’ansia di separazione si allinea con gli altri disturbi d’ansia e si elimina la necessità di distinguere tra ansia in età adulta e giovanile.(61)
I sintomi da ansia di separazione non sono rari nel corso della vita: uno studio
prospettico longitudinale in adolescenti e giovani adulti di età compresa tra 14 e 24 anni
ha riportato una prevalenza dei sintomi di ansia di separazione lifetime del 7.8%.(62)
I risultati di un ampio studio epidemiologico U.S. National Co-morbidity Survey
Replication (NCS-R) in cui è stata stimata una prevalenza di DAS lifetime del 6.6%, ha
fornito dati consistenti sull’esistenza dell’ansia di separazione nell’adulto. Nonostante il 36,1% dei casi avesse sintomi di ansia di separazione con esordio durante l’infanzia e
persistenti in età adulta, la maggior parte (77.5%) dei casi riportava l’esordio in età adulta. La prevalenza era più elevata nelle femmine rispetto ai maschi, soprattutto nel
sottogruppo di individui con esordio nell’infanzia.(63)
Il disturbo d’ansia di separazione può danneggiare marcatamente il funzionamento in ambito sociale e lavorativo: in più del 40% degli intervistati è stata individuata severa
sociale e personale, e grado maggiore di compromissione si è riscontrata nei soggetti
con comorbidità, che costituivano più della metà dei soggetti dello studio NCS-R.(63)
Silove et al(64) hanno riesaminato il tasso di prevalenza del disturbo d’ansia di
separazione nella popolazione generale di 18 Paesi utilizzando i dati della WHO World
Health Organization World Mental Health Survey. Le analisi erano incentrate su
prevalenza, età d’esordio, comorbidità, fattori predittivi di comparsa e persistenza, e il
ruolo dell’ansia di separazione nella determinazione della compromissione del funzionamento. In questo studio la prevalenza del disturbo d’ansia di separazione
lifetime era del 4.8% e, nel 41.3% dei casi i sintomi erano comparsi dopo i 18 anni. I
tassi di comorbidità con altri disturbi psichiatrici sono risultati simili a quelli individuati
nei precedenti studi epidemiologici su larga scala. Importanti fattori predittivi del
disturbo d’ansia di separazione erano: genere femminile, avversità durante l’infanzia riferite a posteriori ed eventi traumatici nel corso della vita.
La vasta comorbidità con il disturbo d’ansia di separazione ha ricevuto conferma in una serie di campioni clinici. I sintomi d’ansia di separazione sia ad esordio infantile che in
età adulta, sono comuni in pazienti con disturbo bipolare,(65) soprattutto quelli con
esordio precoce di disturbo bipolare, e in pazienti ambulatoriali con disturbi
dell’alimentazione.(66) Questi sintomi sono frequenti anche in pazienti ambulatoriali con lutto complicato(67) e disturbo post-traumatico da stress.(68)
La presenza di comorbidità con il disturbo da ansia di separazione generalmente
conferisce, alle condizioni associate, una prognosi peggiore. Si è visto che in presenza
di disturbo d’ansia di separazione in comorbidità, i pazienti con disturbo d’ansia sociale, disturbo di panico o GAD hanno minore probabilità di guarire.(69) Uno studio recente
terapia cognitivo comportamentale ottengono esiti peggiori quando hanno diagnosi
anche di disturbo d’ansia di separazione.(60)
Risulta ragionevole supporre che in passato il disturbo d’ansia di separazione nell’adulto venisse diagnosticato come disturbo di panico (DP) con o senza agorafobia(70), mentre per molti individui sarebbe stata più appropriata la diagnosi di
disturbo d’ansia di separazione in cui gli attacchi di panico sono considerati una caratteristica dell’ansia di separazione piuttosto che del disturbo di panico. La diagnosi differenziale tra DP e DAS si basa sul fatto che nel disturbo di panico prevale la paura
di avere un attacco di panico, come succede nell’agorafobia, mentre nel DAS sono presenti sintomi di panico, che provocano stress marcato e disagio(71), ma la paura
della separazione prevale su quella di avere un attacco di panico.(60) Inoltre i pazienti
con disturbo di panico si preoccupano della propria salute e sicurezza mentre gli
individui con DAS si preoccupano del benessere delle loro figure di attaccamento.
La distinzione con l’agorafobia è potenzialmente difficoltosa: però si definisce agorafobica una situazione, un posto da cui potrebbe essere difficile fuggire o in cui la
persona interessata non potrebbe ricevere aiuto, al contrario nel DAS la paura principale
è che possa succedere qualcosa di spiacevole/dannoso ad altre persone (persone che si
amano e figure di attaccamento)(60).Anche la diagnosi differenziale tra DAS e GAD
può essere difficoltosa in quanto in entrambi i disturbi è presente la preoccupazione che
possa accadere qualcosa di spiacevole alle persone che si amano. Circa la metà dei
bambini e adolescenti con diagnosi di disturbo d’ansia di separazione si preoccupano
che possa accadere qualcosa di dannoso ai propri genitori quando non sono con
loro(72), e la maggior parte dei bambini con diagnosi di DAS ha anche diagnosi di
GAD in comorbidità(73). Negli adulti questa distinzione è spesso complessa e si basa
con GAD, è solo uno dei tanti motivi di preoccupazione (le preoccupazioni riguardano
anche la salute personale, la situazione economica e le difficoltà nelle relazioni
interpersonali), mentre nel DAS la paura e la preoccupazione di perdere la figura di
attaccamento è il pensiero principale e spesso l’unico.(60)
Secondo la teoria dell’attaccamento, bambini con attaccamento sicuro mostrano un comportamento meno ansioso nei confronti delle figure di attaccamento, mentre nei
bambini con attaccamento insicuro sono più frequenti i sintomi da ansia di
separazione.(74) Tenendo conto di questo legame tra attaccamento insicuro e ansia di
separazione si può dedurre che l’attaccamento insicuro sia un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi d’ansia.
Nonostante sia stata individuata una forte correlazione tra stile di attaccamento insicuro
e ansia di separazione in pazienti con DP o con DAS,(75) non tutti i soggetti con
disturbo da ansia di separazione hanno uno stile di attaccamento insicuro.(76) La
condizione è, tuttavia, associata a particolari dimensioni del temperamento e della
personalità come elevato “evitamento del danno” e scarsa “auto-direzionalità”(77) ma
non particolarmente legata a “intolleranza dell’incertezza”.(78)
Sono stati fatti alcuni tentativi per identificare le possibili basi biologiche dei sintomi
dell’ansia di separazione negli adulti. Il ruolo e il peso dei fattori genetici ed ambientali non è ancora chiaro.(79) In un sottogruppo di pazienti con DP e coesistente ansia di
separazione si è riscontrata una densità significativamente inferiore dei recettori
periferici con siti di legame per le benzodiazepine, che sono fondamentali nella
biosintesi degli steroidi in risposta a situazioni stressanti ed ansiose.(80) Il disturbo da
ansia di separazione risulta essere associato ad una ipersensibilità all’inalazione del diossido di carbonio con un pattern analogo a quello presente nei pazienti con disturbo
fisiopatologica tra i due disturbi.(81, 82) I disturbi dell’attaccamento potrebbero
derivare da complesse alterazioni dell’ossitocina, neuropeptide ipotalamico che, come noto, è coinvolto nello sviluppo della fiducia, nella riduzione dello stress e nell’empatia. Il fondamentale ruolo dell’ossitocina nell’interazione tra madre e figlio è stato stabilito in un ampio studio su animali e volontari umani. I livelli periferici di ossitocina sono
potenziali markers di reattività nelle relazioni sociali e capacità di attaccamento(83)
L’analisi delle mutazioni del gene dell’ossitocina nei pazienti con disturbo d’ansia di separazione dell’adulto non ha rivelato anomalie significative, nonostante siano state identificate due varianti molecolari di un singolo nucleotide e dell’introne 2.(84)
L’attaccamento ansioso è associato a livelli più elevati di cortisolo plasmatico, ulteriori ricerche sul rapporto tra cortisolo ed ossitocina potrebbero chiarire il meccanismo
sottostante alla risposta agli stress.(85)
SCOPO DELLA TESI
Questa tesi si pone come obiettivo quello di indagare lo spettro panico-agorafobico, lo
stile di attaccamento, l’ansia di separazione, la frequenza di disturbi di asse I in un campione di pazienti obesi, candidati alla chirurgia bariatrica messi a confronto con un
CAP.3 MATERIALI E METODI
I pazienti sono stati reclutati tra quelli ricoverati presso l'U.O. Medicina generale 3 e
consecutivamente inviati al servizio di consulenza per la chirurgia bariatrica della U.O.
Psichiatria 2. Il campione è stato selezionato un gruppo in base ad alcuni criteri di
inclusione (età compresa tra i 18 e gli 80 anni, capacità di comprendere e parlare la
lingua italiana, indicazione preliminare all'intervento di chirurgia bariatrica, capacità di
fornire un consenso informato scritto, disponibilità a sottoporsi a visite di controllo a
cadenza regolare, capacità di mostrarsi collaborante, comprendere le procedure e lo
scopo dello studio) e di esclusione (Presenza di dipendenza da sostanze, Presenza di
gravi sintomi psicotici, Incapacità di fornire un consenso informato scritto, Ritiro del
consenso da parte del paziente).
I pazienti sono stati sottoposti ad un colloquio clinico con finalità diagnostiche secondo
i criteri del DSM-V. Tale diagnosi è stata confermata mediante somministrazione di
MINI.
Sono stati rilevati i dati demografici ed antropometrici e registrati l’eventuale trattamento psicofarmacologico e la familiarità psichiatrica. E’ stata indagata l’abitudine
dei pazienti al fumo.
Per valutare il peso corporeo è stato utilizzato l’Indice di Massa Corporea (BMI) al
momento dell’ammissione in reparto.
L’indice di massa corporea, detto anche indice di Quetelet, risulta il più affidabile, tra tutti i metodi indiretti proposti per valutare il grasso corporeo.
Esso si ottiene dividendo il peso corporeo, espresso in kg, per il quadrato dell’altezza espressa in metri.
CAP.4 STRUMENTI PSICODIAGNOSTICI
Gli strumenti utilizzati per la valutazione psichiatrica sono stati:
1. La Mini International Neuropsychiatric Interview (M.I.N.I.) versione 5.0.0 per la
diagnosi di Asse I
2. La versione autosomministrata dell’Adult Separation Anxiety Questionnaire
(ASA-27)
3. Questionario in auto-somministrazione per la valutazione dell’attaccamento
(Attachment Style Questionnaire, ASQ)
4. Questionario di Spettro Panico-Agorafobico (PAS-SR) autosomministrato.
1. M.I.N.I.:
La M.I.N.I. è stata progettata come intervista strutturata breve per i disturbi psichiatrici,
sia per l’Asse I del DSM-V che per l’ICD-10: nella versione 5.0.0 consente la diagnosi di 16 disturbi, 14 di asse I (Episodio Depressivo Maggiore, Distimia, Episodio
(Ipo)Maniacale, Disturbo di Panico, Agorafobia, Fobia Sociale, Disturbo
Ossessivo-Compulsivo, Disturbo Post-Traumatico da Stress, Dipendenza/Abuso alcolico,
Dipendenza/Abuso di Sostanze, Disturbi Psicotici, Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa
e Disturbo d’Ansia Generalizzata), un disturbo di asse II, il Disturbo Antisociale di Personalità, incluso per la sua stabilità nel tempo, per la consistenza dimostrata nei vari
disturbi di personalità e per il suo impatto sulla clinica e sulla prognosi, ed il Rischio
Suicidario. Non è consentita la diagnosi di Distimia in presenza di una Depressione
Maggiore attuale e di Disturbo d’Ansia Generalizzata in presenza di una qualsiasi altra diagnosi di disturbo d’ansia.
Nella M.I.N.I. l’attenzione è focalizzata sui sintomi attuali (con l’eccezione del
disturbo bipolare, per il quale è rilevante sapere se un soggetto con un episodio
depressivo in corso ha nell’anamnesi un episodio maniacale o ipomaniacale), senza
domande relative alla disabilità, ai rapporti con la patologia somatica e con l’uso di sostanze.
2. ADULT SEPARATION ANXIETY QUESTIONNAIRE (ASA – 27):
è uno strumento self – report checklist autosomministrato con scalalikert da 0 a 3; i 27 items si riferiscono a sintomi che il soggetto avrebbe potuto
manifestare nell’età adulta (oltre i 18 anni) ordinate per intensità in merito all’ansia di separazione. Ogni risposta può variare da 0 a 3 per cui le possibilità di risposta
possono essere: «mai», «qualche volta»; «abbastanza spesso», «molto spesso»(86).
3. ATTACHMENT STYLE QUESTIONNAIRE:
Il questionario Attachment Style Questionnaire (ASQ) di Feeney, Noller e Hanrahan
(1994) è un questionario self-report utilizzato per la valutazione delle differenze
individuali nell’attaccamento adulto. Il questionario è caratterizzato da
40 item ciascuno dei quali valutato su scala a 6 punti da 1 (totalmente in disaccordo) a 6
(totalmente in accordo). Gli item sono raggruppati all’interno di
5 dimensioni. Nella compilazione del questionario viene chiesto ai partecipanti di
rispondere alle opzioni presentate su scala Likert (1-6) scegliendo con una X la risposta
che ritiene più giusta. Ciascuna dimensione è data dalla somma degli item che
compongono il questionario. Le 5 dimensioni valutate con
l’Attachment Style Questionnaire sono:
Sicuro.
2) Disagio nell’intimità. Questa dimensione valuta il disagio nelle relazioni intime. E’ composta da 10 items ed è un fattore rappresentativo dell’attaccamento Evitante 3) Bisogno di Approvazione. Questa dimensione valuta il bisogno individuale di essere
accettati e di avere conferme dagli altri. Questo aspetto caratterizza i gruppi pauroso e
preoccupato. E’ composta da 7 items.
4) Preoccupazione per le relazioni. Questa dimensione valuta la propensione degli
individui a ricercare l’altro per colmare i bisogni di dipendenza; tale fattore è un concetto centrale dell’attaccamento ansioso ambivalente. E’composta da 8 items 5) Relazioni come Secondarie. Questa dimensione valuta la secondarietà delle relazioni
per il soggetto ossia come la persona cerchi di proteggersi rispetto le ferite e la
vulnerabilità enfatizzando l’indipendenza ed è un fattore “distaccato/svalutante”. E’ composta da 7 items
Attraverso la codifica del questionario Feeney e collaboratori (1994) hanno individuato
quattro tipologie di attaccamento(87):
a) alti punteggi nella scala della Fiducia e bassi nelle altre quattro scale =
soggetti Sicuri;
b) alti punteggi nelle scale Disagio nell’intimità e Relazioni come Secondarie = Soggetti Evitanti. Essi avrebbero punteggi moderati nella scala Preoccupazione per le
relazioni e Bisogno di approvazione;
c) punteggi alti nelle scale Preoccupazione per le relazioni e Bisogno di
approvazione = Soggetti Preoccupati. Essi avrebbero punteggi moderati nella scala
Disagio nell’intimità;
d) punteggi bassi nella scala della Fiducia e punteggi estremamente alti nelle
Sebbene Feeney et al. (88)forniscano indicazioni per una codifica categoriale dell’Adult
Style Questionnaire, uno degli aspetti di maggiore interesse di questo strumento è
l’utilizzo di un modello dimensionale per la valutazione dell’attaccamento.
Le cinque scale dell’Adult Style Questionnaire definiscono infatti le due dimensioni latenti dell’attaccamento umano, ossia Ansia ed Evitamento.
Secondo Fossati et al. (89) l’approccio tipo Likert utilizzato da Feeney et al. ha in
qualche modo superato la contrapposizione tra modelli impliciti e modelli espliciti
dell’attaccamento adulto, dal momento che i soggetti devono riconoscere come propri particolari comportamenti descritti dai diversi item del questionario, senza dover
tuttavia riconoscersi esplicitamente in uno specifico stile di attaccamento.
Una peculiarità di questo strumento è quella di non precludere (a differenza di strumenti
come l’Adult Attachment Styles) la valutazione di quelle persone che non riconoscono di aver fatto esperienza di una relazione intima.(90)
4. PANIC AGORAPHOBIC SPECTRUM QUESTIONNAIRE
SELF-REPORT (PAS-SR Lifetime )
Analogamente ad altri Modelli di Spettro, lo Spettro Panico-agorafobico comprende
“sintomi, tratti, comportamenti” che appartengono al Disturbo di Panico a piena espressione ed alla sua presentazione sotto-soglia. I sintomi presi in considerazione in
questo modello sono i criteri diagnostici del DSM, le caratteristiche associate, i tratti
comportamentali e gli stili interpersonali frequentemente osservati in pazienti senza
diagnosi di DP. (La Distimia e il Disturbo di Ansia Generalizzata non vengono inclusi
in presenza, rispettivamente, di Episodio Depressivo Maggiore in atto e Disturbi
mentali e i profili di personalità e modulare il decorso della malattia e di altre
comorbidità somatiche e psichiatriche.(91, 92)
Questo strumento è stato sviluppato in un primo momento con 8 domini teorici e un
punteggio totale con valore soglia di 35.
La successiva analisi fattoriale ha permesso l’estrazione di 10 fattori (93):
1. Sintomi tipici e atipici di panico
2.Agorafobia
3.Claustrofobia
4.Ansia di separazione
5. Paura di perdere il controllo
6.Sensibilità a farmaci e Fobie
7.Ricerca di rassicurazione medica
8.Oggetto di salvataggio
9.Perdita di sensibilità
RISULTATI
DIAGNOSI PSICHIATRICHE
La prevalenza di ogni diagnosi di malattia psichiatrica è riportata nella tabella 3.
E’importante sottolineare che ogni soggetto con una diagnosi alla MINI risulta aver presentato nel corso della vita di un disturbo dell’umore. Come illustrato nel fondo di
questa tabella, la prevalenza di disturbi psichiatrici in atto, passati o lifetime, aumenta
quando si prendono in considerazione i dati relativi alla prevalenza del BED.
Analizzando i risultati della MINI ottenuti dal nostro campione emerge che la
prevalenza di disturbi psichiatrici è leggermente inferiore rispetto ai dati presenti in
letteratura.(94-96) La spiegazione alla differenza di prevalenza osservata rispetto agli
altri studi, potrebbe essere fornita dal fatto che, come già sottolineato, i soggetti presi in
esame vengono sottoposti alla valutazione di almeno un chirurgo bariatrico o uno
specialista di medicina metabolica/interna con l’esclusione dei soggetti con scarsa
compliance o con gravi disturbi psichiatrici. Aggiungendo i dati ottenuti dalle interviste
diagnostiche attuali e dalla diagnosi clinica di BED, queste cifre raggiungono un tasso
di prevalenza maggiore, del 28,7%, simile (e in alcuni casi superiore) ai risultati
presenti in letteratura.(18, 94, 97, 98)
Prendendo in considerazione la prevalenza lifetime si riscontra una netta differenza tra i
punteggi della MINI, con una prevalenza del 52,5% e il tasso di prevalenza ottenuto dal
DSM completo che è 68,8%. Questo risultato è in linea con alcuni studi statunitensi e
tedeschi.(99)
La prevalenza del BED, valutata secondo i criteri del DSM e confermata da specifici
Come mostrato nella tabella 6, il disturbo di panico coesiste sempre con disturbi
dell’umore; non sono state evidenziate associazioni significative tra BED lifetime e disturbi dell’umore o di panico lifetime.
Il dominio “Paura di perdere il controllo” del PAS-SR mostra una differenza significativa rispetto al gruppo di confronto (F=3,27; p<0,05) non confermata, però, da
analisi successive.
Una differenza maggiore e statisticamente rilevante è stata trovata tra il dominio
“Oggetto di salvataggio” e storia di depressione unipolare che ha un punteggio significativamente più alto rispetto al gruppo con disturbo bipolare e a quello con umore
negativo.
Gruppi di confronto per BED history mostrano un punteggio medio statisticamente
significativo e maggiore nel dominio “Sensibilità a farmaci e fobie” nel sottogruppo con BED. (tabella 7)
La tabella 8 mostra l’assenza di correlazioni statisticamente significative tra BMI e BED, disturbi di panico e di umore lifetime.
Anche raggruppando i casi per classe di obesità, non si è riscontrata alcuna differenza
statisticamente significativa.
Nella tabella 10 sono riportati i punteggi medi per ogni fattore dell’ASQ ottenuti in un campione non clinico.
Confrontando i punteggi ottenuti dal nostro campione di pazienti con un campione di
pazienti con disturbo di panico (Tabella 11) emergono differenze significativamente
rilevanti in tutti i fattori eccetto in “Disagio nell’intimità”.
I pazienti candidati alla chirurgia bariatrica mostrano punteggi maggiori nelle
dimensioni “Fiducia” e “Relazioni come secondarie” e punteggi inferiori nelle dimensioni “Bisogno di approvazione” e “Preoccupazione per le relazioni” rispetto ai
pazienti con disturbo di panico. Non si sono riscontrate differenze significative tra i
punteggi dell’ASA-27 ottenuti dai due gruppi di confronto.
Lo stesso campione di pazienti candidati alla chirurgia bariatrica è stato confrontato
anche con un campione di pazienti con depressione (Tabella 12); nei nostri pazienti si
evidenziano punteggi significativamente più elevati per il fattore “Fiducia” e punteggi significativamente inferiori per i fattori “Bisogno di approvazione” e “Preoccupazione per le relazioni”. Il punteggio ASA-27 del nostro campione risulta inferiore rispetto ai pazienti con depressione.
DISCUSSIONE
I nostri dati descrivono una popolazione di pazienti obesi sostanzialmente simili, in
termini di variabili socio-demografiche e peso delle comorbidità mediche, ad altri
campioni descritti nella letteratura riguardante la chirurgia bariatrica.
La prevalenza dei disturbi di Asse I del DSM, se confrontata con quella di altre indagini
simili, risulta nella media.
Il nostro campione mostra un’elevata prevalenza di Binge Eating Disorder che potrebbe essere spiegato alla luce della diagnosi in due fasi proposto sia dall’intervista clinica che
da quella psicometrica.
Dati di ricerca evidenziano anche una maggiore prevalenza di disturbi dell’umore in
soggetti obesi rispetto ai soggetti non obesi (99) assieme ad un carico maggiore, in
termini di comorbidità dell’umore e dimensione psicopatologica, per i soggetti con gradi più gravi di obesità o comorbidità.(100)
I nostri dati concordano solo parzialmente con questi risultati, più della metà dei nostri
soggetti riporta disturbi dell’umore nel corso della vita ma scarsa o nessuna associazione tra gli indici di severità dell’obesità e comorbidità di asse I.
Osservando le comorbidità del BED, la letteratura disponibile mostra una prevalenza
generalmente superiore di comorbidità del DSM-IV e valori più alti degli indici di
psicopatologia dimensionali. I nostri dati non mostrano una significativa associazione
tra BED lifetime e anamnesi di disturbo di panico o dell’umore in comorbidità(101,
102). Guardando gli indici psicopatologici dimensionali si riscontrano, nel sottogruppo
Binge Eaters punteggi più alti in singoli domini dello spettro panico-agorafobico
(Sensibilità ai farmaci e fobia) e eating (alimentazione non controllata).Mentre
specificità dell’indice dello spettro panico potrebbe almeno giustificare ulteriori indagini sulla compliance al trattamento e la questione delle reazioni avverse post
chirurgia bariatrica, come ad esempio la dumping sindrome, nei pazienti obesi con BED
quando vengono dichiarati eleggibili per la chirurgia dell’obesità.
Per quanto riguarda i sintomi dell’umore sotto-soglia, i nostri dati non mostrano differenze significative tra i gruppi definiti sia in base alla comorbidità con BED sia in
base al grado di obesità.
I dati disponibili sono ancora pochi e quindi questo risultato non può essere facilmente
confrontato con ricerche pre-esistenti.
Dalla nostra analisi risulta che i pazienti candidati alla chirurgia bariatrica mostrano
maggiore fiducia in sé stessi, hanno minor bisogno individuale di essere accettati e
avere conferma dagli altri, e sono meno propensi a ricercare l’altro per colmare i bisogni di dipendenza rispetto a pazienti con disturbi di panico e depressione
Inoltre, analogamente ai pazienti depressi, valutano come secondarie le relazioni con gli
altri. Questi soggetti tendono ad enfatizzare l’indipendenza, sono estremamente
concentrati su sé stessi, e ritengono più importante ottenere successi personali anzi che
avere coinvolgimenti affettivi. Non sono disposti a dedicare tempo alle relazioni
interpersonali; in questo modo evitano di mostrare le proprie vulnerabilità e si
proteggono da eventuali esperienze negative derivanti dal rapporto con altre persone.
Infine nel nostro campione si è riscontrata una prevalenza minore di disturbo di ansia di
separazione rispetto ai pazienti con disturbo di panico e depressione.
E’ necessario considerare alcuni limiti di questo studio: la dimensione del campione ha impedito lo svolgimento di analisi statistiche più potenti. Un altro problema che è
diventato molto evidente nel corso delle valutazioni cliniche è stata la doppia
bariatrico. Molti dei nostri pazienti sono stati inviati alla valutazione pre-chirurgica
dopo aver scelto, da soli, questo tipo di approccio; di conseguenza ogni valutazione
clinica, comprese le interviste psichiatriche e self-report psicometrici, sono stati visti
come "test" da passare al fine di ottenere una "soluzione" più che una valutazione
terapeutica. Questo, naturalmente, ha fatto si che molti soggetti riducessero al minimo i
sintomi, ed ammorbidissero anche la descrizione dei loro tratti di personalità come; ad
esempio la reattività agli eventi della vita. In alcuni casi, una valutazione psicologica
degli stili di coping, le risorse e le capacità di recupero avrebbero potuto attenuare
questo effetto, ma un tale intervento avrebbe richiesto il coinvolgimento di altre figure
professionali, oltre allo psichiatra. Questa stessa reticenza è responsabile della
mancanza di una ventina di dati fra i questionari self-report.
Deve essere riconosciuto un ulteriore limite metodologico: nei nostri dati mancano due
caratteristiche comunemente presenti nella letteratura scientifica: la presenza di un
gruppo di controllo ed una raccolta di dati post-chirurgia. Nel progetto iniziale dello
studio queste procedure erano incluse ma la scarsa adesione e disponibilità
ambulatoriale dei soggetti in esame hanno rappresentato un ostacolo alla realizzazione
del protocollo.
Alla fine, i nostri dati ci hanno permesso di replicare i risultati letteratura per quanto
riguarda le comorbidità, mentre ha indicato la presenza di un peggior quadro