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Il ruolo del tessuto cheratinizzato peri-implantare: revisione della letteratura

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria

Presidente: Prof. Mario Gabriele

TESI DI LAUREA:

Il ruolo del tessuto cheratinizzato peri-implantare: revisione della

letteratura

RELATORE:

Prof. Ugo Covani

CANDIDATO:

Maria Paola Virgili

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Alla mia famiglia, a mio figlio Giuseppe che mi ha sostenuto nella stesura di questa tesi.

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INDICE

1 - Anatomia e istologia dei tessuti molli

1.1 Anatomia del tessuto gengivale………4

1.1.1 La gengiva marginale……….4

1.1.2 La gengiva aderente………5

1.2 Istologia del tessuto gengivale………6

1.2.1 Il tessuto epiteliale………..6

1.2.2 Il tessuto connettivale………8

2 - Lo spazio biologico dentale e peri-implantare 2.1 Lo spazio biologico dentale……….10

2.2 Lo spazio biologico peri-implantare………..11

3 - Implantologia da Branemark ad oggi 3.1 Introduzione………..15

3.2 Osteointegrazione……….16

3.3 Protocolli chirurgici implantari……….19

3.4 Criteri di successo di Albrektsson………21

3.5 La malattia peri-implantare……….22

4 - Revisione della letteratura 4.1 Obiettivo, materiali e metodi……….25

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5 - Ruolo del tessuto cheratinizzato peri-implantare

5.1 Interesse funzionale………...26 5.2 Interesse estetico………30 5.2.1 Indici estetici………30 5.2.2 Profilo d’emergenza………..34 6 – Conclusioni……….35 7 – Bibliografia……….36

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1 - Anatomia e istologia dei tessuti molli

1.1 Anatomia del tessuto gengivale

La gengiva è quella parte di mucosa masticatoria che ricopre il processo alveolare e circonda il colletto dei denti (Schroeder et all 1997).

La gengiva raggiunge la sua forma e la sua organizzazione definitiva in concomitanza con l'eruzione dei denti.

In direzione della corona appare di colore "rosa corallo", opaca, compatta e termina nel margine gengivale libero che ha un contorno festonato.

In direzione dell'apice continua con la mucosa alveolare (mucosa di rivestimento) che appare lassa e di colore rosso-scuro, da cui è separata per mezzo di una linea di confine: la linea

muco-gengivale (o giunzione muco-muco-gengivale).

Topograficamente la gengiva può essere suddivisa in:

 gengiva libera (o marginale)

 gengiva aderente (o propria)

1.1.1 La gengiva marginale

La gengiva marginale è quella porzione di gengiva compatta, di colore rosa corallo, che circonda il colletto dei denti. Coronalmente termina nel margine gengivale libero il quale è spesso

arrotondato in modo tale che fra dente e gengiva venga a formarsi un piccolo solco (o invaginazione). Ha un contorno festonato (per la presenza delle papille interdentali) ed in condizioni fisiologiche presenta una forma "a lama di coltello".

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Essa si estende dal margine gengivale fino in direzione dell'apice al solco gengivale libero, situato a livello della giunzione smalto-cemento (o giunzione amelo-cementizia). La sua altezza, pari alla profondità del solco gengivale, è di 1-2 mm.

Nello spazio tra due denti adiacenti, la gengiva libera prende il nome di "gengiva "interdentale"dove forma la papilla dentale.

Nelle regioni anteriori, la forma della gengiva interdentale (o papilla interdentale) è piramidale mentre nelle regioni molari appare piu appiattita in direzione buccolinguale.L'avvallamento che si forma tra le due papille, una su ogni lato del punto di contatto, si chiama "colle"ed è una zona molto delicata in quanto non cheratinizzata, molto spesso sede iniziale di una lesione parodontale. Il colle è presente solo quando la regione interprossimale è normale, se sono presenti diastemi o recessioni gengivali che possono alterare la contiguità dei tessuti molli a livello del punto di contatto interprossimale, il colle viene a mancare (Calandriello et al. 2006).

1.1.2 La gengiva aderente

Si estende coronalmente dal solco gengivale libero, per terminare apicalmente a livello della linea mucogengivale che lo separa dalla mucosa alveolare, di rivestimento, che è mobile e di colore rosso-scuro dovuto sia alla maggiore vascolarizzazione della sottomucosa, sia al fatto che l'epitelio superficiale non è cheratinizzato (come quello della gengiva aderente).

Macroscopicamente la gengiva aderente ha consistenza compatta grazie al ricco contenuto di fibre collagene è fermamente aderente al piano osseo sottostante ed al cemento per mezzo di fibre connettivali, (è ancorata con fasci fibrosi al cemento e all'osso alveolare,cosi da risultare immobile rispetto al tessuto sottostante mucoperiosteo), presenta piccole depressioni superficiali che le conferiscono un aspetto caratteristico " a buccia d'arancia", dovuto alle introflessioni epiteliali nel connettivo sottostante (Schroeder et all 1992).

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Questo aspetto punteggiato, a buccia d'arancia, appare ben rappresentato, spesso e fisso nel "biotipo spesso" e meno rappresentato, sottile e scarso nel "biotipo sottile" (Eger al. 1996, Muller et al. 2000).

1.2 Istologia del tessuto gengivale 1.2.1 Il tessuto epiteliale

Da un punto di vista istologico la gengiva è costituita da un epitelio di rivestimento, da una lamina basale e da tessuto connettivo (detto anche lamina propria).

L'epitelio che riveste la gengiva libera può essere differenziato in:

 epitelio orale: che è quello prospiciente la cavità orale,di tipo cheratinizzato ,pluristratificato

 epitelio orale sulculare: è rivolto verso il dente ma non in contatto con la sua superficie.Le sue cellule hanno forma cuboide e la sua superficie è cheratinizzata.E' un epitelio molle,di tipo squamoso stratificato cheratinizzato.

 epitelio giunzionale: è quello strato sottile di epitelio non cheratinizzato attraverso cui si realizza il contatto fra gengiva e dente;infatti esso è non solo in contatto con lo smalto,ma realmente e fisicamente attaccato al dente attraverso emidesmosomi.

Questo epitelio si estende dal fondo del solco fino al margine piu apicale dello smalto.(giunzione amelo-cementizia).

Pur con variazioni individuali,l'epitelio giunzionale è piu ampio nella sua porzione coronale (circa 15-20 strati di cellule),mentre diventa più sottile (3-4 strati) verso la giunzione amelo-cementizia.

Le cellule dell'epitelio giunzionale risultano appiattite,con l'asse maggiore parallelo alla superficie del dente. In rapporto con il volume del tessuto,le cellule risultano essere piu

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grandi di quelle dell'epitelio orale e cosi pure lo spazio intercellulare risulta essere comparativamente piu ampio.Piu basso è anche il numero di desmosomi rispetto all'epitelio orale.

L'estensione dell'epitelio giunzionale è circa 2 mm.

Il versante dell'epitelio giunzionale rivolto verso lo smalto deve la sua forza di adesione alla presenza della lamina densa e all'esistenza di emidesmosomi che sono numerosi verso lo smalto.

Due sono dunque le proprietà dell'epitelio giunzionale: la rapida restitutio ad integrum dopo rimozione chirurgica e la tenace adesione allo smalto mediante emidesmosomi e lamina basale.

Lo studio istologico della gengiva ha messo in evidenza che il confine tra epitelio orale ed il sottostante tessuto connettivo ha un decorso ondulato.

L'epitelio si inserisce nel sottostante connettivo mediante digitazioni epiteliali (dette creste epiteliali o rete pegs) che decorrono perpendicolarmente alla superficie gengivale e sono responsabili, a livello della gengiva aderente, del caratteristico aspetto a buccia d'arancia. Le porzioni di tessuto connettivo che si proiettano nell'epitelio, sono dette invece papille connettivali e sono separate le une dalle altre dalle creste epiteliali.

Nella gengiva normale, non infiammata, le digitazioni epiteliali e le papille connettivali mancano nella zona di confine fra epitelio giunzionale e tessuto connettivo sottostante, mentre è presente come caratteristica morfologica nell'epitelio orale e sulculare. Le digitazioni epiteliali sono presenti alla linea di confine tra epitelio giunzionale e connettivo sottostante solo in caso di infiammazione.

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1.2.2 Il tessuto connettivale

Il tessuto predominante nella gengiva è il connettivo e prende il nome di lamina propria. Le componenti principali di questo tessuto sono:

 Le fibre collagene (che rappresentano circa il 60% del volume del tessuto connettivo),La maggior parte di queste fibre sono unite a formare gruppi di fasci con un orientamento ben distinto.Questi fasci di fibre collagene rinforzano la gengiva e assicurano la resilienza e il tono necessari al mantenimento della sua forma e dell'integrità dell'attacco dento-gengivale.Sulla base della loro inserzione e del loro decorso nel contesto del tessuto connettivo questi fasci vengono divisi in 4 gruppi:

 fibre circolari: decorrono nella gengiva libera e circondano il dente come un polsino e comprimono la gengiva sullo smalto pur senza fissarla.

 fibre dento-gengivali: dalla porzione sopra-alveolare del cemento radicolare si aprono a ventaglio dentro la gengiva libera.

 Fibre dento-periostali: dalla porzione sopraalveolare del cemento radicolare, decorrono parallele, sopra la cresta ossea e terminano nella gengiva aderente.

 Fibre transettali: connettono il cemento sopralveolare di due denti adiacenti e decorrono rettilinee attraversando il setto interdentale.

 I fibroblasti (circa il 5%) sono le cellule predominanti nel tessuto connettivo (rappresentano il 65% della popolazione totale di cellule) sono responsabili della produzione dei vari tipi di fibre e sostengono anche la sintesi della matrice del tessuto connettivo.

 Vasi e nervi (circa il 35%): la vascolarizzazione della gengiva viene fornita principalmente dai vasi sovraperiostali che si anastomizzano con i vasi sanguigni che provengono dal legamento parodontale e dall'osso alveolare.

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L'innervazione gengivale deriva dal nervo mascellare, per l'arcata superiore e dal nervo mandibolare, per l'arcata inferiore, che sono entrambi rami del trigemino.

 La matrice: sostanza fondamentale amorfa,in cui sono immersi questi componenti e che consente il trasporto di H2O,elettroliti , nutrienti e metaboliti all'interno del tessuto.E' prodotta principalmente dai fibroblasti anche se alcuni componenti derivano dal sangue ed altri sono prodotti dai mastociti.I principali costituenti della matrice sono i proteoglicani e le glicoproteine.I primi agiscono come filtro molecolare regolando la diffusione ed il flusso dei liquidi attraverso la matrice e svolgono un ruolo importante nella regolazione del movimento delle cellule nel tessuto.

 Altre cellule: I mastociti, responsabili della produzione di alcune componenti della matrice e di sostanze vasoattive in grado di controllare il flusso di sangue attraverso il tessuto. I macrofagi, che svolgono funzioni sia fagocitiche che di sintesi e sono particolarmente numerosi quando il tessuto è infiammato.

Cellule infiammatorie: il tessuto connettivo contiene anche cellule infiammatorie di vario tipo come ad esempio i granulociti neutrofili, i linfociti e le plasmacellule

 Altre fibre: le fibre reticolari si trovano nell'interfaccia epitelio-tessuto connettivo ed endotelio-tessuto connettivo.Le fibre ossitalaniche sono presenti in scarsa quantità nella gengiva e la loro funzione è ancora sconosciuta.Le fibre elastiche sono presenti nel tessuto connettivo della gengiva solo in associazione con i vasi sanguigni.

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2 – LO SPAZIO BIOLOGICO DENTALE E PERI-IMPLANTARE

2.1 Lo spazio biologico dentale

Termine introdotto nel 1962 da Cohen e tradotto dall'inglese "biologic width", lo spazio biologico dentale è uno spazio largamente vascolarizzato che si trova tra il fondo del solco e la sommità della cresta ossea.

E' formato da due strutture distinte, l'attacco epiteliale (epitelio giunzionale) e l'attacco connettivale.

Nel 1961 Gargiulo e colleghi hanno descritto per la prima volta le sue dimensioni. Esse sono state ottenute mediante registrazione di 325 superfici dentali dopo autopsia di cadaveri, questo potrebbe spiegare un leggero sottodimensionamento dei valori ottenuti da Gargiulo e colleghi. L'attacco connettivale variava entro limiti stretti (1,06-1,08 mm) mentre l'attacco epiteliale risultava 1,4mm nelle sedi di parodonto normale; 0,8mm in quelle sedi con distruzione di media entità del tessuto parodontale; 0,7 mm nelle sedi con distruzione avanzata.

In conclusione l'ampiezza biologica variava da 2,5 mm nei casi normali a 1,8 mm nei casi di malattia avanzata (e la parte più variabile era quella dell'attacco epiteliale).

Quest' ampiezza biologica di tessuto molle di circa 3 mm tende ad essere ricreata a spese della cresta ossea ogni qualvolta l'altezza dei tessuti molli risulti essere insufficiente.

L'epitelio giunzionale, che si estende dal fondo del solco alla linea amelo-cementizia, permette di assicurare le funzioni di difesa grazie al rinnovamento rapido delle linee cellulari tramite una migrazione delle cellule in direzione del solco dento-gengivale. L’epitelio giunzionale è delimitato da due lamine basali, una esterna che lo separa dal corion gengivale ed una interna che lo separa dal dente. L'interfaccia fra le cellule epiteliali ed il dente e le cellule epiteliali ed il corion è

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In seno a questo epitelio, anche in situazione di salute gengivale, si ritrovano cellule infiammatorie (granulociti neutrofili, monociti, macrofagi, cellule di Langherans) che formano una barriera, localizzata al fondo del solco, impedendo ai batteri di aderire alle cellule epiteliali. Nei casi patologici questo infiltrato di cellule infiammatorie aumenta. (Wolf H.F. et al. 2005) L'attacco connettivale, che fa seguito all'epitelio giunzionale, presenta fasci di fibre con

andamento prevalentemente orizzontale ed è ricco di fibroblasti che assicurano la produzione e la distruzione del collagene, ma anche il rinnovamento della matrice connettivale extracellulare in caso di aggressioni.

2.2 Lo spazio biologico peri-implantare

Il sistema peri-implantare è quel complesso sistema tissutale che si forma dopo l’inserzione dell’impianto nell’osso in seguito ad un processo di guarigione della ferita.

Esso è costituito dalla mucosa peri-implantare, dall’osso alveolare e dalla superficie dell’impianto. Manca in questo sistema tissutale il legamento parodontale e dunque l’osso alveolare e l’impianto sono a contatto diretto.

E’ assente anche il cemento radicolare, vicariato dal biossido di titanio che si forma sulla parte piu esterna della superficie implantare.

L’attacco mucoso che si forma in seguito al posizionamento dell’impianto ed alla sua esposizione, funge da separatore biologico tra l’ambiente orale settico e il tessuto osseo a cui l’impianto è ancorato, asettico.

Negli ultimi anni principalmente la scuola svedese ha condotto numerosi studi, in particolare su modelli animali, per descrivere l’anatomia del sistema implantare.

Berglundh et all. nell’ambito degli studi su animali ha dimostrato che la mucosa per-implantare, come nei tessuti peri-dentali, forma una barriera nelle tre dimensioni dello spazio, aderendo alla

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superficie del pilastro in titanio e creando appunto uno spazio biologico per-implantare. (Berglundh T. et al. 1991)

L’esistenza di uno spazio biologico per-implantare è stato messo in evidenza anche dai lavori di Cochran DL et al. nel 1997.

Sempre Berglundh e colleghi, eseguendo un’analisi comparativa tra gengiva e mucosa peri-implantare hanno riscontrato che la mucosa peri-peri-implantare è rivestita da epitelio orale

cheratinizzato con uno spessore di 5-10 strati di cellule, il quale si continua nell’epitelio sulculare e quindi nell’epitelio giunzionale che ha un’ampiezza di circa 2 mm ed è separato dalla cresta ossea mediante una banda di tessuto connettivo sopracrestale di 1-1,5 mm.

Secondo Listgarten e colleghi 1991, nel sito implantare, l’epitelio giunzionale aderisce alla superficie dell’impianto attraverso la lamina basale e la presenza di emidesmosomi; E Il tipo di superficie implantare non incide sulla sua aderenza. (Buser D et al. 1992)

Però la struttura di questo strato è stata rimessa a dibattito da uno studio del 2009 di Shioya e all, i quali hanno rimesso in discussione l’esistenza di una lamina basale e la presenza di

emidesmosomi. (Shioya K et al. 2009)

Hermann e coll. nel 2001 hanno mostrato che lo spazio biologico peri-implantare era simile a quello dentale intorno ad una parte degli impianti non sommersi, messi in carico o no, ma con dimensioni aumentate quando si trova intorno a dei sistemi in due parti. (Herman JS et al. 2001) Esiste quindi uno spazio biologico per-implantare, come esiste uno spazio biologico peri-dentale. Questa ampiezza biologica peri-implantare sembra corrispondere a circa 3-3,5 mm e l’epitelio giunzionale sembra arrestarsi a 1,5 mm dalla cresta ossea in corrispondenza della fascia di connettivo sopracrestale.

La mucosa peri-implantare è costituita dunque da un attacco epiteliale e da un attacco

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sigillo protegge da possibili infezioni e risposte infiammatorie locali che potrebbe portare ad un fallimento precoce dell’osteointegrazione dell’impianto.

Se lo strato epiteliale rimane molto simile nella sua forma e funzione allo spazio biologico dentale, (lo differenzia il fatto che le cellule dell’epitelio giunzionale sono meno larghe e ci sono degli spazi intercellulari più importanti (Bauman GR et al. 1993) molto diverso appare il connettivo della mucosa peri-implantare, in corrispondenza della zona sopracrestale che risulta essere diverso sia nella composizione cellulare che extracellulare.

Esso contiene:

Più fibre collagene (85% contro il 60% nel dente), le quali si inseriscono direttamente sull’apice

della cresta alveolare e a causa dell’assenza dello strato di cemento sulla superficie dell’impianto molte di queste fibre collagene decorrono parallelamente all’asse longitudinale dell’impianto (contrariamente alle fibre gengivali dentali in cui l’inserzione è perpendicolare al cemento) (Listgarten e coll 1991). Si ritrovano anche alcune fibre orientate circolarmente. (Buser D et al. 1992, Schierano G et al 2002)

Meno fibroblasti (1-3% contro 5% nel dente): i fibroblasti svolgerebbero la funzione di mantenere

e se necessario ristabilire la coesione tra la superficie dell’impianto ed il connettivo.

Questa ricchezza in fibre collagene e povertà in cellule finisce per far assumere alla mucosa peri-implantare le caratteristiche di un tessuto cicatriziale e come affermano Berglundh e coll.1991, ciò potrebbe suggerire un più lento turnover cellulare.

Inoltre questo ridotto rinnovamento cellulare rende il tessuto connettivo peri-implantare meno resistente alle aggressioni meccaniche e batteriche. (Lazzara RJ et al. 1993)

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Minore ricchezza vascolare: il tessuto connettivo sopra-alveolare, apicale all’epitelio giunzionale,

non ha quasi rifornimento vascolare.Il sito implantare infatti, mancando il legamento parodontale, viene ad essere privato del plesso vascolare parodontale. Berglundh e coll attraverso i loro studi hanno osservato che la vascolarizzazione della mucosa peri-implantare si basa esclusivamente sul vaso sanguigno sopraperiostale, che si trova nella parte esterna della cresta ossea.E’ dunque solo l’apporto vascolare che deriva dalla circolazione ossea periferica.(la gengiva,nei denti

naturali,come ho scritto precedentemente,riceve invece una doppia fonte di vascolarizzazione:un rifornimento vascolare dai vasi sanguigni sopraperiostali e un rifornimento dal plesso vascolare del legamento parodontale.

Assenza di terminazioni nervose.

L’assenza di terminazioni nervose sensitive rende il perimpianto praticamente insensibile.

I tessuti per-implantari dunque a causa della minore quantità di fibroblasti, di una minore ricchezza vascolare, di un orientamento delle fibre collagene parallelo all’asse dell’impianto, dispongono di una capacità di difesa minore rispetto al parodonto.

Numerosi autori hanno osservato che anche una gengiva clinicamente sana presenterebbe un’infiammazione cronica di debole intensità. Alcune caratteristiche della protesi sembrerebbero infatti responsabili di favorire l’accumulo di batteri come ad esempio in caso di presenza di microgap a livello della giunzione tra il collo implantare ed il pilastro oppure in caso di

micromovimenti nell’interfaccia impianto-pilastro (Hermann JS et al. 2001) (Ericsson L et al. 1996) (Broggini N et al. 2003) (Hermann JS et al. 2001)

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Questa infiammazione cronica dello spazio biologico spiegherebbe l’esistenza di un riassorbimento di 1-1,5 mm dell’osso alveolare intorno all’impianto, ritrovato quasi sistematicamente nel corso dei primi mesi della messa in carico, una volta realizzata la connessione tra il pilastro protesico e l’impianto. (Herman JS et al. 2001, Cardaropoli G et al. 2006)

3 – IMPLANTOLOGIA DA BRANEMARK AD OGGI

3.1 Introduzione

Da alcuni decenni l’implantologia rappresenta un importante passo in avanti nella riabilitazione di pazienti edentuli o parzialmente edentuli.

Branemark e la scuola svedese sono considerati a tutti gli effetti i padri dell’implantologia

moderna. Grazie a Branemark, infatti, l’implantologia ha assunto una dignità scientifica a seguito dell’introduzione del concetto di osteointegrazione.

Dalla codifica del protocollo di Branemark ad oggi l’implantologia ha subito un’ulteriore

evoluzione. Oggi infatti, grazie all’aumentata conoscenza dei processi biologici che sono alla base dei meccanismi di guarigione, grazie alle costanti evoluzioni tecnologiche a livello delle superfici implantari ed infine, ma non meno importante, grazie all’introduzione di nuovi protocolli clinici è possibile ricorrere agli impianti dentali per trattare un gran numero di condizioni cliniche

differenti.

I protocolli chirurgici si sono evoluti negli anni con l’obiettivo di diminuire i tempi necessari per la riabilitazione protesica, siamo così passati da protocolli chirurgici a due tempi (il protocollo di Branemark) a protocolli chirurgici ad un tempo, fino ad arrivare a protocolli chirurgici di implantologia post-estrattiva ed implantologia a carico immediato.

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Nei paragrafi seguenti descriveremo il concetto di osteointegrazione ed i vari protocolli chirurgici implantari.

3.2 L’osteointegrazione

Per-Ingvar Branemark, ricercatore della scuola svedese,mentre eseguiva una sperimentazione in vivo sul coniglio al fine di studiare i processi di guarigione delle fratture ossee,inserendo nella tibia e fibula di alcuni conigli delle lenti ottiche in titanio,si accorse al termine dell' esperimento,dopo che era trascorso del tempo,che era impossibile recuperare queste lenti dalle ossa di questi animali.

Da questa scoperta casuale nacque, nel 1952, l’intuizione che le viti in titanio sarebbero potute essere utilizzate come radici artificiali per riabilitare protesicamente pazienti edentuli.

Questa esperienza segnò le basi per lo sviluppo del concetto di osteointegrazione. In studi

successivi Branemark si convinse anche della biocompatibilita' del titanio e della sua possibilita' di integrarsi all' interno dell'osso.

A Branemark si attribuisce dunque il merito di aver sviluppato i principi biologici

dell'osteointegrazione e di avere definito l’osteointegrazione come “un’apposizione di osso diretta sulla superficie implantare senza interposizione di tessuto fibroso” (Branemark PI 1977).

Albrektsson propose alcuni anni dopo un’altra definizione di osteointegrazione, indicandola come “una giunzione anatomica e funzionale diretta tra l’osso vivo residuo e la superficie implantare impiantata” (Albrektsson T. et al 2001).

Biologia dell’osteointegrazione

Dopo il posizionamento di un impianto nell'osso si innesca un processo di guarigione con l'intento di ridare all'osso la sua forma originaria.Inizialmente nell'interfaccia osso-impianto si forma un

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ematoma .Le piastrine aderiscono alla superficie dell'impianto e rilasciano mediatori che attirano verso il punto della lesione cellule indifferenziate.Le cellule mesenchimali che dal circolo capillare arrivano al sito della lesione,si differenziano poi nella linea osteoblastica e contemporaneamente alla differenziazione si accompagna la rivascolarizzazione del sito leso.Alla deposizione di nuova matrice calcificata , seguiranno la formazione di osso intrecciato,osso lamellare fino a giungere alla fase di rimodellamento osseo.

Il processo di osteointegrazione ha una fase delicata che e' quella compresa tra la seconda e la terza settimana dopo l’inserimento dell'impianto.In questa fase l'impianto ha una scarsa stabilita'perche' il nuovo osso non e' ancora in grado di sopportare i carichi masticatori e l'osso vecchio si trova in una fase di avanzato riassorbimento.

Il protocollo originario di Branemark prevedeva dunque, per ottenere una perfetta osteo-integrazione, di aspettare 3 mesi per la guarigione nella mandibola e 6 mesi per il mascellare superiore, dopo l’inserimento dell’impianto nell’osso.In questo modo si assicurava una adeguata apposizione ossea evitando l’insorgenza di una riparazione fibrosa.

Nel 1998, Szmukler-Moncler e colleghi considereranno deleterio per l’osteointegrazione,un eccessivo micromovimento all’interfaccia osso-impianto e identificheranno una soglia di

micromovimento,compresa tra 50-100 micron,da non superare,nel delicato periodo della seconda e terza settimana dopo l’inserimento dell’impianto per evitare di danneggiare il tessuto e le strutture vascolari che sono coinvolte nella guarigione dell’osso.Un eccessivo micromovimento all’interfaccia osso-impianto ostacolerebbe la formazione di una adeguata rete tridimensionale di fibrina e la rigenerazione della rete vascolare che permette l’arrivo delle cellule mesenchimali e ciò potrebbe innescare un processo di proliferazione connettivale portando ad una fibro- integrazione ed interferendo quindi con il processo di osteointegrazione .Si avrebbe cioè una riparazione fibrosa anziché una rigenerazione ossea.(Brunski J.B 1999)

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Le fasi dell’osteointegrazione implantare

L’osteointegrazione implantare si raggiunge attraverso due fasi:

- La fase di stabilizzazione primaria, momento in cui l’impianto si ancora meccanicamente al sito osseo.Questa fase dipende dalla qualità dell’osso, dalla tecnica chirurgica usata e dalla forma dell’impianto. La stabilità primaria è massima al momento che si inserisce l’impianto e decresce nel corso delle settimane.

- La fase di stabilizzazione secondaria rappresentata dall’osteointegrazione, cioè da quella stabilità biologica che si viene a creare tra osso e impianto.La stabilità secondaria è minima all’inizio e poi va aumentando nel corso delle settimane.

Albretksson e colleghi individuarono 6 elementi in grado di influenzare l’osteointegrazione: - La biocompatibilità del materiale (fu apprezzata la biocompatibilità del titanio) - La morfologia dell’impianto (fu visto che la forma a vite garantiva risultati migliori)

- La finitura della superficie (fu visto che la superficie rugosa offriva una migliore apposizione ossea)

- Lo stato del sito implantare

- La tecnica chirurgica usata per l’inserimento implantare (Per evitare fenomeni di necrosi ossea è importante che la fresatura mantenga la temperatura aldisotto di 47°. Quindi abbondante irrigazione e velocità di rotazione della fresa sotto i 1200 giri al minuto.) - Condizioni della messa in carico: nel corso degli anni questo parametro ha subito una

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3.3 Protocolli chirurgici implantari

Protocollo a due tempi: proposto da Branemark, prevedeva l’inserimento del corpo implantare nell’osso, previa scolpitura di un lembo chirurgico a spessore totale, sull’impianto veniva

posizionato un tappo di chiusura e successivo riposizionamento del lembo.

Trascorso il periodo di guarigione, tre mesi per l’arcata mandibolare, sei mesi per l’osso

mascellare, veniva rimosso il tappo di chiusura e posizionato il tappo o moncone di guarigione per permettere la guarigione dei tessuti molli.Dopo ulteriore 15/20 giorni.ovvero a guarigione

avvenuta, si sostituiva il tappo di guarigione con il pilastro transmucoso vero e proprio o abutment, sul quale veniva creato e poi fissato il manufatto protesico prima provvisorio e poi definitivo.

Il protocollo a due tempi garantiva la protezione dell’impianto, minore possibilità di infezioni e preveniva il rischio di invaginazione dell’epitelio tra impianto e sito osseo. (Branemark et al. 1977) Tale tecnica venne detta “tecnica sommersa a carico differito”.

Il protocollo a due tempi trova indicazione in quei casi in cui l’estetica è importante o l’osso è di bassa qualità, o vi è bassa stabilità primaria o si tratta di un paziente fumatore o con condizioni sistemiche alterate oppure di un paziente che al momento dell’intervento implantare si trova ancora a dover terminare la terapia parodontale.

Successivamente a Branemark, studi hanno chiaramente dimostrato come sia possibile ottenere una predicibile integrazione dei tessuti duri e molli usando indifferentemente impianti sommersi e non sommersi. (Weber HO et al. 1996)

Protocollo ad un tempo:

In questo protocollo manca la fase di sepoltura dell’impianto; con l’impianto si inserisce anche la vite di guarigione che emerge oltre la mucosa.Anche se l’impianto sembra essere piu esposto alle

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forze esterne, nonostante ciò questo protocollo sembra avere un successo piu o meno identico al protocollo a due tempi.

Questo protocollo ha il vantaggio di dare maggior confort al paziente, visto che deve sostenere un solo intervento e riduce anche i costi dell’intervento.

Naturalmente l’impianto esposto rischia una maggiore contaminazione batterica qualora il paziente non esegua un ottimo controllo della placca ed è esposto a continue sollecitazioni

esterne per cui è un protocollo controindicato se non c’è una buona stabilità primaria. (Esposito M et al. 2009)

Protocollo a carico immediato

Successivamente agli studi sulla tecnica non sommersa si sono sviluppati studi che riguardavano impianti cosidetti “a carico immediato”, cioè in un’unica seduta veniva inserito l’impianto, posizionato l’abutment e il restauro protesico.

I primi studi a tal proposito vennero condotti su impianti posizionati nella sinfisi mentoniera dove la qualità dell’osso è sempre valida. (Henry P et al. 1994)

Altri ricercatori come Tarnow, Grunder, hanno prodotto studi riguardante il posizionamento di impianti, con la tecnica del carico immediato anche in zone diverse dalla sinfisi mandibolare. I risultati incostanti hanno spinto la ricerca verso geometrie implantari e superfici implantari favorenti il carico immediato.

A tali requisiti se ne sono aggiunti altri già codificati al fine di ottenere una valida ritenzione primaria: la qualità dell’osso, la quantità sufficiente di osso, la tecnica chirurgica.

L’indicazione principale al carico immediato è quella di riabilitare in tempi brevissimi il paziente. Questo protocollo trova indicazione nei settori anteriori, (in pazienti ad esempio con singola o parziale edentulia) per il ripristino della funzione estetica e masticatoria. (Gotz W et al. 2010)

(22)

21

Come ho già detto ha il vantaggio di accelerare i tempi però, va considerato che il paziente

deve essere attentamente monitorato nelle prime settimane e il successo del trattamento richiede un adeguato livello di stabilità primaria.(Roccuzzo M et al. 2009)

L’evoluzione di tale tecnica ha portato la ricerca a valutare il carico post-estrattivo immediato.

Protocollo post-estrattivo

Il processo di rimodellamento osseo inizia subito dopo l’estrazione del dente e la maggior parte del rimodellamento osseo sembra avvenire nei primi 12 mesi, in questo periodo si ha una riduzione del 50% della cresta alveolare e i 2/3 di questa riduzione avviene nei primi tre mesi. (Schropp L et al. 2003)

L’inserimento dell’impianto subito dopo l’estrazione dentale previene questo riassorbimento, non si ha contrazione dei tessuti ed i piatti corticali sono preservati e ciò previene il collasso dei tessuti molli per-implantari (Trombelli L et al. 2008).

Mantenere l’osso ad un certo livello è una condizione favorevole per sostenere i tessuti molli e quindi garantire una migliore estetica per il paziente. (Rosenquit B et al. 1996).

In tempi recenti gli impianti a carico immediato, anche post-estrattivi immediati, sono stati posizionati con la tecnica “Flapples” ovvero senza sollevare un lembo chirurgico, utilizzando mascherine chirurgiche. (Rocci A et al. 2003)

3.4 Criteri di successo implantare

L’osteointegrazione condiziona la buona riuscita di un impianto e nel 1986 Albrektsson e collaboratori hanno definito i criteri di successo di un impianto:

- L’impianto, testato clinicamente, deve essere immobile.

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22

all’impianto.

- Dopo la perdita di osso che si verifica durante il primo anno (che deve essere comunque inferiore a 1.5mm), la successiva perdita di osso deve essere inferiore a 0.2mm nell’arco di due esami eseguiti a distanza di un anno.

- Numerosi segni clinici devono essere assenti: dolore, necrosi tissutale, infezione, parestesia o anestesia della zona implantare, comunicazioni oro-antrali o oro-nasali, danneggiamento del canale mandibolare.

- Il tasso di successo a 5 e 10 anni deve essere almeno dell’85% e 80% rispettivamente.

Ad oggi il tasso di successo a lungo termine risulta essere di circa il 99% (Lindquist LW et al.1997) Oggi, oltre ai sopra citati criteri di successo di Albrektsson, che sono principalmente riferibili alla funzione, si sono aggiunti criteri di successo di tipo estetico che analizzeremo nel dettaglio nei capitoli seguenti.

3.5 Malattia peri-implantare

La malattia peri-implantare è una malattia di origine batterica ad eziologia multifattoriale che porta ad un danno dei tessuti duri e molli perimplantari. (Salcetti JM et al. 1997).

La malattia si sviluppa da un’infezione marginale causata dal biofilm batterico, che se non trattata, progredisce e si estende in senso apicale portando eventualmente a riassorbimento osseo.

La flora batterica maggiormente coinvolta è costituita da batteri gram-negativi, descritti da Socransky: fusobacterium sp, prevotella intermedia, facenti parte del complesso arancione e Porphyromonas gingivalis, tannerella forsythia e treponema denticola appartenenti al complesso rosso. (Socransky SS et al. 1998, Heitz-Mayfield LJ et al. 2010). In alcuni studi in vitro è stata in aggiunta dimostrata una certa affinità dello Staphilococcus aureus verso le superfici in titanio

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23

(Harris LG et al. 2006) e si è supposto che questo batterio gram positivo possa rivestire un ruolo in diversi casi di peri-implantite. (Heitz-Mayfield LJ et al. 2010).

L’European Workshop on Periodontology del 1993 ha dato una definizione delle complicanze biologiche che colpiscono i tessuti per-implantari definendo la mucosite come un’infiammazione reversibile dei tessuti molli marginali peri-implantari senza perdita di osso, mentre la perimplantite come l’infiammazione dei tessuti molli intorno all’impianto associata a perdita dell’osso di

supporto.

Tali definizioni sono state confermate nel 2012 anche dall’American Academy of periodontology che in quell’anno ha aggiornato il glossario dei termini parodontali.

Secondo l’8° European Workshop of periodontology del 2014, la diagnosi di mucosite clinicamente si fa attraverso il riscontro di:

- Presenza di sanguinamento al sondaggio - Possibile materiale purulento al sondaggio - Profondità di sondaggio < 5 mm

- Assenza di riassorbimento osseo

Sembra che la prevalenza di mucosite (accertata mediante valutazione del sanguinamento al sondaggio) si attesti intorno all’80% dei pazienti e al 50% degli impianti (Zitzmann N.U. et al. 2008) La diagnosi di perimplantite si rileva clinicamente attraverso il riscontro di:

- Sanguinamento al sondaggio - Materiale purulento al sondaggio - Profondità di sondaggio > 4 mm

- Riassorbimento osseo: che si valuta considerando il livello marginale aldisotto di 2mm rispetto al livello osseo presunto (se il paziente è privo di documentazione radiografica

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24

precedente) oppure si ricerca una differenza del marginal bone level di almeno 1-1,5 mm dopo un anno.

Sembra che la prevalenza della perimplantite (diagnosticata mediante sanguinamento al sondaggio e perdita di tessuto osseo di supporto) sia compresa tra il 28%-56% dei pazienti e tra 12%-43% a livello dei siti implantari. (Zitzmann N.U. et al. 2008)

Numerosi sono i fattori di rischio associati alla malattia perimplantare: l’igiene orale, il fumo, il diabete, l’alcool, una storia pregressa di parodontite, fattori genetici (polimorfismo di IL-1), la superficie implantare, un eccesso di cemento protesico sull’impianto, la presenza di una ridotta quantità di mucosa cheratinizzata (quest’ultimo fattore di rischio, interesse cardine di questa revisione della letteratura, sarà affrontato nel dettaglio nei capitoli seguenti).

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25

4 – REVISIONE DELLA LETTERATURA

4.1 Obiettivi, materiali e metodi

In questa revisione della letteratura si è cercato di inviduare ed analizzare il ruolo del tessuto cheratinizzato peri-implantare. Nel corso degli ultimi anni gli autori si sono interrogati sulla

necessità o meno di avere un’adeguata quantità di mucosa cheratinizzata attorno all’impianto per poter mantenere uno stato di salute peri-implantare. Per fare ciò si sono avvalsi dell’analisi dei numerosi criteri di valutazione dei tessuti peri-implantari (indice di placca, indice di

sanguinamento, profondità di sondaggio, recessioni, perdita radiografica di osso, ecc.) al fine di evidenziarne cambiamenti e modificazioni in rapporto alla quantità di tessuto cheratinizzato presente. Per questa revisione della letteratura è stata effettuata una ricerca degli studi in lingua inglese sul motore di ricerca scientifica PubMed. E’ stata data la precedenza alle review

sistematiche ed ai trial controllati randomizzati (RCT), e degli articoli più pertinenti è stato consultato il testo integrale.

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26

5 – RUOLO DEL TESSUTO CHERATINIZZATO PERI-IMPLANTARE

L’importanza o meno della presenza di gengiva cheratinizzata per il mantenimento della salute peri-implantare ha rappresentato negli ultimi anni un argomento molto dibattuto e oggetto di svariati studi e ricerche.

Nei paragrafi seguenti analizzeremo quello che è l’interesse nei confronti della gengiva cheratinizzata peri-implantare, sia dal punto di vista funzionale che estetico.

5.1 Interesse funzionale

Chang e Wennstrom pubblicano nel 1999 uno studio che ha l'obiettivo di confrontare le dimensioni dei tessuti molli periferici fra un impianto singolo ed un dente controlaterale non restaurato. Si tratta dunque di uno studio comparativo nello stesso paziente fra le condizioni dei tessuti molli peri-implantari e peridentali.

Lo studio è realizzato su 20 pazienti che hanno degli impianti in zona estetica (mascellare anteriore) la cui protesizzazione è stata eseguita da almeno 6 mesi.

I valori misurati sono l'indice di placca di 4 siti (vestibolare,linguale e interprossimali), l'altezza del tessuto cheratinizzato vestibolare,lo spessore della gengiva marginale,il sanguinamento al

sondaggio e la profondità del sondaggio; intorno all'impianto unitario e intorno al dente controlaterale.

I risultati rivelano che rispetto al dente controlaterale, l'impianto singolo: – è circondato da una mucosa gengivale piu spessa

– presenta maggiori segni di infiammazione (mucosite e sanguinamento al sondaggio) – ha una profondità di sondaggio medio più importante

(28)

27

In conclusione, Chang e Wennstrom non ritengono che vi sia un legame fra la mancanza del tessuto cheratinizzato intorno all'impianto ed i segni di infiammazione; è però confermata una grande vulnerabilità degli impianti all’infiammazione.

Una revisione sistematica di Wennstrom e colleghi del 2012 si pone l’obiettivo di analizzare la letteratura riguardo la necessità di mucosa cheratinizzata attorno agli impianti per mantenere la salute e la stabilità dei tessuti. Sono stati analizzati 19 articoli (17 condotto sull’uomo e 2 sugli animali). 12 studi sull’uomo hanno osservato gli indici di placca nei siti con un’altezza di mucosa cheratinizzata > o uguale a 2 mm e nei siti con un’altezza di mucosa cheratinizzata <2mm: in 5 studi è stato evidenziato che una “inadeguata” altezza (<2mm) di gengiva cheratinizzata era associata ad un indice di placca significativamente più alto. La metà degli studi ha poi evidenziato un indice di sanguinamento maggiore negli impianti con <2mm di mucosa cheratinizzata, mentre la maggior parte degli studi (8 su 10) non ha riscontrato differenze per quanto riguarda la

profondità di sondaggio. Per quanto riguarda invece le recessioni, 2 studi su 3 non hanno

riscontrato differenze a lungo termine per quanto riguarda la quantità di mucosa cheratinizzata. L’evidenza sugli effetti della mucosa cheratinizzata sui cambiamenti del livello osseo o sulla perdita di impianti era scarsa e non è stato possibile delineare delle conclusioni.

In conclusione Wennstrom e colleghi fanno notare che l’evidenza riguardo la necessità o meno di gengiva cheratinizzata attorno agli impianti per mantenere la salute e la stabilità dei tessuti è piuttosto limitata.

Nel 2013 Guo-Hao Lin e colleghi pubblicano una revisione sistematica e meta-analisi della

letteratura con l’obiettivo di valutare la necessità o meno di avere un’altezza minima di tessuto cheratinizzato per mantenere la salute dei tessuti peri-implantari. Per fare ciò, è stata analizzata la

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correlazione tra l’altezza della mucosa cheratinizzata e la variabilità dei parametri relativi alla salute peri-implantare.

In questa revisione sono stati inclusi 11 studi, di cui 7 erano studi cross-section e 4 studi

longitudinali. I risultati hanno mostrato delle differenze statisticamente significative per quanto riguarda l’indice di placca (PI) e l’indice di placca modificato, l’indice gengivale modificato, le recessioni gengivali e la perdita di attacco, tutte a favore degli impianti con una maggiore altezza di tessuto cheratinizzato. Ad ogni modo, la comparazione degli altri parametri (sanguinamento al sondaggio, indice di sanguinamento modificato, indice gengivale, profondità di sondaggio e perdita ossea radiografica) non presentavano delle differenze statisticamente significative. Gli autori concludono che, in base all’evidenza riscontrata in questa revisione sistematica, una mancanza di un’adeguata quantità di tessuto cheratinizzato attorno agli impianti dentali è associata con un maggiore accumulo di placca, una maggiore infiammazione tissutale, una maggiore recessione gengivale e una maggiore perdita di attacco.

In un’altra recente revisione della letteratura del 2016 di Pranskunas e colleghi vengono inclusi 8 articoli. Questi studi riportavano indice gengivale, indice di placca, profondità di sondaggio, sanguinamento al sondaggio, indice di sanguinamento modificato per i siti con una quantità di mucosa cheratinizzata > o uguale a 2 mm e per quelli con una quantità <2mm.

I risultati mostrano che, in presenza di una buona igiene orale, la quantità di mucosa cheratinizzata ha una bassa influenza sull’infiammazione dei tessuti molli. Ad ogni modo, una scarsa presenza di mucosa cheratinizzata può influenzare negativamente le manovre di igiene orale e portare quindi ad un maggior danno tissutale.

Gli autori concordano nel suggerire che la mancanza di gengiva cheratinizzata non è

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29

e della salute dei tessuti orali ma che, nonostante ciò, è rilevabile un aumentato rischio di indice gengivale, indice di placca, profondità di sondaggio e sanguinamento al sondaggio. Pertanto, la presenza di un’adeguata quantità di gengiva cheratinizzata è auspicabile.

Alcuni studi si sono posti l’obiettivo di valutare anche il rapporto tra i diversi biotipi parodontali (biotipo spesso e sottile) e la possibile correlazione con il mantenimento della salute peri-implantare.

In una recente review sistematica del 2016, Akcali e colleghi si sono interrogati sull’effetto che potesse avere lo spessore dei tessuti molli nei confronti del riassorbimento osseo peri-implantare ad 1 anno dalla messa in carico. Dei 6 studi che rispettavano i criteri di inclusione e comparavano il biotipo sottile (<2mm di mucosa) con il biotipo spesso (>2mm), 4 mostravano una maggiore CBL (crestal bone loss) nel biotipo sottile. La meta-analisi è stato possibile eseguirla solamente con 2 studi ed in questo caso le differenze non hanno raggiunto un livello significativo. Inoltre, nessuno degli studi era a basso rischio di bias.

In conclusione gli autori suggeriscono che al momento vi è un’insufficiente evidenza che correli il biotipo alla perdita di osso crestale e si prospetta pertanto la necessità di ulteriori studi futuri.

Nel 2017 Moraschini e colleghi pubblicano un articolo con l’intento di valutare la qualità, i metodi ed i risultati delle revisioni sistematiche presenti in letteratura riguardo il significato della mucosa cheratinizzata sulla salute implantare e di analizzare le valutazioni di quelle ritenute più attendibili. Analizzano le review sistematiche pubblicate fino a Dicembre 2015.

Attraverso lo screening, vengono selezionate 4 revisioni sistematiche. Gli autori fanno notare che esiste una notevole variabilità strutturale e metodologica tra le review presenti in letteratura e che nessuno degli studi inclusi in questo studio ha ottenuto il massimo punteggio qualitativo. Detto

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ciò, tutte le revisioni sistematiche analizzate, hanno riportato un’associazione positiva tra

un’adeguata quantità di mucosa cheratinizzata (> o uguale a 2mm) e la salute peri-implantare. Ad oggi vi sono però ancora insufficienti dati per quanto riguarda la sopravvivenza ed il tasso di successo a lungo termine degli impianti dentali e sono pertanto auspicabili futuri studi prospettici.

5.2 Interesse estetico

Negli ultimi anni, ai criteri di successo implantare introdotti nel 1986 da Albrektsson, descritti nei capitoli precedenti, si sono affiancati criteri di tipo estetico (Annibali S et al. 2012)

In implantologia orale, la principale difficoltà estetica è quella di creare un profilo di emergenza ed un contorno gengivale che corrispondano alla sezione della corona del dente a livello cervicale. I restauri implanto-protesici, per garantire un soddisfacente successo dal punto di vista estetico, dovranno pertanto rispondere a criteri simili a quelli formulati per i denti naturali come ad esempio un adeguato volume delle papille, colore e consistenza (texture) dei tessuti molli.

Una review sistematica del 2017 di Arunyanak e colleghi si è posta l’interessante obiettivo di valutare quanto i criteri di soddisfazione estetica nella riabilitazione implanto-protesica potessero variare tra odontoiatra e paziente; in particolar modo facendo riferimento alla riabilitazione implanto-protesica di un‘edentulia singola nel settore anteriore dei mascellari. E‘ stato osservato che i clinici tendono ad essere mediamente più critici rispetto ai pazienti per quanto riguarda il livello di soddisfazione estetica.

5.2.1 Indici estetici Papilla Index (PI)

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31

implantare è stato Jemt nel 1997.

L’indice da egli proposto prende il nome di Papilla Index e si articola secondo 5 livelli di altezza papillare:

- Grado 0: assenza della papilla

- Grado 1: presenza di meno della metà dell’altezza della papilla - Grado 2: presenza di almeno la metà dell’altezza della papilla - Grado 3: la papilla riempe interamente lo spazio interprossimale - Grado 4: iperplasia della papilla

E’ opportuno far notare che la valutazione di una singola variabile apre le porte ad un elevato rischio di valutazione erronea. Consente inoltre una valutazione solamente parziale, poiché non tiene di conto di altri possibili difetti estetici come ad esempio il livello dei tessuti marginali vestibolari, la convessità del processo alveolare, il colore e l’aspetto della superficie, nonché la corrispondenza tra l’implanto-protesi ed i denti adiacenti e la simmetria con il suo controlaterale. Questo indice pertanto rischia di risultare fallace dal punto di vista della specificità; nonostante ciò resta ad oggi molto utilizzato (seppur solitamente affiancato a più moderni indici quali l’ICAI ed il PES), data la sua facilità di applicazione.

Pink Esthetic Score (PES)

Furhauser e colleghi pubblicano nel 2005 un innovativo criterio di valutazione estetica dei tessuti molli peri-implantari: il PES.

Il PES è basato su 7 variabili: - papilla mesiale

- papilla distale

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- contorno dei tessuti molli - difetto del processo alveolare - colore dei tessuti molli - texture dei tessuti molli

Ad ogni variabile viene associato un punteggio che va da 0 a 2 (0 rappresenta il valore peggiore, 2 il migliore). Il punteggio totale massimo ottenibile da un sito è pertanto 14.

La suddivisione della valutazione estetica secondo 7 criteri e l’assegnazione di solo 3 possibili valori per quanto riguarda il punteggio, permette di limitare l’errore nella valutazione e di limitare al minimo la soggettività della valutazione.

Gli autori di questo studio fanno notare infatti, sulla base di circa 1.200 valutazioni, l’elevato valore di riproducibilità del PES.

Implant Crown Aesthetic Index (ICAI)

Meijer e colleghi nel 2005 propongono un innovativo indice di valutazione estetica per quanto riguarda le corone singole su impianti e gli adiacenti tessuti molli: l‘ Implant Crown Aesthetic Index. L'ICAI è basato su nove punti:

1) dimensione mesio-distale della corona 2) posizione del margine libero della corona 3) convessità vestibolare della corona

Per ognuno di questi criteri viene attribuito un valore da 0 a 5 a seconda del grado di armonia con i denti adiacenti e controlaterali (sottocontorno grossolano,leggero sottocontorno,assenza di

dislivello,leggero sopra-contorno,sopra contorno grossolano). 4) colore e traslucentezza della corona

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33

Questi due criteri sono valutati da 0 a 3 in funzione della corrispondenza con i denti adiacenti e controlaterali (scarsa corrispondenza, buona corrispondenza, ottima corrispondenza).

6) posizione del margine vestibolare della mucosa peri-implantare 7) posizione della gengiva interprossimale

Questi criteri sono valutati da 0 a 3 in relazione al dislivello con i denti adiacenti a controlaterali (dislivello di almeno 1.5mm, dislivello minore di 1.5mm, nessun dislivello).

8) contorno della superficie vestibolare della mucosa

Per ognuno di questi criteri viene attribuito un valore da 0 a 5 a seconda del grado di armonia con i denti adiacenti e controlaterali (sottocontorno grossolano,leggero sottocontorno,assenza di

dislivello,leggero sopra-contorno,sopra contorno grossolano). 9) colore e superficie della mucosa vestibolare

Questi criteri sono valutati da 0 a 3 in relazione al dislivello con i denti adiacenti e controlaterali (elevato dislivello, leggero dislivello, assenza di dislivello).

Contrariamente a molti altri indici estetici, l'ICAI si confronta con i denti adiacenti e controlaterali al fine di misurare l'armonia estetica del restauro nella sua globalità in rapporto agli altri denti.

Questo indice infatti attribuisce dei punti di penalità ad ogni criterio. La valutazione finale ottenuta può essere:

– nessuna penalità: estetica eccellente – 1-2 punti di penalità: estetica soddisfacente – 3-4 punti di penalità: estetica moderata

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34

5.2.2 Profilo di emergenza

Il profilo di emergenza implantare corrisponde alla porzione transgengivale dell’abutment o dell’impianto, garantendo il passaggio dal diametro del collo dell’impianto a quello della corona protesica. Ottenere un profilo di emergenza adeguato e naturale è un fattore determinante nel risultato estetico globale.

Il profilo di emergenza dipenderà da piu fattori: (manuale di implantologia clinica Davarpanah) – lo spazio protesico mesio-distale rispetto al diametro della piattaforma implantare – la qualità e la quantità dei tessuti molli perimplantari

– il tipo di impianto messo: per un impianto sommerso è la vite di guarigione o l’abutment che determinerà il profilo di emergenza,diversamente dagli impianti non sommersi per i quali il profilo di emergenza dipende dal collo implantare

L'avvicinamento dei perimetri implantari e protesici permetterà di ottenere un profilo di emergenza più naturale.

Il tessuto cheratinizzato presenta in implantologia orale una grande importanza funzionale ed estetica nella gestione del profilo di emergenza.

Infatti la gestione dei tessuti molli perimplantari e specialmente del tessuto cheratinizzato,

chirurgicamente e tramite protesizzazione provvisoria, porterà ad un rimaneggiamento tissutale e permetterà di ottenere un profilo di emergenza favorevole alla presa dell'impronta e che rispetti i criteri estetici e funzionali definiti.

Il tessuto cheratinizzato sembra favorire infatti il mantenimento e la stabilità dei tessuti molli peri-implantari durante la progettazione della protesi peri-implantare.

(36)

35

6 - CONCLUSIONI

In implantologia, l’importanza del tessuto cheratinizzato nel raggiungimento di un soddisfacente risultato estetico finale risulta evidente. Il ruolo del tessuto cheratinizzato nel mantenimento della salute peri-implantare resta invece ad oggi ancora un dibattito aperto. Dall’analisi di numerosi articoli si è evidenziato che alcuni parametri clinici di salute peri-implantare sembrano subire delle variazioni in base alla quantità di mucosa cheratinizzata presente; tuttavia questi risultati

appaiono spesso contrastanti e privi di una forte evidenza scientifica. In conclusione:

- La assoluta necessità di mucosa cheratinizzata attorno agli impianti per mantenere la salute e la stabilità dei tessuti risulta avere, ad oggi, un’evidenza piuttosto limitata.

- Tuttavia una mancanza di un’adeguata quantità di tessuto cheratinizzato (> o uguale a 2mm) attorno agli impianti dentali sembra essere associata ad un maggior accumulo di placca ed una maggiore infiammazione tissutale.

- La mancanza di gengiva cheratinizzata potrebbe inoltre influenzare negativamente il mantenimento dell’igiene orale (discomfort per il paziente).

- Ad oggi vi è un’insufficiente evidenza che correli il biotipo alla perdita di osso crestale.

- Tutti gli studi analizzati riportano comunque un’associazione positiva tra un’adeguata quantità di mucosa cheratinizzata (> o uguale a 2mm) e la salute peri-implantare.

Inoltre poter disporre di un’adeguata presenza di tessuto cheratinizzato è auspicabile per una maggiore stabilità dei tessuti molli attorno agli impianti nel tempo e per un miglior

condizionamento dei tessuti durante la fase protesica.

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