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Validazione analitica di un metodo per la determinazione dell'enzima paraoxonasi (PON1) e intervalli di riferimento nel cavallo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO SCIENZE VETERINARIE

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Validazione analitica di un metodo per la determinazione

dell’enzima paraoxonasi (PON1) e intervalli di riferimento nel

cavallo

Candidato:

Relatori:

Irene Nocera

Prof. Micaela Sgorbini

Dott. Francesca Bonelli

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione della mia tesi, mettendo a mia disposizione la loro esperienza, le loro preziose osservazioni e suggerimenti, e soprattutto la loro fiducia.

Ringrazio anzitutto la professoressa Micaela Sgorbini, Relatore, e la dottoressa Fracesca Bonelli, Co-relatore, che mi hanno dato la possibilità di seguire questo percorso di tesi e che sono state il mio punto di riferimento nei due anni trascorsi.

Un ringraziamento particolare va al professor Saverio Paltrinieri, alla dottoressa Alessandra Giordano, alla dottoressa Beatrice Ruggerone e ai colleghi del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano, che mi hanno dato la possibilità di realizzare questa tesi.

Estendo i miei ringraziamenti ai proprietari dei centri ai quali mi sono rivolta per la raccolta dei dati, ai dottori veterinari che mi hanno seguito in questo con pazienza e collaborazione.

Infine, vorrei ringraziare tutti i ragazzi del gruppo di tesi per la loro disponibilità e spirito di squadra.

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INDICE

RIASSUNTO E ABSTRACT 6

CAPITOLO 1 – PARAOXONASI 7

1.1 Introduzione 7

1.2 Polimorfismo genetico di PON 8

1.3 Ruolo fisiologico di PON1 10

1.4 Fattori che influenzano la PON1 17

1.4.1 Polimorfismo genetico 17 1.4.2 Stile di vita 19 1.4.3 Dieta alimentare 19 1.4.4 Età 20 1.4.5 Sesso 22 1.4.6 Condizioni fisiologiche 23 1.5 Metodi di dosaggio 24 1.5.1 Tossicità 26

1.5.2 Influenza del polimorfismo 26

1.5.3 Velocità di idrolisi 27

1.5.4 Performance diagnostiche 27

1.5.5 Fonti che determinano interferenza 28

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2.1 Medicina umana 30

2.1.1 PON1 e l’aterosclerosi 30

2.1.2 PON1 e il diabete 32

2.1.3 PON1 e altre patologie infiammatorie 33

2.1.4 PON1 e le HDL disfunzionali 34

2.1.5 PON1 e l’intossicazione da organofosfati 35

2.1.6 PON1 e l’infezione 36 2.2 Medicina veterinaria 38 2.2.1 Specie Bovina 38 2.2.2 Specie Canina 45 2.2.3 Specie Felina 58 2.2.4 Specie Suina 61

CAPITOLO 3 – PARTE SPERIMENTALE 65

3.1 Scopo del lavoro 65

3.2 Materiali e metodi 66

3.2.1 Selezione dei soggetti 66

3.2.2 Prelievi e pre-processazione dei campioni

di sangue 66

3.2.3 Misurazione attività sierica di PON1 66

3.2.4 Validazione della misurazione dell’attività

enzimatica di PON1 67

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3.2.6 Analisi statistiche sulla divisione degli

intervalli di riferimento 69

CAPITOLO 4 – RISULTATI 70

CAPITOLO 5 – DISCUSSIONE 73

CAPITOLO 6- CONCLUSIONE 77

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RIASSUNTO

Scopo. Gli obiettivi dello studio sono stati quelli di validare un metodo automatizzato per la

rilevazione dell’attività sierica di PON1 nella specie equina, basato sull’utilizzo del paraoxone come substrato e di determinare gli intervalli di riferimento (reference intervals, RIs) in cavalli e puledri sani.

Materiali e Metodi. Nel presente studio sono stati inclusi 120 cavalli e 55 puledri clinicamente sani.

Su ogni soggetto è stato eseguito un prelievo di sangue e il siero è stato utilizzato per valutare l’attività di PON1 con metodo automatizzato e lettura spettrofotometrica utilizzando il paraoxone come substrato. Sono state valutate ripetibilità intra- e inter-assay, accuratezza tramite LUD (evaluation of linearity under dilution) e SRT (spiking recovery test). Sono stati determinati gli intervalli di riferimento in cavalli sani e analizzate le possibili differenze dipendenti da sesso, età e razza.

Risultati. I coefficienti di variazione risultati dagli studi intra- e inter-assay sono inferiori al 5% per

tutte le condizioni di laboratorio esaminate. I test LUD e SRT hanno evidenziato un’ottima correlazione tra i valori attesi ed osservati. L’intervallo di riferimento registrato nell’intera popolazione è risultato di 38.1-80.8 U/mL. Nelle femmine adulte sono stati registrati valori più elevati rispetto ai maschi e ai castroni. Nei trottatori adulti sono stati registrati valori più elevati rispetto agli Warmbloods adulti.

Discussioni e Conclusioni. Il metodo automatizzato per la rilevazione dell’attività sierica di PON1

nella specie equina, basato sull’utilizzo del paraoxone come substrato è risultato accurato e preciso. Si suggerisce l’utilizzo di un unico intervallo di riferimento per giovani puledri e cavalli adulti, indipendentemente dal genere e razza.

Parole chiave. Cavallo, PON1, validazione, intervalli di riferimento.

ABSTRACT

Aim. The objectives of the study were to validate an automated paraoxon-based assay to measure

PON1 activity in equine serum and to determine a reference interval (RI) in healthy horses and foals.

Materials and Methods. 120 healthy adult horses and 55 healthy foals were enrolled in this study.

Blood samples were collected and serum was harvested. Serum PON1 activity was measured spectrophotometrically using an automated analyzer through paraoxon-based method. Intra-assay and inter-assay imprecision, linearity under dilution (LUD) and SRT (spiking recovery test), PON1 RIs were determined for healthy horses and the possible differences depending on gender, age and breed were investigated

Results. Intra- and inter-assay CVs (coefficients of variation) were lower than 5% for all the

laboratory conditions explored in this study. LUD and SRT tests fitted the linear model. RI recorded in the whole caseload was 38,1-80,8 U/mL. Adult females’ RI recorded was higher than males and geldings ones. In adults Trotters were recorded higher PON1 activity than in adults Warmbloods.

Discussion and Conclusions. The automated paraoxon-based method to assess serum equine PON1

activity was accurate and precise. It would be advisable to use a single reference interval for young foals and adult horses, independently on their gender or aptitude.

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CAPITOLO 1 - PARAOXONASI

1.1 Introduzione

La paraoxonasi sierica è un’esterasi calcio-dipendente che catalizza l’idrolisi degli organofosfati, e di altri substrati quali gli esteri degli acidi carbossilici, e i carbamati. E’ ampiamente diffusa in molti tessuti, come fegato, rene, intestino e nel siero è associata alle lipoproteine ad alta densità (HDL) (La Due et al., 1993; Nevin et al., 1996).

Mazur, nel 1946 è stato il primo a descrivere l’idrolisi enzimatica dei composti degli organofosfati da parte dei tessuti animali e durante gli anni ’50 Aldrige ha descritto l’idrolisi del paraoxone nel siero di sangue umano e di altri mammiferi. Questo autore è stato il primo a proporre di chiamare “A-esterasi” le esterasi (come la paraoxonasi) capaci di idrolizzare i pesticidi organofosfati, distinguendole così dalle “B-esterasi”, come carbolisterasi e colinesterasi, enzimi che sono inibiti dal paraoxone e da altri organofosfati. L’ampio uso del paraoxone come substrato per questi enzimi ha portato all’adozione del nome Paraoxonasi (PON) pressoché universale.

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8 1.2 Polimorfismo genetico di PON

La PON1 è stata la prima paraoxonasi della famiglia multigenica ad essere stata scoperta, seguita da PON2 e PON3 (Primo-Parmo et al., 1996). I geni delle PON sono ampiamente espressi nei tessuti dei mammiferi (Rodriguez-Sanabria et al., 2010):

1. La sintesi di PON1 è prettamente epatica e nel circolo ematico questa proteina è legata quasi esclusivamente alle lipoproteine ad alta densità (HDL) (Durrington et al., 2001). Tale enzima è in grado di idrolizzare i metaboliti ossidi tossici di alcuni insetticidi, come per esempio il parathion, diazinone e clorpirifos-oxon (La Du, 1992), ed anche agenti nervini, come il sarin e il soman (Broomfield and Ford, 1991; Davis et al., 1996). La presenza di PON1 nei diversi tessuti garantisce una protezione contro l’esposizione cronica a bassi livelli di organofosfati; la sua efficienza però risulta essere di basso livello contro le esposizioni acute (Li et al., 2000). La PON1 è coinvolta nel processo antiossidante e antinfiammatorio ed esplica queste funzioni mediante tre attività enzimatiche: paraoxonasica, arilesterasica e lattonasica (Billecke et al., 2000).

2. I geni che codificano per la PON2 sono espressi da numerosi tessuti, in particolare dalle cellule associate alla parete vascolare e dai macrofagi, ma contrariamente agli altri membri di questa famiglia, la PON2 non viene rilasciata in circolo (Ng et al., 2001), perciò essa manifesta la propria attività antiossidante all’interno del citoplasma ritardando lo stress ossidativo cellulare e prevenendo l’apoptosi nelle cellule endoteliali vascolari (Horke et al., 2007).

3. I geni che codificano per la PON3 sono espressi sia a livello epatico sia renale e solo nell’uomo e nel coniglio è stato dimostrato il loro trasporto nel circolo ematico legato alle HDL (Draganov et al., 2000; Reddy et al., 2001). PON3 ha un’attività paraoxonasica e allisterasica

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molto limitata, ma come PON1 idrolizza lattoni aromatici e alifatici a lunga catena, ed ha proprietà antiossidanti (Dragaov, dati personali).

Uno studio filogenetico tra vertebrati ha permesso la costruzione di uno schema basato sull’omologia strutturale e sulla distanza evolutiva tra le specie, mettendo così in evidenza che PON2 è il membro primitivo, mentre PON3 è stato il successivo, e molto più recentemente è comparso PON1 (Draganov e La Du, 2004). Basandosi sulla struttura di DNA complementare e sulla dedotta sequenza amminoacidica, si rileva più dell’80% di uguaglianza negli amminoacidi della PON1 di uomo, ratto e coniglio. All’interno di queste specie vi è per lo meno il 60% di uguaglianza tra PON 1, 2 e 3 (Primo-Parmo et al., 1996). Varianti polimorfiche sono comuni nelle PON di uomo e ratto. Da queste osservazioni è stato dedotto che questa famiglia di enzimi nasce da duplicazione genetica e che l’importante ruolo fisiologico di PON è assicurato dalla ridondanza e dal polimorfismo delle proteine (Draganov e La Du, 2004).

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10 1.3 Ruolo fisiologico di PON1

La PON1 è una proteina glicosilata di 345 aminoacidi con peso molecolare di 43-47 kDa; l’enzima mantiene la sua sequenza segnale idrofobica nella regione N-terminale (con l’eccezione dell’iniziale metionina), la quale permette la sua associazione con HDL (Mackness et al., 1998). L’enzima possiede due siti per il legame con lo ione calcio con affinità differente: il più affine è essenziale per la stabilità della struttura enzimatica, l’altro è essenziale per l’idrolisi enzimatica (Harel et al., 2004, 2007).

Sebbene il substrato “naturale” per la PON1 sembrino essere i lattoni (Khersonsky e Tawfik, 2005), PON1 svolge la sua attività anche sui triesteri degli organofosfati, arilesteri, carbamatici ciclici, glucuronidi, esteri dell’estrogeno e tiolattoni (Draganov et al., 2005).

Il ruolo fisiologico di PON1 sembra essere quello di offrire protezione contro la tossicità di alcuni organofosfati, ed esistono evidenze per gli effetti protettivi contro il danno ossidativo (Watson et al., 1995; Mackness et al., 1996, Banka, 1996), contribuendo alla protezione antiossidante conferita dalle HDL sull’ossidazione delle LDL e limitando la produzione di mediatori pro infiammatori (Watson et al., 1995; Banka, 1996).

Le lipoproteine ad alta densità (HDL) sono un agglomerato di proteine anfipatiche circolante (circa il 50% dell’intera massa molecolare) che stabilizza un’emulsione lipidica composta da un monostrato di fosfolipidi (circa 25%) incorporato con colesterolo libero (circa 4%), con al centro trigliceridi (circa 3%) ed esteri del colesterolo (circa 12%).

I livelli plasmatici di colesterolo associato alle HDL sono ben conosciuti come fattore di rischio negativo per lo sviluppo di patologie cardiovascolari. Questo perché le HDL e la loro maggior costituente proteica l’apolipoproteina A-I, possiedono la capacità di mediare il trasporto inverso del colesterolo dai tessuti, dove è stato precedentemente trasportato da parte delle lipoproteine a

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bassa densità (LDL), di nuovo al fegato, quando si verifica un eccesso di questo e di altri lipidi (Gordon et al., 2011).

Le LDL ossidate (ox-LDL) determinano l’upregulation della MCP-1 (cell

Monocyte Chemotactic Protein-1) che svolge un ruolo importante negli stadi

iniziali del processo infiammatorio nell’aterosclerosi. I monociti reclutati all’interno dello spazio sub-endoteliale si differenziano in macrofagi, i quali inglobano ox-LDL per diventare in seguito foam cells. Le foam cells andranno a costituire le cosiddette strie lipidiche, progenitrici dell’ateroma il quale può, in ultima analisi, condurre ad infarto miocardico e ictus (Lusis, 2000; Ross, 1993).

Tuttavia, studi recenti hanno rilevato che solo un terzo delle HDL è riconosciuto come mediatore del trasporto dei lipidi (Jahangiri, 2010; Van et al., 2010; Gordon et al., 2011). La restante parte gioca un ruolo nelle diverse aree di: inibizione delle proteasi, regolazione del complemento e della risposta infiammatoria di fase acuta. L’eterogeneità delle funzioni svolte dalle HDL risiede nel fatto che quest’ultime risultino un complesso di particelle singole, ciascuna delle quali conferisce una varia e distinta funzionalità alle HDL. Alcune di esse sono strettamente relazionate alla capacità delle lipoproteine di modificare il comportamento di determinate cellule o organismi rimuovendo parti lipidiche di questi (Gordon et al., 2011). In questa direzione è stata identificata PON1.

Le HDL ritardano l’ossidazione delle LDL, soprattutto grazie l’azione delle HDL associate a PON1 (Mackness et al., 2000; Mackness et al., 2002;), le quali idrolizzano i lipidi ossidati formatesi su LDL e HDL (Mackness et al., 1991; Aviram et al., 2000). Connessa a quest’attività, le HDL-PON1-associate sembrano essere responsabili di attenuare la stimolazione da parte delle ox-LDL alla migrazione intravascolare dei monociti, fornendo un’indiretta evidenza della soppressione della produzione di MCP-1 (Navab et al., 1991; Watson, 1995). La PON1 coniugata alle HDL è capace di idrolizzare i fosfolipidi ossidati a lunga catena che sono stati isolati da ox-LDL (Watson et al., 1995; Navab et al., 1996).

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Sotto stress ossidativo, non solo le LDL sono suscettibili alla perossidazione dei lipidi, ma anche tutti gli altri lipidi sierici, inclusi quelli presenti nelle HDL, sono propensi all’ossidazione. Perciò l’inibizione dell’ossidazione delle HDL da parte di PON1 preserverebbe la funzione antiaterogenetica delle HDL nell’invertire il trasporto del colesterolo, così come la protezione verso l’ossidazione delle LDL. In particolare, in uno studio del 1998 (Aviram et al., 1998), gli autori rivelano che:

 è stata osservata una correlazione inversa tra l’attività sierica di HDL-PON1-associata e ossidabilità delle HDL (in soggetti volontari umani sani); quest’osservazione può spiegare il significato della relazione inversa tra l’attività sierica di PON1 e l’ossidazione delle HDL, in questo gruppo;

 è stato osservato un effetto inibitorio di PON1-purificata sull’ossidazione delle HDL;

 l’arricchimento di siero con PON1-purificata determina un aumento della resistenza all’ossidazione delle HDL;

 un’aumentata suscettibilità all’ossidazione delle HDL è stata osservata quando questa lipoproteina viene pretrattata con inibitori di PON1;

 è stata osservata una relazione diretta tra l’abilità dei vari inibitori di PON1 alla riduzione dell’attività sierica di PON1 e all’aumento dell’ossidabilità delle HDL;

 è stata osservata una correlazione inversa tra l’attività sierica di PON1 e lo stato ossidativo dei lipidi sierici in cavie con deficit dell’apolipoproteina E aterosclerotica.

La capacità di inibire l’ossidazione delle lipoproteine e la capacità di ridurre i perossidi associati alle lipoproteine, sembrano essere due proprietà separate di PON1: da una parte PON1 previene l’accumulo di lipidi ossidati durante il processo ossidativo e dall’altra utilizza e conseguentemente elimina lipoproteine ossidate preformate (Aviram et al., 1998). Perciò, entrambi questi

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effetti determinano la capacità di PON1 di idrolizzare perossidi di specifiche lipoproteine (Navab et al., 1996, Watson et al., 1995).

L’addizione preventiva di PON1-purificata alle HDL dimostra il massimo effetto inibitorio sul processo di ossidazione delle lipoproteine, questo suggerisce che PON1 agisce sui piccoli quantitativi di perossidi associati alle HDL preesistenti (Aviram et al., 1998). L’incapacità di PON1 di inibire l’ossidazione delle HDL, quando essa viene aggiunta agli ultimi stadi dell’ossidazione delle lipoproteine, può essere relazionata all’inattivazione di PON1 da parte delle specie reattive dell’ossigeno (Hayek et al., 1997).

L’ossidazione delle LDL è considerata essere di importanza rilevante nella patogenesi dell’aterosclerosi (Steinberg et al., 1989; Aviram, 1996), perciò molti studi si sono riproposti di analizzare il meccanismo endogeno dell’inibizione dell’ossidazione delle LDL (Jialal e Grundy, 1992; Fuhrman et al., 1997). É stato suggerito come PON1 abbia un meccanismo che rimuova le lipoproteine ossidate aterogene dalla circolazione (e dagli spazi extracellulari) aumentandone l’uptake cellulare (soprattutto nel fegato), così come promuova la loro conversione a lipoproteine scarsamente aterogene (Aviram, 1993; Mitchinson et al., 1990). Inoltre anche solo un piccolo aumento nella concentrazione di HDL influenza molto il meccanismo aterogeno; questo effetto può essere relazionato all’aumento dell’attività di PON1 così come delle altre proteine associate alle HDL, quali l’apolipoproteina A-I, LCAT (Lecitina-Colesterolo Aciltransferasi), e PAF-AH (Platelet-Activating

Factor-Acetylhydrolase) (Watson et al., 1995; Mackness et al., 1996).

Inoltre PON1 possiede proprietà antiinfiammatorie, poiché riduce produzione di fattori proinfiamamtori. La protezione offerta da PON1 contro l’azione di ox-LDL sembra essere associata con la distruzione di fosfolipidi ossidati presenti nelle ox-LDL. Sia i fosfolipidi contenenti acido arachidonico ciclico e ossidato, sia prodotti frammentati di acido arachidonico rappresentano lipidi biologicamente attivi. In questa direzione è stata riconosciuta in PAF-AH

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(Platelet-Activating Factor-Acetylhydrolase) e PON1 la capacità di distruggere i lipidi attivi in ox-LDL e che il loro effetto sia cumulativo. Da una parte PAF-AH inibisce la modificazione dell’apolipoproteina B100, dall’altra PON1 inibisce sia la produzione di lipoperossidi sia di TBARS (Thiobarbituric Acid Reactive Substances, utilizzato per la misurazione dei prodotti della perossidazione lipidica). Entrambe le molecole, essendo associate a HDL, contribuiscono equamente alla protezione offerta dalle lipoproteine ad alta densità (Watson et al., 1995).

Le HDL sono state studiate per il loro ruolo protettivo contro la modificazione ossidativa di LDL, e per le loro proprietà antinfiammatorie grazie alla presenza di sistemi enzimatici associati alla lipoproteina (Van Lenten et al., 1995).

Ulteriori indagini sono state eseguite sul ruolo delle HDL durante la risposta infiammatoria di fase acuta (Van Lenten et al., 1995). La risposta infiammatoria di fase acuta è una reazione sistemica a processi infettivi e non infettivi di distruzione tissutale. Durante questa fase si verificano multipli adattamenti fisiologici, includendo in questo anche la sintesi epatica di varie proteine plasmatiche, denominate markers infiammatori della fase acuta. La proteina C reattiva (CRP) e la siero amiloide A (SAA) sono state riconosciute come markers infiammatori della fase acuta che interagiscono con le lipoproteine. CRP si lega con le lipoproteine contenenti apolipoproteina B, mentre SAA circola principalmente associata alle HDL (Benditt et al., 1979; Cabana et al., 1982; Rienhoff et al., 1990).

La ceruloplasmina è un altro reagente della fase acuta che presenta proprietà antiossidanti (Al-Timimi, 1977). Inoltre è stato dimostrato come essa possieda anche un effetto pro ossidante in situazioni in cui il pH tissutale assuma valori inferiori al range fisiologico, situazione attesa nei siti soggetti ad infiammazione. In questi casi la ceruloplasmina catalizza la reazione modificante le LDL (Lamb, 1994).

Le HDL hanno un ruolo protettivo nei confronti dell’endotelio vasale e delle cellule della muscolatura liscia, proteggendole dalla citotossicità delle ox-LDL

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(Hessler et al., 1979). Estendendo questa considerazione, è stato dimostrato il ruolo protettivo delle HDL nei confronti dell’ossidazione delle LDL e soprattutto del ruolo svolto dai sistemi enzimatici associati alle HDL (Mackness, 1991; Stafforini, 1990). In quest’ottica uno studio della metà degli anni ’90 (Van Lenten et al., 1995) ha dimostrato come le HDL si convertano da molecole antiinfiammatorie a molecole pro infiammatorie durante una risposta infiammatoria di fase acuta. In questa situazione particolare, in contrasto alle native molecole HDL che normalmente inibiscono la modificazione delle LDL e l’adesione dei monociti circolanti alle cellule endoteliali, sono state riscontrate HDL di fase acuta (AP-HDL) che potenziano l’adesione dei monociti. Durante la risposta di fase acuta, la composizione delle lipoproteine è modificata drasticamente: le HDL dimostrano un marcato aumento della proteina SAA con una concomitante perdita dell’apoA-I (ligando indispensabile per l’interazione delle HDL con le cellule e alla quale risulta strettamente associata PON1). Inoltre si ha una perdita dei sistemi enzimatici associati, quali PAF-AH e PON1, enzimi capaci di catalizzare l’idrolisi dei lipidi biologicamente attivi nelle ox-LDL. Queste alterazioni perciò possono essere considerati fattori contribuenti alla reazione infiammatoria di fase acuta.

Le situazioni fino ad ora discusse prendevano in considerazione condizioni di stress ossidativo determinato da cause non infettive, includendo in queste patologie cardiovascolari, diabete mellito, insufficienza renale cronica, infiammazione intestinale, chirurgie elettive.

In uno studio del 1998 (Feingold et al., 1998), gli autori hanno valutato in animali da laboratorio la SIRS (Systemic Inflammatory Response Syndrome) batterica indotta da lipopolisaccaridi. Lo studio ha dimostrato che l’attività di PON1 diminuisce in seguito alla somministrazione di LPS che mimano la reazione infiammatoria indotta da un’infezione batterica. La riduzione della PON1 circolante è dovuta sia a una diminuita produzione a livello epatico per riduzione del mRNA codificante la proteina, sia dal processo infiammatorio stesso mediato dalle citochine. La PON1, quindi, è stata classificata come una

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proteina negativa della fase acuta (negative Acute-Phase Protein, APP) dell’infiammazione.

Novak e collaboratori (2010) hanno studiato l’attività della PON1 sierica in pazienti sani e settici ed hanno correlato i valori di questa proteina con la concentrazione di CRP e con i valori delle HDL. I risultati hanno mostrato una ridotta attività di PON1 nei pazienti settici in relazione ai valori osservati nei soggetti sani. Gli autori giustificano questo spiegando come l’ambiente ossidativo, indotto da uno stato di sepsi, determini un aumento dei legami fra radicali liberi e PON1, determinando perciò una riduzione dell’attività della stessa nel siero. Inoltre, i risultati hanno mostrato una correlazione fra la diminuzione dell’attività di PON1 e la diminuzione dei valori di HDL ed un aumento dei valori di CRP, nei pazienti settici.

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17 1.4 Fattori che influenzano la PON1

Nell’uomo la PON1 è influenzata da (Jarvik et al., 2003): 1. polimorfismo genetico; 2. stile di vita; 3. dieta alimentare; 4. età; 5. sesso; 6. condizione fisiologica. 1.4.1 Polimorfismo genetico

Il gene codificante la PON1 contiene numerosi polimorfismi a nucleotide singolo (SNP) (Figura 1). Alcuni dei più comuni SNPs influenzano l’attività e la concentrazione di PON1, ciò permette di individuare soggetti con alta, media e bassa attività della paraoxonasi (Mueller et al., 1983).

Gli SNPs più comunemente studiati sono:

 la regione codificante Q192R, la quale determina un effetto substrato-dipendente sull’attività di PON1. Alcuni substrati, come il paraoxone, sono idrolizzati più velocemente dall’isoforma-R mentre altri, come il diazinone, il sarin e il soman, sono idrolizzati più velocemente dall’isoforma-Q (Mackness et al., 1998).

PON1Q192 è inoltre molto più efficiente a metabolizzare HDL o LDL

ossidati di PON1R192 (Aviram et al., 2000);

 la regione codificante L55M, la quale è associata a differenti concentrazioni di PON1 nel siero, quindi a una sua differente attività. L’allele 55L determina un significativo aumento di mRNA per PON1 e dei livelli sierici della proteina, a differenza dell’allele 55M (Leviev et al., 1997);

 il promotore C-108T che è associato a differenti concentrazioni di PON1 nel siero e quindi a differenti attività. L’allele -108C ha una

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grande attività promotrice rispetto all’allele -108T (Leviev et al., 1997; Leviev and James, 2000).

Figura 1. Polimorfismo di PON1 (da Mackness e Mackness, 2015)

Le due isoforme PON1Q e PON1R portano alla formazione di tre gruppi fenotipici: QQ, QR ed RR. Essi producono significative differenze nei valori di attività di PON1 tra gli individui che esprimono fenotipo QQ e RR. (Browne et al., 2007)

E’ stato individuato che il polimorfismo di PON1 varia con l’etnicità; difatti la frequenza dell’allele 192R risulta essere del 15-30% tra la popolazione Caucasica, del 70-90% tra la popolazione dell’Estremo Oriente e dell’Africa Sub-Shariana (La Du, 1992). Negli stati del sud degli USA, gli Afro-americani risultano essere omozigoti per RR 5 volte di più dei Caucasici (McDaniel et al., 2014). Di contro l’allele 55M è molto meno frequente nella popolazione dell’Estremo Oriente e Africana rispetto ai Caucasici (Phuntuwate et al., 2005). Queste differenze etniche nella distribuzione del polimorfismo di PON1 possono portare ad una grande varietà nell’attività di PON1 tra le popolazioni (La Du, 1992), differenze di cui tenere conto nello studio dell’attività di questo enzima.

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Solo un’analisi genomica riesce a fornire un’accurata valutazione degli effettivi livelli e attività di PON1 nel siero, prendendo in considerazione gli effetti che i polimorfismi hanno su questi.

1.4.2 Stile di vita

Per quanto riguarda la modulazione di PON1 da parte dello stile di vita, è risultato che (Costa et al., 2005a):

 il fumo di sigaretta inibisce l’attività plasmatica di PON1. I composti responsabili di ciò sono stati individuati in aldeidi reattivi e idrocarburi aromatici (Nishio et al., 1997);

 il consumo moderato di alcool determina un aumento dell’attività plasmatica di PON1, mentre un consumo elevato ne determina una diminuzione (Rao et al., 2003);

 il ruolo degli antiossidanti, somministrati con la dieta, nel modulare l’attività della PON1 è ancora dubbio. Alcuni studi sui flavonoidi riportano che questi antiossidanti possono aumentare l’attività di PON1 probabilmente proteggendo l’enzima dall’inattivazione ossidativa stress-indotta (Aviram et al., 1999).

Altri lavori però, riportano una correlazione negativa tra somministrazione di antiossidanti quali le Vit E e C e, l’attività sierica di PON1 (Rantala et al., 2002) o una non correlazione (Ferrè et al., 2003).

1.4.3 Dieta alimentare

Negli animali da laboratorio, una dieta aterogenica (che prevede cioè un alto apporto di grassi saturi, idrogenati e colesterolo) determina una significativa diminuzione nell’attività e concentrazione di PON1, ed è associata ad una diminuzione nelle HDL-C (Shih et al., 1996; Forte et al., 2002). In medicina umana, una dieta con un alto contenuto di acidi grassi saturi porta ad una

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diminuzione dell’attività di PON1 (De Roos et al., 2002). Al contrario, l’acido oleico, proveniente dall’olio di oliva, è associato ad un aumento della PON1 (Wallace et al., 2001; Tomas et al., 2001). In uno studio, nel quale uomini sani venivano alimentati con pasti ricchi di grassi cucinati, che contengono quindi un’alta concentrazione di lipidi ossidati, si mostrava una significativa diminuzione dell’attività dell’enzima (Sutherland et al., 1999). Questo risulta essere in accordo con studi condotti in vitro, dove PON1 risultava essere inattivata da lipidi ossidati e ox-LDL (Aviram et al., 1999).

In vitro, PON1 è protetta da polifenoli antiossidanti della quercitina e della

glabridina, che suggerisce come una dieta ricca di alimenti antiossidanti possa giocare un ruolo simile in vivo (Aviram et al., 1999). Difatti, in uno studio condotto in umana e su animali da laboratorio, privati geneticamente dell’apoE, si è visto come il consumo di succo di melagrana, ricco di polifenoli e altri antiossidanti, possa innalzare l’attività di PON1 fino al 20% in più (Kaplan et al., 2001). Uno studio, condotto da Gouédard e colleghi (Gouédard et al., 2004), dimostra che una dieta ricca di polifenoli possa influenzare l’espressione genetica di PON1 (Gouédard et al., 2004). Difatti, la quercitina (somministrata alle stesse concentrazioni ottenute in vivo dopo un pasto ricco di polifenoli) induceva l’attività del promotore di PON1 in cellule in coltura. La quercitina agisce come ligando per AhR (Aryl hydrocarbon

Receptor), esso attiva il fattore della trascrizione il quale lega a sua volta XRE

(Xenobiotic Responsive Element). Una sovraespressione di AhR, determinata dai polifenoli, aumentava l’induzione genetica di PON1 (Gouédard et al., 2004).

1.4.4 Età

Studi effettuati su animali da laboratorio hanno mostrato che sia l’attività sierica sia l’espressione a livello epatico di PON1 sono molto basse alla nascita ed aumentano progressivamente fino al 21° giorno di vita (Li et al., 1997; Moser et al., 1998). Studi effettuati nell’uomo hanno mostrato una bassa

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attività di PON1 alla nascita, che aumenta progressivamente fino a raggiungere un plateau tra il 6° e il 15° mese di vita (Ecobichon e Stephens, 1973; Mueller et al., 1983; Cole et al., 2003). L’attività di PON1 risulta essere costante nel tempo, una volta che ha raggiunto i valori dell’adulto (Zech et al., 1974; Karanth et al., 2000). A questo riguardo, negli animali da laboratorio, non sono state trovate differenze nei valori di questa proteina nei soggetti fra i 2 e i 24 mesi di vita (Karanth e Pope, 2000), mentre nell’uomo, l’attività di PON1 si stabilizza a livello dei valori dell’adulto intorno ai 7 anni di età. Nel bovino, è stato individuato come nei vitelli sani l’attività di PON1 incrementava con l’età da 2 a 21 giorni di vita. D’altro canto non sono stati rilevati significativi aumenti dei valori dal 21 al 120 giorno di vita. I valori si presentavano significativamente elevati nei soggetti adulti (>12 mesi di età) rispetto ai vitelli di 21 giorni di vita, dove il valore mediano nei primi si attestava su 88,0 U/mL mentre nei secondi 40,4 U/mL (Giordano, 2013). In medicina umana, l’attività di PON1 vede una progressiva diminuzione con l’invecchiamento del soggetto (Milochevitch e Khalil, 2001; Senti et al., 2001; Jarvik et al., 2002). Lo studio di Milochevitch e Khalil (2001), nel quale sono stati esaminati 95 soggetti di età compresa fra i 26 e i 77 anni, mostra una correlazione negativa significativa fra l’attività di PON1 nel plasma ed associata alle HDL e l’età dei soggetti (Figura 2). Questo declino può essere relazionato allo sviluppo di condizioni di stress ossidativo dovuto all’avanzare dell’età (Seres et al., 2004). Inoltre, essendo PON1 strettamente associata ad apoA-I, la diminuzione di quest’ultima proteina con l’invecchiamento può essere responsabile di una riduzione delle PON1 associate alle HDL (Frey et al., 1990; Milochevitch e Khalil, 2001).

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Figura 2. Correlazione dell’attività della paraoxonasi nel plasma (A) e associata alle HDL (B) con l’età. L’attività della paraoxonasi è stata determinata attraverso la misurazione della velocità d’idrolisi del paraoxone e normalizzata con le proteine totali attraverso la reazione di Pierce. Coefficiente di correlazione r = -0.281 (P<0.039) e r = -0.280 (P<0.006) rispettivamente per il grafico A e B (da Milochevitch e Khalil, 2001).

1.4.5 Sesso

Negli animali da laboratorio si riporta che le femmine presentano un’attività di PON1 più elevata del 14-26% rispetto ai maschi, e che i livelli di mRNA epatico siano più elevati del 40% nel genere femminile rispetto a quello maschile (Wehner et al., 1987; Ali et al., 2003). Tuttavia, nell’uomo l’eterogeneità genetica sembra mascherare l’influenza del sesso (Ali et al., 2003).

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23 1.4.6 Condizioni fisiologiche

L’attività di PON1 può variare in base a diverse condizioni fisiologiche.

La gravidanza è stata associata con un basso livello di PON1 sia in studi effettuati in animali da laboratorio che nell’uomo (Weitman et al., 1983). Soggetti praticanti una moderata attività fisica (definita come un consumo di circa 300 kcal/day), mostrano livelli di PON1 più elevati ed una minor concentrazione di perossidi di lipidi (Senti et al., 2003). Inoltre, l’attività fisica sembra aumentare i livelli di attività dell’enzima del 14% nei fumatori, i quali presentano bassi livelli di PON1, riportando la concentrazione ai livelli riscontarti nei non fumatori (Senti et al., 2003).

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24 1.5 Metodi di dosaggio

La PON1 può essere valutata misurando la sua attività sierica, avvalendosi fondamentalmente dell’analisi spettrofotometrica (Costa et al., 2005a). Questa si basa sull’abilità di PON1 di idrolizzare substrati ed è, ad oggi, la tecnica più utilizzata, probabilmente per via del basso costo e della facilità di attuazione (Ceron et al., 2014).

La tecnica spettrofotometrica prevede l’unione del campione in analisi al substrato scelto, entrambi vengono poi dissolti in una soluzione buffer. Il prodotto generato dall’idrolisi del substrato viene attraversato da un raggio di luce artificiale, di lunghezza d’onda predefinita, monitorato in un determinato arco di tempo, con una determinata frequenza e ad una definita temperatura. Viene poi valuta l’intensità della luce trasmessa dopo il passaggio nella soluzione da dosare, che risulterà essere in funzione della concentrazione del substrato idrolizzato (Ceron et al., 2014).

Il buffer più utilizzato è il Tris-HCL, ma anche altri buffer, come la glicina, sono ampiamente utilizzati. Questi elementi mantengono il pH intorno a 8-8,5, in modo tale che la struttura di PON1 e la sua attività non ne siano influenzate (Dantoine et al., 1998).

La concentrazione del substrato dovrebbe essere stabilita e ottimizzata insieme al campione di analisi per assicurare una linearità alla reazione. Idealmente tale concentrazione dovrebbe essere sufficientemente alta da determinare la massima velocità in cui l’enzima è saturato dal substrato e così che l’attività dipenda esclusivamente dalla quantità di enzima nel campione (Main 1960).

A causa dell’assenza di un definitivo substrato “naturale”, sono stati usati diversi substrati non fisiologici per misurare l’attività sierica di PON1 (Ceron et al., 2014).

PON1 è considerato un enzima “promiscuo” poiché possiede la capacità di idrolizzare differenti substrati come, i composti degli organofosfati, arilesteri

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non fosforici ed anche lattoni, i quali sono considerati suo substrato primario (Khersonsky e Tawfik, 2006).

PON1 può essere valutata per le sue differenti attività (Ceron et al., 2014): 1. attività paraoxonasica, ovvero quando il paraoxone è usato come

substrato;

2. attività arilesterasica, quando sono utilizzati substrati come il fenilacetato o 4-nitrofenilacetato;

3. attività lattonasica, quando il 5-tiobutil butirro lattone (TBBL) o altri lattoni sono usati come substrato.

Tuttavia questa terminologia non sembra essere accurata poiché aril- si riferisce a qualsiasi gruppo funzionale o sostituente derivato da un anello aromatico e perciò il paraoxone può essere considerato una arilesterasi e quindi incluso nel gruppo delle arilesterasi. Più in generale si può determinare l’attività di PON1 attraverso diversi substrati come il paraoxone, fenilacetato, 4-nitrofenilacetato, 5-tiobutilbutirro lattone (TBBL), o diidrocumarin (Ceron et al., 2014).

Correntemente nelle misurazioni descritte in letteratura, risulta esserci una grande eterogeneità nella selezione dei substrati, così come nelle condizioni in cui vengono utilizzati. Questa situazione può portare in definitiva ad una difficile possibilità di comparare i valori ottenuti dai diversi laboratori, generando risultati inappropriati per non aver usato adeguate procedure analitiche, o problemi nell’interpretazione dovuto al differente polimorfismo nell’attività dei substrati (Ceron et al., 2014).

Le caratteristiche dei diversi substrati sono state classificate tenendo conto di 4 fattori principali: tossicità, influenza del polimorfismo, velocità di idrolisi, performance diagnostiche (Ceron et al., 2014).

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26 1.5.1 Tossicità

 Paraoxon. Esso è considerato estremamente instabile e tossico e che può determinare un rapido e grave avvelenamento da organofosfati. Esso è descritto come estremamente tossico per via inalatoria, al contato con la pelle e può determinare cancro e danno genetico ereditabile. Perciò le soluzioni di paraoxone devono essere maneggiate sotto cappa e da personale che abbia preso le dovute misure di precauzione. Inoltre può determinare inquinamento del materiale di laboratorio, deve essere perciò maneggiato con strumenti propri e adeguati, e correttamente smaltito (Mogarekar, 2013);

 Fenilacetato. Esso non è considerato tossico quanto il paraoxone, ma necessita comunque di adeguate misure di sicurezza e di essere maneggiato sotto cappa. Inoltre risulta essere tossico se ingerito (Liao et al.,. 2007; Camps, 2009);

 4-nitrofenilacetato. Esso è stato descritto come non tossico e non vi sono misure di sicurezza particolari che debbano essere applicate (Dantoine et al., 1998);

 5-tiobutil butirro lattone. Esso è considerato come non tossico (Camps, 2009);

 Diidrocumarin. Esso è considerato estremamente tossico se inalato e al contato con la pelle.

1.5.2 Influenza del polimorfismo

Come precedentemente spiegato, il polimorfismo genetico di PON1 determina un’importante differenza nell’attività dell’enzima stesso. Questa significativa differenza nei valori si verifica specialmente con le misurazioni attraverso il paraoxone (Davies et al., 1996).

Usando il fenilacetato, gli individui RR mostrano valori di PON1 1,46 volte più elevati degli individui QQ (Browne et al., 2007). Il 4-nitrofenilacetato

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dimostra valori simili di PON1 quando è utilizzato come enzima purificato (Smolen et al., 1991).

Utilizzando TBBL i valori di PON1 variano notevolmente a seconda del polimorfismo così come il paraoxone (Marsillach et al., 2009).

1.5.3 Velocità di idrolisi

In medicina umana, la velocità d’idrolisi di PON1 risulta essere inferiore quando viene utilizzato il paraoxone come substrato piuttosto che fenilacetato o 4-nitrofenilacetato (Mackness et al., 1991). In medicina veterinaria, sebbene pochi studi siano stati effettuati, sembra che PON1 possa avere un differente spettro di attività non solo utilizzando diversi substrati ma anche secondo la specie in analisi (Aldridge, 1953; Main, 1960). Sebbene queste differenze, sembra che i lattoni siano considerati il substrato naturale e che meglio riflette l’attività fisiologica di PON1. Inoltre esso risulta strettamente correlato con l’attività riscontrata in medicina umana utilizzando il TBBL e il fenilacetato (Tawfik, 2006).

1.5.4 Performance diagnostiche

Possiamo individuare due situazioni principali:

 Condizioni o patologie in cui i substrati danno informazioni simili, per esempio: in medicina umana nei malati di HIV e nella diagnosi di insufficienza epatica il paraoxone e il TBBL hanno dato risultati simili (Parra et al., 2010; Marsillach et al., 2009); in veterinaria, nella diagnosi di lipidosi epatica, nelle vacche il dididrocumarin, fenilacetato e paraoxone hanno dato risultati simili (Farid et al., 2013).

 Condizioni o patologie in cui ci sono divergenze tra i substrati, per esempio: in medicina umana, comparando paraoxone, fenilacetato e 4-nitrofenilacetato è stato dimostrato che solo l’ultimo mostra significativi cambiamenti tra i pazienti con insufficienza renale e

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individui sani (Dantoine et al., 1998). Inoltre, il fenilacetato è risultato essere un substrato più specifico e sensibile rispetto al paraoxone nell’identificazione in pazienti con insufficienza epatica (Keskin et al., 2009). Nel cane, il 4 nitrofenilacetato è risultato essere un substrato più specifico e sensibile rispetto al fenilacetato e TBBL nell’identificare soggetti con danno ossidativo (Tvarijonaviciute et al., 2012b).

1.5.5 Fonti che determinano interferenza

Le alterazioni del campione che determinano interferenza nella sua misurazione sono state riconosciute principalmente in:

 raccolta dei campioni in provette con EDTA. PON1 ha assoluto bisogno dello ione Ca2+ per la sua attività e stabilità, quindi l’uso di EDTA inattiverebbe l’enzima (Erdos, 1961). È riportato che anche il litio inibisce la sua attività (Aldrige, 1989). La raccolta e la conservazione dei campioni prevede l’utilizzo di provette da siero;

 gli effetti di emolisi e lipemia sembrano essere differenti in correlazione al metodo di analisi utilizzato. Per esempio, in uno studio su cani (Tvarijonaviciute et al., 2012b), nel quale sono state comparate diverse tipologie di metodi analitici, è stato valutato che:

o Una significativa diminuzione di PON1 è ottenuta con una concentrazione di emoglobina elevata (> 8 g/dl, rappresentativa di grave emolisi) e di trigliceridi elevata (> 5 g/L), quando viene utilizzato TBBL come substrato.

o Usando il fenilacetato, sono state rilevate simili interferenze per la presenza di trigliceridi ma non sono state rilevate interferenze per la presenza di emoglobina.

o Usando il 4-nitrofenil acetato, sono state rilevate interferenze per la presenza di trigliceridi in quantità maggiore di 1,25 g/L, e per la presenza di emoglobina in quantità maggiore di 8 g/L.

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In conclusione, sembra che solo un elevato grado di emolisi possa influenzare l’attività di PON1; similmente a quanto descritto in medicina umana, non sono state trovate sostanziali interferenze in presenza di emoglobina fino a 6 g/L, utilizzando come substrato il TBBL (Marsillach et al., 2009). Inoltre anche la lipidemia e l’ittero non sembrano avere influenza su analisi condotte con TBBL (Marsillach et al., 2009).

In ultima analisi, è generalmente riconosciuto il bisogno di una maggiore conoscenza su questa materia. Tuttavia, per le misurazioni di PON1, è consigliato cercare di selezionare il substrato più appropriato in termini di sensibilità e specificità clinica, con minore tossicità, e minore influenza del polimorfismo, e impostare adeguate condizioni per le reazioni enzimatiche, per evitare situazioni che possano influenzare negativamente le misurazioni, quali per esempio pH elevati, elevata concentrazione del substrato, e scorrette impostazioni dell’esame spettrofotometrico (Ceron et al., 2014).

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CAPITOLO 2 – STATO DELL’ARTE

2.1 Medicina umana

In medicina umana, l’attività di PON1 è stata studiata approfonditamente in diverse condizioni patologiche e malattie.

2.1.1 PON1 e l’aterosclerosi

Il ruolo fisiologico della PON1 umana è stato prevalentemente studiato in relazione al processo patogenetico dell’aterosclerosi.

In situazioni fisiologiche, le HDL sono capaci di ritardare l’ossidazione delle LDL per prevenire lo sviluppo dell’aterosclerosi (Mackness et al., 2011). Numerose proteine associate alle HDL, inclusa PON1, contribuiscono a questa loro attività antiossidante.

La capacità di PON1 nel ritardare l’ossidazione delle LDL è stata dimostrata prima in vitro da Mackness e colleghi (1991 e 1993), e confermata successivamente da altri laboratori (Watson et al., 1995; Aviram et al., 1998; Ahmed et al., 2001; Draganov e La Du, 2004) ed estesa allo studio in associazione con HDL e membrane cellulari (Aviram et al., 1998; Deakin et al., 2011). In studi su culture cellulari, PON1 mostra una varietà di proprietà potenzialmente ateroprotettive, come ridurre lo stress ossidativo sui macrofagi e promuovere l’abilità dei macrofagi di ossidare le LDL, inibire la sintesi del colesterolo e promuovere l’efflusso del colesterolo (Aviram e Rosenblat, 2004; Berrougui et al., 2012).

Il meccanismo con cui PON1 ritardi l’ossidazione delle LDL non è ancora stato dimostrato ma sembra che coinvolga l’idrolisi degli acidi grassi ossidati troncati dai fosfolipidi, colesteril-esteri e idroperossidi dei trigliceridi, che porta alla produzione di lisolipidi, colesterolo, digliceridi, e acidi grassi ossidati ( Tavori et al., 2011; Mackness, 2012; Mackness, 2015).

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I lisolipidi e gli acidi grassi ossidati prodotti da PON1 sono loro stessi potenzialmente aterogeni, ma non sembrano tali quando prodotti sulle HDL (Mackness e Durrington, 1995). Gli idroperossidi non metabolizzati dei lipidi sono altamente infiammatori, ed inducono la produzione del fattore MCP-1 dalle cellule delle arterie, le quali attraggono monociti all’interno dell’intima del vaso all’inizio del processo ateroscleortico (Steinberg et al., 1989; Chisolm e Penn, 1996; Luisis, 2000).

In presenza di PON1, la concentrazione degli idroperossidi dei lipidi è ridotta, perciò la produzione delle MCP-1 è inibita (Navab et al., 1991; Mackness et al., 2004) e il processo aterosclerotico è attenuato. In esperimenti condotti su cavie, sulle quali venivano riprodotti modelli di aterosclerosi, i soggetti che esprimevano PON1 umana dimostravano un ritardato o annullato meccanismo di sviluppo dell’aterosclerosi che comprendeva una riduzione delle ox-LDL circolanti, una riduzione nello stress ossidativo dei macrofagi e della formazione di foam cell, un aumento nel trasporto inverso del colesterolo e una normalizzazione della funzione endoteliale (Shih et al., 1998; Tward et al., 2002; Rozenberg et al., 2005; Mackness et al., 2006; Guns et al., 2008).

Bassi livelli di PON1 sierica sono stati sempre associati con una maggiore suscettibilità allo sviluppo delle patologie coronariche (Coronary Heart

Desease, CHD). Numerosi studi hanno dimostrato che una scarsa attività di

PON1 è un fattore di rischio per lo sviluppo di CHD, indipendente dalla concentrazione delle HDL (Mackness et al., 2003; Bhattacharyya et al., 2008; Van Himbergen et al., 2008), dimostrando che i pazienti affetti da CHD possiedono un’attività di PON1 inferiore del 19% rispetto al gruppo di controllo (P<10-5). Un risultato simile è stato ritrovato in tutti i sottogruppi analizzati, che includono gruppi etnici e di età, di stenosi coronarica e infarto del miocardio (Wang et al., 2012).

In uno studio con il coinvolgimento di 3668 soggetti, sui quali era stata condotta un’angiografia elettiva coronarica senza la presenza di una sindrome coronarica acuta, è stata misurata ad ognuno di questi l’attività sierica di

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PON1 (misurata in base alla capacità di idrolisi del paraoxone e del fenilacetato) e sono stati seguiti per tre anni consecutivi per possibili eventi cardiovascolari avversi di maggiore entità (MACE= Major Adverse

Cardiovascular Events, quali per esempio: morte, infarto miocardico, ictus).

Una bassa attività paraoxonasica e arilisterasica di PON1 sono associate entrambe con il rischio di MACE (Tang et al., 2012). Inoltre lo studio del polimorfismo di PON1 associato ai suoi livelli di attività non è stato associato al rischio di MACE, raggiungendo la conclusione che l’attività di PON1 è un determinante importante nello sviluppo di CHD e non è dipendente dal genotipo (Jarvik et al., 2000; Mackenss et al., 2001).

Sembra perciò, in base alle evidenze correnti, che l’attività di PON1 sia ateroprotettiva (Figura 3).

Figura 3. Potenziale meccanismo antiaterosclerotico di PON1 (da Mackness e Mackness, 2015).

2.1.2 PON1 e il diabete

Sia il diabete di Tipo 1, insulino-dipendente, sia quello di Tipo 2, non insulino-dipendente, sono stati associati con bassi livelli di attività di PON1 (Boemi et al., 2001; Mackness et al., 2002b).

Boemi e colleghi (2001) hanno dimostrato in vitro che quest’attività è ridotta fino al punto che possa alterare le capacità antiossidanti delle cellule, suggerendo un’associazione con la tendenza all’aumento dello stress ossidativo nei pazienti diabetici (Mackness et al., 1998; Mackness et al., 2002b).

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Questa bassa attività è risultata indipendente dal genotipo (Boemi et al., 2001; Letellier et al., 2002; Mackness et al., 2002b; Agachan et al., 2004). Tuttavia, PON155L è stato frequentemente associato con comuni complicazioni del

diabete, come la retinopatia (Kao et al., 1998; Mackness et al., 2000; Kordounori et al., 2001), e PON1192R è stato più frequentemente associato con

CHD in pazienti diabetici, rispetto alla popolazione generale (Pfohl et al., 1999; Aubo et al., 2000; Letellier et al., 2002).

Inoltre, il polimorfismo L55M è stato associato ad un non equilibrato meccanismo di deposito del glucosio (Deakin et al., 2002), un’alterata funzionalità delle cellule β (Deakin et al., 2002; Chiu et al., 2004) e un’aumentata insulino-resistenza nei soggetti sani (Barbieri et al., 2002). In generale, i bassi livelli di attività di PON1 sono stati giustificati con un’alterazione nel processo di glicazione (glicosilazione non enzimatica) delle HDL e/o di PON1, con una diminuzione nell’attività di sintesi e un aumento del catabolismo, ed un aumento dello stress ossidativo (Boemi et al., 2001; Mackness et al., 2002b). In supporto a quanto sopra, i risultati di studi condotti

in vitro mostrano come l’attività di PON1 e la sua concentrazione

diminuiscano in soggetti con elevati livelli di glucosio a digiuno (Leviev et al., 2001; Kordounori et al., 2001). PON1 risulta trovarsi a bassi livelli anche in pazienti con sindrome metabolica, che presentano anormali livelli di glucosio a digiuno e un’aumentata insulino-resistenza (Senti et al., 2003).

2.1.3 PON1 e altre patologie infiammatorie

Una bassa concentrazione di PON1 nel siero è associata a molte altre patologie che possiedono un’importante componente infiammatoria, come patologie epatiche e renali (es. insufficienza renale), artrite reumatoide, ipertiroidismo, malattia di Alzheimer e demenza vascolare (Goswami et al., 2009).

Una diminuita attività sierica di PON1 è stata anche mostrata in pazienti con insufficienza renale cronica (sottoposti ad emodialisi) (Dantoine et al., 1998).

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In uno studio, l’attività di PON1 ritorna a livelli normali in seguito a trapianto di rene, in soggetti con insufficienza renale cronica; questo suggerisce che l’effetto sui valori di PON1 è una conseguenza della patologia e non una causa sottostante (Dantoine et al., 1998).

L’ipertiroidismo è anch’esso associato a bassi livelli di attività dell’enzima (-40%) (Raiszadeh et al., 2004). I pazienti che successivamente al trattamento con metimazolo sono diventati eutiroidei, presentava livelli di attività inferiori solo del 14%, in relazione al gruppo sano di controllo (Raiszadeh et al., 2004). I pazienti che presentano la malattia di Alzheimer e demenza vascolare mostrano valori di PON1 inferiori del 30-40% (Paragh et al., 2002). Tuttavia, non è stato ancora riconosciuto se questa diminuzione sia causa o conseguenza di un aumento dello stato ossidativo, in quanto lo stress ossidativo è un fattore di rischio per lo sviluppo della demenza (Dantoine et al., 2002; Paragh et al., 2002).

In animali da laboratorio, ai quali era stato somministrato tetracloruro di carbonio epatotossico, presentavano valori dell’attività di PON1 diminuiti (Ferrè et al., 2001). Gli stessi autori hanno in seguito riscontrato nei pazienti che presentano patologia epatica cronica, come l’epatite cronica e la cirrosi, livelli di attività di PON1 diminuiti, i quali risultano essere più bassi in relazione alla gravità del danno epatico (Ferrè et al., 2002).

2.1.4 PON1 e le HDL disfunzionali

Le patologie precedentemente trattate sono ulteriormente caratterizzate dalla presenza di HDL disfunzionali (Mackness e Mackness, 2014). Questa terminologia è nata dall’osservazione di alcuni individui con elevata o normale concentrazione di HDL associate a colesterolo (HDL-C) ma con bassa attività sierica di PON1 che risultano essere suscettibili allo sviluppo di CHD, mentre altri individui con bassa concentrazione di HDL-C ma alta attività PON1 non lo erano (Navab et al., 1997).

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Le HDL disfunzionali sono caratterizzate dalla riduzione della capacità di efflusso del colesterolo, ma anche e principalmente sono caratterizzate dalla perdita della loro funzione antinfiammatoria e antiossidativa (Mackness e Mackness, 2015). Perciò le HDL derivanti da pazienti con un’ampia varietà di patologie con un’importante componente infiammatoria, non inibiscono la chemiotassi dei monociti ma piuttosto la incrementano, si conclude perciò che questi HDL disfunzionali siano spesso pro infiammatori e promotori dello sviluppo di CHD (Navab et al., 2006). Analogamente, HDL da pazienti che presentano CHD (dovute ad una mancanza dell’attività di PON1) sono incapaci di attivare l’enzima eNOS (enzima responsabile della produzione di Ossido Nitrico) delle cellule endoteliali e perciò incapaci a mantenere una normale funzionalità dell’endotelio vascolare (Besler et al., 2011).

Al momento non è ancora noto se il basso livello di PON1 in queste patologie sia primariamente responsabile nell’eziologia di queste o se semplicemente sia una conseguenza della presenza della patologia (Mackness e Mackness, 2015). Saranno perciò necessari futuri studi epidemiologici per trovare risposta a questo quesito e per chiarire un possibile ruolo di PON1 come potenziale target terapeutico o come potenziale strumento diagnostico (Mackness e Mackness, 2015).

2.1.5 PON1 e l’intossicazione da organofosfati

Il rapporto tra PON1 e l’intossicazione da organofosfati è stato ampiamente studiato, con ricerche condotte sia nell’uomo sia negli animali (Mackness e Mackness, 2015).

I composti organofosfati (OPs) sono ampiamente utilizzati sia in ambienti rurali sia urbani, portando perciò la popolazione ad un’ampia esposizione. Gli OPs sono attivati nell’organismo da un processo noto come desolforazione ossidativa che conduce alla formazione dell’oxone tossico. La maggior parte degli OPs sono substrati di PON1, ed inoltre sono idrolizzati ad una diversa velocità dall’isoforma PON1-Q rispetto all’isoforma –R (Mackness e

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Mackness, 2015). Perciò, la maggior parte degli studi condotti in quest’ambito si sono concentrati sulla determinazione genetica dell’intossicazione da OPs (Costa et al., 2013).

Studi condotti su animali hanno dimostrato abbondantemente che PON1 protegge dall’intossicazione da OPs (Mackness e Mackness, 2015). La somministrazione di PON1 esogena a cavie protegge contro la tossicità degli OPs, soprattutto l’isoforma che presenta una maggiore velocità nell’idrolisi di tali composti (Li et al., 2000). Al contrario cavie private del gene PON1 risultavano molto più suscettibili alla tossicità degli OPs e la somministrazione di PON1 esogeno ristabiliva la resistenza a questi composti (Shih et al., 1998). L’esposizione quotidiana a OPs è stata associata ad un aumento del rischio di sviluppo di Parkinson nei soggetti portatori di PON1-55M e nell’aumentato rischio di sviluppo di tumori cerebrali nei bambini con una bassa attività di PON1 (Nielsen et al., 2005; Manthripragada et al., 2010).

L’esposizione in utero a OPs di feti di madri con bassi livelli di PON1 è risultato nella nascita di bambini con una circonferenza della testa minore e un periodo gestionale più breve (Berkowitz et al., 2004; Harley et al., 2011). In bambini esposti in utero a OPs e con bassi livelli di PON1 sono stati associati a scarsi risultati nei test di sviluppo cognitivo (Eskenazi et al., 2010; Engel et al., 2011).

2.1.6 PON1 e l’infezione

In un recente studio, condotto nel 2015, da Simona Iftimie e colleghi, è stata investigata la relazione fra le alterazioni nei livelli sierici di PON1 e le caratteristiche d’infezione in un gruppo di pazienti con catetere venoso centrale permanente (CVC).

Lo studio ha dimostrato una significativa diminuzione dell’attività sierica di PON1 in questa tipologia di soggetti, misurando l’attività TBBLasica (attività lattonasica) e paraoxonasica (attività esterasica) di questo enzima. In particolare è risultato che i livelli di concentrazione di PON1 non erano

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diminuiti ma rimanevano invariati, ciò implicava che la diminuzione della sua attività era dovuta all’inattivazione dell’enzima e come conseguenza, anche le attività specifiche di PON1 risultavano diminuite.

Tale inattivazione è stata spiegata con diverse motivazioni:

1. i pazienti facenti parte del gruppo di studio presentavano patologie strettamente associate a stress ossidativo (diabete mellito, patologie polmonari, patologie ischemiche cardiache, dislipidemia, cancro); degradando i perossidi lipidici, l’enzima PON1 veniva inattivato, ciò implicava una diminuzione totale dell’attività enzimatica;

2. alcuni batteri sono in grado di inattivare PON1, come per esempio la

quorum sensing lattonasi prodotta dai batteri Gram-negativi che

determina una rapida inattivazione e degradazione di PON1 (Schweikert et al., 2012).

La conclusione più importante a cui è arrivato questo studio è rappresentata dal fatto che le specifiche attività TBBLasica e paraoxonasica possiedono una buona precisione nella diagnosi di infezioni acute concomitanti (ACI) in pazienti con CVC permanete.

Questo preliminare studio è stato condotto su una popolazione eterogenea, i cui soggetti differivano fra di loro per l’eziologia e le co-morbilità; inoltre, il numero dei soggetti era relativamente basso. Risulta comunque notevolmente importante come punto di partenza per studi condotti su una popolazione più grande, per poter confermare l’ipotesi conclusiva avanzata.

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38 2.2 Medicina veterinaria

In medicina veterinaria sono stati condotti, in anni più recenti, studi sul ruolo fisiologico di PON1 e sulla sua possibile utilità clinica, come mezzo diagnostico e come strumento per lo studio dell’andamento del trattamento terapeutico. Gli studi si sono maggiormente concentrati nelle specie canina e bovina, in minor misura anche nella specie felina; inoltre, preliminari studi sono stati effettuati anche nella specie suina.

2.2.1 Specie Bovina

In buiatria, PON1 è stata studiata in relazione soprattutto allo stato lipidico nella vacca da latte e in relazione allo stress ossidativo strettamente collegato all’impiego produttivo di tali animali.

Lo studio di M. Antoncic-Svetina e colleghi (2011), si concentra sull’analisi del livello sierico di lipidi e lipoproteine, sui parametri metabolici e sull’attività di PON1 in vitelle non gravide, in ottimo stato di salute e in vacche da latte nel periodo di lattazione, anch’esse in salute. Nelle prime è stato ragionevolmente supposto che si trovassero in un’ottimale condizione energetica, in comparazione con il secondo gruppo di vacche, valutate durante il periodo di lattazione, al quale sono difatti associati eventi di intenso stress ossidativo.

In studi precedentemente condotti, una riduzione dei trigliceridi sierici e un aumento della concentrazione di colesterolo è stata riconosciuta nelle vacche durante il periodo di lattazione (Mazur et al., 1988; Marcos et al., 1990).

Nello studio attuale sono stati ritrovati livelli di colesterolo totale molto più alti nelle vacche in lattazione rispetto alle vitelle. Inoltre, sono stati osservati anche livelli di HDL-C sierica più elevati nelle vacche in lattazione rispetto alle vitelle. Il concomitante aumento sia del colesterolo totale che quello legato alle HDL è in accordo con la nozione che le HDL sono le principali

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trasportatrici del colesterolo nelle vacche, in contrasto con altre specie, soprattutto nell’uomo, dove le LDL rappresentano la principale classe di lipoproteine (Link et al., 2007).

Le HDL rappresentano più dell’80% delle lipoproteine totali nelle vacche, mentre le LDL rappresentano meno del 10% del totale, e le VLDL (Very Low

Density Lipoproteins) risultano essere solo il 5% (Bauchart, 1993; Gardner et

al., 2003). Collegato a questa particolarità fisiologica, vi è il fatto che la lecitina-colesterol aciltranferasi (LCAT), nelle vacche da latte, sembra promuovere l’accumulo degli esteri del colesterolo nelle HDL piuttosto che nelle altre lipoproteine circolanti (Bruss, 2008).

Nelle vacche in lattazione, la richiesta energetica per la produzione di latte spesso eccede il supporto energetico fornito dalla dieta alimentare. Perciò, si verifica un aumento nella mobilizzazione degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo, che determinano un accumulo lipidico a livello del fegato e di conseguenza un’alterata funzionalità epatica. Nello studio è stata trovata una

concentrazione sierica di bilirubina e di GGT (Gamma

Glutamiltranspepsidasi) significativamente elevata nelle vacche da latte rispetto alle vitelle, indicativo dell’affaticamento epatico durante la lattazione. Sebbene il livello sierico di HDL-C sia risultato essere più elevato nelle vacche in lattazione, l’attività di PON1 ed il rapporto PON1/HDL è risultato significativamente più elevato nelle vitelle. Considerando che PON1 prende parte ai meccanismi antiossidanti, questi risultati vanno ad indicare come le vitelle si trovino in uno stato antiossidante rispetto alle vacche in lattazione. I livelli discrepanti tra PON1 e HDL-C nelle vitelle sembrano suggerire che l’attività di PON1 può essere diminuita indipendentemente dal livello delle HDL, come precedentemente dimostrato nelle vacche (Turk et al., 2004). La ragione per i bassi livelli di attività di PON1 nelle vacche in lattazione può essere ricercata nell’inattivazione di tale enzima dovuto allo stress ossidativo provocato dalla gravidanza, dal parto e dall’inizio del periodo di lattazione. Nel presente studio, tale risultato è supportato dalla mancanza di correlazione

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tra PON1, HDL-C e colesterolo totale sia nelle vitelle sia nelle vacche in lattazione.

Nell’ottica dello studio dei valori di PON1 nelle vacche da latte in relazione alle loro particolari condizioni di allevamento, si può citare un successivo lavoro di A. S. Farid et al., (2013), dove viene presa in considerazione la PON1 come biomarker per la diagnosi di fegato grasso (steatosi epatica) nelle vacche da latte.

La steatosi epatica è uno dei maggiori disordini metabolici che affligge le vacche da latte, coinvolgendo approssimativamente la metà dei soggetti in allevamento, nel periodo subito dopo il parto (Jorritsma et al., 2000).

È comunemente associata con una riduzione della produttività, della fertilità e della funzionalità immunitaria, e può portare ad insufficienza epatica e morte prematura (Katoh, 2002; Bobe et al., 2004).

Per lo più tutte le vacche da latte ad alta produzione si trovano in bilancio energetico negativo nelle prime fasi della lattazione, poiché la richiesta energetica eccede la capacità di assunzione di alimento (Collins e Reid, 1980). Perciò, la steatosi epatica si verifica principalmente nelle prime 4 settimane dopo il parto (Grummer, 1993; Cebra et al., 1997), quando l’uptake epatico dei lipidi eccede l’ossidazione lipidica e la secrezione da parte del fegato stesso. Inoltre, il fegato bovino risulta essere inefficiente all’esportazione dei trigliceridi (TG) nelle lipoproteine VLDL (Very Low Density Lipoprotein) (Bobe et al., 2004).

Questo stato porta all’accumulo dei TG nel fegato, conducendo ad uno squilibrio nel metabolismo epatico (Katoh, 2002). Sebbene, vacche con

steatosi epatica lieve-moderata non dimostrano necessariamente

sintomatologia clinica, la condizione è stata associata con problemi di salute e di produzione (Gerloff et al., 1986). Nonostante sia molto rilevante dal punto di vista dell’economia di allevamento, questa patologia è spesso mal identificata e sottovalutata a causa della difficoltà nella diagnosi (Kalaitzakis et al., 2010).

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La PON1 viene misurata nel bovino utilizzando due substrati che sono i più comunemente usati: il paraoxone e il fenilacetato (Antoncic-Svetina et al., 2011).

Poiché il fegato gioca un ruolo fondamentale nella sintesi della PON1, è stato ragionevolmente supposto che possa esistere un’associazione tra livelli sierici di attività di PON1 e lo sviluppo di scompenso epatico durante l’avanzamento della steatosi epatica nella vacche da latte.

Gli standard test biochimici per rilevare la funzionalità del fegato non sono sufficienti per diagnosticare con certezza la steatosi epatica nelle vacche da latte; perciò la diagnosi definitiva viene effettuata tramite lo studio citologico di una biopsia epatica. Purtroppo questa procedura risulta essere estremamente invasiva e costosa, rendendola poco praticabile nella realtà di allevamento (Bobe et al., 2004). Perciò, nell’ottica di trovare un metodo di diagnosi non invasivo e facilmente attuabile, è stato condotto questo studio per valutare il potere diagnostico nella misurazione dell’attività sierica di PON1, sia da sola sia in associazione ai test standard per la valutazione della funzionalità epatica, nella diagnosi di steatosi epatica.

Lo studio è stato condotto procedendo alla misurazione dell’attività lattonasica di PON1. Tale substrato è stato scelto per le seguenti motivazioni:

- a confronto con il paraoxone, risultava un substrato estremamente più stabile e non tossico, che risulta quindi essere adatto all’impiego nella normale routine quotidiana di analisi nella pratica veterinaria;

- inoltre, risulta essere discutibile in misura minore la sua interpretazione dei risultati a confronto con quelli misurati usando come substrato il paraoxone, che è notoriamente un substrato non biologico e innaturale; - in più l’attività enzimatica sul paraoxone è estremamente influenzata

dal polimorfismo di PON1, che non è ancora stato ben investigato nel bovino. (Camps et al., 2009).

Nel presente studio è risultato che l’attività sierica di PON1 è significativamente ridotta nelle vacche con steatosi epatica, in comparazione

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