• Non ci sono risultati.

Il ruolo della fissazione esterna nel Damage Control Orthopaedics nelle fratture della pelvi: studio retrospettivo quinquennale.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il ruolo della fissazione esterna nel Damage Control Orthopaedics nelle fratture della pelvi: studio retrospettivo quinquennale."

Copied!
88
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia, direttore Prof. Gaetano Pierpaolo Privitera.

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

Il ruolo della fissazione esterna nel Damage

Control Orthopaedics nelle fratture della pelvi:

studio retrospettivo quinquennale.

Relatore:

Chiar.mo Prof. Stefano Marchetti

Candidato:

Kasimir Max Werner Merz

(2)

INDICE

INDICE ... 2

1. INTRODUZIONE. ... 4

2. ANATOMIA DELLA PELVI. ... 6

2.1 LE ARTICOLAZIONI ... 12 2.2 STRUTTURE NERVOSE E VASCOLARI. ... 13

3. LA STRUTTURA BIOMECCANICA DEL BACINO. ... 16

4. EPIDEMIOLOGIA FRATTURE DI BACINO. ... 19

5. MECCANISMI LESIONALI ED EZIOLOGIA. ... 22

5.1 MECCANISMI LESIONALI SEMPLICI. ... 25 5.2 MECCANISMI LESIONALI COMPLESSI. ... 26

6. CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE DI BACINO. ... 28

6.1 CLASSIFICAZIONE DI TILE. ... 29 6.1.1 Fratture stabili (Gruppo A). ... 29 6.1.2 Fratture relativamente instabili (Gruppo B). ... 29 6.1.3 Lesioni assolutamente instabili (Gruppo C). ... 31 6.2 CLASSIFICAZIONE DI YOUNG-BURGESS. ... 32 6.2.1 Fratture da compressione antero-posteriore (APC). ... 32 6.2.2 Fratture da compressione laterale (LC). ... 33 6.2.3 Fratture da forza da taglio verticale. ... 33 6.3 CLASSIFICAZIONE DI LETOURNEL E JUDET. ... 34 6.3.1 FRATTURE DI TIPO SEMPLICE. ... 34 6.3.2 FRATTURE DI TIPO COMPLESSO. ... 36

7. DAMAGE CONTROL ORTHOPAEDICS IN GENERALE. ... 38

8. DCO NEI PELVIC RING INJURIES. ... 45

8.1 BENDAGGIO PELVICO E FISSAZIONE ESTERNA. ... 46 8.2 ANGIOEMBOLIZAZZIONE E PELVIC PACKING. ... 50

(3)

9. FISSAZIONE ESTERNA, INDICAZIONI E TECNICA OPERATORIA.

... 52

9.1 INDICAZIONI. ... 52

9.2 POSIZIONAMENTO VITI OSSEE. ... 53

9.2.1 POSIZIONAMENTO SOVRACETABOLARE DELLE VITI OSSEE (ANTERIORE). ... 53

9.2.2 POSIZIONAMENTO DELLE VITI OSSEE SULLA CRESTA ILIACA (SUPERIORE). ... 54

9.3 TECNICA OPERATORIA. ... 55

9.4 PRINCIPI FONDAMENTALI PER LA STABILITÀ NELLA FISSAZIONE ESTERNA. ... 58

10. MATERIALI E METODI. ... 59

11. RISULTATI. ... 61

12. DISCUSSIONE. ... 67

12.1. GRUPPO A - PAZIENTI CON FISSAZIONE ESTERNA. ... 67 12.2. GRUPPO B - PAZIENTI CON FISSAZIONE INTERNA. ... 70 12.3. ANALISI STATISTICA E COMMENTO ... 75

13. CONCLUSIONI ... 81

14. BIBLIOGRAFIA. ... 83

(4)

1. INTRODUZIONE.

Le fratture di bacino, sebbene epidemiologicamente poco diffuse, rappresentando solo il 2-3% di tutte le fratture, sono un'importante sfida diagnostica e terapeutica per il medico. Nella stragrande maggioranza dei casi le fratture di bacino colpiscono pazienti politraumatizzati in incidenti stradali; abbiamo quindi di fronte un paziente per definizione complesso, con comorbidità frequenti e anche gravi. Inoltre la frattura di bacino stessa è altamente destabilizzante per tutto il paziente che risulta fortemente impegnato; a tale frattura si possono infatti associare lesioni a numerose strutture anatomiche contenute nella cavità pelvica richiedendo dunque un coinvolgimento multidisciplinare. A partire dal personale medico che giunge sul luogo dell'incidente dove è fondamentale attuare le prime misure terapeutiche, al medico di pronto soccorso, dall'ortopedico al chirurgo d'urgenza, dal ginecologo all'urologo, dal chirurgo vascolare al radiologo interventista; sono molte le figure coinvolte nel trattamento di questi pazienti. Si parla in particolare della attivazione del cosiddetto Trauma Team. La complessità della gestione del paziente politraumatizzato richiede la presenza di centri ad alta specializzazione, dotati di adeguate possibilità diagnostiche e terapeutiche. La nostra Azienda Ospedaliera è uno di questi centri (HUB) come dimostra la numerosa quota di pazienti centralizzati da ospedali minori (SPOKE).

L'inquadramento iniziale di questi pazienti mira a capire la loro stabilità emodinamica e di conseguenza cerca di dare indicazioni circa le tempistiche di intervento chirurgico a cui questi devono essere sottoposti. Recentemente si è infatti studiato più approfonditamente il ruolo che può avere un approccio definito come Damage Control Orthopaedics (DCO), molto più indicato rispetto all'Early Total Care (ETC) in alcune categorie di pazienti. Uno dei cardini principali del DCO è la stabilizzazione precoce delle fratture pelviche instabili tramite la tempestiva applicazione di fissatori esterni.

Questo studio retrospettivo si è posto l'obbiettivo di studiare il ruolo dei fissatori esterni in questa categoria di pazienti, valutando il loro utilizzo temporaneo in vista di una fissazione interna in un secondo momento nell'ambito di un DCO a confronto con il loro utilizzo definitivo. A questo scopo abbiamo analizzato e

(5)

descritto i pazienti ricoverati presso l'Ortopedia Universitaria 1 dell'AOUP nel periodo compreso dal 1 Gennaio 2012 al 31 Dicembre 2016 con diagnosi di frattura pelvica. Siamo anche andati a valutare il ruolo della nostra Unità Operativa come centro di riferimento per i centri minori geograficamente vicini ed è stato possibile documentare l'importanza che riveste nella centralizzazione del paziente politraumatizzato. Bisogna ricordare che il ruolo di centro HUB del nostro ospedale è limitato a causa delle ridotte capacità ricettive del reparto di Anestesia e Rianimazione; in periodi di aumentata richiesta infatti non possiamo rispondere a tutte le richieste di centralizzazione provenienti dai nosocomi vicini.

(6)

2. ANATOMIA DELLA PELVI.

Lo scheletro della pelvi (bacino) rappresenta la parte più prossimale dello scheletro dell'arto inferiore fungendo da collegamento tra tronco e coscia. Esso è composto anterolateralmente dalle ossa dell’anca unite dalla sinfisi pubica e posteriormente dall’osso sacro e dal coccige. L'osso dell'anca a sua volta è costituito dalla fusione di tre segmenti scheletrici ben distinti in età infantile che poi si fondono definitivamente in età adolescenziale: l'ileo, l'ischio e il pube. (Figura 1.)

Unite insieme dai legamenti intrinseci ed estrinseci del bacino queste ossa vanno a costituire la cintura pelvica: un unico apparato meccanico, a forma di imbuto con base superiore e apice tronco caudalmente, che trasmette le sollecitazioni del tronco ai due arti inferiori. Figura 1. A sinistra: lo scheletro di una pelvi di maschio adulto. A destra: lo scheletro di una pelvi di femmina adulta.

(7)

La pelvi è divisa in grande pelvi e piccola pelvi da una linea che in senso dorsoventrale è composta dal promontorio, dal margine anteriore delle ali del sacro, dall'articolazione sacroiliaca, dalla linea arcuata, dall'eminenza ileopubica, dalla cresta pettinea, dal tubercolo pubico, dalla cresta pubica e dal margine superiore della sinfisi pubica: questo anello ogivale è chiamato stretto superiore. La grande pelvi è dunque delimitata in basso dallo stretto superiore e in alto da una linea molto irregolare che dall'articolazione lombosacrale (promontorio) si innalza nelle due creste iliache e si interrompe a livello della spina iliaca antero-superiore (SIAS). È formata dalle ali dell'osso sacro e anatomicamente appartiene all'addome; accoglie organi addominali, principalmente il cieco, l'appendice, il colon iliaco.

La piccola pelvi invece è delimitata in alto dello stretto superiore e in basso dallo stretto inferiore; costituito in avanti dal margine inferiore della sinfisi pubica, lateralmente dalle tuberosità ischiatiche e posteriormente dall'apice del coccige, viene completato dai legamenti sacrotuberoso e sacrospinoso. É formata dunque dal sacro e dal coccige posteriormente, dall'osso dell'anca nella porzione inferiore alla linea arcuata lateralmente e dal ramo superiore del pube, dalla sinfisi pubica e dai rami ischiopubici anteriormente. La piccola pelvi delimita la cavità pelvica contenente gli organi pelvici vescica, retto e sigma oltre alla prostata e alle vescichette seminali nell'uomo e l'utero e suoi annessi nella donna.

Tra lo stretto superiore, la grande incisura ischiatica ed il margine laterale del forame otturatorio, vi è un’area quadrangolare, coperta per buona parte dall’otturatore interno: questa prende il nome di lamina quadrilatera e per gran parte della sua estensione corrisponde esternamente all’acetabolo. Lo spessore di questa lamina si riduce progressivamente spostandosi verso l’avanti e il basso. Osservando all’interno si evidenzia posteriormente ed in basso la spina ischiatica e più in alto ed in avanti, sotto l’emergenza della branca ileo-pubica, l’imbocco del canale sottopubico dove decorrono il nervo e l’arteria otturatoria.

(8)

In basso la pelvi è chiusa dal pavimento pelvico, una robusta formazione muscolo-ligamentosa comprendente sia gli apparati perineali che i legamenti sacrospinoso e sacrotuberoso.

Esternamente la pelvi è suddivisa in quattro regioni: anteriore, laterale destra, laterale sinistra e posteriore.

La regione anteriore (arco pelvico anteriore) è composta dalla sinfisi pubica sull'asse mediano, dal corpo del pube con le branche ileo-pubica ed ischio-pubica che contribuiscono a delimitare il forame otturatorio.

La regione posteriore è interamente composta dalla faccia posteriore del sacro e del coccige.

Le due regioni laterali sono costituite dalle ali iliache, dalle cavità acetabolari e dalle tuberosità ischiatiche.

L’ala iliaca è topograficamente separata dal cotile dalla piramide tettale per mezzo di una linea immaginaria che unisce la curva della grande incisura ischiatica alla SIAI (spina iliaca antero-inferiore).

Due creste suddividono l’ala iliaca in tre aree depresse che danno inserzione ai muscoli della regione glutea.

La fossa glutea media, che è la più estesa delle tre, è sparata da quella anteriore da una rilevanza ossea semicilindrica e robusta dal nome di pilone alare. Quest’ultimo collega, il tetto anatomico dell’acetabolo, al terzo anteriore della cresta iliaca, conferendo all’osso stesso un’area rinforzata di particolare robustezza. Nell’area compresa tra la superficie iliaca esterna ed il versante superiore del ciglio cotiloideo è visibile un’area rugosa, la gronda cotiloidea dove va ad inserirsi il tendine riflesso del quadricipite. (Figure 2. e 3.)

(9)

Figura 2.-3. L'osso dell'anca è formato dalla fusione di Ileo, Ischio e Pube. Vista mediale e laterale.

(10)

Posteriormente, ad unire le due ossa coxali, troviamo l'osso sacro. Questo si continua in alto con la porzione lombare della colonna vertebrale ed in basso con il coccige.

Ha la forma di una piramide rovesciata con base superiore; è concavo anteriormente e convesso posteriormente. É formato dalla fusione delle cinque vertebre sacrali e la sovrapposizione dei fori vertebrali di esse determina la formazione del canale sacrale che lo percorre per intero e che contiene l’estremità inferiore del nevrasse i cui nervi escono attraverso i forami anteriori e posteriori. I primi tre metameri del sacro corrispondono alla sua metà prossimale, lateralmente questa si articola saldamente con le due ossa coxali costituendo le due articolazioni sacro-iliache. La porzione inferiore dell’osso, quella distale, prende rapporto con il bacino attraverso i legamenti spinoso e sacro-tuberoso.

Osservato dall’alto sono ben visibili: l’imbocco del canale sacrale con la forma di un triangolo a base anteriore, davanti a questo il promontorio sporgente costituito dal corpo della prima vertebra sacrale. Da questo promontorio si espandono lateralmente le due ali sacrali (triangoli a base laterale) che sono contigue alle fosse iliache interne.

La faccia anteriore è attraversata dai quattro forami sacrali, per ciascun lato, da cui fuoriescono gli omonimi nervi.

La faccia posteriore presenta i medesimi forami da cui escono i rami posteriori dei nervi sacrali. La superficie posteriore è rugosa e irregolare.

Caudalmente il canale sacrale finisce aperto verso l’esterno attraverso lo Hiatus. (Figura 4.)

(11)

Figura 4. Osso Sacro. Faccia pelvica, faccia dorsale, sezione sagittale mediana e sezione trasversale a livello di S1.

(12)

2.1 LE ARTICOLAZIONI

Le due ossa iliache posteriormente si uniscono all’osso sacro e anteriormente tra di loro, dando luogo a tre distinte articolazioni: le due articolazioni sacroiliache e la sinfisi pubica. Le superfici articolari del sacro e dell’ileo sono separate da un disco articolare. Il versante sacrale (faccia auricolare) è leggermente concavo ed ha una forma semilunare a convessità anteriore. La superficie articolare dell’ileo invece è convessa, cilindro-conica, e si adatta perfettamente alla porzione sacrale.

L’articolazione è rappresentata da una cavità virtuale, che anteriormente è delimitata dal legamento sacro-iliaco anteriore e posteriormente dal legamento sacro-iliaco posteriore e dal legamento interosseo. I movimenti conferiti da questa articolazione (nutazione e contro-nutazione) sono molto limitati ed avvengono esclusivamente sul piano orizzontale.

Anteriormente le due ossa pubiche si articolano tra di loro formando la sinfisi pubica. Tra le due ossa pubiche si trova il menisco interpubico, simile ad un disco intervertebrale, più denso nella parte periferica e più molle al centro. A cavaliere della sinfisi troviamo il ligamento arcuato del pube.

Oltre ai ligamenti intrinseci appena descritti, ovvero il legamento sacro-iliaco anteriore, posteriore ed interosseo, contribuiscono alla stabilità dell’anello pelvico, sia statica che dinamica, anche i ligamenti estrinseci, ovvero il legamento ileo-lombare o sospensore della pelvi, il sacro-spinoso e il sacro-tuberoso. (Figura 5.)

(13)

Figura 5. I legamenti intrinseci ed estrinseci della pelvi.

2.2 STRUTTURE NERVOSE E VASCOLARI.

Tutti i nervi che attraversano la cintura pelvica originano del plesso lombo-sacrale, che il Testut divide in plesso lombare e plesso sacrale. (Figura 6.)1 Il plesso lombare si forma dai rami anteriori dei primi quattro nervi lombari e si risolve in tre rami collaterali, che sono il n. ileo-ipogastrico, il n. ileo-inguinale e il n. femoro-cutaneo, ed in due rami terminali costituiti dal nervo crurale e dal nervo otturatorio. Il plesso sacrale invece si forma dai rami anteriori dell’ultimo nervo lombare e dai rami anteriori dei primi quattro nervi sacrali. Il 5° nervo lombare riceve il ramo anastomotico del 4° nervo lombare conferendogli maggior volume. Questo plesso nel suo tragitto descrive un triangolo a base interna, mentre il vertice si pone al centro della grande incisura ischiatica ove il nervo si continua con lo sciatico. In molti casi di frattura della pelvi si hanno lesioni neurologiche per coinvolgimento diretto dei nervi che escono dai forami sacrali o per stiramento delle radici del plesso. Nella valutazione clinica delle lesioni neurologiche bisogna valutare attentamente la possibile presenza di turbe ano-rettali, vescicali, la paralisi dei glutei e l’anestesia della pianta dei piedi.

(14)

Figura 6. Dettaglio anatomico del Plesso Lombare e Sacrale.

Sul versante vascolare ricordiamo che l’aorta addominale a livello della quarta vertebra lombare si divide nelle due arterie iliache comuni di destra e di sinistra. Queste si dirigono in basso e all’esterno dando luogo alle due arterie iliache, interne o ipogastriche ed esterne.

L’arteria iliaca esterna si porta in avanti lungo lo stretto superiore, separata dal piano osseo dal muscolo ileo-psoas. Insieme alla vena omonima, l'arteria iliaca esterna fuoriesce poi dal bacino passando sotto al legamento inguinale continuandosi nell’arteria femorale. L’iliaca esterna fornisce lungo il suo tragitto l’arteria epigastrica inferiore che qualche volta, con un ramo anastomotico, si unisce all’otturatoria sulla superficie interna della branca ileo-pubica dando origine alla corona mortis. A sua volta l’arteria iliaca interna incrocia lo stretto superiore e si ramifica nello spazio compreso tra il corpo del sacro e la parete laterale della piccola pelvi. I rami principali dell’iliaca interna sono i rami glutei superiori ed inferiori. (Figura. 7) La glutea superiore esce a livello della grande incisura ischiatica e si distribuisce alla muscolatura glutea. La glutea inferiore esce dal bacino insieme allo sciatico.2-5

(15)

Figura 7. Strutture vascolari arteriose e venose localizzate a livello pelvico.

(16)

3. LA STRUTTURA BIOMECCANICA DEL BACINO.

La coniugazione delle componenti ossee con l’apparato capsulo-ligamentoso e muscolare conferiscono alla cintura pelvica la sua caratteristica stabilità biomeccanica. L’elasticità propria del cingolo pelvico deriva, oltre che da questi apparati ligamentosi e dal robusto sistema muscolare, dalla struttura molecolare dell’osso.6

Nell’appoggio bipodalico, ovvero in stazione eretta, avviene una trasmissione verticale del peso corporeo sul sacro. Essendo obliquo, le forze vigenti lo spingono in basso ed in avanti verso la cavità pelvica. A questo movimento si oppongono: la forma triangolare a chiave di volta del sacro, i ligamenti sacro-iliaci ed il legamento sospensore della pelvi. (Figura 8) Figura 8. I vettori della forza peso e i relativi vettori di opposizione a livello pelvico.

(17)

I legamenti interosseo, sacrospinoso e sacrotuberoso controllano il movimento rotazionale in nutazione. Sul piano orizzontale questa protezione viene a mancare perché l’osso si inserisce sulle sacro-iliache invertendo la sua chiave di volta. Questo lo rende vulnerabile di fronte ad una noxa traumatizzante che agisce dal dietro verso l’avanti.

Le forze che determinano una lesione ossea o una lesione articolare, oppure anche una lesione mista osteo-articolare, agiscono secondo vari meccanismi che possono essere di taglio, di flessione, di trazione, di torsione, di compressione o di distrazione. É ovvio che questi vettori di forza possono agire singolarmente, dando vita a lesioni più semplici, oppure combinarsi a determinare lesioni più complesse. L’apparato legamentoso posteriore (ALP) unisce strutturalmente e funzionalmente l’osso sacro alle ossa coxali e alla colonna vertebrale. È costituito dai ligamenti ileo-lombare (o sospensore della pelvi), sacro-iliaco interosseo e sacro-iliaci anteriore e posteriore, quest'ultimi che però partecipano solo in modo marginale. Il ligamento sacro-iliaco interosseo è molto robusto ed offre una particolare resistenza agli eventi traumatici.7

Gli studi di biomeccanica hanno dimostrato che la stabilità del bacino dipende in gran parte dall’integrità dell’ALP e del pavimento della pelvi.

Il pavimento pelvico contiene i muscoli elevatore dell'ano e coccigeo, le fasce aponeurotiche ed i ligamenti; parliamo in particolare del ligamento sacro-spinoso, il quale si oppone alle sollecitazioni extra-rotatorie, del ligamento sacro-tuberoso che controlla le forze di taglio ed extra-rotazione. Le strutture di connessione anteriore, rappresentate dell’arco anteriore e dalla sinfisi, contribuiscono poi alla stabilità funzionale di tutto il bacino per una quota del 20%.

Come si vede in figura 8, il sacro costituisce una chiave di volta reale di un arco romanico rispetto alle forze che si possono scaricare dal basso verso l’alto. Mentre sul piano orizzontale non c’è nessuna chiave di volta, anzi il sacro potrebbe essere “espulso” dal suo alloggiamento con forze anche modeste (figura 9). La controresistenza, su questo piano, non è data quindi dalle geometrie, ma dalle strutture anatomiche rappresentate dai ligamenti: ileo-lombare, sacro-iliaci ed interosseo.

(18)

Figura 9. Mostra come il sacro nei confronti dei carichi posteriori perda la sua funzione di chiave di volta.

Da seduti, il peso corporeo grava simmetricamente sulle due tuberosità ischiatiche, convergendo nettamente in senso mediale.

Pertanto il risultato del carico verticale in ortostatismo bipodalico è quello di tendere ad aprire sia le articolazioni sacro-iliache, sia la sinfisi pubica. Mentre in posizione assisa le risultanti delle forze di carico, tendono a chiudere le sacro-iliache e la sinfisi pubica. La capacità della pelvi di resistere entro certi limiti a traumi diretti ed indiretti, è dovuta alla importanti masse muscolari che rappresentano un imponente sistema di copertura. Oltre a questo si deve aggiungere il coefficiente di elasticità dovuto alle articolazioni e ai ligamenti.8

(19)

4. EPIDEMIOLOGIA FRATTURE DI BACINO.

Le fratture del bacino rappresentano un’entità morbosa relativamente rara, ma la crescente incidenza, insieme alle caratteristiche di elevata morbilità e mortalità da cui sono accompagnate, le rendono ciononostante un importante capitolo dalla traumatologia scheletrica.

Il bacino, o pelvi, è una struttura eterogenea che svolge un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del tronco e nel distribuire i carichi dello scheletro assiale agli arti inferiori. Inoltre interpreta una preziosa funzione protettiva nei confronti delle strutture viscerali e vascolo-nervose contenute all'interno di esso.

Le fratture della pelvi rappresentano approssimativamente il 3% di tutte le fratture scheletriche.9 La loro mortalità complessiva varia dal 5% al 16%, a seconda del tipo di frattura: quelle instabili hanno una mortalità globale dell'8%.10, 11 La mortalità è più elevata in pazienti che arrivano in Pronto Soccorso in condizioni di shock emodinamico. Le fratture meno mortali sono quelle acetabolari a cui si associa un tasso di mortalità del 2-3%12 mentre si raggiunge un tasso di mortalità del 45% nelle fratture pelviche aperte, che però rappresentano solo il 2-4% di tutte le fratture pelviche.13, 14 La mortalità deriva soprattutto dalle lesioni associate in questo tipo di paziente, politraumatizzato; mentre è attribuita alla sola frattura pelvica in un range che va dal 0,4% al 0,8% dei pazienti che hanno subito un trauma. Sopra i 65 anni la mortalità dei pazienti con frattura pelvica sale a circa il 20%.15 I fattori di rischio condizionanti un incremento della mortalità del paziente comprendono quindi l’età e la gravità del trauma score (ISS), la presenza di lesioni craniche o viscerali associate, le perdite ematiche, l’ipotensione, le coagulopatie e l’instabilità o l’esposizione della frattura. La mortalità precoce spesso è legata ad emorragie o a lesioni craniche chiuse, mentre la mortalità tardiva è secondaria a sepsi o a insufficienza multi-organo (MOF).16

(20)

Uno studio australiano ha dimostrato una incidenza delle fratture dell'anello pelvico in 23 persone ogni 100.000 abitanti l'anno, mentre uno studio britannico ha trovato una incidenza di fratture acetabolari di 3 su 100.000 abitanti l'anno. 17, 18

Fra i pazienti politraumatizzati l’incidenza è salita a circa il 25%, in particolare nel gruppo degli incidenti stradali si è rilevata una frattura del bacino nel 42% degli individui.

Generalmente le fratture del bacino sono dovute a traumi ad alta energia conseguenti per il 43-58% ad incidenti automobilistici, per il 22-20% ad investimenti di pedoni da parte di un autoveicolo, per il 8-30% a cadute dall’alto, per il 5-10% traumi da schiacciamento.17, 19, 20 In particolare nelle fratture di acetabolo la percentuale degli incidenti automobilistici sale all'80%-83%.21

Pazienti con frattura di bacino presentano nella maggior parte dei casi lesioni associate, varie per quantità e gravità. Tra queste le più frequenti sono:

• emorragia: può essere mortale. È di origine venosa nell'80%-90% dei casi. La necessità di trasfusioni di sangue nei pazienti con frattura di pelvi è tra il 34% e il 40%. L'emorragia è più frequente nelle fratture più complesse ma può accompagnare qualsiasi tipo di frattura pelvica.22, 23 • lesioni di organi intra-addominali: evenienza riscontrabile nel 16,5% dei

casi, in particolare sono coinvolti fegato, milza e intestino.24

• lesioni organi intrapelvici: la vescica è coinvolta nel 3,4% dei casi e l'uretra nell'1%. Sono lesioni 10 volte più frequenti nel sesso maschile.25 • lesioni neurologiche: deficit nervosi in seguito a fratture pelviche

occorrono nel 10-15% dei casi, con valori più elevati in caso di fratture sacrali. Più è instabile la frattura più è frequente l'incidenza di lesioni nervose (1,5% in fratture stabili, 14,4% in fratture instabili). Siti più frequenti di lesione includono le radici di L5 e S1 e singoli nervi periferici.26, 27

(21)

pelvica, mentre in pazienti con trauma chiuso senza frattura pelvica si ha una incidenza di solo 0,3%.24 • fratture in altri distretti corporei: è una delle lesioni associate in assoluto più frequenti superando livelli di incidenza dell'80%.

(22)

5. MECCANISMI LESIONALI ED EZIOLOGIA.

L'eziologia del trauma che va a determinare fratture del bacino è molto varia e racchiude una molteplicità di situazioni. Le più frequenti da un punto di vista epidemiologico sono: - incidenti stradali, - incidenti domestici, - cadute dall’alto, - infortunio sul lavoro, - incidente sportivo, - autolesionismo.

Molto importanti per l'entità e la tipologia di frattura che viene a determinarsi sono le modalità e le direzioni con cui l’energia traumatica viene trasmessa; inoltre un'attenta analisi della cinetica dell’evento e la valutazione del meccanismo di lesione consentono di elaborare un elevato indice di sospetto per le varie lesioni d’organo che si possono presentare a livello pelvico ed extrapelvico. Gli incidenti stradali tra autoveicoli possono verificarsi secondo quattro modalità e tutte possono causare una lesione della pelvi: - impatto frontale, - impatto laterale, - impatto posteriore, - ribaltamento.

Nel caso di un impatto frontale o posteriore potremmo osservare diversi punti traumatici: proiezione sul volante, proiezione sul cruscotto o scivolamento in basso e in avanti. In un impatto laterale invece il trauma sarà contro la portiera. Nei casi d’investimento di pedone il rischio di lesione è alto e per valutare il meccanismo lesionale bisogna distinguere tre momenti:

1. Impatto primario: il pedone viene urtato dalla parte anteriore del veicolo (paraurti, cofano);

2. Impatto secondario: il pedone urta la parte antero-superiore del veicolo (cofano, parabrezza);

(23)

3. Impatto terziario: il pedone viene sbalzato e scaraventato a terra.

Il rischio di traumi della pelvi è maggiore negli impatti primari e secondari.

La caduta dall’alto è tipica degli infortuni sul lavoro, meno frequentemente può riguardare anche casi di autolesionismo. Il meccanismo della lesione è la decelerazione verticale e il tipo di lesione dipende dall'altezza della caduta ( se > di 5 m è indice di trauma grave ) e dalle caratteristiche della superficie d’impatto (superfici dure, irregolari). Si accompagnano spesso a lesioni degli arti inferiori e/o della colonna, con lesione da decelerazione verticale a carico degli organi interni.

Riallacciandoci ai principi di biomeccanica, trattati nel terzo capitolo, il trauma che viene subito dal corpo umano, e in questo caso dal bacino, avrà conseguenze che sono proporzionate all’energia che si libera. Questa energia è espressa dalla formula E=1/2mv^2 dove m rappresenta la massa del veicolo o corpo in movimento e v la sua velocità al momento dell’impatto. Per un corpo che precipita dall’alto l’E che si esprime al momento dell’impatto al suolo è uguale al prodotto del peso del corpo (P) per l’altezza della caduta (S).

Secondo Campanacci, l’energia necessaria per ottenere una frattura ossea cambia in funzione del fatto che venga erogata in modo statico o dinamico. Nel primo caso è necessaria un’energia maggiore. Pertanto per le fratture pelviche vale la seguente regola: la quantità di energia assorbita dipende dalla sua intensità, dalla rigidità del corpo contundente, dalla sua massa, dalla sua velocità e dalla superficie di contatto.28

In un bacino sano, gli unici due movimenti possibili sono, la nutazione e la contro-nutazione. Corrisponde ad una minima rotazione verso l’avanti del sacro (nutazione) su di un asse orizzontale che corrisponde al centro del secondo metamero. Durante questo movimento il promontorio si avvicina alla sinfisi, mentre il coccige se ne allontana. Il contrario succede nella contronutazione. Pur essendo dotata di poca mobilità, ma di grande elasticità, la pelvi offre al trauma zone di resistenza e zone di debolezza. Le parti più resistenti tendono a coincidere con il sistema trabecolare attraversato dalle linee di forza. Le zone di debolezza che con più probabilità subiscono gli effetti dei traumi, riguardano le seguenti zone anatomiche:

(24)

- forami sacrali, - articolazioni sacro-iliache, - cavità acetabolari, - sinfisi del pube, - branche ileo-ischio-pubiche. L’elasticità del bacino, secondo Letournel, è dovuta a quelle che lui definisce le tre sinfisi. Si riferisce alle due sacro-iliache postero-lateralmente e alla sinfisi pubica anteriormente. Il ruolo della sinfisi è quello di ammortizzare le forze che agiscono con un decorso orizzontale, sia in compressione che in distrazione. Le sacro-iliache difendono il bacino da forze che si esprimono a taglio e tramite i robusti ligamenti impediscono al sacro di scivolare in avanti. La deformazione possibile dell’anello pelvico è assai limitata.

Le masse muscolari che rivestono il bacino sia esternamente che internamente hanno la capacità di assorbire energia. Se però il carico di energia raggiunge il livello della rottura, la muscolatura può reagire con una contrattura riflessa, quella che Campanacci definisce sistole. Questa contrattura di risposta al trauma può produrre un aggravamento del quadro perché è in grado di incrementare lo spostamento dei frammenti ossei fratturati.

Entrando nello specifico dei meccanismi lesionali, possiamo partire dalle considerazioni fatte nel 1961 da Pennal e Sutherland. Egli sosteneva che i meccanismi lesionali che agiscono sul bacino sono tre: la rotazione esterna, il taglio e la compressione (Figura). Queste tre forze, anche se capaci di giustificare la maggior parte delle lesioni pelviche, soprattutto quelle da instabilità rotatoria parziale, non agiscono sempre in modo singolo. Pertanto è scaturita l’ipotesi che le forze responsabili del cosiddetto “vertical shear” si associno ad altri meccanismi. Questo è sostenuto anche da Tile il quale ritiene che meccanismi compositi, pluridirezionali, abbiano nelle “forze di taglio” solo un co-vettore. Quindi è utile distinguere i meccanismi lesionale in semplici e complessi, dove i semplici si esplicano con traiettorie unidirezionali, esitando in lesioni relativamente instabili. I meccanismi complessi agirebbero con meccanismi di forza plurimi, in varie direzioni, esitando in lesioni altamente destabilizzanti.29, 30 (Figura 10)

(25)

Figura 10. I tre meccanismi lesionali che agiscono sul bacino secondo Pennal.

5.1 MECCANISMI LESIONALI SEMPLICI.

Riguardano generalmente le lesioni ad instabilità rotatoria parziale e sono: 1. L’extra-rotazione. La sollecitazione forzata di uno o di tutti e due gli arti inferiori, può portare all’apertura anteriore della sacro-iliaca intorno ad una cerniera lesionale posteriore. In questa situazione i momenti torsionali si susseguono cronologicamente attraverso un indice di gravità crescente: disgiunzione della sinfisi, apertura della sacro-iliaca, stiramento o rottura(in base all’energia prodotta dal trauma) dei ligamenti sacro-spinoso e sacro-tuberoso.

2. La compressione Antero Posteriore. Un trauma sagittale anteriore esercitato sulla spina iliaca antero-superiore (SIAS) o un trauma sagittale posteriore esercitato sulla spina iliaca postero-superiore (SIPS), in assenza di una controspinta, produce una sollecitazione dell’anello pelvico con rotazione esterna determinando un libro

aperto. Se l’insulto traumatico agisce bilateralmente anche la lesione del bacino

sarà bilaterale, mentre se il trauma è monolaterale, anche la lesione lo sarà. Una sollecitazione anteriore applicata sul pube in concomitanza ad una contro-resistenza posteriore, situazione tipica dei traumi da schiacciamento, provoca una frattura quadri-ramica detta a farfalla con conseguente apertura bilaterale delle

(26)

sacro-iliache.

3. Le cause più frequenti di questo tipo di lesioni sono: l’investimento pedonale anteriore o posteriore, l’incidente con la moto dove avviene un trauma diretto contro il serbatoio della moto, la caduta dall’alto sulla sinfisi, lo scontro frontale in automobile.

4. Compressione Laterale. Se l’impatto laterale avviene in modo diretto su una parte sporgente dell’emibacino oppure in modo indiretto sulla regione del grande trocantere, in assenza di una controspinta, l'emipelvi viene sollecitata in chiusura, con asse di rotazione sulla sacro-iliaca. Le conseguenze di questo tipo di trauma possono essere un crushing sacrale (frattura-compattazione) oppure, più raramente, una lacerazione o uno stiramento del ligamento sacro-iliaco posteriore. Anteriormente il libro chiuso si manifesta con un accavallamento della sinfisi o con una frattura biramica omo- o controlaterale con il tipico aspetto della verticale anteriore di Letournel.

Ovviamente se l’emibacino del lato opposto al trauma è appoggiato contro un piano rigido, gli effetti del trauma saranno esaltati fino ad arrivare ad un caratteristico téléscopage: chiusura omolaterale con tipico crushing e apertura controlaterale. Le cause di questi fenomeni sono per lo più riferibili a traumi a bassa energia, tipici della caduta di bicicletta con impatto sul trocantere o incidenti domestici come la caduta da una scala o da una sedia.

5.2 MECCANISMI LESIONALI COMPLESSI.

In questi meccanismi i vettori di forza sono plurimi e pluridirezionali ed il danno anatomico che da essi scaturisce, consegue all’intensità della forza ed al suo punto di applicazione. Basta spostare di poco il punto di applicazione della forza od aumentare la sua energia cinetica, per passare da una lesione semplice ad una più complessa.

Quindi un meccanismo lesionale complesso non è altro che la combinazione di più energie cinetiche che scaricano energia in punti diversi e con diverse quantità. Parlando delle forze di taglio che possono agire sulle strutture portanti posteriori,

(27)

queste si possono esprimere su piani diversi (verticale, sagittale, obliquo) producendo danni importanti sia sulla componente scheletrica, sia su quella legamentosa che sulle parti molli. (Figura 11)

Figura 11. Alcuni esempi di fratture dell'anello pelvico e relativo meccanismo

traumatico.

a) Trauma sagittale con libro aperto unilaterale.

b) Trauma bilaterale simmetrico esercitato sulle SIPS con conseguente libro aperto bilaterale.

c) Trauma bilaterale simmetrico sulle SIAS in una pelvi vincolata posteriormente con conseguente libro aperto bilaterale.

d) Libro chiuso da compressione laterale.

e) Téléscopage da compressione laterale in un bacino vincolato sul lato opposto. f) Trauma sagittale diretto sulla regione pubica con controspinta posteriore. Anche

questa può essere considerata un libro aperto bilaterale.

(28)

6. CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE DI BACINO.

I primi autori che si occuparono della classificazione delle fratture di bacino si limitarono a descrivere una particolare lesione dandole il proprio nome.

Possiamo ricordare Malgaigne che nel 1847 descrisse una frattura del bacino che interessa anteriormente la branca orizzontale del pube, la branca ischiopubica e posteriormente l'ala iliaca o il sacro.

Successivamente Breus e Kolisko, nel 1910, descrissero la lesione ad “ansa di secchio” che vede associata la frattura del sacro alla frattura dell’arco anteriore controlaterale.

Nel 1957 Gui ha parlato per la prima volta di “stabilità” della pelvi coniugando criteri anatomici con elementi clinici e funzionali.

Nel 1967 Campanacci ha proposto una classificazione basata su principi anatomici e radiografici, dividendo l’anello pelvico in tre settori: arco anteriore, arco posteriore e acetabolo.

Dopo gli anni '70 ogni tipo di definizione anatomica è stata accantonata a favore dello studio del rapporto stretto esistente tra il tipo di forza che agisce e il tipo di lesione che ne risulta; rapporto descritto per la prima volta nel 1972 da Slatis. Nel 1981 Letournel ha fornito un importante studio delle lesioni elementari e complesse che possono interessare la pelvi.

Avvicinandoci ai giorni nostri, per quanto riguarda le fratture dell’anello pelvico gli schemi classificativi attualmente in uso sono il sistema di Tile ed il sistema di Young-Burgess mentre per le fratture di acetabolo la classificazione più largamente utilizzata è quella di Letournel e Judet.

(29)

6.1 CLASSIFICAZIONE DI TILE.

Va riconosciuto il merito a Tile di aver unito i reperti anatomici ai concetti funzionali, superando i vecchi schemi e creando una classificazione che suddivide le fratture del cingolo pelvico in tre gruppi in base alla stabilità, valutata sulla clinica e sulle indagini radiologiche: fratture stabili (gruppo A), fratture rotazionalmente instabili (gruppo B), e fratture instabili, sia rotazionalmente che verticalmente (gruppo C).31 (Figura 12)

6.1.1 Fratture stabili (Gruppo A).

Frattura stabile con i legamenti posteriori intatti. Il gruppo A viene suddiviso a sua volta in tre sottogruppi (A1, A2, A3).

Nel sottogruppo A1 la lesione interessa un’area limitata dello scheletro pelvico. Tipica degli sportivi, per lo più adolescenti, è l’avulsione della SIAS, della SIAI, della tuberosità ischiatica e della cresta iliaca.

Nel sottogruppo A2 le fratture possono interessare l’ala iliaca (da trauma diretto) o l’arco pelvico anteriore uni- o bilateralmente. Frequenti sono le fratture dell’anziano per caduta sul fianco (da trauma indiretto) o quadriramica da trauma diretto sagittale.

Il sottogruppo A3 raccoglie le fratture isolate della regione sacro-coccigea. In questa sede possiamo osservare lesioni con indici di gravità differenti: - dislocazione sacro-coccigea; - frattura sacrale senza dislocazione; - frattura sacrale con dislocazione. 6.1.2 Fratture relativamente instabili (Gruppo B). Le fratture del gruppo B sono causate da forze di rotazione interna ed esterna e sono parzialmente stabili; ovvero stabili in senso verticale, ma instabili in senso rotatorio e possono subire spostamenti in extra e in intra-rotazione. Data l’integrità dell’ALP, in queste lesioni è impossibile qualsiasi tipo di spostamento ascensionale e/o posteriore.

(30)

- TIPO B1 (open book o libro aperto uni-laterale). Queste lesioni, esclusivamente unilaterali, sono causate da un trauma sagittale esercitato sulla SIAS o sulla SIAI o da una brusca sollecitazione dell’arto in rotazione esterna. Questo gruppo comprende due stadi con altrettanti livelli di gravità a seconda della diastasi sinfisaria valutata in cm. Lo stadio I riguarda le diastasi della sinfisi inferiori ai 2,5 cm: in questi casi il pavimento della pelvi resta integro e, al massimo, il legamento sacro-iliaco anteriore viene stirato o parzialmente interrotto. Nello stadio II la diastasi è superiore ai 2,5 cm e si associa ad una lacerazione dei ligamenti sacro-iliaco anteriore, sacro-spinoso e parziale dell’interosseo.

- TIPO B2 (closed book o libro chiuso uni-laterale). Queste lesioni sono caratterizzate dalla compromissione parziale dei due archi pelvici, posteriore e anteriore; si realizzano o per un trauma laterale o per una forzata sollecitazione dell’arto in rotazione interna. Malgrado il meccanismo patogenetico, in queste circostanze si verifica una riduzione acuta dei diametri pelvici di varia entità e, anche se raramente, in queste forme definite da “implosione” vi può essere un interessamento degli organi interni per un brusco aumento della pressione endo-pelvica.

Si distinguono due tipi di closed book, a seconda che la lesione anteriore e quella posteriore risiedano nello stesso versante del bacino (B2.1) o in versanti opposti (B2.2).

Nel sottotipo B2.1 vengono descritti tre livelli di gravità che corrispondono ad altrettanti gradi di instabilità:

1. frattura dei due rami;

2. sovrapposizione sinfisaria (accavallamento);

3. frattura di un ramo (o più raramente di due rami) associata a lussazione della sinfisi (tilt fracture).

Nel B2.2 (ansa di secchio o bucket-handle), invece, la frattura della branca anteriore è controlaterale rispetto alla lesione posteriore e di conseguenza l’instabilità rotatoria è più elevata rispetto ai tipi precedenti a causa del braccio di leva maggiore. L’emi-pelvi è ruotata intorno ad un asse verticale e ad un asse sagittale, questo provoca uno slivellamento dei due monconi con un risalimento, anche importante, della testa del femore.

(31)

- TIPO B3 (lesione bi-laterale o téléscopage). Quando abbiamo un trauma laterale in presenza di una controspinta sul lato opposto del bacino, si verifica un téléscopage in chiusura omo-laterale e in apertura contro-laterale. In questi casi l’emi-pelvi fratturata, oltre ad essere ruotata all’interno, è risalita a causa di una componente rotatoria intorno ad un asse sagittale. Invece sul lato opposto si produce una tipica lesione a libro aperto. Nel gruppo B3 ritroviamo anche lesioni a libro aperto bilaterali con diastasi grave della sinfisi o con frattura a farfalla quadri-ramica. 6.1.3 Lesioni assolutamente instabili (Gruppo C).

L’instabilità posteriore dell’anello pelvico nel guppo C può essere di tipo ligamentoso, osseo o misto; a seconda che la linea di separazione interessi la sacro-iliaca, le strutture ossee (sacro o bacino) o il distretto osteo-articolare (fratture-lussazioni). L'instabilità si verifica sia sul piano verticale che su quello rotatorio. Letournel considera quattro possibili linee di discontinuità a carico delle strutture portanti posteriori: la lussazione della sacro-iliaca, la frattura-lussazione della sacro-iliaca, la frattura dell’ala iliaca e la frattura del sacro. Tutte queste lesioni si associano ad una lacerazione completa dell’ALP e del pavimento pelvico e in questo modo la parte lesa, libera dalle connessioni strutturali con il resto del bacino, perde in tutte le direzioni ogni vincolo di stabilità.

La lesione C2 (bilaterale) ha le stesse caratteristiche di una C1 (unilaterale) con associata una lesione di tipo B controlaterale. La C3 vede, associata ad una lesione pelvica, una frattura acetabolare sul piano orizzontale (più raramente delle due colonne). Nel gruppo C3 Tile dispone anche le lesioni C1 bilaterali.

(32)

Figura 12. Classificazione di Tile.

6.2 CLASSIFICAZIONE DI YOUNG-BURGESS.

Questa classificazione divide le fratture in base al vettore della forza applicata in tre tipi: da compressione antero-posteriore (APC), da compressione laterale (LC) e da forza da taglio verticale.30 6.2.1 Fratture da compressione antero-posteriore (APC).

Sono prodotte da forze agenti sul piano sagittale, tipico degli incidenti stradali. Sono suddivise anch'esse a loro volta in tre sottogruppi:

(33)

- lesioni APC-I: determinano un modesto allargamento della sinfisi pubica, inferiore ai 2,5 cm, con l'ALP intatto;

- lesioni APC-II: determinano una lacerazione dei legamenti sacro-iliaci anteriori, sacro-spinosi e sacro-tuberosi ma con legamenti sacro-iliaci posteriori intatti. In questi casi la diastasi della sinfisi pubica può essere anche superiore ai 2,5 cm e di solito si accompagna a instabilità rotatoria ed emorragia.

- lesioni APC-III: sono causate da traumi ad alta energia con distruzione dei legamenti sacro-iliaci posteriori: si ha completa instabilità dell'emipelvi ed alto rischio di emorragie, lesioni nervose e degli organi pelvici.

6.2.2 Fratture da compressione laterale (LC).

Sono prodotte da impatto laterale lungo il piano orizzontale, anch'essi comuni negli incidenti stradali. Vi sono anche qui tre sottogruppi:

- LC-I: includono fratture trasversali del cingolo pelvico anteriore o fratture trasversali da compressione e sono tipicamente stabili.

- LC-II: causate da traumi ad alta energia che determinano la distruzione dei legamenti sacro-iliaci posteriori e la dislocazione della giunzione sacro-iliaca o fratture trasversali dell'ala iliaca, la cui parte superiore rimane attaccata al sacro, mentre quella inferiore è mobile (frattura a mezzaluna). La frattura può essere stabile o instabile.

- LC-III: sono fratture altamente instabili, causate da forze laterali continue che comprimono e ruotano l'emipelvi fino al punto da distruggere completamente le giunzioni sacro-iliache, i ligamento sacro-tuberosi e sacro-spinosi. Si associano a frequenti lesioni nervose e agli organi pelvici.

6.2.3 Fratture da forza da taglio verticale.

Sono tipicamente instabili e causate da cadute dall'alto. Comprendono fratture anteriori (rami pubici e sinfisi pubica) e fratture posteriori (complesso sacro-iliaco).

(34)

Figura 13. L'acetabolo e la sua suddivisione in colonna anteriore e colonna posteriore.

6.3 CLASSIFICAZIONE DI LETOURNEL E JUDET.

È una classificazione che descrive esclusivamente le fratture acetabolari, a differenza delle precedenti due che si concentrano sull'intero anello pelvico.32 33 Questa classificazione divide le fratture acetabolari in cinque tipi semplici (elementari) e cinque tipi complessi (associati).

6.3.1 FRATTURE DI TIPO SEMPLICE.

I cinque tipi elementari di frattura sono stati definiti come quelli che separano totalmente o in parte una singola colonna dell’acetabolo e sono (Figura 14): - le fratture della parete anteriore, - le fratture della colonna anteriore, - le fratture della parete posteriore, - le fratture della colonna posteriore, - le fratture trasverse.

(35)

l’intera colonna dell’osso innominato, mentre le fratture della parete anteriore e quelle della parete posteriore separano solo una porzione della superficie articolare della colonna. L’integrità del forame otturatorio e della branca ischiopubica (inferiore) può aiutare il chirurgo a fare questa distinzione. Il quinto tipo elementare di frattura è la frattura trasversa che è una singola rima di frattura che, pur attraversando sia la colonna anteriore che la colonna posteriore, è stata inclusa nei tipi elementari “in virtù della purezza del tipo di frattura”. Figura 14. Fratture di tipo semplice della classificazione di Letournel e Judet.

(36)

6.3.2 FRATTURE DI TIPO COMPLESSO. Le fratture complesse derivano dall’associazione di fratture semplici (Figura 15). Sono state così identificate: - le fratture a T, - le fratture della colonna posteriore e parete posteriore, - le fratture trasverse con distacco della parete posteriore,

- le fratture emi-trasverse posteriori con distacco della colonna o della parete anteriore

- le fratture delle due colonne.

In tutte le fratture complesse le rime di frattura coinvolgono entrambe le colonne anatomiche dell'acetabolo, sia anteriore che posteriore, eccezion fatta per le fratture della colonna posteriore associata a frattura della parete posteriore.

(37)

Come con qualsiasi sistema di classificazione basato principalmente sull’anatomia, vi sono tipi transizionali di frattura che hanno aspetti di più tipi di frattura e non ricadono chiaramente in una tipologia distinta. Ciò nonostante, lo schema di Letournel e Judet ha continuato ad essere il sistema più familiare e riproducibile.

(38)

7. DAMAGE CONTROL ORTHOPAEDICS IN GENERALE.

Il concetto del Damage Control nasce in ambito militare statunitense e in origine è applicato per contrastare i danni riportati in battaglia da mezzi navali e dalle truppe. É stato poi applicato anche in ambito medico-chirurgico, prima militare, poi civile. Il concetto su cui quindi si basa in origine il Damage Control è quello di limitare i danni sul mezzo danneggiato, organizzare in un tempo minimo la strategia per il recupero del mezzo, tamponare la situazione di criticità e rientrare alla base per riparare immediatamente il danno. Si fa dunque riferimento a tutte quelle misure prese per evitare l'affondamento di una nave gravemente danneggiata con procedure atte a limitare l'entrata di acqua nel mezzo, isolare focolai d'incendio ed evitare che questi danni si propaghino.

Nel settore medico-chirurgico militare, l’applicazione di tale concetto è stato esteso anche ai danni riportati dalle truppe e in seguito ulteriormente esportato per intervenire con urgenza in occasione di quei gravi danni traumatologici a cui assistiamo in un politraumatismo.34

Il Damage Control in campo medico è distinto in due tipologie: il Damage Control Surgery (DCS) e il Damage Control Orthopaedics (DCO).

Il DCS viene applicato ai politraumi ad alta complessità che coinvolgono uno o più organi quali milza, fegato, pancreas o reni, che si presenteranno spesso in concomitanza con lesioni toraciche e osteo-articolari; si fa riferimento a quelle manovre applicate per salvaguardare in prima istanza la sopravvivenza del paziente.35 Vi sono tre stadi di Damage Control:

1. intervento limitato per controllare l'emorragia e la contaminazione; si cerca di ottenere questo controllo il più velocemente possibile in sala operatoria, ove alle misure riparative tradizionali vengono preferite manovre più rapide ed efficaci nel breve termine. Il packing intra-addominale e la chiusura temporanea dell'addome completano questo primo stadio;

2. rianimazione in terapia intensiva; (Intensive Care Unit, ICU), ove il paziente viene trasferito per il monitoraggio delle funzioni vitali, il ripristino e il mantenimento della temperatura corporea, la correzione della coagulopatia, la reintegrazione dei

(39)

liquidi con ottimizzazione dei parametri emodinamici e la rivalutazione delle ferite subite nel politrauma;

3. reintervento; una volta ripristinata la normale fisiologia, per un definitivo management delle ferite e chiusura dell'addome.

Il solito razionale venne poi applicato alla gestione dei pazienti politraumatizzati con fratture delle ossa lunghe e del cingolo pelvico, prendendo il nome di Damage Control Orthopaedics (DCO). Esso consta di quattro fasi, invece che tre, che sono: 1. misure atte a salvaguardare la vita del paziente in fase acuta;

2. controllo dell'emorragia, anche tramite stabilizzazione temporanea delle fratture scheletriche e gestione delle ferite tissutali, minimizzando l'impatto chirurgico sul paziente;

3. ricovero in terapia intensiva (ICU); 4. fissazione definitiva delle fratture.

Il DCO come approccio al politraumatizzato ha storicamente sostituito l'ETC, Early Total Care, un approccio consistente nella fissazione definitiva delle fratture importanti nei tempi più rapidi possibili, in seguito alla significativa progressione della comprensione dei meccanismi fisiopatologici e immunologici che regolano la risposta del paziente al trauma.36, 37

In seguito alle lesioni traumatiche si ha, infatti, una risposta infiammatoria sistemica (SIRS) alla quale si oppone il sistema delle CARS (compensatory anti-inflammatory response syndrome). Un'eccessiva SIRS può portare ad un fallimento multi organo (MOF) e quindi al decesso del paziente, mentre una sindrome infiammatoria lieve seguita da una eccessiva CARS porterà ad uno stato di immunosoppressione che mette il paziente a rischio infettivo elevato come dimostrato dalla maggiore incidenza di polmoniti e altre infezioni in questi soggetti. Questi meccanismi fisiopatologici costituiscono quello che viene definito "first hit", il primo colpo, ai danni delle condizioni generali del paziente. La chirurgia, in questa ottica, invece costituisce il "second hit", il secondo insulto, e può provocare così una seconda, cumulativa, risposta infiammatoria che, combinando i livelli alterati dei mediatori dell'infiammazione IL-6 e IL-8, determineranno il MOF. Da qui la necessità di eseguire una stabilizzazione provvisoria delle fratture che andranno poi incontro a fissazione definitiva appena

(40)

i suddetti valori rientreranno in un range accettabile per sottoporre il paziente a chirurgia; questo avviene solitamente dopo 5 giorni.38, 39

Nell'ambito della chirurgia d'emergenza e della rianimazione è stata definita la cosiddetta "triade letale" che porta a morte il paziente critico che si presenta con grave emorragia in corso.40 Si fa riferimento alle condizioni di ipotermia, acidosi e alla coagulopatia che si instaurano a causa della grave emorragia. Ripristinare la perfusione del paziente e stabilizzare la sua emodinamica diventa quindi la priorità in regime di urgenza. Riconoscendo universalmente che la frattura di un grande segmento osseo determini una perdita ematica grave e, tenendo presente il rischio di MOF da SIRS, risulta evidente come l'intervento dell'ortopedico debba mirare ad una stabilizzazione in tempi ridotti e senza impegnare troppo il paziente. A questo scopo la fissazione esterna, assieme al T-POD (temporary pelvic orthotic device) nel caso specifico di fratture della pelvi, è il cavallo di battaglia dell'ortopedico.

La stabilizzazione della frattura inizia, in modo temporaneo, sul luogo

dell'incidente. Le moderne ambulanze e gli elicotteri del 118 sono dotati di devices adatti ad una immediata stabilizzazione del politraumatizzato: stecche di immobilizzazione provvisorie per gli arti (immobilizzatore o stecco-benda), cinture pelviche (T-POD) e immobilizzatori per il rachide. (Figura 16)

(41)

Figura 16. Cintura pelvica.

Il trasporto avviene nel luogo di accoglienza più vicino, preferibilmente un trauma-center (HUB) come lo è il nostro ospedale AOUP; nel caso di non immediata disponibilità di tale struttura, il paziente viene deviato in un centro minore (SPOKE), adibito comunque ad accogliere i politraumi e a portare le cure primarie atte alla sopravvivenza del paziente per poi essere, in caso di necessità, trasferito, centralizzato, ad un trauma-center. Bisogna a questo punto specificare che la A.O.U.P. funge invece da centro SPOKE (periferico) per i pazienti pediatrici che vengono invece centralizzato all'ospedale pediatrico Meyer di Firenze; questo è dovuto ad una richiesta del reparto di Anestesia e Rianimazione che non dispone dei macchinari adatti per il trattamento di questo tipo di pazienti laddove per pazienti pediatrici si intendono soggetti antro il terzo anno di vita o i 20 Kg di peso. Bisogna ricordare anche che il ruolo di centro HUB del nostro ospedale è in alcuni casi limitato a causa delle ridotte capacità ricettive del reparto di Anestesia e Rianimazione; in periodi di aumentata richiesta infatti non possiamo rispondere a tutte le richieste di centralizzazione provenienti dai nosocomi vicini.

(42)

Al raggiungimento di un centro HUB inizia il percorso clinico, laboratoristico e radiologico del paziente politraumatizzato; viene stabilito l’ISS (Injury Severity Score), cioè il punteggio globale di gravità basato su aspetti anatomici e che classifica ogni lesione presente in una determinata regione del corpo a seconda della sua gravità relativa ad una scala ordinale. Solitamente in un politraumatizzato l'ISS è sempre uguale o superiore a 15.

Una volta inquadrati i pazienti politraumatizzati sulla base dei criteri dell'ATLS (Advanced Trauma Life Support) con stabilizzazione delle vie aeree, ventilazione, circolazione, stato neurologico e temperatura corporea secondo la regola dell'ABCDE; il passo successivo consiste nel selezionare i pazienti che necessitano di Damage Control piuttosto che essere candidabili direttamente alla chirurgia definitiva. L'outcome di pazienti con ferite sovrapponibili in sede e gravità dipende infatti da numerosi fattori quali l'età e comorbilità come il diabete o l'obesità. Risale al 1978 il primo tentativo di individuare fattori prognostici validi per la chirurgia ortopedica; gli autori raccomandarono di considerare la pressione sistolica, la frequenza cardiaca, la pressione venosa centrale e l'ematocrito; in addizione a questi si dette importanza anche all'indice cardiaco, alla pressione dell'arteria polmonare, lo stato di coagulazione e l'equilibrio acido base. La migliorata comprensione dei meccanismi fisiopatologici del paziente con politrauma ha permesso di individuare poi quattro fattori clinici significativi: i tre della cosiddetta "triade letale" menzionata precedentemente, ovvero l'ipotermia, la coagulopatia e l'acidosi come conseguenza dell'emorragia e dello shock; a cui si aggiungono le ferite ai tessuti molli, polmone, organi addominali ed organi pelvici. A partire da questi parametri Pape ha descritto quattro classi di pazienti, basati sul loro stato clinico: stabile, borderline, instabile, in extremis. Un paziente viene quindi classificato in una di queste quattro categorie se rientra in almeno tre dei quattro parametri della seguente tabella. 40 (Tabella 1)

(43)

Tabella 1. Le quattro classi di pazienti, basati sul loro stato clinico: stabile, borderline, instabile, in extremis; descritte da Pape.41 L'approccio con DCO è fuori dubbio nei pazienti unstable e in extremis (vedi Tab. 1); in essi una chirurgia estesa immediata costituirebbe quel "second hit" che con ogni probabilità andrebbe a causare distress respiratorio acuto, MOF o addirittura il decesso. DCO andrebbe quindi attuato in pazienti con temperatura corporea sotto i 33°C, pressione arteriosa inferiore a 90 mmHg, livelli elevati di lattati, una conta piastrinica sotto i 90.000 e la presenza di ferite maggiori ai danni di tessuti molli.42

Nei pazienti stable il gold standard è rappresentato dall'ETC.

È il paziente borderline a rappresentare la categoria più controversa, sono pazienti che entrano in sala operatoria in condizioni apparentemente stabili ma che durante l'intervento peggiorano inaspettatamente con comparsa di disfunzioni d'organo. La presenza di anche uno solo dei criteri della tabella sotto (Tabella 2) comporta una prognosi avversa e raccomanda un approccio con DCO.

(44)

Tabella 2. Criteri di inclusione del paziente nella categoria borderline.41 Inoltre, più è lunga la durata prevista della chirurgia, più è raccomandato il DCO; è documentata una maggior durata di ventilazione meccanica post-operatoria, una maggiore incidenza di disfunzione d'organo e di mortalità dopo interventi che eccedono le 6 ore in confronto ad interventi più brevi.

Futuri algoritmi terapeutici potranno beneficiare dai progressi che si stanno registrando in ambito di biologia molecolare. Si sta comprendendo sempre di più il fondamentale ruolo dei mediatori d'infiammazione quali IL-6, IL-8, IL-10 o delle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità HLA-DR di classe II nel comprendere le condizioni del paziente e una sua possibile evoluzione verso complicanze importanti di tipo infiammatorio sistemico o meno.43

(45)

8. DCO NEI PELVIC RING INJURIES.

Le fratture dell'anello pelvico, per quanto poco frequenti da un punto di vista epidemiologico, sono una sfida diagnostica e terapeutica importante sia nell'immediato post-trauma che nella successiva fissazione definitiva. Si tratta di lesioni che spesso sono conseguenza di traumi ad alta energia e sono ad alto rischio di associazione con lesioni di organi e vasi pelvici. Queste caratteristiche fanno sì che spesso siamo di fronte a pazienti emodinamicamente instabili in cui quindi il DCO è l'opzione terapeutica più indicata.44

Lo shock emorragico è purtroppo molto frequente nelle fratture del bacino, questo è dovuto alla conformazione anatomica di questa parte del corpo in cui importanti formazioni vascolari possono lesionarsi facilmente e in cui un'emorragia retroperitoneale può arrivare fino ad un volume di 4 litri senza essere tamponata dall'ematoma.45 L'origine dell'emorragia è nel 90% dei casi venosa o della spongiosa dell'osso, nel rimanente 10% è invece di origine arteriosa. La valutazione dello stato emodinamico e il riconoscimento di un'eventuale condizione di shock emorragico costituiscono quindi il primo step del managment delle Pelvic Ring Injuries.

Tra le varie descrizioni che si possono fare delle fratture della pelvi ci sono la distinzione in fratture stabili e instabili oppure in aperte o chiuse. La classificazione di Young-Burgess, precedentemente descritta, è quella più adatta per fare prognosi prendendo essa in considerazione il meccanismo lesionale, la presenza di emorragia e le lesioni associate. Le fratture da compressione antero-posteriore (APC) sono quelle associate al più alto grado di mortalità e alla più alta necessità di ricorrere a trasfusioni di sangue. (20% e 14,8 unità, rispettivamente). Nelle fratture da compressione laterale (LC), invece, questi valori si aggirano sul 7% di mortalità e sulle 3,6 unità di sangue per le trasfusioni.45, 46 L'iter decisionale di fronte ad un paziente politraumatizzato con lesione all'anello pelvico può essere diviso in due fasi: individuazione e trattamento di condizioni che mettono il paziente a rischio di morte ("algoritmo d'emergenza"), seguito da diagnosi, classificazione delle ferite osteoligamentose e programmazione operativa

(46)

laddove necessario. Dopo l'iniziale rianimazione secondo gli algoritmi dell'ATLS deve essere valutata e conservata la stabilità emodinamica. Perciò deve essere individuato e controllato il sito emorragico per non rendere inutili le misure di trasfusione; a questo scopo si è ad oggi rivelata cruciale la tecnica ecografica EFAST (extended focused assessment sonography for trauma) che permette una rapida valutazione di polmoni, cuore ed organi addominali.

8.1 BENDAGGIO PELVICO E FISSAZIONE ESTERNA.

In assenza di chiaro sanguinamento extrapelvico che possa spiegare l'instabilità emodinamica il chirurgo ortopedico è tenuto a partire dal presupposto che il sanguinamento sia retroperitoneale e correlato alla frattura pelvica. Tutti gli sforzi sono a questo punto rivolti alla stabilizzazione della frattura per ridurre il volume pelvico e tamponare il sanguinamento, in caso che sia venoso. Negli anni si è rivelato efficace il bendaggio della pelvi. Metodo che consiste nel bendare la pelvi con un semplice lenzuolo oppure un T-POD o altri mezzi adibiti, permettendo così la riduzione del volume pelvico. L'applicazione di un lenzuolo possiede molti vantaggi in quanto é rapido, sempre disponibile, povero di effetti collaterali ed efficace nel tamponare il sanguinamento permettendo così di portare il paziente alla TC. 47 (Figura 17) Il T-POD invece richiede alcuni accorgimenti; innanzitutto non può essere messo per un periodo oltre le 48 ore, poi deve essere attentamente posizionato a livello trocanterico, vanificando un suo posizionamento errato i suoi effetti. Ogni 8 ore il T-POD deve poi essere tolto al paziente, per una ventina di minuti, per saggiare la stabilità emodinamica di quest'ultimo.

Sono accorgimenti fondamentali nell'utilizzo di questo device, che rimane comunque uno strumento estremamente efficace, spesso da preferire anche alla fissazione esterna, intervento comunque invasivo anche se di impatto ridotto rispetto all'intervento chirurgico in open. La scelta di applicare una o l'altra misura

(47)

terapeutica è in mano al TRAUMA TEAM, la cui esperienza risulta dunque fondamentale anche da questo punto di vista. Figura 17. Applicazione di un lenzuolo per il bendaggio pelvico. Bendaggi pelvici sono stati in gran parte rimpiazzati dalla fissazione esterna e dal C-clamp nell'approccio primario al paziente con sanguinamento associato a fratture pelviche instabili. È necessario considerare che l'instabilità dell'anello pelvico è il più delle volte posteriore mentre la fissazione esterna è applicata sulle componenti anteriori dell'anello potendo così peggiorare il quadro clinico, per quanto abbia una serie di vantaggi applicativi come la precocità di stabilizzazione, la rapidità di esecuzione e la efficienza nel ridurre il volume pelvico.

La biomeccanica e i meccanismi alla base dei traumi dell'anello pelvico, oltre alle considerazioni sulle condizioni cliniche del paziente, dettano la necessità o meno di ricorrere alla fissazione esterna. Come già precedentemente sottolineato,

(48)

interruzioni dell'anello pelvico in pazienti emodinamicamente instabili devono essere temporaneamente stabilizzati per prevenire ulteriore perdita ematica e per creare le condizioni necessarie per applicare ulteriori misure tamponanti come l'angioembolizzazione o il pelvic packing, poco efficaci se non supportate da una struttura anatomica stabile su cui basarsi. Ricapitolando, il razionale della fissazione esterna consiste in primo luogo nel ridurre il volume pelvico e in secondo luogo nel fornire una struttura stabile che permetta un'efficace packing pelvico. Le indicazioni e le tecniche di fissazione esterna possono essere guidate dalla classificazione di Young-Burgess. Fratture APC-II/APC-III e LC-II-LC-III sono preferibilmente trattati con una fissazione anteriore in cui le viti ossee trovano un posizionamento superiore, sulla cresta iliaca, oppure anteriore, sovracetabolare. Per dettagli rimando al capitolo 9. Figura 18. Applicazione anteriore del fissatore esterno.

(49)

Al contrario delle fratture instabili rotazionalmente (APC e LC), le fratture instabili sul piano verticale così come i cosiddetti "vertical shear" (VS) sono preferibilmente trattati e stabilizzati tramite un clamp posteriore. Il C-clamp risulta più adatto in quest'ultimi casi permettendo una rapida riduzione e stabilizzazione delle componenti posteriori dell'anello tramite la apposizione di due chiodi nella giunzione sacroiliaca; è però gravato da possibili e importanti complicazioni di tipo neurologico, in particolare in presenza di fratture sacrali.48, 49 (Figura 19) Figura 19. Immagine radiologica (a) e clinica (b) di un C-clamp.

Riferimenti

Documenti correlati

Una delle caratteristiche fondamentali dei fissatori esterni è la rigidità, cioè la loro capacità di resistere alle forze di carico assiali, di curvatura e di

I dati sono stati raccolti dalle cartelle cliniche e, dove disponibili, infermieristiche, su tutti i pazienti dece- duti con diagnosi di demenza grave (demenza, Alzhei- mer,

precursore degli ormoni steroidei, sia maschili che femminili (testosterone,.. 35 Carla Manca, Valutazione delle caratteristiche chimico fisiche e nutrizionali della carne

During the years 1998-2011 the Department of Botany of the University of Sas- sari, in collaboration with the University of N’Djamena have investigated the flora and vegetation

Con questo lavoro vorrei dare ri- sposta al come e perch´e si `e arrivati ad una situazione di tale insostenibilit`a, capire se si poteva evitare, se le istituzioni coinvolte e

L’obbiettivo di questa ricerca è analizzare le analogie e le differenze che hanno segnato la storia dei due paesi durante i regimi militari e negli anni

Alla fine del follow-up, la terapia medica è risultata efficace in 3 dei 6 pazienti sintomatici e in 3 dei 17 asintomatici, sia in termini di risoluzione ecografica (calcoli non

9 Alle scale caratteriali S e C il punteggio più alto si riscontra nelle pazienti EDNOS, quello più basso nel gruppo dei sani; le pazienti AN-R presentano valori intermedi; alla