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La complementazione dei verbi di percezione in latino

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Academic year: 2021

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(1)

Scuola di dottorato in Filologia, letteratura e linguistica

Curriculum Linguistico

XXIX ciclo

Tesi di Dottorato

La complementazione dei verbi di

percezione in latino

Tutor

Prof. Giovanna Marotta

Prof. Alberto Nocentini

Candidato

Francesco Giura

Matricola 512516

francesco.giura@for.unipi.it

+39 3489271452

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Elenco delle figure ...9

Lista delle abbreviazioni ...11

Premessa ...15

Introduzione ...17

0.1 Le tre ragioni principali di questo studio ...18

0.1.1 La complessità semantica ...18

0.1.2 La ricchezza sintattica ...20

0.1.3 Persistenza o Discontinuità: diacronia della costruzione percettiva ...21

0.2. Tema e Scopi ...22

0.3 Prospettiva di indagine ...23

0.4 Metodologia ...24

0.5 L’ipotesi generale ...25

0.6 Problemi di indagine ...27

0.7 Il piano della ricerca ...28

Capitolo 1. Definizioni e Categorie ...31

1.0 Introduzione ...31 1.1 La complementazione ...32 1.1.1 L’approccio tradizionale ...34 1.1.2 L’approccio generativista ...36 1.1.3 L’approccio funzionalista ...41 1.1.3.1 Principi ...41

1.1.3.2 La complementazione (complement types) ...43

1.1.3.3 I tipi semantici (semantic types) ...46

1.2 I verbi di percezione ...49

1.2.1 Studi tradizionali ...50

1.2.2 Strutturalismo ...50

1.2.3 Tipologia ...51

(6)

1.3.3 Percezione diretta vs. Percezione indiretta ...64

1.3.4 Percezione, complementazione ed evidenzialità ...67

1.4 Conclusioni ...70

Capitolo 2. Stato dell’arte ...73

2.0 Introduzione ...73

2.1 Origine e Statuto della frase infinitiva ...74

2.1.1 L’infinito nelle lingue indoeuropee e in latino ...74

2.1.2 L’origine dell’infinitiva nelle lingue indoeuropee ...76

2.1.3 L’origine e lo statuto dell’infinitiva in latino ...80

2.2 Percezione vs. Cognizione, AcP vs. AcI ...88

2.3 AcI vs. quod-clause ...91

2.3.1 Coerenza strutturale della costruzione AcI ...92

2.3.2 Diffusione della costruzione AcI ...93

2.3.3 Le fasi del mutamento: AcI vs. dicere quod ...95

2.4 Le domande ancora aperte ...102

Capitolo 3. Strumenti – Corpus – Strutture ...103

3.1 Strumenti e Corpus di indagine ...103

3.1.1 Strumenti dell’indagine ...104

3.1.2 Il corpus di indagine: definizione e problemi ...106

3.2 Campionamento ...108

3.2.1 Il campione lessicale ...108

3.2.2 Le forme di complementazione ...112

3.2.2.1 AcI, Accusativus cum Infinitivo ...113

3.2.2.2 AcP, Accusativus cum Participio ...116

3.2.2.3 Interrogativa indiretta ...124

3.2.2.4 ut/ne + congiuntivo ...127

Capitolo 4. Interfaccia lessico-sintassi ...131

4.0 Introduzione ...131

4.1 Classe I. (AcI, AcP, Inter., ut + cong.) ...135

4.2 Classe II. (AcI, AcP, Inter.) ...145

4.3 Classe III. (AcI, AcP) ...158

4.4 Classe IV. (AcI, Inter.) ...162

4.5 Classe V. (AcI) ...168

4.6 Classe VI. (AcP) ...171

4.7 Classe VII. (Inter.) ...172

4.8 VPL con quod e quia ...175

4.9 Conclusioni ...184

Capitolo 5. Analisi quantitativa delle costruzioni ...191

5.0 Introduzione ...191

(7)

5.1.1.3. Andamento Interrogativa indiretta ...198

5.1.1.4 Andamento ut/ne e congiuntivo ...198

5.1.5 Conclusioni...199

5.1.2 Distribuzione nel corpus ...199

5.2. AcI vs. AcP ...203

5.2.1 AcI: i casi di difficile disambiguazione ...205

5.2.2 Disambiguare la costruzione AcI ...209

5.2.2.1 Confronto Pl. Am.-Mil. / Cic. Fam. I-VIII ...210

5.2.2.2 Test di controllo e Conclusioni ...215

5.2.3 Andamento di perc e cogn ...216

5.2.4 I verbi dell’udito ...219

5.2.5 La posizione della costruzione AcI ...220

5.2.6 AcP: ulteriori indagini. ...222

5.3 Conclusioni ...228

Capitolo 6. Conclusioni ...231

(8)
(9)

Figura 1. Complement Types...46

Figura 2.Tipi di predicati ...47

Figura 3. Tipi di complemento e predicati reggenti ...49

Figura 4. Il paradigma di base dei VP ...52

Figura 5. Sweetser 1990: 38: “The structure of our metaphors of perception” ...54

Figura 6. Le proprietà della percezione ...55

Figura 7. Distribuzione di do-form e doing-form per VP ...62

Figura 8. I parametri delle costruzioni percettiva ed epistemica ...65

Figura 9. Predicati che reggono complementazione e integrazione semantica ...67

Figura 10. La complementazione frasale in latino classico e in greco classico ...94

Figura 11. Interfaccia di interrogazione di SNS Greek & Latin ...105

Figura 12. Il corpus di indagine ...106

Figura 13. I verbi di percezione latini ...108

Figura 14. I verbi di percezione latini che reggono forme di complementazione ...110

Figura 15. La ripartizione dei verbi di percezione ...110

Figura 16. Verbi di percezione + C ...111

Figura 18. Presenza dei tratti di Accordo ...115

Figura 19. Presenza dei tratti di Accordo nelle forme di participio ...117

Figura 20. I verbi di percezione latini e le costruzioni dipendenti ...132

Figura 21. I VPL divisi nelle sette classi ...133

Figura 22. I VPL e la quantità di costruzioni rette ...133

Figura 23. I VPL divisi secondo Activity, Experience e forma di complementazione ...134

Figura 24. Le funzioni dei VP uditivi ...154

Figura 25. La distribuzione di AcI e quod in Gerolamo e Agostino ...180

Figura 26. AcI e quod con i VPL ...181

Figura 27. AcI e quod in Agostino ...181

Figura 28. Le proprietà dei VPL ...187

Figura 29. VPL e funzioni primarie (PERC/COGN) ...188

Figura 30. AcI e AcP nei VPL ...189

Figura 31. Le proprietà dei VPL e la distribuzione di AcI e AcP...190

Figura 32. I VPL + C in Plauto Am-Mil ...193

Figura 33. Video negli altri autori del corpus secondo le quattro costruzioni analizzate ..193

Figura 34. Quadro riassuntivo delle occorrenze ...194

Figura 35. Andamento della AcI ...196

(10)

Figura 40. Esempio di annotazione morfosintattica dei passi selezionati ...210

Figura 41. Annotazione morfosintattica in Plauto Am-Mil e Cicerone fam. ...211

Figura 42. I tratti salienti delle funzioni Percettivo e Cognitivo in uideo + AcI ...215

Figura 43. Distribuzione di AcI Perc e AcI Cogn nel corpus ...217

Figura 44. Distribuzione di AcI Cogn e AcP + AcI Perc nel corpus ...219

Figura 45. La posizione della AcI secondo Bolkestein 1989 ...221

Figura 46. La posizione della AcI con uideo, audio e sentio ...221

Figura 47. La posizione della AcI secondo Spevak 2010 ...222

Figura 48. Distribuzione di AcI perc e AcP nel corpus ...223

Figura 49. Andamento di AcP e AcI perc ...223

(11)

1 prima persona

2 seconda persona

3 terza persona

Δ frase (clause)

ABL o abl. ablativo ACC o acc. accusativo

AcI Accusativus cum Infinitivo

AcP Accusativus cum Participio

AG o ag. agente/agentivo

AGG o agg. aggettivo a.ingl. antico inglese a.irl. antico irlandese

ALL. allativo APP. apposizione arc. arcaico a. attivo AUS ausiliare AVV avverbio ART articolo ba. basco C Complementatore C Complementazione CAUS causativo CP Complementizer Phrase

celt. celtico - lingue celtiche CLASS classificatore

cod., codd. codice, codici COGN cognitivo CONG congiuntivo

coor. coordinazione

corr. correzione

dan. danese

DAT o dat. dativo

DEF definito

DIM dimostrativo

dip. frase dipendente

DP Determinative Phrase

ed. edizione, editore

edd. editori

ERG ergativo

F o f. femminile

fr. frammento

fr. francese

freq. intensivo frequentativo

fut. futuro

G genere

GEN o gen. genitivo

GER o ger. gerundio - gerundivo

gr.m greco moderno

I Inflection

i indice

i.e. o IE indoeuropeo - lingue ie IMP o imp. imperativo

IMPRS impersonale

IMPF o impf.imperfetto/imperfettivo IND o ind. indicativo

indip. frase indipendente

INF o inf. infinito

ingl inglese

in.ir. indo-iranico

intens. intesivo

INTERR interrogativo

inter. interrogativa indiretta intr. intransitivo IP Inflectional Phrase ir. iranico irl. irlandese IRR irrealis it. italiano itt. ittita

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M maschile

NEG negazione - negativo/a

N neutro

NOM o nom.nominativo

NON-RIS non risultativo

NP Noun Phrase ogg oggetto ol. olandese osc. osco PART participio PASS passato P passivo PF o pf perfetto/perfettivo PL o pl. plurale port. portoghese

PoS Part of Speech

post-cl. post-classico PP Prepositional Phrase PPF o ppf. piuccheperfetto PREP preposizione PR o pr. presente PRO pronome REL relativo

RIFL o rifl. riflessivo RISULT risultativo rum. rumeno rus. russo sard. sardo sscr. sanscrito SG o sg. singolare sogg. soggetto sp. spagnolo STR o str. strumentale s.v. sub voce sv. svedese ted. tedesco

TEL o tel. telico

TP Tense Phrase TR o tr. transitivo trad. traduzione V o v. verbo ved. vedico VP Verb Phrase

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Questo lavoro è il compimento del mio dottorato presso l’Università di Pisa. Il progetto di ricerca originario prevedeva un’indagine sulla complementazione frasale dei verbi di per-cezione nelle lingue romanze. La parte relativa al latino doveva rappresentare il preambolo per la ricostruzione dell’intera evoluzione delle forme sintattiche dalla situazione latina alle varie declinazioni romanze, in particolare dell’italiano. L’esistenza di una letteratura corposa sulle costruzioni latine e delle componenti semantiche da queste espresse, rappresentava un elemento di conforto nel dare il via, su solidi assunti di base, a una indagine sulla complemen-tazione dei verbi di percezione nelle lingue romanze.

La ricognizione degli studi latini e l’inizio dell’esplorazione del corpus di testi scelti per l’analisi sul latino, ha però rivelato una serie di questioni per molti versi irrisolte, e ha spinto a interrogarsi su alcuni temi centrali per lo studio della sintassi latina tout court. Da qui la decisione di mettere da parte l’italiano antico e contemporaneo, e in generale la prospettiva romanza, per concentrare gli sforzi nella messa a fuoco del latino, e fornire così una consisten-te base di parconsisten-tenza per eventuali future ricerche sulla sintassi neolatina.

Risalendo più indietro, alle origini di questo lavoro vi è da parte mia l’attenzione ormai plu-riennale per i verbi di percezione, una classe di predicati che sono fonte di grande interesse per la linguistica, sia per le proprietà semantiche che mostrano, in particolare per i fenomeni di polisemia e metafora che collocano la dimensione sensoriale in continuità con quella episte-mica ed emotiva, sia per il riflesso che questa complessità semantica ha sul piano della sintassi. Dopo aver dedicato alcuni studi privilegiando l’aspetto semantico dei verbi di percezione la-tini, questo lavoro ha il baricentro decisamente spostato sull’analisi delle strutture sintattiche. Desidero ringraziare tutti coloro che nell’aiutarmi hanno contribuito alla riuscita di questo lavoro e più in generale dell’intero percorso di dottorato. I miei ringraziamenti procedono per cerchi concentrici dall’ambito della mia esperienza di ricerca fino alle leve più profonde che muovono l’attività di una persona nel proprio percorso di studio e lavorativo, cioè gli affetti degli amici e della famiglia, e dalla periferia al centro della personale geografia dei miei ultimi tre anni. Ringrazio quindi i colleghi d’Oltre Manica dell’Università di Cambridge con i quali mi sono confrontato nel corso del mio soggiorno all’estero: Maria Olimpia Squillaci, Luigi Andriani, Michelle Sheehan, Giuseppina Silvestri e, in maniera particolare, il mio supervisor, il prof. Adam Ledgeway. Ringrazio di cuore i colleghi pisani, quelli più vicini alla mia ricerca per interessi come Irene De Felice, Lucia Tamponi e, soprattutto, Francesca Cotugno, che mi è stata di grandissimo sostegno nell’ultimo anno, e quelli con cui ho condiviso il percorso di dottorato: Issam Marjani, Gianluca Cosentino, Adriano Cerri, Debora Ciampi e Dalila Bachis. Ringrazio i miei tutor, i professori Giovanna Marotta e Alberto Nocentini, i colleghi

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Cuzzolin e Paolo Greco, che hanno contribuito a migliorare e a rendere più solida questa ri-cerca, e Benjamín García-Hernández che mi ha sostenuto con entusiasmo nelle fasi finali del lavoro. Infine gli amici, mio fratello Giovanni, Maria che più di tutti mi è stata vicina e mi ha sostenuto nei momenti difficili di questo dottorato, e i miei genitori ai quali questo lavoro è dedicato come punto di arrivo del mio lungo percorso di studi.

Gli esempi riportati in questo lavoro ove non indicata la fonte fra parentesi sono da ritenersi originali.

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La complementazione dei verbi di percezione rappresenta da molti anni un tema di prima-ria importanza nella linguistica passata e recente, e un fertile terreno di incontro di tradizioni di studi fra loro anche molto distanti. Questo terreno è ciò che potremo chiamare con un termine all’attenzione dei recenti contributi, l’interfaccia lessico-sintassi.

Sia dal punto di vista teorico che delle analisi svolte, il tema dei verbi di percezione e delle forme di complementazione complessa da essi governate vede l’incontro di due ampi e nel corso dei decenni frequentati campi di indagine, la semantica e la sintassi. Entrambi i terreni hanno visto modulare l’indagine a seconda dei tempi e dei diversi approcci, inizialmente con una prevalenza del primo, la semantica, poi dalla seconda metà del secolo scorso con mag-giore interesse sulla sintassi. Il primo interesse sui verbi di percezione nasce in seno al fiorire dell’indoeuropeistica ottocentesca, ed è di natura etimologica, comparativa e ricostruttiva. Le radici di questa classe di predicati vengono scomposte, analizzate, comparate fra lingua e lingua, e fra famiglie linguistiche, sia sul piano della forma che del significato, fino ad avere un quadro più o meno definito dei rapporti di parentela, delle filiazioni, infine delle similarità anche di quelle che prescindono dalla filogenesi. Studi iniziati con gli albori della moderna scienza linguistica e di certo non definitivi, ma ancora in corso e vitali in alcuni settori della ricerca, ancorché marginali rispetto a un secolo fa.

L’attenzione per i verbi di percezione è proseguita tramite l’arricchimento dell’indagine tra-dizionale con i portati dello strutturalismo. La “scoperta” delle opposizioni funzionali venne infatti testata anche sul piano del significato; il risultato fu un riordinamento dei predicati in base a nuove categorie distintive il cui fulcro è identificabile nelle opposizioni aspettuali ed azionali, ma anche sulla base di altri rapporti lessematici, talvolta generali, talvolta specifici, delle relazioni fra due o più predicati percettivi.

Un terzo momento è rappresentato dalla linguistica cognitiva, con la quale si arriva a coniu-gare lo studio della categorizzazione linguistica con indagini più generali sui meccanismi epi-stemici dell’essere umano, o, in ottica relativistica ed esperienziale, delle diverse comunità di parlanti. Anche in questo settore i verbi di percezione hanno ricevuto il peso che meritavano, in particolare grazie alla prossimità fra percezione e cognizione, sia sul piano neurobiologico che su quello filosofico e linguistico.

Infine i verbi di percezione sono entrati anche nella ricerca dei più recenti modelli di seman-tica formale, che puntano a una rappresentazione innovativa del lessico e delle sue strutture di sottocategorizzazione sulla base di criteri non più arbitrari (come viene giudicata la lessico-logia tradizionale), ma elicitate tramite l’indagine di grandi corpora linguistici e/o di principi di composizionalità contestuale.

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Sul versante della sintassi, alle prime descrizioni tradizionali fa seguito l’interesse della gram-matica generativa, in particolare nella definizione e analisi di alcune strutture particolarmente ostiche alla teoria stessa, come le frasi infinitive che ricevono particolare considerazione a partire dalla fine degli anni Settanta.1 Si susseguono nella fattispecie tre principali teorie,

quella del “Subject-to-Object Raising”, quella del controllo, e infine quella dell’ “Exceptional Case Marking”. Dell’infinitiva, come di altre costruzioni interessate dai verbi di percezione, si occuperà poi in maniera approfondita la romanistica di orientamento generativo.

Parallela alla ricerca generativa, ma alternativa per assunti, prassi e materiale di indagine, si colloca la scuola funzionalista, che trae linfa dai dati della tipologia linguistica e punta a descrizioni il più possibile accurate della lingua vista nel suo uso effettivo.

Indagine semantica e indagine sintattica rappresentano due dei tre assi primari di interesse che hanno guidato il presente studio. Il terzo è la dimensione diacronica, quella del cambia-mento linguistico in particolar modo entro l’arco della latinità, ma anche utile per future ricerche che vogliano indagare il passaggio fra due sistemi continui per filiazione ma molto diversi nella struttura, il sistema di complementazione latino dei verbi di percezione e quello romanzo.

0.1 Le tre ragioni principali di questo studio

È doveroso cominciare con una domanda, ancorché scontata: perché uno studio sulla complementazione dei verbi di percezione? È possibile, a mio avviso, individuare tre principali motivi, che corrispondono ad altrettante aree di interesse e di riflessione: il primo motivo concerne il campo della semantica, il secondo quello della sintassi, il terzo il cambiamento di alcune strutture nel corso del tempo. Ciascuno di questi tre aspetti deve puntare a chiarire natura, rapporti e funzioni delle forme linguistiche in gioco: il primo, sul piano del lessico, il secondo, delle forme di complementazione, il terzo, della storia dei primi due nell’arco del passaggio dal latino alla compagine romanza.

0.1.1 La complessità semantica

Il primo punto corrisponde al mio primo interesse nei verbi di percezione, che inizia infatti colla semantica. In particolare, mosso dalla straordinaria complessità di polisemie che tali predicati mostrano nelle lingue del mondo. Da un lato l’importanza della percezione da un punto di vista filosofico e neuroscientifico sembra trovare un riflesso diretto nella categoriz-zazione linguistica, dall’altro, le forme linguistiche possono informarci sul nostro modo di concettualizzare la realtà che ci circonda.

La prossimità fra percezione e cognizione è solo uno delle multiple combinazioni che i verbi di percezione possono intrattenere con altri domini semantici, forse la più importante dal punto di vista della riflessione epistemologica. I tre esempi che seguono ci informano in

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maniera immediata su questa polisemia in inglese (Gisborne 2010: 118):2

1. a. Jane saw the Taj Mahal “Jane ha visto il Taj Mahal”

b. I see what you mean “Capisco cosa intendi”

c. Jen is seeing Brad “Jen si frequenta con Brad”

Ciascuno esempio di see ‘vedere’ offre un differente significato: (a) ‘vedere’, (b) ‘capire’, (c) ‘frequentare’.3

Quando la polisemia riguarda due modalità sensoriali abbiamo una sinestesia, non solo con aggettivi e nomi come generalmente sappiamo, ma anche nella categorizzazione verbale, a livello diacronico di evoluzione del significato come nell’inglese feel ‘sentire’ (es. 2.a) che con tutta probabilità indicava in origine la percezione tattile, o sincronico (es. 2.b) come nel verbo svedese känna ‘sentire’ che è usato anche per il gusto e l’olfatto, al pari dell’italiano sentire, verbo principale del campo dell’udito, ma utilizzato anche per gusto, olfatto e dimensione emozionale.

2. a. ingl. feel ‘sentire’ (m.ingl. verbo del tatto, Williams 1976)

b. sv. känna ‘sentire’ (Viberg 1981 e 1983)

c. it. sentire

Infine, di grande impiego sono forme di slittamento del significato tramite processi metafo-rici che finiscono per rendere quasi impossibile risalire al significato primario, come in (3) per l’inglese sound e (4) per la metafora “obbedire è ascoltare” in latino, italiano, inglese, spagnolo e basco. Questo campo è stato indagato in maniera approfondita dalla scuola cognitivista, in particolare da Sweetser 1990 per l’inglese, Ibarretxe-Antuñano 1999 e seguenti per il basco e lo spagnolo, Giura 2016b e in preparazione per il latino.

3. Your plan sounds good! “Il tuo piano sembra bello!” (cfr. it. Mi suona bene)

4. a. lat. Pa: nunc tu ausculta mi, Pleusicles – Pl.: tibi sum oboediens (Pl. Mil. 805-6) “Pa.: Adesso, dammi retta Pleusicle! / Pl.: Obbedisco!” (García-Hernández 1977)

b. it. Ti ho detto che devi ascoltare tua madre b. ingl. I told you to listen to your mother c. sp. Te he dicho que escuches a tu madre

2 Per uno studio sull’italiano vedere nei suoi usi letterari e metaforici si veda Marotta 2011; sulla sinestesia in

italiano Catricalà 2012.

3 Alm-Arvius (1993: 350-1) elenca nove diversi significati del verbo see: (1) ‘perceive visually’, ‘perceive with

the eyes’, ‘set (clap) eyes upon’: Ravina neither saw nor heard the boat approach. (2) ‘understand’, ‘realize’, ‘grasp’, ‘comprehend’, I don’t see why playing the piano should be considered an intellectual pursuit. (3) ‘consider’, ‘judge’, ‘regard’, ‘view’, ‘think of’, He sees things differently now that he’s joined the management. (4) ‘experience’, ‘go through’, You and I have certainly seen some good times together, (5) ‘find out’, ‘check’, ‘ascertain’, Let’s see what’s

on the radio. Switch it on, will you. (6) ‘meet’, ‘visit’, ‘consult’, ‘receive’, This is the first time he’s been to see us since he went blind. (7) ‘make sure’, ‘attend to’, ‘ensure’, ‘look after’, Don’t worry about using up the rest of the food: the children will see to that. (8) ‘escort’, ‘accompany’, ‘go with’, I really should see you home, it’s not safe to be out alone in this city after dark. (9) ‘take leave of’, ‘send of’, “I wanted to come and see you of’’, he had told her (ess.

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d. bas. Seme batak ez eukan entzunik “One of the sons was not obedient”

(Ibarretxe-Antuñano 1999: 65)4

0.1.2 La ricchezza sintattica

Se spostiamo l’attenzione dal piano lessicale a quello della sintassi, abbiamo modo di os-servare la stessa ricchezza, in questo caso in termini di strutture. In molte lingue i verbi di percezione reggono un alto numero di strutture subordinate. Come si vede dall’esempio (5), ciascuna di queste lingue (italiano, francese, spagnolo, greco moderno, inglese, tedesco), prese dalla famiglia indoeuropea, mostra una diversa forma di complementazione retta da un predicato dello stesso significato, ‘vedere’. Una frase infinitiva in italiano (5.a), una frase a verbo di forma progressiva come in francese col participio/gerundio (5.b), o come l’ing-form nell’inglese (5.e), l’ing-forme a verbo finito come in greco moderno (5.d) lingua che, come è tipico dell’areale balcanico, ha perso le forme di infinito e le ha rimpiazzate in questo con una congiunzione na (dal greco antico hìna) e il verbo al congiuntivo, una frase cosiddetta pseudorelativa (5.c) tipica delle lingue romanze e assente nell’antecedente latino, infine una completiva esplicita (5.f), o that-clause per la famiglia germanica e que-clause per quella ro-manza (5.g).

5. a. it. Ho visto [Maria leggere il giornale] b. fr. J’ai vu [Marie mangeant la pomme] c. sp. Vi [a María que comía una manzana]

d. gr. Ida [tin Maria na troi to milo] (Guasti 1993: 7) e. ing. We saw [Mary leaving]

f. ted. Ich habe gesehen, [dass Maria abgefahren ist] g. port. Vi [que eles tocavam Stravinsky]

E ancora, anche una singola lingua può mostrare grande varietà di strutture. In inglese (cfr. fra gli altri Akmajian 1977, Felser 1999, Ono 2004, Gisborne 2010) ad esempio ne troviamo quattro: that-clause (6.a), due tipi di frase infinitiva (6.b e 6.c “prepositional infinitive and bare infinitive”), e ing-form (6.d), lo stesso in spagnolo (si veda in prospettiva romanzo-com-parativa Ciutescu 2013 e Sheehan 2016): que-clause (7.a), frase infinitiva (7.b), gerundiva (7.c) e pseudorelativa (7.d).

6. a. That-clause We saw that John was drawing a circle (Felser 1999: 2)

b. Infinitival clause We saw John to be a good student (Ivi) c. Infinitive clause We saw Mary leave (Ivi)

d. ing-form We saw Mary leaving (Ivi)

4 La stessa interferenza fra ambito dell’udito e dell’obbedienza la troviamo nelle lingue classiche, in latino obo-edio ‘obbedire’ da audio ‘udire’ (vedi García-Hernández 2001), in greco hypakoúō, ‘ascoltare, obbedire’ da akoúō

‘udire’, sanscrito śruṣṭí- ‘obbedienza’ cfr. śru- ‘udire’ (vedi Clackson 2007: 52). Per tutto questo si veda Giura 2016b con esempi da altre lingue.

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7. a. que-clause Vi que María estaba pintando la pared

b. Infinitiva Vi a María pintar la pared

c. Gerundiva Vi la gente luchando por sus derechos

d. Pseudorelativa Vi a María que comia una manzana

Dal punto di vista della diffusione di una singola struttura, la frase infinitiva ricorre in tutte le lingue dell’Europa eccenzion fatta, come già accennato, per l’areale balcanico. Al punto (8) sono rappresentati a grandi linee i gruppi romanzo (italiano, francese, spagnolo e portoghe-se), e germanico (inglese, tedesco, olandese e danese).

8. a. it. Ho visto Maria leggere il giornale

b. sp. Vi a María leer el diario

c. fr. J’a vu Marie lire le journal

d. pt. Eu vi os meninos ler(em) esse livro (Raposo 1989: 277)

e. in. I saw Mary read the newspaper

f. ted. Wir sahen Hans schlafen (de Geest 1970: 33 in Felser 1999: 204)

g. ol. Ik hoor Kaatje zingen (Ivi)

h. da. Jeg hørte hende synge (Jespersen 1921 in Felser 1999: 204)

0.1.3 Persistenza o Discontinuità: diacronia della costruzione percettiva

Il terzo punto è necessario per comprendere la scelta di isolare lo studio della complemen-tazione dei verbi di percezione da altre classi di predicati che condividono le stesse forme sintattiche. Si tratta infatti di una storia di straordinaria resistenza, quella della costruzione infinitiva che sembra continuare recta via dal latino al romanzo solo con due classi di verbi, quelli di percezione e quelli causativi. Per quanto riguarda i primi abbiamo in latino la cosid-detta AcI (Accusativus cum Infinitivo, 9.a) che sembra proseguire inalterata in italiano antico (si veda in seguito) (ess. da Boccaccio 9.b e Pietro Aretino 9.c) e in italiano moderno (9.d), con un infinito (recipere, cacciare, fiutar e leggere) dotato di soggetto (senem, a un cacciator,

porci, Maria) ed eventualmente di ulteriori argomenti (se, una giovane, le rose in un giardino, il giornale), il tutto retto da un predicato percettivo (uideo e vedere).5

9. a. Latino: Video recipere se senem (Pl. Au. 710) “Vedo il vecchio tornare indietro” b. Italiano antico (XIV sec.): Qui vede cacciare a un cavaliere una giovane (Bocc. Dec. 5.8.1)

c. Italiano (XVI sec.): vede tanti porci fiutar le rose in un giardino (Aret. Dial., Giorn. 1, 339. Cfr. Robustelli 2000)

d. Italiano contemporaneo: Vedo Maria leggere il giornale

Questa apparente persistenza, che è tutta ancora da confermare, solleva importanti inter-rogativi sull’evoluzione morfosintattica, o almeno sulla nostra ricostruzione dei cambiamenti linguistici che sono avvenuti nel passaggio fra latino e lingue romanze. Allo stesso modo sti-mola domande sull’origine e sullo statuto della costruzione infinitiva in latino e nelle lingue

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della famiglia indoeuropea. Ciò che abbiamo sono solo deboli ipotesi, ma queste saranno affrontate nel corso di questo studio, affinché si riesca a dare ragione dell’evoluzione almeno nel corso della fase latina.

Primo fra tutti il fatto che la continuità della complementazione infinitiva appare in netta controtendenza con il paradigma, adottato dalla sintassi generativa, dell’evoluzione da una struttura prevalentemente non-configurazionale come quella del latino a una configuraziona-le qual è quella delconfiguraziona-le lingue romanze (si veda l’applicazione che ne fa Ledgeway 2012, e il par. 2.3.1 di questa tesi). Se accogliamo questo approccio, l’infinitiva viene considerata una strut-tura ereditaria del sistema ipotattico indoeuropeo, sistema tipicamente non-configurazionale, che poi, gradualmente, nel corso dei secoli ha perso terreno in favore di costrutti a verbo finito e complementatore esplicito. In latino si fa riferimento alle nuove funzioni generate dai complementatori quod, quia e quoniam seguite da verbo finito (indicativo o congiuntivo) a partire dal I d.C. (Herman 1963), che vanno poco a poco a rimpiazzare l’infinitiva in tutte le costruzioni eccetto che quelle causativa e percettiva. Questo cambiamento sarebbe coerente con una naturale evoluzione di ordine tipologico (Cuzzolin 1994) che vedrebbe l’infinitiva come un dispositivo anomalo e debole (meno prototipico, e sottospecificato sul piano modale e dunque illocutivo) dal punto di vista strutturale già nel sistema ipotattico latino.

Per contro, a differenza delle altre lingue indoeuropee (Coleman 1985), non c’è dubbio che la frase infinitiva abbia avuto un enorme successo all’interno del latino in maniera particolare, che si è tradotta in una diffusione massiva prima con un numero ristretto di predicati, poi andando a occupare buona parte del sistema di complementazione.

Il tema è dunque come nasce, si sviluppa e si diffonde la costruzione AcI in latino, qual è il suo destino una volta entrata in concorrenza con le forme di complementazione finite, e perché sembra sopravvivere solo con verbi causativi e verbi percettivi. È questo un tratto di continuità oppure questa persistenza è solo apparente e quelli che si susseguono nei secoli fra latino e romanzo sono in realtà pattern sintattici di diversa natura (in particolare ci riferiamo ai concetti di monofrasalità e bifrasalità con cui sono state analizzate le strutture infinitive ro-manze. Per dei brevi cenni e riferimenti bibliografici si rimanda alle conclusioni a questa tesi)? Gli studi sul latino che appartengono a quel versante che potremo chiamare di trait d’union fra latino, e più esattamente latino tardo, e romanzo, sono andati concentrandosi sull’emer-gere della cosiddetta costruzione dicere quod (Cuzzolin 1994), sulla sua diffusione sul piano lessicale, e sui secoli di concorrenza fra questa e la AcI latina, in massima parte fra VI e VIII sec., con punte di indagine in fonti letterarie e documentarie latine di epoca successiva. Resta a noi una migliore definizione delle costruzioni latine al fine di tentare un’ipotesi forte su questo grande mutamento che ha investito l’intero sistema latino, ma che sembra aver lasciato notevoli tratti di continuità (Salvi 2011). Lo faremo attraverso un unico punto di osservazio-ne, quello scorcio rappresentato dalla complementazione dei verbi di percezioosservazio-ne, sistema che è protagonista dell’intera vicenda dalla protostoria del latino fino ai giorni nostri.

0.2. Tema e Scopi

Il tema della mia indagine è l’analisi semantica e sintattica della complementazione dei verbi di percezione nella lingua latina. Particolare attenzione viene dedicata all’interazione fra proprietà lessicali e combinazioni sintattiche.

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strutture, una descrizione di tutte le possibili strutture governate da verbi di percezione in latino, e di segnalarne la distribuzione nei testi e l’andamento nel corso dei secoli. Questo stu-dio concerne ciò che chiamiamo interfaccia lessico-sintassi, ma declinato in una prospettiva diacronica che consideri l’intero arco della latinità.

Ampio spazio verrà dato alla frase infinitiva (10), alla sua origine ed evoluzione collocando il ruolo dei verbi di percezione in quel più ampio processo di espansione di questa struttura nel sistema latino. Cercheremo di comprendere la relazione che intercorre fra l’infinitiva e la costruzione participiale (11), che è propria quasi esclusivamente dei verbi di percezione, raggiungendone una più efficace definizione. Tratteremo anche delle costruzioni iussive con

ut e congiuntivo (12) che accomunano i verbi di percezione alle costruzioni causative del

tipo facio ut, aspetto sensibilissimo specie nell’ottica della prossimità sintattica osservabile fra costruzioni percettive e causative nelle lingue romanze. Infine le costruzioni interrogative indirette pure interessate alla capacità complementativa dei verbi di percezione (13).

10. (Eam) tristem astare aspicio (Pl. Cas. 228) “la vedo triste stare in piedi”

11. Vnde exeuntem me aspexistis (Pl. Au. 3) “Dalla quale (casa) mi avete visto uscire”

12. Vide, fur, ut sentis sub signis ducas (Pl. Cas. 720) “Ladro, vedi di tenere nei ranghi i rampini” 13. Vide quid scriptum est (Pl. Cas. 378)

“Vedi che c’è scritto”

0.3 Prospettiva di indagine

Il presente studio è essenzialmente descrittivo e ha lo scopo di fondare le sue basi su dati effettivamente attestati in quanto estratti da un corpus. Questo primo assunto empiristico, tradotto nello studio di una lingua classica come il latino, per di più inserito in un’indagine che non intende limitarsi alla descrizione sincronica, significa un’imprescindibile attenzione anche filologica oltre che linguistica, consapevoli del fatto che «il linguista che non lavora sui testi è sordo alla storia» (Lazzeroni 1998: 49), e ancora che «l’attività del linguista e del linguista storico in particolare dovrebbe essere fondata [...] su due “pilastri”: uno è la salda convinzione scientifica che le lingue siano innanzitutto tecniche storico-culturali, l’altro è l’attenzione consequenziale nei confronti delle vichiane “pruove filologiche”» (Mancini 2003 (ed.): VIII).

In linea con la più recente opera di sintassi latina, The Oxford Latin Syntax di Harm Pin-kster, questa indagine di semantica e sintassi si colloca in senso lato entro i confini di un approccio funzionalista (Dik 1997, Givón 2001), nella convinzione che «language is regar-ded as an instrument for human communication and not as an autonomous formal device. An adequate grammar must take this communicative aspect into account and pay attention to the contexts and situations in which utterances are produced» (Pinkster 2015: 7). Della stessa linea fanno parte anche le altre due più recenti opere fondamentali per lo studio della

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sintassi latina, la Sintaxis del latín clásico a cura di José Miguel Baños Baños (2009) dedicata al latino di epoca classica, e i volumi della Grammaire fondamentale du latin editi da Peeters e diretta da Guy Serbat (1994-2003), in particolare quello edito da Colette Bodelot dedicato alla complementazione (2003).

Particolare attenzione viene data a quelle tendenze che possono in qualche modo consentir-ci previsioni sul mutamento che investe le strutture oggetto dello studio, anche in relazione agli sviluppi romanzi, servendo in qualche modo da base per future indagini in quel filone di studi che spesso viene sottotitolato dalla dicitura “from Latin to Romance” (si pensi prima di tutto a Ledgeway 2012, ma anche a Nocentini 2005 e recentemente, in ambito fonologico, a Loporcaro 2015).

Dal momento che il tema delle complementazione dei verbi di percezione, come ricordato, ha raccolto un ampio interesse da parte di molteplici approcci, e nonostante abbiamo operato una scelta di fondo nel prediligere l’approccio funzionalista, questo lavoro risulta per certi versi “polifonico”, in quanto cerca di tenere conto dei dati forniti dai diversi orientamenti di ricerca. Lo sforzo di sintesi che ci siamo proposti è possibile infatti non a partire da un punto di vista parziale, bensì considerando ogni prospettiva di indagine sui verbi di percezione e sulle strutture sintattiche a essi collegate. L’accuratezza descrittiva, a mio avviso, non è propria di un singolo punto di vista, né tanto meno di un unico modello di analisi, quanto piuttosto della molteplicità di angolature da cui è possibile osservare uno stesso fenomeno, unica via per evitare di rimanere impigliati nei lacci di una visione, e di una prassi di ricerca, monolitica e spesso obsolescente.

0.4 Metodologia

La descrizione e l’interpretazione dei dati raccolti sono state prese entrambe in considera-zione tenendo conto dei due assi prospettici, quello sincronico e quello diacronico, al fine di costruire una sintesi più adeguata delle strutture sintattiche che coinvolgono i verbi di per-cezione in latino. Per sintesi si intende la messa in conto di tutte le informazioni che è possi-bile estrapolare dal dato testuale, analisi sui corpora, siano esse di natura aspettuale/azionale, semantico-lessicale, morfosintattica o puramente sintattica. In questo prevale la prospettiva sincronica, accresciuta dall’analisi quantitativa della distribuzione di tali strutture all’interno dei corpora.6

L’interpretazione dei dati mira invece a far luce sulla cosiddetta interfaccia lessico-sintassi lungo l’intero arco della latinità, calibrando dunque la lettura sull’asse diacronico (il che pre-vede di portare l’attenzione anche sulle fasi tarde del latino).

Il metodo di indagine impiegato prevede l’esplorazione di un ampio corpus (ca. 500.000 parole). Si è costruito un corpus lessicale latino di soli verbi di percezione, divisi in base ai sensi, più precisamente vista, udito e percezione generica, comprendendo quei verbi che sono dotati nel loro spettro semantico di almeno un significato percettivo. Ciò ha a che fare con il problema della classificazione in classi verbali, in quanto verbi indicanti in prima istanza significati di azioni fisiche come nel latino accipio ‘prendere’ o attendo ‘tendere’ (sia cronologi-camente sia per prototipicità semantica), possono esprimere significati secondari o anche

pri-6 Dato questo quanto mai interessante per capire la produttività di certe forme come dimostrano gli studi di

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mari percettivi come ‘udire’ per entrambi i verbi, e viceversa verbi originariamente percettivi come exspecto ‘fare attenzione’ (dall’intensivo frequentativo specto di spicio ‘guardare’. Si veda il par. 4.7) presentano valori traslati ampiamente attestati come ‘attendere’, ‘aspettarsi’ che più niente hanno a che fare con la percezione. Il criterio di scelta è stato quello di selezionare i verbi strettamente percettivi, intendendo per “percettivo” ciò che ha a che fare esclusiva-mente con i cinque sensi più la percezione generica (panestesica o poliestesica), sia per motivi semantici che per motivi formali, e di escludere i verbi di natura esclusivamente cognitiva, esprimenti cioè attività mentale, o di altri campi semantici attigui o molto spesso intrecciati a quello sensoriale come quelli dell’obbedienza, del comando, del controllo, dell’emotività, ecc. Fra questi si è poi ulteriormente selezionato quei verbi in grado di reggere costruzioni subordinate complesse.

Le strutture dipendenti vengono così estrapolate sulla base delle reali attestazioni nel cor-pus, conteggiate, e divise per tipologia. Al tempo stesso si procede all’analisi dei contesti per una maggiore definizione dei valori semantici, sintattici e funzionali, sia dei lessemi coinvolti negli enunciati che delle intere costruzioni, per poi ricavare i tratti prototipici, anche in ter-mini di distribuzione, e quelli devianti dalla “norma”, marginali o sfumati.

0.5 L’ipotesi generale

L’ipotesi generale che è venuta formandosi nel corso di questa ricerca si concentra sul punto più dibattuto nel campo della complementazione dei verbi di percezione fra latino e roman-zo, e cioè la costruzione infinitiva con il soggetto in accusativo. Mentre le altre forme subor-dinate – completive al congiuntivo e interrogative indirette – sembrano conservare tratti di continuità seppure con materiali sintattici differenti, le infinitive, insieme alle costruzioni participiali, seguono un percorso meno chiaro.

La nostra proposta di ricostruzione muove dal quadro tracciato in Coleman 1985, secondo cui all’emergere delle distinzioni temporali nelle forme di infinito corrisponderebbe la nascita dei significati cognitivi propri delle costruzioni con verbi di percezione.

La costruzione infinitiva si presenta con i verbi di percezione fin dagli albori della sua formazione, e rappresenta inizialmente la percezione fisica e diretta di un evento. In questo senso nasce in concorrenza con la costruzione participiale del tipo uideo te exeuntem che pure esprime percezione diretta. L’origine della frase infinitiva latina è infatti quella di un “doppio accusativo” iubeo te abire “ti ordino di andartene”, dove un verbo regge un oggetto diretto

te in accusativo, destinatario dell’azione, più un infinito che potremmo chiamare prolativo

o circostanziale, dove ancora era riconoscibile la sua natura nominale. Il passaggio da questo tipo di costruzione all’infinitiva vera e propria è un salto, o in termini linguistici una rianalisi, che unisce l’oggetto diretto all’infinito anziché al suo predicato: dico te abire “ti dico di andar-tene” dove il legame diretto fra te e dico è impossibilitato dalla natura stessa di dico che non può reggere accusativi di persona.

Così era per la costruzione percettiva: uideo te abire “ti vedo andar via” presentava inizial-mente la prima interpretazione di doppio accusativo, in quanto i verbi di percezione avevano questa possibilità. In un secondo momento la rianalisi ha investito così come i verbi iussivi anche quelli percettivi, ed è stata la leva che ha dato il via a quella diffusione massiva dell’in-finitiva cui abbiamo già fatto cenno. Ne è nata una vera e propria frase subordinata dotata di un soggetto in accusativo, di un verbo (l’infinito) e di argomenti autonomi rispetto alla frase

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matrice. L’infinito col tempo, da verbo nominale a forma unica (attivo -se > -re da una termi-nazione di locativo, passivo -i da una desinenza di dativo), privo di modulazione temporale, sviluppò anche le forme di passato e futuro, accrescendo il proprio statuto proposizionale.

La rianalisi e le nuove possibilità sintattiche di questa costruzione hanno portato alla nascita di un significato alternativo nel sodalizio verbo di percezione + infinitiva, quella che chiamia-mo interpretazione o funzione cognitiva, o percezione indiretta. Un nuovo significato, nato sulla base di un processo metaforico tanto comune nelle lingue quanto a lungo indagato da più punti di vista, qual è quello fra percezione e cognizione, che trova coerenza nell’espansio-ne della struttura infinitiva fra i predicati di natura cognitiva come ‘pensare, ritenell’espansio-nere, ecc.’ e dichiarativi come ‘dire, affermare, rispondere, ecc.’ Nella nostra visione è il significato cogni-tivo il tratto innovacogni-tivo.

Col tempo sono proprio queste aree di significato, quella cognitiva per i verbi di percezione e per i verbi cognitivi, quella dichiarativa con i verbi dichiarativi, di opinione, ecc. a cedere alle strutture a verbo finito e complementatore, che sono il risultato di quel lungo processo che forse trova ragione nella coerenza tipologica e motivo di affermazione nell’eccezionalità, più unica che rara, della massiccia (e anomala) diffusione dell’infinitiva. A tenere in vita que-sta anomalia sarà l’ostinazione dei registri più sorvegliati, sia in età tardo-antica che in epoca romanza, quando vedremo costrutti latineggianti come Io credo Marco essere un ottimo alunno.

Ad ogni modo la funzione cognitiva trova il suo sbocco naturale nella complementazione finita così come avviene per altri predicati affini. Non ce la sentiamo di formulare un’ipotesi sulla protostoria di questa funzione prima che fosse presa in conto dalla costruzione infinitiva, ma di certo il latino avrà utilizzato altre risorse altrettanto complesse. L’infinitiva sembra pro-seguire invece nella sua funzione percettiva che è quella che conserverà nelle lingue romanze medievali e moderne. A questo punto due diverse ipotesi si aprono: la prima ci porterebbe a considerare l’infinitiva originaria percettiva latina e quella moderna romanza due strutture uguali e continue, con una grande parentesi in cui, attraverso le nuove funzioni, si sono af-fiancati, e in certi casi confusi, i significati cognitivi. In questo senso, vista la natura dell’in-finitiva romanza, dovremmo immaginare un processo di rianalisi inverso, in un certo senso ciclico, da valore nominale e funzionalità sintattica ridotta (uideo te abire = iubeo te abire) ad infinitiva piena nella protostoria latina, e di nuovo da infinitiva piena a funzionalità sintat-tica ridotta nelle lingue romanze, le quali mostrano un irrigidimento della struttura in quel processo che è stato chiamato in vario modo ristrutturazione, “clause union”, monofrasalità (alla fine un processo di grammaticalizzazione, o se vogliamo di ausiliarizzazione in cui verbi pienamente lessicali si fanno verbi funzionali o parzialmente tali). A differenza delle strutture causative dove il processo di fusione frastica fra verbo matrice e infinito sembra essersi com-pletato, nei verbi di percezione il processo sarebbe rimasto incompiuto.

La seconda ipotesi invece, vede la naturale scomparsa delle strutture infinitive nel passaggio dal latino tardo al protoromanzo e la persistenza di tali forme dovuta esclusivamente all’in-flusso del modello latino, proprio come avvenuto per costruzioni come la cosiddetta infinitiva alla latina del tipo Maria riteneva esserci un problema grave (Rohlfs 1969: § 706, Pountain 1998). D’altra parte è possibile anche conciliare entrambe le ipotesi, specie se teniamo conto di quanto stretto sia stato il ruolo del modello linguistico latino nel processo di formazione dei volgari letterari (si veda alcune riflessioni in Sornicola 1995 e Greco 2016). L’interferen-za del latino come modello di prestigio sulle lingue romanze è intensa e attiva su più livelli. Da un lato vi sono forze, per così dire, interne al mutamento latino-romanzo, che spingono alla semplificazione sintattica dell’uso dell’infinito: permane solo l’infinito prolativo con o senza preposizione e quello a soggetto prevalentemente coreferenziale in dipendenza da verbi

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funzionali e semi-funzionali come volitivi, conativi, modali, causativi, ecc., dall’altro i verbi di percezione poco si prestano a questa semplificazione in quanto come predicati matrice di frasi dichiarative dovrebbero mutare nelle costruzioni completive a verbo finito, la struttura romanza che consente la complementazione complessa con un soggetto non coreferenziale. Il latino forniva un modello immediatamente disponibile per la conservazione dello schema ad accusativo più infinito, anche se irrigidita da una semi-ausiliarizzazione dovuta alla pressione del sistema romanzo. Una volta appurata la disponibilità del modello, era necessaria una ra-gione funzionale affinché quel modello fosse integrato, e questa rara-gione non può che essere l’emergere della distinzione funzionale percettivo/cognitivo anche su base sintattica, quando in latino i due tipi semantici erano solo parzialmente rappresentati dal binomio costruzione infinitiva e costruzione participiale.

Per quanto riguarda la complementazione participiale vedremo come questa trarrà vantag-gio, oltre che da fattori stilistici e di genere testuale, dall’avanzare della funzione epistemica in carico all’infinitiva, per poi però scomparire quasi del tutto nel passaggio alle lingue romanze, in parte sostituita dal gerundio in lingue come il francese, lo spagnolo e il sardo.

0.6 Problemi di indagine

Esistono due problemi principali per l’indagine che ci siamo proposti. Il primo che riguarda lo status della lingua latina, il secondo gli strumenti di indagine.

Il latino, inteso come lingua classica, è una lingua cosiddetta a corpus chiuso, nel senso che, non essendo più una lingua viva, vive di un repertorio di testi numericamente limitato e cronologicamente definito entro un inizio, le prime attestazioni epigrafiche risalenti al VII a.C., e una fine collocabile convenzionalmente con le prime testimonianze scritte dei volgari romanzi (IX sec.). Il corpus di testi che abbiamo scelto per questa indagine va dal III a.C. (Plauto) agli inizi del VI d.C. (Historia Apollonii Regis Tyri). Il problema principale della ri-cerca linguistica in questo campo è dunque l’assenza del dato negativo, ovvero del giudizio dei parlanti sulla non grammaticalità di una certa istanza. Ciò che osserviamo in un corpus di questo genere rappresenta materiale certamente disponibile ai parlanti dell’epoca, ma non siamo in grado di sapere nulla su ciò che non era previsto dalle possibilità del latino. Le costruzioni che abbiamo rilevato sono con massima probabilità le uniche possibili nell’in-ventario della complementazione dei verbi di percezione latini, ma sulla combinazione fra predicati e strutture (selezione sintattica) il nostro grado di sicurezza si fa ben più incerto: non possiamo dire con certezza ad esempio che un verbo come contemplor non reggesse anche la costruzione participiale. Ciò che possiamo affermare è che tale combinazione non compare nel nostro corpus, né nelle indagini supplementari che abbiamo talvolta svolto su un corpus più ampio. La semplice disponibilità non può essere argomento sufficiente per comprendere la reale distribuzione nella produzione linguistica né parlata e quotidiana, né scritta e lettera-ria. Possiamo solo attestarne la maggiore o minore frequenza. Per di più, pur non avendo la pretesa di introdurre, se non saltuariamente e perlopiù a livello lessicale, variabili di natura sociolinguistica, l’indagine su una lingua a corpus chiuso, dunque confinata nel passato, deve porsi fra gli obiettivi quello sintetizzato da Labov nell’espressione «make the best use of the bad data» (1994: 11). Come messo in luce recentemente da Cantos (2012: 104), un aiuto può giungere dalla linguistica computazionale, cioè dalla possibilità di scandagliare enormi quantità testuali attraverso strumenti elettronici al fine di rilevare fenomeni altrimenti

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disper-si nel materiale storico che la tradizione ci ha consegnato in maniera frammentaria.

Il secondo problema però è legato proprio all’insufficienza degli strumenti elettronici di cui oggi disponiamo per svolgere una ricerca su una porzione, ancorché limitata, della sin-tassi latina. L’assenza di corpora di medie e grandi dimensioni annotati dal punto di vista morfosintattico, che ad esempio siano in grado di elicitare non solo le parti del discorso ma anche i tempi e i modi verbali, fa sì che, anche disponendo di repertori di testi digitalizzati, la maggior parte della ricerca sia manuale.7 Per quanto alcune risorse come quelle che abbiamo

usato, si veda su tutti SNS Greek & Latin (in seguito), per l’esplorazione del corpus latino PHI Latin, consentano la ricerca di elementi multipli, l’assenza di metadati morfosintattici rende estremamente difficile l’indagine su fenomeni di sintassi come quello che ci siamo pro-posti di investigare. La complementazione infatti prevede la ricerca di due elementi: il verbo reggente, in tutte le sue forme, e che è parte di un gruppo più o meno definito di lessemi (nel nostro caso siamo interessati ai verbi di percezione), e la frase incassata, a partire dal predica-to, che non è sintatticamente determinato (può essere qualunque tipo di predicato), e dunque è da ricercare in base alla forma (infinito, participio, ecc.): soprattutto per il latino la forma del predicato incassato è dotata di terminazioni altamente sincretistiche: pensiamo solo alla terminazione -re degli infiniti presenti attivi, che nella ricerca può facilmente confondersi con l’ablativo singolare dei temi in -r- del tipo robur, con i neutri in -e (< -i ) e liquida tipo mare, ecc. O a l’estrapolazione delle forme dell’infinito passivo dei tempi storici dotato di tutte le terminazioni nominali e dunque confondibile con sostantivi e aggettivi.

Questa difficoltà fa sì che l’esplorazione di un corpus latino non morfosintatticamente annotato sia estremamente imprecisa nell’estrapolazione del secondo elemento della comple-mentazione. Se sul primo elemento (il predicato matrice) la ricerca sulla radice verbale con-sente un grado sufficiente di accuratezza, la selezione dell’elemento subordinato è una pratica essenzialmente manuale: si tratta insomma di analizzare istanza per istanza e di estrarre le forme che ci interessano.

0.7 Il piano della ricerca

Il presente studio è organizzato come segue: nel Capitolo 1 “Definizioni e Categorie” ven-gono fornite le definizioni necessarie per l’analisi che ci siamo promessi di svolgere; viene definita la complementazione e alcune categorie che la letteratura precedente ha formulato e adottato nella descrizione dei fenomeni, e vengono presentati i diversi approcci al tema di indagine, riservando particolare attenzione al quadro funzionalista, la cui cornice abbiamo

7 Esistono strumenti che lavorano su corpora annotati in grado di estrarre da un lessema l’intera struttura

argomentale, compresa delle costruzioni complesse. Penso ad esempio per l’italiano al progetto “Lexit” a cura dell’Università di Pisa (http://lexit.fileli.unipi.it/index.php?lang=it) che lavora sul corpus “La Repubblica” e sul corpus “Wikipedia Italia”. Tuttavia esistono alcuni progetti di annotazione morfosintattica di corpora del latino: uno è il corpus “Opera latina” (1,7 milioni di parole) a cura del LASLA, Laboratoire d’Analyse Statistique des Langues Anciennes di Liegi (Denooz 1998 e 2010), che però non consente di effettuare ricerche su due elementi in combinazione (si veda inoltre il progetto “LatSynt”: Longrée et al. 2010, Longrée & Purnelle 2014); un altro è “The Latin Dependency Treebank” a cura della Tutfs University e dell’università di Lipsia (https:// perseusdl.github.io/treebank_data/), per l’Italia si veda The Index Thomisticus Treebank Project (http://itreebank. marginalia.it/), a cura di Marco Passarotti.

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scelto di adottare in questo studio.

Il Capitolo 2 “Stato dell’arte” riassume le più importanti questioni relative al latino, in particolare le teorie relative alla nascita e allo statuto della frase infinitiva nelle lingue indoeu-ropee e, nello specifico, in latino; gli studi sulle fasi del cambiamento che porta alla scomparsa di questo costrutto in favore di nuove strutture.

Nel Capitolo 3 “Strumenti – Corpus – Strutture” si tratta degli strumenti utilizzati nell’in-dagine, quelli digitali e informatici e quelli tradizionali; viene inoltre data ragione del corpus di testi latini che è stato esplorato per questo studio e viene fornito il campione lessicale su cui si basa la ricerca (39 predicati percettivi latini combinabili con forme di complementazione) e le quattro costruzioni presenti in latino in dipendenza da questi verbi (costruzione infinitiva, costruzione participiale, interrogativa indiretta e costruzione iussiva) con una descrizione dei tratti sintattici.

Il Capitolo 4 “Interfaccia lessico-sintassi” è dedicato all’analisi dell’interazione fra predicati percettivi e forme sintattiche. Il campione lessicale è diviso in sette classi sulla base delle co-struzioni rette, e ciascuno verbo viene discusso nelle sue caratteristiche semantiche e sintatti-che in stretta relazione con le strutture di complementazione.

Infine il Capitolo 5 “Analisi quantitativa delle costruzioni” analizza le occorrenze di tali costruzioni nel corpus di riferimento tracciandone gli andamenti nel corso dei secoli. Si af-fronta inoltre uno dei temi cardine della complementazione dei verbi di percezione non solo in latino, quello delle due funzioni di base, quella percettiva e quella cognitiva, che in latino solo in parte trova riscontro nella selezione di due diverse strutture sintattiche.

Nella conclusione vengono ripercorsi i risultati principali della ricerca inserendo i dati ac-quisiti in un quadro ricostruttivo più ampio che tenga conto dell’evoluzione del sistema complementativo nell’arco della latinità e che potrà essere utile per future indagini sulla fase protoromanza e romanza. Oltre alla componente descrittiva (campionamento delle strutture di complementazione e dei lessemi percettivi interessati, descrizione del livello di interazione fra fattori semantici e sintattici per ogni predicato e per classi di predicati), mostreremo come sia possibile individuare alcuni tratti sintattici e semantici che consentono di distinguere le due funzioni codificate dalla costruzione infinitiva: quella percettiva e quella cognitiva. No-teremo poi che l’impiego dell’infinitiva aumenti fra latino arcaico e latino classico, e insieme cresca, in linea con l’espansione di questa struttura fra i predicati di tipo dichiarativo, anche l’interpretazione epistemica a svantaggio di quella percettiva. Per contro vedremo che la co-struzione participiale tende ad aumentare in particolare in epoca post-classica, e che, pur es-sendo questa una costruzione deputata esclusivamente a rappresentare la percezione diretta, è possibile riconoscere nello statuto più aggettivale e in una complessità sintattica ridotta i tratti distintivi rispetto all’infinitiva di tipo percettivo. Classificheremo inoltre le varie forme di interrogativa indiretta, soffermandoci su ut e indicativo, un tipo di frase che potrebbe essere classificata come strategia di complementazione utile a esprimere ancora la percezione diretta. Infine tratteremo della costruzione con ut e congiuntivo, attribuendo ad essa una funzione causativa, come categoria generale che comprende il sotto-tipo iussivo.

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“Syntactic complexity – the embedding of one clause inside another – is but a natural consequen-ce of cognitive-semantic complexity nesting one event inside another” (Givón 2001: II, 40)

1.0 Introduzione 1.1 La complementazione 1.1.1 L’approccio tradizionale 1.1.2 L’approccio generativo 1.1.3 L’approccio funzionale 1.2 I verbi di percezione 1.2.1 Studi tradizionali 1.2.2 Strutturalismo 1.2.3 Tipologia 1.2.4 Cognitivismo 1.3 VP e complementazione

1.3.1 Conoscenza e acquisizione di conoscenza 1.3.2 Percezione diretta

1.3.3 Percezione indiretta vs. Percezione diretta 1.3.4 Percezione, complementazione ed evidenzialità 1.4 Conclusione

1.0 Introduzione

In questo capitolo daremo conto della cornice entro cui si colloca il presente lavoro, e for-niremo le definizioni sotto forma di categorie, principi e proprietà, necessarie all’analisi che qui ci proponiamo. Dopo alcuni cenni sull’approccio tradizionale (1.1.1) e su quello gene-rativo (1.1.2) al tema della complementazione, ci concentreremo sulla sistemazione fornita dalla grammatica funzionale (1.1.3). Insieme presenteremo una rassegna degli studi dedicati ai verbi di percezione nelle lingue del mondo e a partire da molteplici indirizzi della lingui-stica (indoeuropeilingui-stica, semantica strutturale, tipologia, semantica cognitiva, par. 1.2). Alla combinazione della dimensione sintattica (forme di complementazione) e di quella semantica (caratteristiche dei verbi di percezione) è dedicato il par. 1.3, con una descrizione delle prin-cipali costruzioni e funzioni in diverse lingue del mondo (in particolare la funzione percettiva e quella epistemica), e delle proprietà morfosintattiche e semantiche che tipicamente vi si riscontrano.

La scelta dell’approccio funzionale è per così dire naturalmente derivata dal tema proposto, dal momento che fa riferimento al contenuto lessicale, elemento inseparabile dalla struttura sintattica, in modo particolare in quanto la complementazione è una forma di subordinazio-ne possibile solo con alcusubordinazio-ne classi di predicati.

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1.1 La complementazione

Per complementazione si intende una proposizione che svolge il ruolo di complemento all’interno della frase (Noonan 1985: 64)8. Il termine, mutuato dall’inglese complementation,

è di fatto l’abbreviazione di sentential complementation, ovvero di complementazione frasale, per distinguerla dalla complementazione semplice che coinvolge invece il regime dei predicati e il sistema casuale all’interno della frase semplice (struttura argomentale).

La complementazione è dunque un tipo di subordinazione. Le strategie di combinazione frasale sono tradizionalmente divise fra coordinazione e subordinazione, dove per subordina-zione si intende una frase per sua natura dipendente, in quanto impossibilitata a occorrere in maniera isolata e il cui legame con la reggente è definito sulla base di una funzione specifica, in genere determinata da uno o più introduttori (Cristofaro 2005: 15).

Nella classificazione posta da Dixon (2006: 2) esistono tre prototipi di combinazione di frasi per formare una frase complessa:

i. Coordinazione e Costruzioni subordinate non incassate (es. causale)

a. Coord. [Maria ha mangiato a casa] e [Francesco era alla partita] b. Causale Maria litiga con Francesco [perché lui non ha mai tempo] ii. Relativa

a. Francesco ha regalato a Maria npil libroi [chei le piaceva tanto] iii. Complementazione o frase a incassamento9

a. Francesco dà fastidio a Maria → [Il fatto che Francesco la prenda in giro]sogg dà fastidio a Maria

b. Francesco si ricordava di Maria → Francesco ricordava [che Maria se ne era

andata]ogg

Le costruzioni coordinative e subordinate non incassate sono rette da particelle connettive (linkers) coordinative (e, o), temporali (dopo che, quando, mentre, ecc.), logiche (causali:

poi-ché, siccome, ecc., concessive: benpoi-ché, nonostante, ecc.), contrastive (ma, nondimeno, d’altra parte, ecc.), o infine finali (affinché, allo scopo di, ecc.), dando via così a proposizioni

coordi-nate (es. i.a), temporali, causali (es. i.b), concessive, finali, avversative. La rappresentazione in (a) mostra le due proposizioni (“main clause” e “non-embedded or coordinate clause”) su di un piano parallelo.10

8 Noonan 1985: 42: «By complementation we mean the syntactic situation that arises when a notional

sen-tence or predication is an argument of a predicate»; «we have defined complementation as the grammatical state where a predication functions as an argument of a predicate» (p. 64).

9 “Incassamento” traduce l’inglese embedding, termine coniato originariamente in seno alla grammatica

gene-rativa ma successivamente entrato nell’uso anche in altri approcci: «An embedded clause is a clause functioning as a constituent of another clause» (Cristofaro 2005: 17).

(33)

sentence (a) Δ main clause Δ coordinate or non-embedded subordinate clause

Il secondo tipo è quello della frase relativa, una frase che modifica un sintagma nominale – in genere un nome – per definire meglio il suo referente (es. ii.a dove NP è il libro). Nello schema (b) vediamo rappresentata la frase relativa come espansione di un argomento (“argu-ment” come sintagma nominale) della frase matrice.

clause (b) predicate argument noun phrase head modifier Δ relative clause

Infine la frase complemento, la quale funziona come “core argument”, argomento centrale, della frase e ha la struttura interna a costituenti come quella di una frase semplice (Dixon 2006: 2-4). Le strutture di complementazione costituiscono dunque il nucleo sintattico della frase e possono funzionare o come soggetto o come oggetto, come dimostrano le sostituzioni negli esempi iii.a in funzione di soggetto e iii.b di oggetto (schema c).

(34)

clause (c)

predicate argument

Δ

complement clause

Per quanto riguarda l’impossibilità di occorrere in maniera isolata per una frase subordi-nata, la complementazione rappresenta un caso a sé. In una frase come iii.b nessuno dei due spezzoni “Francesco ricordava” e “che Maria se ne era andata” può stare da solo. Il primo infatti richiede necessariamente un completamento, un argomento, o in altri termini una predicazione, né d’altra parte è possibile considerare “Francesco ricordava” una subordinata. Il criterio della dipendenza insomma è valido sì per (i) e (ii) ma non del tutto per (iii) (Cri-stofaro 2005: 16).

Dal punto di vista dei predicati coinvolti, una differenza sostanziale fra (i) (Coordinazione e subordinazione non incassata) e (ii) (Relativa) da un lato, e (iii) (Complementazione) dall’al-tra, è che nei primi due sistemi di subordinazione non vi è alcun tipo di restrizione lessicale per il predicato matrice, mentre nel caso della complementazione solo un ristretto gruppo di lessemi verbali è possibile nella frase sovraordinata. Questi sono in genere verbi di dire, pensa-re, ritenepensa-re, verbi di percezione, conoscenza e sentimento. Questa proprietà fa sì che lo studio della complementazione nelle lingue del mondo miri necessariamente a indagare il piano di interazione fra natura dei predicati e forme sintattiche.

1.1.1 L’approccio tradizionale

Abbiamo già fatto cenno alla distinzione fra subordinazione e coordinazione tipica della grammatica tradizionale. Si tratta essenzialmente di un approccio morfosintattico che pro-cede dall’analisi delle proposizioni sulla base delle particelle introduttive e delle distinzioni modali che coinvolgono il predicato dipendente.

Se scorriamo l’indice di una sintassi di stampo tradizionale come ad esempio la Syntax of

Early Latin di Charles Bennett (1910) per attenerci al nostro campo di indagine, vediamo

che la trattazione delle forme di subordinazione muove a partire dalla morfologia verbale. La forma del verbo latino è divisa secondo i modi (indicativo, congiuntivo, imperativo, infinito, participio, gerundio e supino) e sulla base di questi vengono descritti i tipi di costruzioni complesse (dipendenti) che presentano quel tale modo, come si vede dalla rappresentazione al punto d. Le classi di predicati dal punto di vista semantico sono trattate nel cosiddetto studio dei casi, dove la reggenza verbale, dalla distinzione basilare in termini di transitività fino agli aspetti valenziali più specifici, è subordinato alle categorie casuali degli argomenti coinvolti.

(35)

verbo (d)

indicativo congiuntivo

indip.

infinito participio, ecc

dip. indip. dip. ecc. ecc.

Finale Concessiva Temporale Causale Ipotetica, ecc

La complementazione viene quindi affrontata in maniera discreta a seconda del modo ver-bale e soprattutto del tipo di introduttore. Ad esempio per il latino abbiamo da un lato il campo delle costruzioni infinitive, solitamente divise fra oggettive (1.a) e soggettive (1.b), dall’altro la galassia delle costruzioni con il congiuntivo organizzate sulla base dell’introdut-tore: assenza di introduttore (1.c), ut / ut non, ut / ne (1.d), quin, ecc.

1. a. scio [te studere]ogg so.1SG tu.ACC studiare.INF “so che tu studi”

b. oportet [te studere]sogg bisogna.3SG=IMPERS tu.ACC studiare.INF “è opportuno che tu studi”

c. licet [ abeas ]

è lecito.3SG=IMPERS andare.CONG.2SG “puoi andartene”

d. iubet [ut sententiam dicant]

ordina.3SG C decisione.ACC dire.CONG.3PL “ordina di dire la decisione”

All’interno di ciascuno di questi settori si presentano le classi di predicati coinvolti nelle costruzioni. Per l’infinitiva avremo uerba declarandi, uerba sentiendi, uerba affectuum, uerba

uoluntatis, ecc.; per il congiuntivo, con ut / ne, uerba imperandi, uerba uoluntatis, uerba sen-tiendi. Capita quindi che nel momento in cui un predicato o una classe di predicati presenta

più di un tipo di pattern sintattico, questo o questi ricorrano in più di una descrizione quasi che siano trattati come lessemi distinti. In più le stesse strategie sintattiche finiscono per

(36)

essere raggruppate secondo la forma e non in base alla funzione: la congiunzione ut infatti introduce tanto frasi satellite come finali e consecutive, quanto completive imperative come abbiamo mostrato nell’es. 1.d. Il criterio morfologico insomma prevale su quello semanti-co-lessicale da un lato, dall’altro su quello funzionale.

1.1.2 L’approccio generativista

L’indagine sulla frase complessa non è un tema all’attenzione della grammatica generativa

ab origine. La frase incassata è infatti assente dalle Syntactic Structures di Chomsky (1957), e

compare solo in Chomsky 1965: 100 e 102. È però a partire dalla fine degli anni ’80 che la grammatica generativa ha cominciato ad arricchire l’analisi in costituenti della frase con una serie di categorie sia morfologiche, come la flessione verbale (in principio Pollock 1989, poi sviluppato in Cinque 1999), che pragmatiche come il Focus e il Topic (si veda Rizzi 1997). Ciascuna categoria ha ricevuto una collocazione in uno strato (layer) della gerarchia sintatti-ca, che è andata crescendo nella ricorsione del modulo essenziale X-barra (Chomsky 1970, Haegeman 1994: 103 e ss.).

Una sistemazione elaborata negli ultimi decenni vede la frase organizzata su tre livelli (a titolo esemplificativo si veda Donati 2008): CP (Complementiser Phrase), IP (Inflectional Phrase) e VP (Verbal Phrase), dove CP fornisce una connessione alla frase matrice o contiene indicazioni sull’attitudine del parlante, IP include informazioni grammaticali quali il tempo e l’accordo, e VP determina e organizza gli argomenti. Oltre allo strato flessivo insomma che comprende al suo interno il sintagma verbale, il quale a sua volta definisce le relazioni tema-tiche fondamentali (struttura argomentale), la frase comprende un altro strato (funzionale), detto anche periferia sinistra della frase, quello del complementatore, che è coinvolto in varie operazioni di movimento. La rappresentazione in (e) mostra questo tipo di analisi.

(e) CP C’ C IP I’ I VP

Questa struttura è presupposta sia nella frase semplice sia in quella incassata di una frase complessa, dove è stata originariamente elaborata. Se lo si considera nella frase reggente, C indica il modo (indicativo, imperativo, ecc.), più una serie di possibili elementi, considerati esterni e di natura pragmatica, come la finitezza del verbo e il Topic e il Focus della frase. Se invece ci troviamo in una frase incassata C è il connettore (il vero e proprio complementatore)

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