2018
Munus Laetitiae
Studi miscellanei offerti a Maria Letizia Lazzarini
volume ii
a cura di
Francesco Camia, Lavinio Del Monaco, Michela Nocita
con la collaborazione di
Copyright © 2018
Sapienza Università Editrice Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma www.editricesapienza.it
Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420 ISBN 978-88-9377-073-6
Pubblicato a giugno 2018
Quest’opera è distribuita con licenza Creative Commons 3.0 diffusa in modalità open access.
In copertina: Lex sacra dal tempio di Casa Marafioti a Locri Epizefirii.
Silvia Orlandi, John Thornton, Pietro Vannicelli.
Volume finanziato dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità
Sapienza Università di Roma.
d
) V
itareligiosaLa statua della nassia Nikandre: kore o dea?
R. Di Cesare
11
Praxidike, le Praxidikai e la giustizia degli dei
I. Berti
27
Athena Ergane sull’Acropoli di Atene. Analisi delle testimonianze
epigrafiche
F. Giovagnorio
43
Dediche effimere ad Artemide: tessili iscritti
negli inventari di Brauron
D. Marchiandi
61
La ‘Lex Sacra von der Hallenstrasse’ e l’Asclepieio di Pergamo
tra passato e presente
M. Melfi
95
Thiasos artokreonikos in Kenchreai
S. Zoumbaki
109
Oracoli apollinei da Hierapolis di Frigia
F. Guizzi
121
Monumento funerario e proprietà terriera. Note preliminari
sul “doppio” sepolcro di una famiglia di Sidyma
S. Campanelli
145
e
) s
porteculturaAspetti economici dell’agonismo sportivo greco
in età arcaica e classica
Carriera e premi di uno sportivo di IV sec. a.C.
(Kleainetos di Argo): alcune ipotesi
A. Caruso
189
Novità su un rilievo di teatro antico (IG II/III³ 4, 636)
D. Summa
207
Poeti e conferenzieri stranieri in Tessaglia in età ellenistica:
l’epigramma funerario per Herillos figlio di Herodoros di Kalchedon
E. Santin
223
Plagiari per scelta, plagiari per tradizione: lo strano caso
di Meleagro, di Cheremone e dell’epitafio di Aminta
M. Cilione
251
I vincitori dei Sebastà nell’anno 86 d.C.
E. Miranda De Martino
267
f
) o
nomasticaNomi poetici su un’iscrizione megarese arcaica
(SEG 13, 300): uomini, eroi o navi?
L. Bettarini
289
Antroponimi femminili esprimenti il sentimento della felicità
(e della prosperità) nelle iscrizioni greche: una rassegna preliminare
F. Camia
299
g
) e
pigrafi‘
nascoste’
Epigrafia povera: prima della pietra, invece della pietra
L. Criscuolo
317
Gemme e anelli: oggetti personali e di dono
G. Bevilacqua
339
h
) e
pigrafiaeantiquariaLe iscrizioni greche della collezione del cardinale
Francesco Saverio de Zelada
M.L. Caldelli
361
“Nicodemo, arconte dei Siburesi”: la storia di un’epigrafe in lingua
greca di Roma e della sua copia settecentesca
G. Tozzi
375
i
) m
ondocolonialeNasso e Leontini, il problema dell’ecista
Enyò dalle Cicladi in Sicilia
F. Cordano
411
Le aspirazioni di una dea greca: Ἐνὑώ tra Omero e Naxos di Sicilia
A.C. Cassio
419
Dono tra φίλοι? Il graffito sulla pelike da Cuma (RC 142)
attribuita ad Aison
P. Lombardi
423
<Σ>τηιος o
┌├
┐ηιος? Su una corona d’oro iscritta
dalla Magna Grecia a Delo
P. Poccetti
453
Entella tra i Cartaginesi e i Romani, ovvero da chi erano stati
espulsi gli Entellini?
M. Lombardo
485
I Crotoniati lontani da Crotone
M. Nocita
499
Una singolare variante del segno di spirito aspro a Hipponion
Tra le molte tipologie di oggetti dedicati agli dei, i tessili sono
sicura-mente una delle meno fortunate.
Come noto, infatti, la stoffa, materiale effimero per eccellenza, non si
conserva se non in condizioni ambientali molto particolari, che in Grecia
si verificano di rado,e solo in circostanze del tutto eccezionali
1.
Eppure,a dispetto della scarsità dei riscontri,le dediche di indumenti
dovevano giocare un ruolo di primo piano nelle pratiche cultuali, come
gli studiosi riconoscono unanimi
2.È la documentazione indiretta ad
atte-starlo inequivocabilmente, in primo luogo le lunghe liste di abiti
conser-vate negli inventari di una serie di santuari siti in varie aree del mondo
greco: il numero delle occorrenze, ma soprattutto la varietà dei
materia-li, delle fogge, dei colori e delle decorazioni restituiscono un’immagine
quanto mai vivida dei tesori delle dee, Artemide e Hera in particolare
3.
1 Lo scarno corpus di tessili provenienti dalla Grecia antica è costituito esclusivamente
da esemplari rinvenuti in contesto funerario, in particolare casi in cui il tessuto avvolgeva o si trovava all’interno di un’urna bronzea, o metallica in generale. Solo in tali condizioni, infatti, la mineralizzazione delle fibre causata dal contatto con il metallo ne ha consentito la conservazione. Sul processo da un punto di vista chimico-fisico vd. le notazioni di Margariti - Protopapas – Orphanou 2011, 522. Per la pratica di deporre tessuti nelle tombe in una prospettiva antropologica e culturale vd. in generale Gleba 2016; per i contesti greci in particolare rimando a Adrianou 2012, Moulhérat - Spantidaki 2016, Spantidaki 2016, 5-7 e 106-144 (con un dossier complessivo e aggiornato dei rinvenimenti).
2 Vd. ex. gr. Rouse 1902, 274-277, 354, 369-370; Parker et al. 2004, 296-298. Tra
i pochi studi dedicati integralmente ai tessili votivi segnalo: Foxhall - Stears 2000; Neils 2009, 140-142; Brøns 2015 e 2017; Brøns - Nosch 2017. Maggior attenzione ha ricevuto ovviamente l’offerta da parte della comunità, durante occasioni festive specifiche, di tessili finalizzati alla vestizione dei simulacri cultuali, come è il caso del peplo di Atena Polias ad Atene: si vedano i riferimenti in Neils 2009, 140, 142-147.
3 Oltre agli inventari attici di Artemide brauronia, su cui vd. nt. 13 infra, mi
Di recente, poi, un rilievo votivo proveniente da un Artemision
tes-salo (Echinos) ha contribuito non poco ad alimentare le nostre fantasie
in proposito (Fig. 1)
4. Anche se anepigrafe, esso raffigura una scena
de-vozionale in onore di Artemide, ben riconoscibile all’estremità destra
dell’immagine: al suo cospetto, una balia tiene un neonato davanti ad
un altare, presso il quale un giovane schiavo sta conducendo un bue al
sacrificio; seguono un’ancella, con un cesto di offerte sul capo, ed una
donna completamente avvolta in un himation, ragionevolmente da
ri-conoscere come la madre del bambino
5. In alto, la rappresentazione di
una serie di tessili rende il manufatto un unicum: si distinguono, dopo
un paio di scarpe, una tunica a maniche corte, due indumenti
fran-giati, una cintura frangiata ed una seconda veste senza maniche. Con
ogni probabilità, si tratta degli abiti indossati durante la gravidanza ed
in qualche modo ‘contaminati’ da essa, poi dedicati ad Artemide per
ringraziarla del buon esito del parto
6. Il dato più interessante è che essi
riferisco soprattutto a un inventario dell’Heraion di Samo, risalente ai tempi della cleruchia ateniese (IG XII 6, 1, 261; cfr. Ferrara 2017); a un esemplare ellenistico dal santuario di Artemide Chitone a Mileto (SEG 38, 1210 = Günther 1988; cfr. Trippé 2009, 279-282); ad alcuni documenti beotici, sempre di età ellenistica, in particolare uno proveniente da Tanagra e possibilmente da riferire all’Artemision di Aulis (Reinach 1899 = SEG 43, 212; cfr. Schachter 1997 e Brulé 2009, 72-74) e uno rinvenuto a Tebe ed attribuito ad un santuario di Artemide Eukleia (IG VII 2421; cfr. Günther 1988, 232 nt. 97; Schachter 1997, 181-182). Indumenti sono ricordati occasionalmente anche negli inventari del tesoro di Atena sull’Acropoli e negli inventari delii di diverse divinità: per un censimento vd. ora Brøns 2017, 36-39.
4 Museo di Lamia AE 1041; per l’edizione vd. Dakoronia - Gounaropoulou 1992 e
cfr. Morizot 2004; vd. inoltre, inter alios, Cole 1998, 30-31 e 2004, 213; Parker et
al. 2004, 297 nr. 118; Brulé 2009, 74-76 figg. 1-2; Neils 2009, 141 fig. 3; Lee 2012,
34-36 fig. 2.8 e 2015, 214 fig. 7.10; Dasen 2014. L’Artemision di pertinenza rimane da localizzare. In generale, per l’importanza del culto di Artemide in Tessaglia vd. Mili 2015, 22-23.
5 Questa è l’identificazione dei personaggi rappresentati secondo Morizot 2004 e
sembra essere la più verosimile. Diversamente Dakoronia - Gounaropoulou 1992 riconoscevano la madre nella giovane donna con il neonato e la nonna, materna o paterna, nella donna velata.
6 Più che la generica presentazione di un neonato alla dea kourotrophos, è stato
proposto persuasivamente che il votivo commemori un momento specifico della vita di una madre, ovvero la cerimonia che purificava la puerpera dal miasma, la contaminazione connessa alla gravidanza e al parto, e la reincorporava nella società, nel ruolo ormai divenuto effettivo di gyne: oltre a Morizot 2004, vd. Lee 2012 e 2015, 214. In generale, per l’uso di dedicare tessili in occasione del parto vd.,
inter alios: Rouse 1902, 251-253, 370; Parker 2004 et al., 272. Per il legame tra il
culto di Artemide e la sfera femminile, in particolare in relazione al ciclo biologico e alla gravidanza, in Attica ma non soltanto, vd.: King 1983 (2002); Demand 1994, 87-91; Cole 1998 e 2004, 198-230; Vikela 2008; Ellinger 2009, passim.
appaiono appesi o, meglio,stesi su una corda, probabilmente all’aperto,
come sembra lasciar intendere il tentativo di rendere figurativamente il
movimento della stoffa prodotto dall’aria
7.
La testimonianza appare tanto più significativa ed emblematica se
letta alla luce di un passo tratto dalle Metamorfosi di Apuleio, in
parti-colare dalla favola di Amore e Psyche
8. Nel suo lungo peregrinare alla
ricerca dell’amato, l’infelice fanciulla visita alcuni luoghi di culto, di cui
Apuleio ci consegna nitide fotografie. Il primo è un tempio sito sulla
cima di una montagna ed appartenente a Demetra, come testimoniato
dai votivi: spighe di cereali a mucchi o intrecciate a corona, falci ed
attrezzi vari per la mietitura figurano sparsi qua e là alla rinfusa. La
seconda tappa è invece un fanum di Hera ubicato sul fondo di una
valle, in un bosco. Qui è un altro genere di dediche a rivelare l’identità
della titolare: tra doni magnifici, Psyche scorge infatti un gran numero
di abiti,appesi ai rami degli alberi e agli stipiti delle porte ed iscritti con
lettere d’oro (lacinias auro litteratas), recanti il nome della dea cui erano
stati offerti assieme al ringraziamento per il beneficio ricevuto
9.
Ed eccomi giunta al punto: tessili e scrittura, un capitolo dolente
dell’epigrafia, dal momento che pressoché nulla si è conservato
10. In
re-altà tuttavia, anche in questo caso, tracce preziose, e forse non troppo
valorizzate, vengono dalla documentazione indiretta, ed in particolare
proprio dagli inventari dei santuari.
Ed è a questo proposito che vorrei offrire un piccolo contributo a
Maria Letizia Lazzarini, che agli anathemata ha dedicato molta parte
della sua ricerca. Nello specifico, vorrei appuntare l’attenzione sugli
in-7 Credo che l’azione dell’aria sia ravvisabile in particolare nel secondo himation
frangiato, il cui angolo inferiore sinistro è ripiegato su se stesso. Una certa enfasi sulle pieghe, a tratti quasi rigonfie, caratterizza comunque tutti gli abiti.
8 Apul., Met. 6, 1-3. Sebbene la fonte sia tarda, è evidente che descrive un’immagine
familiare e immutata nel tempo.
9 Apul., Met. 6, 3: “Videt dona pretiosa et lacinias auro litteratas ramis arborum
postibusque suffixas, quae cum gratia facti nomen deae cui fuerant dicata testabantur”. Per la traduzione di “laciniae” come abiti, cfr., nella stessa opera, i seguenti passi: 2, 8; 3, 21; 8, 5.
10 Si vedano, ex. gr., le poche pagine che M. Guarducci dedicava alle iscrizioni
su tessili nei volumi della sua Epigrafia Greca: EG I, 440-441 e EG III, 544-547. Notoriamente si tratta esclusivamente di testimonianze tarde, provenienti dall’Egitto romano e tardo-romano, dove le iscrizioni fungono in genere da didascalie a rappresentazioni figurate a tema mitologico; su questi materiali vd. da ultime Droß-Krüpe - Paetz gen. Schieck 2014, 222-231 (con ulteriore bibliografia). Testimonianze analoghe, ma databili alla piena età classica, vengono ora da contesti funerari sciiti: vd. infra p. 503 e nt. 87.
ventari di Brauron, e non a caso. Tra i momenti trascorsi assieme il cui
ricordo mi è caro, infatti, due sono state ‘tappe iniziatiche’
fondamen-tali nella mia vita di studiosa, l’ingresso alla SAIA e, molti anni dopo,
quello nel mondo universitario. Mi pare dunque che l’Artemide
brau-ronia possa essere quanto mai adatta all’occasione. La invoco, dunque,
sperando che venga senza il suo arco
11.
Tra i numerosi inventari restituiti dai santuari dell’Attica,
sicura-mente i cataloghi di Artemide Brauronia rinvenuti sull’Acropoli di
Ate-ne rivestono un interesse particolare anche Ate-nell’ambito di quella che è
stata definita l’histoire des femmes. Il fatto che i dedicanti siano
esclusi-vamente donne e che la divinità destinataria sia quella tradizionalmente
deputata alla tutela della sfera muliebre consente infatti di aprire uno
squarcio inedito, e potenzialmente ricchissimo di implicazioni, sulla
re-ligiosità al femminile
12.
Come noto, tuttavia, si tratta di documenti di natura strettamente
amministrativa e di esegesi tutt’altro che agevole, e per una molteplicità
di ragioni
13. In generale, rimangono molti dubbi circa i criteri che
pre-siedevano alla registrazione, e in particolare alla selezione degli oggetti
da iscrivere sulla pietra, in collegamento al tema, non meno controverso,
della finalità stessa degli inventari
14. La cronologia dei documenti, poi,
11 Cfr. AP 6, 271, dove Themistodike ringrazia Artemide per averla protetta
benevolmente durante il parto, “essendo venuta senza l’arco” (ἄτερ τóξου νισσομένη). L’allusione è evidentemente alle frecce della dea che, secondo una tradizione profondamente radicata nella cultura greca e già risalente ad Omero, erano causa della morte delle partorienti: vd. ex. gr. Il. 21, 483-484 e Od. 9, 171-173 e 198-201; cfr. Demand 1994, 88 e Faraone 2003, 48.
12 Le profonde differenze tra l’esperienza religiosa femminile e quella maschile sono
al centro della riflessione recente: vd. ex. gr. Sacred and Feminine (1998); Dillon 2002; La religion des femmes (2007); Worshipping Women (2008); Parker 2011, 240-243; Stehle 2012.
13 Il corpus brauronio è costituito da IG I3 403, 404 e da IG II2 1514-1531, a cui si sono aggiunti successivamente alcuni frammenti dall’Agora (Woodward 1963, 170-181, nr. 8-10 = SEG 21, 553, 557, 556) e, più di recente, un frammento dalla Biblioteca di Adriano (SEG 44, 66). Le iscrizioni pubblicate nelle IG II2 e quelle dell’Agora sono state oggetto, ormai più di quarant’anni fa, di un riesame sistematico ad opera di T. Linders (1972). La studiosa ha unito alcuni dei frammenti che in precedenza erano stati editi separatamente, a costituire un corpus di sei stele, d’ora in poi denominate Stele 1/6 Linders (rimangono non attribuiti i frr. IG II2 1528-1531, mentre IG II2 1526-1527 sono state escluse dal novero delle iscrizioni brauronie).
14 In generale, si ipotizza che la redazione degli inventari su materiale duraturo si
basasse su registrazioni ordinarie di tipo archiviale, effettuate annualmente dal personale preposto e conservate presso l’archivio del santuario; di norma, si ritiene
pone più di un problema. Poco meno di un secolo separa infatti i due
esemplari più antichi della serie, databili ancora entro la fine del V secolo
a.C., dal nucleo più cospicuo di materiali, attribuito concordemente agli
anni Trenta del IV secolo a.C.: rimane da comprendere se il fatto sia
do-vuto alla casualità della conservazione e dei rinvenimenti o se la
redazio-ne su pietra fosse occasionale e, redazio-nello specifico, sia stata determinata da
circostanze particolari
15. Lo stato per lo più estremamente frammentario
delle pietre e il fatto che nessuna di esse conservi l’intestazione rende poi
impossibile stabilire con certezza una cronologia relativa, se non sulla
base di congetture fondate su aspetti di natura puramente formale
16.
Quanto alla struttura, le iscrizioni, almeno quelle del IV secolo,
sem-brano condividere un’impostazione analoga
17. Tecnicamente si tratta
di liste di paradosis, cioè di inventari redatti annualmente in occasione
del passaggio di consegne tra due successivi collegi di epistatai, i
magi-strati che a Brauron sopraintendevano all’amministrazione del tesoro di
Artemide
18. I votivi sono elencati sostanzialmente kata ethnos, ovvero
inoltre che la pubblicazione su pietra fosse selettiva. Quanto alla finalità degli inventari, l’analisi formale dei documenti conservati, che all’atto pratico appaiono di leggibilità tutt’altro che agevole, ha generato molti dubbi circa una loro effettiva utilità a scopo di controllo, facendo nascere teorie interpretative alternative. Su questi temi, in riferimento al caso brauronio ma nel quadro del dibattito più generale, vd.: Linders 1988, 1992a e 1992b; Threux 1988; Brulotte 1994, 321-359; Cole 1998, 36-43 e 2004, 213-218; Pébarthe 2006, 268-275; Scott 2011.
15 L’unica stele datata con sicurezza sembra essere IG II2 1522 (che con IG II2 1516 costituisce la Stele 3 della classificazione Linders): alla l. 29, la lista dei tessili si conclude con le dediche relative all’anno dell’arconte Pythodelos (336/5 a.C.), ragionevolmente da considerare quello in corso; segue, dopo un vacat, la lista dei
chalka. Per ragioni interne ai testi (vd. nt. 16 infra), si ritiene che le Stele Linders
3 (= 1522+1516), 1 (= 1514+1523), 2 (= 1515), 5 (= 1525) e possibilmente anche 4 (= 1517+1518+1519+1520) si concentrino negli anni Trenta del IV sec., mentre non si esclude per la Stele 6 (= 1524) una datazione leggermente più tarda, agli anni Venti: vd. Linders 1972, 67-68. È stato da tempo notato il fatto che la cronologia del nucleo più cospicuo di materiali rientri nella fase cd. licurghea della storia ateniese, quando sappiamo che le casse sacre subirono una riorganizzazione generale (Faraguna 1992, 171-194, 355-380). Alcuni studiosi hanno riconosciuto al dato un valore pregnante, senza di fatto approfondire il tema: vd. Linders 1972, 68, con rimandi alla bibliografia precedente.
16 Come noto, gli inventari si sovrappongono in larga parte; le lievi varianti consistono
prevalentemente nell’uso più o meno accentuato di abbreviazioni. Si ritiene che le iscrizioni contenenti un maggior numero di abbreviazioni siano più recenti. Tali criteri di valutazione sono quelli adottati da Linders 1972, 67-68 e mantenuti in seguito; cfr. da ultime Cleland 2005b, 7 e Brøns 2017, 36.
17 Le iscrizioni del V sec. (IG I3 403, 404) sono molto più frammentarie e, pertanto, di difficile valutazione.
secondo la tipologia delle dediche: i chrysa, cioè i gioielli, sono seguiti
dai tessili, per lo più costituiti da abiti femminili, quindi dai chalka,
ov-vero i bronzi, e infine dagli oggetti lignei ed eburnei
19. All’interno di tale
schema generale e delle diverse categorie di materiali, tuttavia, i singoli
documenti attestano difformità non di poco conto
20. Le dediche, per
esempio, sono registrate prevalentemente secondo l’anno di accessione,
ma non mancano esempi di votivi non datati, mentre, in talune parti
delle liste, sembra aver operato anche un criterio di natura
topografi-ca, che teneva conto cioè della disposizione degli oggetti all’interno dei
locali che li ospitavano, secondo una logica di fatto più comune
nel-le paradoseis attiche, a cominciare da quelnel-le relative ai tesori di Atena
sull’Acropoli
21. Si registrano,inoltre,anche esempi di ‘intrusione’, casi
cioè in cui un oggetto è inserito nella lista di una categoria di materiali
diversa da quella di pertinenza
22. È da quasi sessant’anni, infine, che si
discute alacremente circa la localizzazione del santuario in cui erano
conservati i materiali inventariati. Il sito di rinvenimento dei cataloghi e
la menzione in alcuni di essi dell’archaios neos e del Parthenon avevano
indotto inizialmente a pensare che si trovassero sull’Acropoli, dove si
ritiene che una sorta di succursale urbana del santuario artemideo di
Brauron esistesse fin dall’età arcaica
23. Le ricerche condotte a Brauron
da J. Papadimitriou tra il 1948 e il 1963, tuttavia, hanno rivoluzionato
il quadro
24. Gli scavi, infatti, hanno restituito iscrizioni analoghe agli
in-19 Χρυσᾶ e χαλκᾶ sono attestati sulla pietra come titoli delle rispettive liste: vd. ex.
gr. IG II2 1517, 3 e IG II2 1522, 30. Non si conservano, invece, i titoli delle liste dei tessili e degli oggetti lignei/eburnei.
20 Sul tema vd. Linders 1972, 68-69.
21 Per gli inventari dell’Acropoli, lo studio di riferimento è Harris 1995; cfr. Hamilton
2000, 247-344.
22 Si veda il caso di uno specchio registrato nella lista dei tessili: IG II2 1514, 23-24 = 1515, 15-16 = 1516, 3-4. Si precisa però che era appeso ad un muro: vd. infra, nt. 59. Dunque la sua menzione risponde ad un criterio topografico.
23 IG I3 403, 24-25, 28; IG II2 1517, 1, 39-40; 1524, 46-47, 52 (Παρθενών); IG I3 403, 18, 21-22; IG II2 1519, 11-12; 1524, 44-45 (ἀρχαίος νεώς). Vd. Linders 1972, 71 nt. 24 con i riferimenti agli studiosi che ponevano questi edifici sull’Acropoli. Per una panoramica delle problematiche relative al Brauronion urbano rimando, da ultimo, a Camia 2010.
24 Gli scavi di J. Papadimitriou attendono ancora un’edizione definitiva. Le relazioni
preliminari furono pubblicate nei rendiconti dell’Archeologhiki Eteria, cui fanno tradizionalmente capo gli scavi di Brauron (Praktika 1945/48, 81-90; 1949, 75-90; 1950, 173-187; 1955, 118-120; 1956, 73-89; 1957, 42-47; 1958, 27; 1959, 18-20; 1960, 22; 1961, 27; 1962, 23; Ergon 1956, 25-31; 1957, 20-25; 1958, 30-39; 1959, 13-20; 1960, 21-30; 1961, 20-37; 1962, 25-39) e riprese puntualmente
ventari dell’Acropoli, con i quali gli esemplari brauronii sembrano
pre-sentare precise corrispondenze
25. Una legge datata in genere alla metà
circa del III secolo a.C., ma ancora pubblicata solo sommariamente,
induce poi ad ubicare anche a Brauron un Parthenon e, possibilmente,
un archaios neos
26. Il dato ha così indotto a trasferire i votivi registrati
nelle liste sulla costa orientale dell’Attica e ad ipotizzare che le iscrizioni
ateniesi fossero la copia fedele di originali esposti nel santuario madre
27.
Le epigrafi dirimenti, tuttavia, continuano a rimanere inedite e dunque
l’ipotesi attende ancora una conferma definitiva.
Anche uscendo dalle problematiche amministrative e storiche e
spo-standosi sul piano più strettamente religioso, con l’intento di sfruttare gli
inventari come testimoni delle pratiche cultuali riservate ad Artemide
dalle donne ateniesi, i problemi non mancano
28. Ovviamente le
tipolo-gie di oggetti sono quelle che tipicamente connotano il kosmos
femmi-nile – gioielli, specchi, abiti, kalathoi, strumenti per la tessitura etc. - e
gli inventari costituiscono in questo senso, al netto di alcune difficoltà di
ordine lessicale, una fonte documentaria molto ricca e preziosa, come
hanno dimostrato in particolare alcuni studi recenti sui tessili
29.
Deci-nei notiziari di alcune riviste delle Scuole straniere ad Atene (BCH; AJA; JHS fino al 1959 e Archaeological Reports dal 1959/60); cfr. anche Papadimitriou 1963 e il sito dell’Archeologhiki Eteria (http://www.archetai.gr/site/content. php?artid=123). Inoltre vd. in sintesi, inter alios: Themelis 1971; Travlos 1988, 55-80; Mylonopoulos - Bubenheimer 1996; Giuman 1999, 14-52; Themelis 2002; Goette 2005; da ultima Guarisco 2015.
25 Fu Papadimitriou a notare per primo tali corrispondenze, in particolare con IG
II2 1514, 1516, 1517, 1518, 1524, 1529: vd. Papadimitriou 1963, 113 e Praktika 1945/48, 89-90; 1949, 84-85; 1950, 187; 1956, 75-76; Ergon 1956, 27-28; cfr. Linders 1972, 20-21, 72 nt. 36; Brulotte 1994, 338.
26 SEG 52, 104, 3-4 (= Themelis 2002) La legge predispone la riparazione di una
serie di edifici inequivocabilmente siti a Brauron: ὁ νεώς compare alla l. 3 seguito dall’ampliamento ὅ τε[ἀρχαίος], dove l’aggettivo è – come si vede – interamente integrato; subito dopo, coordinato da un καί, è menzionato [ὁ Πα]ρθενών (ll. 3-4).
Archaios neos e Parthenon sarebbero poi attestati in un’altra iscrizione rinvenuta
a Brauron ma ancora totalmente inedita: SEG 37, 30 (inventario datato dalla menzione arcontale al 416/5 a.C.; cfr. IG I3 403/4 Add. p. 965, i). Per il dibattito relativo all’identificazione dei due edifici all’interno dell’area scavata vd. inter alios: Kahil 1977, 96-97; Brulé 1987, 245-249; Mylonopoulos - Bubenheimer 1996; Giuman 1999, 34-36; Themelis 2002; Ekroth 2003, 113-116; Despinis 2005, 296-299; Goette 2005; Guarisco 2015, 21-34.
27 Linders 1972, 70-73.
28 In generale, per questa chiave di lettura applicata agli inventari, non solo brauronii,
vd. Scott 2011.
29 Cleland 2005a e 2005b; Brøns 2017, 33-143 (cap. 2); cfr. anche Spantidaki 2016,
samente meno facile è invece usare questi lunghi elenchi di oggetti per
tentare di ricostruire la ritualità artemidea, tanto più in un contesto del
tutto peculiare come quello di Brauron, dove il dibattito sulle arktoi, le
famose “orse”,continua a far scorrere fiumi di inchiostro
30.
Fatta questa breve e doverosa premessa, dal nostro punto di vista,
possiamo forse permetterci il lusso di prescindere da tali annose, e
quan-to mai complicate questioni, per concentrarci sul tema in oggetquan-to,
ovve-ro le iscrizioni apposte sui tessili registrati negli inventari.
Sul fatto che all’Artemide di Brauron, infatti, fossero consacrati abiti
recanti iscritti i nomi delle dedicanti non esistono dubbi. Ad attestarlo è
innanzitutto la testimonianza di Libanio, nell’argomento all’Orazione
25 del corpus demostenico
31. Come noto, assieme alla successiva
Ora-zione 26, il discorso fa parte del nutrito dossier relativo alle malefatte di
Aristogeiton, retore, sicofante e debitore recidivo verso la polis, contro
cui scrissero requisitori e anche Dinarco e Licurgo
32. Si ritiene che,
pro-prio dall’orazione perduta di Licurgo, Libanio abbia attinto le notizie
relative all’origine della lunga catena di debiti, ovvero un presunto furto
effettuato da un certo Hierokles, figlio di Phanostratos, ai danni
del-le proprietà di Artemide brauronia
33. Nello specifico, l’uomo era stato
inventari, relativamente ai tessili ma anche ad altre tipologie di dediche: vd. ex. gr. Günther 1988 (Mileto, tessili) e Prêtre 2012 (Delo, gioielli).
30 Come noto, l’arkteia brauronia è tradizionalmente interpretata come un “rite
d’adolescence”, ovvero una cerimonia formalizzata di iniziazione femminile,
secondo il modello elaborato dall’antropologo A. van Gennep (1909) sulla base di analisi di tipo comparativo. Gli studi in questa prospettiva non si contano. Mi limito a menzionare alcuni dei più influenti e dei più recenti, nei quali si potranno facilmente trovare i riferimenti al resto della bibliografia: Brelich 1969, 229-311; Kahil 1977; Cole 1984; Brulé 1987, 177-283 e 1990; Sourvinou-Inwood 1988; Dowden 1991, 17-65; Giuman 1999; L’arkteia di Brauron (2001); Le orse di Brauron (2002); Viscardi 2012; Guarisco 2015. Segnalo anche un contributo ‘fuori dal coro’, che ha cioè tentato - a mio parere utilmente - di mettere in evidenza le numerose incongruenze presenti nel modello interpretativo dominante: Faraone 2003. Per Artemide e la sfera femminile in generale vd. nt. 6 supra.
31 Lib., Hyp. 24, 1 [Dem. 25 e 26]. La paternità demostenica delle due orazioni era
già discussa dagli Antichi, come attesta lo stesso Libanio nella sua Hypothesis; per il dibattito moderno vd. Faraguna 2011, 75 nt. 46.
32 Vd. Din. 2 (C. Aristogeiton) e, per la perduta C. Aristogeiton di Licurgo, i frr. 6-12
Blass. In generale, le fonti su Aristogeiton figlio di Kydimachos sono raccolte in PAA 168145; cfr. Christ 1998, 56-59.
33 Hierokles non è altrimenti noto: vd. PAA 532165. L’origine brauronia dei fatti
è confermata da Din. 2, 12, da cui apprendiamo che Hierokles era un familiare (oikeios) della sacerdotessa. Per l’ipotesi che la fonte di Libanio sia la perduta orazione licurghea vd. Gibson 1999, 179, 182-183.
accusato di hierosylia per aver sottratto al tesoro della dea un numero
imprecisato di himatia sacri, “su cui erano anche lettere d’oro, che
mo-stravano i dedicanti” (ἱερὰ ἱμάτια ἐφ’οἶς καὶ χρυσᾶ γράμματα ἦν
δηλοῦντα τοὺς ὰναθέντας)
34. Hierokles si era difeso dicendo che
ave-va soltanto eseguito le istruzioni della sacerdotessa e che in realtà i tessili
erano stati prelevati per ragioni liturgiche, ovvero per essere portati alla
“Caccia Sacra”
35. Non sappiamo se fosse vero e se sia stato creduto,
certo gli himatia in questione recavano iscritti i nomi di coloro che li
avevano offerti, ed è quello che al momento ci interessa.
Anche negli inventari pervenuti su pietra, la larga maggioranza dei
tes-sili è associato al nome della sua dedicante
36. Il motivo pratico è evidente.
Gli idionimi contribuivano in misura determinante, assieme ad altri
ele-menti descrittivi, quali la tipologia dell’indumento, talvolta la foggia e/o
la composizione e/o il colore e/o la decorazione del tessuto
37, ad assolvere
l’esigenza primaria dei cataloghi, ovvero quella di identificare l’oggetto in
questione, distinguendolo all’interno di una massa di votivi simili.
Curiosamente, però, le formule onomastiche sono tutt’altro che
omo-logate, come ci si aspetterebbe nel caso in cui la registrazione avesse
sem-plicemente risposto alla necessità amministrativa di conservare memoria
delle dedicanti. Si annoverano invece semplici nomi privi di ulteriori
spe-cificazioni, oppure idionimi accompagnati dal nome del marito e/o del
padre, con o senza demotici associati, o ancora casi di donne anonime
identificate soltanto mediante il genitivo del nome del padre e/o del
ma-rito
38. È già stato notato – e non posso che essere d’accordo - come tale
34 Lib., Hyp. 24, 1 [Dem. 25 e 26]. Per il sacrilegio di hierosylia vd. Patera 2009. 35 Lo “hieron kynegesion” menzionato da Libanio, certo sulla scorta di Licurgo
(vd. supra nt. 33), non ha finora ricevuto l’attenzione che merita da parte degli studiosi che si sono occupati della ritualità brauronia. Doveva tuttavia trattarsi di un momento centrale della cultualità artemidea locale, come ha ben visto Scanlon 1990, che ha proposto addirittura di identificare tout court la “Caccia Sacra” con l’arkteia.
36 Per dare qualche numero concreto, L. Cleland (2005b) ha isolato nelle iscrizioni
conservate 271 descrizioni di tessili (p. vii nt. 1), di cui 158 complete e 113 frammentarie (p. 8 nt. 42). Il suo indice onomastico (pp. 153-158) annovera in totale 165 nomi di offerenti. Tenuto conto delle non poche lacune presenti nei testi, è evidente che la regola sembra essere l’associazione del nome della dedicante alla dedica. Le eccezioni saranno discusse a breve.
37 La semiotica delle descrizioni è stata al centro dell’analisi e delle riflessioni di L.
Cleland (2005a e2005b).
38 Brulé 1987, 226 ha contato “pas moins de dix-huit façons de nommer les femmes”.
Due liste complete delle dedicanti, una in ordine di comparizione, l’altra indicizzata, si trovano in Cleland 2005b, 148-158. Tali nomi hanno ovviamente offerto spunto
variabilità sia tutt’altro che casuale: non è cioè segno di incoerenza, né
frutto dell’arbitrio oppure della fantasia degli epistatai e tanto meno dei
lapicidi, ma dipende piuttosto direttamente dalle informazioni che gli
addetti alla registrazione erano in grado di reperire su iscrizioni associate
ai votivi
39. Su tali iscrizioni, però,non ci si è troppo soffermati.
Se nella maggior parte dei casi è menzionato solo il nome della
de-dicante, in forme più o meno estese, talvolta le indicazioni onomastiche
fanno parte di locuzioni più articolate, che rimandano molto
chiara-mente a formule di dedica. Esse trovano infatti riscontri puntuali nel
repertorio consueto, ben noto proprio grazie ai lavori di M.L.
Lazzari-ni
40. In questi casi, dunque, è certo che gli inventari citassero verbatim
le iscrizioni dedicatorie, come è già stato riconosciuto e come peraltro è
ben attestato anche in altri inventari attici e non soltanto
41.
Nello specifico, in nove occorrenze compare il verbo ἁνατιθέναι, in
associazione al nome di una singola dedicante o, un’unica volta,ai nomi
di una coppia di dedicanti, certo membri della stessa famiglia,
possibil-mente una madre e una figlia o due sorelle
42. Solo nel caso dell’offerta
cumulativa di due o forse più tessili è indicato l’oggetto della dedica,
mediante il pronome dimostrativo neutro plurale ταῦτα
43.
Diversa-ad indagini prosopografiche di natura sociologica: Osborne 1985, 158-160; Brulé 1987, 237-238; per il caso di Hippylla vd. infra.
39 Brulé 1987, 226.
40 Lazzarini 1976 e 1989-1990.
41 La citazione puntuale della dedica votiva non è una peculiarità degli inventari
brauronii. Anche gli inventari dei tesori di Atena sull’Acropoli del IV sec., ad esempio, presentano occorrenze analoghe. Senza pretesa di esaustività, vd. ex. gr. IG II2 1474, 1475, 1492, dove pressoché tutti i votivi elencati, costituiti prevalentemente da vasellame e corone in metalli preziosi, sono accompagnati dalla formula di dedica introdotta dal verbo ἐπιγέγραπται, ad indicare senza possibilità di equivoco che l’iscrizione era apposta sull’oggetto. Si ritiene, inoltre, che gli inventari riportino le iscrizioni dedicatorie anche in caso di ellissi del verbo ἐπιγράφω; vd. ex. gr. IG II2 1445, 9; 1452, passim; 1469, 158-159; cfr. Tréheux 1965, 50. Altri esempi tratti dagli inventari delii sono raccolti in Linders 1972, 14 nt. 59.
42 IG II2 1514, 12-15 (Thyaine e Malthake, chitoniskos; si noti che il verbo di dedica è al singolare; cfr. Linders 1972, 11); 14-15 (Eukoline, chitoniskos); 47-48 (Argonias, himation maschile); 48-49 (Athenais, batrachis e enkyklon); 54-55 ([---] ippe, probabilmente un chitoniskos; cfr. Cleland 2005b, 134); IG II2 1523, 9-11 (Menekrateia, xystidotos); 27-29 (anonima figlia di Moschos, moglie di Leosthenes,
kandys); IG II2 1524, 208-209 (Nikomache, dedica cumulativa di almeno due
tessili); IG II2 1528, 16 (si conserva solo il verbo di dedica). Per l’uso del verbo ἁνατιθέναι vd. Lazzarini 1976, 70-72. In caso di dediche multiple, per i rapporti intercorrenti tra i dedicanti, vd. ibidem, 61. Per le tipologie degli abiti rimando al Glossario di Cleland 2005b, 106-130.
mente, si registra un unico caso in cui il nominativo della dedicante
è associato al dativo della divinità (Ἀρτέμιδι) senza il verbo di dedica
espresso
44. In alternativa, infine, sono attestati due casi con la formula
di consacrazione ἱερόν Ἀρτέμιδος
45e un caso con il semplice ἱερόν
46; in
questi ultimi esempi il nome della dedicante è assente, ma è presente la
notazione ἐπιγέγραπται, ad attestare che la dedica era iscritta.
In tutti i casi citati, come si è detto, i riscontri nel repertorio delle
for-mule votive sono precisi e puntuali
47. Non stupisce dunque ritrovare le
medesime formule anche a Brauron su votivi di vario genere rinvenuti
nel corso degli scavi. È ben noto, ad esempio, lo specchio che Hippylla,
figlia di Onetor, dedicò ad Artemide Brauronia con la formula ἀνέθηκεν
seguito dal dativo della divinità destinataria
48. È invece esposto nel
mu-seo locale ma ancora inedito un secondo specchio con formula analoga,
in cui il nome dell’offerente è lacunoso
49. Sono ugualmente visibili al
museo ma non pubblicati numerosi frammenti di ceramica a vernice
nera recanti l’iscrizione graffita ἱερόν
50.
Proprio la possibilità di riconoscere negli inventari brauronii la
cita-zione puntuale di alcune dediche induce a ritenere che anche il
sempli-ce idionimo della dedicante, quando registrato senza ulteriori
notazio-ni, costituisse in realtà una formula votiva. Anche in questo caso, l’uso
trova riscontri su votivi di altro genere, dove il semplice nominativo è
ben attestato
51.
In conclusione dunque, possiamo affermare che le Ateniesi
accom-pagnavano di norma con un’iscrizione l’offerta di una veste ad
Artemi-de. Nella maggior parte dei casi, esse si limitavano a ricordare il proprio
nome, in forme più o meno complete, solo occasionalmente
aggiungen-do il verbo di dedica o il nome della divinità destinataria; ancora più
punteggiatura purtroppo non è chiara).
44 IG II2 1514, 52-53 (Niko, chitoniskos); cfr. Lazzarini 1976, 75-86.
45 IG II2 1514, 34-35 (ampechonon); IG II2 1514, 40-41 (chlaniskion infantile).
46 IG II2 1514, 69 (himation).
47 Vd. il repertorio in Lazzarini 1976, 59-60, in part. nrr. 2 (ὁ δεῖνα ἀνέθηκε), 3 (ὁ
δεῖνα τῷ θεῶ), 11 (ἱερὸν τοῦ θεοῦ), 14 (ἱερόν); per l’analisi delle varie formule, cfr. ibidem, 115-118, 118, 124-126, 127-128.
48 IG I3 985: hίππυλλα hε Ὀνέτορος ἀνέθεκεν τἀρτέμιδι τε͂ι Βραυρο͂νι (500-480 ?).
49 La dedica è citata nel lemma di IG I3 985 (specchio di Hippylla): — —ύρτε ἀνέθεκεν Ἀρτέμιδι Βραυρονίαι.
50 Praktika 1949, 90.
di rado,poi, ricorrevano alla formula di consacrazione più generica. In
tal caso, l’uso di ἱερόν sembra escludere la specificazione dell’identità
dell’offerente, a testimonianza di una sorta di spersonalizzazione della
dedica, che, al momento dell’offerta, perdeva ogni legame con il mondo
terreno per divenire una proprietà esclusiva della divinità.
A definitiva conferma di questa regola generale appare molto
si-gnificativa l’acribia con cui gli addetti alla registrazione, in assenza di
iscrizioni, si premuravano di segnalare l’aporia, mediante due notazioni
apparentemente alternative, anche se non si capisce bene in che
ter-mini, ovvero ἀνεπίγραφος e ἄγραφος
52. Nello specifico, gli
inventa-ri attestano quattordici casi di ἀνεπίγραφος
53, contro solo tre casi di
ἄγραφος
54. È evidente, dunque, che, se pure molto raramente, le
offer-te pooffer-tevano anche essere anonime
55.
Tra gli studiosi che si sono interrogati sulla natura di tali iscrizioni,
i più hanno propeso per dediche iscritte dai fedeli sui tessili, senza
sof-fermarsi troppo sulla tecnica utilizzata
56. Risale invece a T. Linders, e
ritorna poi con una certa frequenza nella bibliografia successiva,
l’ipo-tesi dell’esistenza di etichette attaccate ai votivi dal personale del
san-tuario e, dunque, facili a perdersi, da cui le notazioni ἀνεπίγραφος/
ἄγραφος
57.
52 Alcuni studiosi hanno considerato i due aggettivi come sinonimi: vd. ex. gr.
Tréheux 1965, 66; Linders 1972, 15. Come sottolineato da Cleland 2005b, 107 (s.v. agraphos/anepigrapos), tuttavia, essi non sembrano interscambiabili. Al contrario, credo che la precisione utilizzata di norma negli inventari induca a ritenere che non siano equivalenti, anche se non ci sono elementi utili a stabilire la differenza. Anche nel caso di anepigraphos, non si tratta di una peculiarità esclusiva degli inventari brauronii: vd. gli esempi raccolti in Linders 1972, 12 nt. 45.
53 IG II2 1514, 28-29 (chitoniskon infantile), 43-44 (ledion), 45-47 (chitoniskos), 49 (xenike), 61 (chitonion? Cfr. Cleland 2005b, 16, 134), 65 (chitonion), 65-66 (chitonion); IG II2 1518, 70-71 (chitonion); IG II2 1522, 18-19 (chiton), 26 (tarantinon); IG II2 1524, 129-130 (kekryphalos), 131-132 (sindonites), 133-134 (chitonion infantile); 206-207 (enkyklon). Di nuovo, per le tipologie degli abiti rimando al Glossario di Cleland 2005b, 106-130.
54 IG II2 1514, 39 (chlanis), 58-59 (chitoniskos); IG II2 1529, 18-19 (krokotion).
55 Sono viceversa rarissime le occorrenze in cui manca sia il nome della dedicante che
la notazione ἀνεπίγραφος/ἄγραφος. Si tratta di casi in cui, per ragioni destinate a rimanere oscure, l’assenza di dedica non fu registrata sulla pietra dal personale preposto. Vd. ex. gr. IG II2 1514, 41-43 (chitoniskos e ledion), 45 (ledion); cfr. Linders 1972, 13.
56 Vd. ex. gr. Wace 1952, 112-113; Kontis 1967, 161; Brulé 1987, 226; Cole 1998,
32.
57 Linders 1972, 12-13; cfr. in seguito: Brulotte 1994, 341, 342, 354; Spantidaki
Di fatto, anche tralasciando il passo di Libanio, pure molto esplicito
in merito, il ricorso prevalente al verbo ἐπιγράφω, nel caso
dell’ag-gettivo ἀνεπίγραφος così come in quello del verbo ἐπιγέγραπται
associato alla formula con ἱερόν, non credo lasci dubbi sul fatto che
l’i-scrizione vada immaginata sull’oggetto, come è del resto comunemente
ammesso per i votivi metallici registrati negli inventari, in Attica ma
non solo
58. L’ipotesi dell’etichetta, che nasceva dichiaratamente da
sug-gestioni egizie, ritengo vada perciò definitivamente abbandonata. Negli
stessi inventari brauronii, peraltro, una delle formule votive usate per i
tessili, ovvero il nominativo del dedicante seguito dal verbo ἁνατιθέναι,
compare in riferimento ad uno specchio con manico eburneo che stava
appeso ad un muro e che, per ragioni probabilmente topografiche, è
registrato nella lista degli indumenti
59. In questo caso non c’è ragione
di credere che la dedica non fosse incisa sull’oggetto, come ben
atte-sta il già ricordato specchio di Hippylla. Negli stessi documenti
brau-ronii, inoltre, nei cataloghi relativi ai chrysa,il verbo ἐπιγράφω è
uti-lizzato anche in riferimento al peso iscritto su alcuni votivi in metallo
prezioso,secondo una pratica diffusa e ben attestata anche in inventari
provenienti da altre aree del mondo greco: in questo caso, la formula
σταθμὸν ἐπιγέγραπται è seguita dall’entità del peso espressa in
nume-ri secondo il sistema acrofonico attico
60. Un inventario delio ha indotto
a ritenere che iscrizioni di questo genere venissero apposte quando le
dediche erano appese ad un muro o infisse su una base, in uno stato cioè
di inamovibilità
61. In questo modo, la notazione epigrafica forniva agli
58 Vd. supra nt. 41.
59 IG II2 1514, 23-24: [κά]τροπτον ἐλεφαντίνην λαβ̣ὴν ἔχον, πρὸς τῶι τ[οί]χωι, Ἀριστοδάμεα ἀνέθηκεν; cfr. supra nt. 22.
60 IG II2 1517, 44-45, 50, 53; cfr. Linders 1972, 37. In un unico caso, in riferimento ad un non meglio precisabile oggetto metallico perduto in lacuna e ‘infiltrato’ nella lista dei tessili, il verbo non è al presente: IG II2 1524, 5 (ἐπεγέγραπτο); cfr. Linders 1972, 9. Il fatto che l’iscrizione del peso fosse di norma sull’oggetto è reso più che mai evidente da quanto si legge in un inventario del tesoro di Atena sull’Acropoli. Vd. IG II2 1443, 130-131: [φιάλη χρυσῆ] λεία ἄγουσα στα[θ]μόν, ὃ ἐπι[γέγραπται ἐπὶ τῆι φιάληι] (segue il peso in numeri); per l’integrazione cfr.
ibidem, 131-133, 133-135, 139-140. Per esempi analoghi di peso iscritto sui votivi
in inventari non attici rimando a Tréheux 1965, 53.
61 In riferimento ad una chiave dedicata nel tempio di Artemide, I.Délos 1444 Aa
I, 47-48 specifica: [κλεῖδα] κλειδουχικὴν σιδηρᾶν ἔχουσαν προτόμην λέοντος ἀργυ[ρ]ᾶν [ἐφ’ ἧς ἐ]πιγραφή· [- - - Στρατονίκη Ἀντιφῶντος ἐγ Μυρρινούτ] της ὑφιέρεια γενομένη, ἄστατον [διὰ] τὸ καθηλῶσθαι, ovvero “non pesata perché andrebbe tirata giù”. Per l’ipotesi che l’iscrizione del peso fosse finalizzata a facilitare il compito dei contabili vd. Tréheux 1965, 53-54; cfr. Linders 1972, 9,
addetti alla paradosis l’ammontare del peso senza che fosse necessario
ripetere ogni volta l’operazione di pesatura, rimuovendo faticosamente
l’oggetto dalla sua posizione. D’altro canto, il rinvenimento di esemplari
di vasellame in metallo prezioso con effettivamente iscritto sopra il
valo-re ponderale scioglie ogni dubbio valo-residuo circa il significato da attribuivalo-re
al verbo ἐπιγράφω in questo contesto
62.
Posto dunque che le dediche erano sugli abiti dedicati e non su altri
supporti associati, rimane da capire la tecnica con cui esse erano
rea-lizzate. La domanda si intreccia fatalmente con una questione molto
dibattuta nell’ambito degli studi specialistici sui tessili nel mondo greco,
ovvero il problema dell’esistenza o meno del ricamo propriamente
in-teso nella Grecia classica. Evidentemente questa tecnica, che consiste,
come noto, nell’esecuzione sulla stoffa, mediante l’uso di ago e filo, di
punti che in genere riproducono un disegno prestabilito, appare il
meto-do più semplice ed immediato anche per apporre un’iscrizione. La sua
conoscenza nell’Atene del V e del IV sec. a.C., tuttavia,è controversa
63.
Più precisamente, oggi si ritiene che i motivi figurativi complessi, noti
grazie alle testimonianze indirette fornite dalle ekphraseis letterarie,
dal-le rappresentazioni vascolari e daldal-le tracce di policromia rimaste sulla
statuaria
64,non vadano immaginati come ricamati, secondo un’ipotesi
37. In particolare, scrive Tréheux 1965, 49: “c’est une loi des inventaires que les offrandes fixées sur un support ne sont pas pesées”.
62 Tréheux 1965, 53, con i riferimenti ad una coppa del tesoro di Taranto della
collezione Rothschild e ad una phiale del tesoro tracio di Panagjurište (Bulgaria). Rimando a Gill 2008, 336-338 per il corpus complessivo dei 12 esemplari noti, molti dei quali rinvenuti in Tracia e in Macedonia (si noti che la lista non comprende la coppa tarantina). Ad essi vanno ora aggiunti due vasi d’argento, rispettivamente una coppa e una brocca, scoperti nel 2004 in Bulgaria, in una tomba attribuita con buona verosimiglianza al sovrano odrisio Seuthes III, che regnò alla fine del IV sec. a.C.: Tzochev 2016. In questo caso, come già in quello dei cinque vasi d’argento rinvenuti nella Tomba II del tumulo reale di Verghina, è stato persuasivamente proposto di interpretare le iscrizioni recanti il valore numerico del peso degli oggetti non come originarie, risalenti cioè al momento della manifattura dei vasi, ma come apposte in seguito, nel corso di operazioni di tipo inventariale che avrebbero interessato i tesori reali.
63 Per il dibattito relativo vd.: Wace 1948 e 1952; Losfeld 1991, 165-170; Barber
1982; Patera 2012; Droß-Krüpe - Paetz gen. Schieck 2014; Spantidaki 2016, 81-82; Brøns 2017, 101, 106-109.
64 Euripide è tra gli autori più prodighi di ekphraseis: Zeitlin 1994; in particolare è
molto nota la descrizione della sontuosa tenda eretta da Ione a Delfi (Ion 1132 ss.), su cui è fiorita una vasta letteratura: da ultimo vd. Martin 2016. Per le rappresentazioni di tessili figurati sulla ceramica attica rimando a Manakidou 1997; per alcuni dei casi più noti vd. inoltre passim: Droß-Krüpe – Paetz gen. Schieck 2014; Spantidaki 2016; Brøns 2017. Tra le numerose tracce di policromia rimaste
diffusa e ricorrente, ma piuttosto come intessuti sul telaio verticale con
la tecnica dell’arazzo
65.
E certamente a Brauron esistevano casi di abiti con lettere intessute
sul telaio. Lo testimonia il chitoniskos di Kallippe, recante γράμματα
ἐνυφασμένα, “lettere intessute” appunto
66. Si è discusso se esse siano
riferibili alla dedica, ma mi pare evidente
67. Significativamente, il verbo
ἐνυφαίνω è, nell’opinione degli specialisti, il candidato più probabile
per indicare proprio la tecnica dell’arazzo
68.
Non a caso, lo stesso verbo è associato alla decorazione
dell’hima-tion del sibarita Alcistene (o Alcimene, a seconda delle fonti), che mi
piace ricordare perché fu esibito all’Heraion di Capo Lacinio, un
luo-go quanto mai caro a colei cui sono dedicate queste pagine
69. Dopo
sulla statuaria, risultano particolarmente attinenti al nostro tema quelle relative agli abiti delle korai dell’Acropoli, su cui vd. Stieber 2004, 68-76, 129-130.
65 Droß-Krüpe - Paetz gen. Schieck 2014. In particolare, l’archeologia sperimentale ha
mostrato che, a differenza di quanto si era a lungo ritenuto, questa tecnica è realizzabile agevolmente sul telaio verticale, l’unica forma di telaio di grandi dimensioni attestata nella Grecia arcaico-classica: Harlizius-Klück 2016; cfr. Spantidaki 2016, 58-59.
66 IG II2 1514, 7-9: χιθωνίσκο[ς κτενωτ]ὸς περιποίκιλος, Καλλίππη· οὗτος ἔχει γράμ[ματα ἐ]νυφασμένα.
67 Wace 1952, 112 pensava ad una sorta di iscrizione di possesso, motivata da
ragioni analoghe a quelle per cui ancora oggi si usa attaccare una placchetta con il proprio nome alle pellicce (sic!). Linders 1972, 9 escludeva invece che tali lettere componessero parole di senso compiuto. Alla luce del passo di Libanio (vd.
supra nt. 34), tuttavia, l’ipotesi di un’iscrizione dedicatoria rimane a mio giudizio
difficilmente eludibile. Mi sembra viceversa da escludere la possibilità che si trattasse di didascalie finalizzate ad illustrare eventuali scene mitologiche rappresentate sul
chitoniskos, come ben attestato su tessili tardo-romani (vd. supra nt. 10), ma ora
anche su esemplari databili alla piena età classica provenienti da contesti sciiti ma di evidente ascendenza greca (vd. infra nt. 87). L’inventario brauronio non fa infatti alcuna allusione alla presenza di una decorazione figurata sulla veste dedicata da Kallippe. Mi pare remota, infine, anche la possibilità di ricondurre tali lettere a iscrizioni di altro genere, quali raramente testimoniate dalle fonti letterarie. Vd. ex.
gr.: la cintura decorata di fiori di Hermione, verosimilmente un’etera, che recava
iscritto in lettere d’oro un epigramma in cui la donna invitava l’amato ad amarla senza affliggersi per i suoi tradimenti (AP 5, 158); il nastro di seta che accompagnava una bambina esposta come segno di riconoscimento e che recava iscritta la storia delle sue origini (Hel. Aet. 2, 31, 2).
68 Spantidaki 2016, 59, 150.
69 [Arist.], Mir. 96, 838a (Alcimene), ripreso da Ath. 12, 58, 541a-b (Alcistene); cfr.
anche Polem. fr. 85 Preller ap. Ath. 12, 552b. Si noti che il passo non è citato da Spantidaki 2016, 150 tra le attestazioni letterarie del verbo ἐνυφαίνω. La ricchezza degli abiti dei Sibariti fa ovviamente parte della leggenda sulla loro proverbiale
tryphé, su cui vd. Lombardo 1983 e Ampolo 1993. Sempre a proposito di tessili,
le fonti ricordano che le donne di Sibari erano invitate con un anno di anticipo alle feste religiose, per avere il tempo necessario a preparare le vesti e gli ornamenti:
essere stato indossato dal suo proprietario durante le feste in onore
della dea dei Crotoniati, occasione di ritrovo per tutti i Greci d’Italia,
il prezioso manto entrò a far parte del tesoro del santuario; qui, molto
tempo dopo, lo ritrovò Dionisio il Vecchio, che riuscì poi a
vender-lo ai Cartaginesi per la ragguardevole cifra di 120 talenti
70.
Secon-do la descrizione dei Mirabilia aristotelici, il mantello era di porpora
(ἁλουργές), come molti degli abiti dedicati all’Artemide brauronia
71,
misurava 15 cubiti di lunghezza (oltre 6,5 m.) ed era decorato su
en-trambi i lati con ζῴδια ἐνυφασμένα, ovvero con piccole figure
in-tessute, che rappresentavano Susa e i Persiani (o Persepoli, a seconda
delle interpretazioni), una lunga serie di divinità (Zeus, Hera, Themis,
Atena, Apollo, Afrodite), Sibari e lo stesso Alcistene, per ben due
vol-te
72. Di nuovo il verbo ἐνυφαίνω, applicato ad un tessile decorato con
un programma figurativo di una tale complessità, allude quasi
sicura-mente alla tecnica dell’arazzo.
Tornando agli inventari brauronii, appare invece più difficile capire
come fossero realizzate le lettere d’oro (χρυσᾶ γράμματα) che
impre-Phylarch. FGrHist II A 81 F 45 ap. Athen. 12, 521c; Plut., Mor. 147e-f; cfr. Jacquemin 2007; Brugnone 2008, 65.
70 Alcimene/Alcistene non è altrimenti noto e non esistono elementi per datare
l’episodio che lo vide protagonista. In proposito gli studiosi hanno variamente speculato. Il fatto che il suo himation fosse ancora conservato ai tempi in cui Dionisio I saccheggiò Capo Lacinio (382-379 a.C.; cfr. De Sensi Sestito 1984) ha indotto a ritenere che la sua partecipazione agli Heraia non potesse risalire ai tempi della Sibari pre-distruzione del 510 a.C.: vd. ex. gr. il commento ad loc. di Canfora
et al. 2001 (p. 1351 nt. 4). Si è così pensato di riferire l’etnico “Sibarita”, che le
fonti associano unanimi al personaggio, alla comunità esule dei Sibariti e, dunque, alle varie rifondazioni che essi tentarono dopo il 510, fino alla partecipazione alla fondazione di Turi nel 444/3 a.C. In realtà, non credo ci siano preclusioni reali alla possibilità che un tessile, se adeguatamente conservato, possa sopravvivere intatto per oltre un secolo. Di contro, Alcimene/Alcistene è indicato dalla tradizione come esempio di tryphe, al pari del suo ben più noto connazionale Smindiride, che nel tardo VI sec. a.C. partecipò al torneo per la mano di Agariste di Sicione (Hdt. 6, 127; cfr. Ath. 12, 58, 541 b); l’episodio del mantello, dunque, mi sembra ambientarsi molto meglio nel quadro dell’apogeo di Sibari. Si noti infine che le fonti attestano una vera e propria passione di Dionisio I per i tessuti preziosi: vd. Tim. FGrHist 566 F 111 ap. Pol. 12, 24, 3; Diod. 14, 109, 1; cfr. Brugnone 2008, 55, 61-62, 69-70.
71 Vd. Cleland 2005b, 114-115 (s.v. halourgos).
72 [Arist.] Mir. 96, 838a; cfr. Vanotti 2007, 97 e 121-122. Per la traduzione di
ζῴδια in riferimento a figure umane e non di animali vd. Kosmetatou 2004. Per la ricostruzione complessiva del programma decorativo dell’himation e i problemi connessi rimando a: Jacobsthal 1938; Robertson 1939; Wace 1952; Heurgon 1966; Brugnone 2008, 61-62.
ziosivano l’himation di Lyso
73. Certo è che esse trovano un riscontro
quanto mai puntuale nelle “lettere d’oro”(χρυσᾶ γράμματα) degli
himatia brauronii del cui furto fu accusato Hierokles, così come nelle
“laciniae auro litteratae” appese agli alberi nel santuario solo ‘letterario’
di Apuleio. In nessuno dei casi disponiamo però di indizi di tipo tecnico.
Sicuramente, invece, erano intessute a telaio le lettere d’oro che
com-ponevano il nome del pittore Zeusi sull’himation con cui,all’inizio del
IV sec. a.C., al culmine del successo e della fama, si pavoneggiava ad
Olimpia, desideroso di esibire così le ricchezze accumulate grazie alla
propria eccellenza nell’arte
74. Nonostante Plinio, la fonte che tramanda
l’aneddoto, si contraddica, affermando altrove che la tecnica di
“intexte-re aurum” fu inventata a Pergamo in età ellenistica, sappiamo da olt“intexte-re
quarant’anni che essa esisteva in Macedonia almeno dalla seconda metà
del IV sec. a.C.
75. E può non essere incongruo ricordare che Zeusi passò
73 IG II2 1529, 13-14: Λυσὼ [ἱμάτιον] χρυσᾶ γράμμα[τα ἔχ ∶].
74 Plin., NH 35, 62: “Opes quoque tantas adquisivit, ut in ostentatione aureis litteris
in palliorum tesseris intextum nomen suum ostentaret”. Per quanto riguarda la problematica interpretazione di “tesserae” credo che abbia ragione Wace 1952, 113-114 e che il sostantivo vada inteso come corrispondente latino del greco σημεῖον, nel senso di medaglione intessuto, di norma decorato con un motivo figurato: a Brauron vd. l’epiblema di Nikoboule (vd. infra). Su questa stessa linea cfr., ex.
gr., la traduzione di Ferri 1946, ad loc. Diversamente, appare meno verosimile la
traduzione proposta in una più recente edizione di Plinio (Corso - Mugellesi - Rosati 1988, ad loc.): “… mostrando a Olimpia il suo nome intessuto con lettere d’oro in placche applicate ai suoi mantelli”. In realtà, la tecnica della tessitura, presupposta dal participio “intextum” (per il senso di “intextere” = intessere, contrapposto a “acu facere” = cucire con l’ago, ricamare cfr. Plin. NH 8, 196), non sembra compatibile con l’applicazione di placche d’oro sugli abiti mediante il cucito, sebbene questa pratica risulti molto diffusa in Grecia. Ben attestata fin dall’età micenea, essa è nota, per esempio, da rinvenimenti effettuati in contesti funerari macedoni di epoca arcaica: vd. Spantidaki 2016, 82-83; Brøns 2017, 110-115. Tali placche, ritrovate anche a Brauron (vd. Themelis 1971, 54, 55) e verosimilmente da identificare con i πασμάτια menzionati negli inventari (Cleland 2005b, 123 s.v. pasmation), erano lamine d’oro decorate di solito, almeno stando alle testimonianze archeologiche, con motivi figurati (rosette, animali, elementi geometrici etc.), di cui talvolta assumevano anche la forma.
75 Plin. NH 8, 196: “Aurum intextere in eadem Asia invenit Attalus rex, unde nomen
Attalicis”; la notizia è ripetuta ibidem, 33, 63. È ignoto se alluda a Attalo II (159-138 a.C.) o a Attalo III ((159-138-133 a.C.); in generale, sulle stoffe cd. attaliche vd. Gleba 2008. La testimonianza macedone del IV sec. a.C. è invece costituita da un famoso frammento di tessile rinvenuto nel tumulo di Vergina, dove avvolgeva i resti incinerati di una donna deposta in una larnax d’oro nell’anticamera della presunta tomba di Filippo II. La ricca decorazione figurata, composta da motivi vegetali ed animali, è realizzata in fili d’oro con la tecnica dell’arazzo: Gleba 2008, 65; Moulhérat – Spantidaki 2016, 137; Spantidaki 2016, 57-58 fig. 5.17; Brøns 2017, 109; per la tecnica cfr. inoltre Karatzani 2012, 57. Per due esempi realizzati nella
un lungo periodo alla corte di Archelao (413/399 a.C.), dove lavorò,
come noto, alla decorazione del palazzo della nuova capitale Pella
76.
Se la tessitura a telaio, dunque, appare un’ipotesi plausibile per i
χρυσᾶ γράμματα dell’himation di Lyso, in alternativa non si può
escludere che essi fossero ricamati. Come vedremo a breve, infatti,
l’u-nica attestazione di ricamo nello scarno corpus archeologico dei tessili
greci, risalente ad un momento imprecisabile del V sec., è realizzata con
un filo in argento dorato. In conclusione, sembra comunque difficile
pronunciarsi in maniera definitiva.
Lasciando in ogni caso da parte il chitoniskos di Kallippe e
l’hima-tion di Lyso, gli inventari non forniscono altri indizi riferibili alla
tec-nica con cui erano apposte le iscrizioni votive sulla maggior parte degli
abiti dedicati a Brauron. È verosimile che di norma fossero utilizzati fili
in materiali ben meno nobili e preziosi dell’oro, come il lino o la lana
(da cui l’inopportunità di registrarli). Probabilmente – credo io – non si
trattava neanche di lettere intessute.
Le lettere intessute presuppongono infatti che siano state realizzate
assieme al tessile. Non va dimenticato, tuttavia, che la maggior parte
degli abiti offerti ad Artemide, a Brauron ma non soltanto, erano usati,
come rilevato ripetutamente dai commentatori
77. Si trattava cioè di
in-dumenti personali,spesso intimi, quali i vestiti indossati durante la
gra-vidanza dalla dedicante del rilievo di Echinos. È possibile addirittura
che talvolta si dedicassero tessili in avanzato stato di consunzione
78. Non
stessa tecnica provenienti dalla Thessalonike tardo-romana vd. Tzanavari 2012 e Moulhérat – Spantidaki 2012.
76 Hardiman 2010, 507.
77 Vd. ex. gr.: Kontis 1967, 160-161; Linders 1972, 13; Cole 1998, 31; Dillon 2002,
21, 22; Osborne 1985, 158, 170; Foxhall - Stears 2000, 5; Neils 2009, 141. In generale, per l’uso di dedicare indumenti personali, indossati in momenti di grave pericolo, quale è sicuramente il parto ma non soltanto, cfr. Rouse 1902, 369-370.
78 In questo senso è generalmente inteso il termine ῥάκος letteralmente “straccio”,
associato ad una serie di tessili di tipologia diversa negli inventari di Brauron: Linders 1972, 58-59; da ultime cfr. Cleland 2005b, 126 s.v. rhakos e Brøns 2017, 120-121. Il confronto con altri inventari, in particolare quello milesio di Artemide Chitone (SEG 38, 1210 = Günther 1988; cfr. Cole 1998, 33-34 e 2004, 216-218; Dillon 2002, 22-23), dove alcuni degli indumenti catalogati sono indicati come “vecchi e inutilizzabili” (παλαιὸς ἀχρεῖος/ἠχρηωμένος - ἠχρειωμένος), non sembra lasciare dubbi in merito: vd. Günther 1988, 231 e Brulé 1990, 74-76. Sarebbe da intendere nella stessa prospettiva anche l’uso dell’aggettivo ῥάκινος nell’inventario di Hera samia, di fatto anch’esso ateniese a tutti gli effetti, in quanto appartenente ai tempi della cleruchia (IG XII 6, 1, 261). Va invece definitivamente abbandonata l’ipotesi che identificava i rhake come salviette igieniche dedicate ad Artemide in occasione del menarca, risalente a Mommsen 1899 e ancora occasionalmente riaffiorante nella