POLITECNICO
MILANO 1863
Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
Laurea Magistrale in Ingegneria dei Sistemi Edilizi
ANALISI DEL COMPORTAMENTO IGROTERMICO E
MECCANICO DI FACCIATE A CAPPOTTO:
studio di soluzioni tecniche con materiale isolante di lastre in
vetro cellulare
Relatore: Prof. Ing. Sergio Tattoni
Tesi di Laurea di:
Leticia Pérez Sosa
Matr. n. 858691
Anno Accademico 2016/2017
INDICE DEI CONTENUTI
INDICE DEI CONTENUTI ... 2 AGRADECIMIENTOS ... 4 OBIETTIVI ... 5 1) CAPITOLO 1 – Stato dell’arte delle facciate tradizionali ... 7 1.1. L’edilizia tradizionale in Italia ... 7 1.2. Il laterizio come elemento per murature di tamponamento ... 11 1.2.1. Definizione e caratteristiche tecniche ... 11 1.2.1.1. Foratura ... 12 1.2.1.2. Forma e dimensioni ... 13 1.2.1.3. Massa ... 14 1.2.1.4. Giacitura e giunti ... 15 1.2.1.5. Malta per i giunti ... 15 1.3. Tipologie di pareti in elementi di laterizio... 18 1.3.1. Classificazione in funzione degli strati di supporto ... 18 1.3.1.1. Pareti semplici ... 18 1.3.1.2. Pareti doppie ... 19 1.3.1.3. Contropareti in pareti composte ... 20 1.3.1.4. Stabilitá e tolleranze di verticalitá ... 21 1.3.2. Classificazione in funzione della posizione dello strato di isolamento . 22 1.3.2.1. Parete isolata dall’interno ... 22 1.3.2.2. Parete isolata dall’esterno ... 23 1.3.2.3. Parete isolata nell’intercapedine ... 25 1.3.3. Intonaco ... 27 1.4. Il ruolo dei rivestimenti in facciata ... 32 1.4.1. I rivestimenti ceramici ... 32 1.4.1.1. Interazione supporto‐rivestimento ... 34 1.4.1.2. Preparazione del supporto e piano di posa ... 35 1.4.1.3. Gli adesivi ... 35 1.4.1.4. Le fughe ... 38 1.4.1.5. Fissaggi meccanici ... 38 1.4.1.6. Classificazione secondo le normative vigenti... 40 2) CAPITOLO 2 – Diagnosi e fattori di degrado ... 45 2.1. Introduzione ... 45 2.2. Principali patologie di degrado dei rivestimenti ceramici incollati ... 50 2.2.1. Distacco e caduta del rivestimento dal supporto murario ... 56 2.3. Difetti nella struttura portante e nel supporto murario ... 58 3) CAPITOLO 3 – Analisi igrotermica dinamica ... 60 3.1. Criteri per la valutazione igrotermica ... 60 3.1.1. Il metodo di glaser secondo la UNI EN ISO 13788 ... 61 3.1.2. Le simulazioni dinamiche secondo la UNI EN 15026 ... 62 3.2. Descrizione dei casi di studio ... 63 3.3. Impostazione delle simulazioni ... 69 3.3.1. Il software WUFI Pro 6.1 ... 69 3.3.1.1. Stratigrafia e monitoraggio ... 71 3.3.1.2. Orientamento, inclinazione e altezza della chiusura ... 723.3.1.3. Caratteristiche superficiali ... 73 3.3.1.4. Condizioni iniziali ... 74 3.3.1.5. Condizioni al contorno ... 75 1.3.1.5.1 clima interno ... 75 1.3.1.5.2 clima esterno ... 76 3.3.1.6. Configurazione di calcolo ... 78 3.4. Analisi dei risultati ... 79 3.4.1. Profili di temperatura per lo studio delle dilatazioni termiche ... 79 3.4.2. Verifica insorgenza condensa interstiziale ... 82 3.4.3. Verifica insorgenza fenomeni ciclici gelo/disgelo ... 87 3.4.4. Raggiungimento dell’equilibrio dinamico igrotermico ... 89 4) CAPITOLO 4 – Analisi strutturale ... 92 4.1. Criteri per la valutazione strutturale ... 92 4.2. Descrizione dei casi di studio ... 92 4.3. Prove di laboratorio per il materiale isolante ... 94 4.4. Caratteristiche dei materiali ... 101 4.5. Determinazione delle azioni agenti ... 101 4.5.1. Peso proprio non strutturale “G2” ... 101 4.5.2. Vento “Qk1” ... 102 4.5.3. Temperatura “Qk2” ... 106 4.5.4. Combinazione delle azioni ... 106 4.6. Impostazione delle simulazioni ... 108 4.6.1. Discretizzazione del modello ... 110 4.7. Analisi dei risultati ... 117 4.7.1. Verifica del peso ... 117 4.7.2. Controllo degli sforzi e delle deformazioni ... 118 4.8. Rinforzo mediante tassellatura ... 127 CONCLUSIONI ... 134 INDICE DELLE FIGURE ... 135 INDICE DELLE TABELLE ... 145 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ... 148 RIFERIMENTI SITOGRAFICI... 149 APPENDICE A ... 150 Sezione A.I – Profili termici dei casi di studio ... 150 Sezione A.II – Variazione annuale dell’umiditá relativa ... 166 Sezione A.III – Variazione annuale della temperatura ... 174 APPENDICE B ... 183 Sezione B.I – Controllo di convergenza ... 183 Sezione B.II – Controllo degli sforzi e deformazioni ... 195
AGRADECIMIENTOS En primer lugar deseo expresar mi agradecimiento al Ing. Sergio Tattoni, director de esta tesis, por su disponibilidad, por las sugerencias y la supervisión durante el desarrollo de esta tesis. Asimismo, agradezco a los profesores Angelo Lucchini y Enrico Mazzucchelli, por su ayuda en la recolección bibliografica para la redacción del primer capitulo. Un especial agradecimiento a mi marido por su paciencia, comprensión y útiles consejos. Gracias por impulsarme a conseguir esta meta y apoyarme en todo momento. Agradezco también a mis padres y a mi abuelo Don Rafa † por inculcarme siempre el valor de la educación.
OBIETTIVI
Una soluzione di rivestimento particolarmente diffusa in Italia è quella della ceramica o della pietra naturale posata “a umido”. Le dimensioni degli elementi di rivestimento variano dalle tesserine, di pochi cm di lato, alle piastrelle in grès porcellanato o clinker che possono superare il metro di lato. Il problema principale di questa tecnologia è rappresentato dal rischio di un eventuale distacco degli elementi che la costituiscono. Problematica spesso sottovalutata in passato, sia in fase di progettazione che di costruzione. Infatti, un numero non trascurabile di edifici realizzati con tale tecnica tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70 sono interessati da fenomeni di distacco o addirittura di crollo del rivestimento. Tale evenienza comporta non soltanto problemi di estetica ma anche, e soprattutto, di sicurezza per le persone che si trovano a transitare in prossimità. La causa è da ricercare, oltre che nel naturale degrado delle malte utilizzate per la realizzazione degli adesivi e gli intonaci, nella sottovalutazione della risposta strutturale alle sollecitazioni esterne degli elementi di rivestimento. Meccanismi quali infiltrazioni di acque meteoriche, fenomeni ciclici di gelo/disgelo e variazioni termiche nei materiali possono indurre stati di tensione che sommati alle sollecitazioni meccaniche che costantemente agiscono sul rivestimento, come la pressione del vento, il peso proprio degli strati di rivestimento ed, eventualmente, i movimenti tellurici, possono provocare azioni non preventivate che portano all’espulsione degli elementi.
Data l’estensione e la difficoltá di reperire informazioni riguardanti tale fenomeno degradativo, in questo elaborato si è deciso di dedicare i primi due capitoli alla descrizione dello stato dell’arte delle facciate tradizionali realizzate con tecnologie a umido e ad una raccolta delle problematiche patologiche più significative.
Negli ultimi anni, grazie anche al DABC (Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito) del Politecnico di Milano attraverso una serie di pubblicazioni volte a richiamare ed illustrare la necessitá di studiare e risolvere progettualmente gli aspetti meccanici di una facciata mediante opportune modellazioni numeriche e test di laboratorio, si sta cominciando ad avere maggior coscienza di tale problematica e ad aprire il campo ad una innovativa branca dell’ingegneria edile dedicata allo studio del comportamento dinamico delle soluzioni di facciata [1][2]. L’obiettivo dell’attività di tesi è dimostrare l’adeguatezza di rispondere a queste criticità mediante una metodologia di modellazione numerica per la valutazione degli aspetti strutturali dei rivestimenti di facciata posati con tecnologie a umido che possa essere valida sia in caso di progetto di una nuova soluzione, sia in caso di valutazione di una soluzione già realizzata, ma che necessiti di interventi di rinforzo e/o adeguamento. L’approccio proposto prevede una fase iniziale di analisi igrotermica dinamica tramite il programma WUFI Pro 6.1. Mediante la considerazione di parametri quali ubicazione dell’edificio in zone climatiche differenti (Milano, zona E ed Agrigento, zona B), orientazione della facciata (nord e sud) e lo studio di diverse stratigrafie si consentirá l’individuazione di eventuali problematiche di degrado relative al rischio di condensazione interstiziale, ristagno d’acqua e fenomeni
ciclici di gelo/disgelo e di ricavare profili termici piú rigorosi. Le sollecitazioni termiche derivanti verranno poi utilizzate nella fase finale di modellazione numerica agli elementi finiti (FEM) tramite il programma MIDAS Gen in cui verrá studiata la risposta strutturale dei rivestimenti di facciata. Quest’ultima fase, oltre a consentire una migliore comprensione del fenomeno, aiuterá nella valutazione di eventuali interventi di rinforzo, con l’individuazione della soluzione piú adeguata mediante, ad esempio, tassellatura con ancoranti.
1) CAPITOLO 1 – STATO DELL’ARTE DELLE FACCIATE TRADIZIONALI
1.1. L’edilizia tradizionale in Italia
L’utilizzo di materiali come il cemento e il laterizio per costruire edifici è il più diffuso in Italia e ha una lunga tradizione. Il mattone, infatti, è entrato nell’immaginario collettivo come simbolo di investimento sicuro.
Le costruzioni in muratura con elementi di laterizio posati a umido rappresentano la tecnica costruttiva piú antica e diffusa. Questo metodo di costruzione si svolge totalmente in cantiere, in quanto sono pochi gli elementi già precostituiti (figura 1.1). La grande esperienza maturata e consolidatasi negli anni permette di realizzare chiusure dalle seguenti caratteristiche: resistenza meccanica e lunga durata nel tempo; resistenza agli agenti atmosferici e coibenza termo‐acustica; semplicitá esecutiva e compatibilitá con altri materiali; possibilità di finitura interna con intonaco tradizionale; versatilitá architettonica per la possibilitá di impiego di diversi materiali come rivestimento esterno. La forma e le possibilitá d’uso dei prodotti in laterizio sono state oggetto, negli ultimi anni, di un accelerato e continuo processo evolutivo. Si è passati dal tipico mattone pieno ai blocchi forati dalle forme piú varie, in grado di assolvere funzioni statiche e garantire condizioni ottimali di microclima. Figura 1.1. (Fonte: www.kecase.com) – Fabbricato al grezzo con struttura intelaiata in c.a. e tamponamento in elementi di laterizio forato. Nella maggior parte degli edifici costruiti negli anni ’50, la struttura base era il muro portante di mattoni pieni o di pietrame listato o misto, o di blocchi di tufo. Nelle murature composte i dettagli strutturali (spigoli, stipiti, mazzette, architravi, ecc.) venivano realizzati in mattoni dal momento che offrivano maggiore resistenza meccanica rispetto ad altri materiali. I leganti impiegati erano generalmente costituiti da malte di calce, ottenute da spegnimento della calce viva, oppure da malte di calce idrauliche con aggiunta, in alcuni casi, di cemento (malte bastarde). Le malte cementizie pure erano, invece, impiegate molto raramente.
Lo spessore delle pareti portanti variava a seconda del numero di piani degli edifici e, quindi, del peso che dovevano sostenere. In particolare, per edifici a due piani venivano realizzate murature a due teste con uno spessore complessivo, considerando l’intonaco su entrambe le superfici, di circa 30 cm. Per edifici fino a quattro piani, all’epoca molto numerosi, si aumentava di una testa lo spessore dei muri ai piani inferiori. Costruttori piú audaci riuscivano a realizzare edifici con cinque piani in elevazione, partendo con un muro di tre teste al piano terreno per finire con blocchi leggeri di laterizio di 25 cm all’ultimo piano (figura 1.2). Come tecnica alternativa per edifici oltre i quattro piani venne introdotta la struttura intelaiata in C.A. con tamponamenti di laterizio pieno o forato.
Successivamente, alla metá degli anni ’50, si generalizza l’uso della struttura intelaiata in C.A. Per maggiori economie viene introdotto un blocco forato realizzato con calcestruzzo di cemento con inerti leggeri (pomice), in sostituzione al blocco forato di laterizio per le pareti dell’ultimo piano degli edifici. Questo materiale, molto economico, ha dimostrato negli anni successivi scarsa resistenza e tendenza a segnare l’intonaco.
Figura 1.2. (Fonte: Il ruolo del laterizio nell’edilizia del nostro tempo/Mario Zaffagnini, 1987) – Sezione schematica degli edifici con murature portanti, fino a 4 piani in elevazione (non compresi in zona sismica). Alla fine degli anni ’50, la pietra diventa poco economica a causa degli spessori elevati delle murature e quidi prevale il laterizio, sotto forma di mattone pieno o blocco forato.
L’adozione della struttura intelaiata comportava e comporta tuttora due ordini di problemi:
la risoluzione statica della parete di tamponamento fra travi e pilastri; l’esecuzione corretta sotto il profilo del linguaggio architettonico, ossia
struttura portante in vista, che denuncia il tipo di organismo architettonico, o struttura portante nascosta da sovrastrutture, intonaci o rivestimenti.
Poiché il peso della parete portata incideva notevolmente sulle dimensioni della trave in C.A., un primo approccio per la soluzione statica di muri di tamponamento fu quello della parete monostrato. Si adottó, per essa, il materiale piú leggero possibile giá in uso ovvero il blocco forato di laterizio. Tale scelta determinata principalmente per far fronte alle esigenze statiche, trascurava problemi legati all’isolamento termico, alla protezione dal rumore e ai ponti termici. Rappresentó, infatti, alcuni incovenienti resi evidenti solo piú tardi con la generazione di fessurazioni e con il distacco dell’intonaco a causa della diversa dilatazione termica del C.A. e del tamponamento. Il passaggio dal tamponamento monostrato a quello a doppia parete apportó un miglioramento alle problematiche evidenziate. La stratigrafia a doppia parete prevedeva un’intercapedine che poteva essere riempita con materiale termoisolante e/o fonoassorbente.
Fattore altrettanto importante fu l’evoluzione tecnologica del laterizio che caratterizzó il periodo compreso tra gli anni ’60 e ‘70. Si modificó la struttura stessa del laterizio, con la tecnica dei microfori, ottenendo un materiale di piú alto potere coibente. Inoltre, nuove forme e caratteristiche meccaniche migliorate permisero di soddisfare le varie esigenze strutturali.
A partire degli anni ’60, per le murature portanti, cominció a diffondersi l’uso del mattone semipieno con qualitá di resistenza meccanica alla compressione (percentuale di foratura minore del 15%). Venne successivamente introdotto un mattone rettificato con piú alta percentuale di foratura adatto a muri di tamponamento con finitura faccia a vista. La lavorazione di rettificazione semplificó, inoltre, le tecniche di posa dei rivestimenti esterni di cotto permettendo una riduzione nello spessore dello strato di regolarizzazione. Durante gli anni ’60 si diffusero largamente facciate dotate di rivestimenti ceramici dalle piú svariate forme, dimensioni e colorazioni, le quali sono divenute quasi una costante del linguaggio architettonico di quel periodo (figura 1.3). Figura 1.3. (Fonte: www.teamworkitaly.com) – Palazzo Montedoria dall’architetto Gió Ponti 1970, Milano.
Fino agli anni ‘90, sotto il profilo concettuale non ci furonno molti cambiamenti rispetto agli anni ’70. Si continuó a costruire edifici con murature in blocchi di laterizio armate portanti, oppure con strutture intelaiate in C.A., piú raramente con telai in acciaio o legno, eseguite sul posto o prefabbricate in stabilimento. Nell’ultimo decennio l’inclusione di buona parte del territorio italiano in zona sismica e la legge sul risparmio energetico hanno prodotto effetti notevoli sull’impiego del laterizio, sia come elemento di struttura portante che di struttura di tamponamento.
Inoltre, tipologie sempre crescenti di blocchi inglobano del materiale isolante all’interno di appositi fori presenti nell’elemento per migliorare le prestazioni energetiche dell’edificio. L’utilizzo di blocchi microalveolati con potere termoisolante che favoriscono la traspirabilità possono regolare in modo naturale il clima interno degli ambienti, assicurando migliori condizioni di benessere abitativo. [3] [4] [5] [20] [21]
1.2. Il laterizio come elemento per murature di tamponamento Gli elementi forati di laterizio sono un materiale da costruzione semplice le cui caratteristiche dipendono dalle sue prevalenti destinazione di impiego: realizzazione di pareti interne, o divisori non portanti, in edifici a diversa destinazione (residenze, scuole, ospedali, ecc); realizzazione di pareti di separazione fra unitá abitativa, fra unitá abitative e unitá ad altra destinazione d’uso;
realizzazione di contropareti interne di pareti realizzate con altri materiali;
realizzazione di pareti esterne perimetrali, o chiusure di tamponamento.
Le pareti che non hanno funzione portante devono essere abbastanza leggere per non gravare sulle strutture e devono, inoltre, in quanto sistemi di chiusura, assicurare un buon isolamento acustico, una buona coibenza termica e una buona regolazione dell’umiditá ambientale. Tali funzioni possono essere assolte correttamente dagli elementi in laterizio grazie alle loro caratteristiche, oltre che alla facilitá di rispristinabilitá e manutebilitá.
1.2.1. Definizione e caratteristiche tecniche
Con i termini mattoni e blocchi di laterizio si indicano, generalmente, quei prodotti per muratura portante e non portante realizzati per cottura di argilla. Le caratteristiche, i limiti di accettazione e i piani di campionamento per la qualificazione degli elementi forati di laterizio sono definiti nella norma UNI 8942/2 e ripresi nelle norme per la certificazione di qualità delle aziende, in base alla UNI EN ISO 9002. Tali requisiti di accettazione sono: le dimensioni, la planarità delle facce lungo le diagonali, la rettilineità degli spigoli, la massa volumica apparente, l'aspetto e le inclusioni calcaree. I controlli sul prodotto finito, oltre alle caratteristiche appena citate, riguardano la percentuale di foratura e la resistenza a trazione per flessione su listello (figura 1.4). Per le caratteristiche dimensionali, di forma, di massa volumica apparente e di percentuale di foratura, i limiti di accettabilità stabiliscono le tolleranze rispetto ai valori nominali e alla forma. Per le caratteristiche di aspetto, il controllo è volto a limitare la presenza negli elementi di fessure, scagliature e protuberanze. Figura 1.4. (Fonte: www.edilportale.com) – Requisiti di qualificazione: dimensioni, planarità delle facce lungo le diagonali, rettilineità degli spigoli e percentuale di foratura (φ).
1.2.1.1. Foratura
Con riferimento alla norma UNI 8942/1, un elemento di laterizio è denominato forato quando presenta una percentuale di foratura superiore al 55%. La percentuale di foratura (F) è data dalla relazione: ∅ 100 dove: F è l’area complessiva dei fori passanti e profondi non passanti compresi nell’area A, e A è l’area lorda della faccia dell’elemento ortogonale ai fori stessi. Tale definizione di "forato" non deve essere confusa con la stessa denominazione utilizzata nel D.M. 20/11/87 "Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento" e nel D.M. del 14 gennaio 2008 “Norme Tecniche per le Costruzioni NTC08”. Secondo questi decreti, che definiscono quali caratteristiche devono avere gli elementi resistenti in laterizio e calcestruzzo per murature strutturali (figura 1.5), si definisce pieno, un elemento (mattone o blocco) con percentuale di foratura non superiore al 15%; semipieno, un elemento con foratura maggiore del 15% e non superiore al 45%; forato, un elemento con foratura maggiore del 45% e non superiore al 55% (tabelle 1.1 e 1.2 ). Figura 1.5. (Fonte: www.edilportale.com) – Blocco di laterizio per muratura armata a forma di “C”. Tabella 1.1. – Classificazione degli elementi in laterizio secondo la NTC08.
Tabella 1.2. – Classificazione degli elementi in calcestruzzo secondo la NTC08.
Secondo la norma, gli elementi forati, purché la loro percentuale di foratura sia inferiore al 55%, sono utilizzabili per la realizzazione di strutture portanti soltanto in zona sismica 4. Tuttavia, per la progettazione sismica di costruzioni in muratura portante nelle zone sismiche 1, 2 e 3 bisogna impiegare esclusivamente elementi pieni o semipieni che soddisfino determinati requisiti (ad esempio resistenza caratteristica ai carichi verticali non inferiore a 5,0 MPa e resistenza caratteristica minima di 1,5 MPa ai carichi orizzontali, nel piano della muratura). Alcuni prodotti presentano una conformazione della foratura appositamente studiata per migliorare la resistenza termica. Si puó prevedere un maggior numero d’intercapedini verticali, che funzionano come strati di isolamento o si possono anche produrre elementi con camere d’aria orizzontali a setti sfalsati, che rendono piú tortuoso il percorso del flusso termico lungo lo spessore. Questi tipi di elementi possono portare ad una riduzione delle dispersioni del 10‐15%. 1.2.1.2. Forma e dimensioni
Gli elementi di laterizio per uso murario hanno generalmente forma parallelepipeda con le superfici laterali scanalate per farvi aderire meglio la malta.
Secondo la norma UNI 8942/1, si chiamano mattoni gli elementi il cui volume è inferiore o uguale a 5500 cm³ e blocchi quelli il cui volume è superiore. Le dimensioni sono molto varie; si considerano comunemente forati per divisori gli elementi che hanno spessore non superiore a 15 cm (figura 1.6).
Il volume dell’elemento è funzione, oltre che del tipo d’impiego, della maneggevolezza in cantiere e delle economie di produzione e costruzione perseguibili adottando prodotti di dimensioni piú grandi. Le principali tipologie di elementi forati di laterizio sono le seguenti: a) elemento a 4 o 6 fori disposti su due file, con spessore fra 6 e 10 cm; b) elemento a 8 o 10 fori disposti su due file, con spessore fra 8 e 12 cm e le altre due dimensioni uguali fra loro, pari a 24 o 25 cm; c) elemento a 12 o 15 fori disposti su tre file, con spessore fra 12 e 15 cm e le altre due dimensioni uguali fra loro, pari a 24 o 25 cm;
d) elemento a forometria differenziata con fori disposti su tre o piú file, tavolta a setti sfalsati, di spessore fra 10 e 15 cm e le altre due dimensioni uguali fra loro.
Figura 1.6. (Fonte: www.edilportale.com) – Principali tipologie di elementi forati di laterizio.
Lo spessore è il dato dimensionale più importante nella scelta di un tipo di mattone o blocco, dal momento che questi prodotti vengono per lo più utilizzati con una giacitura di costa, nella quale lo spessore dell'elemento coincide con lo spessore della muratura. 1.2.1.3. Massa La massa volumica apparente è definita come il rapporto tra la massa volumica o densitá dell'elemento privo di umidità essicato in stufa a 100°C e il suo volume lordo, comprensivo cioè dei vuoti. Per gli elementi forati di laterizio la densitá di riferimento è di 1800 kg/m3. La massa volumica apparente e la percentuale di foratura sono correlate fra di loro e con il peso dell’elemento e puó variare fra 500 e 700 kg/m3. I produttori indicano, generalmente, il peso unitario dell’elemento di laterizio forato per lo piú compreso fra 1,5 e 6,5 kg o il peso a metro cubo, che corrisponde alla massa volumica apparente.
La conoscenza della massa volumica apparente di un elemento permette di calcolare la massa areica (massa per unitá di superficie espressa in kg/m2) di una parete realizzata con materiale dello stesso tipo, tenuto conto dello spessore della muratura, della massa volumica della malta dei giunti e della massa per unitá di superficie degli strati di finitura. La massa areica della parete è un dato importante per valutare, tramite calcolo, la prestazione di isolamento acustico e la prestazione di inerzia termica della parete stessa, nonché per la valutazione dei carichi sulle strutture portanti degli edifici, dovuti al peso dei divisori e dei tamponamenti.
1.2.1.4. Giacitura e giunti
Per murature di tamponamento, la disposizione degli elementi forati in laterizio viene, generalmente, effettuata mantenendo l’orientamento della foratura orizzonatale e parallelo all’andamento della parete. Si distinguono due tipi di giaciture a seconda dell’orientamento dell’elemento:
giacitura in foglio (chiamata anche di costa, di taglio, a coltello o in lista), che si ottiene appoggiando l’elemento in lista o di costa secondo la faccia minore (tali murature, quando di ridotto spessore, sono anche dette sopramattoni);
giacitura ad una testa (chiamata anche in piano o in spessore), che si ottiene appoggiando l’elemento di piatto secondo la faccia maggiore.
A seconda del tipo di giacitura impiegato si ottengono da un unico elemento murature di differente spessore. Non sempre gli elementi posssono essere posati indifferentemente secondo le due modalitá, come accade, ad esempio, per i prodotti a migliorate prestazione termiche a setti sfalsati, nei quali la giacitura in foglio è praticamente obbligata.
Per realizzare murature omogenee, portando a collaborare gli elementi dei differenti corsi, è bene che lo sfalsamento dei giunti verticali di un corso rispetto a quelli immediatamente soprastanti e sottostanti sia il maggiore ottenibile (almeno un terzo della lunghezza dell’elemento). Ció consente, al fine della stabilitá della muratura stessa, di utilizzare al meglio la malta posta nei giunti orizzontali per garantire una migliore coesione fra gli elementi del corso inferiore e gli elementi del corso superiore. I giunti orizzontali e verticali devono essere completamente riempiti con continuitá anche negli incroci. La muratura diviene cosí una struttura monolitica e continua che assicura il corretto funzionamento statico e di involucro della parate. A sua volta, la parete è resa solidale alle strutture contigue, con giunti a malta, e in particolare ai solai. Talvolta, i giunti perimetrali possono essere realizzati interponendo del materiale resiliente (feltro di fibre vegetali, gomma, elastomero poliuretanico cellulare) atto a smorzare la trasmissione di vibrazioni (miglioramento del comportamento acustico) o ad assorbire possibili deformazioni della struttura (freccia dei solai). Lo spessore dei giunti a malta deve essere conpreso fra 5 e 15 mm. 1.2.1.5. Malta per i giunti La malta è una miscela composta da acqua, leganti e inerti. L’inerte è la sabbia, mentre i leganti sono comunemente il cemento, la calce idraulica e il grassello di calce. La malta è un componente fondamentale della muratura e dalla sua composizione dipende strettamente il risultato finale. I requisiti principali che devono soddisfare sono: sufficiente resistenza alla compressione; adeguata forza legante con l’elemento di laterizio; buona durata (possedere per esempio un’opportuna resistenza al gelo); resistenza alla penetrazione della pioggia battente.
La normativa del 2008 definisce anche le malte per la posa in opera degli elementi di laterizio, distinguendole in malte a prestazione garantita ed a composizione prescritta. La categoria è definita dalla lettera M seguita da un numero che indica la resistenza a compressione espressa in MPa. Le malte a composizione prescritta sono definite anche in rapporto alla composizione in volume (tabelle 1.3 e 1.4). Tabella 1.3. – Classi di malte a prestazione garantita secondo la NTC08. Tabella 1.4. – Classi di malte a composizione prescritta secondo la NTC08.
Nella realizzazione dei giunti è consigliabile impiegare malte bastarde, piú lavorabili e meno rigide di quelle a solo cemento. Questo tipo di malta contribuisce ad una maggiore omogeneitá di comportamento della parete nel suo insieme.
Le malte bastarde (chiamate anche composte o miste) sono preparate con due o piú tipi di leganti. La malta bastarda piú comune è preparata con l’aggiunta di cemento nella malta di calce idraulica. Tale composizione conferisce un miglioramento alle caratteristiche della calce idraulica, riducendo il rischio di ritiro del cemento.
In alcuni casi, per motivi di ordine esecutivo, è neccessario l’impiego di additivi che possono essere di origine chimica o naturale. L’impiego di additivi chimici è, in genere, sconsigliato in quanto rischioso ai fini della formazione di efflorescenze. In particolare, è da evitare l’uso di additivi ritardanti della presa e antigelo. Gli additivi idrofobi, aggiunti nell’impasto per migliorare la resistenza alla penetrazione dell’acqua piovana nei giunti di malta, vanno ugualmente valutati con attenzione.
La regolaritá del dosaggio dei componenti dell’impasto è un elemento fondamentale ai fini della resistenza meccanica e alle intemperie. Misurare a peso è la tecnica piú accurata ma viene raramente usata, per ragioni pratiche ed economiche. La misurazione a volume, se fatta con attenzione, è generalmente sufficientemente precisa ed è la piú utilizzata.
Di seguito sono mostrate le quantitá dei singoli componenti per la composizione delle relative malte bastarde (tabella 1.5), espresse con le unitá di misura comunemente utilizzate in cantiere (sacchi, secchi, carriole, ecc.) in funzione della dimensione della betoniera (250 e 350 litri). I sacchi, di calce o cemento, sono da 50 kg, i secchi da 10 litri e le carriole da 50 litri.
Tabella 1.5. – Malte bastarde con le relative quantitá dei singoli componenti. vol. mc kg sa cch i se cch i vol. mc kg sa cch i se cch i vol. mc se cch i ca rr . li tr i se cch i Composizione 1,0 1,0 5,0 1 metro cubo 1,00 0,20 286 5,7 0,20 250 5,0 1,00 268 Bet. 250 lt 0,15 0,03 43 0,9 3,0 0,03 38 0,8 3,0 0,15 15,0 3,0 40 4,0 Bet. 350 lt 0,20 0,04 57 1,1 4,0 0,04 50 1,0 4, 0,20 20,0 4,0 54 5,4 vol. mc kg sa cch i se cch i vol. mc kg sa cch i se cch i vol. mc se cch i ca rr . li tr i se cch i Composizione 1,0 2,0 9,0 1 metro cubo 1,00 0,11 155 3,1 0,22 275 5,5 1,00 215 Bet. 250 lt 0,18 0,02 29 0,6 2,0 0,04 50 1,0 4,0 0,18 18,0 3,6 39 3,9 Bet. 350 lt 0,20 0,02 32 0,6 2,2 0,04 56 1,1 4,4 0,20 20,0 4,0 41 4,1 mc malta
cemento calce idraulica sabbia acqua(1)
calce idraulica sabbia acqua(1)
MALTA M5 (BASTARDA)
MALTA M2,5 (BASTARDA) mc malta
1.3. Tipologie di pareti in elementi di laterizio È possibile classificare le parenti in elementi di laterizio secondo due modalitá: in funzione degli strati di supporto che le compongono o in funzione della posizione dello strato di isolamento all’interno di esse. 1.3.1. Classificazione in funzione degli strati di supporto
È possibile distinguire tre tipologie di pareti. Ogni tipologia presenta un comportamento diverso, in relazione ai requisiti di isolamento termico, isolamento acustico, controllo del rischio di formazione di condensa interstiziale e tenuta all’acqua. 1.3.1.1. Pareti semplici Le pareti semplici sono generalemente divisori fra ambienti dello stesso tipo, cioè con condizioni climatiche e di rumore simili, in quanto non prevedono nessuna interruzione di capillaritá con possibile infiltrazione fino al paramento interno del muro. Lo spessore normalmente non é superiore ai 150 mm (figura 1.7). Gli strati funzionali che le costituiscono sono: 1. strato di supporto, costituito dagli elementi forati di laterizio e dal legante; 2. strati di regolarizzazione, protezione e finituta, costituiti da intonaco; 3. strati di finitura superficiale e/o rivestimento, costituiti da tinteggiature, materiale rigido in lastre o piastrelle, materiale flessibile in rotoli. Figura 1.7. (Fonte: www.edilportale.com) – Parete semplice per la realizzazione dei divisori interni. Questo tipo di pareti non prevede:
né un rivestimento stagno sul proprio paramento esterno (un intonaco tradizionale contribuisce all’impermeabilizzazione del muro, ma non è stagno);
né un’interruzione di capillaritá nel proprio spessore (eventuali pannelli isolanti idrofili o intonaci interni a base di gesso, accompagnati o meno da un isolante, non rappresentano sistemi di interruzione della capillaritá).
Negli ultimi anni lo sviluppo tecnologico ha creato due principali famiglie di prodotti che permettono di realizzare pareti monostrato dalle elevate prestazioni. La prima è quella costituita dai blocchi rettificati caratterizzati dall’avere le facce di posa perfettamente piane e parallele. In virtú di questa precisione dimensionale, la posa degli elementi viene effettuata con uno strato di collante cementizio dello spessore di 1 mm, migliorando le prestazioni della muratura e al contempo riducendo i tempi di esecuzione e di conseguenza i costi di realizzazione. La seconda famiglia di prodotti innovativi è costituita da particolari blocchi che inglobano del materiale isolante all’interno di appositi fori presenti nell’elemento. 1.3.1.2. Pareti doppie Le pareti doppie sono pareti destinate a svolgere funzione d’involucro esterno (tamponamento di chiusura verticale) o di separazione fra ambienti interni a diverso clima e/o a diverse condizioni di rumorositá. L’intercapedine costituisce, infatti, un’interruzione alla trasmissione di calore e di rumore e al passaggio di fluidi (aria e acqua). Sono costituite da due strati murari distinti, realizzati ciascuno con elementi forati di laterizio di spessore uguale o diverso e con intercapedine interposta completamente o parzialmente riempita con materiale isolante. Nelle pareti esterne doppie, isolate termicamente, puó essere neccessario, nei climi freddi, proteggere l’isolante verso l’interno con una barriera al vapore. Nei climi piovosi è utile realizzare uno strato di intonaco rustico sulla faccia rivolta verso l’intercapedine dello strato di supporto esterno. Le pareti doppie possono essere costituite da due tavolati di elementi forati di laterizio di uguale o diverso spessore, non isolate nell’intercapedine (figura 1.8 a) o isolate nell’intercapedine (figura 1.8 b) oppure con tavolato interno in elementi forati di laterizio e tavolato esterno in elementi semipieni di laterizio, non isolate nell’intercapedine (figura 1.8 c) o isolate nell’intercapedine (figura 1.8 d).
Figura 1.8. (Fonte: www.edilportale.com) – Tipologie di pareti doppie in elementi di laterizio.
Gli strati funzionali che le caratterizzano sono i seguenti:
1) due strati di supporto, costituiti dagli elementi forati di laterizio e dal legante;
2) intercapedine d’aria e/o isolante termico e acustico; 3) strato di barriera al vapore, quando necessario;
4) strato di tenuta all’acqua e all’aria (rinzaffo interno della muratura, denominato anche intonaco di stagnezza), quando necessario;
5) strati di regolarizzazione, protezione e finitura, costituiti da intonaco; 6) strati di finitura superficiale e/o rivestimento, costituiti da tinteggiatura,
materiale rigido in lastre o piastrelle, materiale flessibile in rotoli.
Questi tipi di pareti assicurano, nel proprio spessore, un’interruzione di capillaritá continua. In questo caso, l’interruzione di capillaritá puó essere costituita da pannelli isolanti idrofili e non idrofili. Possono, inoltre, essere previsti anche sistemi di raccolta e scarico verso l’esterno delle eventuali acque d’infiltrazione. 1.3.1.3. Contropareti in pareti composte In questo caso la parete viene utilizzata come strato di completamento di pareti in elementi di laterizio normale o alleggerito in pasta, oppure di pareti realizzate con diversa tecnologia (getti in conglomerato cementizio, pannelli prefabbricati ecc.). La controparete puó essere resa solidale alla parete principale con un legante a base di malta o con ancoraggi meccanici la cui disposizione dipende da analisi condotte sulla diversa deformabilitá dei materiali che compongono i due strati. La controparete puó essere anche indipendente dalla parete principale, con l’interposizione di una intercapedine d’aria o riempita con materiale isolante. In questo caso, l’interruzione di capillaritá è costituita da un’intercapedine continua. Lo spessore minimo di questa intercapedine è di 3 cm. Lo spessore puó essere ridotto a 2 cm qualora sulla controparete venga collocato un isolante con caratteristiche non idrofili e poco cedevole (figura 1.9). Gli strati funzionali che le caratterizzano sono i seguenti:
1) strato di controparete, costituito dagli elementi forati di laterizio e dal legante;
2) strato di supporto principale, costituito secondo il tipo di tecnologia costruttiva adottata (muratura, getto di calcestruzzo, struttura prefabbricata); 3) strato o elementi di solidarizzazione fra controparete e supporti, quando necessari; 4) strato di intercapedine d’aria e/o isolante termico e acustico, se previsto; 5) strato di barriera al vapore, quando necessario; 6) strati di regolarizzazione, protezione e finitura, costituiti da intonaco; 7) strati di finitura superficiale e/o rivestimento, costituiti da tinteggiature, materiale rigido in lastre o piastrelle, materiale flessibile in rotoli.
Figura 1. 9. (Fonte: www.edilportale.com) – Controparete in elementi forati per murature portanti o setti in C.A.
Le contropareti in elementi forati di laterizio sono utilizzate per migliorare le prestazioni di isolamento termoacustico di pareti in laterizio pieno o semipieno o realizzate con altra tecnologia.
Nello spessore di una stessa parete è opportuno evitare di associare materiali che presentano comportamenti meccanici e termoigrometrici estremamente diversi. I muri formati da due pareti presentano, ciascuna, uno spessore compreso tra 10 cm e 20 cm ( 22 cm per i mattoni pieni o forati). Gli spessori devono essere determinati in funzione delle esigenze di resistenza alle infiltrazioni di pioggia e alla stabilitá meccanica. [3] [7] [8] [9] [21] 1.3.1.4. Stabilitá e tolleranze di verticalitá Nel caso della parete doppia, e soprattutto nel caso di realizzazione di chiusure esterne, è possibile utilizzare staffe di collegamento per ancorare le murature con le strutture intelaiate in C.A. o in acciaio, o per rendere solidali le due murature in maniera da dare maggiore stabilitá alla parete. Le graffe devono essere posate con inclinazione verso l’esterno e la loro morfologia deve essere tale da impedire il passaggio di eventuale acqua verso la parete interna. Oltre che a una migliore stabilitá strutturale complessiva, i graffaggi contribuiscono anche a ridurre le fessurazioni. Il loro uso è molto raccomandabile sia in zone molte ventose, sia in presenza di ampie superfici murarie piane quando le pareti esterne sono sottili. I graffaggi vengono anche chiamati graffe, grappe, ancoraggi, ancore, ciampe o staffe.
Le tolleranze di verticalitá sono da considerarsi in funzione dell’intonaco o del rivestimento previsto, tenendo presente che ad opera ultimata si dovrebbero ottenere i seguenti risultati:
planaritá generale, scostamento minore dello 0,02% (scostamento rispetto al piano identificato da un regolo di 2 m appoggiato in tutti i sensi sulla superficie da controllare);
planaritá locale, scostamento minore di 4 mm (scostamento rispetto al piano identificato da un regolo di 1 m appoggiato in tutti i sensi sulla superficie da controllare);
rettilineitá degli spigoli e verticalitá, scostamento minore di 5 mm, rispetto all’altezza del vano.
1.3.2. Classificazione in funzione della posizione dello strato di isolamento
È possibile distinguire tre tipologie di pareti: isolate dall’interno, isolate dall’esterno e isolate nell’intercapedine. Le prime due soluzioni vengono impiegate per le riqualificazioni di edifici esistenti. La presenza dell’isolante termico all’interno o all’esterno della parete non ne modifica le prestazioni in termini di isolamento termico, ma incide sensibilmente sulla sua capacitá di accumulazione termica. La terza soluzione deve, invece, essere prevista giá in fase di progettazione.
1.3.2.1. Parete isolata dall’interno
La parete isolata dall’interno (denominata anche perete a cappotto interno) rappresenta una soluzione efficace quando si tratta di intervenire su edifici esistenti di particolare pregio. Questo tipo di soluzione presenta alcuni svantaggi in termini di prestazioni fisico‐termiche: non risolve eventuali problemi di ponti termici in facciata e puó presentare rischi di creazione di condensazione interstiziale in climi freddi e umidi. Un’ulteriore problema è rappresentato dallo spessore riportato all’interno degli ambienti che puó ridurre in maniera significativa la superficie utile delle unitá immobiliari. Lo spessore della soluzione é dato dallo spessore dell’isolante utilizzato – da 4‐6 cm, nei climi mediterranei, fino a 8‐12 cm nei climi rigidi – sommato allo spessore dello strato di protezione interna (figura 1.10). Poiché lo strato di isolamento è posto sulla superficie interna della parete, la sua massa lo protegge maggiormente dall’umiditá proveniente dall’ambiente esterno, pertanto possono essere anche impiegati isolanti idrofili, piú rispettosi dell’ambiente e piú adatti alla funzione di diffusione del vapore. Viceversa, in presenza di forti escursioni termiche dell’ambiente circostante, si deve impiegare un isolante idrofugo e la superficie interna dello strato isolante puó richiedere la protezione con uno strato di barriera al vapore, preassemblata in stabilimento oppure realizzata in opera con teli in polietilene o film metallici. Infine, la superficie interna della parete viene regolarizzata con una rasatura e tinteggiatura.
Figura 1.10. (Fonte: Tecnica e tecnologia dei sistemi edilizi) – Soluzione tecnica di parete isolata dall’interno. Strati funzionali (strati e spessori indicativi). 1.3.2.2. Parete isolata dall’esterno Spesso questa soluzione viene adottata per intervenire sugli edifici esistenti dalle prestazioni termiche scadenti, aggiungendo un nuovo strato esterno che modifica sostanzialmente la trasmittanza termica della parete. Questa soluzione permette di eliminare completamente i ponti termici che derivano dalla discontinuitá delle chiusure verticali esistenti, riducendo i consumi energetici per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti. Il principale vincolo è posto dall’immagine architettonica che ne deriva, spesso modificata rispetto a quella originaria. Il modello funzionale della parete isolata dall’esterno consente un miglior comportamento di accumulo termico della parete. L’isolante viene posto all’esterno rispetto allo strato di supporto esterno e protetto dagli agenti atmosferici attraverso un sottile strato di protezione. Per questo motivo la soluzione viene comunemente denominata a cappotto. Lo spessore e la massa della parete, sia essa portante o non portante, cosí isolata dall’esterno, sono in grado di accumulare la maggiore quantitá di energia termica proveniente dall’interno, mentre lo strato di isolamento, posto in prossimitá della finitura esterna, è in grado di fermare in superficie il flusso termico indotto dalle condizioni dell’ambiente circostante (figura 1.11).
La prestazione d’isolamento termico è affidata in gran parte alle caratteristiche fisico‐tecniche e allo spessore dell’isolante che viene impiegato (generalmente in lastre rigide di EPS – polistirene espanso sinterizzato – o di XPS – polistirene espanso estruso ad elevata densitá) per il controllo delle dispersioni e dei guadagni termici della parete esterna, mentre l’inerzia termica deriva esclusivamente dalla massa costituente lo strato di supporto.
Figura 1.11. (Fonte: Tecnica e tecnologia dei sistemi edilizi) – Soluzione tecnica di parete isolata dall’esterno. Strati funzionali (strati e spessori indicativi).
Le sollecitazioni e gli sbalzi termici a cui viene sottoposto lo strato di protezione e finitura esterna possono provocare dilatazioni termiche a cui lo strato deve essere in grado di resistere. Per garantire ció, possono essere utilizzati materiali a basso coefficiente di dilatazione termica, dispositivi di ripartizione dei carichi e giunti di dilatazione. Si elencano di seguito alcuni espedienti tecnici a riguardo: l'uso di uno strato di regolarizzazione e di barriera al vapore tra l’isolante e lo strato di supporto in grado di compensare le tolleranze verticali e i rischi di condensa interstiziale; il fissaggio meccanico dell’isolante tramite tasselli in materiale plastico o profili metallici ad andamento orizzontale; l’applicazione di una rete esterna di armatura (generalmente in fibra di vetro) che, unitamente al primo strato di intonaco, regoralizza le discontinuitá delle lastre o dei pannelli di isolante;
uno strato di collegamento realizzato con malta cementizia, a supporto dell’armatura porta‐intonaco di spessore variabile a seconda del rivestimento esterno (intonaco sottile o intonaco idraulico).
Le soluzioni tecniche che realizzano la parete isolata dall’esterno (cappotto esterno) sono essenzialmente di due tipi e si differenziano per lo strato di protezione esterna: il primo tipo prevede un paramento di elementi sottili prefabbricati giá accoppiati allo strato isolante, soluzione tecnica denominata “véture”; il secondo è realizzato con intonaco su piú strati di rivestimento e finitura.
1.3.2.3. Parete isolata nell’intercapedine Quando l’isolante termico è inserito nell’intercapedine fra i due strati di supporto (sistema denominato anche parete a cassetta) il modello funzionale contribuisce maggiormente al controllo dell’isolamento e dell’inerzia termica della parete. Lo strato d’isolamento termico viene realizzato con l’impiego di materiali isolanti e puó anche essere affiancato da un’intercapedine d’aria che contribuisce alla riduzione dei carichi estivi e alle dispersioni di quelli invernali.
La parete isolata nell’intercapedine rappresenta generalmente una soluzione semi‐inserita rispetto alla struttura portante, presentando lo strato di supporto interno appoggiato alla struttura di elevazione, ovvero costituendo esso stesso lo strato portante. Lo strato di supporto esterno puó utilmente essere posto in parziale aggetto rispetto alla struttura, potendo cosi disporre di uno strato superficiale esterno non interrotto dagli elementi strutturali orizzontali e verticali. Per ottenere questa soluzione occorre che il baricentro del paramento cada, comunque, all’interno della struttura e, inoltre, occorre che in corrispondenza degli elementi strutturali a contatto con lo strato esterno siano interposti strati di materiale isolante, con caratteristiche prestazionali maggiorate per consentire minori spessori di ingombro (figura 1.12). Figura 1.12. (Fonte: Tecnica e tecnologia dei sistemi edilizi) – Soluzione tecnica di parete isolata nell’intercapedine. Strati funzionali di supporto esterno a cortina (strati e spessori indicativi).
Un maggiore livello di prestazione della parete si realizza quando lo strato di supporto esterno è posto completamente all’esterno della struttura portante. Tale sistema viene denominato a cortina: la parete di tamponamento è posta all’esterno della struttura portante e ad essa appesa. Questa caratteristica permette di realizzare uno strato di spessore omogeneo lungo tutto il suo sviluppo verticale e consente di porre in esterno anche lo strato di isolamento, realizzando con ció uno strato continuo di isolamento (camera d’aria e/o strato di isolante) per tutto lo sviluppo superficiale della parete. In tal caso, occorre che lo strato di supporto esterno abbia caratteristiche di auto‐portanza, ovvero che sia appoggiato alle strutture portanti orizzontali di piano per mezzo di opportuni dispositivi meccanici (figura 1.13).
Figura 1.13. (Fonte: Tecnica e tecnologia dei sistemi edilizi) – Soluzione tecnica di parete isolata nell’intercapedine. Strati di supporto esterno semi inserito (strati e spessori indicativi).
Le soluzioni tecniche piú efficaci prevedono che lo strato di supporto interno abbia massa maggiore di quello esterno, questo consente una maggiore accumulazione termica dello strato interno e una migliore permeabilitá al vapore dello strato esterno. Quando lo strato isolante viene realizzato con pannelli rigidi o semirigidi e non è prevista una camera d’aria occorre verificare la neccessitá di una barriera al vapore nella parte interna dell’isolante. In ambienti particolarmente umidi e freddi, l’interposizione di una camera d’aria fra strato di supporto esterno e isolante è comunque opportuna per garantire una parete interna asciutta. In tal caso, la camera d’aria puó prevedere dispositivi di evacuazione posti al piede del solaio per consentire l’eliminazione di eventuali infiltrazioni d’acqua. [10]
1.3.3. Intonaco Le principali funzioni svolte dall’intonaco sono: funzione di regolarizzazione delle superfici del supporto; funzione decorativa; funzione di irrigidimento; funzione di tenuta all’aria e impermeabilitá all’acqua; funzione di protezione dagli agenti ambientali. L’impermeabilitá all’acqua assume gradi diversi a seconda che si tratti di intonaci propriamente impermeabili o meno. La tenuta all’aria è particolarmente importante anche dal punto di vista acustico. L’intonaco, infatti, migliora notevolmente il potere fonoisolante della parete, non solo per un aumento di massa della stessa, ma soprattutto per l’eliminazione di zone permeabili all’aria e quindi al rumore.
Alcuni tipi di intonaco svolgono, inoltre, specifiche funzioni integrative delle prestazioni delle pareti:
funzione di isolamento termico (intonaci isolanti); funzione di protezione al fuoco (intonaci antincendio); funzione di fonoassorbenza (intonaci fonoassorbenti).
Le soluzioni di intonaco comunemente utilizzate per divisori e tamponamenti sono:
a) intonaco ordinario o tradizionale a base di calce aerea:
é un intonaco eseguito con malta di calce aerea spenta in pasta (grassello) e inerte fine. Possiede ottime prestazioni di permeabilità al vapore e scarsa fessurabilità, ma richiede una notevole competenza nell'esecuzione. Con l'aggiunta di leganti idraulici si ottiene un miglioramento della resistenza e una riduzione dei tempi di indurimento;
b) intonaco ordinario o tradizionale al civile a base di leganti idraulici:
é un intonaco idoneo per ambienti esterni e interni, a base di leganti idraulici (cemento e calce idraulica), comunemente utilizzato per la maggiore facilità di esecuzione. Pur presentando buona resistenza meccanica ed impermeabilità all'acqua, risulta fessurabile e possiede scarsa permeabilità al vapore;
c) intonaco ordinario o tradizionale a base di gesso:
generalmente per interni, ha la capacità di assorbire e restituire il vapore d'acqua. Presenta bassa conducibilità termica e alta permeabilità al vapore. Si trova in diverse varianti: a base di gesso emidrato, a base di gesso anidro e premiscelato a base di gesso emidrato ed anidro, con aggiunta di calce, perlite e additivi e finiture a base di gesso scagliola. In presenza di gesso non cotto sotto forma di biidrato, esiste la possibilità che si formino muffe ed efflorescenze, mentre eventuali parti metalliche a contatto possono venire corrose;
d) altri tipi di intonaci speciali:
altre applicazioni possibili sono rappresentate da:
intonaci speciali additivati, quali isolanti a base di leganti idraulici e inerti leggeri, intonaci antincendio e intonaci fonoassorbenti con inerti speciali. L’inerte puó essere assimilato ad un additivo, rappresentato da materiali sfusi in granuli e in fibra, miscelati alla malta in forte percentuale;
Intonaci speciali ai silicati e resino plastici, ad applicazione continua e con funzione di tenuta all’acqua (che devono però essere permeabili al vapore per evitare rischi di distacchi).
Gli intonaci precedentemente descritti rientrano in una classificazione piú ampia, come riportato nelle seguenti tabelle 1.6, 1.7 e 1.8 che indicano anche i loro principali componenti, l’ambiente d’utilizzo, lo spessore e il numero di strati previsti. [18]
INTONACI ORDINARI Principali
tipologie Principali componenti di utilizzo Ambiente Spessore (cm) (1)
N° strati (2) Intonaci di malta bastarda o composta Acqua, inerte (sabbia), legante: calce idraulica e calce aerea calce idraulica e/o calce aerea e cemento, inerte calce e gesso (3) Esterno Interno 1,5 2,5 (1,5 1,8) 1,0 1,5 (1,0 1,2) 3 2 2 3 Intonaci a base di
calce aerea (4) calce aerea (grassello in pasta o calce idrata in polvere)
Intonaci a base di
calce idraulica calce idraulica
Intonaci a base di
cemento (5) Acqua, inerte (sabbia), legante: cemento Esterno e interno (0,5 1,0) 1,0 1,5
2 Intonaci a base di
gesso Raramente inerte (sabbia), acqua, legante: calce idraulica Interno 1,0 2,0 (0,8 1,5) 2 (1) Intonaci miscelati in cantiere fuori parentesi, intonaci premiscelati entro parentesi. (2) Nei modelli funzionali piú diffusi. (3) In genere premiscelato. (4) Come strato finale in grassello di calce o come intonaco completo. (5) Piú che altro malte rasanti e per il recupero del calcestruzzo o intonaci completi, ma in questo caso additivati. Tabella 1.6. (Fonte: Manuale di manutenzione edilizia) – Classificazione dei tipi di intonaci ordinari miscelati in cantiere e premiscelati.
INTONACI SPECIALI ADDITIVATI Principali tipologie Principali componenti Ambiente di utilizzo Spessore (cm) N° strati (1) Intonaci additivati con modifica delle prestazioni finali Intonaci ignifughi Interno 1,0 4,0 1 2 Intonaci deumidificanti
(macroporosi) Esterno e interno 2,0 circa 2 3 Intonaci impermeabilizzanti o
idrorepellenti o ignifughi Esterno e interno ‐ 1 2 Intonaci termoisolanti Esterno e
interno 2,0 5,0 2 3 Intonaci acustici (fonoassorbenti) Interno 1,0 5,0 1 2
Intonaci indurenti Esterno ‐ 2 3
Intonaci con contenute
microfessurazioni Esterno e interno ‐ 2 3 Intonaci additivati per l’ottimizzazione delle fasi d’esecuzione Intonaci con additivi aeranti Intonaci con additivi fluidificanti Intonaci con additivi plastificanti Intonaci con additivi acceleranti o ritardanti di pressa Intonaci con additivi antigelo Esterno e interno ‐ ‐ (1 )Nei modelli funzionali piú diffusi. Tabella 1.7. (Fonte: Manuale di manutenzione edilizia) – Classificazione dei tipi di intonaci speciali additivati. INTONACI SPECIALI AI SILICATI E PLASTICI Principali tipologie Principali componenti Ambiente di utilizzo Spessore (cm) (1) strati N° Intonaci ai
silicati Acqua, inerte (sabbia), legante (siliccato di potassio), pigmenti e aditivi Esterno 0,12 0,25 2 Intonaci plastici Acqua, inerte (granulati o “sabbie” di marmo, quarzo, silicati, ecc., eventuali farine di creta, caolino, ecc.) (2), legante (resine acriliche o viniliche), eventuali pigmenti colorati, additivi (compresi battericidi e funghicidi) (3) Esterno 0,1 0,4 1 (1) Tenendo conto del solo velo finale. (2) Sostanze introdotte a guisa di inerte, ma con possibile comportamento attivo. (3) Sia le resine naturali che quelle sintetiche possono essere considerate leganti orgnici, per questo motivo gli intonaci plastici contengono spesso sostenze che evitano lo sviluppo di imcrorganismi e di batteri. Tabella 1.8. (Fonte: Manuale di manutenzione edilizia) – Classificazione dei tipi di intonaci speciali ai silicati e plastici. L’aderenza al supporto è fondamentale sia ai fini dell’integritá dello strato che ai fini della funzione di protezione che lo strato stesso deve svolgere, in particolare sulle facce a contatto con l’esterno. Gli elementi di laterizio sono normalmente compatibili con tutti i tipi di intonaco, poiché l'aderenza con le malte è elevata. Occorre evitare di utilizzare intonaci troppo rigidi, in particolare per le murature più leggere e di ridotto spessore e ancora più per le contropareti, che sono intonacate solo su di una faccia.
Gli intonaci premiscelati o pronti all’uso non presentano la stratificazione propria degli intonaci tradizionali. Grazie agli additivi e al controllo sulle miscele è, infatti, possibile realizzare con questi prodotti intonaci monostrato, o al piú a due strati. Gli intonaci non devono essere realizzati in periodo di gelo, né, salvo precauzioni particolari, su supporti surriscaldati o troppo asciutti, né in presenza di vento secco. La parte superiore dell’intonaco deve essere protetta da infiltrazioni d’acqua.
L'intonaco ordinario (tradizionale) a base di malte di calce e cemento è realizzato in due o tre strati. Ogni strato assolve a funzioni diverse, passando dallo strato piú aderente al supporto allo strato piú superficiale, e perció è anche realizzato con malte a diversa composizione e a diverso dosaggio:
1) il primo, strato di rinzaffo o strato di aderenza, serve a regolarizzare il supporto e ad assicurare l'aderenza degli strati successivi. In genere, la malta presenta inerti a granulometria più grossa e maggiore dosaggio di leganti ad elevata resistenza e rigidezza;
2) il secondo strato, arriccio o stabilitura, costituisce, negli intonaci a due strati, anche lo strato di finitura; ha la funzione di assorbire i movimenti dello strato sottostante in fase di indurimento, mantenendo la consistenza omogenea del rivestimento e offrendo una superficie regolare, ma ancora abbastanza ruvida allo strato finale. Questo strato costituisce il corpo dell’intonaco e ne assicura, con la sua compattezza, le funzioni di tenuta all’aria e impermeabilitá. È composto da malte nelle quali gli inerti hanno granulometria più fine e il contenuto in leganti ad alta resistenza meccanica è minore rispetto allo strato precedente; 3) il terzo strato, lo strato di finitura, ha spessore ridotto e assolve a funzioni estetiche e protettive. Puó essere realizzato, perció, con leganti diversi da quelli utilizzati negli strati sottostanti (resine acriliche, gesso su malta a legante idraulico), per ottenere particolari rese estetiche o per abbreviare i tempi di esecuzione dell'intonaco.
Nel caso in cui le condizioni di messa in opera (in particolare le modalità di collegamento alle strutture di orizzontamento e laterali) richiedano alla parete di resistere a sollecitazioni rilevanti di flessione, causate dalla deformazione dei solai o da sovraccarichi orizzontali, dovrà essere verificata la necessità di rinforzare la parete con un intonaco armato. L'armatura è realizzabile con rete in fibre di vetro, in fibre sintetiche o in acciaio, inglobata nell'intonaco e ben aderente alla muratura (figura 1.14). Il tipo di armatura deve essere scelto in funzione delle sollecitazioni meccaniche previste, delle condizioni ambientali e della compatibilità fra i materiali impiegati. In commercio esistono, infatti, armature con caratteristiche diverse di resistenza a trazione, resistenza agli alcali e alla corrosione. Quando la necessità di rinforzo dell'intonaco deriva da sovraccarichi orizzontali rilevanti, quali quelli previsti per particolari ambienti dal D.M. 16/01/96 "Norme tecniche relative ai criteri generali per la verifica della sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi", in particolare per pareti di altezza comune (2,80 m), l'armatura può essere posta su una fascia a cavallo della quota di applicazione dei suddetti carichi e le giunzioni della rete si effettuano per sovrapposizione di 10 cm come minimo.
Figura 1.14. (Fonte: www.edilportale.com) – Intonaco armato con rete immersa in uno strato di rasante collante (spessore 25 mm secondo il tipo di rete). Lo spessore finale dello strato di intonaco non deve essere superiore ai 15 mm anche se, soprattutto nel caso di ristrutturazioni, è necessario intervenire in più fasi per ottenere una superficie adatta a ricevere il rivestimento. Nel caso di strati successivi, questi si aggirano intorno agli 8‐10 mm di spessore e contengono – quando è prevista la posa di pannelli coibenti – guaine oppure – quando lo spessore complessivo dello strato supera i 25 mm – una rete elettrosaldata fissata alla muratura costituita da elementi inossidabili.
Frequentemente, per aumentare la lavorabilità dell’impasto e contenere il rapporto acqua/cemento, si aggiunge all’impasto un additivo fluidificante, mentre è preferibile evitare l’aggiunta di calce che potrebbe interferire negativamente sulla resa finale generando efflorescenze antiestetiche e dannose sul rivestimento finito.
La malta può essere indifferentemente preparata in betoniera o in macchina miscelatrice con l’accortezza, però, di mescolare a secco cemento ed inerti e di aggiungere, poi, l’acqua a piccole dosi. L’impasto così ottenuto deve essere omogeneo, di colore uniforme e sufficientemente plastico.
Prima della stesura della malta vengono realizzate – con lo stesso impasto – delle guide per consentire la perfetta lisciatura dello strato. Ultima operazione prima della stesura dell’intonaco è la bagnatura, sino a rifiuto, del supporto che deve essere privato d’eventuali parti incoerenti e di depositi di polvere. Il prodotto posato, poi, va reso perfettamente liscio impiegando una staggia fatta scorrere in tutte le direzioni lungo le guide di riferimento.
L’operazione di lisciatura serve, oltre che a rendere perfettamente complanare il piano di posa, anche ad evidenziare eventuali irregolarità che vanno prontamente colmate e livellate. Il risultato finale, dunque, deve essere un supporto perfettamente complanare e con un adeguato livello di rugosità che favorisca l’aggrappaggio del prodotto ceramico.
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1.4. Il ruolo dei rivestimenti in facciata
Data la varietà e il numero crescente di materiali sempre più definiti e diversificati nelle loro caratteristiche tipologiche e prestazionali, oggi i rivestimenti esterni di facciata possono essere eseguiti impiegando una ampissima gamma di prodotti: dai tradizionali lapidei e ceramici, fino a quelli cementizi, plastici, metallici, di vetro, in materiali compositi, ecc. I materiali scelti possono abbinare alla funzione protettiva anche quelle di isolamento acustico e termico.
In generale, i rivestimenti si possono definire come strati funzionali che, oltre ad avere un ruolo determinante sull’immagine degli edifici, spesso integrano strati di tenuta all’acqua e all’aria, assolvendo compiti di scambio con l’esterno, controllo e protezione delle strutture interne ed equilibrio energetico, con la capacità di adattarsi alle condizioni ambientali. Questo approccio in termini di stratificazioni funzionali, che caratterizza la progettazione moderna, insieme all’immissione continua sul mercato di prodotti innovativi, con caratteristiche di montabilità a secco, modulari e facilmente sostituibili, è senza dubbio alla base della continua crescita dell’importanza del rivestimento sulle facciate moderne. In base alla dimensione degli elementi si possono classificare i rivestimenti come continui e discontinui. I primi sono quelli caratterizzati da elementi di grandi dimensioni, con giunti distanziati unidirezionali, mentre i secondi, sono quelli costituiti da elementi di piccole dimensioni, dotati di giunti ravvicinati, regolari o irregolari e pluridirezionali, tenendo presente come tipologie caratteristiche le lastre e le piastrelle. Si includono, pertanto, nella categoria dei rivestimenti a piccoli elementi i rivestimenti esterni di facciata in ceramica, a piastrella o tesserine, e in clinker che, accostati l’uno all’altro, compongono un rivestimento di tipo omogeneo, applicato in facciata esclusivamente per adesione senza l’ausilio di elementi meccanici.
1.4.1. I rivestimenti ceramici
Una soluzione di rivestimento particolarmente diffusa in Italia è quella della ceramica e della pietra naturale posata “a umido”, previa stesura di uno strato continuo o puntuale di incollaggio, in malta o adesivi cementizi o sintetici. Gli elementi di rivestimento possono essere tessere o piastrelle in materiale ceramico che vanno dai 2 o 3 centimetri di lato con spessore circa 2 millimetri – maggiormente richiesti nel passato – a dimensioni molto più grandi e piú attuali, superiori al metro.
La resistenza agli agenti chimici, climatici e all’usura, la proprietá incombustibile, la facile pulibilità e l’ampia gamma di colori resistenti alla luce, sommato alle diverse tipologie di superfici e forme rendono i rivestimenti ceramici particolarmente adatti a tantissime applicazioni, per cui rimangono ancora oggi tra i rivestimenti più utilizzati nonostante la loro intrinseca fragilità.
La posa di rivestimenti ceramici in facciata, soprattutto nel caso di altezze superiori a 3 metri, è impegnativa sia da un punto di vista progettuale che applicativo. Uno dei principali fattori che i progettisti devono tenere maggiormente in considerazione, infatti, è rappresentato dai movimenti
differenziali che vengono ad instaurarsi tra il supporto e il rivestimento ceramico a causa delle escursioni termiche giornaliere e stagionali, che a loro volta sono dipendenti dalla posizione geografica, dall’esposizione solare, dal colore delle piastrelle ceramiche e dal loro formato (figura 1.15).
Da queste considerazioni ne deriva che, per posa “a umido”, sono da considerare con estrema attenzione gli aspetti legati alla sicurezza, soprattutto quando il progetto prevede l’installazione di lastre di grande formato e se l’edificio è situato in aree a rischio sismico.
Figura 1.15. (Fonte: Litokol s.p.a.) – Lastre ceramiche in diversi formati.
Da alcuni anni, l’evoluzione del settore ceramico ha permesso alle aziende produttrici di realizzare lastre ceramiche di formato sempre più grande, arrivando fino a dimensioni di 160x320 cm. Lo spessore di queste lastre può variare da 3 a 5,5 mm (in questo caso si parla di lastre sottili in grés porcellanato, alcune delle quali presentano il retro rinforzato tramite l’applicazione di una stuoia di vetro antialcalina che ne aumenta la resistenza) fino a spessori nominali tradizionali di 10‐11 mm. In Italia è comunemente utilizzata una classificazione di tipo tecnico‐commerciale, basata sulle caratteristiche tecniche e tecnologiche della piastrella (tabella 1.9).