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67;1;2 - Diritto civile
Responsabilità medica - Diritto civile
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c.c. art. 2403; c.p.c. art. 3; D.P.R. n.444/1997 e C.M. 12 agosto 1998, n. 205/E, circolare 42/E del 9 novembre 2012
43683
Responsabilità medica
a cura di Pietro Rescigno
con Raffaele Caterina
e Vincenzo Cuffaro
Tribunale Milano, 30 ottobre 2014 – Giud. Flamini – attore Cinque (avv. Palumbo) – convenuti Istituto Ortopedico Galeazzi S.p.a. (avv. Giambellini), Bruno Maurilio (avv.ti Della Vedova, Verri), Gabriella Toniolo (avv. Maggi) – terza chiamata Unipol Assicurazioni S.p.a. (avv. Todeschini).
Obbligazioni in genere – Responsabilità civile sanitaria – Responsabilità della struttura sanitaria – Responsabilità del professionista
(C.c. artt. 1218, 2043, L. n. 189/2012, art. 3) I
L’art. 3 della L. n. 189/2012 è da interpretare nel senso di ricondurre la responsabilità risarcitoria del medico nell’alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (con tutto ciò che ne consegue, principalmente in tema di riparto dell’onere della prova, di termine di prescrizione e di diritto al risarcimento del danno).
Obbligazioni in genere – Responsabilità civile sanitaria – Responsabilità dell’esercente una professione sanitaria
(C.c. artt. 1218, 1176) I
Ove l’attore agisca anche nei confronti dei medici, senza allegare l’esistenza di un contratto d’opera professionale con gli stessi concluso, deve ritenersi che il rapporto che si instaura con la struttura sanitaria sia contrattuale. (Massime non ufficiali)
Omissis. – 1. Responsabilità professionale
Nel merito, le domande spiegate da Cosimo
Cinque sono parzialmente fondate e possono
essere accolte nei limiti che seguono.
Atteso che nel caso in esame l’attore ha agito
nei confronti della struttura sanitaria e dei due
medici convenuti e non ha allegato, né provato,
di aver concluso con questi ultimi un contratto
d’opera professionale, appare opportuno
compiere alcune brevi considerazioni
preliminari (solo di ordine generale, in ragione
del silenzio delle parti sul tema in esame) alla
luce delle disposizioni contenute nell’art. 3 della
l. 189/2012 (che ha convertito il d.l. 158/2012
c.d. “decreto Balduzzi”). L’art. 3 comma 1 della
citata legge dispone che “l’esercente la
professione sanitaria che nello svolgimento
della propria attività si attiene a linee guida e
buone pratiche accreditate dalla comunità
scientifica non risponde penalmente per colpa
lieve. In tali casi resta comunque fermo
l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il
giudice, anche nella determinazione del
risarcimento del danno, tiene debitamente conto
della condotta di cui al primo periodo.
Ritiene questo Giudice (... omissis …) che la
disposizione normativa appena richiamata –
interpretata alla luce del chiaro intento del
legislatore di restringere e di limitare la
responsabilità (anche) risarcitoria derivante
dall’esercizio delle professioni sanitarie per
contenere la spesa sanitaria ed in conformità dal
criterio previsto dall’art. 12 delle preleggi, che
assegna all’interprete il compito di attribuire
alla norma il senso che può avere in base al suo
tenore letterale e all’intenzione del legislatore –
sia da interpretare nel senso di ricondurre la
responsabilità risarcitoria del medico (al pari di
quella degli altri esercenti le professioni
sanitarie) nell’alveo della responsabilità da fatto
illecito ex art. 2043 c.c. (con tutto ciò che ne
consegue, principalmente in tema di riparto
dell’onere della prova, di termine di
prescrizione e del diritto al risarcimento del
danno). Il Tribunale, pur consapevole del
contrario avviso recentemente espresso dalla
Corte di Cassazione in merito al significato da
attribuire dalla disposizione contenuta nell’art. 3
sopra citato (cfr. ord. 8940/2014, secondo la
quale il legislatore si è soltanto preoccupato di
escludere l’irrilevanza della colpa lieve anche in
ambito di responsabilità extracontrattuale
civilistica), ritiene che ove il legislatore avesse
voluto solo escludere l’irrilevanza della colpa
lieve nella responsabilità aquiliana, il richiamo
all’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. sarebbe del
tutto superfluo ed ingiustificato.
Per tali ragioni ove, come nel caso di specie
l’attore agisce anche nei confronti dei medici,
senza allegare l’esistenza di un contratto
d’opera professionale con gli stessi concluso,
deve ritenersi che il rapporto che si instaura con
la struttura sanitaria sia contrattuale, mentre il
rapporto con i professionisti sia di natura
extracontrattuale … (omissis) …
In merito alle censure mosse dalla difesa della
Toniolo, relative al fatto che l’intervento
chirurgico era stato eseguito dal Bruno, come
primo operatore, e che la Toniolo si era limitata
a collaborare, si osserva quanto segue.
I consulenti d’ufficio hanno evidenziato che,
di regola, (e, nel caso in esame, non vi sono
ragioni per ritenere che si sia agito
diversamente) l’esecuzione dell’intervento
spetta al primo operatore, mentre il secondo
operatore si limita a collaborare, mantenendo
divaricati i tessuti molli, al fine di esporre il
campo chirurgico.
Appare opportuno richiamare la
giurisprudenza della Suprema Corte in materia
di colpa professionale nel caso di equipe
chirurgica. La Corte di Cassazione ha chiarito
che, nel caso in cui ci si trovi di fronte a
cooperazione multidisciplinare nell’attività
medicochirurgica, sia pure svolta non
contestualmente, ogni sanitario, oltre che al
rispetto dei canoni di diligenza e prudenza
connessi alle specifiche mansioni svolte, è
tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno
derivanti dalla convergenza di tutte le attività
verso il fine comune ed unico. Principio dal
quale discende che ogni sanitario non può
esimersi dal conoscere e valutare l’attività
precedente o contestuale svolta da altro collega,
sia pure specialista in altra disciplina, e dal
controllarne la correttezza, se del caso ponendo
rimedio o facendo in modo che si ponga
opportunamente rimedio ad errori altrui che
siano evidenti e non settoriali e, come tali,
rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle
comuni conoscenze scientifiche del
professionista medio (Sez. 4 n. 18548 del
24/01/2005 – dep. 18/05/2005, Miranda ed altri,
Sez. 4, n. 33619 del 12/07/2006 – dep.
06/10/2006, principi tutti ribaditi nella più
recente Cass. Pen. Sez. 4 del 18.6.2013 n.
43988).
Per ascrivere la responsabilità anche alla
dott.ssa Toniolo la quale, come risulta dalla
c.t.u. e come non contestato dalla difesa del
Bruno, si è limitata ad assistere il primo
operatore chirurgico, che ha scelto ed eseguito
l’intervento per cui è causa, è, dunque,
necessario accertare: che la Toniolo ha avuto la
concreta possibilità di conoscere e valutare
l’attività svolta dal Bruno, se ne ha potuto
controllare la correttezza, se ha avuto modo di
agire, ponendo rimedio o facendo in modo che
si ponesse rimedio agli errori commessi dal
Bruno, in quanto evidenti o, comunque,
emendabili.
La Toniolo ha allegato che la stessa si è
limitata ad assistere il Bruno, il quale aveva
preso terapeutica dell’ablazione del capitello
radiale ed aveva eseguito direttamente
l’intervento. A fronte di tale allegazione,
secondo la quale il convenuto non avrebbe
avuto il potere di agire sulle decisioni e
sull’esecuzione dell’intervento, la difesa del
Bruno nulla ha eccepito.
Non si ritiene, pertanto, raggiunta la prova, nel
senso sopra delineato, della concorrente
responsabilità della Toniolo nella causazione dei
danni per cui è causa. Non pare corretto, infatti,
ritenere che quest’ultima possa andare esente da
responsabilità solo se fornisca la prova di aver
segnalato al primario la inidoneità o la
rischiosità delle scelte, atteso che, nel caso di
specie, si tratta di un’attività manuale espletata
dal primo operatore, il primario, ed a questo
attribuibile, non potendo il suo assistente
interferire in modo efficace su quanto egli
compiva.
Alla luce delle considerazioni che precedono,
ritenuto che l’attore non ha dimostrato la colpa
della Toniolo, le domande spiegate nei confronti
della stessa devono essere rigettate.
È invece ravvisabile una responsabilità sia
della struttura sanitaria (a titolo contrattuale)
che del dott. Bruno (a titolo extracontrattuale)
per i danni subiti dal Cinque.
Nell’operato dell’istituto Ortopedico Galeazzi
è ravvisabile un inesatto inadempimento delle
prestazioni necessarie ad evitare le lesioni poi
subite dall’attore, con conseguente
responsabilità per violazione del dovere di
diligenza ex art. 1176 c.c. e diritto di vedersi
risarcito i danni non patrimoniali ed i danni
patrimoniali emergenti che sono conseguenza
immediata e diretta dell’inadempimento (1223
c.c.). – Omissis.
La responsabilità civile sanitaria e la
giurisprudenza di merito milanese.
Il fatto. La vicenda oggetto della sentenza ha visto
coinvolti un paziente, una struttura sanitaria milanese e due medici professionisti ivi operanti.
Più in particolare, il paziente ha citato in giudizio la struttura sanitaria e i due medici, sostenendo che, a causa degli errori professionali commessi dai convenuti durante alcuni interventi chirurgici, egli era affetto da anchillosi completa del gomito sinistro ed aveva subito ingenti danni non patrimoniali e patrimoniali.
Il Tribunale di Milano ha accolto in parte le domande del paziente ed ha condannato la struttura privata ed uno soltanto dei due medici al risarcimento del danno, liquidato in euro tredicimila circa.
La pronuncia in commento si inserisce in un copioso filone giurisprudenziale di merito e di legittimità che, negli ultimi anni, ha affrontato il tema della responsabilità civile sanitaria.
Fra le questioni giuridiche sottese alla pronuncia, ci concentreremo sulla questione relativa alla responsabilità civile del medico e sulla questione relativa alla responsabilità civile della struttura sanitaria.
La responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria. La sentenza si pone sulla scia
di altri precedenti di merito, non solo del Tribunale di Milano, ed avvalora un orientamento che si pone in diverso avviso rispetto a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità, con la recente
ordinanza della Corte di Cassazione n. 8940/2014, secondo la quale “l’art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve, fermo restando, in tali casi, l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile, non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l’irrilevanza della colpa lieve”.
Viceversa, nella sentenza che si commenta, il Giudice milanese ha ritenuto che l’art. 3 della legge Balduzzi “sia da interpretare nel senso di ricondurre la responsabilità civile del medico nell’alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.”.
La pronuncia non è la sola; alcuni mesi prima, la tesi della responsabilità del medico ex art. 2043 c.c. era stata sostenuta dal Tribunale di Milano, in una sentenza in cui il Giudice aveva ritenuto che “se il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in contatto presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare” (Trib. Milano, 17 luglio 2014).
Ancor prima, altri precedenti hanno dato credito alla tesi della responsabilità civile del medico giuridicamente intesa come responsabilità ex art. 2043 c.c. (Trib. Torino, 26 febbraio 2013, Trib. Cremona, 19 settembre 2013, in Nuova Giur.
Comm., 2014, 459, con nota di Querci, e anche in
Mattina, Legge Balduzzi: natura della
responsabilità civile del medico, nota a Trib.
Cremona, 1 ottobre 2013, in Danno e Resp., n. 6/2014, 639, Trib. Enna, 18 maggio 2013, in Danno
e Resp., 1/2014, 74, con nota di Zorzit).
La giurisprudenza di merito ha ritenuto che il legislatore abbia inteso sovvertire il consolidato orientamento giurisprudenziale che configurava la responsabilità dell’esercente una professione sanitaria come responsabilità di tipo contrattuale da contatto sociale (Cass., Sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, conf. Cass., Sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556. In dottrina, si veda De Matteis, La responsabilità
professionale del medico. L’art. 3 del d.l. n. 158/2012 tra passato e futuro della responsabilità medica, in Contratto e Impresa, 1/2014, 123 e anche
De Matteis, Dall’atto medico all’attività sanitaria,
quali responsabilità?, in Trattato di Biodiritto, a
cura di Belvedere - Riondato, Parte Prima, Milano, 2011, 117 e segg. e anche Cherti, Responsabilità
contrattuale del sanitario e danno da perdita di chance, in Giur. It., luglio 2014, 1574, nota a Cass.
civ., Sez. III, 23 maggio 2014, n. 11522, e anche Mariotti, La responsabilità medica, Milano, 2014, e
anche Hazan - Zorzit, Responsabilità sanitaria e
assicurazione, Milano, 2012).
È doveroso però segnalare che anche la giurisprudenza di merito milanese è divisa: una recente pronuncia della Quinta Sezione Civile del Tribunale di Milano ha sostenuto che “la responsabilità del medico ospedaliero – anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 del D.L. Balduzzi come sostituito dalla legge di conversione si riferisce, esplicitamente, ai (soli) casi di colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’ossequio alla lettera della nuova disposizione comporta anche adeguata valorizzazione dell’incipit dell’inciso immediatamente successivo alla proposizione che esclude la responsabilità penale del sanitario in detti casi, per effetto del quale deve ritenersi che esso si riferisca soltanto – appunto – a ‘tali casi’ (di colpa lieve del sanitario che abbia seguito linee guida ecc.). D’altra parte, la presunzione di consapevolezza che si vuole assista l’azione del Legislatore impone di ritenere che esso, ove avesse effettivamente inteso ricondurre una vola per tutte la responsabilità del medico ospedaliero (e figure affini) sotto il (solo) regime della responsabilità extracontrattuale, escludendo l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca (come ad es. ‘la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria per l’attività prestata quale dipendente o collaboratore di ospedali, cliniche e ambulatori è disciplinata dall’art. 2043 del codice civile’), anziché il breve inciso in commento” (Trib. Milano, Sez. V, 18 novembre 2014, n. 13574, inedita).
La responsabilità civile della struttura sanitaria. Un secondo aspetto rilevante è quello
relativo alla responsabilità civile della struttura ospedaliera convenuta.
La sentenza in commento, in adesione alla giurisprudenza di legittimità e di merito, si inserisce in una corrente giurisprudenziale volta a ricondurre la responsabilità della struttura ospedaliera, sia essa una struttura pubblica ovvero una struttura privata, nell’alveo della responsabilità di tipo contrattuale (Cass. civ., Sez. III, 26 giugno 2012, n. 16016 e anche Trib. Bari, Sez. III, 14 febbraio 2014, in
Danno e Resp., 2013, n. 8/9, 849, con nota di Caputi, Medical Malpractice: nodi inestricabili e nuove prospettive, e anche Trib. Lucca, 24 febbraio 2014,
in Foro It., e anche Trib. Milano, 22 luglio 2014). Più in particolare, il Giudice ha ritenuto che “nell’operato della struttura sanitaria è ravvisabile un inesatto adempimento delle prestazioni necessarie ad evitare le lesioni poi subite dall’attore, con conseguente responsabilità per violazione del dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. e diritto di vedersi risarcito i danni non patrimoniali ed i danni patrimoniali emergenti che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (art. 1223 c.c.)”. La sentenza in commento, pertanto, ravvisa un rapporto obbligatorio tra struttura e paziente. La
ricostruzione sullo sfondo è stata così efficacemente riassunta dalla Corte di Cassazione: “il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura o dell’ente, accanto a quelli di tipo ‘latu sensu’ alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze; e consegue che la responsabilità della casa di cura o dell’ente nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente da un sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario, al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche di fiducia dello stesso paziente o, comunque, anche dal medesimo scelto” (Cass. civ., Sez. III, 14 giugno 2007).
Questa tesi trova piena conferma nella recente pronuncia del Tribunale di Milano del 17 di luglio, precedentemente menzionata, nella parte in cui il Giudice ha affermato che se il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del medico con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto ed agisce altresì nei confronti della struttura sanitaria, “la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il fatto dannoso (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell’art. 2055 c.c. (cfr., fra le altre, Cass. Civ., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27713)”.
In conclusione, ad oggi sembra viva, almeno nella giurisprudenza di merito, l’ipotesi di configurare una responsabilità civile del medico ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne deriva in chiave probatoria e prescrizionale; resta fermo, invece, il richiamo alla responsabilità civile della struttura sanitaria quale fonte di responsabilità ex art. 1218 c.c.