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Tribunale di Milano n Dr. Casella - D.B. di M. S.r.l. (Avv.ti Cordini e D Onghia) - INPS (Avv. Capotorti).

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Testo completo

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Lavoro (Rapporto di) - Attività lavorativa qualificata formalmente come

“procacciamento d’affari” - Prestazione in concreto limitata alle interviste telefoniche con esclusione del procurare ordinativi di acquisto - Caratteri della collaborazione coordinata e continuativa - Sussistenza - Possibilità occasionale di procurare ordinativi - Irrilevanza.

Lavoro (Rapporto di) - Collaborazione coordinata e continuativa a progetto - Assenza di uno specifico progetto - Presunzione di subordinazione - Natura assoluta della presunzione - Conversione ex lege in rapporto di lavoro subordinato.

Tribunale di Milano - 15.07.2013 n. 2519 - Dr. Casella - D.B. di M. S.r.l. (Avv.ti Cordini e D’Onghia) - INPS (Avv. Capotorti).

Riveste i requisiti della collaborazione coordinata e continuativa il rapporto del lavoratore, qualificato “procacciatore d’affari”, che si limiti ad intervistare telefonicamente i potenziali clienti dell’azienda, senza procurare ordinativi d’acquisto, allorché tale attività sia svolta nell’ambito di un minimo di ore giornaliere collocabili dal lavoratore a proprio piacimento, ricorra un certo margine di autonomia in funzione del risultato, non sussista un pregnante potere conformativo da parte dell’azienda e il compenso sia legato al raggiungimento di determinati obbiettivi. La mera possibilità degli intervistatori di personalizzare la conduzione delle interviste fino ad ottenere un ordine di acquisto non assume alcuna rilevanza, in quanto tale residuale possibilità non muta la natura della prestazione, prevalentemente di telemarketing.

Tale rapporto, in mancanza di uno specifico progetto, richiesto dalla normativa quale requisito essenziale per la sua validità, si converte ex lege in rapporto di lavoro subordinato ex art. 69 D.Lgs. 276/2003, attesa la presunzione assoluta di subordinazione posta da tale ultima disposizione, come anche chiarito in via d’interpretazione autentica dall’art. 1, Co 24, L. 28.6.2012, n. 92.

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FATTO - Con ricorso depositato il 30-11-2010, D.B. di M. S.r.l. ha convenuto in giudizio l’INPS opponendosi alla cartella esattoriale n. 068 2010 0523772613 000 di euro 84.702,87, notificata il 29-10-2010 da ritenersi illegittimamente emessa per insussistenza della pretesa contributiva.

Con memoria depositata in data 3-3-2011, si costituiva in giudizio l’INPS, contestando tutto quanto ex adverso dedotto e chiedendo il rigetto dell’opposizione siccome infondata in fatto ed in diritto.

Lo scrivente giudice, esaurita l’istruttoria orale, all’udienza del 9-7-2013, ha invitato le parti alla discussione orale e, all’esito, ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo in udienza.

DIRITTO - La vicenda trae origine dall’accertamento ispettivo effettuato congiuntamente dall’INPS, dall’INAIL e dall’Ispettorato del lavoro di Milano presso la sede operativa della D.B., conclusosi con la redazione del verbale del 22-4-2010, con il quale gli Ispettori rilevavano a carico della società opponente, esercente attività di commercio vini, una serie di irregolarità contributive in relazione al rapporto di lavoro (qualificato dalle parti come di procacciamento di affari) intrattenuto con vari collaboratori (c.d. “intervistatori” e “Sales Promoter”) per il periodo dal 1°-1-2006 al 28- 2-2011, riqualificato dagli Ispettori come avente natura subordinata.

L’opposizione è infondata e non merita accoglimento.

In via preliminare occorre recepire in questa sede (ex art. 118, co. 1, disp. att. C.P.C., come modificato dall’art. 79, co. 1, D.L. 69/2013) le condivisibili argomentazioni svolte dall’INPS a pagg. 6-11 della memoria di costituzione con riferimento agli asseriti vizi formali del verbale, del ruolo e della cartella opposta.

Nel merito, l’istruttoria ha evidenziato la correttezza della riqualificazione da parte dell’INPS dei rapporti intercorsi con i c.d. “intervistatori” e i “Sales Promoter”.

Con riferimento ai primi collaboratori - con i quali era stato stipulato un contratto di

“procacciamento di affari” - è emerso che la loro attività esclusiva consisteva nel rivolgere delle domande a potenziali clienti raggiunti telefonicamente per procedere ad una prima scrematura dei nominativi contenuti negli elenchi forniti dall’azienda ai collaboratori stessi. Non era infatti richiesto loro di procurare ordinativi di acquisto: a questo compito, infatti, erano chiamati esclusivamente i venditori ai quali venivano poi girati i nominativi dei potenziali clienti. Tale attività non aveva nulla in comune con quella tipica dei procacciatori di affari, intendendosi indicare, con tale qualifica, quei collaboratori del preponente, la cui attività, caratterizzata

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dall’occasionalità o quanto meno dalla mancanza di stabilità, si concreta nella raccolta di proposte di contratto ovvero ordinazioni, presso terzi, e nella loro trasmissione al preponente. Nella specie, quindi, in totale assenza di raccolta di ordini, gli intervistatori non possono in alcun modo essere considerati procacciatori di affari.

La mera possibilità degli intervistatori di personalizzare la conduzione delle interviste fino ad ottenere un ordine di acquisto non assume alcuna rilevanza in quanto, da un lato, tale residuale possibilità non muta la natura della prestazione, prevalentemente di telemarketing (non avendo, pacificamente, gli intervistatori un proprio portafoglio clienti) e, dall’altro, i testi hanno ribadito che tale ulteriore competenza doveva essere autorizzata dall’azienda previo superamento di una “prova”

attitudinale, di cui non v’è traccia negli atti con riferimento ai periodi indicati nel verbale ispettivo a pag. 4.

Dall’esame delle modalità esecutive, ben descritte nel citato verbale ispettivo (e confermate dai testi escussi: vedi, in particolare, le dichiarazioni rese dalla sig.ra F.S.), l’attività lavorativa degli intervistatori integra un rapporto autonomo di collaborazione coordinata e continuativa. Gli stessi, infatti, osservavano un orario di lavoro flessibile, potendo collocare a proprio piacimento il periodo minimo di 4 ore di lavoro giornaliero necessario per l’attribuzione de premio di produzione, gestivano con un certo margine di autonomia la propria attività in funzione del risultato, non erano soggetti ad un pregnante potere conformativo da parte dell’azienda e la quantificazione della retribuzione era legata al raggiungimento di determinati obiettivi.

Ciò premesso, si rileva che nella specie l’INPS ha soddisfatto pienamente l’onere probatorio su di essa incombente, dimostrando l’esistenza inter partes di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa privo di uno specifico progetto, atteso che - nonostante l’entrata in vigore della Legge Biagi - il rapporto è sorto senza la specifica indicazione del “progetto”, richiesto dalla normativa quale requisito essenziale per la validità di tale tipologia contrattuale. Il vizio di forma determina ex lege la conversione del rapporto autonomo in rapporto di lavoro subordinato.

L’art. 69 D.Lgs. 276/2003 - la cui rubrica recita “Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto” - stabilisce che “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’indicazione di uno specifico progetto ai sensi dell’articolo 61, co. 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.

La presunzione deve ritenersi assoluta come più volte affermato dallo scrivente Giudice.

La lettera della norma appare inequivoca: la violazione del divieto di instaurare collaborazioni coordinate continuative prive dei requisiti specializzanti viene sanzionata con

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l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, con uno strumento già impiegato dal legislatore per contrastare la frode alla legge e che non si limita a prevedere l’emersione del negozio dissimulato, ma prevede l’applicazione della tutela prevista per il lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dall’instaurazione del rapporto. Il meccanismo sanzionatorio è del resto conforme all’intento perseguito dal legislatore, quello di porre fine all’abuso dello strumento della collaborazione coordinata e continuativa.

Parte della giurisprudenza di merito ha sostenuto che il citato art. 69 co. 1 prevederebbe una presunzione semplice di subordinazione, essendo consentito al committente di dimostrare che, nonostante l’assenza di un progetto o programma di lavoro, il rapporto tra le parti fosse caratterizzato da autonomia. Tale tesi non convince affatto, in quanto confligge con l’inequivoco tenore letterale della norma; peraltro, a fronte del perentorio tenore della rubrica “Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto”, se davvero il legislatore si fosse limitato a prevedere una presunzione iuris tantum ex art. 2728 co. 1 c.c., sarebbe stato lecito attendersi qualche riferimento alla prova contraria. Ed ancora, detta tesi non tiene conto che secondo il D.Lgs. n. 276/2003 le collaborazioni coordinate e continuative consentite sono tassativamente individuate nel co. 3 dell’art. 61, in ragione della particolare qualificazione professionale del collaboratore o della natura dell’attività oggetto del contratto, tali da escludere, ad avviso del legislatore, il rischio di frode. Tali sforzi interpretativi della giurisprudenza di merito con ogni probabilità trovano la loro giustificazione nei dubbi sollevati da autorevole dottrina in ordine alla legittimità costituzionale del meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 69 co. 3, in relazione alla cosiddetta indisponibilità del tipo contrattuale, che sarebbe stata affermata anche dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 121/1993 e 115/1994. Si osserva che il legislatore non comprime i poteri qualificatori del giudice, ma detta una sanzione che consiste nell’applicazione delle garanzie del lavoro dipendente, in modo non molto dissimile da quanto previsto dall’art. 1 e 5 della L. n.

1369/1960, dall’art. 1 della L. n. 230/1962 e dall’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001.

Si evidenzia, ancora, che altra dottrina ha condivisibilmente ricondotto la funzione della sanzione di cui all’art. 69 co. 1 al riequilibrio delle posizioni contrattuali delle parti, cui sarebbe strumentale, prima ancora che la sanzione, la stessa necessità della riconducibilità a progetto della collaborazione; il progetto o il programma consentono infatti al lavoratore di conoscere ex ante con precisione l’ambito della prestazione e l’ambito nel quale verrà utilizzata, nonché le esigenze organizzative aziendali cui il collaboratore deve coordinarsi, parametri che individuano altresì l’interesse del committente alla luce del quale deve essere valutato il comportamento del collaboratore. In questa prospettiva l’art. 69 co. 1 non introdurrebbe un’aprioristica qualificazione ex lege di un rapporto di lavoro, ma uno strumento di protezione per la parte più debole, con

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funzione di riequilibrio delle diseguali posizioni contrattuali. Giova inoltre richiamare la recente decisa presa di posizione della Suprema Corte, che con la sentenza n. 18692 del 22.3-6.9.2007 ha affermato: “Sembra opportuno ribadire che nel campo del diritto del lavoro (che comprende, ex art.

35 Cost., qualsiasi tipologia lavorativa), in ragione della disuguaglianza di fatto delle parti del contratto, dell’immanenza della persona del lavoratore e del contenuto del rapporto e, infine, dell’incidenza che la disciplina di quest’ultimo ha rispetto ad interessi sociali e collettivi, le norme imperative non assolvono soltanto al ruolo di condizioni di efficacia giuridica della volontà negoziale, ma, insieme alle norme collettive, regolano direttamente il rapporto, in misura certamente prevalente rispetto all’autonomia individuale, cosicché il rapporto di lavoro, che pur trae vita dal contratto, è invece regolato soprattutto da fonti eteronome, indipendentemente dalla comune volontà dei contraenti ed anche contro di essa.”.

Il dibattito giurisprudenziale deve considerarsi comunque superato dall’art. 1, co. 24, L. 28- 6-2012 (“Legge Fornero”), che ha fornito l’interpretazione autentica del citato art. 69, co. 1, precisando che tale norma “si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, avvalorando in modo definitivo la ricostruzione dell’istituto in termini di presunzione assoluta.

Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, per i c.d. “Sales Promoter” i quali - lungi dall’esercitare funzioni tipiche del procacciatore di affari - fungevano in pratica da Team Leader, coordinando in modo stabile le figure degli intervistatori e dei venditori allo scopo di raggiungere gli obiettivi commerciali indicati dall’azienda.

Attesa la sostanziale autonomia con cui i sig.ri M. e D.’A. svolgevano la propria attività, il loro rapporto, caratterizzato dalla continuatività delle prestazioni e dal coordinamento con l’organizzazione aziendale, dev’essere inquadrato nel contratto di lavoro a progetto e, in assenza di un formale progetto, dev’essere convertito ex art. 69 cit., in rapporto di lavoro subordinato con l’inquadramento (non specificamente contestato) di impiegati di primo livello C.C.N.L.

Commercio.

Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

(Omissis) ________

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