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La gestione della liquidita' in banca:il caso Carismi

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Academic year: 2021

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U

NIVERSITA' DI

P

ISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN BANCA, FINANZA

AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI

LA GESTIONE DELLA LIQUIDITA' IN BANCA:

IL CASO CASSA DI RISPARMIO DI SAN MINIATO

Relatore:

Prof.ssa Elena Bruno

Candidato:

Elena Commissari

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Indice

INTRODUZIONE...4

CAPITOLO 1: IL RISCHIO DI LIQUIDITA'...6

1.1 Definizione del rischio di liquidità...6

1.2 Funding Liquidity Risk...8

1.3 Market Liquidity Risk...14

1.4 La correlazione con gli altri rischi...15

CAPITOLO 2: IL CONTESTO REGOLAMENTARE...18

2.1 La regolamentazione internazionale... ...18

2.2 La legislazione nazionale...19

2.3 La crisi finanziaria...21

2.4 Le criticita di Basilea II...26

CAPITOLO 3: LE NOVITA' DI BASILEA III...29

3.1 Introduzione ai principali cambiamenti...29

3.2 Il framework regolamentare per il rischio di liquidità...31

3.3 Il Liquidity Coverage Ratio...32

3.3.1 Stock di attivita di elevata qualità...34

3.3.2 Totale dei deflussi di cassa netti...42

3.4 Strumenti di monitoraggio...45

3.5 Il Net Stable Funding Ratio...47

3.5.1 Ammontare di provvista stabile disponibile...49

3.5.2 Ammontare di provvista stabile obbligatoria...50

3.6 Disclosure e reporting dei requisiti...52

3.6.1 Liquidity Coverage Ratio...52

3.6.2 Net Stable Funding Ratio...54

3.7 Internal Liquidity Adequacy Assessment Process (ILAAP)...58

CAPITOLO 4: LA CASSA DI RISPARMIO DI SAN MINIATO...61

4.1 La storia del gruppo...61

4.2 La struttura del gruppo...62

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4.4 La gestione della liquidità...64

4.4.1 La gestione della liquidità operativa...66

4.4.2 La gestione della liquidità strutturale...86

4.5 La mitigazione del rischio di liquidità...87

4.6 Confronto con intermediari europei ed italiani...90

CONCLUSIONI...94

BIBLIOGRAFIA...97

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INTRODUZIONE

Un sistema bancario solido e stabile è fondamentale per assicurare una crescita economica sostenibile, poiché le banche sono al centro del processo di intermediazione creditizia tra risparmiatori e investitori. Gli istituti bancari forniscono inoltre servizi essenziali per i consumatori, le piccole e medie imprese, le grandi società e le amministrazioni pubbliche, che si avvalgono di tali servizi per la conduzione della loro attività quotidiana, a livello sia nazionale che internazionale.

Uno dei principali fattori che ha reso così grave la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007 è stato che numerose banche detenevano riserve di liquidità insufficienti. Il sistema bancario non era quindi in grado di assorbire le conseguenti perdite sistemiche sull’attività di negoziazione e su crediti, né di far fronte alla “re-intermediazione” di ampie esposizioni fuori bilancio accumulatesi nel “sistema bancario ombra”.1

C'è stata una vera e propria crisi di liquidità in quanto i mercati interbancari sono collassati e le banche centrali sono dovute intervenire nei mercati monetari a livelli senza precedenti.2

Nel mio lavoro evidenzierò le novità in tema di gestione della liquidità introdotte dal Comitato di Basilea proprio alla luce degli effetti della crisi, sottolineando le debolezze della precedente regolamentazione.

Successivamente mi concentrerò sugli effetti che il rispetto dei ratios introdotti hanno sulla redditività bancaria, sulla composizione dell'attivo e del passivo e, in particolar modo, prenderò in esame il modus operandi della Cassa di Risparmio di San Miniato nella gestione della liquidità.

1 Basel Committee on Banking Supervision, Basel III: A global regulatory framework for more resilient banks

and banking systems, Dicembre 2010.

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1. IL RISCHIO DI LIQUIDITA'

1.1 Definizione del rischio di liquidità

Prima di definire il rischio di liquidità è necessario definire la liquidità che, pur essendo una nozione ampia, è di primaria importanza per il buon funzionamento del sistema finanziario. Infatti, una veloce occhiata alla crisi, iniziata nell'agosto 2007, evidenzia tale concetto. Queste tensioni sono apparse nel momento in cui la liquidità nel mercato monetario è diminuita drasticamente, seguita da un razionamento del credito nel mercato interbancario. Ciò è stato dovuto al fatto che le banche rifiutavano di prestarsi soldi a vicenda a causa delle difficoltà di approvvigionamento correlate all'incertezza delle loro esposizioni in prodotti derivati. L'ammontare delle esposizioni era preso fortemente in considerazione perché la liquidità del mercato di questi strumenti si era fortemente contratta, aumentandone le difficoltà di valutazione. Di conseguenza le banche centrali sono intervenute iniettando liquidità nei mercati.

La nozione di liquidità nella letteratura economica si riferisce all'abilità di un agente economico di scambiare le proprie risorse per ottenere beni o servizi3. In questa definizione 3 Williamson S. D., Liquidity Constraints in The New Palgrave Dictionary of Economics, 2008 (seconda edizione).

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possiamo notare due aspetti. Il primo è che la liquidità è un concetto che riguarda i flussi, mentre il secondo si riferisce all'abilità di realizzare questi flussi. Quindi il rischio di liquidità è il rischio che la banca non sia più in grado di generare questi flussi e, di conseguenza, diventi incapace di far fronte tempestivamente e in modo economico agli obblighi di pagamento nei tempi contrattualmente previsti.

La banca, nella sua attività tradizionale, trasferisce le risorse finanziarie da soggetti in surplus (i risparmiatori) a soggetti in deficit (gli investitori). Nello svolgimento di questa attività avviene una trasformazione delle scadenze in quanto la banca raccoglie capitali a breve e li impiega nel lungo periodo.4 Questo crea un mismatching tra le scadenze dell'attivo e del passivo, dal quale deriva proprio il rischio di liquidità, che quindi è intrinseco all'attività della banca.

Esistono tuttavia alcuni elementi che possono accentuare l’assoggettamento di una banca al rischio di liquidità: fattori tecnici, fattori specifici relativi alla singola banca e fattori di natura sistemica.

Lo sviluppo di strumenti finanziari con strutture temporali dei flussi di cassa complesse, l’ampia presenza di discrezionalità in molti strumenti sia di raccolta sia di impiego, il vasto ricorso a forme di liquidity enhancement nelle operazioni di cartolarizzazione, lo sviluppo di sistemi di pagamento che operano in tempo reale e su base multilaterale hanno determinato un incremento del rischio di liquidità, specialmente per le banche più grandi, più esposte al rischio a causa dell’operatività multivalutaria, cross-country e su più fusi orari che generalmente le caratterizza.

Oltre a questi elementi tecnici, ci possono poi essere fattori specifici della banca che, indebolendo la fiducia del pubblico e degli operatori, possono acuire il rischio di liquidità determinando una difficoltà di funding. Ne sono esempi: fenomeni di downgrade o altri eventi, anche di tipo reputazionale, riconducibili a danni di immagine o a perdite di fiducia del pubblico; fenomeni connessi alla specificità di alcuni strumenti finanziari con meccanismi di marginazione e gestione delle garanzie, che potrebbero dar vita a un fabbisogno di liquidità imprevisto in presenza di mercati particolarmente volatili; fenomeni legati ai così detti “impegni a erogare fondi” e alle altre posizioni fuori bilancio, che in determinate situazioni di 4 Questo è dovuto alla differente propensione alla liquidità di risparmiatori e investitori. Infatti i risparmiatori

hanno un' alta propensione alla liquidità, in quanto depositano il proprio denaro con l'obiettivo di ritirarlo a breve termine secondo le proprie esigenze. Gli investitori, invece, prendono denaro in prestito nel lungo termine per riuscire a far fronte al rimborso, diminuendo l'importo delle rate.

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mercato possono generare un fabbisogno di liquidità straordinario.

Infine, la presenza di fattori sistemici può causare problemi generalizzati di funding per le diverse banche e potenziali difficoltà di smobilizzo di attività finanziarie: si tratta di eventi indipendenti dalla situazione della singola banca e legati a crisi dei mercati finanziari, crisi economico- politiche, catastrofi naturali, eventi terroristici, ecc.

L’operare, singolo o congiunto, di tutti questi elementi genera un rischio di liquidità legato a fattori interni alla banca (corporate liquidity risk) e un rischio legato a fattori di mercato o congiunturali fuori dal controllo della banca (systemic liquidity risk).

È fondamentale per un intermediario finanziario mantenere condizioni di liquidità, sia per conservare il proprio equilibrio finanziario e non degenerare nell'insolvenza, sia in virtù del ruolo assunto nel garantire le condizioni di liquidità dell’intero sistema economico e per la peculiarità delle funzioni svolte e delle operazioni poste in essere.

Questo breve excursus ci mostra come la liquidità sia un concetto dalle molte sfaccettature, come la market liquidity e la funding liquidity, dalle quali derivano rispettivamente il market liquidity risk ed il funding liquidity risk, considerate le due componenti nelle quali si articola il rischio di liquidità.

1.2 Funding Liquidity Risk

Per funding liquidity si intende l’abilità di raccogliere fondi, ad un costo ragionevole, al fine di soddisfare gli obblighi di pagamento. Quindi, una banca è qualificabile come sufficientemente liquida o avente una adeguata liquidità se è nelle condizioni di far fronte efficientemente alle proprie obbligazioni di pagamento.

Di conseguenza, il funding liquidity risk è il rischio che una banca non sia nelle condizioni di far fronte agli impegni di pagamento previsti o imprevisti, senza pregiudicare l’operatività quotidiana o la situazione finanziaria della banca stessa.

Bisogna sottolineare delle differenze importanti tra la funding liquidity e il funding liquidity risk: la funding liquidity è essenzialmente un concetto binario, per esempio una banca può adempiere alle proprie obbligazioni o no. Il funding liquidity risk, d'altra parte, può assumere diversi valori in quanto è collegato alla distribuzione delle uscite future. Implicito in questa distinzione c'è un diverso orizzonte temporale. La funding liquidity è associata ad un preciso momento mentre il funding liquidity risk è previsionale e misurato su uno specifico

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lasso di tempo.5

Esistono tre principali metodi di misurazione del funding liquidity risk: • l'approccio degli stock

• l'approccio dei flussi di cassa • l'approccio ibrido

I modelli basati sugli stock misurano il volume di attività finanziarie prontamente liquidabili o stanziabili di cui la banca può disporre per fronteggiare un'eventuale crisi di liquidità. In sostanza, questo modello porta ad avere dei semplici indicatori basati sulle poste di bilancio: l’indicatore principale è rappresentato dalla Cash Capital Position (CCP). La Cash Capital Position è ottenuta sottraendo alle attività monetizzabili (AM) le passività a vista o a brevissimo termine il cui rinnovo alla scadenza non può essere considerato ragionevolmente certo (PV).

CCP = AM – PV

Le AM sono le attività rapidamente convertibili in contate: impieghi a vista,liquidiabili senza compromettere i rapporti coi clienti e la sabilità dei debitori, e titoli non impegnati al netto di un haircut che riflette la probabile minusvalenza in caso di liquidazione o la differenza tra il valore dei titoli ed il prestito ottenibile a fronte degli stessi.

Le PV, invece, sono i finanziamenti a vista il cui rinnovo non è certo: raccolta da controparti professionali e quota di depositi a vista non stabile. Una quota dei depositi a vista, i cosidetti core deposits, può essere considerata stabile ed esclusa dalle passività volatili.

Spesso tale indicatore è espresso sotto forma di percentuale perché l’effetto dei fattori inattesi dipende in modo proporzionale dalle dimensioni dell’intermediario.6 Una CCP elevata indica la capacità di resistere a tensioni di liquidità.

5 Bank for international settlements, BIS Working Papers n°316, Luglio 2010.

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La CCP non è l'unico indicatore riconducibile all'approccio degli stock. Un altro esempio è dato dai long term fundig ratios che rappresentano la quota di attività con scadenza superiore a n anni finanziata con passività a scadenza ugualmente elevata. Poiché le banche operano una trasformazione delle scadenze, i long term funding ratios sono quasi sempre inferiori al 100%.

Principale punto di debolezza dell’approccio degli stock è l’eccessiva semplificazione della riclassificazione delle poste di bilancio. Nella realtà, infatti, sia le attività che le passività presentano numerose scadenze diverse che vanno ben al di là della semplice differenza tra ciò che è immediatamente “monetizzabile/esigibile” e ciò che non lo è.

I modelli basati sui flussi di cassa cercano di superare le eccessive semplificazioni del precedente metodo che, pur essendo di immediato utilizzo, ripartisce le attività e le passività in modo dicotomico, tra stabili ed instabili. Nella realtà esistono, invece, infinite “sfumature” di liquidità che vengono colte mediante la riclassificazione del bilancio non in modo binario ma sulla base dei flussi generati o assorbiti dalla gestione in un dato orizzonte temporale. Questo metodo confronta i flussi di cassa futuri in entrata e in uscita, raggruppandoli in fasce di scadenza omogenee, e verifica un'adeguata corrispondenza fra i primi e i secondi. L'applicazione di tali modelli presuppone di suddividere, lungo una matrice per scadenze, i diversi flussi di cassa futuri allo scopo di verificare la corrispondenza fra entrate e uscite monetarie sui diversi orizzonti temporali di riferimento.7 Un flusso netto 7 Di regola si provvede all’elaborazione di due diverse matrici per scadenze, note anche come maturity

ladder: una matrice tattica, orientata al breve periodo; una matrice strategica orientata al medio lungo

periodo. La distinzione non si basa sul solo momento di manifestazione dei flussi, ma sulle ipotesi che portano a definire il volume e il timing dei flussi nelle due matrici.

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positivo, in un dato periodo, misura la quantità di risorse finanziarie che vanno ad aggiungersi alle disponibilità già esistenti e che possono essere reimpiegate in nuove attività. Un flusso netto negativo indica il fabbisogno di risorse da reperire per fronteggiare, nell’arco temporale considerato, le esigenze della gestione.

Nella tabella i flussi di cassa sono allocati su una scala di undici gradini che rispecchia le aspettative della banca ed è relativa ad un quadro di mercato normale o moderatamente teso. Gli eventuali scenari più critici devono essere quantificati a parte.

La colonna dei “Flussi netti” indica il saldo relativo ad ogni singola fascia temporale, il liquidity gap. Quella dei “Flussi netti cumulati” presenta lo sbilancio relativo ai flussi presenti in una certa fascia e in tutte quelle precedenti, chiamato liquidity gap cumulato. Il quadro che emerge dalla tabella è scarsamente affidabile poiché non si considera che gli

eligible asset possono essere utilizzati come garanzie per finanziamenti anche nel brevissimo

termine. Per ovviare a tale limite il metodo per flussi può essere corretto con lo sviluppo di un approccio ibrido.

I modelli ibridi integrano le due categorie precedenti: ai flussi di cassa futuri effettivi si sommano infatti i flussi che potrebbero essere ottenuti attraverso l’utilizzo degli stock di attività finanziarie prontamente liquidabili o utilizzabili come collateral in

Matz L. e Neu P.: Liquidity Risk Management, Singapore, Wiley, 2007.

Tabella 1: Esempio di flussi di cassa attesi da una banca (Resti A. e Sironi A., Rischio e valore nelle banche, Egea, 2008

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caso di rifinanziamento.8 Ad un primo livello, la gestione della liquidità basata su modelli ibridi presuppone di simulare l’evoluzione del saldo fra flussi finanziari in entrata e in uscita su orizzonti temporali successivi. Ad un secondo livello, il monitoraggio della posizione di liquidità a breve termine prevede di misurare lo stock di attività finanziarie prontamente liquidabili o impegnabili in operazioni di rifinanziamento, includendo tutte le posizioni rifinanziabili presso la banca centrale o comunque utilizzabili come collateral in operazioni di secured finance, valorizzandole a prezzo di mercato e applicando il margine di deduzione (haircut) previsto dall’autorità di vigilanza o dalla policy di rischio interna.9 La somma cumulata dei flussi di cassa netti e dello stock di attività finanziarie identifica il rischio di liquidità che in condizioni normali la banca dovrà affrontare. A un terzo livello, è necessario definire dei limiti operativi basati sulla definizione del massimo deficit di liquidità tollerabile con riferimento alle diverse valute di operatività e all’interno di ciascuna unità del gruppo bancario. Il costante monitoraggio di tali limiti operativi consente di individuare preventivamente l’insorgere di potenziali crisi di liquidità implicite nel profilo atteso dei flussi di cassa.

8 European Central Bank, Liquidity Risk Management of Cross-border Banking Groups in the EU, EU

Banking Structure, October 2007.

9 Partesotti A., Funding liquidity risk. Misurazione e gestione, Atti del convegno Paradigma “Il rischio di

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Figura 3: I liquidity gap (periodali e cumulati) legati alle fasce di scadenza più ravvicinate appaiono ora positivi. Nei prossimi periodi la banca appare dunque sostanzialmente immune dal rischio di eccessive tensioni di liquidità.

Tabella 2: Modifica della Tabella 1 tenendo conto degli eligible asset (Resti A. e Sironi A., Rischio e valore nelle banche, Egea, 2008)

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1.3 Il market liquidity risk

La market liquidity è definita come la possibilità di vendere uno strumento finanziario, secondo ragionevoli quantità e tempestivamente, senza modificare in modo significativo il prezzo di mercato.

Quindi il market liquidity risk è il rischio che la banca incorra in perdite causate dalla dismissione degli assets liquidi per far fronte a crisi di liquidità causate da fattori sistemici (tensioni sul mercato) o specifici dell’Istituto.

In questo caso la misurazione del rischio esige di considerare la liquidità del mercato su cui un dato prodotto finanziario è negoziabile. In generale, la liquidità di un qualsiasi mercato di strumenti finanziari dipende da molteplici fattori: la rapidità di esecuzione di una proposta di negoziazione; il costo di transazione implicito in termini di differenziale denaro-lettera; la capacità di assorbire immediatamente o rapidamente eventuali squilibri fra proposte di acquisto e di vendita senza generare sensibili variazioni di prezzo. Teoricamente, in un mercato perfettamente liquido è possibile smobilizzare con certezza, in tempi brevissimi e ad un prezzo unico una posizione su un qualsiasi quantitativo. In concreto, i tempi e i costi di smobilizzo di una posizione sono correlati sia a fattori esogeni sia a fattori endogeni.

I fattori esogeni sono il risultato delle caratteristiche di liquidità del mercato e coinvolgono tutti i potenziali partecipanti. Essi sono riassumibili nella profondità, nel differenziale fra prezzo lettera e prezzo denaro, nell’elasticità e nell’immediatezza del mercato.L’operare congiunto di questi fattori determina i tempi e i costi di smobilizzo di una data posizione per un qualsiasi partecipante al mercato.

I fattori endogeni, al contrario, sono specifici a talune posizioni: essi sono correlati all’ammontare dell’esposizione e crescono con l’aumentare della posizione detenuta, coinvolgendo solo alcuni dei partecipanti al mercato.

Entrambe le tipologie di fattori devono essere integrati nelle classiche metriche di valutazione dei rischi per evitare che l’esposizione al rischio della banca venga sottovalutata a causa della componente market liquidity e dei possibili rischi connessi allo smobilizzo di posizioni più o meno consistenti, necessario per fronteggiare un disallineamento fra entrate e uscite monetarie.10

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1.4 La correlazione con gli altri rischi

Il rischio di liquidità è definito come rischio consequenziale, per sottolinearne la sua caratteristica di essere connesso a situazioni avverse imputabili ad altri rischi finanziari.11

Tra questi, alcuni fanno parte dei cosiddetti “rischi di Primo Pilastro” per i quali il Comitato di Basilea ha predisposto adeguati requisiti patrimoniali.

In primo luogo troviamo il rischio di credito, che lo influenza sia direttamente che indirettamente. La banca è esposta al rischio di credito delle sue controparti. Se le condizioni di una delle controparti si deteriorano fino a non essere in grado a fronteggiare gli impegni che ha con la banca, quest’ultima può subire una diminuzione del cash flow in entrata e conseguentemente può anch’essa non essere in grado di effettuare i pagamenti dovuti. Anche il merito creditizio della banca stessa influisce sul suo grado di liquidità; se il merito creditizio della banca si deteriora essa può trovare delle difficoltà nel reperire fondi a costi ragionevoli e tempestivamente.

La gestione del rischio di liquidità è influenzata dal rischio di mercato per quanto riguarda l’incertezza e la volatilità dei tassi di interesse. Il grado di liquidità di un determinato mercato è funzione di diversi fattori come ad esempio, la sua ampiezza misurata dal numero degli operatori, la qualità dei partecipanti, la profondità, la modalità delle transazioni, i costi delle transazioni, il grado di informazione sui prezzi e il merito creditizio delle controparti. In situazioni di stress aumenta l’incertezza relativa al valore degli assets negoziabili e questo può comportare difficoltà nella gestione del rischio di liquidità. Inoltre se la banca compie operazioni con i derivati, le margin calls in condizioni di mercato sfavorevoli possono influenzare la liquidità disponibile. La liquidità delle banche che operano a livello internazionale dipende anche dal buon funzionamento del mercato delle valute.

Il rischio operativo può causare problemi di liquidità; prima di tutto possono verificarsi tensioni di liquidità se si verificano problemi operativi con partecipanti critici o con fornitori di servizi. Oppure se il sistema che gestisce le transazioni fallisce o ritarda.

Il rischio di liquidità è intrinsecamente correlato anche a molte altre tipologie di rischio che vengono comunemente inserite dal Comitato di Basilea tra i rischi di Pillar II. Si pensi, per esempio, al rischio di tasso d’interesse del banking book con il quale condivide lo stesso event risk, ossia il mismatching delle scadenze tra attivo e passivo. Le variazioni del tasso di 11 Matz L. e Neu P., Liquidity risk measurement and management: A practitioner’s guide to global best

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interesse influiscono direttamente sul valore della maggior parte delle poste attive e passive di una banca e, quindi, sulle connesse entrate e uscite monetarie, incidendo sulla posizione di liquidità dell’istituto di credito.

Anche il rischio di controparte, connesso agli strumenti finanziari OTC (Over The

Counter), e il rischio di cartolarizzazione, possono produrre un improvviso fabbisogno di risorse, come ha dimostrato la recente crisi sistemica.

Un’altra fonte di rischio di liquidità può derivare dall’eccessiva concentrazione dell’attivo o del passivo. La concentrazione nell’attivo si ha quando una banca ha prestato un importo rilevante rispetto al patrimonio di vigilanza ad una solo controparte. In questo caso è esposta al rischio idiosincratico in quanto in caso di crisi di questa controparte rilevante la banca può subire perdite elevate. Dal punto di vista del passivo, che è la prospettiva che più interessa in questa sede, si ha una concetrazione quando una banca si finanzia prevalentemente attraverso una sola controparte quando invece sarebbe preferibile un funding più diversificato. Di conseguenza, il rischio di concentrazione si ha quando la decisione di una singola controparte o la presenza di un singolo fattore causano un improvviso e rilevante prelievo di fondi o uno scarso e inadeguato accesso a nuove fonti di fondi.

Il rischio reputazionale può sia essere la causa sia la conseguenza dei problemi di liquidità. Nel settore bancario, il grado di reputazione della banca è un fattore chiave per ottenere la disponibilità di funding. Se la reputazione della banca diminuisce si hanno ripercussioni sia sul reperimento di fondi sia sui costi del funding. Viceversa, quando risulta noto al mercato che una banca presenta tensioni di liquidità queste danneggiano la sua reputazione e possono avere effetti sia sul rating sia sugli utili.

Figura 4: Le interdipendenze del rischio di liquidità (Ruozzi R., Economia della banca, Egea, 2015).

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2. IL CONTESTO REGOLAMENTARE PRE - CRISI

2.1 La regolamentazione internazionale

Il rischio di liquidità non è preso in considerazione nell'ambito del primo accordo sul capitale. Il Comitato di Basilea se ne occupa a partire dai primi anni Novanta.

Nel settembre del 1992 viene pubblicato “A framework for measuring and managing

liquidity”, con il quale il Comitato spiega come, nella sua attività di supervisione, grande

attenzione è stata posta su una migliore comprensione delle modalità con cui le maggiori banche affrontano il rischio di liquidità a livello globale, nella convinzione che il controllo della liquidità sia più efficace se basato su un dialogo continuo tra banca e autorità . Il documento si focalizza sulla condivisione delle best pratctises internazionali, anche se può essere una guida anche per le banche di piccole dimensioni. In particolar modo si ritiene che un buon sistema di gestione delle informazioni, un controllo accentrato della liquidità, l'analisi del fabbisogno di finanziamento in diversi scenari, la diversificazione delle fonti e piani di emergenza siano elementi cruciali di un buon liquidity management per banche di qualsiasi taglia.12

Questo documento è stato successivamente aggiornato nel Duemila con un paper nel quale il Comitato si è focalizzato su una maggiore comprensione del modo in cui le banche gestivano la propria liquidità su base globale e consolidata. Le innovazioni finanziarie e tecnologiche avevano portato le banche ad individuare nuove strade per il finanziamento e per la gestione della liquidità. In aggiunta, la ridotta abilità nel fare affidamento sui depositi core, aveva aumentato il ricorso alla raccolta wholesale e l'agitazione nei mercati finanziari di quel periodo aveva cambiato globalmente la visione della liquidità da parte delle banche. Il risultato è l'emanazione di quattordici principi che presentano carattere divulgativo e rafforzano il contenuto delle precedenti disposizioni, con l’aggiunta di una sezione riguardante le norme in materia di informativa al pubblico sulla situazione di liquidità dell’intermediario e sul ruolo dell’autorità di vigilanza, nell’idea di una gestione più trasparente del rischio.13

12 Basel Committee on Banking Supervision, A Framework for Measuring and Managing Bank Liquidity, Bank for International Settlement, 1992.

13 Basel Committee on Banking Supervision, Sound Practices for Managing Liquidity in Banking

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Qualche anno dopo, nell'aprile 2003, viene promulgato “The New Basel Capital

Accord” (Basilea 2) nel quale sono stabiliti i requisiti di tipo organizzativo che le banche

dovranno rispettare. È un approccio di tipo qualitativo, che chiede alle banche soprattutto di: • predisporre un sistema di analisi, di monitoraggio e di gestione della posizione

finanziaria netta che comprenda strumenti quali una matrice per scadenze, la definizione dell'orizzonte temporale di riferimento, l'individuazione e la stima delle poste più liquide, l'elaborazione di modelli dei flussi di cassa che tengano conto anche dei movimenti finanziari che possono trarre origine dalle poste fuori bilancio e da quelle caratterizzate da opzioni;

• stabilire strategie e politiche di gestione della liquidità in condizioni normali di operatività;

• definire un piano di emergenza da utilizzare in situazioni di particolari tensioni o di crisi di liquidità.

Prevede, inoltre, nell'ambito del terzo pilastro dell'accordo, che le autorità nazionali di vigilanza possano chiedere elementi di informazione (disclosure) sulle esposizioni al rischio e sulle modalità di gestione. I requisiti di tipo qualitativo sono posti all'interno del secondo pilastro; per il rischio di liquidità, dunque, non sono richiesti requisiti minimi di capitale, tipici dei rischi considerati nel primo pilastro. Nel nostro Paese, la Banca d'Italia recepisce e detta norme a partire dalla fine del 2006.14

2.2 La legislazione nazionale

Le principali funzioni di Banca d'Italia sono quelle di mantenere la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, requisiti indispensabili per un duraturo sviluppo dell'economia. Proprio a tal riguardo, nel 1993, emana un decreto in tema di “Despecializzazione degli enti creditizi: operativita' a medio-lungo termine”, al fine di regolamentare la trasformazione delle scadenze effettuata dalle banche italiane in modo da evitare forti squilibri finanziari e, conseguentemente, rischi sistemici. Nel dettaglio, i paragrafi di nostro interesse sono:

1. Rischi connessi alla trasformazione delle scadenze, ove si prevede che le banche e i gruppi bancari pongono in essere tutte le misure appropriate al fine di prevenire e gestire i diversi rischi scaturenti da un'elevata trasformazione delle scadenze, 14 Tutino F., La gestione della liquidità nella banca, Il Mulino, 2012

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attenendosi alle istruzioni dettate in materia dalla Banca d'Italia;

2. Credito a medio-lungo termine, in base al quale la Banca d'Italia detta criteri volti a regolare la possibilita' di operare in misura significativa nel comparto del credito a medio-lungo termine alle imprese secondo una logica di gradualita';

3. Bilanciamento delle scadenze, ove si stabilisce che le banche e i gruppi bancari hanno cura di contenere l'utilizzo di fondi a breve termine per finanziare l'attivita' a medio lungo termine, e che a tal fine la Banca d'Italia stabilisce regole volte a contenere gli investimenti in immobili e partecipazioni entro l'ammontare dei fondi patrimoniali, nonche' a correlare l'ammontare delle attivita' a medio-lungo termine, considerate anche in relazione alla loro liquidabilita', con passivita' caratterizzate dalla presenza di vincoli temporali al rimborso o comunque da un sufficiente grado di stabilita'.15

Si può notare un principio di governo di liquidità, in tempi in cui nemmeno il comitato di Basilea aveva ancora definito delle misure specifiche a riguardo.

La legge è rimasta in vigore fino al febbraio 2006, quando è stata abrogata in quanto è stato ritenuto che l'innovazione e lo sviluppo dei mercati finanziari, la diversificazione e la stabilizzazione delle fonti di raccolta, l'evoluzione degli assetti organizzativi e delle tecniche di misurazione e controllo dei rischi, l'esperienza maturata nel comparto del credito oltre il breve alle imprese consentono alle banche e ai gruppi bancari di gestire in autonomia i rischi connessi allo squilibrio di scadenze dei flussi finanziari e al finanziamento degli investimenti produttivi. Inoltre, perchè non erano più sussistenti nel contesto operativo e di mercato, le ragioni in base alle quali sono state a suo tempo dettate regole volte a limitare la trasformazione delle scadenze e il credito a medio-lungo termine, ferma restando la necessita' per le banche e i gruppi bancari di dotarsi di un assetto organizzativo e dei controlli interni idoneo a controllare e gestire tutti i rischi connessi all'attivita' svolta, ivi compresi i rischi di liquidita' e di trasformazione delle scadenze. Questo anche alla luce delle rimostranze delle banche italiane, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, che hanno accusato di avere un vincolo competitivo in più nei confronti delle banche straniere.

15 Ministero del Tesoro, “Despecializzazione degli enti creditizi: operativita' a medio-lungo termine”,Decreto

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2.3 La crisi finanziaria

La crisi finanziaria avviatasi nel 2007 negli Stati Uniti si è contraddistinta rispetto alle crisi precedenti sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, l'intensità degli shock è risultata essere molto maggiore rispetto a qualsiasi altro evento dalla crisi del 1929 in poi. In secondo luogo, il livello accentuato di interconnessione e globalizzazione dei sistemi finanziari moderni ha fatto in modo che la crisi si propagasse a livello globale. Inoltre, la gravità e la profondità della crisi hanno imposto l'adozione, da parte delle autorità di vigilanza, dei governi e delle banche centrali, di misure straordinarie senza precedenti, nonché un forte coordinamento internazionale di tali politiche.

Le origini e le cause della crisi sono state analizzati da una pluralità di autori ed enti di ricerca. Possiamo dividere le principali problematiche in quelle di ordine macroeconomico e quelle microeconomiche.

Sotto il profilo macroeconomico, negli anni immediatamente precedenti la crisi, si sono verificate diverse anomalie, largamente sottovalutate dall'autorità di vigilanza e di politica monetaria, che hanno contribuito a un'eccessiva assunzione dei rischi da parte degli intermediari bancari. In particolar modo ci si riferisce a tassi di interesse reali oltremodo bassi uniti a condizioni di abbondante liquidità. Nello stesso tempo, negli Stati Uniti, si è avuto un ingente afflusso di risparmio proveniente dai paesi emergenti, da ricondurre ad un aumento del tasso di risparmio di quest'ultimi e da una volontà di diversificazione del portafoglio degli investitori di tali paesi. Anche il disavanzo di conto corrente degli USA e la ricerca di investimenti con più alti rendimenti hanno contribuito ad accrescere l'instabilità complessiva del sistema finanziario statunitense.

Le banche e gli altri intermediari creditizi hanno espanso eccessivamente l'offerta di credito, da cui è scaturita una maggiore domanda di prestiti per l'acquisto di abitazioni, una più generale propensione all'indebitamento da parte di famiglie e un boom dei prezzi degli immobili residenziali e degli indici azionari. Nel momento in cui i tassi USA hanno iniziato ad aumentare e il prezzo degli immobili ha subito un arresto, numerose famiglie hanno incontrato difficoltà nel rimborsare i mutui.

Dal punto di vista microeconomico, l'incremento nell'offerta di credito da parte degli intermediari finanziari e la continua ricerca di nuovi clienti e nuovi mercati ha indotto i partecipanti al mercato a sottovalutare sistematicamente i rischi di credito e di mercato,

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finanziando anche soggetti scarsamente bancabili. Quindi questi soggetti ricevevano facilmente prestiti personali per ammontari non coerenti con le proprie capacità reddituali. Questo meccanismo è stato accentuato, soprattutto negli USA e nel Regno Unito, dallo sviluppo di modelli originate to distribute, in base ai quali le banche originavano degli attivi che poi venivano cartolarizzati e trasferiti ad apposite società veicolo, le quali, a loro volta, creavano dei titoli che venivano immessi nel mercato. Tali veicoli erano caratterizzati da un livello accentuato di trasformazione delle scadenze, nonché da un'elevata dipendenza dal mercato interbancario per il mantenimento del proprio equilibrio finanziario. All'esplosione della crisi, nell'agosto 2007, la fiducia da parte degli operatori nei confronti di tali veicoli e dei relativi attivi è venuta meno, e le banche che ne avevano usufruito si sono viste costrette a trasferire risorse liquide ai veicoli di propria emanazione al fine di evitarne il tracollo. Il ricorso ad assetti ODT ha determinato anche un incentivo, da parte delle funzioni preposte alla valutazione del merito creditizio, ad accrescere il portafoglio crediti finanziando anche controparti maggiormente rischiose, nella consapevolezza che tali rischi sarebbero stati successivamente trasferiti al mercato.

Un altro fattore che ha contribuito a livello microeconomico è stato il ruolo delle agenzie di rating, accusate di adottare metodologie di valutazioni poco trasparenti e modelli statistici alimentati da serie storiche troppo brevi; inoltre, in occasione della crisi, è emerso il conflitto di interessi connesso a tali agenzie che venivano pagate dalle banche per esprimere un giudizio sulla qualità degli attivi cartolarizzati da quest'ultime.

Anche le politiche di incentivi adottate negli ultimi anni dalle banche hanno contribuito ad accrescere la rischiosità complessiva del portafoglio crediti, poiché i manger percepivano bonus legati ai volumi intermediati e alle performance di breve periodo. Tuttavia queste politiche inducono gli addetti alle funzioni commerciali a erogare finanziamenti anche a controparti maggiormente rischiose, nell'intento di accrescere i volumi erogati e percepire maggiori bonus.

Infine, la crisi finanziaria ha messo in luce i limiti delle recenti strategie di regolamentazione e vigilanza che saranno approfondite in seguito nel prossimo paragrafo.

Per esporre i principali eventi che hanno caratterizzato questi ultimi anni riprendiamo la suddivisione formulata dalla Banca dei Regolamenti Internazionali nel 2009. Questa individua cinque momenti distinti caratterizzati da vicende diverse.

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l'elemento maggiormente critico è stato individuato nella carenza di liquidità, che ha portato a diverse svalutazioni di titoli garantiti da mutui subprime. In un clima di diffidenza crescente, nel timore che le controparti sul mercato immobiliare potessero avere problemi di solvibilità, i volumi scambiati sul mercato interbancario e su quello dei commercial papers si sono ridotti drasticamente in tempi rapidi, generando enormi difficoltà alle numerose banche che fino ad allora avevano fatto affidamento sull'interbancario per mantenere il proprio equilibrio finanziario nel continuo e non erano preparati a scenari di liquidità diffusa. Tuttavia, l'evento maggiormente contraddistintivo di questa fase è stato la corsa agli sportelli che ha subito l'inglese Northern Rock, portandola alla nazionalizzazione. Infine, nel marzo 2008, la statunitense Bear Stearns è stata acquisita da JP Morgan Chase.

Tra la metà di marzo e la metà di settembre 2008 abbiamo la seconda fase, che è stata caratterizzata dalla propagazione della crisi a livello mondiale, con conseguente decelerazione dell'economia globale che ha portato perdite nel settore finanziario. In questo periodo si sono registrati numerosi fallimenti o salvataggi di banche medio-grandi ma l'evento che l'ha caratterizzato è stato il passaggio all'amministrazione controllata delle agenzie di credito ipotecario statunitensi Fannie Mae e Freddie Mac, data la portata sistemica del loro eventuale default. Le banche, tra gli altri, hanno dovuto fronteggiare il problema del funding; il fallimento di Lehman Brothers segna lo spartiacque con la fase successiva della crisi.

Il terzo periodo inizia alla metà di settembre 2008 e finisce alla fine di ottobre dello stesso anno. Questo rappresenta il momento più difficile dell'intera crisi, a causa della percezione di un tracollo a carattere sistemico. Gli eventi sono precipitati nel momento in cui la Fed non ha promosso l'acquisizione di Lehman Brothers, sottovalutando l'innescaggio di effetti sistemici. Ciò ha condotto ad un crollo della fiducia globale e ad ondate di vendite di quote di fondi monetari e commercial papers negli USA. Inoltre, ha portato ad un aumento del rischio di controparte e interventi eccezionali da parte delle autorità. Nella stessa fase la Fed evita il fallimento di AIG, sostenendo che un eventuale soccorso pubblico di Lehman sarebbe stato molto più oneroso, mentre sostenere il gruppo assicurativo AIG aveva una rilevanza strategica anche per il sistema bancario degli USA, dato che il gruppo fungeva da controparte per la gestione dei rischi di molti intermediari e perchè la qualità degli assets della compagnia appariva migliore. Quasi immediatamente la crisi si acuiva in tutto il mondo, soprattutto nei paesi emergenti dove si è assistito a ingenti vendite e deflussi di capitale. C'è stato il tramonto delle banche di investimento, cosi come si conoscevano fino ad allora, in

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virtù del crollo della domanda di servizi da queste offerti, ma anche del modello di business centrato su politiche di funding sui mercati interbancari, non più percorribili a causa dell'illiquidità nei mercati. L'ottobre 2008 è stato contrassegnato da decisi e coordinati interventi pubblici a sostegno dei mercati finanziari e dell'economia in generale, in special modo negli USA, nel Regno Unito, in Francia e in Germania.

Da questo momento fino al marzo 2009 prende vita la quarta fase, caratterizzata dal rallentamento del ciclo economico, da un ulteriore riduzione dei tassi di interesse e dalla caduta degli indici di Borsa.

Un punto di svolta nella crisi, che ha segnato l'inizio della quinta fase, si è avuto alla metà di marzo 2009, con una generalizzata riduzione della volatilità sui mercati, una tendenza all'aumento dei valori di Borsa e un'attenuazione della recessione mondiale, dovuta al favorevole accoglimento dei piani del governo statunitense di alleggerire i bilanci delle banche dagli assets tossici del passato. Inoltre, ha agito positivamente la maggiore capacità degli operatori di distinguere tra le banche in crisi e quelle maggiormente sane e la diffusione dei risultati di bilancio di importanti gruppi, superiori alle aspettative. Tuttavia la crisi non poteva dirsi definitivamente conclusa in quanto i premi per il rischio sul mercato interbancario dei depositi non garantiti continuavano a mantenersi a livelli superiori rispetto al passato, così come gli spread creditizi.

La sesta fase si avvia nella primavera 2010 in risposta alla crisi di fiducia nei confronti del governo greco e di altri emittenti sovrani, riproponendo scenari di tensione sui mercati finanziari. Infatti, il timore di un'insolvenza dello Stato greco e le incerte risposte delle autorità europee e internazionali generavano dubbi sulla capacità della Grecia di onorare il debito pubblico; ciò alimentava paure sulla solvibilità delle banche internazionali maggiormente esposte nei confronti delle controparti greche. Contemporaneamente sui mercati venivano venduti titoli di Stati appartenenti all'area euro. Le conseguenze sono state nuove tensioni sui mercati interbancari, con una concentrazione di scambi nel brevissimo termine e un allargamento degli spread denaro-lettera. I mercati di Borsa hanno subito un forte arresto e le banche centrali hanno dovuto mantenere o introdurre misure eccezionali. Nel corso del 2011 la crisi è perseguita con la sfiducia verso gli emittenti sovrani dell'Europa meridionale, soprattutto Spagna e Italia, portando a un forte rallentamento dell'economia. Nello stesso anno si susseguono tagli ai rating degli stati in crisi e ai principali gruppi bancari degli stessi. Nel marzo 2012 c'è la svolta nella crisi europea con la ristrutturazione del debito

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greco verso i privati, ma in aprile le elezioni in Grecia portano alla vittoria i partiti contrari all'accordo con la troika Fmi-Bce-Ue e contemporaneamente scoppia la bolla immobiliare in Spagna. Le incertezze dell'economia accomunano il sud Europa ma Mario Draghi, presidente della BCE, afferma che l'euro è irreversibile e che la BCE è pronta a fare tutto il necessario per salvare la moneta unica. I mercati, delusi dopo le prime battute, in realtà sembrano analizzare meglio le parole di Draghi e la sua promessa di operare con misure non standard per riportare la calma sui mercati. È un exploit delle borse e un calo degli spread. Nel giugno 2012 a Bruxelles si conclude un vertice tra i capi di stato e di governo europei che restituisce la speranza all'Eurozona. I leader dell'Ue si accordano per attivare un piano per la crescita economica in tutto il continente, per mettere in cantiere un processo di unificazione bancaria e, soprattutto, per attivare delle barriere contro le impennate dello spread, utilizzando le risorse del Fondo Salva-Stati.

Attualmente, a dieci anni dalla crisi, troviamo il Pil americano in un range compreso tra l'1,6% e il 2,4%. Una crescita non residuale, che in qualche misura ha consentito di assorbire gli eccessi della finanza sull’economia di Wall Street e di provare a ricostruire una base industriale in un Paese assai terziarizzato. Una ricomposizione dell’ossatura manifatturiera cheè passata adesso alla versione hard e neoprotezionista del “make America great again” di Donald Trump. Quest’anno, secondo il Fondo Monetario Internazionale, anche in virtù del nuovo ciclo di investimenti prospettati da Trump e degli effetti positivi della discontinuità delle politiche della Federal Reserve, il Pil americano dovrebbe salire del 2,2 per cento.16

L'area euro, invece, sotto il profilo meramente statistico, dopo la flessione del 4,5% del 2009, è tornata a una crescita misurata ma non irrilevante (1,7% nel 2016 e 1,5% nel 2017), ponderazione di comportamenti assai dissimili, sia nel primo periodo della recessione sia in questa ultima parte del decennio nero.

Considerando la situazione italiana, per esempio, inizialmente non è stata coinvolta nella crisi a causa della scarsa diffussione di prodotti strutturati collegati ai mutui subprime e all'assenza di intermediari che adottassero modelli organizzativi originate to distribute. La crisi ha raggiunto dimensioni più significative con il crollo di Lehman Brothers, quando anche il mercato interbancario italiano ha subito un drastico crollo dei volumi, la congiuntura economica è peggiorata e ha determinato un rallentamento della domanda di credito e un 16 Bricco P., A 10 anni dalla crisi il mondo è ripartito, l'Italia resta ferma, Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2017

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aumento delle sofferenze bancarie. Nel biennio 2010-2011 la crisi da finanziaria diventa degli emittenti sovrani, portando l'Italia ad essere uno dei sorvegliati speciali dell'Unione Europea e ad essere vittima di continui tagli al rating e a crescenti spread sui titoli di Stato. Attualmente la nostra ripresa è più lenta rispetto a quella del resto d'Europa e dei principali Paesi di confronto, a causa delle mille contraddizioni economiche, sociali e industriali.

2.4 Le criticità di Basilea II

Come accennato nel paragrafo precedente la crisi finanziaria ha messo in luce i limiti delle recenti strategie di regolamentazione e vigilanza.

Nel documento che introduce Basilea III17 è lo stesso Comitato che ammette che la crisi economica e finanziaria è diventata così severa perchè le banche di molti paesi avevano aumentato il leverage, accompagnata dalla graduale erosione di livello e qualità di capitale di qualità primaria. Allo stesso tempo le banche possedevano scarsi buffer di liquidità e non si sono mostrate in grado di assorbire le perdite causate dal trading e dalla concessione di crediti. Inoltre la crisi è stata amplificata dall'effetto prociclico e dalle interconnessioni tra i diversi intermediari.

Tuttavia questi atteggiamenti sono stati favoriti da una regolamentazione poco stringente, pensata nel 2004 in relazione ad un certo contesto ed entrata in vigore nel 2008, quando il mercato era notevolmente cambiato e gli effetti della crisi si stavano già dispiegando. Vediamo nel dettaglio quali sono stati gli aspetti regolamentari che non hanno funzionato.

Molte delle banche che hanno più sofferto durante la crisi mostravano coefficienti patrimoniali molto più elevati di quello minimo, ma il patrimonio di vigilanza era composto per la maggior parte da strumenti ibridi o innovativi. Prima della crisi gli intermediari hanno aumentato le proprie dotazioni agendo proprio su questi strumenti e non sul Core Tier 1, che anzi si è deteriorato a causa della forte distribuzione di dividendi. Gli strumenti ibridi venivano considerati come capitale dalle autorità di vigilanza ma nella prassi erano trattati come strumenti di debito perchè, dal punto di vista degli intermediari tenevano fuori nuovi azionisti e presentavano agevolazioni di natura fiscale, mentre dal punto di vista degli investitori offrivano vantaggi in termini di rischio-rendimento.

17 Basel Committee on Banking Supervision, Basel III: A global regulatory framework for more resilient banks

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Basilea II ha accentuato le fluttuazione del ciclo economico in quanto i requisiti patrimoniali fondati sui rating tendono a diminuire nelle fasi di crescita e ad aumentare in quelle di recessione. Ciò non è sbagliato perchè richiede maggior capitale in presenza di maggiori rischi. Malgrado ciò il vero problema è la dimensione macro-prudenziale del fenomeno, ossia quando la logica non interessa solo la singola banca, ma il sistema nel suo complesso. La crisi ha evidenziato proprio questo: una buona misura microprudenziale non è necessariamente una buona misura di vigilanza macro.

Un altro problema è stata l'elevata leva finanziaria che presentavano le banche, pur in presenza di coefficienti in linea con le previsioni di vigilanza. Questa ha avuto un ruolo importante nella crisi perchè molti intermediari, per accrescere il proprio coefficiente (PV/RWA), hanno ridotto gli attivi in misura rilevante accentuando l'instabilità dei mercati.

Come già detto, la liquidità ha avuto un ruolo di primo piano negli ultimi dieci anni. Il rischio di liquidità è cresciuto a causa della globalizzazione e della concentrazione dei grandi gruppi finanziari, oltre che per le cartolarizzazioni. Tuttavia non c'è stato un adeguato sviluppo di meccanismi di gestione e di controllo che avrebbero potuto evitare, nel momento del crollo di fiducia e dell'aumento del rischio di controparte, una caduta della liquidità dei mercati e situazioni di improvvisa ed elevata tensione. Questo perchè la liquidità, prima della crisi, era abbondante e l'errore di fondo è stato credere che questa abbondanza sarebbe durata per sempre.

Infine, l'ultima corresponsabilità di Basilea II riguarda la copertura dei rischi. Molte banche hanno subito perdite rilevanti sulle attività del trading book, dovute all'improvviso crollo della liquidità del mercato in cui venivano scambiati i titoli o a eventi inattesi di default o di migrazione a una classe di rating inferiore. Le perdite sono emerse in tutta la loro crudezza, vista l'iscrizione in bilancio al fair value e i requisiti patrimoniali previsti dalla vigilanza si sono mostrati inadeguati ad assorbire le perdite. Inoltre i modelli Var erano calibrati in maniera relativamente ottimistica, non consentendo alle banche di anticipare correttamente la forte instabilità e illiquidità che poi si sono manifestate.

Nel prossimo capitolo analizzerò i rimedi introdotti da Basilea III a queste carenze, concentrandomi in particolar modo su quelli riguardanti la liquidità.

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3. LE NOVITA' DI BASILEA III

3.1 Introduzione ai principali cambiamenti

Nel 2010 il Comitato di Basilea ha introdotto un nuovo documento per rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziare ed economiche, indipendentemente dalla loro origine; per migliorare la gestione del rischio e la governance; per rafforzare la trasparenza e l'informativa delle banche, tenendo conto degli insegnamenti della crisi finanziaria. In sintesi, per migliorare la tenuta del sistema bancario tramite il rafforzamento dello schema di adeguatezza patrimoniale, rifacendosi ai tre pilastri di Basilea 2.

Per quanto riguarda il Primo pilastro, l'intervento di maggior impatto è sicuramente quello relativo al capitale. La nuova normativa prevede che il patrimonio di base (Tier 1) sia costituito in misura preponderante da azioni ordinarie e riserve di utili non distribuiti. Il Common Equity Tier 1 deve essere pari al 4,5%, mentre la quota residua di patrimonio di base (Additional Tier 1) deve essere composta da strumenti subordinati che corrispondano dividendi o interessi in modo totalmente discrezionale e non cumulativo e non presentino né una data di scadenza né incentivi al rimborso anticipato. Gli strumenti ibridi innovativi di capitale con un incentivo al rimborso anticipato come clausole di revisione automatica del tasso di remunerazione (clausole di step-up), precedentemente computabili entro un limite del 15% del patrimonio di base, saranno progressivamente esclusi. Inoltre, sono stati armonizzati gli strumenti computabili nel patrimonio supplementare (Tier 2), mentre quelli facenti parte del Tier 3, che potevano essere utilizzati solo a copertura dei rischi di mercato, sono stati eliminati. Infine, allo scopo di migliorare la disciplina di mercato, è stata accresciuta la trasparenza del patrimonio di vigilanza, in quanto dovranno essere rese note tutte le componenti, nonché il loro raccordo dettagliato con le poste del bilancio di esercizio.

L'esigenza di rafforzare la solidità delle banche rispetto a dinamiche procicliche ha indotto a prevedere l'imposizioni di due riserve di capitale. Queste si aggiungono agli altri requisiti in materia di fondi propri, per assicurare che nei periodi di crescita economica venga accumulata una base di capitale suffciente a coprire le perdite in periodi di stress.

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La riserva di conservazione del capitale è volta a preservare il livello minimo di capitale regolamentare in momenti di mercato avversi attraverso l'accantonamento di risorse patrimoniali di elevata qualità in periodi non caratterizzati da tensioni di mercato. Questa riserva è obbligatoria e pari al 2,5% dell'esposizione al rischio complessiva della banca. La riserva anticiclica, invece, è attivata dall'autorità di vigilanza nei periodi di crescita del credito; la sua imposizione consente di accumulare, durante le fasi di surriscaldamento del ciclo di credito, capitale primario di classe 1, che sarà poi destinato ad assorbire le perdite nelle fasi discendenti del ciclo.

È stato anche previsto un limite alla leva finanziaria, che come detto, ha rappresentato un elemento di forte debolezza per la resistenza degli intermediari. Il leverage ratio, cioè il rapporto tra Tier 1 e Total Asset, è fissato al 3% ed ha una funzione di backstop del requisito patrimoniale basato sul rischio e per contenere la crescita della leva a livello di sistema. Calcolare l’indicatore sulle attività non ponderate per il rischio è un passo avanti, in quanto Basilea II era un framework regolamentare che poggiava unicamente sugli RWA che risentono delle metodologie utilizzate dagli intermediari per la misurazione del rischio. Nella costruzione di questo indicatore il Comitato di Basilea ha tenuto presente la necessità che esso non si presti a facili arbitraggi regolamentari e catturi dunque tutte le attività di una banca (in bilancio e fuori bilancio) e sia neutrale rispetto alle diverse regole contabili vigenti nelle principali giurisdizioni (ad esempio, in Europa e negli Stati Uniti).

Come riportato nella tabella, tutti i nuovi provvedimenti saranno soggetti ad un

phase-in phase-in modo da conciliare le esigenze della vigilanza con quelle di adeguamento delle banche.

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Come possiamo vedere, per la gestione della liquidità sono stati introdotti due ratio, dando così una regolamentazione quantitativa ad un problema che precedentemente, data l'abbondanza di liquidità, veniva trattato solo con strumenti qualitativi. Tuttavia, vista la centralità che la normativa assume nella trattazione, rimando al paragrafo successivo per i dettagli.

3.2 Il framework regolamentare per il rischio di liquidità

Nel 2008 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato il documento

Principles for sound liquidity risk management and supervision (“Sound Principles”), che

definisce linee guida dettagliate per la gestione e la supervisione del rischio di provvista della liquidità (rischio di funding). Il Comitato ha ulteriormente rafforzato la regolamentazione della liquidità elaborando due requisiti quantitativi minimi in materia di funding e di liquidità. Le nuove regole sono state sviluppate per conseguire due obiettivi distinti ma complementari.

Il primo è favorire la resilienza a breve termine del profilo di rischio di liquidità delle banche assicurando che esse dispongano di sufficienti attività liquide di elevata qualità (HQLA) per superare una situazione di stress acuto della durata di 30 giorni. A tal fine il Comitato ha pubblicato, nel gennaio 2013, il documento “Basel III: The Liquidity Coverage

Ratio and liquidity risk monitoring tools”, integrato, nel gennaio 2014 dal “Liquidity Coverage Ratio disclosure standards”, nel quale si delineano gli standard di trasparenza del

requisito LCR al fine di rafforzare la disciplina di mercato e di ridurre l'incertezza sulla gestione della liquidità.

Il secondo obiettivo è ridurre il rischio di funding a più lungo termine richiedendo alle banche di finanziare la loro attività attingendo a fonti sufficientemente stabili, al fine di attenuare il rischio di tensioni future dal lato della provvista. A questo scopo, nel gennaio 2014, il Comitato ha pubblicato il documento Basel III: The Net Stable Funding Ratio”, nel quale sono delineate le modalità di calcolo e descritte le varie componenti del requisito di liquidità strutturale. A giugno 2015 ha pubblicato il documento “Net Stable Funding Ratio

disclosure standards”, contenente gli obblighi informativi e le modalità segnaletiche per il

NSFR.

Detti requisiti quantitativi costituiscono una componente essenziale della serie di riforme introdotta da Basilea 3 e nel loro insieme sono volti ad accrescere la resilienza delle

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banche di fronte agli shock di liquidità, a promuovere un profilo di finanziamento più stabile e a migliorare la gestione complessiva del rischio di liquidità. In conformità al principio dell’armonizzazione internazionale della disciplina, i requisiti appena enunciati risultano fondati su parametri comuni a livello globale, anche se alcuni aspetti sono pertinenti alle caratteristiche specifiche dei Paesi di applicazione e della loro specifica giurisdizione.

Il percorso di Basilea 3 a livello internazionale passa poi a livello di Unione Europea. Nel luglio 2011 la Commissione Europea avvia l'attuazione del progetto, definito nel Consiglio Europeo del giugno 2009, relativo all'istituzione di un Single Rulebook applicabile alle istituzioni finanziarie del Mercato Unico, ossia di una disciplina unica e di armonizzazione delle normative prudenziali degli Stati membri. Il via libera del Parlamento Europeo arriva ad aprile 2013 e a giugno dello stesso anno vengono pubblicati il Capital Requirement Regulation (CRR), con diretta efficacia negli stati membri, e la Capital Requirement Directive (CRD4), che invece è stata oggetto di recepimento degli ordimenti nazionali. I requisiti di liquidità vengono inseriti nel CRR.

A livello nazionale, invece, la Banca d'Italia recepisce i due documenti con la circolare 285 del 17 dicembre 2013, che entra in vigore nel gennaio 2014.

3.3 Il Liquidity Coverage Ratio

L’indicatore di breve termine o Liquidity Coverage Ratio (LCR) mira ad assicurare che una banca mantenga un livello adeguato di attività liquide di elevata qualità (HQLA) non vincolate, che possano essere convertite in contanti per soddisfare il suo fabbisogno di liquidità nell’arco di 30 giorni di calendario, in uno scenario di stress di liquidità particolarmente acuto specificato dalle autorità di vigilanza. Lo stock di attività liquide dovrebbe come minimo consentire alla banca di sopravvivere fino al trentesimo giorno dello scenario, entro il quale si presuppone che possano essere intraprese appropriate azioni correttive da parte degli organi aziendali e/o delle autorità di vigilanza, oppure che la banca possa essere sottoposta a un’ordinata liquidazione.

LCR = stock di attività liquide di elevata qualità ≥ 100%

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Il requisito prevede che il valore del rapporto non sia inferiore al 100%, vale a dire che lo stock di attività liquide di elevata qualità sia quantomeno pari al totale dei deflussi di cassa netti. Le banche devono soddisfare questo requisito nel continuo e detenere uno stock di attività liquide di elevata qualità non vincolate come difesa contro l’eventualità di gravi tensioni per la liquidità. Data la tempistica incerta di afflussi e deflussi, ci si attende inoltre che le banche e le autorità di vigilanza tengano conto di potenziali disallineamenti nell’arco del periodo di 30 giorni e assicurino che siano disponibili attività liquide in quantità sufficiente a soddisfare eventuali scompensi di cassa per l’intero periodo.

Lo scenario per questo requisito simula la combinazione di uno shock idiosincratico e di mercato che comporti:

• il prelievo di una quota di depositi al dettaglio;

• una parziale perdita della capacità di raccolta all’ingrosso non garantita;

• una parziale perdita della provvista garantita a breve termine relativamente a determinate garanzie e controparti;

• deflussi contrattuali aggiuntivi che discenderebbero da un declassamento fino a tre gradi (notch) del rating creditizio pubblico della banca, tra cui la costituzione obbligatoria di garanzie;

• un aumento delle volatilità di mercato che influisca sulla qualità delle garanzie o sulla potenziale esposizione futura collegata alle posizioni in derivati e richieda quindi scarti di garanzia (haircut) più ampi o garanzie aggiuntive, oppure induca un fabbisogno di liquidità di altra natura;

• utilizzi imprevisti di linee di liquidità e di credito irrevocabili non ancora utilizzate che la banca ha messo a disposizione dei clienti;

• la potenziale necessità per la banca di riacquistare titoli di debito o di onorare obblighi extracontrattuali allo scopo di attenuare il rischio di reputazione.

In sintesi, molti degli shock verificatisi durante la crisi iniziata nel 2007 sono incorporati in un unico scenario di stress significativo nel quale una banca dovrebbe avere a disposizione liquidità sufficiente per resistere fino a 30 giorni di calendario.

Questa prova di stress andrebbe considerata come un requisito prudenziale minimo per le banche. Ci si attende che queste, dal canto loro, conducano prove di stress volte a valutare il livello di liquidità da detenere oltre il livello minimo e costruiscano opportuni scenari in grado

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di simulare difficoltà per la specifica attività svolta. Tali prove di stress interne dovrebbero prevedere orizzonti temporali più lunghi di quello contemplato dallo standard. Inoltre, le banche dovrebbero comunicare alle autorità di vigilanza i risultati delle prove di stress aggiuntive.

L’LCR consta di due elementi: il valore dello stock di attività liquide di elevata qualità in condizioni di stress e il totale dei deflussi di cassa netti, calcolato secondo i parametri di scenario delineati di seguito.

3.3.1 Stock di attività liquide di elevata qualità

Il numeratore dell’LCR è costituito dallo “stock di attività liquide di elevata qualità”. In base al requisito, le banche devono detenere attività liquide non vincolate e di elevata qualità in quantità tale da coprire il totale dei deflussi di cassa netti per un periodo di 30 giorni nello scenario di stress prescritto. Per essere classificate come “attività liquide di elevata qualità”, le attività devono essere facilmente liquidabili sui mercati anche in periodi di tensione e, idealmente, stanziabili presso una banca centrale. Le attività sono considerate liquide e di elevata qualità se possono essere convertite in contanti in modo facile e immediato con una perdita di valore modesta o nulla. La liquidità di un’attività dipende dallo scenario di stress sottostante, dal volume da smobilizzare e dall’arco temporale considerato. Nondimeno, vi sono talune attività che anche in periodi di stress hanno maggiori probabilità di generare fondi senza subire sconti ingenti dovuti a vendite forzate. Per stabilire se si possa fare affidamento sul mercato di un’attività per ottenere liquidità nel contesto di possibili tensioni, è necessario riferirsi alle caratteristiche fondamentali dell'attività stessa e a quelle del mercato di riferimento.

Caratteristiche fondamentali

◦ Basso rischio di credito e di mercato: le attività meno rischiose tendono a essere più liquide. Un’elevata affidabilità creditizia dell’emittente e un basso grado di subordinazione accrescono la liquidità di un’attività. Una duration18 breve, una bassa volatilità, un rischio di inflazione contenuto e la denominazione in una valuta convertibile a basso rischio di cambio sono tutti fattori che migliorano la liquidità di un’attività.

◦ Facilità e certezza della valutazione: la liquidità di un’attività aumenta se vi sono 18 La duration misura la sensibilità del prezzo di un titolo a reddito fisso alle variazioni del tasso di interesse.

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maggiori probabilità che gli operatori di mercato siano concordi nel valutarla. La formula per la determinazione del prezzo di un’attività liquida di elevata qualità deve essere semplice da calcolare e non dipendere da ipotesi restrittive. Inoltre, gli input del calcolo devono essere pubblicamente disponibili. Questa condizione dovrebbe in pratica escludere la maggior parte dei prodotti strutturati o esotici. ◦ Scarsa correlazione con attività rischiose: lo stock di attività liquide di elevata

qualità non deve essere soggetto al rischio di (elevata) correlazione avversa (wrongway risk). Ad esempio, le attività emesse da istituzioni finanziarie hanno maggiori probabilità di essere illiquide in periodi di stress di liquidità per il settore bancario.

◦ Quotazione in mercati sviluppati e ufficiali: la quotazione di un’attività ne aumenta la trasparenza.

Caratteristiche connesse al mercato

◦ Mercato attivo e di grandi dimensioni: l’attività deve disporre in qualunque momento di mercati attivi (ossia con un numero elevato di operatori e un notevole volume di contrattazioni) per la vendita o per le operazioni pronti contro termine. Devono esservi evidenze storiche dell’ampiezza del mercato (impatto sui prezzi per unità di liquidità) e del suo spessore (unità di attività negoziabili dato un determinato impatto sui prezzi).

◦ Presenza di market maker impegnati: per un’attività liquida di elevata qualità saranno disponibili con ogni probabilità quotazioni in acquisto/vendita.

◦ Bassa concentrazione di mercato: un insieme diversificato di acquirenti e venditori nel mercato di un’attività rende maggiormente affidabile la sua liquidità.

◦ Fuga verso la qualità: storicamente, negli episodi di crisi sistemica il mercato ha evidenziato tendenzialmente la preferenza verso questi tipi di attività.

Come si evince da queste caratteristiche, si considerano “di elevata qualità” le attività liquide che, se vendute o utilizzate per contrarre un prestito garantito, conserveranno prevedibilmente la loro capacità di generare liquidità anche in periodi di gravi tensioni idiosincratiche e di mercato. In siffatti periodi le attività di questo tipo spesso traggono beneficio da una fuga verso la qualità. Le attività di qualità inferiore non superano invece questa prova. Se una banca cercasse di ottenere liquidità in condizioni di grave stress di mercato mediante attività di qualità inferiore, essa dovrebbe accettare notevoli sconti dovuti

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