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LA DIETA CHETOGENICA NEL TRATTAMENTO DELL'OBESITA'

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in

Scienze della Nutrizione Umana

Tesi di Laurea:

LA DIETA CHETOGENICA

NEL TRATTAMENTO DELL’OBESITA’

Relatore:

Prof.ssa Claudia D’Alessandro

Correlatore:

Dott. Paolo Pifferi

Candidata:

Federica Daniele

(2)

“Ogni grande sogno comincia con un sognatore. Ricorda sempre, hai dentro di te la forza, la pazienza e la passione per raggiungere le stelle.”

(3)

INDICE

1. INTRODUZIONE 3

2. STORIA ED EVOLUZIONE DELLA DIETA CHETOGENICA 6

3. PRINCIPI BIOCHIMICI DELLA DIETA CHETOGENICA: LA CHETOSI 10

3.1. I corpi chetonici 10

3.2. La chetogenesi 11

3.3. Destino metabolico dei corpi chetonici 14

3.4. Regolazione metabolica ed ormonale della chetogenesi 16

3.5. Parametri ematochimici in condizioni di chetosi 17

4. PROTOCOLLI DIETETICI CHETOGENICI 19

4.1. Dieta chetogenica classica (KD) 20

4.2. Dieta dei trigliceridi a catena media (MCT) 20

4.3. Dieta Atkins modificata (MAD) 21

4.4. Dieta chetogenica a basso indice glicemico (LGIT) 22

4.5. Fat-fasting o digiuno chetogenico 23

4.6. Le diete chetogeniche a ridotto contenuto calorico (VLCKD) 25

5. OBESITA' E DIETE CHETOGENICHE 26

5.1. Obesità 26

5.2. “Lo studio Moreno”: Efficacia della dieta chetogenica ipocalorica nel trattamento

dell’obesità 27

5.3. Vantaggi e controindicazioni della dieta chetogenica 30

5.4. Monitoraggio di una dieta chetogenica 31

6. APPLICAZIONE DI PROTOCOLLI DIETETICI CHETOGENICI NEL

TRATTAMENTO DELL’OBESITA’ 33

6.1. Esempio di un protocollo MAD per il trattamento dell’obesita’ 33 6.2. Esempio di un protocollo VLKCD per il trattamento dell’obesita’: il metodo kalibra® di

S.D.M. 35

6.3. Caso clinico dieta VLCKD – metodo Kalibra® 38

7. CONCLUSIONI 40

(4)

1. INTRODUZIONE

Oggi l’obesità rappresenta una tra le principali cause di morte in tutto il mondo ed è considerata uno dei problemi più gravi di salute pubblica non solo nei paesi industrializzati, ma anche in quelli in via di sviluppo.

A livello scientifico è stato dimostrato che l’applicazione di protocolli dietetici chetogenici a ridotto apporto calorico (indicati con l’acronimo VLCKD ovvero Very Low Calorie Ketogenic Diet) su soggetti obesi, consente di ottenere risultati positivi in termini di perdita di peso e di riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare. (2)

Per questo motivo oggi l’utilizzo di diete chetogeniche per favorire il calo ponderale è consigliato da diverse comunità scientifiche ed è convalidato e suggerito in diversi stati come terapia di prima intenzione per il trattamento dell’obesità associate a fattori di rischio cardiovascolare (diabete mellito tipo 2, insulin-resistenza, dislipidemia, ipertensione). Le diete chetogeniche sono protocolli dietetici ipocalorici caratterizzati da un ridotto apporto di carboidrati.

La carenza di carboidrati, comporta un’abbassamento dei livelli ematici d’insulina, a favore di un aumento di glucagone. Quest’ormone svolge un’azione lipolitica, favorendo il catabolismo dei trigliceridi di riserva mobilitati dal tessuto adiposo bianco, i quali vengono idrolizzati grazie alle lipoprotein-lipasi che promuovono la loro trasformazione in acidi grassi liberi e glicerolo (3).

Acidi grassi e glicerolo vengono utilizzati solo in parte a scopo energetico: in particolare la muscolatura liscia utilizza circa il 40% degli acidi grassi liberi, mentre gli epatociti trasformano circa il 10% del glicerolo mobilizzato in glucosio (4).

La quota rimanente di acidi grassi e glicerolo, viene metabolizzata a livello epatico nei processi di gluconeogenesi e chetogenesi.

La gluconeogenesi porta alla sintesi di glucosio a partire da substrati non glucidici e s’innesca rapidamente in assenza di glucosio, per effetto dell’attività del glucagone.

La chetogenesi è un processo reversibile di condensazione di molecole di Acetil-CoA finalizzato alla sintesi di corpi chetonici (acetoacetato, β- idrossi-butirrato) e per essere attivata richiede almeno 48-72 ore (3).

I corpi chetonici in carenza di glucosio sono facilmente utilizzati dalla muscolatura scheletrica, dal Sistema Nervosa Centrale e dal tessuto cardiaco come fonte di energia

(5)

alternativa al glucosio. In questi tessuti i corpi chetonici vengono ossidati ad Acetil-CoA, substrato metabolico del ciclo di Krebs. (3)

Il ridotto apporto glucidico delle diete chetogeniche ipocaloriche viene compensato da un’apporto di proteine ad elevato valore biologico. In questa condizione si ha una stabilizzazione della glicemia, attraverso il meccanismo della gluconeogenesi epatica e renale. (3)

Quest’ultimo fenomeno favorisce una secrezione basale d’insulina utile a mantenere stabile il livello di chetoni ematici. L’insulina svolge in questo senso un ruolo modulatorio sulla chetogenesi stessa, rendendo impossibile l’instaurarsi della chetoacidosi patologica. (4) Quindi durante le diete chetogeniche ipocaloriche la principale fonte di energia è ottenuta attraverso il catabolismo dei lipidi di riserva, determinando così un effettivo calo ponderale rapido e costante a spese della massa grassa.

Parallelamente la massa magra deve essere preservata attraverso l’assunzione di un’adeguata quota proteica.

Inoltre i corpi chetonici prodotti agiscono sul sistema nervoso centrale portando ad un aumento sia del senso di sazietà, grazie alla riduzione dei livelli di grelina ed inducendo anche un miglioramento del tono dell’ umore.

Esistono diversi protocolli applicativi delle diete ipocaloriche che inducono chetosi che si differenziano essenzialmente per le diverse percentuali dei macronutrienti e per il rapporto chetogenico ottenibile.

Queste diete chetogeniche sono nate per il trattamento di diverse patologie associate alla degenerazione del sistema nervoso centrale come epilessia, malattia di Alzheimer e malattia di Parkinson, ma attualmente sono utilizzate con successo per la riduzione del peso corporeo e delle complicanze associate nei pazienti che soffrono di grave obesità e di sovrappeso. La VLCKD è da considerarsi una terapia dietetica e pertanto deve essere gestita da personale esperto in grado di selezionare in modo corretto i pazienti e le patologie che possono giovarsi di tali terapie, quali ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo 2 all’esordio, dislipidemie, sindrome metabolica, osteopatie o artropatie severe derivanti dall’eccessivo sovrappeso, obesità complicata con e senza indicazione alla chirurgia bariatrica.

E’ inoltre indispensabile garantire uno stretto monitoraggio clinico al fine di ridurre i potenziali effetti collaterali.

(6)

Generalmente i benefici correlati a questo tipo di piano alimentare sono il rapido calo di peso nelle persone obese o sovrappeso con insulino resistenza, una riduzione dei livelli di acidi grassi nel sangue, di insulina e della glicemia a digiuno.

Questa tesi ha lo scopo di illustrare principi ed applicazioni della dieta chetogenica nel trattamento della riduzione del peso corporeo nei pazienti affetti da obesità.

Viene presentato, a titolo d’ esempio, anche un caso clinico per illustrare come l’applicazione di tale regime terapeutico permetta di ottenere risultati soddisfacenti in termini di riduzione di massa grassa anche in pazienti con gravi problemi motori.

(7)

2. STORIA ED EVOLUZIONE DELLA DIETA CHETOGENICA

Nella Bibbia è riportato il ricorso al digiuno per guarire dalle convulsioni febbrili, conferendo al digiuno un’azione purificatrice. (5)

I medici nell’antica Grecia erano soliti trattare le malattie, compresa l'epilessia, alterando la loro dieta dei pazienti. Un trattato nel Corpus Ippocratico risalente al 400 a.C., De Morbo Sacro, considera l’epilessia una malattia soprannaturale nell'origine e nella cura, e propone una terapia alimentare per risolvere il danno fisico e mentale.

Nella stessa raccolta, l'autore descrive il caso di un uomo la cui epilessia era scomparsa rapidamente attraverso la completa astinenza di cibo e bevanda.

Si scoprì solo secoli dopo che queste intuizioni erano supportate da valide basi scientifiche. Il corpo durante il digiuno prolungato infatti entra in chetosi, ovvero produce corpi chetonici (chetoni) che sono alla base dei benefici riscontrati nei trattamenti.

I chetoni vennero poi scoperti a metà del XIX secolo nelle urine dei pazienti diabetici e vennero ritenuti prodotti anomali di un’ incompleta ossidazione dei grassi e per questo ritenuti causa del quadro clinico caratteristico e devastante della chetoacidosi diabetica. (6) Successivamente nel 1822 Radcliffe trovò un effetto anticonvulsivo mediante una dieta ricca di grassi e povera di carboidrati (rapporto 4:1). (7)

Il primo studio moderno del digiuno come trattamento per l'epilessia fu fatto stato in Francia nel 1911. Venti pazienti epilessici di tutte le età beneficiarono degli effetti positivi indotti da una dieta vegetariana a basso contenuto calorico, combinata con periodi di digiuno. La dieta portò al miglioramento delle capacità mentali dei pazienti, in contrasto con il loro farmaco, il bromuro di potassio, che annebbiava la mente. (8)

Sempre in quegli anni il dottor Bernarr Macfadden, un esponente americano della cultura fisica, diffuse l'uso del digiuno per ripristinare la salute. Il suo discepolo, il medico osteopata Hugh Conklin, di Battle Creek, Michigan, cominciò a curare i suoi pazienti epilettici raccomandando il digiuno. (9)

Nel 1916, il dottor McMurray scrisse sul New York Medical Journal affermando di aver trattato con successo con successo i pazienti dell'epilessia, seguita da una dieta priva di amido e di zucchero, dal 1912.

Nel 1921, l'endocrinologo H. Rawle Geyelin riportò le sue esperienze alla convention dell'American Medical Association. Aveva visto il successo di Conklin in prima persona e aveva tentato di riprodurre i risultati in 36 dei propri pazienti. Ottenne risultati simili pur

(8)

avendo studiato i pazienti per un breve periodo. Ulteriori studi negli anni '20 indicarono che le crisi epilettiche generalmente regredivano dopo il digiuno. Charles Howland, padre di uno dei pazienti di successo di Conklin e ricco avvocato di New York, donò a suo fratello John 5.000 dollari per studiare "la chetosi della fame". Come professore di pediatria all'ospedale di Johns Hopkins, John Howland usò i soldi per finanziare le ricerche condotte dal neurologo Stanley Cobb e dal suo assistente William G. Lennox. (10)

A partire dagli anni Trenta, gli studi sulla fisiologia della chetogenesi e della chetolisi stabiliscono che i corpi chetonici sono fisiologicamente prodotti a livello epatico e rapidamente utilizzati da parte dei tessuti extraepatici. (6)

Vennero quindi eseguiti studi su animali da laboratorio che dimostrarono come l’iniezione di β-idrossibutirrato (BHB) comportava un aumento del suo utilizzo da parte dei tessuti extraepatici correlato all’aumento della sua concentrazione nel sangue.

Tuttavia raggiunta una certa concentrazione l’utilizzo diminuiva fino ad un accumulo di BHB a livello ematico.

Tali osservazioni dimostrarono che l’iperchetonemia viene raggiunta solo quando i corpi chetonici prodotti a livello epatico eccedono le richieste dei tessuti extraepatici.

Parallelamente alle ricerche in ambito biochimico sull’utilizzo dei corpi chetonici da parte dell’organismo, nei primi anni 20, partirono studi ed approfondimenti su un nuovo regime dietetico che prevedeva un ridotto apporto di carboidrati (dieta chetogenica) con la valutazione degli effetti sull’epilessia infantile. Il dottor Russel Wilder ed il dottor Peterman della Mayo Clinic teorizzarono le caratteristiche della dieta e pubblicarono i primi dati scientifici relativi alla sua sperimentazione nel 1924. (6,11)

Wilder sperava di ottenere i benefici del digiuno in una terapia dietetica che poteva essere mantenuta indefinitamente. Il suo studio su alcuni pazienti epilettici nel 1921 è stato il primo utilizzo della dieta chetogenica come trattamento per l'epilessia. (6)

Il collega di Wilder, pediatra Mynie Peterman, più tardi formulò la dieta classica (KD), con un rapporto di un grammo di proteine per chilogrammo di peso corporeo nei bambini, 10-15 g di carboidrati al giorno e il resto delle calorie dal grasso. Il lavoro di Peterman negli anni '20 ha stabilito le tecniche per l'induzione e il mantenimento dello stato di chetosi nella dieta. Peterman ha documentato effetti positivi (miglioramento della veglia, del comportamento e

(9)

del sonno) e effetti negativi (nausea e vomito a causa dell'eccesso di chetosi). La dieta si è rivelata molto efficace nei bambini: nel 1925 Peterman riferì che il 95% di 37 giovani pazienti erano migliorati e nel 60% dei casi la malattie era regredita. (11)

Entro il 1930, la dieta fu applicata anche in 100 adolescenti e adulti. Sebbene i risultati degli adulti siano simili a quelli moderni dei bambini, non si sono confrontati con gli studi contemporanei. Barborka ha concluso che gli adulti avrebbero meno probabilità di beneficiare della dieta e l'uso della dieta chetogenica negli adulti non è stato nuovamente studiato fino al 1999.

Nel 1958 uno studio condotto da Richard E. Johnson e dal suo gruppo di ricerca su un campione di 208 giovani sani sottoposti ad un regime alimentare normale ed a una moderata attività fisica, dimostrò che siero e urine presentavano sempre livelli di chetoni misurabili. La concentrazione rilevata da Johnson era di circa 0,7mM/L, circa 20 volte più bassa rispetto ai livelli riscontrati in pazienti affetti da diabete mellito di tipo I non trattato. (12)

Nel 1966 George F. Cahill e il suo gruppo riuscirono a mettere insieme una serie di osservazioni utili per spiegare l’importanza dei corpi chetonici come carburante di emergenza per diversi organi e sistemi corporei (13,14).

Nel 1971 il Prof. Blackburn dell’Università statunitense di Harvard, al termine di approfonditi studi, delinea il protocollo della dieta proteica Protein Sparing Modified Fasting (Lidner and Blackburn 1976) per la cura dell’obesità. (15,16)

Nel 1972 dal Dr. Atkins pubblicò un libro dove delineava un protocollo dietetico di tipo chetogenico ipocalorico, ma iperproteico per ottenere un efficace calo ponderale. (17) Nel 1975, il Professor Marineau, allievo di Blackburn, definisce il protocollo come “Jeune proteinè” (digiuno proteico) per una distinzione tra il metodo Blackburn e le diete iperproteiche tipo Atkins (Marineau 2004). (16)

Negli anni ’90 il protocollo Very Low Calorie Ketogenic Diet fu adottato presso l’Ospedale John Hopkins di Baltimora.

Nel 1993 il Ministero della Salute degli Stati Uniti attraverso una task force (JAMA), convalida il protocollo VLCKD (18).

(10)

chetonici potessero essere utili nel compensare le disfunzioni dovute alla resistenza insulinica, aprendo così tutta una serie di nuove opportunità per l’utilizzo terapeitico delle diete chetogeniche. (14)

Nel 1997 il professor Björntorp approfondisce lo studio del protocollo VLCKD, pubblicando il risultato delle sue ricerche sulla rivista Lancet. (19)

Dal 2000 l’attenzione verso l’utilizzo delle diete chetogeniche aumenta e cominciano ad uscire una serie di lavori che analizzano i potenziali usi terapeutici delle diete chetogeniche nel trattamento di malattie degenerative del SNC (quali Alzheimer, Parkinson, epilessia) e di malattie metaboliche come resistenza insulinica ed obesità.

Nel 2003 il Ministero della Salute Finlandese suggerisce la VLCKD come terapia di prima intenzione per il trattamento dell’obesità associate a fattori di rischio cardiovascolare (diabete mellito tipo 2, insulin-resistenza, dyslipidemia, ipertensione).

L’ADI, Associazione di Dietetica e Nutrizione Clinica, nel 2014 ha proposto la Dieta Chetogenica come terapia per l’obesità, oltre che per una serie di altre patologie su base metabolica. (20)

Nello stesso anno il dottor Moreno e i suoi collaboratori illustrano in un articolo chiave i benefici ottenuti nel breve e nel lungo termine dalla dieta ipocalorica chetogenica (VLCKD) rispetto alla dieta classica a ridotto contenuto calorico (LCD).(2)

(11)

3. PRINCIPI BIOCHIMICI DELLA DIETA CHETOGENICA: LA

CHETOSI

3.1. I corpi chetonici

La dieta chetogenica si basa su una drastica riduzione dei carboidrati, associata ad un relativo aumento della quota di proteine e grassi.

Questa condizione spinge l’organismo alla chetosi, ovvero in uno stato metabolico caratterizzato dall’aumento della concentrazione di corpi chetonici nel sangue.

I corpi chetonici, rappresentati in Figura 1, sono tre prodotti della chetogenesi epatica:  l’acetoacetato (AcAc), che può essere convertito dal fegato in β-idrossibutirato, o

spontaneamente trasformarsi in acetone

 l’Acetone (Ac), che viene generato attraverso la decarbossilazione di acetoacetato, spontaneamente o attraverso l'enzima acetoacetato decarbossilasi.

 Β-idrossibutirato (BHB) (non tecnicamente un chetone secondo la nomenclatura IUPAC) viene generato attraverso l'azione dell'enzima D-β-idrossibutirrato deidrogenasi su acetoacetato. (1)

Figura 1 I Corpi chetonici: L’acetilacetato (AcAc) è il principale corpo chetonico prodotto a livello epatico in condizioni di chetosi. Il β-idrossibutirrato (BHB) è un prodotto della riduzione di AcAc (dal punto di vista strettamente biochimico non è un corpo chetonico: infatti, la porzione chetonica è ridotta ad un gruppo ossidrile). Il BHB è relativamente più stabile dal punto di vista biochimico rispetto a AcAc, per questo motivo è il principale corpo chetonico circolante che viene riconvertito ad AcAc nei tessuti. L’acetone (Ac) è il prodotto della decarbossilazione spontanea di AcAc e, grazie alla sua elevata volatilità, viene facilmente eliminato attraverso le vie aeree, la sudorazione e le secrezioni corporee (21)

Β-idrossibutirato è il corpo chetonico più abbondante, seguito da acetoacetato e infine da acetone.

(12)

Il β-idrossibutirrato e l'acetoacetato possono passare facilmente attraverso le membrane e sono quindi una fonte di energia per il cervello, che non può metabolizzare direttamente gli acidi grassi.

I corpi chetonici presentano delle caratteristiche chimiche generali che ne regolano la funzionalità:

 Sono composti acidi (pK~4)

 Sono metaboliti idrosolubili degli acidi grassi e quindi non necessitano di trasportatori ematici

 dimensioni ridotte e quindi sono favorite nel passaggio delle membrane plasmatiche e della membrane emato encefalica

 hanno una captazione indipendente dall’insulina

3.2. La chetogenesi

In condizioni fisiologiche la decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico e la beta-ossidazione sono regolate in modo che non venga prodotto acetil CoA in eccesso rispetto alle possibilità di utilizzazione da parte della cellula.

Queste prevedono soprattutto la completa ossidazione dell’acetil CoA nei mitocondri a CO2

e H2O oppure, nei tessuti ove si verificano, l’utilizzazione citosolica dell’acetil CoA per la

biosintesi degli acidi grassi e, in misura minore, del colesterolo.

L’ossidazione mitocondriale dell’acetil CoA dipende dai livelli mitocondriali di ossalacetato, prodotto soprattutto dalla carbossilazione dell’acido piruvico, il prodotto terminale della glicolisi e del metabolismo di certi amminoacidi (alanina, serina, glicina). Infatti acetil CoA e ossalacetato si condensano per formare citrato, che viene consumato nel mitocondrio nella via ossidativa terminale (ciclo dell’acido citrico) oppure esportato nel citosol (biosintesi di acidi grassi e colesterolo).

Dunque l’utilizzazione dell’acetil CoA nei mitocondri richiede un corretto metabolismo degli amminoacidi e soprattutto dei carboidrati che assicuri alla cellula un rifornimento adeguato di piruvato e quindi di ossalacetato.

(13)

Figura 2 Chetogenesi attivata dal catabolismo dei trigliceridi a seguito di un ridotto apporto glucidico. I corpi chetonici prodotti a livello epatico entrano facilmente nel circolo sanguineo e grazie alla loro idrofilicità si muovono liberamente

all’interno di esso per raggiungere i vari distretti corporei. (22)

Come mostrato in Figura 2, durante un regime dietetico di tipo chetogenico, caratterizzato da una ridotta disponibilità di carboidrati, il loro apporto energetico viene sostituito da quello fornito da un aumentato catabolismo dei grassi.

In queste condizioni risulta generalmente favorita la gluconeogenesi a partire dal piruvato prodotto dal metabolismo degli amminoacidi invece della glicolisi al fine di assicurare la disponibilità della quantità minima di glucosio necessario al metabolismo delle cellule nervose e degli eritrociti.

Si determina pertanto uno sbilanciamento tra produzione di piruvato e ossalacetato (i cui livelli diminuiscono anche per la loro utilizzazione nella gluconeogenesi) e quella di acetil

(14)

CoA (i cui livelli aumentano per l’incrementata utilizzazione metabolica degli acidi grassi), a favore di quest’ultima.

Nelle cellule epatiche l’eccesso di acetil CoA nei mitocondri viene in parte trasformato in corpi chetonici: acetoacetato, β-idrossibutirrato e acetone che si accumulano nel sangue e vengono utilizzati da altri tessuti o eliminati con le urine.

Figura 3 Sintesi dei corpi chetonici da Acetil-CoA. (21)

La sintesi mitocondriale dei corpi chetonici avviene in tre passaggi, come esemplificato in Figura 3:

1. reazione di due molecole di acetil CoA a formare acetoacetil CoA

2. reazione dell’acetoacetil CoA con una terza molecola di acetil CoA per formare il 3-idrossi-3-metil-glutaril-CoA (HMG-CoA)

3. scissione dell’HMG-CoA in acetoacetate e acetil CoA

L’acetoacetato, il principale corpo chetonico, viene in parte ridotto a BHB oppure decarbossilato ad acetone, una sostanza volatile eliminata con la respirazione, le urine e il sudore.

Le cellule epatiche riversano in circolo l’acetoacetato e il BHB, che vengono captati dalle cellule dei tessuti periferici, in particolare di miocardio, muscolo scheletrico e cervello. (21)

(15)

3.3. Destino metabolico dei corpi chetonici

I corpi chetonici sono utilizzati dagli organi bersaglio extraepatici principalmente come carburanti, producendo 2 molecole di GTP e 22 ATP per molecola di acetoacetato quando ossidati nei mitocondri.

Come illustrato nella Figura 4, lo sfruttamento energetico dell’acetoacetato ne richiede l’attivazione ad acetoacetil CoA per reazione con il succinil CoA, un intermedio del ciclo dell’acido citrico; quindi l’acetoacetil CoA viene scisso in due molecole di acetil CoA per produrre equivalenti riducenti (NADH e FADH2), in una reazione identica all’ultima reazione della beta-ossidazione degli acidi grassi. Queste reazioni sono catalizzate dell'enzima β-ketoacil-CoA transferasi, chiamata anche la tioporasi, non presente a livello epatico.

Figure 4 Attivazione dell’acetoacetato (AcAc) per la produzione di energia. L’AcAc per essere sfruttato dal punto di vista energetico deve essere convertito, attraverso una reazione con il Succinil- CoA, in Acetil-CoA. L’Acetil-CoA è in grado di entrare nel ciclo dell’acido citrico, dove, reagendo con ossalacetato innesca il pathways metabolico utile per la produzione di energia. (21)

L'acetone in basse concentrazioni viene assorbito dal fegato e subisce la disintossicazione attraverso il percorso metilcilossale che termina con lattato.

L'acetone in alte concentrazioni viene assorbito da cellule diverse da quelle del fegato ed entra in un percorso che trasforma 1,2-propandiolo in piruvato con consume di ATP. Il cuore utilizza preferenzialmente acidi grassi come carburante in normali condizioni fisiologiche. Tuttavia, in condizioni di chetosi, può effettivamente utilizzare chetoni per questo scopo. (23)

(16)

In condizioni di digiuno protratto il cervello può utilizzare come combustibile anche i corpi chetonici che, a differenza degli acidi grassi, possono oltrepassare la barriera emato-encefalica.

Dal momento che il glucosio ed i corpi chetonici hanno una KM (costante di Michaelis-Menten) simile per il trasporto del glucosio a livello cerebrale, i corpi chetonici incominciano a venire utilizzati a livello del SNC quando arrivano ad un valore di circa 4 mM, che è quello del trasportatore delle monocarbossilasi. (24)

I corpi chetonici oltre ad essere utilizzati dall’organismo nella produzione di energia, esplicano anche le seguenti funzioni:

 aumentano la capacità antiossidanti della cellula fino al 50%, diminuendo di circa il 55% le specie reattive dell’ossigeno (ROS).

 elevano i livelli di acido gamma-butirrico (GABA) inibendo nel contempo la trasmissione dei segnali glutaminergici.

 Aumentano fino a 4 volte l’attività della glutatione perossidasi nell’ippocampo  Disaccoppiano la citocromo-ossidasi e provocano shift della produzione di calore a

quella di ATP grazie all’aumento dei livelli delle proteine UCP.

 Incrementano le pompe sodio/potassio sia nei neuroni che nelle cellule della glia, aumentando il potenziale di membrana e diminuendo l’eccitabilità

 Inibiscono la fosfofrutto-chinasi riducendo la velocità di glicolisi e la produzione di radicali liberi, mentre aumentano i substrati disponibili per la produzione di energia nel ciclo di Krebs (reazione anaplerotica)

 Influenzano mediatori deputati a rilevare lo stato energetico delle cellule (PPAR, mTOR, sirtuine) e favoriscono così il mantenimento dell’omeostasi energetica cellulare

 Agiscono da segnali cellulari deputati all’inibizione delle istone-deacetilasi (HDACs) e rendendono la cromatina più facilmente leggibile alla trascriptasi. Interagiscono quindi con l’espressione genica

(17)

3.4. Regolazione metabolica ed ormonale della chetogenesi

La chetogenesi è regolata dai livelli di carboidrati disponibili nella cellula o nel corpo e dalla concentrazione di acetil-CoA.

Quando il corpo dispone di un’adeguata quantità di carboidrati come fonte di energia, il glucosio è completamente ossidato a CO2; L'acetil-CoA viene formata come intermedio di

processo, entra nel ciclo dell'acido citrico e viene convertita in ATP nella fosforilazione ossidativa.

Quando il corpo dispone di un eccesso di carboidrati, il glucosio viene completamente metabolizzato per fornire energia, l’eccesso viene conservato sotto forma di glicogeno o, a seguito dell'eccesso di citrato, come acidi grassi.

Quando il corpo non dispone di carboidrati liberi disponibili, il grasso corporeo deve essere convertito in acetil-CoA per ottenere energia.

In condizioni di carenza di glucosio quindi, l'acetil-CoA non entra nel ciclo dell'acido citrico perché la quantità di ossalacetato necessario alla sua conversione in citrato è insufficiente e quindi vi è un accumulo di acetil-CoA che attiva la chetogenesi.

L'insulina e il glucagone sono ormoni chiave nella regolazione della chetogenesi. Entrambi gli ormoni regolano le lipasi e l'acetil-CoA carbossilasi.

La lipasi produce digliceridi dai trigliceridi, preparando queste molecole per la sintesi degli acidi grassi.

L'acetil-CoA carbossilasi catalizza la produzione di malonil-CoA da acetil-CoA.

Malonil-CoA riduce l'attività della carnitina-palmitoiltransferasi 1, un enzima che funziona per portare gli acidi grassi nei mitocondri per la β-ossidazione.

L'insulina inibisce la lipasi e attiva l'acetil-CoA carbossilasi, riducendo così la quantità di materiali di partenza per la sintesi degli acidi grassi e inibendo la loro capacità di entrare nei mitocondri.

Il glucagone attiva la lipasi e inibisce l'acetil-CoA carbossilasi, stimolando così la produzione dei corpi chetonici e il loro passaggio nei mitocondri per la β-ossidazione. Inoltre, HMG-CoA è inibito dall'insulina, riducendo la produzione dei corpi chetonici. Allo stesso modo, il cortisolo, le catecolamine, l'epinefrina, la noradrenalina e gli ormoni tiroidei possono aumentare la quantità di corpi chetonici prodotti in quanto aumentano la concentrazione degli acidi grassi disponibili per l'ossidazione beta.

Il Perossisome Proliferator Activated Receptor alfa (PPARα), ha la capacità di regolare la chetogenesi, in quanto ha un certo controllo su un certo numero di geni coinvolti nella

(18)

chetogenesi. Ad esempio, il trasportatore monocarbossilato 1, che è coinvolto nel trasporto dei corpi di chetoni sulle membrane, è regolato da PPARα, influenzando così il trasporto del corpo di chetoni nel cervello. Anche la carnitina-palmitoiltransferasi è regolata da PPARα, che può influire sul trasporto degli acidi grassi nei mitocondri. (25)

3.5. Parametri ematochimici in condizioni di chetosi

Dato che sono prodotti dal metabolismo epatico, i chetoni sono normalmente presenti nel sangue, seppure in basse quantità, e la loro concentrazione è definite chetonemia.

In condizioni normali la chetonemia non supera il valore di 0,5 mmol/L.

La concentrazione di AcAc libero in condizioni fisiologiche è quindi trascurabile e una volta prodotto viene trasportato in circolo e facilmente metabolizzato in vari tessuti ed in particolare nei muscoli scheletrici e nel cuore.

In condizioni di sovrapproduzione invece l’acido acetoacetico si accumula ed una parte di esso viene trasformato negli altri due corpi chetonici (BHB e Ac).

La presenza in circolo dei corpi chetonici e la loro eliminazione con le urine causano la chetonemia e la chetonuria.

L’eliminazione dell’acetone, essendo un composto molto volatile, avviene prevalentemente con la respirazione polmonare e la sudorazione.

Nella chetoacidosi è possibile misurare la concentrazione ematica (o urinaria) di AcAc e BHB e valutare il rapporto lattato/piruvato.

La doppia misura del rapporto Lattato/ Piruvato e BHB /AcAc è un indice dello stato redox dell’organismo correlato al rapporto NAD+/NADH.

Il dosaggio del BHB è utilizzato maggiormente rispetto a quello dell’AcAc; e il rapporto dei corpi chetonici dà un’informazione di grande utilità nella valutazione

metabolica.

Il rapporto normale BHB / AcAc è 3:1 ma nelle chetosi si hanno valori anche di 6:1 e sino a 12:1.

Nella chetosi fisiologica (che si raggiunge durante il digiuno e le diete chetogeniche) la chetonemia raggiunge livelli massimi di 7/8 mM con un pH invariato, mentre nel diabete scompensato essa raggiunge e supera le 20 mM con abbassamento del pH.

(19)

I valori ematici dei corpi chetonici non superano, nell’individuo sano, le 8 mM perché il SNC appunto utilizza con efficienza queste molecole a scopo energetico in sostituzione del glucosio.

Inoltre, in chetosi fisiologica, la glicemia, pur abbassandosi resta a livelli fisiologici. Infatti, il glucosio che si forma dagli aminoacidi gluconeogenetici e dal glicerolo liberato dalla lisi dei trigliceridi è sufficiente per il mantenimento dell’euglicemia. (26)

La Figura 5 riporta uno schema riassuntivo dei rincipali valori ematici riscontrabili in condizioni fisiologiche, in condizioni di chetosi e di chetoacidosi.

Figura 5 Valori ematici di alcuni parametri di riferimento durante una dieta normale, chetogenica e durante la chetoacidosi diabetica (21)

(20)

4. PROTOCOLLI DIETETICI CHETOGENICI

Esistono diversi protocolli dietetici chetogenici che si differenziano tra loro sulla base delle calorie, delle percentuali dei diversi macronutrienti e del rapporto chetogenico ottenibile. Con il termine rapporto chetogenico s’intende il rapporto (R) tra la quantità di lipidi in grammi presenti nel protocollo dietetico e la quantità di proteine e carboidrati. (27)

Le principali terapie dietetiche chetogeniche che vengono utilizzate per il trattamento delle malattie del SNC in ambito clinico sono:

 La dieta chetogenica classica (KD)

 La dieta chetogenica dei trigliceridi a catena media (MCT)

I regimi dietetici chetogenetici che sono invece utilizzati prevalentemente per il trattamento dell’ obesità, poichè sfruttano chetosi e riduzione calorica per ottenere una rapida e costante perdita di massa grassa, sono:

 Dieta Atkins modificata (MAD)

 Dieta chetogenica a basso indice glicemico (LGIT)  La Fat-fasting

 VLCKD (very low calorie ketogenic diet)

Un confronto tra i principali modelli di dieta chetogenica è raffigurato nella Figura 6 (27).

(21)

4.1. Dieta chetogenica classica (KD)

La dieta chetogenica classica (KD) fu introdotta nel 1920 per cercare di mimare la chetosi derivante dal digiuno, dato che quest’ultimo aveva dimostrato di essere efficace nel trattamento delle crisi epilettiche non trattabili farmaceuticamente. (28)

La KD classica venne per la prima volta utilizzata alla Mayo Clinic e in seguito ripresa nella clinica neurologica Johns Hopkins University Medical Center.

Il protocollo KD rimane il protocollo dietetico anti-convulsivo più efficace in assoluto e rappresenta il modello di riferimento.

Questa dieta contiene un rapporto chetogenico 4: 1. Ciò significa che per ogni grammo totale di proteine più carboidrati contenuti nella dieta vi devono essere 4 grammi di lipidi.

Ciò è ottenuto escludendo alimenti ad alto contenuto di carboidrati come frutta e verdura, pane, pasta, cereali e zucchero, aumentando il consumo di alimenti ad alto contenuto di grassi, come noci, panna e burro.

La maggior parte dei grassi alimentari è costituita da trigliceridi a catena lunga (LCT). Questo tipo di protocollo presenta i seguenti svantaggi:

 è troppo rigoroso e non sono consentiti pasti o spuntini non prescritti  è sbilanciato

 potrebbe essere nocivo per il microbiota intestinale

 è richesto l’uso di integratori lipidici, minerali e vitaminici

 scarsa aderenza del paziente al protocollo perchè troppo restrittivo  elevato drop out.

4.2. Dieta dei trigliceridi a catena media (MCT)

Una variante alla KD è la MCT. Questo prtocollo fu messo a punto da Huttenlocher e collabortori del Dipartimento di Pediatria della Yale University.

E’ una dieta ricca di trigliceridi a media catena (MCT) che consentono di mantenere un elevato rapporto chetogenico (3:1) anche in presenza di maggiori quantità di carboidrati e proteine, dato che l’ossidazione dei MCT dà luogo a maggior produzione di chetoni rispetto ai trigliceridi a catena lunga utilizzati nella KD.

Inoltre i MCT vengono assorbiti meglio dei trigliceridi a catena lunga e vengono trasportati al fegato dal flusso del sangue della vena porta.

(22)

La dieta MCT contiene circa il 60% di grassi e può comportare fastidiosi disturbi intestinali. Per questo motivo è stata elaborate una variante di questo protocollo che prevede una riduzione della quota di grassi MCT al 30% (MCT modificato).

MCT modificato ha il vantaggio di non dar luogo a sintomi gastrointestinali, anche se può rendere più difficile il mantenimento della chetosi al rapporto di 3:1.

Nella dieta MCT viene utilizzato come fonte lipidica l’olio MCT.

L'olio è mescolato con almeno due volte il suo volume di latte scremato, raffreddato, sorseggiato durante il pasto o incorporato in cibo.

Tuttavia gli effetti collaterali frequenti in questo tipo di protocollo dietetico portano un elevato drop out.

La dieta MCT ha sostituito la KD in molti ospedali, anche se alcune diete sono progettate come combinazione delle due. (28)

4.3. Dieta Atkins modificata (MAD)

Il protocollo MAD (modified Atkins diet) è un protocollo dietetico progettato nel 2003 per simulare la dieta KD ad alto contenuto di grassi, permettendo una maggiore introduzione di proteine, lipidi e calorie per aumentare la compliance, soprattutto nei pazienti adulti. (28,29) La MAD è un modello modificato della dieta ideata negli anni settanta da Robert Coleman Atkins, un cardiologo Americano che fu il primo medico ad ipotizzare l’utilità e la sostenibilità di un regime nutrizionale a basso tenore di carboidrati per la prevenzione delle malattie metaboliche.

Il dottor Atkins proponeva questo tipo di alimentazione per il trattamento del sovrappeso ed obesità e delle malattie correlate ritenendo che la causa dell’obesità che si stava diffondendo negli Stati Uniti fosse imputabile alla dieta eccessivamente ricca di carboidrati (1963). (17) Egli fu anche il primo a collegare l’obesità a uno stato di iperinsulinemia e sviluppò il suo protocollo per trattare la sua condizione di grave sovrappeso.

La sua dieta era un regime dimagrante molto efficace e si diffuse molto rapidamente. Tuttavia divenne bersaglio di una serie di critiche che si basavano sul fatto che i presupposti della sua teoria erano errati in quanto l’aumento dei livelli d’insulina erano da ritenersi una conseguenza dell’obesità e non la sua causa.

L’altra critica che gli veniva mossa era che l’eccessivo apporto di grassi all’interno della sua dieta potesse aumentare i rischi di malattie cardiovascolari.

(23)

Dopo la sua morte, le teorie scientifiche postulate da Atkins riguardo l’iperinsulinemia furono confermate da altri scienziati e spiegate scientificamente attravero l’insulino-resistenza.

Attualmente la MAD è il protocollo chetogenico più utilizzato quando si decide di applicare la chetosi al trattamento dell’obesità.

Il rapporto chetogenico della MAD è nettamene inferiore rispetto ai protocolli chetogenici precedente (0,9-1:1).

Essa infatti prevede che solo il 65% dei nutrienti presenti nella dieta derivi da lipidi (a differenza del 90% presente nella KD) e rende la strutturazione dei pasti molto più semplice. L’implementazione della MAD così come descritta nei protocolli della John Hopkins University si basa su più step che portano all’induzione di uno stato di chetosi per poi mantenerlo con il minor livello di chetonemia possibile.

Si basa sulla restrizione di carboidrati, inizialmente 10 g / die nei bambini e 15 g / die negli adulti; dose che viene aumentata a 20-30 g / giorno dopo un paio di mesi.

Nel menu è ammesso qualsiasi tipo di carboidrato e la quantità di carboidrati può essere suddivisa nei diversi pasti o assunta tutta in una volta e le fibre non vengono conteggiate come carboidrati.

Come nel caso della KD, anche la MAD richiede l’integrazione di alcune vitamine e minerali.

4.4. Dieta chetogenica a basso indice glicemico (LGIT)

LGIT (low glicemic index treatment) è un protocollo terapeutico che si basa sulla scelta di alimenti a basso indice glicemico (IG).

L’IG è una misura dell'incremento dei livelli circolanti di glucosio in risposta all'ingestione di un alimento specifico. L'indice stima come ogni grammo di carboidrati disponibile in una fonte alimentare aumenterà i livelli di glucosio nel sangue rispetto al consumo di glucosio puro, che viene assegnato un IG di 100.

L’IG misura dunque il potere glicemizzante di un glucide, ossia la capacità di liberare una certa quantità di glucosio dopo la digestione.

La dieta LGIT è una strategia nutrizionale chetogenica che mira a raggiungere livelli glicemici estremamente stabili, ma con un approccio meno restrittivo rispetto alle altre diete chetogeniche.

I carboidrati permessi nella dieta LGIT sono limitati a quelli che presentano un IG < 50, in quanto l’ipotesi teorica che sta alla base di questo protocollo dietetico è che il mantenimento

(24)

di un livello di glucosio stabilmente basso nel sangue sia uno dei motivi che spiegano l’efficacia delle diete chetogeniche.

L'assunzione calorica totale è determinata in base alle esigenze del paziente, con il 20-30% delle calorie provenienti dalle proteine e il restante 60% dai grassi e con un apporto glucidico più elevato rispetto alle diete KD, MCT e MAD (40-60 gr al giorno).

La quota di carboidrati presenti nella dieta risulta comunque bassa, in quanto rappresenta circa il 10% del totale dei macronutrienti (più bassa rispetto a quella prevista dai protocolli MCT).

Nonostante i carboidrati rimangano bassi, l’elevata quota proteica (circa il 30%) fa si che la LGIT raggiunga un basso rapporto chetogenico (0,6:1), quindi una chetonemia inferiore a quella ottenibile con le altre diete. (27)

Esistono in letteratura numerosi studi che propongono la LGIT come piano dietetico d’eccellenza nel trattamento dell’obesità infantile (30) ed è anche stata sperimentata con successo ne trattamento dei pazienti diabetici (riduzione livelli di glucosio, insulina, emoglobina glicata e fruttosammina). (31)

4.5. Fat-fasting o digiuno chetogenico

Si tratta di un’integrazione tra una fase di digiuno o semi digiuno e una fase di dieta chetogenica.

E’ stato dimostrato che la restrizione calorica (CR) e il digiuno intermittente (IF) esercitano gli stessi effetti sia a livello metabolico che cellulare.

Quindi questo protocollo dietetico è stato ideato per ottenere livelli di chetonemia più elevati ed incrementare gli effetti della dieta chetogenica.

Il digiuno intermittente (IF) è una strategia nutrizionale basata su una ciclizzazione dell’alimentazione la quale, pur non prevedendo necessariamente una riduzione della quota calorica, permette di ottenere gli stessi risultati di una dieta ipocalorica in termini di neuroprotezione, cardio-protezione, aumento della sensibilità insulinica e apoptosi cellulare selettiva.

Esistono diversi protocolli di digiuno intermittente che vanno dal digiuno di 24 ore, alla riduzione calorica a giorni alterni, alla riduzione della finestra oraria nel corso della quali ci si alimenta. Alcuni esempi sono riportati in Figura 7. (32)

(25)

Figura 7 Alcune modalità di assunzione del cibo che si differenziano tra loro per la frequenza e la dimensione dei pasti a livello giornaliero e settimanale (32).

Questi protocolli vengono spesso associati a regimi dietetici chetogenici per aumentare i livelli di chetonemia.

La dieta che ne risulta sarà un mix di CR/IF e del regime chetogenico scelto, e sarà definita quindi fat-fasting ovvero digiuno chetogenico.

E’ un regime fortemente squilibrato e deve essere messo in atto per brevi periodi (qualche giorno) ad esempio per accellerare lo stato di induzione della chetosi.

Questa terapie dietetica deve essere fatta sotto stretto monitoraggio medico.

Nei casi di pazienti che seguono un regime chetogenico per il trattamento dell’obesità, il protocollo fat-fasting può essere utilizzato con maggiore libertà. Possono essere ad esempio previsti in caso di trattamento dell’obesità due giorni a settimana in cui la MAD seguita dai pazienti può essere modificata con una restrizione calorica (CR).

Questo trattamento infatti risulta essere molto utilizzato nel trattamento dell’obesità, per incrementare la perdita di peso.

La differenza tra fat-fast e fat-fasting consiste nel fatto che mentre il primo protocollo prevede una forte restrizione calorica, il secondo può essere anche isocalorico e per questo motivo può essere seguito più a lungo. (32)

(26)

4.6. Le diete chetogeniche a ridotto contenuto calorico (VLCKD)

Le very low calorie ketogenic diets (VLCKD) moderne si basano sui principi della dieta Blackburn (Lidner et al. 1976) e sono caratterizzate da:

1) un basso contenuto calorico (<800 Cal/die) 2) lo sviluppo di una chetosi stabile e controllata 3) la riduzione selettiva della massa grassa

Esse contemplano un ridotto apporto complessivo di carboidrati (tra 0,5 e 0,9 gr/kg peso corporeo, per innescare e mantenere uno stato di chetosi) e di lipidi (0,2-0,5 gr/kg peso corporeo, quota sufficiente per prevenire la colelitiasi), mentre includono una quantità fisiologica di proteine (1,2 ± 0,2 gr/kg peso corporeo) così come un apporto equilibrato di fibre vegetali, acqua, vitamine, sali minerali e oligoelementi.

I liquidi non zuccherati (>2 litri/die) e le verdure cotte e crude favoriscono l'idratazione della massa magra, l'elasticità dei tessuti, la sintesi proteica, e contrastano la stipsi, l'iperazotemia, l'iperuricemia e la calcolosi renale; a essi vengono associati dei pasti sostitutivi contenenti proteine di elevato valore biologico derivate principalmente dai legumi e dal latte con un apporto standardizzato di nutrienti essenziali.

A questa fase di dimagrimento, per stabilizzare il risultato ponderale segue una fase di transizione, la cui durata è almeno pari a quella di dimagrimento e che si articola in 4 tappe nelle quali si aumenta gradualmente sia la quantità sia la qualità degli alimenti glucidici a basso indice e carico glicemico, sino ad arrivare alla fase di mantenimento, caratterizzata da un'alimentazione equilibrata normocalorica di tipo mediterraneo.

La contrazione della quota glucidica alimentare riduce il rapporto insulina/glucagone, che induce chetosi già dopo 48-72 ore.

Le VLCKD consentono di ridurre in maniera significativa i valori pressori e lipidici, già dopo 24-48 ore e contribuiscono, nel medio e lungo termine, a diminuire il rischio cardiometabolico e oncologico correlato al diabete e all'obesità viscerale. (33,34)

(27)

5. OBESITA' E DIETE CHETOGENICHE

Sebbene le diete chetogeniche siano nate come trattamento dietetico/terapeutico dell’epilessia e abbiano dimostrato effetti positivi scientificamente provati in molte patologie (Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), acne, cefalee a grappolo, malattie neurodegenerative e tumori), l’ambito in cui oggi riscontrano maggior interesse è nel trattamento dell’obesità e dei fattori di rischio correlati. (21)

L’attenzione sull’applicazione delle terapie dietetiche chetogeniche ipocaloriche nel trattamento dell’obesità è stata recentemente portata in evidenza nell’ambito della comunità scientifica internazionale grazie ad un studio del dottor Moreno B. e un gruppo di ricercatori che sottolinea i benefici a lungo termine di una dieta chetogenica a ridotto contenuto calorico rispetto ad una dieta che preveda semplicemente una restrizione calorica. (2)

Anche in Italia, nel 2014, l’ADI, Associazione di Dietetica e Nutrizione Clinica, si è espressa a favore dell’utilizzo della Dieta Chetogenica come terapia per l’obesità, oltre che per una serie di altre patologie su base metabolica. (20)

Attualmente le terapie dietetiche chetogeniche a basso contenuto calorico trovano una larga applicazione in pazienti con grave obesità che non rispondono ad altri tipi di diete ipocaloriche o che non hanno la possibilità di svolgere una regolare attività fisica.

5.1. Obesità

L’obesità è una patologia cronica, caratterizzata da un incremento eccessivo del tessuto adiposo con ripercussioni sullo stato di salute.

E’ causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica.

L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori.

Si stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili all’obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all’obesità sono almeno 2,8 milioni/anno nel mondo.

(28)

Index), è un valore (dato biometrico) che mette a confronto peso e altezza, consentendo di valutare se una persona è normopeso (BMI: 18,50 - 24,99), sottopeso (BMI < 18,50), sovrappeso (25-30) od obesa (BMI =/> 30). (34,39)

Secondo il rapporto Osservasalute 2016, che fa riferimento ai risultati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat “Aspetti della vita quotidiana” emerge che, in Italia, nel 2015, più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%); complessivamente, il 45,1% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale. Come negli anni precedenti, le differenze sul territorio confermano un gap Nord-Sud in cui le Regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone maggiorenni obese (Molise 14,1%, Abruzzo 12,7% e Puglia 12,3%) e in sovrappeso (Basilicata 39,9%, Campania 39,3% e Sicilia 38,7%) rispetto a quelle settentrionali (obese: PA di Bolzano 7,8% e Lombardia 8,7%; sovrappeso: PA di Trento 27,1% e Valle d’Aosta 30,4%).

La percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 14% della fascia di età 18-24 anni al 46% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità passa, dal 2,3% al 15,3% per le stesse fasce di età. Inoltre, la condizione di eccesso ponderale è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44% vs 27,3%; obesità: 10,8% vs 9%).

In Europa, l’indice di massa corporea si attesta su un valore medio pari a 26,5. Sono in sovrappeso tra il 30 e il 70% della popolazione adulta mentre risultano obesi il 10-30% delle persone (circa il 20% degli uomini e il 23% delle donne) (World Health organization - Europe, 2008).

Secondo dati dell’OMS, la prevalenza dell’obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 al 2014.

Nel frattempo, il problema ha ormai iniziato ad interessare anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso. (35,36,37,38,40)

5.2. “Lo studio Moreno”: Efficacia della dieta chetogenica ipocalorica nel

trattamento dell’obesità

Molti studi controllati dimostrano come le diete chetogeniche siano efficaci nel promuovere una significativa perdita di peso in tutti i soggetti trattati, migliorando nel contempo i principali indici di rischio metabolici associate a sovrappeso ed obesità.

(29)

 abbassare i livelli di insulina

 diminuire l’effetto segnale degli IGF  indurre la produzione di FoxO

 stimolare le proteine chinasi attivate dall’AMP (AMPK)  reprimere la proteina mTOR

 favorire la trascrizione di geni che incrementano la produzione di antiossidanti Tutti questi effetti metabolici incrementano la perdita di peso ponderale migliorando la tolleranza glicemica, la resistenza insulinica, tanto che in alcuni casi possono costituire un’ottima terapia dietetica anche per il diabete di tipo 2.

Nel 2014 uno studio condotto dal dottor Moreno B. ha messo in evidenza i risultati dell’utilizzo della dieta chetogenica ipocalorica. (2)

Questo studio, per la prima volta nella letteratura, pone l’attenzione sugli effetti a lungo termine di una dieta ipocalorica chetogenica, dimostrando come sia efficace nel trattamento dell’obesità non solo nei primi mesi ma anche e soprattutto negli anni successivi al termine della terapia stessa.

Moreno dimostra non solo che una terapia dietetica chetogenica ipocalorica (VLCKD) è più efficace di una terapia dietetica ipocalorica (LCD) nei 12 mesi successivi al termine della stessa, ma anche nei 24 mesi sia in termini antropometrici che di commorbidità.

Lo studio ha incluso 45 soggetti obesi (BMI≥30) con una storia clinica di diete ripetute e risultati poco soddisfacenti.

In accordo con le direttive Europee, tutti i soggetti selezionati non presentavano diabete mellito di tipo I, disordini endocrinologici o da farmaci, non erano depressi o con problemi psichici, dipendenti da droghe o farmaci, con insufficienze renali gravi, affetti da gotta, con precedenti episodi cardiovascolari o con disordini cerebrovascolari, ipertensione non controllata, alterazioni elettrolitiche, in gravidanza o allattamento. Inotre sono stati esclusi soggetti trattati con altre forme di diete con farmaci anti-obesità nei 6 mesi precedenti l’inizio del trattamento chetogenico.

I soggetti coinvolti nello studio sono stati randomizzati in due gruppi: l’uno trattato con la dieta VLCKD, l’altro con una LCD. Il gruppo di controllo (LCD) seguiva una dieta di 1400-1800 Kcal costituita da 15-25% proteine, 45-55% di carboidrati, 25-35% di lipidi e 20/40 g/die di fibre.

(30)

chetogenica (600-800 Kcal) in cui si utilizzavano prodotti commerciali ricchi in proteine ad elevato valore biologico e poveri di lipidi e carboidrati (<50 g di carboidrati al giorno, 0,8-1,2 g di proteine /Kg di peso ideale), una fase di rieducazione alimentare con re-introduzione graduale di carboidrati e lipidi, ed una fase di mantenimento dl peso raggiunto tramite una dieta bilanciata da 1500-2000 Kcal.

Figura 8 Esemplificazione delle fasi della terapia VLCKD. (2).

Moreno e i suoi collaboratori hanno dimostrato come dall’inizio della terapia dietetica fino a due anni dal termine della stessa il calo ponderale sia il doppio se trattati con una dieta VLCKD rispetto ad una LCD.

Coerentemente la riduzione dei diversi parametri antropometrici risulta significativamente più importante nei soggetti trattati con VLCKD: BMI (-4,4 per VLCKD vs -1,9 per LCD, p< 0,001), % di peso in eccesso perso (34,8% per VLCKD vs 17,0% per LCD, p<0,001) e circonferenza vita (-11,6 per VLCKD vs -4,1per LCD, p<0,05).

L’analisi della composizione corporea mostra come la massa magra si mantenga costante sia durante il trattamento dietetico che nei due anni successivi al termine dello stesso, mentre la massa grassa tenda a tornare ai livelli iniziali, pur rimanendo significativamente inferiore nei pazienti trattati con una dieta ipocalorica chetogenica (8,8 Kg per la VLCKD vs 3,8 Kg nella LCD, p<0,001).

Inoltre analizzando la localizzazione della massa grassa persa la VLCKD è selettiva sul grasso viscerale.

Lo studio infine dimostra come la dieta ipocalorica chetogenica sia più efficace nel mantenimento del calo ponderale a lungo termine. A due anni dal termine della dieta, il 54% dei soggetti trattati con una VLCKD mantiene un calo ponderale superiore al 10% del peso iniziale, mentre con la LCD solo il 13% (p<0,001).

Inoltre la terapia dietetica VLCKD permette di ritardare il recupero del peso perso, quindi la ricomparsa della malattia e delle commorbidità.

(31)

5.3. Vantaggi e controindicazioni della dieta chetogenica

La dieta chetogenica presenta numerosi vantaggi nel trattamento dell’obesità e di altre malattie, tuttavia presenta dei limiti e delle controindicazioni.

Tra i vantaggi sono da annoverare:

• il fattore motivazionale legato alla rapida attivazione del calo di peso; • la riduzione della fame legata alla moderata chetosi;

• un miglior mantenimento del trofismo e della massa muscolare;

• una miglior aderenza alla dieta vissuta dal paziente come terapia personalizzata

In letteratura sono riportati anche possibili vantaggi legati al fatto che tali terapie possono essere applicate in gruppi di rischio a scopo preventivo.

Vari lavori inoltre riportano le diete chetogeniche come valido supporto alla chirurgia bariatrica, ad esempio facilitando un calo preoperatorio al fine di ridurre il rischio generico e le complicanze post-chirurgiche, migliorando le comorbilità associate alla grave obesità. (41,42,43)

Tuttavia i protocolli dietetici chetogenici che presentano un tenore di grassi elevati (poco usati nel trattamento di riduzione del peso corpreo) potrebbero, se non strutturati in maniera corretta, aumentare gli indicatori di rischio lipemico che sono comunemente associati all’obesità.

Un altro effetto collaterale delle diete chetogeniche riguarda il rischio di danni renali, dato che spesso gli obesi presentano già una diminuzone del numero di nefroni funzionanti, cui si associa spesso l’ipertensione arteriosa.

Inoltre gli obesi presentano spesso una comorbidità diabetica che può comportare ulteriori problematiche di funzionalità renale.

Tuttavia si è visto che nei soggetti sottoposti a studi, questi rischi risultano essere potenziali e che una dieta chetogenica è addirittura in grado di invertire la nefropatia diabetica indotta sperimentalmente in un modello animale. (44)

Un altro rischio potenziale, dovuto sia alla chetosi indotta dalla dieta, che allo stato di obesità del soggetto, è la demineralizzazione ossea. (45)

Non sono comunque trattabili con diete chetogeniche ipocaloriche soggetti affetti da:  diabete mellito di tipo I

 insufficienza epatica grave (epatite cronica attiva, cirrosi epatica)

(32)

 patologie cardiache gravi: insufficienza cardiaca, blochhi di conduzione atrio-ventricolare, patologia aritmica

 infarto del miocardio ed ictus avvenuto nei 3 mesi precedenti ad inizio del trattamento dietetico

 patologie psichiatriche gravi, abuso di droghe o alcool

 trattamento con diuretici non risparmiatori del potassio e ipokaliemia non equilibrata  terapia cronica sistemica con farmaci corticosteroidi

 gravidanza ed allattamento

L’induzione della chetosi può portare a differenti problemi nei primi giorni di terapia o nelle fasi successive. (45)

Per migliorare l’effetto terapeutico riducendo i rischi di effetti collaterali è necessario uno stretto controllo medico ed un periodico monitoraggio dell’aderenza alle indicazioni, delle condizioni cliniche e di eventuali dati ematochimici.

La cefalea, il più frequente effetto collaterale precoce presente in circa un terzo dei pazienti, tende a scomparire spontaneamente entro 72 ore.

Successivamente sono descritti alitosi, xerostomia, stipsi. Alcuni pazienti riferiscono anche ridotta tolleranza al freddo e vertigini posturali.

È stata segnalata un’aumentata incidenza di disordini biliari e colelitiasi, che ha a volte portato a colecistectomia. (46)

5.4. Monitoraggio di una dieta chetogenica

Prima di iniziare una dieta chetogenica è necessaria una valutazione generale del paziente che miri ad accertare:

 Lo stato nutrizionale  Il metabolismo basale

 Eventuali anomalie metaboliche  Lo stato di mineralizzazione ossea  La funzionalità renale

 Lo stato neurologico

A questa indagine si deve associare anche un’ecografia addominale e uno screening delle eventuali controindicazioni, finalizzato alla prevenzione delle crisi cataboliche, procedendo al dosaggio:

(33)

 Dei livelli plasmatici di acido lattico e piruvico  Dei livelli di aminoacidi plasmatici ed urinari  Dei livelli di acidi organici urinari

 Dei livelli plasmatici di carnitine e acilcarnitine Un’altra indagine utile è il test del microbioma intestinale.

Una volta verificato che tutti i parametri siano entro i limiti, si procede all’avvio della dieta in modo graduale (se presenta un rapporto chetogenico elevato).

La chetosi viene solitamente monitorata utilizzando il sangue o l’urina.

Le strisce per l’analisi dei chetoni urinari (Ketostix® o Ketur Test®) possono essere utilizzate per autocontrollo. Importante è ricordare che una volta aperte hanno una durata di due mesi e vengono inattivate dall’umidità e dalla temperature superiore a 30°C.

(34)

6. APPLICAZIONE DI PROTOCOLLI DIETETICI

CHETOGENICI NEL TRATTAMENTO DELL’OBESITA’

Nel seguente paragrafo verranno illustrate nel dettaglio a titolo d’esempio due terapie dietetiche chetogeniche applicate al trattamento dell’obesità:

 la MAD con alimenti naturali (29,48,49,50,51)

 la VLKCD con l’integrazione di alimenti proteici –metodo Kalibra® di S.D.M. (52) Viene infine riportato un caso clinico di una paziente con grave obesità trattata con la VLKCD –metodo Kalibra®.

6.1. Esempio di un protocollo MAD per il trattamento dell’obesita’

Il protocollo dietetico chetogenico MAD utilizzato per il calo di peso è una dieta ipoglucidica ed iperlipidica.

L’ efficacia nel dimagrimento veloce e costante è favorita:

 da un ridotto apporto di glucidi che favorisce lo stato di chetosi  dal senso di sazietà grazie al rilascio di colecistochinina

 dalla produzione di ormoni anabolici (come testosterone e ormone della crescita) che aumentano la massa magra e migliorano il funzionamento del metabolismo. Il programma della dieta MAD è articolato in quattro fasi, induzione, bilanciamento, pre-mantenimento e pre-mantenimento.

FASE 1: INDUZIONE O APPROCCIO ALLA DIETA

Durante la fase di induzione, che dura come minimo 2 settimane durante le quali l’organismo deve abituarsi al nuovo ritmo, si possono introdurre al massimo 15 gr di glucosio al giorno, eliminando carboidrati complessi come pasta, pane, riso, cereali, patate, bibite zuccherate, e alcuni tipi di frutta e di verdura, mentre si possono assumere senza limitazioni particolari alimenti grassi e proteici come uova, carne rossa, formaggi, ed alcuni tipi di vegetali.

L’utilizzo di cibi con elevato contenuto lipidico è fortemente consigliato.

Questa fase insegna all’organismo a bruciare grassi in maniera corretta e a mantenere costanti i livelli di zucchero nel sangue.

FASE 2: BILANCIAMENTO

Nella seconda fase di bilanciamento, viene mantenuto lo stesso tipo di regime alimentare solo che vengono gradualmente introdotti circa 5 gr di glucosio in più al giorno. Si procede

(35)

con l’assunzione di frutta fresca non zuccherina e frutta secca, fino a raggiungere il cosiddetto “livello critico di carboidrati” che serve al corpo per ridurre il suo peso. E’ previsto di raggiungere i 25 g di carboidrati nella settimana in cui si è dato inizio a questa seconda fase della dieta, 30 g nella settimana successiva fino a quando la nostra perdita di peso subirà un arresto.

La durata di questa fase è variabile in quanto si lega al ritmo con cui si dimagrisce che è diverso da persona a persona.

FASE 3: PRE MANTENIMENTO

Nella terza fase, di pre-mantenimento, la quantità di glucosio viene aumentata di circa 10 gr la settimana, e la perdita di peso ridotta a circa 500 gr la settimana. L’apporto di glucidi è stabilito mediante l’assunzione di cibi come yogurt e frutta anche zuccherina (stando sempre attenti alle quantità).

FASE 4: MANTENIMENTO.

La fase di mantenimento, consiste nell’assumere la quantità massima di carboidrati che, attraverso le fasi della dieta, si è arrivati a definire come” livello critico di carboidrati per il mantenimento di peso”, cioè quella quantità tale di carboidrati da fornire all’organismo il glucosio indispensabile per alcuni dei processi vitali. In generale comunque questa quantità non supera mai i 90 gr di glucosio al giorno.

Nella MAD è previsto l’uso di integratori specifici: antiossidanti, multivitaminici e a base di fibre.

Gli integratori antiossidanti sono utili in quanto, essendo una dieta ricca di grassi di origine animale (carne e pesce) e di grassi polinsaturi (pesce e frutta secca) che producono un’aumentata diffusione ed azione dei radicali liberi, aiutano a prevenire invecchiamento precoce, stress ossidativo e malattie degenerative.

Tra gli integratori antiossidanti si possono scegliere quelli a base di: vitamina A; vitamina C; vitamina E; selenio; zinco; rame; acido caffeico; mirtilli; frutti di bosco; the verde; ginko biloba; rosa canina; olio al germe di grano.

Integratori multivitaminici sono molto importanti a causa delle restrizioni alimentari di tale dieta (l’apporto di frutta e cereali è fortemente ridotto).

Nella dieta MAD il ridotto consumo di cereali e frutta priva in parte dell’apporto di fibra, pertanto l’uso di integratori di fibra è consigliato.

(36)

Le fibre svolgono una funzione importante in quanto migliorano la funzionalità dell’intestino e riducono i rischi di contrarre malattie degenerative, malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tipi di tumore come quello del colon-retto.

Tra gli integratori di fibre si possono scegliere quelli a base di: gomma guar, gomma karaya, psillio, pectina, glucomannano e crusca.

Di seguito un elenco degli svantaggi associati alla terapia dietica MAD:

 Si tratta di una dieta altamente squilibrata (grassi 65%, rapporto chetogenico circa 1)

 Si possono presentare malattie come l’osteoporosi e la gotta per eccessiva calciuria che induce anche alla formazione di calcoli renali;

 Deve essere associate ad un consumo elevato di liquidi per evitare disidratazione corporea

 Si possono presentare problemi come stitichezza per la mancanza di fibre o diarrea (nella fase di induzione)

 Insonnia

 nausea, vomito, ipotensione, aumento del ritmo respiratorio  alitosi.

La dieta MAD è da considerarsi una terapia dietetica e pertanto deve essere gestita da personale esperto.

6.2. Esempio di un protocollo VLKCD per il trattamento dell’obesita’: il

metodo kalibra® di S.D.M.

Una delle terapie VLKCD applicate con successo nel trattamento dell’obesità grave è la dieta Kalibra® proposta da S.D.M. e basata sul protocollo chetogenico ideato nel 1971 dal Prof. Blackburn dell’Università di Harvard. (16)

Si tratta di un protocollo normoproteico, ipocalorico caratterizzato da un apporto di macronutrieni così suddiviso:

 apporto di carboidrati di circa 45-70 g al giorno che permette di abbassare i livelli di insulina ed attivare il processo lipolitico costante ed una modesta e stabile chetogenesi, utile per elimanare il senso di fame e a conferire una sensazione di benessere.

La quota di carboidrati è anche indispensabile per fornire l’energia alle cellule gluco-dipendenti prive di mitocondri (emazie, cellule del surrene).

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L’apporto giornaliero non deve comunque superare 1 g per Kg di peso corporeo.  Apporto di proteine nel range dei protocolli normo-proteici (0,9-1,4 g/Kg peso

ideale). Le proteine sono tutte ad alto valore biologico.

 integrazione indispensable di olio d’oliva (10-15 g) fonte di acidi grassi essenziali. Tale apporto è utile per stimolare una buona funzionalità biliare.

Durante il trattamento è consigliato un consumo di acqua di almeno 2L/die e l’integrazione di vitamine e sali minerali.

Si tratta di una terapia dietetica, tesa al rapido raggiungimento dell’equilibrio ponderale, attraverso tre fasi:

 una prima fase di vero e proprio dimagrimento

 una seconda fase di transizione, che consiste nella graduale reintroduzione di alimenti a maggior contenuto glucidico

 un’ultima fase di mantenimento, finalizzata al raggiungimento dell’equilibrio alimentare.

FASE 1 IL DIMAGRIMENTO Il dimagrimento è la prima fase della dieta.

Avviene grazie all’impiego di alimenti proteici Kalibra® e integratori micronutrizionali vitaminici e minerali. Durante questa prima fase si assiste all’instaurarsi della chetosi controllata, processo metabolico fisiologico che determina l’assenza della fame e il consumo del tessuto adiposo come fonte energetica. Ciò permette l’aderenza al protocollo senza difficoltà e senza l’impiego di farmaci.

FASE 2 TRANSIZIONE

La fase di transizione consiste nella graduale reintroduzione, qualitativa e quantitativa di tutti gli alimenti. In questo modo è possibile mantenere nel tempo i risultati raggiunti, abituandosi gradualmente ad una alimentazione sana, varia e completa.

E’ consigliato che la durata della fase di transizione equivalga a quella di dimagrimento e che vi sia un incremento calorico di 200 Kcal suddiviso in 4 tappe (corrispondenti alla reintroduzione di frutta, latticini e cereali, semi oleosi e legume, incrementi calorico) Si possono reintrodurre anche i carboidrati a basso IG.

FASE 3 MANTENIMENTO

Il mantenimento è la terza e ultima fase del Protocollo Kalibra® in cui, una volta raggiunto il peso desiderato, si ritorna a un equilibrio alimentare ponderato (seguendo le indicazioni

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dei LARN). In questa fase, Kalibra® promuove l’abbinamento di una dieta di tipo mediterraneo con un’attività sportiva. In particolare si raccomanda di:

 Assumere almeno 5 porzioni di frutta e verdure, in quanto ricchi di fibre, vitamine, sali minerali e sostanze ad azione antiossidante.

 Mantenere un corretto livello d’idratazione mediante l’apporto giornaliero di almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno

 Iniziare la giornata con una colazione equilibrate in modo tale che i livelli di grelina siano mantenuti sotto controllo, con conseguente riduzione del senso di fame durante la giornata

Ripartire il fabbisogno calorico della giornata in almeno quattro pasti, preferibilmente nel rispetto delle percentuali: colazione 27%, pranzo 36%, merenda 13% e cena 24%. Si ha un minor rischio di sindrome metabolica attraverso una ripartizione calorica nella giornata distribuita in quattro pasti piuttosto che tre.

 Assumere alimenti a basso indice glicemico  Garantire un adeguato apporto proteico:

Non inferiore a 20% del fabbisogno calorico, allo scopo di preservare la massa magra

Distribuito in maniera equilibrata all’interno di ciascun pasto, per ridurre il suo carico glicemico e conferire un maggior effetto saziante

 Ridurre il contenuto complessivo di grassi; soprattutto quelli saturi e quelli idrogenati  Rispettare gli RDA di sali minerali, vitamine ed oligoelementi

E’ inoltre raccomandato di svolgere attività fisica regolarmente: camminare, andare in bicicletta, nuotare per almeno 40-45 minuti al giorno.

Progressivamente l’attività fisica può essere intensificata durante le fasi di transizione, includendo attività più intense quali corsa, tone-up, aerobica.

L’applicazione di questo protocollo dietetico può portare a lievi disturbi ed effetti collaterali quali:

 Cefalea  Alitosi

 Modifiche transitory del ciclo mestruale

 Ipotensione ortostatica, capogiro, nausea e tachycardia  Debolezza muscolare (52)

Riferimenti

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