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Analisi della correlazione tra i volumi di ricerca di Google e i volumi di scambio di titoli selezionati sul New York Stock Exchange

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e

Mercati Finanziari

Tesi di Laurea

Analisi della correlazione tra i volumi di ricerca di Google e i

volumi di scambio di titoli selezionati sul New York Stock

Exchange

Relatore:

Prof. Riccardo Cambini

Candidato:

Simone Gentini

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1

INDICE

Introduzione 5

CAPITOLO I - Elementi di econometria 7

1.1 Modello di regressione lineare e metodo dei minimi quadrati 7

1.2 Inferenza statistica 11

1.3 I processi stocastici 15

1.3.1 Il concetto di stazionarietà 16

1.3.2 La verifica della stazionarietà 17

CAPITOLO II - Analisi tecnica dei mercati finanziari 21

2.1 I presupposti dell’analisi tecnica 23

2.2 La teoria di Dow e le sue interpretazioni 25

2.3 Concetti fondamentali del trend 31

2.3.1 Supporti e resistenze 33

2.4 L’analisi grafica e le sue configurazioni 35

2.4.1 Configurazioni di inversione 38

2.4.2 Configurazioni di consolidamento 42

2.4.3 Triangoli e rettangoli 44

2.5 I principali indicatori ed oscillatori tecnici 47

2.5.1 Indicatori di trend 48

2.5.2 Indicatori di volume 50

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2

2.5.4 Indicatori di volatilità 59

2.6 Strategie operative 63

CAPITOLO III - Correlazione dei volumi di ricerca su Google e dei volumi di

scambio 65

3.1 Download e trattamento dei dati storici dei titoli e dei rispettivi volumi di ricerca su

Google 65

3.1.1 Volumi di ricerca di Google Trends 66

3.1.2 Volumi di scambio del mercato azionario 68

3.2 Esecuzione test statistici ed econometrici su Gretl 71

3.2.1 Correlogramma delle serie storiche 77

3.2.2 Test di Normalità 80

3.2.3 Test a radice unitaria: Augmented Dickey-Fuller test 82 3.3 Modello dei minimi quadrati ordinari per la verifica della correlazione 87

CAPITOLO IV - Sviluppo di una strategia di trading su Matlab 91

4.1 Scaricare e plottare graficamente le serie storiche su Matlab 91

4.2 Programmazione dell’indicatore WESTVOL 97

4.2.1 Verifica dell’efficienza previsionale dei volumi di ricerca sui volumi di

scambio 99

4.3 Definizione strategia di investimento basata su indicatore WESTVOL e RSI 101

4.3.1 Implementazione e risultati delle performances 103

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3

Appendice 117

Indice delle immagini 123

Indice delle tabelle 127

Bibliografia 129

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INTRODUZIONE

L’avvento dei primi computer veloci e l’ampia disponibilità dei dati finanziari a portata di tastiera hanno permesso alle metodologie di verifica della correlazione di effettuare il proprio ingresso nel mondo finanziario. Tali modelli sono solitamente costruiti sulla base di una variabile o di un gruppo di variabili, le variabili indipendenti, che causano dei cambiamenti in un’altra variabile, la variabile dipendente.

Il seguente lavoro intende investigare sulle proprietà statistiche ed econometriche dei volumi di ricerca di Google e dei volumi di scambio del mercato azionario nel processo di correlazione. Le procedure utilizzate per testare la correlazione, eseguite sul software Gretl, hanno lo scopo di spiegare se vi è una relazione statisticamente significativa tra i volumi di ricerca sul Web e i volumi di scambio.

Per svolgere tale analisi sono stati selezionati otto titoli, appartenenti ad aree di affari differenti, del “New York Stock Exchange”, il mercato azionario più grande al mondo, in modo da avere a disposizione una vasta quantità di dati e quindi di ottenere dei risultati maggiormente significativi.

I risultati della relazione di correlazione tra le serie storiche dei volumi di ricerca e di quelli di scambio sono evidenziati tramite un indicatore tecnico, pubblicato dal dottor Marcin Narloch su “International Federation of Technical Analysts Journal”, denominato Westvol. Questo nuovo indicatore informa gli investitori se movimenti dei volumi di ricerca possono prevedere movimenti simili nei volumi di scambio per titoli selezionati in diversi settori azionari.

Affiancando il Westvol con un altro indicatore tecnico, l’RSI (Relative Strength Index), è stata sviluppata una strategia di investimento, avvalendosi del software Matlab, che ci consentisse di avere una visione dal punto di vista operativo di tale ricerca. Sono state analizzate le performances dei titoli selezionati in modo tale da verificare in maniera tangibile la redditività di una strategia creata sulla base di tale ricerca.

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CAPITOLO I

Elementi di econometria

Prima di intraprendere il percorso che ci porterà alla verifica della correlazione tra i volumi di ricerca di Google e i volumi di scambio di alcune azioni selezionate sul mercato, è necessario fornire alcune nozioni introduttive di econometria che ci torneranno utili nel prosieguo dell’elaborato.

1.1 Modello di regressione lineare e Metodo dei Minimi Quadrati

Molte delle analisi di tipo econometrico iniziano con la seguente premessa: supponendo di avere due variabili x e y, si vuole spiegare come y varia al variare di x1.

Se, ad esempio, alla y associamo i rendimenti di un titolo e alla x associamo la rischiosità del titolo stesso, al crescere di x anche y dovrebbe aumentare. Nel caso in cui si abbia una relazione lineare tra le due variabili è possibile definire formalmente un modello di regressione lineare:

𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝛽𝑥𝑡+ 𝑢𝑡

Dove la variabile y è la variabile dipendente o da spiegare, la variabile x è la variabile indipendente o spiegata e la variabile u è nota come termine di errore o di disturbo e viene interpretata come “l’insieme dei fattori al di fuori di x che influenzano y”.

Se si prende come ipotesi che il disturbo u rimanga invariato (∆𝑢 = 0), il modello precedente implica che x influenza linearmente y. Quindi avremo che per ogni variazione unitaria di x (ovvero ∆𝑥 = 1), la variabile dipendente y avrà una variazione pari a 𝛽 (ossia ∆𝑦 = 𝛽).

La pendenza della retta di regressione è rappresentata dal parametro 𝛽, che, come visto, rappresenta la variazione di y al variare di x. Il parametro 𝛼 rappresenta invece l’intercetta della retta di regressione.

Una volta ipotizzato che nella popolazione esista una tale relazione lineare possiamo introdurre una metodologia che ci permetta di stimare 𝛼 e 𝛽 avendo a

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disposizione un campione di n osservazioni2, il Metodo dei Minimi Quadrati (Ordinary Least Squares).

Indicando i parametri stimati con 𝛼̂ e 𝛽̂ avremo:

𝑦̂𝑖 = 𝛼̂ + 𝛽̂𝑥𝑖

Il residuo di stima è invece definito come: 𝑢̂𝑖 = 𝑦𝑖− 𝑦̂𝑖 e dipendente dunque da 𝛼 e 𝛽.

Lo scopo di tale metodo è quello di determinare i valori di 𝛼̂ e 𝛽̂ che minimizzano la somma dei residui al quadrato. Per cui, la funzione da minimizzare è la seguente:

𝑆(𝛼̂, 𝛽̂) = ∑ 𝑢̂ = ∑(𝑦𝑖2 𝑖 − 𝑦̂𝑖)2 = ∑(𝑦𝑖 − 𝛼̂ − 𝛽̂𝑥𝑖) 2 𝑁 𝑖=1 𝑁 𝑖=1 𝑁 𝑖=1

Si calcolano poi le condizioni del primo ordine, ovvero le derivate prime rispetto ad 𝛼̂ e 𝛽̂ e si pongono uguali a zero:

{ 𝜕𝑆 𝜕𝛼̂ = −2 ∑(𝑦𝑖 − 𝛼̂ − 𝛽̂𝑥𝑖) 𝑁 𝑖=1 = 0 𝜕𝑆 𝜕𝛽̂ = −2 ∑(𝑦𝑖− 𝛼̂ − 𝛽̂𝑥𝑖)𝑥𝑖 = 0 𝑁 𝑖=1

Dopo alcuni calcoli si giunge alla seguente soluzione del sistema

𝛽̂ =𝐶𝑜𝑣(𝑥, 𝑦) 𝑉𝑎𝑟(𝑥) 𝛼̂ = 𝑦̅ − 𝛽̂𝑥̅

Risulta quindi ovvio che la retta di regressione passerà per il punto medio delle osservazioni (𝑥̅, 𝑦̅).

2 In questo caso stiamo utilizzando dati cross-section, ovvero unità campionarie osservate per un solo

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Per quanto riguarda il modello lineare classico è necessario specificare alcune ipotesi riguardanti le distribuzioni per differenti campioni estratti della popolazione:

1. Linearità nei parametri 𝛼 e 𝛽 come nel caso considerato in precedenza 𝑦 = 𝛼 + 𝛽𝑥 + 𝑢;

2. I dati sono ottenuti da un campionamento casuale (𝑥𝑖,𝑦𝑖: 𝑖 = 1, … , 𝑁);

3. Media condizionata nulla 𝐸(𝑢|𝑥) = 0;

4. Variabilità nelle variabili indipendenti ∑( 𝑥𝑖− 𝑥̅)2 > 0. Per verificarsi

richiede semplicemente che le 𝑥 non siano tutte uguali alla stessa costante. 5. Varianza condizionata costante 𝑉𝑎𝑟(𝑢|𝑥) = 𝜎2 (Omoschedasticità).3

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1.2 Inferenza statistica

L’interesse dell’inferenza statistica è quello di trarre conclusioni sui valori della popolazione e su alcuni suoi parametri e non sul solo campione. A questo scopo vengono impiegate delle statistiche, calcolate sulla base di un campione, per effettuare una stima o per prendere delle decisioni sui valori dei corrispondenti parametri dell’intera popolazione.

Conoscere il valore atteso e la varianza degli stimatori OLS è utile per verificare se tali stimatori sono precisi, ma per poter effettuare ipotesi sul valore della popolazione, ovvero per svolgere tecniche inferenziali è necessario conoscere la distribuzione campionaria delle nostre stime 𝛼̂ e 𝛽̂.

Prima di analizzare tali tecniche è necessario aggiungere una sesta ipotesi a quelle viste in precedenza nel modello lineare classico:

6. Gli errori u sono indipendenti dalle variabili 𝑥1, … , 𝑥𝑘 e distribuiti normalmente con media nulla e varianza 𝜎2:𝑢~𝑁𝑜𝑟𝑚𝑎𝑙(0, 𝜎2);

Come si evince da tale ipotesi, essa implica necessariamente che sia l’ipotesi 3 che la 5 debbano essere rispettate.

Talvolta, sulla base di assunzioni teoriche, si può desumere che alcuni coefficienti debbano assumere valori specifici o perlomeno confinati all’interno di un determinato intervallo.

Andiamo quindi a considerare due tipologie differenti di tecniche inferenziali: -la verifica delle ipotesi: andare a verificare se alcune ipotesi effettuate sul valore dei parametri sono supportate dai dati che abbiamo a disposizione;

-gli intervalli di confidenza: cioè stabilire un intervallo di valori nel quale i parametri di interesse siano probabilmente localizzati.

Nella verifica delle ipotesi vanno considerate due tipi diversi di ipotesi: • 𝐻0 : detta ipotesi nulla, è l’ipotesi che si vuole verificare;

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• 𝐻1 : detta ipotesi alternativa, rappresenta la conclusione a cui si giunge quando il campione osservato fornisce sufficiente evidenza del fatto che l’ipotesi nulla non sia accettata.

Dopo che è stata specificata l’ipotesi nulla 𝐻0: 𝛽 = 𝛽0, è possibile specificare tre tipologie di ipotesi alternativa:

• 𝐻1: 𝛽 > 𝛽0, test a una coda; • 𝐻1: 𝛽 < 𝛽0, test a una coda;

• 𝐻1: 𝛽 ≠ 𝛽0, test a due code.

Per andare a verificare se l’ipotesi nulla viene supportata o meno, è necessario ricorrere alla statistica test che ha lo scopo di sintetizzare l’informazione del campione analizzato e ci consente di discriminare tra il rifiuto e non-rifiuto di 𝐻0.

Sotto le ipotesi viste in precedenza avremo che: 𝛽̂ − 𝛽𝑖 𝐻0

𝑠𝑒(𝛽̂𝑖)

~𝑡𝑛−𝑘−1

In questo caso la distribuzione sarà una t-student e non una distribuzione Normale in quanto la costante 𝜎 è stata sostituita con 𝜎̂ in 𝑠𝑒(𝛽̂𝑖).

Una volta definita la statistica test, andiamo a dare una definizione della regione di rifiuto. La regione di rifiuto dipende: dal tipo di ipotesi alternativa che abbiamo specificato, dal fatto che effettuiamo un test a una o due code e dal livello di significatività che andiamo a scegliere che è solitamente 0.01, 0.05 o 0.10. Il livello di significatività è generalmente indicato con 𝛼.

All’interno di tale regione troviamo quindi i valori che risultano meno probabili quando l’ipotesi 𝐻0 è verificata. Allo stesso modo viene costruita una regione di non

rifiuto che ha al suo interno quei valori che risultano molto probabili quando 𝐻0 è vera. 𝐻0 non viene rifiutata nel caso in cui la statistica test 𝑡𝐻0 cada all’interno della regione di non rifiuto, viceversa rifiutiamo 𝐻0 se la statistica test 𝑡𝐻0cade nella regione di non rifiuto.

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Andiamo ad analizzare il caso del test ad una coda in cui andrà individuato un solo valore critico.

Se per esempio prendiamo in considerazione il caso in cui 𝐻0: 𝛽 = 0 e 𝐻1: 𝛽 > 0,

individueremo il valore critico (+𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡) per la 𝑡 di Student che corrisponde al livello di significatività 𝛼 scelto e al numero di gradi di libertà (𝑑𝑓)disponibili.

Non rifiuteremo 𝐻0 se

𝛽̂ − 𝛽0

𝑠𝑒(𝛽̂) ≤ +𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡

4

I gradi di libertà sono calcolati come 𝑛 − 𝑘 − 1, con 𝑛 numero di valori osservati nella popolazione e 𝑘 + 1 numero di parametri da stimare più la costante. Al crescere dell’ampiezza della popolazione osservata e quindi dei gradi di libertà, la distribuzione t-Student si approssima ad una distribuzione di tipo Normale.

Nel caso invece di test a due code dobbiamo individuare attraverso l’utilizzo delle tavole statistiche due valori (+𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡 e −𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡) per la t di Student che corrispondono al livello 𝛼/2 del livello di significatività prescelto.

Non rifiuteremo 𝐻0 se

−𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡 ≤

𝛽̂ − 𝛽0

𝑠𝑒(𝛽̂) ≤ +𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡

Immagine 1: Verifica delle ipotesi. Fonte: http://www.unife.it/statistica-sociale

4 In questo caso 𝛽

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Oltre ad individuare i valori critici della distribuzione si può confrontare il livello di significatività, chiamato 𝑝 − 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒, che corrisponde al valore osservato con il livello di significatività prescelto.

Come nel caso precedente, viene calcolato nuovamente il valore della statistica test osservata nel caso di ipotesi nulla, ovvero 𝑡𝐻0 = 𝛽̂−𝛽0

𝑠𝑒(𝛽̂). Una volta calcolata la statistica

test, bisogna andare a ricercare nelle tavole statistiche5 quale valore rimane a destra (o a sinistra) del valore della statistica. Tale valore va poi confrontato con il livello di significatività prescelto.

Se stiamo effettuando un test ad una coda, rifiuteremo 𝐻0 nel caso in cui 𝑝 −

𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 ≤ 𝛼, se invece stiamo effettuando un test a due code, rifiuteremo 𝐻0 se 𝑝 − 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 ≤𝛼

2. Quindi il 𝑝 − 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 può essere visto come la probabilità di osservare una

statistica t se l’ipotesi nulla fosse vera. Perciò valori molto bassi del 𝑝 − 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑒 possono essere valutati come una forte evidenza contro 𝐻0.

Un'altra tecnica per la verifica delle ipotesi è la costruzione degli intervalli di confidenza che sono generalmente a due code.

Con la creazione di un intervallo di confidenza si forma un intervallo di valore nel quale il vero valore di 𝛽 si troverà una certa percentuale di volte. Se si costruisce un intervallo di confidenza al 95% equivale a dire che consideriamo un livello di significatività del 5%.

Quindi per la costruzione di un intervallo di confidenza è necessario: scegliere un livello di significatività 𝛼 che equivale ad un intervallo di confidenza del (1 − 𝛼) ∗ 100%, ottenere i valori critici della t-Student con T-2 gradi di libertà, calcolare l’intervallo di confidenza come

[𝛽̂ − 𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡∗ 𝑠𝑒(𝛽̂), 𝛽̂ + 𝑡𝑐𝑟𝑖𝑡 ∗ 𝑠𝑒(𝛽̂)]

Infine si va ad effettuare una valutazione dell’ipotesi nulla: se 𝛽0 si trova al di fuori dell’intervallo di confidenza l’ipotesi nulla 𝐻0 viene rifiutata.

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1.3 I processi stocastici

I dati a cui vengono applicate le tecniche inferenziali possono essere di due tipi: cross-section quando le unità campionarie vengono osservate solamente in un dato periodo o serie storiche (time series) quando sono disponibili osservazioni su una variabile nel tempo.6

La differenza principale che si ha tra questi due tipi di dati è il fatto che nelle serie storiche l’ordine dei dati considerati assume grande importanza in quanto solitamente il dato rilevato all’istante t è più simile a quello rilevato all’istante t-1 piuttosto che ad altri rilevati in tempi precedenti, mentre invece per i dati cross-section l’ordine è del tutto irrilevante.

Lo strumento che viene utilizzato per analizzare le serie storiche osservate è il processo stocastico. Formalmente, nel caso unidimensionale, il processo stocastico viene definito come una sequenza di variabili aleatorie Xt definite al variare del

parametro temporale t in un insieme T. Un campione di T osservazioni che si susseguono nel tempo non viene quindi considerata come una realizzazione di T variabili distinte, ma piuttosto come un’unica realizzazione di un processo stocastico caratterizzato dal grado di connessione tra le variabili casuali di cui è composto.

Andiamo a considerare alcune delle proprietà più importanti dei processi stocastici: • è possibile la definizione di una funzione di densità per il processo

stocastico f(… , 𝑥𝑡−1, x𝑡, 𝑥𝑡+1… );

• è possibile definire funzioni di densità marginali per ogni x𝑡 ma anche per coppie di elementi e così via. Poiché le osservazioni di tale campione non sono indipendenti tra loro, non è possibile rappresentare la densità come una semplice produttoria delle densità marginali;

• se le funzioni di densità marginali hanno momenti, è possibile dire che 𝐸(𝑥𝑡) = 𝜇𝑡, 𝑉(𝑥𝑡) = 𝜎𝑡2 , 𝐶𝑜𝑣( 𝑥

𝑡, 𝑥𝑡−𝑘) = 𝛾𝑘,𝑡 e così via;

• è possibile definire allo stesso modo le funzioni di densità condizionali con i relativi momenti.

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Nel caso in cui, però, vogliamo utilizzare tali proprietà come base per effettuare procedure di inferenza si verificano due problemi:

1) Se quella che osservo è una sola realizzazione delle molte possibili, la possibilità logica di effettuare inferenza sul processo non può essere data per scontata; infatti non si può essere a conoscenza di quali caratteristiche della serie osservata sono specifiche di una specifica osservazione, e quali si ripresentano invece osservandone altre;

2) Se anche vi sia la possibilità di utilizzare una sola realizzazione per fare inferenza sulle caratteristiche del processo che stiamo analizzando, è necessario che esso sia stabile nel tempo, ovvero che i suoi connotati probabilistici restino invariati almeno nell’intervallo di osservazione.

1.3.1 Il concetto di stazionarietà

I due problemi sollevati in precedenza per quanto riguarda le procedure inferenziali sui processi stocastici conducono alla proprietà di stazionarietà, che può essere in forma stretta o in forma debole.

Una serie temporale 𝑦𝑡 è stazionaria in forma stretta se la sua distribuzione di probabilità non cambia nel corso del tempo, cioè se la distribuzione congiunta di (𝑦ℎ+1, 𝑦ℎ+2, … 𝑦ℎ+𝑇) non dipende da h; altrimenti si definisce non-stazionaria. Una variabile che esibisce un trend temporale non può rispettare la proprietà della stazionarietà poiché il valore della sua media cambia con il tempo.

La stazionarietà in forma debole richiede invece che le serie storiche rispettino le seguenti proprietà:

1) 𝐸(𝑦𝑡) costante, quindi il valore atteso delle 𝑦𝑡 deve essere costante per ogni 𝑡;

2) 𝑉𝑎𝑟(𝑦𝑡) costante, quindi la varianza delle 𝑦𝑡 deve essere costante per ogni 𝑡;

3) 𝐶𝑜𝑣(𝑦𝑡, 𝑦𝑡+ℎ) costante per tutte le 𝑡 e tutte le ℎ diverse da zero.

Quindi la stazionarietà in covarianza si concentra solo sui primi due momenti del processo stocastico (la media e la varianza). Se questi due momenti sono costanti nel

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tempo e se la autocovarianza dipende solo dalla distanza ℎ tra due termini e non dall’istante temporale di osservazione 𝑡, allora abbiamo stazionarietà in covarianza.

Il più semplice esempio di processo stocastico è denominato White Noise (rumore bianco) che può essere formalizzato nel modo seguente:

• 𝐸(𝜀𝑡) =0; • 𝐸(𝜀𝑡2) =0;

• 𝐶𝑜𝑣(𝜀𝑡, 𝜀𝑡+𝑘) =0 per 𝑘 >0

Dove 𝜀𝑡 indica l’elemento t-esimo della nostra serie.

Un White Noise è quindi un processo composto da un numero infinito di variabili casuali a media zero e varianza costante; inoltre queste variabili sono incorrelate tra loro.

1.3.2 La verifica della stazionarietà

Una procedura informale per la verifica della stazionarietà è quella di verificare i coefficienti di autocorrelazione 𝜌𝑘 per diversi istanti temporali: 𝜌1 ad un periodo, 𝜌2 a

due periodi e così via. Si possono riportare poi tali coefficienti in un grafico detto correlogramma.

Per prima cosa diamo una definizione di modello autoregressivo, ovvero un modello in cui la variabile 𝑦𝑡 è influenzata dai valori assunti dalla stessa variabile

durante i periodi di tempo precedenti e che la influenzano con un certo livello di ritardo (lag). Per esempio:

𝑦𝑡 = 𝜌1𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡 Dove:

• 𝜌1 rappresenta la variazione di 𝑦𝑡 al variare di 𝑦𝑡−1; • 𝑢𝑡 rappresenta il termine di errore o disturbo; • il valore 𝑦𝑡−1 è chiamato primo valore ritardato di 𝑦;

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• il valore ∆𝑦𝑡= 𝑦𝑡− 𝑦𝑡−1 è chiamato differenza prima.

Nelle serie temporali, il valore 𝑦𝑡 è solitamente correlato con il suo valore nel periodo successivo. La correlazione di una serie con i propri ritardi è detta autocorrelazione e può essere stimata nel seguente modo:

𝜌𝑘 = ∑(𝑦𝑡− 𝑦̅ )(𝑦𝑡 𝑡−𝑘− 𝑦̅̅̅̅̅̅)𝑡−𝑘 √∑(𝑦𝑡− 𝑦̅ )𝑡 2∑(𝑦𝑡−𝑘− 𝑦̅̅̅̅̅̅)𝑡−𝑘 2

dove il numeratore rappresenta la autocovarianza campionaria tra 𝑦𝑡 e 𝑦𝑡−𝑘.

Una volta data la definizione di autocorrelazione è possibile tornare all’analisi del correlogramma che, graficamente, rappresenta i coefficienti di autocorrelazione in funzione del ritardo che si va a considerare. Per k=0 ovviamente il coefficiente assume valore 1, successivamente, nel caso di serie non stazionarie, tale valore decresce lentamente verso lo 0, mentre nel caso di serie stazionarie, dopo essere partito dal valore 1 oscilla intorno allo 0.

Test per unit root e Dickey Fuller test

Adesso andiamo a considerare un tipo di procedura formale per quanto riguarda la verifica della stazionarietà. Prendiamo come esempio di modello autoregressivo del primo ordine (con un solo ritardo) il processo Random Walk con drift:

𝑦𝑡= 𝛼 + 𝜌𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡

Con 𝜌 = 1 e 𝑢𝑡 distribuito in modo Identico e Indipendente7 con media 0 e varianza costante.

È semplice andare a dimostrare che questo processo è non stazionario, infatti il valore atteso di 𝑦𝑡 è dato da:

𝐸(𝑦𝑡) = 𝛼 + 𝐸(𝑦𝑡−1) = 2 ∗ 𝛼 + 𝐸(𝑦𝑡−2) = … . = 𝑡 ∗ 𝛼 + 𝐸(𝑦0) = 𝑡 ∗ 𝛼 + 𝑦0

7 Nella teoria della probabilità, una sequenza di variabili casuali è detta indipendente e identicamente

distribuita se le variabili hanno tutte la stessa distribuzione di probabilità e sono tutte statisticamente indipendenti.

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Quindi tale valore atteso non è costante ma ha un trend crescente o decrescente a seconda del valore negativo o positivo di 𝛼.

Possiamo quindi pensare ad una verifica formale della stazionarietà come ad un test che permetta di verificare l’ipotesi 𝜌=1. Ossia 𝐻0: 𝜌=1 contro l’ipotesi alternativa 𝐻1: 𝜌<1. Tale tipologia di test si chiama test per la presenza di una radice unitaria (unit root test).

Nei modelli dinamici come questo non è però possibile utilizzare la statistica test 𝑡𝐻0 = 𝜌̂

𝑠𝑒(𝜌̂) in quanto nell’ipotesi nulla 𝑡𝐻0 non è più distribuito come una 𝑡 di Student.

Per questo Dickey e Fuller hanno suggerito una procedura per ovviare a questo problema: si sottrae 𝑦𝑡−1 da entrambi i membri del modello che stiamo considerando

𝑦𝑡− 𝑦𝑡−1= 𝛼 + 𝜌𝑦𝑡−1− 𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡 e quindi ∆𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝛽𝑦𝑡−1+ 𝑢𝑡

Perciò adesso dobbiamo verificare l’ipotesi nulla 𝐻0: 𝛽=0 contro l’ipotesi

alternativa 𝐻1: 𝛽<0, che è di fatti equivalente a verificare 𝜌=1 nel modello precedente. L’ipotesi nulla è che la serie sia non stazionaria e quella alternativa che la serie sia stazionaria. La statistica test in questo caso sarà 𝑡𝑑𝑓 = 𝛽̂

𝑠𝑒(𝛽̂) ed ha una distribuzione

diversa dalla t di Student.

Prima di effettuare questo test va ispezionata visivamente la serie, ovvero bisogna decidere se effettuarlo senza costante, con costante o con costante e trend. Se consideriamo una serie che oscilla attorno ad un valore senza tendenze a crescere o diminuire si effettuerà una stima con costante, al contrario con costante e trend come ad esempio se consideriamo una serie storica dei prezzi.

In genere tuttavia viene utilizzata una forma modificata del test di Dickey Fuller, ovvero l’Augmented Dickey Fuller. Per essere specificato correttamente è necessario che gli 𝑢 siano più possibili simili al White Noise. Perciò, un valore troppo alto per il coefficiente di autocorrelazione tra gli errori è indicatore che il numero di ritardi inclusi nel modello non è corretto.

La versione modificata del Dickey-Fuller test è la seguente: ∆𝑦𝑡 = 𝛼 + 𝛽1𝑦𝑡−1+ 𝛽2∆𝑦𝑡−1+. . +𝛽3∆𝑦𝑡−2

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CAPITOLO II

Analisi tecnica dei mercati finanziari

Nell’analisi finanziaria dei trend di borsa vengono utilizzati due tipi di analisi: l’analisi fondamentale e l’analisi tecnica.

L’analisi fondamentale ha come obiettivo l’individuazione del valore intrinseco di un titolo, quello che deriva dal reale andamento della società, il cosiddetto “valore economico”. L’analista quindi analizza il bilancio della società che ha emesso un determinato titolo e ricorre ad indici derivanti dal mercato (ad esempio il Price-Earnings Ratio o il Price to Book Ratio).

Essere a conoscenza del valore economico di un titolo riveste grande importanza soprattutto nel medio-lungo periodo perché la quotazione di tale titolo tenderà ad avvicinarsi ad esso. Questo nel breve periodo potrebbe anche non verificarsi a causa delle spinte speculative. Per questo motivo la funzione principale dell’analisi fondamentale è quella di selezione, ovvero di scelta dei titoli da inserire nel proprio portafoglio.

Questo tipo di analisi è rivolta in particolare agli investitori, definiti cassettisti, che preferiscono detenere un titolo per poi rivenderlo ad un prezzo maggiore in un’ottica di lungo periodo. Ovviamente agli speculatori interesserà meno il valore economico di un titolo perché interessati a rivenderlo nel breve-brevissimo periodo, lucrando sulle differenze di prezzo.

L’analisi tecnica è un’analisi di tipo probabilistico che utilizza strumenti previsionali, ovvero ha lo scopo di stabilire la probabilità che i prezzi si muovano in un certo modo. La sua funzione è quindi quella di timing, ovvero di individuare il tempo adatto per comprare o vendere un determinato titolo.

Coloro che si occupano di svolgere l’analisi tecnica si basano principalmente su due strumenti: l’analisi grafica e gli indicatori tecnici.

L’analisi grafica consiste nel rapportare, in un asse cartesiano, il prezzo sull’asse delle ordinate in funzione del tempo sull’asse delle ascisse. Esistono molti tipi di grafico, ma quello usato più frequentemente è proprio quello che mette in relazione il prezzo e il tempo ed è definito “grafico principale”.

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Gli indicatori tecnici sono degli strumenti che mettono a confronto quantitativamente alcuni elementi riguardanti il prezzo e il volume di un titolo. Sono suddivisi in base alla loro tipologia: di volume, di velocità, di profondità e di oscillazione.

Gli indicatori tecnici e l’analisi grafica devono quindi essere utilizzati congiuntamente per elaborare una previsione dell’evento preso in considerazione, nel modo più accurato possibile. Infatti tanti più indicatori diversi daranno un’analisi univoca tanto più probabile sarà tale previsione.

L’analisi tecnica è quindi usata solitamente dagli investitori che intendono speculare nel breve periodo, ma talvolta è usata anche dai cassettisti che comunque intendono acquisire un titolo al prezzo minore possibile.

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2.1 I presupposti dell’analisi tecnica

L’analisi tecnica studia dati desunti dal mercato stesso, come il prezzo e i volumi di scambio, per poi giungere ad una previsione di tipo probabilistico.

Questo tipo di analisi si basa principalmente su tre presupposti logici:

1) Il prezzo sconta tutto: alla base di tale presupposto vi è il fatto che il prezzo risultante dall’incontro tra domanda e offerta rifletta e contenga tutte le informazioni disponibili sul mercato, anche quelle in possesso di un gruppo ristretto di persone. L’analista si muove quindi nella convinzione che nei prezzi borsistici vi siano già incorporati tutti quei fattori di tipo politico, psicologico, monetario ed economico, che ne hanno determinato l’andamento. Non si conoscono perciò le motivazioni che portano un individuo a porsi in posizione di vendita o di acquisto, ma si assume che il prezzo sconti tali motivazioni;

2) Il mercato ha un andamento ciclico: i prezzi non si muovono casualmente, ma seguono delle tendenze, dei trend. Partendo dall’ipotesi primaria, basata sugli studi di Dow, che il trend borsistico sia ciclico, l’investitore dovrà cogliere i segnali di inversione o consolidamento di tale tendenza in modo da acquisire una posizione vantaggiosa sul mercato;

3) La storia si ripete: quando si presentano situazioni analoghe, gli individui tenderanno ad agire in maniera analoga ed analogo sarà l’impatto che si verificherà sul prezzo. In tal senso l’analisi dei dati storici ci possono fornire delle informazioni su ciò che potrebbe avvenire in futuro;

4) Per mezzo dell’analisi grafica delle serie storiche si possono individuare delle configurazioni che solitamente tendono a risolversi in una modalità precisa e che quindi possono aiutare l’analista ad elaborare delle previsioni accurate.

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2.2 La teoria di Dow e le sue interpretazioni

Charles Henry Dow (1851-1902) è considerato il padre dell’analisi tecnica in quanto fu il primo, con i suoi studi, ad effettuare un tentativo significativo per prevedere i livelli futuri dei prezzi azionari per mezzo di un’analisi di tipo grafico e di numeri indici. Fino a quel momento gli analisti credevano che i prezzi si muovessero in modo del tutto casuale.

Dow si accorse, osservando i prezzi, che i titoli delle compagnie più importanti tendevano a salire e scendere insieme, mentre gli altri prezzi si muovevano in controtendenza per un breve periodo per poi rientrare nella tendenza generale dettata dai movimenti dei titoli principali.8

Egli notò inoltre che durante il breve periodo le azioni erano sottoposte ad aumenti di valore frequenti a cui seguivano altrettanti veloci ripiegamenti e constatò che tali variazioni avvenivano anche nel medio periodo anche se in modo più graduale. Allora costruì dei trend sulla base dei prezzi di chiusura dei singoli titoli in cui potè verificare che il movimento dei prezzi non era casuale, ma seguiva dei cicli.

Lo strumento principe per individuare i cicli è la media mobile che, essendo calcolata su un diverso numero di elementi, riesce ad eliminare l’incidenza di fenomeni secondari.

Il lavoro di Dow fu applicato agli indici da lui stessi creati, nonostante la maggior parte delle analisi svolte siano estendibili a qualsiasi indici.

I sei principi della teoria sono:

1. Gli indici scontano tutto. Qualsiasi fattore che possa influenzare la domanda e l’offerta, deve essere riflesso negli indici di Borsa, ad esclusione degli eventi che non si possono prevedere, come ad esempio le calamità naturali. Quindi tutto ciò che può essere anticipato o previsto dal mercato viene implementato nei prezzi;

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2. Il mercato è ciclico e guidato da tre tendenze principali. Dow individua tre movimenti ciclici del mercato contemporanei:

- il primario, il cui ciclo è di lungo termine, ha una durata media di circa 4 anni e viene determinato mediante una media mobile a 200 giorni. Tale ciclo riflette la tendenza di fondo del mercato che è solitamente ben definita, al rialzo o al ribasso;

- il secondario, il cui ciclo ha una durata media di alcuni mesi e che viene calcolato mediante una media mobile a 25 giorni. Tale movimento tende a correggere nel medio periodo il movimento primario;

- il terziario, il cui ciclo ha una durata media di pochi giorni e viene calcolato mediante una media mobile a 5 o 10 giorni. Tale movimento non ha natura una tendenza ben definita.

Secondo Dow gli unici movimenti rilevanti sono solamente il movimento primario e secondario perché il terziario presenta una natura prettamente speculativa;9

3. Il ciclo di mercato ha più fasi. Dow individua due soggetti che operano sul mercato: le mani forti e le mani deboli. Per mani forti si intendono coloro che operano con coscienza avendo maggiori informazioni rispetto agli altri operatori sul mercato e avendo a disposizione un capitale finanziario elevato. Le mani deboli sono invece i piccoli risparmiatori che operano senza o con poche informazioni, con un capitale basso e che si muovono seguendo la massa o seguendo le proprie sensazioni quindi senza effettuare delle analisi approfondite di tipo finanziario. Le cause del movimento ciclico evidenziato dal trend primario sono proprio le operazioni di scambio tra le due categorie di operatori che si trovano sul mercato.

Il ciclo di mercato è formato da due fasi precise: una fase al rialzo e una al ribasso.

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Immagine 2: Ciclo teorico di Dow. Fonte: elaborazione personale

Se siamo in una fase al ribasso gli operatori più esperti confrontano il valore economico del titolo, ovvero il valore che si ottiene svolgendo l’analisi fondamentale, con il valore espresso dal mercato. Solamente se il valore economico è superiore a quello del mercato le mani forti inizieranno a valutare conveniente l’acquisto di tale titolo. In questo caso ci troveremo nella fase di “accumulazione”, cioè la fase in cui gli operatori più esperti acquistano titoli da quelli meno esperti. Essendo in una fase di ribasso, il prezzo sta scendendo e l’offerta è maggiore della domanda in quanto le mani deboli avvertono la riduzione del proprio investimento e quindi cresce la voglia di liberarsene.

Nella fase di accumulazione i volumi di scambio crescono perché più si scende sotto il valore economico, più diventa conveniente l’acquisto. La velocità di discesa diminuisce sempre più fino a quando si arriva al punto in cui la domanda eguaglia l’offerta e ci troviamo nel punto di minimo. La fase di accumulazione crea quindi i presupposti per un’inversione di tendenza poiché la domanda diventa superiore all’offerta e i prezzi ricominciano a crescere (A-B). Quando i prezzi ricominciano a crescere anche la velocità è crescente poiché vi è una grossa spinta di domanda. Nel momento in cui il prezzo supera il valore economico diventa conveniente il disinvestimento ed inizia quindi la fase di “distribuzione” nella quale gli operatori esperti

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vendono in modo tendenzialmente graduale i titoli agli altri operatori (B-C). Se nella fase di decrescita le mani deboli erano spinte a vendere per depressione, in questo caso invece sono spinte a comprare dalla “euforia da rialzo”. Ci si accorge che siamo vicini al punto di massimo quando il trend sale sempre più lentamente, i volumi sono bassi e sempre più rarefatti poiché le mani forti hanno già venduto i loro titoli.

Dopo aver toccato il massimo i prezzi tornano a scendere a velocità crescente poiché si sviluppa il panico tra le mani deboli che cercano di vendere i propri titoli (C-D), ma non trovano nessun acquirente fino a quando il valore espresso dal mercato non torna al di sotto del valore economico;

4. Le medie devono confermarsi. Nessun segnale rialzista o ribassista può essere considerato rilevante se entrambe le medie non forniscono la medesima indicazione che serve come conferma. Se un indice ha raggiunto un nuovo punto di massimo o minimo, è necessario che anche l’altro indice di comparazione raggiunga il massimo o minimo. Tali segnali non devono verificarsi contemporaneamente, ma una loro vicinanza temporale è auspicabile. Quando tali indici si confermano, significa che il trend primario ha ancora forza;

Immagine 3: Medie mobili e teoria della conferma di Dow. Fonte: http://konkurs.plazma-t.ru/

5. Il volume a conferma del trend. Il volume deve espandersi nella direzione del movimento primario. Se ci troviamo in un trend rialzista i volumi dovrebbero aumentare quando i prezzi salgono e diminuire successivamente

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quando i prezzi scendono; al contrario, in un trend ribassista i volumi dovrebbero aumentare quando i prezzi scendono e diminuire quando questi salgono;

Immagine 4: Volume a conferma del trend. Fonte: https://www.dailyfx.com/ 6. Un trend è valido fino a che non si verifica un segnale di inversione di

tendenza. La difficoltà più grossa consiste nel distinguere un normale ritracciamento del trend rispetto ad un vero e proprio segnale di inversione di tendenza. Diventa quindi necessario analizzare i segnali con ulteriori strumenti di supporto.

Questa teoria fu criticata sotto più aspetti, tra cui:

- La ricerca dell’individuazione del trend e di una sua inversione viene effettuata con degli indicatori che danno i segnali di inversione troppo in ritardo: gran parte del trend è già passato mentre si aspetta il segnale; - Con gli strumenti utilizzati da Dow, sia gli indicatori che l’analisi

grafica, si assolve solamente ad una funzione di timing e non ad una funzione di selezione del titolo. Per questo motivo viene utilizzato il

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coefficiente Beta10, derivante dal modello di Markowitz, che indica la rischiosità di un determinato titolo.

10 Il coefficiente Beta è il coefficiente della retta di regressione lineare dove il titolo è la variabile

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2.3 Concetti fondamentali del trend

L’individuazione di un trend è un compito non facile in quanto non si ha una retta che va in una direzione, ma piuttosto si ha una serie di alti e bassi. Nell’analisi tecnica è invece l’avvicendarsi di massimi e minimi a costituire il trend direzionale.

Possiamo distinguere tre diversi tipi di trend: • rialzista o uptrend;

• ribassista o downtrend;

• parallelo all’asse delle ascisse o sideways.

Si ha un trend rialzista se è possibile tracciare una retta passante per i punti di minimo relativo crescente successivi, detta trendline, che avrà funzione di supporto dinamico.

Immagine 5: Trend rialzista. Fonte: https://www.forexkata.com/

Si ha invece un trend ribassista, se è possibile tracciare una retta passante per i punti di massimo relativo decrescente successivi, detta trendline, che svolge la funzione di resistenza dinamica.

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Immagine 6: Trend ribassista. Fonte: https://www.forexkata.com/

La caratteristica principale del trend è la sua continuità quindi, quando avremo identificato una trendline, esso solitamente mantiene la direzione e l’inclinazione di quest’ultima.

Per valutare la significatività di una trendline possiamo considerare l’arco temporale in cui si è protratta e il numero di volte in cui il trend è rimbalzato su di essa cambiando poi la sua direzione. Quando la trendline viene perforata è importante verificare se si tratti di una reale inversione di tendenza o se si tratti di un falso segnale. Per questo motivo vengono introdotti dei filtri di significatività che possono essere di tipo temporale o percentuale, come vedremo in seguito.

Un altro strumento utilizzato dagli analisti è la return line che, se combinato alla trendline, può formare un canale all’interno del quale fluttuano i prezzi. In un uptrend la return line sarà formata dalla congiunzione dei punti di massimo che vanno a formare un canale ascendente; in un downtrend, al contrario la return line sarà formata unendo i punti di minimo, ottenendo così un canale discendente.

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2.3.1 Supporti e resistenze

I prezzi fluttuano formando una serie di massimi e minimi che possono essere utilizzati per definire i concetti di supporto e resistenza. I minimi, che sono i punti toccati dal trend prima di rimbalzare, vengono definiti supporti e indicano il livello del prezzo in cui la domanda eguaglia l’offerta prima di superarla comportando anche una risalita del prezzo. Al contrario, i punti di massimo, sono definiti resistenze e indicano il prezzo in cui la domanda è uguale all’offerta prima di arrivare al momento in cui i venditori sono in maggioranza rispetto a chi vuole acquistare, per cui i prezzi iniziano a scendere.

Gli analisti utilizzano tali indicatori per comprare intorno ai livelli di resistenza e vendere intorno a quelli del supporto. Ovviamente tante più volte un supporto o resistenza viene toccato dal trend, tanto più forte sarà il segnale.

Nell’ambito di tale definizione vi è da effettuare una ulteriore distinzione tra le resistenze e i supporti di tipo statico e quelli di tipo dinamico.

Gli indicatori di tipo statico prendono in considerazione delle linee di prezzo che rimangono costanti nel tempo, perciò le rette che toccano il massimo e il minimo saranno parallele all’asse delle ascisse perché costanti per quanto riguarda l’orizzonte temporale.

Quelli di tipo dinamico invece hanno la capacità di muoversi e di seguire i prezzi supportandoli per cui sono rappresentati graficamente con delle linee oblique.

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Un trend rialzista/ribassista mantiene la sua forza se i successivi minimi/massimi si trovano sempre ad un livello più alto/basso dei precedenti. Se questo non avviene, ovvero se in un mercato rialzista non viene superato il minimo precedente o in un mercato ribassista non viene superato il massimo, allora ciò può essere considerato come un segnale di inversione di tendenza.

Come precedentemente accennato nella definizione della trendline, per valutare la significatività di una perforazione di un supporto o resistenza vengono applicati dei filtri temporali o percentuali.

Il filtro temporale osserva se il trend si mantiene sul nuovo livello nelle 2-3 sedute successive alla perforazione, se ciò non avviene tale filtro non viene rispettato. Il filtro percentuale invece ha lo scopo di quantificare l’entità della perforazione, ovvero il segnale è significativo se il prezzo supera il supporto o la resistenza del 5%.

Un altro indice che può agevolare la valutazione è l’andamento dei volumi: in particolare, se siamo in un trend rialzista che perfora la resistenza con un aumento dei volumi, il segnale è considerato significativo. In caso contrario, ovvero se i volumi non aumentano, la situazione va valutata in modo più approfondito in quanto il trend potrebbe non avere sufficiente forza per assestarsi sopra la resistenza.

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2.4 L’analisi grafica e le sue configurazioni

L’analisi grafica si sviluppa su due assi cartesiani dove sulle ordinate viene indicato il prezzo e sulle ascisse il tempo; la linea derivante dalla combinazione dei due sarà quindi il trend.

Le serie storiche dei prezzi possono essere rappresentate graficamente in diversi modi. Possiamo quindi avere grafici lineari, a barre e a candele.

Il grafico lineare è sicuramente il più facile e intuitivo, in quanto prende in considerazione solamente un dato per intervallo temporale, solitamente il prezzo di chiusura. In questo caso però non avremo idea di come si sono i mossi i prezzi durante questo intervallo, quindi non sapremo quali massimi e minimi ha toccato il titolo.

Immagine 8: Line Chart. Fonte: 10 Types of Price Chart for Trading- https://www.tradingsetupsreview.com

Il grafico a barre mostra graficamente tutti e quattro i prezzi per ogni unità di tempo: apertura, chiusura, massimo e minimo. L'apertura e la chiusura vengono disegnate con due trattini orizzontali posti rispettivamente a sinistra e a destra della barra verticale, la quale a sua volta esprime l'escursione di prezzo.

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Immagine 9: Bar Chart. Fonte: 10 Types of Price Chart for Trading- https://www.tradingsetupsreview.com

Il grafico a candele rappresenta gli stessi dati del grafico a barre, ma offre una presentazione diversa. Vengono forniti minimo, massimo, apertura e chiusura del titolo analizzato, nell’orizzonte temporale prescelto ma, in questo caso, la candela ha un vero e proprio corpo (“real body”) che rappresenta la differenza tra l’apertura e la chiusura. Il corpo viene colorato in verde (o bianco) nel caso di candela rialzista in cui il prezzo di chiusura è superiore a quello di apertura e in rosso (o nero) se si tratta di una candela ribassista dove il prezzo di chiusura è inferiore a quello di apertura. La candela, oltre al real body, è composta da delle ombre che sono segmenti che vanno dal corpo al prezzo massimo (upper shadow) e dal corpo al prezzo minimo (lower shadow).

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Immagine 10: Candlestick Chart. Fonte: 10 Types of Price Chart for Trading- https://www.tradingsetupsreview.com

Oltre a questi merita un accenno anche il Grafico Point and Figure che rappresenta l’andamento della quotazione di un titolo finanziario utilizzando solo il prezzo senza considerare il tempo. Consiste in una serie di colonne composte da due simboli X e O, ogni simbolo corrisponde a una seduta, la X indica una sessione positiva mentre la O una sessione negativa.

Immagine 11: Point & Figure Chart. Fonte: 10 Types of Price Chart for Trading- https://www.tradingsetupsreview.com

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L’analisi grafica permette di individuare determinate configurazioni grafiche. Quando il trend, durante la sua fluttuazione, va a formare un certo modello (pattern), si possono trarre delle considerazioni sul principio per cui, in caso di situazioni analoghe, gli operatori sul mercato tendono a comportarsi in modo analogo e analoghi saranno gli effetti sui prezzi.

Dobbiamo distinguere tra configurazioni di inversione e di consolidamento: le prime forniscono segnali riguardo un possibile cambiamento di direzione del trend (da rialzista a ribassista o viceversa), mentre le seconde confermano come il trend sia ancora abbastanza forte da proseguire nella sua direzione.

2.4.1 Configurazioni di inversione Pendio

Il pendio è una configurazione di inversione che può essere sia ribassista che rialzista. Inizialmente si viene a formare un canalino della stessa direzione del trend, ma con un’inclinazione minore poiché il trend sta perdendo la sua forza. Quando ciò si verifica, affinché si realizzi tutta la configurazione, ci dobbiamo aspettare che il trend esca dal canale, perforando il supporto/resistenza a seconda che ci si trovi in uptrend o downtrend.

Testa e spalle

Anche in questo caso si può avere due diverse configurazioni: testa e spalle da rialzo a ribasso (bearish), e da ribasso a rialzo (bullish). Nel modello bearish abbiamo un massimo finale, la testa, che è preceduto da un rialzo leggermente inferiore e seguito da un altro rialzo sempre inferiore al massimo, le spalle. Quando un massimo non riesce a superare il massimo precedente prende il nome di “top failure swing”. La linea che unisce i minimi delle due spalle è chiamata “neckline” (linea del collo).

La perforazione della neckline ci fornisce il segnale di inversione del trend. L’obiettivo di prezzo è calcolando proiettando dal punto di rottura l’intervallo di prezzo tra la testa e la neckline. Solitamente questo pattern è così significativo da reggere il raddoppio dell’obiettivo: una volta raggiunto il livello di prezzo dato dal primo obiettivo, è possibile aggiungere un ulteriore livello pari al doppio di esso.

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Tale configurazione deve essere raffrontata con l’andamento dei volumi che devono essere crescenti lungo la prima spalla e la testa e decrescenti quando ci troviamo nella seconda spalla.

Nel caso in cui questo modello si configuri nel caso di inversione dal rialzo al ribasso (bullish), prenderà il nome di testa e spalle rovesciato.

Immagine 12: Configurazione testa e spalle. Fonte: https://www.valoreazioni.com/

Doppio e triplo minimo

Configurazione di inversione dal ribasso al rialzo (bullish). Nel doppio minimo il trend scende raggiungendo un certo livello di prezzo, risale, e poi riscende fino allo stesso livello di prezzo del minimo precedente, per poi risalire. Si ha quindi la possibilità di tracciare una linea parallela alle ascisse che passi per i due punti di minimo e un’altra linea parallela passante dal punto di massimo che ha la funzione di resistenza.

Nel caso in cui il trend risalga fino a perforare la resistenza si avrà il completamento della configurazione di inversione. L’obiettivo in questo caso è dato dalla distanza verticale tra supporto e resistenza.

Nel caso di triplo minimo il trend, dopo aver raggiunto il secondo minimo, rimbalza nuovamente sulla resistenza per poi scendere fino ad arrivare allo stesso livello dei due minimi precedenti.

I volumi, in questo tipo di configurazione, sono decrescenti nei punti di minimo e crescenti nel punto di rottura.

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Doppio e triplo massimo

Configurazione di inversione bearish, dal rialzo al ribasso. Nel doppio massimo viene tracciata una linea di resistenza formata dai due massimi e una di supporto parallela all’asse delle ascisse che tocca il punto di minimo. Dopo il secondo massimo il trend scende fino a perforare il supporto, in questo caso la configurazione si conclude con un’indicazione di inversione di tendenza.

Nel caso del triplo massimo la configurazione è analoga, cambia il fatto che, dopo il secondo massimo, il trend scende nuovamente all’altezza del minimo precedente per poi salire nuovamente fino alla resistenza e per riscendere perforando il supporto.

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Formazioni spike

Configurazione di inversione che può essere sia bullish che bearish ed è caratterizzata dal fatto che viene rappresentata tramite il bar chart. Oltre a ciò è molto raro che si verifichi tale pattern e quindi molto significativo.

Come spiegato precedentemente, per costruire la barra di una seduta nel bar chart dobbiamo avere a disposizione: apertura, chiusura, prezzo massimo e prezzo minimo.

Tale configurazione si presenta quando gli operatori più esperti, le cosiddette mani forti, abbiano deciso di far invertire il mercato, nonostante solitamente tendano a muoversi in modo più graduale. Le formazioni “spike” si riconoscono per il fatto che la barra successiva non tocca il range dei prezzi della barra precedente, quindi si verifica un gap, un buco che indica la non continuità di prezzi fra una seduta e l’altra. Questa formazione è molto difficile da prevedere in quanto avviene in un tempo ridotto, però una volta che si riconosce tale pattern, ci possiamo aspettare di risalire tanto quanto si è scesi e viceversa.

Se siamo in una fase di ribasso deve accadere che il prezzo minimo della barra precedente sia superiore al massimo della successiva. Al contrario, se siamo in una fase di rialzo il prezzo massimo della barra precedente deve essere inferiore al minimo della successiva.

Nel caso in cui si verifichi un gap e, subito dopo, si verifichi un altro gap in senso opposto, si configura un pattern ancora più raro e significativo che è la formazione “a isola”.

Il target di prezzo atteso nel caso si presenti una di queste configurazioni è il livello di prezzo coincidente a quello in cui era partito il trend ribassista o rialzista.

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Immagine 14: Formazione a isola. Fonte: http://www.traderpedia.it/

2.4.2 Configurazioni di consolidamento Flag

Per flag si intende la situazione in cui il trend forma un canalino di direzione opposta rispetto al trend di fondo, per poi uscirne perforando tale canale nella direzione primaria.

Per verificare che il trend abbia ancora forza si deve ricercare il conforto dei volumi che devono essere crescenti; in questo caso la perforazione è significativa.

Questa configurazione si presenta nel caso vi siano dei ritracciamenti dovuti al fatto che alcuni soggetti vendono i loro titoli per monetizzare in un momento in cui il trend cala, ma non è ancora giunto il momento dell’inversione in quanto il trend è ancora forte.

Pennant

Configurazione analoga alla flag che si differenzia per il fatto che le linee che delimitano la figura sono convergenti.

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Immagine 15: Flags e Pennants. Fonte https://www.chartpatterns.com/

Cuneo

Il cuneo è una figura di consolidamento formata da due linee di tendenza convergenti, ovvero dirette verso uno stesso punto. Il cuneo può svilupparsi verso l’alto (cuneo ascendente) nel caso di mercato ribassista o verso il basso (cuneo ribassista) nel caso di mercato rialzista.

In concomitanza dei movimenti interni al cuneo vi è un aumento dei volumi delle transazioni. I volumi rappresentano anche il livello di efficacia del segnale. Maggiori saranno i volumi, più efficace e significativo sarà il segnale.

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2.4.3 Triangoli e rettangoli Triangolo

I triangoli sono delle configurazioni che, a seconda dei casi, possono essere di consolidamento o di inversione. Esistono due tipologie: simmetrico e rettangolo.

Il triangolo simmetrico si forma qualora sia possibile tracciare due linee, di supporto e di resistenza, tali per cui si possano unire due punti di massimo successivi decrescenti e due di minimo successivi crescenti. Al contrario di ciò che accade nei canali, queste linee non hanno la stessa direzione quindi finiscono per incontrarsi in un punto che è il vertice del triangolo.

Abbiamo quindi che il triangolo smorza le oscillazioni del trend il quale, ovviamente, ad un certo punto dovrà uscire; il punto in cui esce prende il nome di “breakout point”. Quando il trend esce dal triangolo perforando la resistenza, si ha un segnale di consolidamento se arriviamo da un trend rialzista e di inversione se arriviamo da un trend ribassista; se il trend esce dal triangolo perforando il supporto, si ha un segnale di consolidamento se arriviamo da un downtrend e di inversione se arriviamo da un uptrend.

L’obiettivo in questo pattern è rappresentato dall’altezza della prima parte del triangolo.

Il triangolo rettangolo si differenzia da quello simmetrico perché uno dei due lati è parallelo all’asse delle ascisse quindi i punti di massimo che formano la resistenza o quelli di minimo che formano il supporto sono alla stessa altezza.

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Rettangolo

Fotografa la lotta incessante fra un supporto e una resistenza, di compratori e venditori.11 I rettangoli possono svilupparsi per lunghi periodi, che possono anche superare l’anno.

Se il trend principale è rialzista e viene perforata la resistenza si ha un segnale di consolidamento, mentre se viene perforato il supporto abbiamo un segnale di inversione. Nel caso opposto, in cui il trend principale è rialzista, se viene perforato il supporto il segnale è di consolidamento e se viene perforata la resistenza il segnale è di inversione del trend.

L’obiettivo di prezzo è dato dall’altezza del rettangolo.

Immagine 18: Configurazione a rettangolo. Fonte: http://www.pianetagratis.it

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2.5 I principali indicatori ed oscillatori tecnici

Gli indicatori12 tecnici sono strumenti statistici che utilizzano ed elaborano soprattutto dati sull’andamento dei prezzi e dei volumi scambiati di un titolo azionario allo scopo di prevederne l’andamento futuro delle quotazioni dello stesso.

Gli operatori esperti scelgono gli indicatori da utilizzare in base alle varie situazioni che si vengono a creare e li combinano tra loro per effettuare un’analisi più approfondita in quanto, se più indicatori danno lo stesso segnale, è più probabile che la previsione sia giusta.

Si possono distinguere due tipi di indicatori:

-indicatori leading che si basano sull’analisi delle serie storiche dei prezzi per prevedere l’andamento del trend, anche se come sappiamo il mercato non si muove sempre allo stesso modo quindi l’andamento potrebbe essere diverso;

-indicatori lagging che forniscono un segnale dopo la formazione del trend quindi effettuano un’analisi del mercato in modo da avere una conferma di un trend o in modo da comprendere se è avvenuta davvero un’inversione di tendenza e non un falso movimento.

Oltre a tale distinzione gli indicatori possono essere ricondotti in 4 categorie: • di trend;

• di volume; • oscillatori; • di volatilità.

12 L’indicatore è rappresentato da un numero algebrico con segno positivo o negativo la cui funzione è di

segnalare l’opportunità o meno dell’investimento, cioè l’esistenza nel mercato di garanzie sufficienti per l’acquisto di titoli azionari. Fonte: A. PIROVANO, “Indicatori di borsa – derivati dall’analisi fondamentale e tecnica”

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2.5.1 Indicatori di trend

Gli indicatori di trend hanno lo scopo di analizzare la direzione del mercato e di visualizzare le tendenze nella fluttuazione dei prezzi che possono seguire un movimento rialzista, ribassista o laterale.

I principali strumenti per una analisi di questo genere sono le medie mobili che determinano la direzione corrente dei movimenti di prezzo eliminando le frequenti oscillazioni secondarie.

Secondo molti analisti le medie mobili sono un ottimo operatore negli studi sui dati di Borsa, un mercato dinamico al quale si addice senz’altro un operatore dotato di mobilità13. Il numero, n, di giorni utilizzati nella media mobile è il fattore che determina la sensibilità del trend dei prezzi: più n è grande e più si delinea il movimento primario, invece più n è piccolo e più si delinea il movimento terziario.

Gli operatori scelgono l’ampiezza delle medie mobili in base alla loro esperienza e ad un certo grado di intuizione, ma molti accettano come principio generale che: la media mobile a 200 giorni sia la più adatta per le analisi sui trend primari, la media a 25-50 giorni sia adatta per le analisi sui trend secondari e la media mobile a 5-10 giorni sia adatta per le analisi sui trend terziari.

Andiamo ad analizzare tre tipi diversi di media mobile:

-la media mobile semplice (Simple Moving Average) è la classica media aritmetica che si calcola sommando i dati di un determinato periodo e dividendo la somma per il numero di valori presi in considerazione:

𝑆𝑀𝐴

(𝑡,𝑛)

=

𝑃

𝑡−𝑖 𝑛−1 𝑖=0

𝑛

dove P è il prezzo di chiusura, n è il periodo considerato e t l’istante di tempo.

La media semplice è, però, oggetto di critica in quanto viene assegnato lo stesso peso a tutti i dati che vengono utilizzati per il calcolo della media;

-la media mobile ponderata (Weighted Moving Average) è stata creata proprio per ovviare a tale problema della media mobile semplice. In questa tipologia di media viene

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dato un peso maggiore ai dati più recenti rispetto a quelli meno recenti e può essere scritta formalmente come:

𝑊𝑀𝐴

(𝑡,𝑛)

=

𝑤

𝑖

𝑃

𝑡−𝑖 𝑛−1

𝑖=0

𝑛−1𝑖=0

𝑤

𝑖 dove w è il coefficiente di ponderazione;

-la media mobile esponenziale (Exponential Moving Average) che viene calcolata mediante un metodo più complesso:

1) si calcola la Simple Moving Average a n elementi;

2) si calcola un coefficiente 𝛼= 2

𝑛+1

3) 𝐸𝑀𝐴𝑡 = (𝑃𝑡− 𝐸𝑀𝐴(𝑡−1)) ∗ 𝛼 + 𝐸𝑀𝐴𝑡−1

Le medie mobili possono essere attraversate dal prezzo o da un’altra media mobile. Quando il prezzo attraversa la media mobile si ha un segnale di inversione molto forte che indica divergenza con la tendenza precedente.

Per analizzare questi tipi di segnali gli analisti preferiscono utilizzare medie mobili di lungo periodo in quanto nel breve periodo le medie mobili vengono attraversate troppo frequentemente dalla linea dei prezzi indebolendo così la qualità del segnale. Se la media mobile a breve attraversa quella a lungo periodo dall’alto verso il basso si ha un segnale ribassista, viceversa se la media mobile a breve perfora quella a lungo dal basso verso l’alto si ha un segnale di acquisto.

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Immagine 19: Media mobile semplice ed esponenziale. Fonte http://espertoforex.com/media-mobile

2.5.2 Indicatori di volume

Per volume si intende il controvalore della quantità di titoli negoziata in un determinato intervallo temporale14.

Lo studio dei volumi va sempre associato allo studio del trend del prezzo infatti gli operatori esperti con l’ausilio dei volumi riescono ad individuare in che fase del trend ci troviamo.

Se andiamo a considerare il ciclo di Dow esaminato in precedenza abbiamo che nella prima parte della fase di crescita il trend è crescente sia per quanto riguarda i volumi che per quanto riguarda i prezzi, quindi il trend è forte. Passato il punto di massimo i prezzi precipitano (prima fase di ribasso) poiché vi è un grosso flusso di offerta, ma non di domanda; si ha quindi un elevato volume di offerta, ma non di scambio.

Tra gli indicatori che si costruiscono utilizzando i volumi troviamo l’On Balance Volume e il Volume Accumulation.

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On Balance Volume

L’On Balance Volume è un indicatore che consiste nella somma algebrica dei volumi di una serie di sedute in base al prezzo di chiusura delle sedute stesse. Se il prezzo di chiusura odierno è superiore al prezzo di chiusura della seduta precedente, i volumi giornalieri si vanno a sommare a quelli della seduta precedente. Se invece il prezzo di chiusura odierno è inferiore, i volumi giornalieri si detraggono. Nel caso in cui i prezzi siano uguali non si somma né si sottrae.

Una volta calcolati i valori dell’OBV, viene disegnato il trend per poi analizzarlo congiuntamente al trend dei prezzi.

Immagine 20: Confronto tra prezzi e On Balance Volume. Fonte https://www.investopedia.com/ A questo indicatore vengono mosse principalmente due critiche:

1) si considera solo il prezzo di chiusura: non vengono quindi minimamente presi in considerazione i movimenti che i prezzi hanno effettuato durante il giorno, né come il prezzo di chiusura si colloca rispetto al suo massimo e al suo minimo;

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2) si va a sommare o sottrarre l’intero volume giornaliero anche se la variazione tra i prezzi di chiusura delle sedute è stata minima.

Per ovviare a questo secondo difetto è stato introdotto un filtro di significatività rappresentato da una percentuale di prezzo che, se non superata, rende la variazione nulla quindi non si somma né si sottrae. Per porre rimedio al primo difetto è stato invece introdotto un secondo indicatore, l’Accumulation Volume.

Accumulation Volume

Il principio di fondo dell’Accumulation Volume è lo stesso dell’On Balance Volume ma, in questo caso, vengono considerati oltre al prezzo di chiusura, anche il prezzo massimo e il prezzo minimo raggiunti durante la seduta.

L’utilizzo di questo indicatore prevede il calcolo del prezzo medio (midrange), come:

𝑀𝑖𝑑𝑟𝑎𝑛𝑔𝑒 =𝑃𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑖𝑚𝑜 + 𝑃𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜 2

Qualora il prezzo di chiusura si collochi tra il midrange e il prezzo massimo andremmo a sommare una quota parte del volume giornaliero pari alla percentuale di distanza del prezzo di chiusura dal midrange. Nel caso in cui il prezzo di chiusura si collochi tra midrange e prezzo minimo si sottrarrà la quota di volume in proporzione alla distanza tra la chiusura e il midrange. Se midrange e prezzo di chiusura sono gli stessi allora non si effettua alcuna operazione.

Nonostante l’Accumulation Volume sia più sofisticato dell’On Balance Volume, questo viene utilizzato meno poiché per farne uso bisogna essere in possesso di più dati.

2.5.3 Oscillatori

Questi indicatori ci permettono di individuare punti di eccesso di rialzo o di ribasso, di indebolimento del trend dominante e, quindi, di possibile cambiamento di direzione dei prezzi. Si chiamano oscillatori perché il loro valore oscilla, appunto tra un minimo e un massimo.

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