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L'internazionalizzazione per lo sviluppo aziendale. Un'analisi del settore motociclistico.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e

Controllo

Tesi di Laurea

L'internazionalizzazione per lo sviluppo aziendale.

Un'analisi del settore motociclistico.

CANDIDATA

RELATORE

Diletta Gozzoli

Prof. Vincenzo Zarone

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2

“Che le stelle ti guidino sempre e la strada ti porti lontano…”

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3

Indice

Introduzione

Capitolo 1- I concetti di globalizzazione e internazionalizzazione

1.1 La globalizzazione dei mercati

1.1.1 Definizione e origini della globalizzazione 1.1.2 Cause ed effetti della globalizzazione

1.2 Cenni introduttivi e prospettive teoriche dell’internazionalizzazione 1.2.1 Definizione di internazionalizzazione

1.2.2 Le origini del concetto di internazionalizzazione: le teorie pre-Hymer

1.2.3 La teoria delle imperfezioni di Hymer

1.2.4 La teoria del ciclo di vita del prodotto di Vernon 1.2.5 Il paradigma eclettico di Dunning

1.2.6 Il modello di Kogut 1.2.7 Il modello di Porter

1.3 Le cause dell’internazionalizzazione

1.4 I fattori di successo, i vantaggi e i rischi dell’internazionalizzazione

1.5 Internazionalizzazione come processo evolutivo: fasi tipiche e indicatori di intensità

Capitolo 2- Le strategie di internazionalizzazione

2.1 Le modalità di entrata nel mercati esteri 2.1.1 Le esportazioni indirette

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4

2.1.2 Le esportazioni dirette 2.1.3 Le alleanze strategiche 2.1.4 Gli investimenti diretti esteri

2.1.5 I criteri di selezione della modalità di ingresso ottimale 2.2 I problemi dell’internazionalizzazione

2.2.1- Il dilemma tra standardizzazione e adattamento

2.2.2- L’autonomia delle sussidiarie e le modalità di distribuzione delle conoscenze

Capitolo 3- L’internazionalizzazione nel settore delle due ruote: l’analisi di quattro imprese nel mondo

3.1- Introduzione al settore

3.1.1- L’analisi del settore attraverso il modello PEST e il modello delle 5 forze di Porter

3.1.2- Il mercato mondiale delle due ruote: alcuni dati del 2017 3.2-Un’analisi delle principali case motociclistiche del mondo

3.2.1- Yamaha Motor Corporation 3.2.2- La Suzuki Motor Corporation

3.2.3- La Harley Davidson Motor Company 3.2.4- La BMW

(5)

5

Capitolo IV- Il mercato delle due ruote in Italia: Piaggio e Ducati a confronto

4.4- Introduzione: l’analisi delle vendite in Italia 4.2- Il Gruppo Piaggio & C.

4.2.1- Storia del Gruppo: dalle origini al grande successo

4.2.2- Le principali tappe del processo di internazionalizzazione del Gruppo

4.2.3- La distribuzione delle vendite Piaggio nel mondo 4.3- La Ducati Motor Spa

4.3.1- La origini della Ducati e l’acquisto da parte del Gruppo Volkswagen

4.3.2- La strategia di internazionalizzazione e lo sviluppo attuale di Ducati Motor

4.4- Piaggio e Ducati: il confronto

Conclusioni

Riferimenti bibliografici Sitografia

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6 Introduzione

Il seguente lavoro si propone l’obiettivo di esaminare un fenomeno ampiamente discusso negli ultimi tempi, quello dell’internazionalizzazione delle imprese, con un particolare riguardo al settore motociclistico.

Il punto di partenza, evidenziato nel primo capitolo, è stato il concetto di globalizzazione; non esiste una chiara definizione di globalizzazione e ogni studioso nel corso del tempo ha espresso un’idea personale, evidenziando gli aspetti principali, le cause e gli effetti.

Una volta analizzate le caratteristiche principali di questo fenomeno, si passa a parlare dell’internazionalizzazione e vengono prese in considerazione le diverse prospettive teoriche che nel corso degli anni si sono sviluppate su tale concetto. Nel secondo capitolo vengono evidenziate le varie modalità di internazionalizzazione, descrivendo gli aspetti principali delle esportazioni ,delle alleanze strategiche e degli investimenti diretti esteri; inoltre vengono sottolineate le principali problematiche che un’impresa internazionalizzata deve affrontare.

Nel terzo capitolo si passa all’analisi del settore delle due ruote; si tratta di uno dei più importanti settori dell’economia a livello mondiale ed è stato uno dei primi a sperimentare le più svariate strategie di crescita e di internazionalizzazione. L’obiettivo che ci si è dati è stato quello di individuare e descrivere le possibili strategie di internazionalizzazione delle imprese motociclistiche, analizzando prima il settore in generale, poi quattro tra le più grandi aziende di tale settore nel mondo: Yamaha, Suzuki, Harley-Davidson e BMW.

Infine, nel quarto capitolo, si passa a parlare dello sviluppo del settore in Italia, analizzando poi nello specifico le due più grandi aziende del nostro territorio: la Piaggio e la Ducati; in particolare, vengono descritte le due differenti strategie di internazionalizzazione adottate, che hanno portato queste due imprese ad essere dei player mondiali in tale settore.

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7 Capitolo I: I concetti di globalizzazione e internazionalizzazione 1.1- La globalizzazione dei mercati

1.1.1- Definizione e origini delle globalizzazione

Il termine “globalizzazione”, adoperato a partire dagli anni ’90, indica un insieme ampio di fenomeni, connessi alla crescita dell’integrazione economica, sociale, ideologica e culturale tra le diverse aree del mondo1; ciò riguarda il progressivo allargamento della sfera delle relazioni sociali, sino ad un punto che potenzialmente arriva a coincidere con l’intero pianeta.

Questi fenomeni, di elevata intensità e rapidità, tendono a far superare le barriere materiali e immateriali alla circolazione delle persone, delle cose, delle informazioni, delle conoscenze, delle idee e uniformano le condizioni economiche e gli stili di vita. Interrelazione globale significa anche interdipendenza globale, per cui sostanziali modifiche che avvengono in una parte del pianeta avranno, in tempi relativamente brevi, ripercussioni anche in un altro angolo del pianeta stesso.

Tale espressione è stata usata a livelli e con sfumature molto differenti2. Una prima accezione riguarda il livello di settore di attività economica: il settore è globale se un mutamento di rilievo che si verifica in un qualsiasi paese ha immediate ripercussioni in tutti gli altri. Per quanto riguarda il punto di vista delle imprese, un cambiamento del quadro competitivo in uno degli ambiti geografici in cui viene esercitata l’attività, influenza in modo significativo il posizionamento e il vantaggio competitivo in tutti gli altri paesi, e proprio per questo l’impresa deve concepire la sua configurazione geografica come se si trattasse di un portafoglio i cui elementi sono fortemente interconnessi e integrati3. Un terzo livello di definizione, infine, riguarda i consumatori: in questo caso la globalizzazione coincide con l’accesso alle informazioni su beni e servizi provenienti da tutto il mondo. Tutti questi livelli, ne richiamano uno più generale, ovvero la globalizzazione dell’economia e della società contemporanea,

1

Definizione riportata da Enciclopedia Treccani

2

C. Caselli, L’avventura della internazionalizzazione-Logiche e strumenti per le imprese, Giappichelli, 1994

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8

che sollecita forma di interazione fra imprese, fra imprese e consumatori, fra essi e le diverse soggettività economiche e politico-istituzionali4.

E’ opinione diffusa che l’inventore del termine sia l’economista Theodore Levitt, che per primo parlò di “globalizzazione dei mercati” nel 1983, ma si trattava di una globalizzazione ancora allo stato embrionale; nella sua analisi Levitt distingueva le imprese multinazionali, che operavano in un certo numero di stati adattando il prodotto alle realtà locali, e le nuove rivoluzionarie imprese globali, che con costi ridotti vendevano i prodotti standardizzati in ogni parte del mondo; inoltre affermava, con molta decisione, che la tecnologia spinge il mondo verso modelli sempre più uniformi e convergenti, con i consumatori che hanno preferenze, a livello nazionale e regionale, sempre più simili. Levitt sosteneva che il grado di omogeneità dei bisogni a livello mondiale è irreversibile e non può che condurre alla standardizzazione del prodotto, pur non negando l’esistenza di differenze in materia di preferenze (anche se modificabili); nella sua visione è l’impresa a determinare il bisogno del consumatore ed emerge quindi un ruolo cruciale dell’impresa globale nella riduzione delle differenze a livello mondiale.

Oggi non esiste un’unica definizione di globalizzazione e vari autori, nel corso del tempo, ne hanno date diverse. Secondo l’economista Jadish Bhgwati “consiste nell’integrazione di economie nazionali nell’economia internazionale, attraverso gli scambi commerciali, gli investimenti diretti esteri, i flussi di capitale a breve termine, i flussi internazionali di lavoratori e di persone in genere, e i flussi di tecnologia, ma ha molte dimensioni di cui non si tiene abbastanza conto5”; sostiene inoltre che la globalizzazione possa aiutare i paesi poveri ad alzare i loro standard di vita.

Per interpretare in modo non riduttivo il termine globalizzazione occorre analizzare alcune distinzioni concettuali proposte dal sociologo U. Beck nel

4

S. Vacca-A. Zanfei, -A. Zanfei, L’impresa globale e i processi di internazionalizzazione: un approccio teorico, 1984

5

Jagdish Bhagwati, Professor of Economics Columbia University, In Defense of Globalization, Oxford University Press, 2004

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9

19976:

- “globalismo” è l’ideologia del dominio del mercato mondiale e indica il punto di vista secondo cui il mercato mondiale rimuove o sostituisce l’azione politica; -“globalità” si riferisce alla società mondiale, ovvero all’insieme dei rapporti sociali che non sono integrati nella politica dello Stato nazionale; gli avvenimenti più importanti che colpiscono il territorio non restano limitati localmente, ma riguardano il mondo intero e tutto questo grazie alla rapidità con cui si trasmettono le informazioni;

-“globalizzazione” riguarda invece il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e la loro sovranità vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali.

David Held e Antony McGrew, partendo dal presupposto che non esiste una definizione di globalizzazione accettata da tutti, identificano quattro principali aspetti7:

-un’azione a distanza, secondo cui gli eventi posti in essere da individui in una determinata parte del mondo hanno effetto anche su soggetti lontani;

-una compressione spazio-temporale, secondo cui, grazie alla comunicazione tecnologica, è possibile superare i limiti della distanza e del tempo nelle iterazioni sociali;

-un’accelerazione dell’interdipendenza, ovvero un’intensificazione dei livelli di interconnessione tra economie e società nazionali;

-una contrazione del mondo, con l’erosione e la scomparsa dei confini tra le società e gli stati nazionali.

Questo fenomeno di progressiva interdipendenza planetaria ha raggiunto un livello mai visto prima, ma una certa tendenza all’interconnessione si può riscontrare anche in passato. Robertson ha individuato, nel “modello minimale di globalizzazione”, cinque fasi della graduale affermazione della società globale8

: -fase embrionale: in Europa dall’inizio del XV secolo a metà del XVIII secolo;

6

U. Beck, Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetari, Carocci, 2009

7

D. Held-A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo, Il Mulino, 2010

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crescono le comunità nazionali e si riduce l’importanza del sistema transnazionale medievale;

-fase d’inizio: dalla metà del XVIII secolo al 1870 circa; nasce l’idea dello stato omogeneo e unitario e aumentano i rapporti internazionali;

-fase di decollo: dal 1870 a metà degli anni Venti; le tendenze globalizzanti si fanno più forti e si basano su quattro punti di riferimento: le società nazionali, gli individui, la singola “società internazionale” e la concezione sempre più omogenea del genere umano;

-fase della lotta per l’egemonia: dalla metà degli anni Venti alla fine degli anni Sessanta; nascono le controversie tra la tendenza dominante alla globalizzazione e la resistenza degli stati nazionali;

-fase dell’incertezza: dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Novanta; si affermano nuovi mezzi di comunicazione e la società diventa sempre più policulturale.

Questo modello di Robertson si ferma ai primi anni Novanta, ma negli ultimi anni l’incertezza sembra essere finita, la globalizzazione sembra essersi affermata definitivamente e dall’inizio del nuovo millennio sono iniziate le domande sul futuro stesso della globalizzazione9.

1.1.2- Cause ed effetti della globalizzazione

A causa della complessità del fenomeno, capire quali sono le cause e gli effetti della globalizzazione non è affatto semplice.

Tra le cause, innanzitutto, un primo fattore è stato lo sviluppo economico di molti Paesi, che hanno continuato a espandersi, soprattutto in aree meno sviluppate, attivando un processo di crescita economica delle stesse. Vi è poi l’integrazione economica e politica tra le diverse nazioni, che attraverso l’abolizione delle barriere doganali e l’affermarsi di aree di libero scambio, ha aperto la strada all’unificazione del mercato mondiale.

Un altro dei principali fattori alla base della globalizzazione è la rivoluzione dei trasporti e della comunicazione, che oltre a permettere agli individui di essere

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sempre connessi con il resto del mondo, consentono anche alle imprese di riorganizzare su scala mondiale le attività della catena del valore. Infine, un ultimo aspetto è sicuramente la convergenza dei modelli culturali e dei comportamenti degli individui che, essendo sottoposti agli stessi stimoli e proposte, hanno comportamenti sempre più simili e standardizzati.

Per quanto riguarda gli effetti, un primo aspetto da considerare sono le condizioni economiche e il livello di benessere, i quali hanno avuto un miglioramento, anche se con differenze tra i diversi paesi; uno dei problemi è il fatto che si possa determinare un blocco del processo di crescita dei paesi meno sviluppati, in quanto la mobilità dei beni e dei fattori comporta un maggiore rendimento nella produttività per i paesi più ricchi.

Inoltre, bisogna considerare la struttura produttiva; è stato infatti osservato un processo di deindustrializzazione nei paesi avanzati, in quanto il settore dei servizi sta assumendo sempre un maggior peso rispetto a quello dell’industria. Questo cambiamento di per se non può essere attribuito totalmente al fenomeno della globalizzazione, ma è una componente importante dello stesso.

Un altro aspetto è la dispersione salariale, che si è registrata in molti dei paesi avanzati, con una conseguente disuguaglianza nella distribuzione personale del reddito, in particolare tra lavoratori qualificati e non.

Non meno importante è la delocalizzazione delle aziende, in quanto molte lavorazioni sono state spostate dai paesi più sviluppati in quelli dove il costo del lavoro è minore, favorendo così la crescita di nuove potenze industriali; in questi paesi emergenti sono migliorate le condizioni di vita di una parte considerevole della popolazione e si sono creati nuovi grandi mercati, mentre nelle vecchie potenze industriali la produzione si è spostata verso le attività tecnologicamente più avanzate e l’occupazione, come si è detto prima, è cresciuta solo nel settore dei servizi.

Infine, un’ulteriore conseguenza della globalizzazione è l’influenza reciproca tra le economie di diversi paesi, che comporta una minore autonomia decisionale di ognuno di essi; proprio per questo si rende necessario un coordinamento internazionale delle politiche economiche.

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Il fenomeno della globalizzazione non viene appoggiato da tutti e nel corso degli anni si è creato un vero e proprio movimento “no global”; si tratta di un insieme internazionale di gruppi, organizzazioni, associazioni e singoli individui, eterogenei dal punto di vista politico, la cui prima comparsa si ritiene avvenuta intorno al 1999 in occasione della Conferenza Ministeriale dell’OMC10

a Seattle negli Stati Uniti. La critica principale di questo movimento è rivolta alle multinazionali, in quanto, secondo gli aderenti, il loro potere è così forte da condizionare le scelte dei singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale ed energetico.

La globalizzazione ha innescato un processo di crescente integrazione tra le diverse economie nazionali e la conseguente crescita delle dimensioni del mercato ha cambiato le caratteristiche dei meccanismi concorrenziali e le strategie di sviluppo dell’impresa. Quando vengono meno le barriere all’ingresso del mercato, ogni impresa si trova quindi a dover affrontare la concorrenza e l’unico modo per difendersi e competere è quello di scegliere la via dell’internazionalizzazione.

1.2- Cenni introduttivi e prospettive teoriche dell’internazionalizzazione 1.2.1- Definizione di internazionalizzazione

L’internazionalizzazione è il processo di adattamento di un’impresa, un prodotto, un marchio, pensato e progettato per un mercato o un ambiente definito, ad altri mercati, nazioni e culture; si tratta di tutti i percorsi di crescita che le imprese attuano nei mercati esteri, con lo scopo di conquistare crescenti quote di mercato. Nel corso del tempo si è avuta un’estensione del concetto, che riflette la crescente complessità delle modalità con cui le imprese sviluppano la loro presenza all’estero.

Per poter parlare di impresa internazionalizzata è necessario che essa svolga le proprie attività all’estero (in due o più paesi) e non possiamo quindi considerare solo l’aspetto finanziario, ovvero il fatto di avere quote azionarie di aziende che operano all’estero.

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Robinson, in base a come viene organizzata l’attività internazionale, identifica tre tipologie di imprese11:

- Impresa internazionale, in cui la gestione estera e quella locale sono del tutto separate e l’impresa svolge una certa attività in più paesi;

- Impresa multinazionale, in cui le scelte strategiche sono prese dal vertice che resta nel paese di origine e le attività sono integrati nei diversi paesi;

- Impresa transnazionale, in cui vengono integrate non solo le attività ma anche la proprietà e il management del gruppo.

Molto spesso il processo di internazionalizzazione viene confuso con la “delocalizzazione”; queste due strategie invece presentano indubbie differenze, sia in termini di obiettivi che si intende perseguire, che di risorse necessarie per realizzare l’investimento. La delocalizzazione, infatti, comporta il trasferimento delle unità produttive a basso valore aggiunto verso i mercati emergenti, caratterizzati da costi bassi dei fattori della produzione; l’obiettivo di questo trasferimento è quindi solo di ridurre i costi della produzione, al fine di offrire gli stessi prodotti a prezzi più competitivi, e la peculiarità della delocalizzazione è il fatto che il principale mercato di riferimento continua ad essere quello originario e non il mercato nel quale la produzione si è trasferita. Quindi, a differenza della delocalizzazione, con i processi di internazionalizzazione le imprese aprono nuove attività produttive nei mercati emergenti che presentano maggiori potenzialità di sviluppo economico e commerciale, con l’obiettivo non di abbattere i costi di produzione, ma di presidiare da vicino i nuovi mercati e di conquistarvi progressivamente quote di mercato.

1.2.2-Le origini del concetto di internazionalizzazione: le teorie pre-Hymer

Dal punto di vista teorico, l’internazionalizzazione delle imprese nasce a partire dal contributo di Hymer del 1960; prima di allora il fenomeno veniva ricondotto a flussi internazionali di beni e capitali, indipendenti dall’attività di impresa. Inizialmente, infatti, si svilupparono degli approcci in due filoni distinti: le teorie del commercio internazionale e le teorie della bilancia dei pagamenti, a seconda

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che ad attraversare i confini nazionali siano i beni (esportazioni/importazioni) o i capitali (investimenti diretti esteri)12.

Principalmente due modelli hanno spiegato il commercio internazionale:

a. Modello del vantaggio assoluto (Smith13, 1776): una nazione esporta quei beni che produce ad un costo inferiore assoluto rispetto a tutte le altre nazioni; quindi, se un paese è più efficiente nella produzione di un bene e meno in quella di un altro bene, per la produzione del quale è più efficiente un secondo paese, entrambi beneficeranno dello scambio.

b. Modello del vantaggio comparato, nelle due versioni:

1. Versione classica di Ricardo14 (1817), basata sul teorema dei costi comparati: una nazione ha convenienza ad esportare quei prodotti che produce ad un costo relativamente inferiore rispetto agli altri beni; quindi, anche se un paese è meno efficiente nei confronti dell’altro paese nella produzione di entrambi i beni, esiste ancora la possibilità di scambi reciprocamente vantaggiosi.

2. Versione a più fattori produttivi di Heckscher e Ohlin (1933), che fornisce una spiegazione diversa della produttività; questo modello, basandosi su alcune ipotesi restrittive delle caratteristiche dell’offerta, della domanda e del mercato dei beni e dei fattori produttivi, dimostra che la condizione necessaria e sufficiente per spiegare l’esistenza di costi comparati diversi, risiede nelle differenti dotazioni di fattori di ciascun paese; ogni nazione, quindi, ha un vantaggio comparato nella produzione ed esportazione di quei beni per i quali ha una maggiore disponibilità di risorse produttive. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le teorie dell’internazionalizzazione si dimostrarono non adeguate ai fenomeni che si stavano sviluppando e negli anni cinquanta divenne evidente a diversi economisti come il commercio internazionale e gli investimenti diretti all’estero non potessero essere riconducibili solo a variabili macroeconomiche, ma associati all’espansione

12

C. Dematté-F. Perretti, Strategie di internazionalizzazione, Egea, 2003

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Smith A. (1776), La ricchezza delle nazioni, Torino

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internazionale delle imprese (ed occorreva quindi trovare una spiegazione).

1.2.3- La teoria delle imperfezioni di Hymer

Tra gli autori che per primi hanno analizzato le motivazioni della crescita internazionale delle imprese, un ruolo di rilievo spetta a Stephen Hymer, il quale ha affrontato per primo molte delle tematiche che sarebbero state approfondite in dottrina negli anni successivi.

Egli era giunto alla conclusione che “gli investimenti diretti non fossero semplicemente movimenti internazionali di capitali, bensì un insieme complesso e organizzato di transazioni che permettono il trasferimento di capitali, tecnologia e competenze organizzative da un paese all’altro e, come tali, riconducibili più propriamente ad attività d’impresa”15

.

Facendo riferimento all’analisi di Bain (1956) sulle barriere e sulle condizioni di entrata, il modello di Hymer muove i primi passi dalla riflessione secondo la quale l’impresa che si insedia in un paese estero è soggetta a tutti gli svantaggi connessi alla sua condizione di società non nazionale (liability of foreignness); le imprese locali, infatti, godono di una serie di vantaggi rispetto alle imprese straniere derivanti dalla disponibilità di maggiori informazioni relative al proprio paese (economia, lingua, cultura, leggi, società, sistema politico e istituzionale) e queste informazioni costituiscono una serie di barriere per le imprese straniere e il suo superamento comporta inevitabilmente costi notevoli; si tratta però di costi che non si ripeteranno altre volte, in quanto fissi. E’ possibile, inoltre, riscontrare altre barriere, derivanti da eventuali processi di stigmatizzazione, da parte del governo, dei consumatori e dei fornitori, che non possono essere superate fino a quando l’impresa non verrà percepita come estera.

Dall’altro lato, però, l’internazionalizzazione delle imprese può essere ricondotta al possesso di alcuni vantaggi, divisibili in due categorie (Bain 195616):

a) Vantaggi di costo:

- controllo delle tecniche di produzione, attraverso brevetti o coperti da

15

C. Dematté-F. Perretti, Strategie di internazionalizzazione, Egea, 2003

16

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segreto;

- imperfezioni nei mercati dei fattori di produzione (come manodopera, materie prima ecc.) o alternativamente proprietà o controllo dei fattori strategici (risorse);

- condizioni di favore sui mercati finanziari che permettono l’ottenimento di tassi di interesse inferiori;

- economie reali o pecuniarie che permettono il conseguimento di economie di scala o un maggiore potere contrattuale.

b) Vantaggi di differenziazione:

- preferenza dei consumatori nei confronti di specifici marchi e della reputazione di particolari imprese;

- controllo del design di prodotto superiori, attraverso brevetti; - proprietà o controllo contrattuale di punti di vendita strategici;

- economie reali o pecuniarie che permettono investimenti di marketing e di promozione su larga scala.

Generalmente un’impresa gode di un vantaggio in una nazione straniera minore rispetto a quello di cui gode nel paese di origine, in quanto deve affrontare le barriere già menzionate precedentemente. In alcuni casi però può accadere l’esatto opposto, ovvero i vantaggi possono essere superiori all’estero, in quanto i concorrenti locali non hanno accesso alle stesse risorse e competenze dell’impresa straniera; questo differenziale costituisce la causa dell’internazionalizzazione delle imprese: godere di vantaggi rispetto alle imprese locali, che compensano gli svantaggi derivanti dalle barriere all’ingresso. Le imprese che godono di tali vantaggi hanno la possibilità di scegliere tra diverse modalità: possono esportare i prodotti o servizi, possono vendere o concedere in licenza tale vantaggio, oppure possono sfruttare direttamente tale vantaggio con investimenti all’estero.

Resta ora da capire la motivazione per cui imprese di nazioni differenti possiedono capacità diverse; secondo Hymer la distribuzione internazionale dei vantaggi è riconducibile ad eventi storici casuali, come la non equa distribuzione delle capacità tra gli individui, la scoperta di una risorsa naturale (giacimenti,

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17

miniere) o di una formula; ciò è interessante quando esiste una distribuzione dei vantaggi sistematicamente sbilanciata tra le nazioni, che favorisce le operazioni internazionali delle imprese di alcuni paesi. Hymer sostiene che tale distribuzione iniziale dei vantaggi non influenza le traiettorie future, anche se vi è un effetto moltiplicativo. Vi sono forze che aumentano i vantaggi delle imprese straniere rispetto a quelle locali e forze che invece li diminuiscono17.

E’ importante considerare che il contributo di Hymer, pur abbandonando la prospettiva delle teorie tradizionali, non ne rifiuta l’impostazione, rappresentata dal concetto di vantaggio; tale contributo ha rappresentato un punto di svolta fondamentale nello studio degli investimenti diretti con l’estero, in quanto ha gettato le fondamenta e aperto la strada alla teoria delle imprese multinazionali, operando un importante cambiamento di prospettiva rispetto alle teorie dominanti.

Alcuni economisti sostengono, infatti, che le opere successive non hanno fatto altro che rielaborare e perfezionare concetti e idee già presenti nel lavoro dello studioso canadese, adattandoli alla situazione storica; le teorie sull’internazionalizzazione immediatamente successive al contributi di Hymer vengono raggruppate come teorie post-Hymer.

1.2.4- La teoria del ciclo di vita del prodotto di Vernon

La teoria del ciclo di vita del prodotto, elaborata dall’economista americano Vernon, prende in considerazione il modello del divario tecnologico di Posner (1961) 18 e il modello sull’importanza della domanda interna di Linder (1961)19.

17

I diversi contesti o gli eventi storici casuali, possono far prevalere i vantaggi delle imprese straniere o quelli delle imprese locali; ad esempio un impresa può avere, per un periodo di tempo, un certo vantaggio in una nazione, ma se, per un’errata decisione, non da via al processo di internazionalizzazione, può favorire il rafforzamento di imprese locali, le quali eliminano lo svantaggio iniziale.

18

Il modello di Posner, sul divario tecnologico, sostiene che i vantaggi comparati dipendono da un vantaggio monopolistico di cui gode il paese innovatore, che è in grado di esportare nuovi prodotti fino a quando gli altri paesi non abbiano imparato a produrli; il vantaggio è temporaneo e la sua durata dipende dal “ritardo della domanda” (tempo tra la comparsa di un nuovo prodotto nel paese innovatore e la comparsa negli altri paesi) e il “ritardo di imitazione” (tempo tra il momento in cui il nuovo bene viene importato e il momento viene prodotto nel paese imitatore).

19

Il modello di Linder afferma che il commercio potenziale di un paese dipende dalla sua domanda interna; quanto più simili sono le strutture della domanda dei due paesi, tanto più intenso è il commercio potenziale che si sviluppa. Il commercio effettivo sarà minore o uguale al commercio potenziale a seconda che esistano delle forze frenanti (come il fattore distanza, le tariffe o altro).

(18)

18

Vernon ripropone un modello già presente il letteratura, quello del ciclo di vita del prodotto20, applicandolo su scala internazionale.

La teoria di Vernon si basa sull’ipotesi che le imprese dei paesi industrializzati, pur essendo dotate di uguali probabilità di accesso dalle nuove conoscenze scientifiche, non abbiano uguali probabilità nell’applicazione di tali conoscenze alla creazione di nuovi prodotti; tali imprese godono, infatti, di un vantaggio innovativo che permette loro di anticipare le dinamiche della domanda di altri paesi. Tale modello si prefigge, quindi, l’obiettivo di spiegare le ragioni per cui le imprese provenienti dalla stessa area geografica si caratterizzino per un elevato grado di innovazione, e le modalità con cui questa superiore capacità di innovazione viene sfruttata sui mercati internazionali21.

In modo particolare analizza il caso delle imprese americane, individuando le motivazioni alla base della più alta propensione all’innovazione, mostrata dall’industria statunitense, rispetto a quella di altri paesi; questa maggior propensione all’innovazione può essere spiegata, secondo Vernon, da fattori strutturali propri dell’economia americana, quali un mercato di consumatori con un reddito medio relativamente più elevato rispetto a quello di altri paesi, costi della manodopera elevati e un mercato di capitali molto sviluppato (condizioni sicuramente valide all’epoca in cui scriveva). Si può ipotizzare che gli imprenditori americani, consapevoli delle opportunità connesse a tali caratteristiche, investano maggiormente nello sviluppo di nuovi prodotti in grado di soddisfare la domanda e le richieste di consumatori con redditi elevati. Vernon si sofferma, inoltre, sulle ragioni per cui questi stimoli provenienti dal mercato americano, abbiano agito principalmente sulle imprese locali e non su quelle estere (in condizioni di concorrenza perfetta non dovrebbero esistere motivazioni per cui i bisogni debbano essere soddisfatti da produttori non esteri); nella realtà, le condizioni di incertezza del mercato e la necessità di avere risposte rapide sulle reazioni dei clienti, rendono la vicinanza al mercato un

20

La teoria del ciclo di vita del prodotto individua una sequenza di fasi che caratterizzano il marketing di un bene; prevede che ogni nuovo bene, introdotto sui mercati, passi da una fase di introduzione ad una di sviluppo, ad una di maturità, fino al declino.

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19

vantaggio competitivo per l’impresa innovatrice, che ha la capacità di saper cogliere meglio le esigenze dei consumatori.

In sintesi, la teoria del ciclo di vita del prodotto, è articolata in quattro fasi.

I fase: Introduzione di un nuovo prodotto; il prodotto non ha ancora raggiunto un

livello di standardizzazione sufficiente degli input impiegati, della produzione e delle specifiche finali che deve possedere e vi è quindi la necessità, da parte dei produttori, di mantenere un grado di flessibilità elevato e di comunicare in modo rapido con i clienti, i fornitori e i concorrenti. La produzione di nuovi prodotti sarà pertanto localizzata in prossimità del mercato in cui verrà commercializzato, ovvero nel paese dell’impresa innovatrice; vi è molta incertezza sulle dimensioni finali del mercato e sugli sforzi che faranno i concorrenti per accaparrarselo; inoltre, l’elasticità del prezzo è bassa e le differenze di costo contano ancora poco.

II fase: sviluppo; in questa fase si afferma uno standard di base, anche se questo

non implica uniformità, in quanto si possono moltiplicare le tipologie e le varianti di prodotto. Il bisogno di flessibilità diminuisce e la domanda cresce rapidamente; il problema dei costi diventa significativo, si affermano le economie di scala e per quanto riguarda il prezzo, non vi è ancora una vera concorrenza. Inizia a manifestarsi una domanda del prodotto anche in altri paesi, quelli con un reddito più elevato e più simili agli Stati Uniti, anche in termini di alto costo del lavoro. Supponendo che le capacità produttive non siano pienamente utilizzate, si comincia ad esportare, fino a che la somma dei costi di trasporto, unita a quella dei costi marginali di produzione, è inferiore al costo medio di produzione dei mercati in cui si esporta; se essi diventano superiori, diviene conveniente investire all’estero. Se le capacità produttive sono, invece, pienamente occupate, il confronto è tra i costi medi (comprensivi dei costi di trasporto) per la produzione interna e i costi medi per la produzione estera, in quanto anche nel paese di origine per esportare sarebbe necessario costruire un nuovo impianto. Inoltre, entra in gioco la forza della protezione brevettuale; se essa è debole e c’è minaccia da parte di investitori esteri, ciò può spingere a varcare i confini con investimenti diretti.

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20

III fase: maturità; in questa fase le vendite sul mercato interno si stabilizzano,

mentre le dimensioni dei mercati esteri continuano a crescere; i costi diventano di primaria importanza e cresce l’intensità capitalistica dei processi. Nei paesi esteri si rafforzano i processi innovativi, rendendo possibile l’ingresso nel settore di produttori locali, ciò a seguito del fatto che i governi nazionali introducono strumenti tariffari per scoraggiare le importazioni e incentivare la produzione domestica. L’impresa innovatrice, per cercare di mantenere la propria quota di mercato, investirà nelle fasi a valle, come la commercializzazione, la manutenzione e l’assistenza e sostituirà le esportazioni con la produzione nei mercati esteri.

IV fase: declino; in quest’ultima fase la domanda del prodotto ha esaurito la

crescita, che diventa stabile o in calo; la tecnologia è del tutto matura, standardizzata e perfettamente accessibile agli imitatori locali. La scomparsa della differenziazione, riducendo e annullando il vantaggio iniziale del paese innovatore, spinge a ricercare la redditività nella riduzione dei costi di produzione e le imprese decentreranno la produzione nei paesi in via di sviluppo, in virtù dell’esistenza di bassi costi della manodopera. Il paese innovatore, in conseguenza della diminuzione della produzione interna del bene, si trasforma gradualmente da paese esportatore a paese importatore; in alternativa, può accadere che l’impresa abbandoni del tutto il mercato del prodotto in questione per attuare una strategia innovativa e per offrire nuovi prodotti sostitutivi.

Tabella 1-Ciclo di vita del prodotto: evoluzione dell’impresa e dei mercati serviti (A. Majocchi,

Economia e strategia dei processi d’internazionalizzazione delle imprese, Giuffré, 1997)

Introduzione Sviluppo Maturità e declino Vantaggio conseguito dall’impresa Novità del prodotto o del processo Novità del prodotto o del processo Prezzo: ricerca della localizzazione caratterizzata da basso costo del lavoro

Tipo di tecnologia utilizzata

Innovativa Innovativa sui

mercati esteri Standard su quello domestico

Standard sia sul mercato

domestico, che su quelli esteri

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21 Livello di concorrenza Basso: impresa monopolistica Medio/alto sul mercato domestico Basso su quelli esteri

Alto sia sul

mercato domestico che su quelli esteri

Mercati serviti Principalmente mercato domestico Mercato domestico e quelli esteri tramite esportazione Mercato domestico ed esteri con produzione localizzata all’estero

La teoria elaborata da Vernon, pur avendo il pregio di analizzare in modo congiunto l’evoluzione temporale dei flussi di commercio e investimento internazionale, ha risentito di alcuni limiti evidenti22, come l’aver focalizzato l’attenzione sul prodotto e non sull’impresa, escludendo dall’analisi il fenomeno delle imprese multi-prodotto; il considerare solo l’innovazione tecnologica di tipo demand-pull, sottovalutando l’impatto dell’innovazione technology-push23; il privilegiare le innovazioni di prodotto trascurando quelle di processo. Tali limiti teorici, riconosciuti esplicitamente dallo stesso autore, sono derivanti soprattutto dalla finalità interpretativa della realtà storica immediata e hanno quindi indebolito il potere interpretativo di tale modello.

1.2.5- Il paradigma eclettico di Dunning

Il paradigma eclettico, elaborato da Dunning (1977, 1980, 2000), ha l’obiettivo di integrare e conciliare al suo interno diversi concetti, al fine di fornire un’interpretazione generale delle attività dell’impresa multinazionale. Dunning ha utilizzato il termine “paradigma”, piuttosto che teoria, per sottolineare come l’apparato concettuale proposto non offrisse una vera e propria teoria generale della crescita internazionale delle imprese, ma una griglia metodologica per effettuare un’analisi delle determinanti del fenomeno; mentre utilizza il termine “eclettico” in quanto questo approccio riprende parti di diverse teorie ed è in

22

Momigliano, 1983

23

Nel caso di innovazione demand-pull, il processo di sviluppo nasce dalla conoscenza e interpretazione dei bisogni del mercato; nel caso di technology-push, invece, il processo di sviluppo nasce dalla

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22

grado di essere applicato alle diverse forme in cui il fenomeno dell’internazionalizzazione si esplica24

.

Le imprese internazionali, che perseguono obiettivi generali di redditività a lungo termine, possono essere classificate in quattro categorie principali, in base agli obiettivi specifici perseguiti attraverso gli investimenti diretti all’estero25

: a) imprese rivolte ai mercati degli input (natural resources seekers), che hanno l’obiettivo di acquisire, a livello internazionale, risorse ad un costo inferiore rispetto a quello nella nazione di origine, oppure risorse non disponibili nel mercato domestico; queste imprese si possono ulteriormente suddividere tra coloro che ricercano risorse fisiche, coloro che ricercano manodopera non specializzata o semi-specializzata a basso costo e coloro che ricercano competenze tecnologiche, di management o organizzative;

b) imprese rivolte ai mercati di sbocco (market seekers), che hanno l’obiettivo di penetrare nei mercati internazionali per fornire beni o servizi ai clienti locali; alla base dell’investimento, tali imprese vogliono: seguire i propri clienti o fornitori nelle nazioni estere in cui sono insediati; adattare i propri prodotti ai bisogni, alle risorse e alle competenze locali; ridurre i costi, nel caso in cui la produzione all’estero sia più conveniente (rispetto anche ai costi di transazione e di trasporto); stabilire una presenza nella nazioni in cui sono presenti i concorrenti; c) imprese rivolte all’efficienza (efficiency seekers), che hanno l’obiettivo di razionalizzare la struttura degli investimenti sui mercati delle risorse o sui mercati di sbocco, per ottenere economie di scala, di scopo o di diversificazione del rischio;

d) imprese rivolte allo sviluppo di asset strategici (strategic asset seekers), che hanno l’obiettivo di acquisire imprese straniere per rafforzare la propria posizione competitiva o indebolire quella dei concorrenti.

In base al paradigma eclettico, la capacità di un’impresa di sviluppare attività all’estero, dipende dal possesso di determinati vantaggi competitivi, riconducibili a tre variabili interdipendenti (O-L-I): la proprietà (Ownership), la localizzazione

24

A. Majocchi, Economia e strategia dei processi d’internazionalizzazione delle imprese, Giuffré, 1997

(23)

23

(Location) e l’internalizzazione (Internalization); la componente O spiega il

“perché” delle attività delle imprese multinazionali, la componente L spiega il “dove” localizzarle e la componente I spiega il “come” organizzarle.

Tabella 2-Le componenti del paradigma eclettico (Fonte: Dunning 1993)

1. Vantaggi di proprietà (O):

a) Diritti di proprietà e/o beni intangibili (Oa): innovazione di prodotto, marchi, brevetti, sistemi organizzativi e di marketing, conoscenza non codificabile. b) Vantaggi di governance (Ot), derivanti dall’organizzazione delle componenti (Oa) con asset complementari:

I. Rispetto alle imprese de novo: dimensione, differenziazione dei prodotti, economie di esperienza (economie di scopo e di specializzazione); accesso esclusivo o privilegiato agli input (ad ed. manodopera, risorse naturali, capitali, informazione); capacità di ottenere input a condizioni di favore; accesso esclusivo o privilegiato ai mercati di sbocco;

II. Derivanti dalla presenza multinazionale: flessibilità operativa derivante dalle maggiori opportunità di arbitraggio, dalla rilocalizzazione della produzione, dalle fonti di approvvigionamento globali; accesso favorito e/o migliore conoscenza dei mercati internazionali; capacità di sfruttare le differenze geografiche nella dotazione dei fattori, nell’intervento dello Stato, nei mercati; capacità di diversificare o ridurre il rischio.

2. Vantaggi di localizzazione (L):

Distribuzione spaziale delle risorse e dei mercati.

Prezzi degli input, qualità e produttività (ad es. manodopera, energia, materiali, componenti).

Costi di trasporto e di comunicazione internazionali. Incentivi e disincentivi agli investimenti.

Barriere artificiali (tariffe, quote) al commercio internazionale. Disponibilità di infrastrutture (commerciali, legali, di trasporto e di comunicazione.

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Economie di concentrazione della R&S, della produzione, di marketing.

3. Vantaggi di internalizzazione (I):

Ridurre i costi di ricerca e negoziazione.

Ridurre i costi di azzardo morale e di selezione avversa. Incertezza dell’acquirente (natura e valore degli input). Impossibilità di effettuare discriminazioni di prezzo.

Necessità del venditore di salvaguardare la qualità dei prodotti intermedi o finali. Conseguire economie da attività interdipendenti.

Evitare o sfruttare l’intervento dello Stato (quote, tariffe, controllo dei prezzi, tasse, ecc.)

Controllare la fornitura e le condizioni di vendita degli input (tecnologia). Controllare la distribuzione.

Per quanto riguarda il vantaggio di proprietà, l’impresa deve possedere un qualche tipo di vantaggio competitivo (risorse, competenze) unico e sostenibile rispetto alle imprese straniere locali; sono stati individuati quattro tipi principali: - vantaggio derivante dallo sfruttamento delle risorse presenti nella nazione di origine (vantaggio nazionale);

- vantaggio derivante dallo sfruttamento di un potere monopolistico o oligopolistico (vantaggio di settore);

- vantaggio derivante dal controllo di un insieme di risorse e competenze scarse, uniche e sostenibili (vantaggio di impresa);

- vantaggio derivante dalle competenze dei manager dell’impresa di individuare, valutare e acquisire le risorse e le competenze necessarie a livello mondiale e di coordinarle con quelle già esistenti.

Tali vantaggi possono essere raggruppati in due categorie: quelli che derivano dal possesso o dall’accesso privilegiato ad uno specifico asset e quelli basati sulle competenze di gestire gli asset nel modo più efficiente (sia all’interno che all’esterno dell’impresa).

Per quanto riguarda, invece, il vantaggio di locazione, esso consiste nella presenza di condizioni favorevoli nei territori in cui l’impresa vuole espandersi;

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25

ad un grado maggiore di immobilità delle risorse, che le imprese devono utilizzare congiuntamente ai loro vantaggi competitivi, corrisponde un grado maggiore di presenza internazionale delle imprese.

Infine, il vantaggio di internalizzazione spiega le modalità di internazionalizzazione (esportazione, licensing o investimento diretto); se la presenza di uno o più vantaggi (componente O), insieme all’immobilità delle risorse e delle competenze di una nazione (componente L), determinano la localizzazione di alcune attività in quella specifica nazione, entrambe le componenti non sono in grado di spiegare se tali attività saranno svolte dalle stesse imprese che possiedono tali vantaggi o da imprese locali che li acquistano; esso costituisce l’insieme delle motivazioni che spingono un’impresa a controllare direttamente i proprio vantaggi di proprietà (senza trasferire la proprietà o il godimento).

Il paradigma eclettico ha rappresentato il riferimento dominante in grado di conciliare più teorie di matrice economica e aziendale sulle attività estere delle imprese multinazionali, ma uno dei limiti più importanti è quello di spiegare i processi di espansione solo sulla base delle risorse e dei vantaggi competitivi dell’impresa (escludendo altri fattori, come la crescita internazionale).

1.2.6-Il modello di Kogut

Kogut cerca di ricondurre l’ambito teorico delle strategie di internazionalizzazione a due quesiti:

- in quali attività le imprese devono concentrare le proprie risorse; - dove estendere a livello internazionale le attività della catena del valore. A tal fine il modello coniuga due teorie: la teoria del vantaggio comparato delle nazioni, appartenente all’economia internazionale, e la teoria del vantaggio competitivo, elaborata da Porter.

La prima, detta anche location-specific advantage, guida le decisioni relative alla localizzazione delle attività che compongono la catena del valore. La seconda, invece, definita anche firm-specific advantage, guida le decisioni relative all’individuazione delle attività su cui concentrare gli investimenti e le risorse.

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Le imprese tendono a spostare le attività della propria catena del valore nelle nazioni dotate di un vantaggio comparato nello svolgimento delle stesse; proprio per questo le imprese localizzano le attività a più elevata intensità di capitale e di conoscenza nelle nazioni industriali più avanzate, mentre quelle ad elevata intensità di lavoro nelle nazioni in via di sviluppo, o di più recente industrializzazione.

Sulla base delle interazioni tra vantaggio competitivo e vantaggio comparato (e la loro assenza o presenza), si possono individuare tre modalità di internazionalizzazione:

Tabella 3-Le modalità di internazionalizzazione (fonte Kogut 1985)

Vantaggio comparato delle nazioni

NO SI Vantaggio Competitivo delle imprese NO SI

-Mercati nazionali -Commercio internazionale intersettoriale -Integrazione verticale internazionale -Commercio internazionale intra-settoriale -Integrazione orizzontale internazionale -Integrazione verticale e orizzontale internazionale con differenti configurazioni di penetrazione di mercato e di approvvigionamento.

La prima è fondata solo sul vantaggio comparato delle nazioni; il flusso del commercio è solo unidirezionale dalle nazioni dotate di tale vantaggio verso quelle prive (intersettoriale), mentre gli investimenti diretti sono relativi ad attività di approvvigionamento in loco (integrazione verticale).

La seconda, invece, si basa solo sul vantaggio competitivo delle imprese; il flusso del commercio può essere incrociato (intra-settoriale) e gli investimenti diretti delle imprese sono relativi ad attività di penetrazione dei mercati (integrazione orizzontale).

La terza e ultima modalità, si fonda sull’interazione tra vantaggio comparato e vantaggio competitivo e determina una maggiore complessità delle attività dell’impresa, coniugando integrazione verticale e orizzontale con differenti

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configurazioni di penetrazione di mercato e di approvvigionamento.

Con riferimento a quest’ultima modalità, Kogut sostiene che lo sviluppo internazionale dell’impresa verso forme più complesse permette un grado di flessibilità strategica, grazie a delle opportunità di arbitraggio (arbitrage

opportunities), e a delle opportunità di leva (leverage opportunity). Le prime,

derivanti dallo sfruttamento di differenze nei prezzi di fattore sui mercati internazionali, intervengono sui fattori di mercato (trasferimento ella produzione), sui fattori istituzionali (minimizzazione imposizione fiscale), su entrambi e sull’informazione; le seconde invece, connesse alla posizione globale dell’impresa, riguardano il coordinamento globale (differenziazione dei prezzi) e la riduzione del rischio.

1.2.7-Il modello di Porter

I pilastri fondamentali del modello di Porter sono due: il vantaggio competitivo delle imprese e il vantaggio competitivo delle nazioni; si tratta di un modello simile a quello di Kogut, ma la sostanziale differenza rispetto a quest’ultimo sta nel fatto che Porter applica alla nazione i concetti relativi al vantaggio competitivo delle imprese (viene quindi sostituito il concetto di vantaggio comparato della nazione con il concetto di vantaggio competitivo della nazione). Il vantaggio competitivo di una nazione è l’insieme degli attributi nazionali che favoriscono il vantaggio competitivo in particolari settori industriali e le implicazioni che tutto questo ha sia per le imprese sia per i governi26. In tale modello, conosciuto come “diamante di Porter”, il vantaggio nazionale è determinato da quattro elementi che si rafforzano a vicenda:

a) Condizioni dei fattori b) Condizioni della domanda

c) Settori industriali correlati e di supporto d) Strategia, struttura e rivalità dell’impresa

A questi si aggiungano altre due variabili: il caso e il governo.

26

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Figura 1: Il diamante di Porter (fonte: Porter 1990)

Questi elementi, considerati singolarmente o come sistema, creano il contesto nel quale agiscono e competono le imprese. L’effetto di un singolo elemento dipende dallo stato di un altro, e i vantaggi di uno di essi possono creare o potenziare i vantaggi di altri.

A) LE CONDIZIONI DEI FATTORI

La produzione consiste nella combinazioni di input (fattori di produzione) e nella loro trasformazione in output (prodotti); secondo Porter le condizioni dei fattori devono essere analizzate in relazione alla dotazione e alle gerarchie tra essi. La dotazione di fattori è lo stock di fattori di produzione che una nazione ha a disposizione; vengono suddivisi in cinque categorie:

-risorse umane: in termini di quantità, competenze, costo e produttività; -risorse fisiche: in termini di abbondanza, qualità, accessibilità e costo; -risorse di conoscenza: in termini di patrimonio di conoscenze scientifiche, tecniche e di mercato;

-risorse di capitali: in termini di quantità, varietà, accessibilità e costo dei capitali disponibili per finanziarie la produzione;

-infrastrutture: in termini di tipo, qualità, diffusione, accessibilità e costi per gli utenti.

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29

Inoltre, per comprendere le gerarchie tra i fattori, risultano importanti due distinzioni:

-fattori di base e fattori avanzati; i fattori di base rappresentano gli input ereditati da una nazione in modo passivo, o la cui creazione richiede investimenti relativamente modesti. I fattori avanzati, invece, sono quelli necessari per acquisire i vantaggi competitivi di livello superiore, fondati su prodotti e tecnologie più sofisticati; essi richiedono investimenti ingenti e proprio per questo sono relativamente scarsi.

La dotazione di fattori di base, anche se raramente costituisce di per se un vantaggio duraturo, deve essere sufficiente in termini quantitativi e qualitativi per consentire la creazione dei fattori avanzati che si correlano con questi. -fattori generalizzati e fattori specializzati; i fattori generalizzati possono essere utilizzati da una vasta gamma di settori industriali, mentre quelli specializzati hanno un grado di specificità molto elevato e il loro utilizzo può soddisfare le esigenze di settori e segmenti particolari.

Il vantaggio competitivo maggiormente sostenibile nel tempo, da parte di una nazione, nasce dalla disponibilità di fattori di produzione avanzati e specializzati, mentre è estremamente volatile invece il vantaggio competitivo fondato su fattori di base o generalizzati; particolari svantaggi in alcuni fattori di base possono, al fine di superarli, incentivare l’innovazione.

B) LE CONDIZIONI DELLA DOMANDA

Il secondo elemento del diamante di Porter è rappresentato dalle condizioni della domanda interna dei prodotti o dei servizi dei diversi settori; tali condizioni sono determinate in riferimento a tre attributi:

Composizione della domanda domestica, rappresentata dall’assortimento e dalla natura dei fabbisogni degli acquirenti interni; più tali bisogni sono dinamici e sofisticati, maggiori sono le pressioni che esercitano sulle imprese locali affinché innovino più rapidamente.

All’interno della composizione della domanda si distinguono tre caratteristiche:

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- La struttura per segmenti della domanda, ovvero la distribuzione della domanda in determinate varietà

- Acquirenti sofisticati ed esigenti; più sono sofisticati ed esigenti, maggiore è la pressione che esercitano sulle imprese locali.

- Fabbisogni anticipanti degli acquirenti, ovvero il grado di anticipo con cui gli acquirenti interni manifestano determinati fabbisogni, rispetto agli acquirenti di altre nazioni.

Dimensioni e modello di crescita della domanda interna, rappresentata dai seguenti attributi:

- La dimensione della domanda domestica; una dimensione grande potrebbe portare al vantaggio competitivo nei settori con alte economie di scala e forti necessità di ricerca e sviluppo, ma potrebbe essere un fattore di debolezza in quanto non costringe le imprese ad esportare e ad essere più flessibili e dinamiche.

- Il numero degli acquirenti indipendenti; più alto è il numero e maggiore è il grado di dinamismo della domanda e la varietà dei fabbisogni.

- Il tasso di crescita della domanda interna; più è elevato e maggiore è il grado di dinamismo.

- La domanda interna precoce; permette alle imprese domestiche di muoversi prima delle rivali straniere, in quanto l’impresa è in grado di anticipare i fabbisogni degli acquirenti in altre nazioni.

- Saturazione precoce; se è il mercato è saturo si ha una pressione interna nella riduzione dei prezzi, nell’introduzione di funzionalità diverse, nel miglioramento delle prestazioni dei prodotti e una pressione esterna nella penetrazione dei mercati esteri per continuare a crescere nei mercati in cui la domanda è in aumento.

Internazionalizzazione della domanda domestica, ovvero i meccanismi con i quali le preferenze interne di una nazione vengono trasmesse ai mercati esteri; vengono rappresentati da due attributi:

- Acquirenti locali mobili o multinazionali; sono quelli che viaggiano da una nazione a un’altra e tendono a trascinare con loro la domanda di prodotto e

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servizi aprendo nuovi mercati geografici.

- Influenza sui fabbisogni stranieri, rappresentata dall’imitazione da parte di acquirenti esteri dei consumi domestici.

C) SETTORI INDUSTRIALI CORRELATI E DI SUPPORTO

La presenza di settori industriali internazionalmente competitivi a monte (fornitori) o correlati può essere un vantaggio per i settori a valle o correlati. Nei settori fornitori tale presenza può comportare l’accesso rapido, efficiente e conveniente ai mezzi di produzione e alle materie prime, da parte delle imprese acquirenti. Il vantaggio che i fornitori in patria assicurano in termini di coordinamento permanente è più significativo e si traduce nell’accesso alle informazioni, alle competenze e alle innovazioni dei fornitori. Se i fornitori sono presenti a livello internazionale, le imprese acquirenti possono attingere all’esperienza da questi accumulata nei confronti dei clienti esteri.

Nei settori correlati, ovvero quelli nei quali le imprese possono coordinare o condividere le attività nella catena del valore quando competono, oppure quelli che hanno a che fare con prodotti complementari27, si creano opportunità di flusso di informazioni e di interscambio di tecnologie; la vicinanza culturale rende questo interscambio più facile di quanto non accada con le imprese straniere.

D) STRATEGIA; STRUTTURA E RIVALITA’ DELLE IMPRESE

Il quarto elemento del diamante si riferisce ai modelli di organizzazione e gestione delle imprese e alla natura della rivalità domestica; viene analizzato attraverso tre attributi:

- Strategia e struttura delle imprese domestiche, che fa riferimento alle differenze nelle impostazioni manageriali e nelle competenze organizzative in ciascuna nazione; le nazioni avranno successo nei settori industriali in cui le pratiche manageriali e le modalità organizzative si adattano alle fonti del vantaggio competitivo.

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- Obiettivi, ovvero le differenze esistenti tra le nazioni per quanto riguarda gli obiettivi delle aziende e degli individui che vi lavorano.

- Rivalità tra le imprese, ovvero il grado di competizione tra imprese con stessa base domestica; maggiore è la rivalità e maggiori sono i benefici.

E) IL RUOLO DEL CASO

Si tratta di eventi causali che sono al di fuori del controllo delle imprese e, spesso, anche dei governi nazionali; si tratta ad esempio di: invenzioni, discontinuità tecnologiche, discontinuità nei costi degli input, picchi nella domanda mondiale o regionale, decisioni politiche, guerre.

Questi eventi influiscono sul vantaggio competitivo nazionale poiché creano discontinuità e offrono ad alcune imprese opportunità di effettuare spostamenti nelle posizioni competitive.

F) IL RUOLO DEL GOVERNO

Ciascuno dei quattro determinanti del diamante di Porter può influenzare, ed essere influenzato, positivamente o negativamente, dal governo28.

Ciascuna nazione, in riferimento a specifici settori o segmenti industriali, ha un vantaggio competitivo rispetto alle altre, grazie alle diverse interazioni tra questi fattori. Ogni impresa deve quindi esaminare con cura la base domestica che ha scelto per ogni singolo segmento in cui compete e, se necessario, deve spostare tale base nelle nazioni che le permettono il conseguimento di un vantaggio competitivo superiore. Questi elementi creano il contesto in cui le imprese agiscono e competono tra loro e tale teoria permette di comprendere come la competizione internazionale non si limiti a livello di impresa e di prodotti, ma soprattutto tra interi sistemi economici e istituzionali.

Il modello elaborato da Porter ha avuto un’adozione molto estesa, in quanto ribadisce che la condizione necessaria per comprendere le dinamiche della

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Le condizioni dei fattori vengono influenzate dai sussidi, dalle politiche sui mercati di capitali,

dall’educazione; le condizioni della domanda sono influenzate dalle politiche fiscali e di spesa pubblica; i settori industriali correlati e di supporto, invece, dall’imposizione di standard e di regolamentazioni; la strategia la struttura e la rivalità delle imprese, infine, dalle leggi antitrust, dalla politica fiscale e dai sussidi.

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33

competizione internazionale è quella di effettuare un’analisi congiunta, che tenga conto delle prospettive dei singoli settori, delle singole imprese e della nazione, per lo stretto legame che le lega.

1.3- Le cause dell’internazionalizzazione

Le motivazioni che portano un’impresa ad affacciarsi sui mercati esteri possono essere essenzialmente distinte tra interne ed esterne.

Le motivazioni interne fanno riferimento ad un vantaggio competitivo che un’impresa possiede già e che vuole sfruttare anche sui mercati esteri; questo vantaggio può assumere la forma di leadership di costo oppure di differenziazione29; la possibilità di estendere tali vantaggi su nuovi mercati dipende dalla capacità dell’impresa di capire e soddisfare i fattori critici di successo specifici di tali mercati. Nella realtà l’interesse verso i mercati esteri cresce anche quando l’obiettivo dell’impresa è quello di costruirsi il proprio vantaggio competitivo sui mercati esteri, per consolidare globalmente la posizione dell’azienda.

Le motivazioni esterne sono invece dipendenti da cause riconducibili al mercato in cui l’impresa sta operando. E’ possibile che facciano riferimento alle situazioni in cui i mercati esteri costituiscono l’unica via d’uscita, l’ultima carta da giocare per le imprese che vogliono scongiurare l’ipotesi di una cessazione delle attività e questo accade quando le condizioni del mercato locale sono sempre più sfavorevoli e l’impresa si trova costretta a trovare nuovi sbocchi su altri mercati.

Vi sono cinque principali condizioni esterne all’impresa che possono attivare il processo di espansione esterna30:

- l’evoluzione in chiave internazionale del mercato;

- la reazione a strategie attuate dai concorrenti di riferimento; - l’espansione internazionale dei principali clienti;

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Leadership di costo significa che l’impresa è in grado di sostenere dei costi più bassi rispetto ai competitor (contando, ad esempio, su una catena produttiva particolarmente efficiente); mentre la differenziazione riguarda la creazione di un prodotto o servizio percepito dai consumatori come unico e insostituibile dai prodotti concorrenti.

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- l’azione di soggetti pubblici o privati a sostegno o a ostacolo dell’internazionalizzazione delle imprese;

- il presentarsi di opportunità commerciali significative.

Mentre le motivazioni interne sono più razionali e orientate alla soluzione di problemi specifici, quelle esterne hanno una natura reattiva, colgono un’occasione e sono meno pianificate o guidate da obiettivi specifici; generalmente in un processo di internazionalizzazione sono presenti entrambe le motivazioni ed è difficile ricondurre tale processo ad una sola causa. Infatti, se anche esistessero le condizioni esterne, ma l’azienda al suo interno non fosse pronta alla sfida internazionale, tali condizioni non potrebbero essere colte e, allo stesso modo, se l’azienda internamente avesse le risorse e le capacità, ma il contesto esterno non fosse favorevole, tali spinte interne perderebbero la loro forza.

Ad ogni modo, qualsiasi sia la motivazione che spinga l’impresa a valutare un processo di espansione in nuovi mercati e qualunque strategia si scelga di mettere in atto, è molto importante che il processo sia programmato, pianificato e che tenga conto del medio-lungo periodo, dei rischi, dei costi e delle peculiarità del proprio business.

Il processo di internazionalizzazione deve essere supportato e guidato dai vertici aziendali e quindi, oltre alle caratteristiche dell’impresa e dell’ambiente, si aggiungono anche le caratteristiche della proprietà/manager (o del decisore aziendale). Tra le caratteristiche dell’ambiente troviamo: le regolamentazioni governative nei paesi esteri, le dimensioni del mercato domestico, gli elementi infrastrutturali, i fattori istituzionali e le informazioni disponibili per analizzare i paesi esteri. Tra le caratteristiche dell’impresa vi sono: la disponibilità del personale al trasferimento, la storia aziendale, le esperienze internazionali passate e le caratteristiche dei prodotti. Infine, tra le caratteristiche della proprietà rientrano: le capacità manageriali, la percezione dei costi, delle opportunità di profitto e dei rischi sui mercati esteri, la conoscenza delle lingue straniere, il tipo

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e il livello di formazione, l’età e l’orientamento ai mercati esteri31

. L’attività di internazionalizzazione non riguarda solo la mera vendita di prodotti all’estero, ma anche le attività di approvvigionamento, ricerca e sviluppo e produzione. Con il passare del tempo e il consolidarsi del prodotto all’interno del mercato di sbocco, l’azienda avrà l’esigenza di internazionalizzare anche altri processi, come l’assistenza post-vendita, la comunicazione, la promozione e il marketing o addirittura arrivare ad aprire una struttura produttiva locale. Generalmente, l’attività di approvvigionamento e localizzazione delle attività produttive riguarda una fase avanzata del processo di internazionalizzazione e questa particolare condizione è spesso motivata da vantaggi in termini di costo del lavoro, vantaggi a livello di know-how e competenze, necessità di avvicinamento al mercato di sbocco e sfruttamento di economie di scala.

1.4-Fattori di successo, vantaggi e rischi dell’internazionalizzazione

Appare utile esaminare, innanzitutto, quali sono i fattori chiave di successo per l’impresa che intende avviare questo processo di espansione nei mercati esteri e i relativi rischi collegati.

I principali fattori di successo per un’iniziativa di internazionalizzazione riguardano:

- Conoscenza approfondita di tutti i fattori interni ed esterni all’azienda (punti di forza, punti di debolezza, opportunità e minacce);

- Presa di coscienza della situazione reale dell’azienda e delle possibili prospettive;

- Conoscenza del settore di appartenenza e dei mercati target, del suo trend di sviluppo, della potenziale redditività, dei trend di crescita dei volumi e della struttura distributiva del paese di potenziale destinazione;

- Approccio strategico con una visione di medio lungo periodo e definizione di una strategia operativamente e finanziariamente sostenibile e remunerativa; - Senso del tempo per cogliere in modo tempestivo le opportunità offerte dal mercato e il cambiamento nelle tendenze della domanda;

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Riferimenti

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