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I nuovi accordi di libero scambio dell'UE: CETA, TTIP e TiSA a confronto

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Academic year: 2021

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UN I V E R S I T À D I PI S A

DI P A R T I M E N T O D I GI U R I S P R U D E N Z A

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

I nuovi Accordi di Libero Scambio dell’UE: CETA, TTIP e TiSA a confronto

La Candidata

Eleonora Figliolia

Il Relatore

Chiar.mo Prof. Simone Marinai

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2

A Papà, Mamma e Valeria, gli amori grandi della mia vita.

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Indice

INTRODUZIONE 8

CAPITOLO I

LAPOLITICAESTERAEUROPEA

1. L’UNIONE EUROPEA QUALE SOGGETTO IN GRADO DI STIPULARE

ACCORDI INTERNAZIONALI. 13

2. LA LIBERTÀ ED I LIMITI DI AUTONOMIA NEGOZIALE DEGLI STATI

MEMBRI. 20

3. LA DEFINIZIONE DEGLI AMBITI DI COMPETENZA ESTERNA DELL’UNIONE E DEI SINGOLI STATI MEMBRI IN MATERIA DI ACCORDI

INTERNAZIONALI. 22

3.1. Gli orientamenti della Corte di Giustizia. 25 4. LA COMPETENZA ESCLUSIVA DELL’UE IN MATERIA DI ACCORDI

COMMERCIALI. 33

5. L’UNIONE INTESA COME “SINGLE TRADING BLOC” E LE SUE NUOVE

STRATEGIE COMMERCIALI. 43

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CAPITOLO II

I MEGA-REGIONAL TRADE AGREEMENTS: ILCETA,

ILTTIPEDILTISA

1. GLI ACCORDI “MEGA-REGIONALI”: PANORAMICA GENERALE. 55

2. IL COMPREHENSIVE ECONOMIC AND TRADE AGREEMENT (CETA). 59

2.1. La struttura del CETA. 65

2.2. Gli aspetti istituzionali. 66

2.3.Gli ambiti di applicazione materiale del CETA. 68

2.3.1. Lo scambio delle merci. 68

2.3.2. Lo scambio di servizi. 69

2.3.3. La cooperazione normativa in settori specifici. 72

2.3.4. La protezione del lavoro 74

2.3.5. La protezione dell’ambiente. 77

2.3.6. La protezione della proprietà intellettuale. 79

2.4. I benefici del CETA. 85

3. IL TRANSATLANTIC TRADE AND INVESTEMENT (TTIP).

3.1. La struttura del TTIP. 89

3.2. Gli ambiti di applicazione materiale del TTIP. 94

3.2.1. Lo scambio delle merci. 94

3.2.2. Lo scambio dei servizi. 97

3.2.3. La disciplina sulla cooperazione normativa. 99

3.3. Gli auspicabili benefici del TTIP. 102

4. TRADE IN SERVICES AGREEMENT (TISA). 105

4.1. La possibile struttura del TiSA. 107

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5

CAPITOLO III

I MEGA-REGIONALTRADEAGREEMENTS NELL’UE:

EFFETTI, DISCIPLINA DELLE CONTROVERSIE E LE

REZIONIEUROPEE

1. LA PROCEDURA DA SEGUIRE PER LA CONCLUSIONE DEGLI ACCORDI

MEGA-REGIONALI. 113

2.GLI EFFETTI DEL CETA, DEL TTIP E DEL TISA NEL DIRITTO DELL’UE. 124

3. LA TRASPARENZA NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNIONE

EUROPEA. 129

4.SEGUE:LA TRASPARENZA NEI NEGOZIATI CETA,TTIP E TISA. 134

5. I MECCANISMI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE NEI MEGA

-REGIONAL AGREEMENTS. 141

5.1. La peculiare disciplina in materia di investimenti (le disposizioni CETA) 148 5.2. Il meccanismo di soluzione delle controversie del CETA al vaglio della Corte di Giustizia: le Conclusioni dell’Avvocato Generale Yves

Bot del 29.1.2019. 160

6. LE REAZIONI DELL’OPINIONE PUBBLICA EUROPEA AGLI ACCORDI

MEGA-REGIONALI. 172

7. LA POSIZIONE DELL’ITALIA A FRONTE DELLA CONCLUSIONE DEGLI

ACCORDI MEGA-REGIONALI. 181

CONCLUSIONI 184

BIBLIOGRAFIA 189

GIURISPRUDENZA CITATA 193

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6

SITOGRAFIA 197

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Introduzione

Il presente lavoro ha ad oggetto l’analisi di alcuni dei recenti Accordi di Libero Scambio dell’Unione europea e l’impatto che gli stessi hanno nel suo ordinamento ed in quello degli Stati membri.

Nel paradigma degli affari internazionali l’Unione europea è definita, ed agisce, come un “single trading bloc”. Dalla sua istituzione l’UE ha realizzato una serie di accordi di vario tipo: bilaterali e multilaterali, con Paesi europei ed extraeuropei.

Gli obiettivi perseguiti nell’ambito delle relazioni esterne dell’Unione devono rispecchiare, in coerenza alle linee guida dei suoi costituenti, l’idea di integrazione e di fedeltà ai principi del libero commercio e libero scambio dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Ad oggi il permanere della difficile congiuntura economica, che deriva dal protrarsi della crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008, ha comportato la diminuzione della produttività dell’industria europea e della sua competitività in generale nonché la nuova ondata di politiche protezionistiche. Questo insieme di fattori hanno determinato lo stallo delle negoziazioni di tipo multilaterale in seno all’OMC e prodotto ripercussioni pure sulla credibilità dell’UE nell’ambito delle negoziazioni. In questo contesto politico-economico l’Unione europea ha dovuto mutare la

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rotta della sua strategia commerciale orientandola verso soluzioni innovative come “Accordi di libero scambio di nuova generazione” (ALS) quali mezzi più efficienti per le realizzazioni di rapporti commerciali con singoli Paesi o gruppi di Paesi. Tale cambiamento è giuridicamente supportato dalle disposizioni del Trattato di Lisbona che mirano ad una maggiore cooperazione tra le istituzioni europee nonché ad attribuire una competenza esclusiva dell’Unione in tema di accordi internazionali. Questi ALS di nuova generazione vengono inseriti, dalla dottrina più recente, all’interno della più ampia categoria dei c.d. “mega-regional trade agreements” cioè quegli strumenti giuridici i cui contraenti non necessariamente appartenenti alla stessa area geografica, ma affini nelle modalità di gestione della politica economica, s’impegnano reciprocamente a riconoscersi trattamenti commerciali di vantaggio, istituendo dei veri e propri “corridoi preferenziali di libero scambio e d’investimento”.

La nuova generazione di Accordi di Libero Scambio aspira al massimo grado di liberalizzazione tra i partener contraenti nella maggior parte dei settori economici, come i servizi e gli investimenti.

Se da un lato questi nuovi accordi trovano il plauso delle istituzioni europee, dall’altro lato, l’ampiezza dei settori regolati e l’impegno tra i contraenti preoccupa gli Stati più restii a questo processo di liberalizzazione e cooperazione.

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Tanto è vero che l’Unione ha riformulato la propria azione nella conclusione di accordi internazionali, limitando la propria competenza solo ad alcuni settori ed escludendone altri, lasciati alle competenze degli Stati membri, avviando così la prassi della stipulazione “di accordi misti”.

La realizzazione di accordi misti come escamotage per superare l’impasse degli Stati membri rende più lungo ed instabile il processo di ratifica, il rimedio? L’applicazione parziale degli accordi alle sole materie di competenza dell’Unione, aspettando, per la completa esecuzione, la ratifica da parte dei 28 membri.

Nel presente lavoro vengono messi a confronto tre accordi globali mega-regionali che impegnano l’Unione europea ed i suoi Stati membri: il Comprenhensive Economic and Trade Agreement (CETA), il Transatlantic Trade and Investement (TTIP) ed il Trade in Services Agreements (TiSA).

Il CETA è il primo accordo mega-regionale, approvato dal Parlamento europeo il 15 febbraio del 2017, che si caratterizza per la previsione di una maggiore integrazione internazionale attraverso meccanismi istituzionali di cooperazione normativa che potrebbero incidere sulle relazioni bilaterali. Ma, ancora, la particolarità del CETA risiede nella sua ampia struttura poiché vengono affrontate diverse discipline che vanno dagli aspetti istituzionali, allo scambio delle merci e dei servizi, alla disciplina relativa alla protezione del lavoro e dell’ambiente e alla proprietà

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intellettuale. Al contempo, il CETA è diventato il prototipo dei negoziati degli altri due accordi analizzati nel presente lavoro.

Il TTIP, ha l’obiettivo di rinsaldare una forte collaborazione transatlantica tra l’Unione europea e gli Stati Uniti riattribuendo ai due continenti, storicamente partner egemoni del commercio mondiale, il potere di dettare le grandi regole degli scambi e dei rapporti internazionali, denominandoli: “pattern takerns”.

Si analizzeranno anche le fasi di negoziazione del TiSA, che sta impegnando l’UE e 23 membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Trattato di grande rilievo considerato che i soggetti coinvolti rappresentano i due terzi dell’intero commercio globale dei servizi transfrontalieri. Tali negoziazioni hanno l’obiettivo di fornire nuovi riferimenti normativi ai continui mutamenti che i progressi sociali e tecnologici (mobilità, internet, banche dati) riflettono nella gestione degli scambi commerciali dei servizi. Non è possibile ancora fare una stima sui possibili benefici dei mega-regional trade agreements, ma, facendo riferimento al CETA, che è l’unico accordo già realizzato ed in fase di parziale esecuzione, si può affermare che lo stesso ha già iniziato a produrre risultati per gli esportatori europei, dando un impulso ed una sicurezza giuridica agli affari internazionali.

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Nell’ultima parte del lavoro verranno approfonditi alcuni temi che interagiscono, in via indiretta, con la conclusione degli accordi in questione. Preso il CETA come punto per possibili occasioni di confronto, verranno delineati gli impatti e le reazioni degli Stati membri alla loro ratifica nonchè il rispetto del principio della trasparenza da parte delle istituzioni europee nella fase delle trattive.

Ci si soffermerà, infine, sul dibattito che ha destato la disciplina prevista, dai trattati in questione, in relazione ai meccanismi di risoluzione delle controversie, con particolare attenzione alla tutela degli investimenti tramite il nuovo “Investment Court System” (ICS). Il riferimento alle recentissime conclusioni rese dall’Avvocato Generale Yves Bot nell’ambito del parere richiesto dal Belgio alla Corte di Giustizia, consente di avere un primo riscontro in merito alla compatibilità, con il diritto dell’Unione europea, della disciplina del meccanismo di risoluzione delle controversie in materia di investimenti introdotto nel CETA.

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CAPITOLO I

LA POLITICA ESTERA EUROPEA

Sommario: 1. L’Unione Europea e la prerogativa di stipulare accordi internazionali. – 2. La libertà ed i limiti di autonomia negoziale degli Stati membri. – 3. La definizione degli ambiti di competenza esterna dell’Unione e dei singoli Stati membri in materia di accordi internazionali. – 3.1 Gli orientamenti della Corte di Giustizia. – 4. La competenza esclusiva dell’UE in materia di accordi commerciali. – 5. L’Unione intesa come “single trading bloc” e le sue nuove strategie commerciali.

1. L’Unione Europea quale soggetto in grado di stipulare accordi internazionali.

L’organizzazione internazionale più all’avanguardia dei nostri tempi è rappresentata, senza dubbio, dall’Unione europea. Secondo una classica definizione: “L’Unione europea non è fondata su un accordo che si limita a creare diritti reciproci tra gli Stati contraenti, ma costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini”1. L’Unione europea

è dotata, al pari di un’entità statale, di una propria e compiuta

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struttura giuridico-istituzionale, di un corpo di principi materiali e formali, di apparati organizzativi, di processi decisionali e di garanzie giurisdizionali. Le istituzioni europee nel tempo hanno assunto un ruolo crescente, ad esse è stato conferito il potere di adottare atti di diritto derivato a carattere vincolante ed in grado di produrre un forte impatto sugli ordinamenti degli Stati membri. In particolare, le istituzioni europee possono adottare: regolamenti, direttive e decisioni. L’uniforme interpretazione ed applicazione del diritto dell’organizzazione è garantito dalla Corte di Giustizia dell’UE, la quale ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo ed al rafforzamento dell’integrazione. È innegabile il legame dell’Unione europea con il diritto internazionale poiché essa trae pure sempre origine da un trattato internazionale, avendo come fondatori e protagonisti gli Stati membri2.

Nel recente passato quando si parlava di “soggetti di diritto internazionale” si collegava subito tale qualità ai singoli Stati, i quali sviluppavano la propria sovranità in due direzioni: una interna, riferita al proprio ambito territoriale e l’altra esterna, riferita ai rapporti con altri Stati.

Dopo la seconda guerra mondiale nacquero, a livello mondiale, organizzazioni tra Stati che avevano e hanno tuttora, il compito di armonizzare la cooperazione in settori,

2V. R. ADAM- A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione Europea,

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ambiti e decisioni, necessari per il mantenimento della stabilità a livello globale.

Si può affermare che l’Unione europea, nata per fini puramente economici, ha assunto con il tempo caratteristiche sempre più definite e peculiari.

In realtà, l’Unione non è altro che l’evoluzione storica, economica e politica dell’idea, diffusasi dopo la guerra, che “il modo migliore per mantenere la pace tra gli Stati, risiedeva nella loro collaborazione economica”.

In occasione della dichiarazione di Parigi del 1950, il ministro degli Esteri francese, Robert Schuman pronunciò la celebre frase simbolo dell’auspicata cooperazione: “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto; la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.”

I primi trattati, di carattere economico (la CECA, la CEE e l’EURATOM) si trasformarono nei 3 pilastri del nuovo trattato ratificato a Mastrattich nel 1992 ed istitutivo dell’Unione, denominato per l’appunto: “Trattato sull’Unione Europea”.

Con il Trattato di Mastrattich si dà, dopo quaranta anni, una forma diversa alla cooperazione tra Stati europei, costituendo un’organizzazione dotata di propri istituti ed istituzioni

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basata sul principio delle attribuzioni delle competenze in determinati settori.

Nel 2007 si sente la necessità di definire in modo più preciso ed organico il funzionamento delle istituzioni europee ed il ruolo dell’Unione e degli Stati membri all’interno ed all’esterno dell’organizzazione.

Così, nel 2009, viene istituito il Trattato di Lisbona che si caratterizza per l’eliminazione dei tre pilastri e per il rafforzamento del principio di integrazione economica e politica. Con tale Trattato è stata istituita la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali e cambia totalmente il modo di intendere tale organizzazione. Inoltre, la libera circolazione delle persone ha indotto alla diffusione, non solo del sentimento di appartenenza all’Unione come organizzazione di singoli individui, ma alla definizione del concetto di “cittadinanza europea”3.

Quindi l’Unione Europea nata per il perseguimento di fini comuni da parte degli Stati membri diventa un’organizzazione stabile ed indipendente rispetto agli stessi. Attraverso il Trattato istitutivo dell’organizzazione, le si è conferito il “potere” di agire per loro conto nel paradigma internazionale, consapevoli della conseguente limitazione della loro sovranità.

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Più precisamente, ciò che fa dell’Unione un vero e proprio soggetto di diritto internazionale, è delineato dal “principio di effettività” che si traduce nell’essere mittente e destinatario di diritti ed obblighi da parte di altri soggetti di diritto internazionale.

Il concetto di soggettività internazionale delle organizzazioni internazionali è stato a lungo oggetto di dibattito, ad oggi, la tesi più diffusa ed accetta, secondo Arangio-Ruiz, è quella di attribuire tale soggettività a tutti quegli enti che sono espressione di interessi internazionali anche se in misura limitata o se poco indipendenti dagli Stati membri.

Tali organizzazioni difendono i loro interessi tramite strumenti peculiari che si differenziano da quelli utilizzati dagli Stati, ad esempio esse non prevedono l’uso della forza4.

Grazie a tale soggettività, le organizzazioni internazionali possono porre in essere “accordi internazionali”, disciplinati dalla “Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati fra gli Stati ed organizzazioni internazionali e fra le organizzazioni internazionali del 1986”, la quale ha adeguato alcune disposizioni previste nella Convenzione di Vienna del 1969 alle peculiarità del loro status ed alla prassi degli accordi stipulati.

La possibilità per l’UE di stipulare trattati internazionali è stata giustificata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

4 V. U. DRAETTA, Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Giuffrè,

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tramite il cosiddetto “Principio del parallelismo” in base al quale se l’UE gode, sul piano interno, di determinate competenze che le sono affidate dagli Stati membri, tale affidamento include, anche se non esplicitato, il potere di concludere accordi internazionali nelle materie considerate. In ogni caso, è da evidenziare la diversità dell’UE rispetto alle altre organizzazioni internazionali, derivante dalle ampie e complesse competenze delegatele nel rispetto del “principio di attribuzione”.

Dando uno sguardo al Trattato di Lisbona, l’articolo 3, par.2 prevede in modo esplicito che:

“L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata”5.

Tale articolo individua i tre presupposti per cui si può parlare di una competenza esclusiva nella stipulazione di accordi internazionali:

 la previsione all’interno di un atto legislativo europeo,  la rilevanza di tali accordi per l’esercizio delle proprie

competenze interne,

5 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in GUUE C 326, 26.10.2012,

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 l’incidenza che essi hanno su regole comuni o che possano alterarne la portata.

L’art 3, par. 2 TFUE tende a superare la semplice prospettiva del conflitto tra diritto dell’Unione e accordo internazionale, prospettando l’emergere di una competenza esclusiva anche nei casi di semplice interferenza tra i due regimi normativi. L’esclusività prevista dal Trattato per la stipulazione di accordi internazionali è giustificata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia attraverso il meccanismo della “pre-emption” (la preclusione per occupazione) in base al quale si accentra la competenza dell’Unione sottraendola agli Stati membri.

La pre-emption si verifica anche nel caso in cui la stessa ha realizzato un’armonizzazione completa in un settore o quando il trattato internazionale da concludere rientri in un settore già in gran parte disciplinato dal diritto europeo. È evidente un atteggiamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia incline verso il progressivo evolversi dell’ordinamento europeo, supportato da un’esigenza di base: l’azione unilaterale o collettiva degli Stati membri in ambito internazionale può creare casi di conflitti normativi, i quali pur non coinvolgendo direttamente l’Unione, renderebbero più ostico ed incerto l’esercizio delle sue competenze.

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2. La libertà ed i limiti di autonomia negoziale degli Stati membri.

Far parte dell’Unione europea comporta una serie di vantaggi per gli Stati membri, ma al contempo, una limitazione della loro autonomia nella conclusione di accordi internazionali. La loro volontaria partecipazione è sinonimo di assoggettamento alle disposizioni interne, che si traduce in “rispetto di obblighi internazionali generalmente assunti”. Nel caso in cui gli Stati membri pongano in essere comportamenti in violazione delle disposizioni interne europee essi non saranno “invalidi” ma “illeciti” poiché lesivi degli obblighi assunti con la partecipazione all’Unione europea.

L’attribuzione di poteri all’UE ha fatto sì che la stessa possa porre in essere dei meccanismi di interferenza all’esercizio dell’attività degli Stati membri con soggetti terzi.

Non si parla di limiti alla capacità di agire ma di limiti alla libertà negoziale degli Stati. Tale limite al potere estero statale si differenzia anche dal concetto di “autonomia negoziale” in quanto quest’ultima si riferisce solo alle facoltà relative alla conclusione di Trattati, mentre per “libertà negoziale” si intende tutto l’insieme di azioni e poteri dello Stato suscettibili di produrre effetti sul piano internazionale.

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In conclusione, i limiti alla libertà degli Stati membri non si riferiscono solo alla conclusione-stipulazione ma interessano tutti gli “stadi di vita” del trattato internazionale.

L’UE mediante atti di diritto derivato impedisce agli Stati membri di adottare norme nazionali incompatibili6.

La Corte di Giustizia confermando tale impostazione, lascia agli Stati membri le modalità con cui dare attuazione al principio del primato del diritto europeo.

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3. La definizione degli ambiti di competenza esterna dell’Unione e dei singoli Stati membri in materia di accordi internazionali.

La suddivisione delle competenze in ambito europeo assume rilievo per la salvaguardia dell’intero diritto dell’Unione, il quale è garantito solo se gli Stati membri rispettino le regole previste dall’ordinamento interno e si adeguino ai limiti di esercizio del proprio potere estero.

Per questo motivo è importante definire: gli spazi residui di autonomia, la sussistenza di competenze esterne, espresse o implicite e la loro natura esclusiva o concorrente. Tale definizione e ripartizione è posta in essere per prevenire conflitti normativi tra norme internazionali e norme interne europee.

L’articolo 2 TFUE7 suddivide le competenze in diverse

categorie: alcune proprie solo degli Stati membri, altre solo dell’Unione ed altre ancora “condivise”, dando al contempo conto delle conseguenze derivanti dalla riconducibilità all’una o all’altra categoria di una determinata competenza8.

Tale articolo precisa che: “Quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono

7 V. TFUE, in GUUE, p. 50.

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legiferare autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell'Unione”.

La norma ha ripreso la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale la competenza esclusiva dell’Unione in una determinata materia comporta, in linea di principio, che solo essa può agire in una determinata materia e che gli Stati membri si devono astenere dalla definizione di tali materie a prescindere dalla compatibilità dei loro comportamenti con il diritto europeo9.

Solo se “specificatamente” autorizzati dall’Unione gli Stati membri possono porre in essere provvedimenti in tali materie10, questa autorizzazione si ritiene necessaria nel caso

in cui le istituzioni non hanno ancora esercitato la loro competenza esclusiva, tale meccanismo serve per evitare la creazione di “vuoti normativi”. In queste specifiche ipotesi gli Stati saranno dei “gestori di interessi comuni” purché formalmente autorizzati dall’UE11.

Invece, nel caso in cui una competenza non sia prevista come “esclusiva” se ne deve dedurre che essa abbia natura “concorrente”. Ma se le istituzioni hanno già disciplinato un settore, oggetto di competenza concorrente, gli Stati membri dovranno rispettare ed applicare tali disposizioni. In linea di principio, non vi è un’usurpazione della competenza statale

9 V. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 5.5.1981, Commissione c.

Regno Unito, causa 804/79, punti 17-18.

10 V. CGUE, sentenza del 15.12.1976, Donckerwolcke, causa 41/76, punti 30-32. 11 V. CGUE, sentenza del 16.12.1981, Tymen, causa 269/80, punto 7.

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bensì un obbligo di coordinamento per garantire coerenza tra le politiche nazionale e quella dell’Unione. Quindi gli Stati saranno liberi di legiferare in quella determinata materia a condizione del rispetto dell’obbligo e l’azione dell’UE si qualifica come “parallela” rispetto alla loro.

In definitiva, nel caso di competenza esclusiva dell’UE, un’azione degli Stati membri si definisce “illecita”, a prescindere dalla sua “armonia” o meno con il diritto europeo poiché in questo ambito gli Stati possono agire solo se autorizzati dalle istituzioni o per dare attuazione agli atti di queste 12 . Nel caso contrario, cioè di competenze

“concorrenti” il processo di sottrazione della competenza degli Stati membri da parte dell’UE è “elastica” in quanto si espande e comprime a seconda della competenza o meno esercitata dall’UE. La competenza concorrente degli Stati membri si riespande quando le istituzioni europee modificano o abrogano una normativa precedentemente adottata13. Il fatto che una competenza torni o sia rimasta

nelle mani degli Stati membri non significa, però, che questi siano liberi di esercitarla in piena discrezionalità; gli Stati membri sono condizionati al diritto dell’Unione nella misura in cui quell’esercizio incida sul corretto funzionamento di tale diritto.

12 V. R. ADAM- A. TIZZANO, ivi, pp. 425 ss.

13 L’articolo 2, par. 2, TFUE: “[…] Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro

competenza nella misura in cui l'Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”. V. GUUE, p. 50.

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3.1 Gli orientamenti della Corte di Giustizia.

È corretto affermare che le competenze esclusive dell’UE sono state ben delineate fin dalla sua istituzione e pertanto in materia di accordi internazionali solo la stessa potrà concluderli senza lasciare campo di azione agli Stati membri. In realtà, tale interpretazione ha suscitato parecchie perplessità, la giurisprudenza della Corte di Giustizia si è espressa in modo eterogeneo poiché la competenza dell’UE (all’art. 3, par.2 TFUE) è evocata in relazione ad una modalità di esercizio della competenza e non ad un ambito materiale di attività.

Infatti, il Parere della Corte di Giustizia 1/03 del 7 febbraio 2006, sulla competenza della Comunità a concludere la nuova Convenzione di Lugano concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, stabilisce che: «la conclusione di accordi dell’UE con Stati terzi, è da considerarsi esclusiva quando e nella misura in cui il contenuto dell’accordo sia già oggetto sul piano interno di norme delle istituzioni europee. Agli Stati membri non è riconosciuto il potere, né individualmente né collettivamente, di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni che incidano (o possano incidere) sulle norme adottate dall’Unione».

Per di più, secondo la Corte agli Stati membri è preclusa la conclusione di accordi internazionali con Paesi terzi anche nel caso in cui gli stessi accordi abbiano ad oggetto materie

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di competenza concorrente ma “subiscono” l’operare del meccanismo della pre-emption, poiché le materie degli accordi rientrano nell’ambito di applicazione di norme adottate o, più in generale, in un settore già regolato dal diritto dell’UE14. Nel caso particolare delle competenze esterne, tale

preclusione non si realizza per il solo fatto dell’adozione di norme interne, ma è altresì necessario che gli obblighi internazionali che gli Stati membri intendono assumere siano suscettibili di incidere sulle norme adottate o di alterarne la portata15.

La dottrina, invece, critica l’orientamento della Corte di giustizia, secondo la quale l’adozione del criterio funzionale della preclusione per occupazione sfugge ad una regolamentazione chiara e definita; ciò crea una situazione di incertezza in cui non è facile stabilire quando gli Stati membri hanno margine di autonomia o debbano astenersi dall’assumere obblighi verso soggetti terzi per evitare contrasti con il diritto UE16.

14 Cfr. CGUE, sentenza del 3.3.1971, Commissione c. Consiglio (AETS), causa

C-22/70, punti 19-32; CGUE, parere 2/9, reso il 19.3.1993, Convenzione n.170 dell’Organizzazione internazionale del lavoro in materia di sicurezza durante l’impiego delle sostanze chimiche sul lavoro, punti 15-17.

15 V. CGUE, sentenza del 5.11.2002, Commissione c. Danimarca (Open Skies),

causa C-467/98, punti 90 ss.

16 V. E. CANNIZARO, Le relazioni esterne della Comunità dopo il Trattato di

Nizza, in Diritto dell’Unione Europea, 2002, p.182; P. FRANZINA, Le condizioni di applicabilità del Regolamento CE 44/2001 alla luce del Parere 1/03 della Corte di giustizia, in Rivista. di diritto internazionale, 2006, p. 948; N. LAVRANOS, Opinion 1/03, Lugano Convention, in Common Market Law Review,2006, p 1087; P. KOUTRAKOS, EU International Relations Law, Oxford 2015, si suggerisce di considerare le conclusioni raggiunte dalla Corte nel Parere 1/03 alla luce del peculiare contesto normativo in cui questo si poneva, criticando però la decisione della Corte per non aver definito con maggiore chiarezza i presupposti di operatività dell’esclusività sopravvenuta.

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Analizzando anche il Trattato di Lisbona all’art. 3, par 2 TFUE e all’art 216 TFUE si nota che la competenza esclusiva dell’UE in ambito delle relazioni internazionali è disciplinata in un modo del tutto nuovo.

L’art. 216 disciplina le ipotesi in cui una competenza esclusiva può dirsi esistente facendo riferimento ad un atto interno non vincolante, mentre l’art. 3, par. 2. delinea i casi in cui un atto legislativo indica i presupposti in presenza dei quali la competenza esterna si qualifica come esclusiva. Il Trattato prevede espressamente, in altri articoli, la competenza dell’Ue in determinati settori senza compromettere l’autonomia negoziale degli Stati membri. Si fa riferimento agli art. 191, par. 4, TFUE in materia di tutela dell’ambiente; all’art. 209 TFUE in materia di cooperazione allo sviluppo; all’art. 212, par. 3, TFUE in materia di cooperazione economica, finanziaria e tecnica con i Paesi terzi e all’art. 214, par. 4, TFUE in materia di aiuto umanitario.

Tali disposizioni non hanno effetti compromettenti sulla stabilità della distribuzione delle competenze tra UE e Stati membri poiché interessano solo alcuni settori e non coinvolgono la competenza esterna dell’Unione che rimane stabile.

La parte più significativa dell’attività internazionale dell’UE riguarda proprio la conclusione di accordi internazionali con Paesi terzi o organizzazioni internazionali. Attraverso tali

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accordi ha preso gradualmente corpo la proiezione esterna del processo di integrazione europea e su di essi si è concretamente costruita la soggettività internazionale della Comunità europea prima e dell’Unione europea adesso17.

Come prima osservato, riguardo alle competenze generali dell’Unione, i Trattati prevedono il potere delle istituzioni di stipulare accordi non solo in relazione alle politiche o azioni formalmente incluse nell’azione esterna dell’UE ma anche in riferimento a tutte le politiche europee che possono avere sviluppi anche in ambito internazionale. Questo riconoscimento è operato in maniera esplicita, attraverso specifiche previsioni formali a concludere tipologie di accordi internazionali o, più in generale, le è riconosciuta la possibilità di ricorrere a questo strumento per la realizzazione di determinati obiettivi. Questo potere è riconosciuto in modo esplicito dal sopracitato art. 216, par. 1, TFUE secondo il quale : “ L'Unione può concludere un accordo con uno o più Paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i Trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell'ambito delle politiche dell'Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell'Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata”18.

La competenza dell’Unione europea a contrarre impegni internazionali ingloba la possibile adozione di disposizioni

17 V. R. ADAM- A. TIZZANO, ivi, pp. 822 ss. 18 V. GUUE C 326, p. 144.

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istituzionali. La presenza di tali disposizioni nell’accordo non ha alcuna incidenza sulla natura della competenza a concludere l’accordo, per questo motivo esse hanno carattere ausiliario essendo riconducibili alla medesima competenza19.

Si può affermare che l’art. 216 TFUE ha dato veste formale ad una giurisprudenza risalente in cui la Corte di giustizia si è espressa sull’esistenza di un “parallelismo tra competenze esterne ed interne”. L’elaborazione giurisprudenziale della CGUE del concetto del parallelismo, si basa sul vincolo di necessità dell’attuazione delle competenze esterne per la realizzazione di obiettivi relativi all’esercizio delle competenze interne. Per di più, l’art. 352 TFUE, declaratorio della clausola di flessibilità 20, è la sintesi della prassi

giurisprudenziale fino a quel momento sviluppatasi (vedi

19 V. R. ADAM- A. TIZZANO, ivi, p. 823; v. anche CGUE, parere del 13.5.2017,

Sull’Accordo di libero scambio tra L’Unione europea e la Repubblica di Singapore, parere 2/15, punto 276.

20 La cosiddetta “clausola di flessibilità” consente a determinate condizioni

un’azione dell’Unione anche al di fuori di un’attribuzione specifica di competenza. Il Trattato Ce all’art. 308 prevedeva che, quando un’azione delle istituzioni risultava «necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato avesse previsti i poteri di azione a tal uopo richiesti», il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, poteva prendere le disposizioni del caso. Con il Trattato di Lisbona la clausola di flessibilità è ripresa nel TFUE, diventando così di applicazione nei settori di attività dell’attività dell’Unione. L’articolo 352 ribadisce che, «e un’azione dell’Unione appare necessarie per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europea, adotta le disposizioni appropriate». Le disposizioni possono consistere in regolamenti, direttive o decisioni. Lo stesso art. 352 prefigura espressamente l’ipotesi che l’atto adottato dal Consiglio possa avere anche, laddove disponga misure di portata generale, natura legislativa. Inoltre, la clausola di flessibilità ha la finalità di ovviare alla rigidità del principio di attribuzione che potrebbe impedire alle istituzioni di prendere misure ritenute indispensabili per gli sviluppi del processo di integrazione, ma per le quali i redattori dei Trattati non abbiano in anticipo previsto disposizioni che conferiscano a quelle istituzioni gli specifici poteri di farlo.

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CGUE sentenza AETS), con una precisazione: il principio del parallelismo delle competenze interne ed esterne opera solo nei casi in cui gli accordi internazionali riguardano materie che già avevano avuto una regolamentazione a livello europeo, nel caso di inesistenza di una competenza interna delle istituzioni, non esistevano i presupposti per l’operare di tale principio.

Sulla base di questi orientamenti, la Corte ritiene che la disciplina interna all’Unione preveda esplicitamente la possibilità di una sua eventuale integrazione successiva, idea maturata dalla Commissione prima del verificarsi di una prassi applicativa21.

In conclusione gli Stati membri rimangono titolari della facoltà di assumere impegni internazionali in un data materia oggetto di competenza concorrente con l’Unione fintantoché le istituzioni non l’abbiano concretamente esercitata e se la stessa eserciti un’azione concreta ( ad esempio, l’adozione da parte del Consiglio di una decisione che autorizza la Commissione a negoziare un accordo a nome dell’Unione con un paese terzo) implica l’obbligo per gli Stati membri di astenersi dal condurre negoziati bilaterali con il medesimo Paese terzo sulle materie oggetto di disciplina del negoziato. Gli Stati membri devono rispettare l’art. 4, par. 3, TFUE per agevolare l’Unione nell’adempimento dei suoi compiti, tali

21 V. CGUE, sentenza del 26.11.2014, Green Network SpA, causa C-66/13, punto

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disposizioni hanno lo scopo di garantire un mutuo rispetto delle prerogative degli Stati membri e dell’Unione, consentendo ai primi di mantenere la propria autonomia sul piano internazionale, purché essa non rechi pregiudizio all’effettività delle norme di diritto dell’Unione22.

In realtà, nella prassi si è fatto ricorso ad una soluzione alternativa, la quale comporta una minore astensione dall’esercizio delle competenze degli Stati membri nell’ipotesi di materie oggetto di competenza concorrente. La soluzione è stata la creazione di “accordi misti”, i quali prevedono la partecipazione all’accordo con il Paese terzo o organizzazione internazionale sia dell’Unione che degli Stati membri.

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4. La competenza esclusiva dell’Ue in materia di accordi commerciali.

Volgendo lo sguardo sulla competenza dell’Unione europea a concludere accordi internazionali, è possibile suddividerla in due tipologie di competenze:

 esclusiva: prevista dall’art. 3 TFUE (es. in materia di politica commerciale comune);

 condivisa (con gli Stati membri): prevista dall’art. 4 TFUE (es. materia di trasporti e proprietà intellettuale)23.

Gli accordi internazionali, altresì, si distinguono in categorie e tipologie:

 accordi puramente europei: conclusi dall’ Ue con Paesi terzi o con organizzazioni internazionali;

 accordi misti: conclusi dalla Comunità insieme con gli Stati membri. È opportuno ricordare che essi sono vincolanti sia per l’UE che per gli Stati membri ed impegnano la loro responsabilità a livello internazionale;  accordi di associazione: previsti dall’articolo 217 TFUE, sono quelli conclusi con Stati o organizzazioni internazionali, per istituire associazioni caratterizzate da diritti ed obblighi reciproci (es. gli accordi che hanno ad oggetto le relazioni dell’UE con Paesi terzi);

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 accordi di cooperazione: volti al potenziamento dei rapporti economici con gli Stati del Maghreb: Marocco, Algeria, Tunisia;

 accordi commerciali: stipulati nell’ambito della politica doganale e commerciale con i singoli Paesi terzi, gruppi di Paesi terzi ed organizzazioni internazionali (es. l’accordo sull’organizzazione mondiale del commercio).

In riferimento a quest’ultima tipologia, è bene ricordare che, la politica commerciale, da sempre e per diversi aspetti, ha impegnato l’Unione europea nel perseguimento dei suoi fini istituzionali, tale competenza presenta una dimensione sia esterna che interna. Secondo la Corte, la politica commerciale comune dell’UE è «il risultato del concorso e dell’effetto combinato dei provvedimenti interni ed esterni, che non sono affatto subordinati gli uni agli altri: talvolta sono accordi a determinare la politica, talvolta è la politica che detta gli accordi»24. Essa, insieme alla competenza a concludere

accordi internazionali e alla materia dell’unione doganale rientra nell’ambito delle competenze esclusive dell’Ue. Come previsto dall’art 207, par.1 TFUE:

“la politica commerciale comune è fondata su principi uniformi, in particolare per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi allo scambio di merci e servizi, e gli aspetti

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commerciali della proprietà intellettuale, gli investimenti esteri diretti, l’uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica di esportazione e le misure di protezione commerciale, tra cui quelle da adottarsi nei casi dumping e di sovvenzioni. La politica commerciale comune è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell'azione esterna dell'Unione”25.

Al riguardo, la Corte di Giustizia nel parere 1/78 del 4 ottobre 1979 ha rilevato che “l’enumerazione nell’art 133 Trattato CE, oggi 207 TFUE degli scopi della politica commerciale è concepita come un’enumerazione non limitativa”affermando che la competenza della Comunità si estende ad aspetti definibili come accessori26.

Attribuite alla competenza dell’Unione sono anche quelle materie considerate “accessorie”. Se ad una prima riflessione ciò può apparire non del tutto legittimato, in realtà tale attribuzione permette una più elastica e meno rigorosa suddivisione delle competenze tra Unione e Stati membri. Al contrario, nel caso di una ripartizione rigida anche delle competenze accessorie, ciò implicherebbe la necessaria partecipazione degli Stati membri alla conclusione ed esecuzione di tutti quegli accordi che hanno per oggetto

25 V. GUUE, pp. 140-141.

26 V. G. GAJA-A. ADINOLFI, Introduzione al diritto dell'Unione europea, Laterza,

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materie di secondaria importanza nell’economia generale dell’accordo stesso.

La Corte ha più volte ribadito che “solo la Comunità è competente a stipulare gli accordi multilaterali relativi al commercio dei prodotti in virtù dell’art 133 Trattato CE, ora art 207 TFUE”. Affermando, sempre in maniera più decisa, la “natura aperta” della politica commerciale comune. Tramite la sentenza del 26 marzo 1987, Commissione c. Consiglio la Corte di Giustizia ha dichiarato la riconducibilità alla competenza comunitaria, in materia di politica commerciale, di un sistema di preferenze generalizzate a favore dello sviluppo, sulla base dell’idea che « la politica commerciale comune non potrebbe più essere seguita efficacemente se la Comunità non potesse disporre di mezzi d’azione più complessi rispetto agli strumenti destinati ad incidere unicamente sugli aspetti tradizionali del commercio estero»27.

Per il potenziamento della competenza esclusiva sono state altresì determinanti le modifiche apportate al Trattato CE dai Trattati di Amsterdam e di Nizza e, soprattutto, i riferimenti, contenuti nell’art. 207, par.1 TFUE, riguardo agli “scambi di servizi e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale” delineando la competenza esclusiva dell’Unione hanno reso marginale il ruolo degli Stati membri nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio.

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In realtà, gli Stati membri si sono, da sempre, ritagliati un proprio ruolo nella negoziazione di accordi sulla politica commerciale, in particolare quelli che riguardano le materie prime. L’interferenza statale ha dato vita ai già menzionati “accordi misti” 28, i quali si estendono oltre l’ambito della

politica commerciale comune. Ad ogni modo, essa non deve riguardare accordi che per una parte dello stesso hanno carattere accessorio né quelli rientranti nella competenza esclusiva dell’UE.

In via del tutto teorica, il ruolo degli Stati membri dovrebbe essere limitato alla parte che eccede la materia di competenza esclusiva dell’Unione, ma in pratica gli Stati, tramite i loro rappresentanti, siedono al tavolo delle trattative con lo scopo di tutelare le proprie posizioni.

È evidente che il loro fine ultimo seppur celato da una rivendicazione della propria competenza risiede, in realtà, nella tutela dei propri interessi.

Per comprendere a pieno come si sono sviluppate le possibili vie di accesso alla partecipazione degli Stati membri alla stipulazione di accordi internazionali si fa riferimento al parere 1/78 della Corte di Giustizia, relativo all’accordo sulla

28 Tale termine è stato utilizzato ufficialmente per la prima volta dalla Corte nella

sentenza del 30.9.1987, Meryem Demirel c. Comune di Schwäbisch Gmünd, causa C12/86. Il ricorso alla tecnica degli accordi misti è stato utilizzato in gran parte per la stipulazione di convenzioni multilaterali cui ha aderito l’Unione in concerto con tutti o solo alcuni Stati membri. Il ricorso ad essa è stato dovuto sia a fattori politici, (ad esempio, in passato, gli Stati terzi non volevano vincolarsi alla sola Comunità) sia strettamente tecnici (ad esempio la limitazione ai soli Stati della possibilità di aderire a talune convenzioni); per lo più l’utilizzo di tale tecnica trovava di regola più di una giustificazione sul piano giuridico.

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gomma naturale. Due i punti oggetto di interesse: a) l’allargamento del concetto della politica commerciale comune e l’attribuzione della competenza esclusiva dell’UE; b) la previsione di modalità di accesso alla partecipazione ai negoziati per gli Stati membri.

Nel caso in esame, la lettera b) si riferiva alla definizione di accordi relativi alla materia della gomma naturale:

“gli Stati membri dovevano assumere a proprio carico il finanziamento delle spese imposte dall’accordo o addirittura il semplice lasciare aperta la questione del soggetto che dovrà provvedere al finanziamento”.

In tale parere, il finanziamento delle scorte ha costituito “un elemento essenziale del sistema di disciplina del mercato”, assumendo un valore decisivo per l’individuazione del soggetto onerato; sicché, se vi sono elementi essenziali riguardanti gli Stati membri, l’accordo sicuramente non rientrerà nella competenza esclusiva dell’UE.

La Corte conclude precisando che:

“se il finanziamento dell’accordo spetta alla Comunità, le decisioni occorrenti saranno adottate secondo le appropriate procedure comunitarie. Se viceversa il finanziamento è a carico degli Stati membri, questo fatto implicherà la partecipazione degli stessi a questi congegni decisionali o, quanto meno, il loro assenso circa le modalità di finanziamento in un progetto e di conseguenza la loro partecipazione all’accordo congiuntamente con la

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Comunità. In questa ipotesi non si può concepire la competenza esclusiva della Comunità”29.

La conclusione a cui è arrivato il parere 1/78 della Corte di Giustizia ha aperto agli Stati membri la possibilità di partecipare a molte trattative, in particolare ai prodotti di base. Tutto ciò è stato supportato dalla soluzione trovata dal Consiglio e dalla Commissione, nel documento “Proba-20”30.

Un altro esempio ritrovato nel tempo, riguarda l’accordo istitutivo dell’organizzazione mondiale del commercio, la Corte, nel parere 1/9431 ritiene essenziale la partecipazione

di entrambi i soggetti di diritto internazionale (UE e Stati membri).

Infatti, la Corte nel parere 1/94 ha limitato la portata del precedente parere 1/78:

“trattandosi di un’organizzazione internazionale che disporrà soltanto di un bilancio di funzionamento e non di uno strumento di azione finanziaria, il fatto che gli Stati membri si accollino le spese dell’OMC non può in nessun

29 V. G. GAJA-A. ADINOLFI, ivi, p. 225.

30 L’intesa nota come Proba-20 (dalla crasi di prodotti di base) ha istituzionalizzato

il coinvolgimento degli Stati membri nella definizione degli accordi commerciali: «ogni accordo internazionale che interessi i prodotti di base sarà siglato

contemporaneamente dalla Comunità e dai singoli Stati membri, che faranno parte dell’accordo stesso». V. anche R. ADAM- A. TIZZANO, ivi, p.873.

31 La Commissione ha chiesto il parere della Corte sulla competenza della Comunità

europea a stipulare l'Accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio, in particolare l'Accordo generale sul commercio dei servizi (GATS) e l'Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, ivi compreso il commercio dei prodotti contraffatti (TRIP), v. CGUE, parere 1/94, del 15.11.1994.

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caso giustificare di per sé la loro partecipazione alla conclusione dell’accordo”.

Ad oggi, la disciplina generale sulla politica commerciale risiede nel combinato disposto dell’art. 207 e dell’art. 218 TFUE.

Le disposizioni contenute nell’art. 218 TFUE, stabiliscono le modalità di negoziazione e conclusione degli accordi internazionali stipulati dall’UE e per gli accordi commerciali, tali modalità avvengono secondo le peculiarità previste dall’art. 207 TFUE.

Infatti, il negoziato è condotto dalla Commissione che presenta raccomandazioni al Consiglio affinché la autorizzi ad iniziare le trattative; in questa fase è prevista l’istituzione del noto «Comitato 207», su nomina del Consiglio, per coadiuvare la Commissione nella definizione degli accordi. Sarà onere della Commissione riferire al Parlamento ed al Comitato l’andamento dei negoziati.

La Commissione, di concerto con il Consiglio, verificherà la compatibilità del negoziato con le norme interne europee. In definitiva, l’art. 207, così come previsto dal Trattato di Lisbona, oltre a delineare l’ambito di operatività del commercio europeo e gli scopi che si prefigge di perseguire, predispone anche deroghe all’art. 218 TFUE in materia di accordi di politica economica.

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Attraverso tali strumenti l’Unione europea persegue i propri obiettivi di politica commerciale, dotandosi di strumenti giuridici per la difesa dei propri interessi commerciali, ma, allo stesso tempo contribuisce al sistema delle relazioni commerciali internazionali generali per dar seguito ad obiettivi della sua azione esterna (ad esempio il sistema di preferenze generalizzate nei confronti delle merci provenienti dai Paesi in via di sviluppo).

È opportuno fare una piccola precisazione su una serie di misure di politica commerciale “a carattere difensivo” che l’Unione può applicare per la tutela esclusiva di propri produttori. Tali misure hanno lo scopo di ostacolare i comportamenti commerciali sleali, messi in pratica da imprese o Stati terzi, che possono alterare la parità delle condizioni concorrenziali di partenza tra i prodotti originati all’interno dell’Unione, intesa come il complesso dei produttori simili a quelli provenienti da Paesi terzi.

Nella prassi, questi comportamenti corrispondono alle cosiddette pratiche di dumping, consistenti nell’esportazione verso il mercato europeo di prodotti di imprese di Paesi terzi messi in commercio a prezzi inferiori al prezzo di vendita del mercato d’ origine32. Le misure di difesa commerciale messe

32 L’articolo 1, par. 2, del reg. (UE) n.2016/1036 del Parlamento e del Consiglio,

dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte dei paesi non membri dell’Unione europea, c.d. regolamento dumping, ha stabilito che: «si considera oggetto di dumping quando il prezzo di un prodotto all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel Paese esportatore nell’ambito di normali operazioni

commerciali». Un ulteriore specificazione deriva dal par. 4 dello stesso articolo secondo il quale: «per prodotto simile si intende un prodotto identico, vale a dire

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in atto dall’Unione puntano ad annullare quel vantaggio competitivo attraverso l’imposizione di un dazio addizionale (il c.d. dazio anti-dumping) o di un dazio compensativo su tali prodotti, che ne aumentano il costo dell’importazione nel territorio dell’Unione.

La disciplina sull’applicazione delle pratiche anti-dumping è prevista dal citato regolamento dell’Unione.

simile sotto tutti gli aspetti al prodotto considerato oppure, in mancanza di un tale prodotto, un altro prodotto che, pur non essendo simile sotto tutti gli aspetti, abbia caratteristiche molto somiglianti a quelle del prodotto considerato».

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5. L’Unione intesa come “single trading bloc” e le sue nuove strategie commerciali.

“Single trading bloc” o “Unico blocco commerciale” è la definizione attribuita all’Unione europea nel paradigma degli affari internazionali.

L’UE dalla sua istituzione fino ad oggi, ha realizzato una serie di accordi di vario tipo: bilaterali e multilaterali, con Paesi europei ed extraeuropei (come gli accordi istitutivi di unioni doganali, di zone di libero scambio, di tariffe preferenziali ecc.)

Stime recenti Eurostat/ OMC33 confermano che l’Unione

europea ha agito come un unico soggetto giuridico e nel contesto del commercio internazionale delle merci ha realizzato, in termini netti, una prevalenza della sua quota di scambi rispetto a Stati Uniti, Cina e Giappone. Non sono mancate, in verità, alcune eccezioni alla concezione del “single trade bloc” ad esempio: la limitazione alle importazioni di macchine giapponesi praticate solo dall’Italia e dalla Francia regolate da trattative UE che hanno realizzato l’impegno di moderazione e la dichiarazione di mutua cooperazione nel 1991, o ancora, l’embargo introdotto nel

33V., ad esempio, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al

Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni, del 9.11.2011, Commercio, crescita e affari mondiali: la politica commerciale quale componente essenziale della strategia 2020 dell'UE, COM(2010) 612 definitivo. (reperibile al sito internet: https://eur-lex.europa.eu).

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1992 dalla sola Grecia nei confronti dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia “FYROM”34.

È bene sottolineare che ogni principio e finalità generale dell’UE deve essere inserito all’interno di un piano di integrazione. Sicché, anche le caratteristiche peculiari della politica commerciale comune si stemperano e si assoggettano ad una logica “integrazionista” bilanciandosi con le esigenze proprie e primarie dell’Unione.

Infatti, uno dei primi obiettivi, legati alla politica commerciale comune, fu l’instaurazione di “un’unione doganale” la quale ha sia realizzato una maggiore coesione tra gli Stati membri che agevolato la politica commerciale. Nel Trattato di Lisbona: “L’Unione, tramite l’istituzione di un’unione doganale in conformità degli art da 28 a 32, contribuisce nell’interesse comune allo sviluppo armonioso del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali e agli investimenti esteri diretti, e alla riduzione delle barriere doganali e di altro tipo”.

In questi articoli vi è racchiusa tutta la sostanza della politica commerciale comune che – si potrebbe dire - in termini di filosofia economica sottostante al disegno dei Padri Fondatori, ribadendo, in una prospettiva esterna all’Unione,

34V. P. PIVA, La Politica Commerciale Comune, a cura di G. STROZZI, Diritto

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la fedeltà ai principi del libero commercio e libero scambio propri dell’Organizzazione Mondiale del commercio35.

Tuttavia, ad oggi l’integrazione europea è sempre più a rischio. Il risultato del referendum britannico sulla Brexit, la crisi economica ed il fenomeno migratorio sull’intero continente stanno colpendo sempre di più quell’ideale di “Europa unita” che a fatica si stava diffondendo36.

Il protrarsi dell’attuale crisi economica-finanziaria sta avendo gravissime ripercussioni sugli Stati membri, sugli investimenti (interni ed esteri), sulla domanda di beni e servizi, sull’occupazione, sulla crescita economica, sociale e civile. Questi eventi hanno determinato:

i. La diminuzione della produttività dei fattori di produzione dell’industria europea rispetto ad alcuni tra i principali competitori sui mercati internazionali, tra i quali i cosiddetti paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), con la conseguente perdita di competitività e l’irrigidimento di alcuni settori di mercato (es. il mercato del lavoro)

ii. Nuove ondate protezionistiche frutto indiscusso di politiche governative.

Questo insieme di fattori ha determinato l’alterazione di consolidati equilibri nonché lo stallo dei negoziati del “c.d.

35 V. P. PIVA, ivi, p. 444.

36In realtà, i dati pre-Brexit confermano che l’Unione europea è sempre il maggior

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Doha Round” 37, tutto ciò ha avuto ripercussioni sulla

credibilità istituzionale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) 38 e sugli impegni in materia di sviluppo

assunto dai Paesi più ricchi nei confronti dei Paesi in via di sviluppo.

La crisi economica ha dunque mutato la rotta della strategia commerciale europea. Ma l’UE non si è data per vinta. L’attuale presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e la sua amministrazione hanno dato priorità alla conclusione di accordi economici globali con partner strategici (Canada, Stati Uniti, Giappone e Cina).

Tali indirizzi sono racchiusi in alcuni documenti della Commissione (ad esempio: le Sue comunicazioni al Consiglio, al Parlamento, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle Regioni) in cui è chiara la

37 La Dichiarazione ministeriale di Doha sancì l’avvio di un nuovo round di

trattative commerciali multilaterali. Essa nasce con lo scopo di riunire diversi temi in discussione in un unico negoziato complessivo chiamato “single undertaking”, cioè un atto finale secondo il quale tutti gli accordi relativi ai diversi temi dell’agenda negoziale devono essere sottoscritti nell’ambito di un unico maxi-accordo, senza che vi sia la possibilità, per i paesi membri WTO, di accettare solo alcuni di essi. Lo scopo di questa procedura negoziale è facilitare l’emergere di un consenso su un pacchetto complessivo. Secondo alcuni, tuttavia, l’approccio del single undertaking può rendere i negoziati più lunghi, complessi e difficili da gestire, rischiando di sacrificare il raggiungimento di un accordo sui temi per i quali esso sarebbe invece possibile.

38 Secondo l’opinione diffusa della dottrina, “l’entrata in vigore dell’Accordo OMC

non ha determinato la fine del processo di integrazione e ampliamento

dell’ordinamento giuridico del commercio internazionale avviato nel 1947 con la conclusione del GATT. L’applicazione della nuova normativa costituisce, infatti, una nuova, ma non ultima, tappa della progressiva evoluzione del sistema

commerciale multilaterale verso una più ampia liberalizzazione degli scambi di bene e di servizi”. V. P. PICONE-A. LIGUSTRO, Diritto dell’organizzazione mondiale del commercio, CEDAM, Padova,2002, p.226 ss.

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predisposizione per la conclusione di Accordi di Libero Scambio (ALS) “di nuova generazione” quale mezzo più efficiente per le relazioni commerciali con singoli Paesi o gruppi di Paesi39.

Per di più, nel Trattato di Lisbona si possono trovare le basi giuridiche per questa nuova tipologia di accordi, in quanto, in alcuni articoli, è auspicata una maggiore cooperazione ed interazione tra le istituzioni europee (in tema di accordi internazionali) ed attribuita una competenza esclusiva all’Ue come soggetto di diritto internazionale.

Il TFUE ha introdotto novità relative al processo decisionale accrescendo il ruolo del Parlamento europeo che partecipa, in veste di co-legislatore, alla procedura legislativa ordinaria sull’adozione di misure che definiscono il quadro di attuazione della politica commerciale (art. 207, par.2, TFUE). Inoltre, l’art. 218, par.6. TFUE prevede che il Consiglio decida sulla conclusione di talune categorie di accordi internazionali (tra i quali quelli cui si applica la procedura legislativa ordinaria, e quindi gli accordi commerciali) previa approvazione del Parlamento. In quest’ultima disposizione vi è il diritto ad essere informato “immediatamente e pienamente in tutte le fasi della procedura negoziale”; la norma è rafforzata dall’art. 207, par.3, TFUE che impegna la Commissione a riferire periodicamente al Parlamento ed alla

39V. C. DI TURI, La strategia commerciale dell’Unione europea tra regionalismo

economico e multilateralismo: quale ruolo per gli accordi di libero scambio di nuova generazione?, in Studi sull’integrazione europea- Anno IX n.1, 2014, p. 81.

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Commissione per il commercio internazionale l’andamento dei negoziati in corso.

Pertanto, gli ALS nascono in concomitanza al sopra richiamato mutamento di rotta della politica commerciale europea e racchiuso nelle seguenti tre comunicazioni della Commissione:

- Europa globale 40,

- Europa 2020 41,

- Commercio, Crescita, Affari mondiali 42.

La Commissione, nella prima comunicazione, nel tentativo di rafforzare la posizione dell’UE all’interno del mercato mondiale, ha indirizzato la politica commerciale in due direzioni: da un lato, verso i negoziati commerciali multilaterali con i quali l’UE ribadisce il suo impegno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) ed al sistema di risoluzione delle controversie vigente in quell’ambito; dall’altro, verso gli ALS, che diventano mezzi

40Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al

Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 18.4.2007, Europa globale: un partenariato rafforzato per assicurare l’accesso ai mercati per gli esportatori europei, COM(2007) 183 definitivo; è reperibile al sito https://eur-lex.europa.eu/legal.

41Comunicazione della Commissione al Consiglio, del 5.3.2010, EUROPA 2020:

una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva,COM(2010) 2020 definitivo.

42Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al

Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni, del 9.11.2011, Commercio, crescita e affari mondiali: la politica commerciale quale componente essenziale della strategia 2020 dell'UE, COM(2010) 612 definitivo.

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di negoziazione ulteriori ed importanti per il raggiungimento di scopi e vantaggi commerciali aggiuntivi. 43

La Commissione europea è cosciente che gli ALS possono comportare dei “rischi potenziali ai negoziati multilaterali” (ad esempio la lesione del principio di non discriminazione o conseguenze negative alle economie più deboli), ma, in realtà, tale lesione ( o conflitto con gli obblighi previsti dall’OMC) dovrebbe risultare minima poiché gli ALS prevedendo la liberalizzazione sostanziale di tutti gli scambi (anche al di là dei confini dell’OMC) diventano la base giuridica per la liberalizzazione multilaterale.

Inoltre, per la conclusione dei nuovi ALS, la Commissione da rilevanza a fattori nuovi e di diverso tipo per l’avvio dei negoziati, quali:

1) le capacità di mercato del Paese contraente (ampiezza e crescita economica);

2) l’andamento del Suo mercato in relazione alle esportazioni dell’UE;

3) la presenza di rapporti commerciali tra il “futuro contraente” e i competitori diretti dell’UE.

I soggetti individuati dalla Commissione sono stati: i Paesi dell’ASEAN, del MERCOSUR, il Consiglio di cooperazione del Golfo, la Russia, la Corea e l’India.

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Nella seconda comunicazione “Europa 2020”, invece, la Commissione ha incentivato la conclusione degli accordi commerciali multilaterali e bilaterali in fase di attuazione. Nell’ultimo documento, “la comunicazione Commercio, Crescita, Affari mondiali” è evidente la predisposizione della Commissione per la conclusione di accordi bilaterali commerciali.

Gli ASL si caratterizzano per una disciplina molto più ampia ed articolata di quella dell’OMC (ad esempio in ambito della concorrenza, appalti pubblici, servizi, investimenti e proprietà intellettuale) e per questo motivo la Commissione sta incentivando la conclusione di queste tipologie di accordi. Ad oggi, gli accordi bilaterali “di nuova generazione” di libero scambio conclusi dall’UE sono i seguenti:

- l’Accordo con la Repubblica di Corea, in vigore dal luglio 2011;

- l’Accordo con il Perù- Colombia- Ecuador (conclusi per il Perù e la Colombia nel 2013, Ecuador nel 2017);

- l’Accordo con Singapore: l’ALS, diviso in due parti, è in attesa di adozione in sede di Consiglio. Le direttive di negoziato sono state adottate nel 2007 nel quadro dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico);

- l’Accordo commerciale con l’Ucraina (Deep and Comprehensive Free Trade Agreements);

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- l’Accordo con il Canada (Comprehensive Economic and Trade Agreement) in vigore dal 2016 e le direttive di negoziato nel 2009;

- l’Accordo con il Giappone: l’ALS è entrato in vigore il 1° febbraio 2019. Le direttive di negoziato sono state adottate nel 2012 e l’accordo ratificato a fine 2018;

Mentre trai i più importanti negoziati in corso, possono menzionarsi:

- l’Accordo con gli Stati Uniti (Transatlantic Trade and Investiment Partnership- TTIP) le cui direttive di negoziato iniziarono nel 2013;

- l’Accordo con i Paesi dell’ASEAN (Malesia, Vietnam e Thailandia);

- l’Accordo con il Marocco (Deep and Comprehensive Free Trade Agreement);

- l’Accordo con il Cile: sono in corso negoziati per la modernizzazione dell'ALS in vigore; le direttive di negoziato sono state adottate nel 2017;

- l’Accordo con l’Australia e con la Nuova Zelanda (in corso negoziati intesi a concludere un ALS; le direttive di negoziato sono state adottate nel 2018);

- l’Accordo Mercosur (negoziati relativi a un accordo commerciale, nel quadro dell'accordo di associazione, con il blocco commerciale sudamericano formato da

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