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Confronto delle risoluzioni temporali di due SiPM

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Academic year: 2021

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(1)

Alma Mater Studiorum · Università di Bologna

Scuola di Scienze

Dipartimento di Fisica e Astronomia Corso di Laurea in Fisica

Confronto delle risoluzioni temporali di due

SiPM

Relatore:

Prof.ssa Gilda Scioli

Correlatore:

Dott. Rosario Nania

Presentata da:

Lorenzo Bellettini

(2)
(3)

Indice

I

Abstract

3

1 Aspetti Teorici 5

1.1 Raggi Cosmici . . . 5

1.1.1 Cenni Storici . . . 5

1.1.2 Classificazione e definizione dei raggi cosmici . . . 5

1.2 Tubi fotomoltiplicatori . . . 8 1.2.1 Funzionamento . . . 9 1.2.2 Fotomoltiplicatori al silicio . . . 10 1.3 Scintillatori . . . 13 1.3.1 Funzionamento . . . 14 1.3.2 Tipi di scintillatori . . . 15 2 Esperienza in laboratorio 17 2.1 Obiettivi e introduzione . . . 17 2.2 Apparato sperimentale . . . 17 2.2.1 Telescopio . . . 18 2.2.2 Trigger . . . 18

2.2.3 Coincidenza e misure dei segnali dei PM . . . 20

2.2.4 Elettronica relativa ai SiPM . . . 21

3 Analisi dei dati 24 3.1 Procedimento . . . 24

(4)

II

Conclusioni

30

III

Ringraziamenti

32

(5)

Parte I

Abstract

(6)

Lo scopo di questa tesi è lo studio, mediante un telescopio per raggi cosmici, della risposta temporale di riveltori a scintillazione accoppiati a SiPM. In particolare sono stati confrontati due diversi modelli di SiPM della Hamamatsu. Questi rivelatori sono stati studiati al variare della tensione ed hanno permesso di raggiungere risoluzioni temporali dell’ordine dei 100 ps.

(7)

Capitolo 1

Aspetti Teorici

1.1

Raggi Cosmici

1.1.1

Cenni Storici

All’inizio del XX secolo vennero studiate le prime sostanze radioattive tramite strumen-ti che rivelavano la presenza di agenstrumen-ti ionizzanstrumen-ti nelle sostanze stesse. In seguito alle prime misure, peró, si notó che radiazioni venivano misurate nonostante l’assenza di so-stanze radioattive nelle vicinanze, perció si ipotizzò che sulla Terra fosse presente una radioattività naturale: ma da dove proveniva? Per rispondere a questa domanda i fisici effettuarono vari esperimenti, finchè nel 1910 Theodor Wulf, un prete gesuita, portó degli elettroscopi sulla Torre Eiffel, misurando una quantità di radiazioni maggiore del previ-sto. Egli fece l’ipotesi che questa radiazione fosse di origine extraterrestre, proponendo di fare delle misure a bordo di palloni aereostatici per verificare questa ipotesi. Ulteriori misure vennero effettuate tra il 1910 e il 1912, le più importanti vennero effettuate da Domenico Pacini e Victor Franzis Hess: Pacini scoprì che la radioattivitù diminuiva sot-t’acqua(1911), mentre Hess, tramite il suo celebre esperimento in mongolfiera, scoprì che la radioattivitù aumentava in funzione dell’altitudine(1912),confermando ció che diceva Wulf. Grazie agli studi compiuti fu possibile dimostrare che parte della radiazione era di natura extraterrestre: si scoprirono così i cosiddetti “raggi cosmici”, particelle che arriva-no da acceleratori cosmici, probabilmente buchi neri supermassicci e resti di superarriva-nova, a energie altissime. I raggi cosmici sono oggi in primo piano nella ricerca soprattutto grazie al nuovo campo d’indagine costituito dalla cosiddetta fisica astroparticellare, un settore interdisciplinare tra astrofisica, cosmologia e fisica delle particelle elementari.

1.1.2

Classificazione e definizione dei raggi cosmici

I raggi cosmici sono definiti come particelle subatomiche provenienti dallo spazio esterno all’atmosfera terrestre, e si suddividono in raggi cosmici primari e secondari.

(8)

Raggi cosmici primari

I raggi cosmici primari sono quelli che entrano nell’atmosfera dallo spazio, sono costituiti da protoni (per circa il 90%) e da nuclei di elio (quasi il 10%); tuttavia, anche elettroni ed altri nuclei leggeri, fotoni, neutrini ed in minima parte antimateria (positroni ed antiprotoni). Il loro spettro (numero di raggi incidenti per unità di energia, per unità di tempo, per unità di superficie,per steradiante) è ben descritto da una legge a potenza nella forma:

φ ∝ E−s (1.1)

Come si puó vedere dalla Fig(1.1) si ha s = 2.7 per valori dell’energia inferiori a 1015eV

, mentre per valori superiori dell’energia, s diventa 3.1; perció la curva diventa più ripida. Il punto in cui tale cambio di pendenza ha luogo viene denominato ginocchio. Per energie ancora più alte , 1018 − 1019 eV , lo spettro dei raggi cosmici torna ad

essere meno ripido, dando luogo ad un ulteriore cambio di pendenza che viene chiamato caviglia.Infine per E minori di 1010 eV è presente una regione affetta da "modulazione solare" che dipende dall’attività solare. La composizione dei raggi cosmici varia nel

Figura 1.1: Flusso di raggi cosmici in funzione dell’energia

percorso dalla sorgente alla Terra a causa delle interazioni con il mezzo interstellare che danno luogo alla produzione di molte altre particelle.

Raggi cosmici secondari

I raggi cosmici secondari sono quelli creati successivamente alle interazioni tra i raggi cosmici primari e l’atmosfera terrestre, La natura delle interazioni tra raggi cosmici e

(9)

l’atmosfera dipende sia dall’energia che dalla carica del raggio (Figura 1.2). I primi ad interagire sono i protoni, che interagendo generano pioni e frammenti di nuclei:

p + N −→ X + π0 (1.2) oltre ai pioni π0 posso avere anche pioni carichi (π+, π−). A questo punto il successivo decadimento è quello dei pioni stessi; i pioni sono mesoni che si possono trovare in tre stati diversi diversi di isospin, per poi decadere (a causa dell’instabilità) in muoni e neutrini muonici oppure radizione(fotoni), i decadimenti sono illustrati di seguito:

π+−→ µ++ ν

µ (1.3)

π0 −→ 2γ (1.4)

Successivamente a decadere sono i muoni:

µ+ −→ e+ν

µ+ νe (1.5)

µ− −→ e−ν

e+ νµ (1.6)

i muoni sono particelle più stabili, perciò costituiscono molta parte dei raggi cosmici. I raggi cosmici secondari sono formati da due componenti principali:

1. Componente molle (o soft):

(a) costituisce circa il 30% della radiazione;

(b) è dovuta alla cascata elettromagnetica a sua volta formata da elettroni,fotoni e in minima parte da protoni, kaoni e nuclei;

(c) trasporta la maggior parte dell’energia del primario che l’ha generata.

(d) deriva dalla radiazione di Bremsstrahlung che viene emessa quando i prodotti γ del decadimento di un pione π0 abbastanza energetico creano uno sciame elettromagnetico tramite le coppie e+ ed e.

2. Componente dura (o hard):

(a) costituisce circa il 70% della radiazione;

(b) è dovuta alla cascata adronica ed è essenzialmente formata da muoni;

Il flusso medio delle particelle cariche che compongono la radiazione, vale a dire il numero di particelle che nell’unità di tempo e nell’unità di superficie orizzontale raggiun-gono il livello del mare dall’alto, per particelle di energia dell’ordine del GeV, è stimato essere dell’ordine di

(10)

Le particelle che compongono la radiazione sono molto energetiche. Si stima che il flusso medio a livello del mare abbia un’energia media di 3 GeV.

Sciami di raggi cosmici

Dopo queste interazioni vengono creati i cosiddetti sciami di raggi cosmici,ovvero delle cascate di particelle generate dalle interazioni dei raggi cosmici.

Lo sciame ha tre componenti: 1. Elettromagnetica;

2. Muonica;

3. Adronica.

Il nucleo di adroni (ad alta energia) alimenta la parte elettromagnetica, che a sua volta deriva da fotoni ottenuti dai decadimenti di pioni neutri. I nucleoni e gli adroni ad alta energia danno il contributo allo sciame adronico, mentre il decadimento dei kaoni e dei pioni carichi (a bassa energia) contribuisce allo sciame muonico(Quasi tutti i pioni decadono in volo prima di giungere sulla superficie terrestre).

Figura 1.2: Processi che avvengono nell’atmosfera al passaggio dei raggi cosmici

1.2

Tubi fotomoltiplicatori

I tubi fotomoltiplicatori sono rivelatori elettronici di luce estremamente sensibili nell’ul-travioletto, in luce visibile e nel vicino infrarosso. Questi dispositivi possono arrivare

(11)

a rivelare un solo fotone, questa funzione è sfruttata tramite l’accoppiamento tra il fotomoltiplicatore e uno scintillatore.

Figura 1.3: Accoppiamento tra fotomoltiplicatore e scintillatore

1.2.1

Funzionamento

I fotomoltiplicatori si basano su due principi:

1. Effetto fotoelettrico;

2. Emissione secondaria.

Effetto fotoelettrico

In fisica l’effetto fotoelettrico è un fenomeno caratterizzato dall’emissione di elettroni da una superficie, solitamente metallica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica, ossia da fotoni aventi una certa lunghezza d’onda. Le radiazioni elet-tromagnetiche comportano un flusso di energia, veicolata dalla luce,che viene assorbita dagli elettroni del metallo e trasformata in energia cinetica, perciò gli elettroni vengono espulsi dal metallo.

Emissione secondaria

L’ emissione secondaria è un fenomeno fisico dove delle particelle incidenti,quando col-piscono una superficie, inducono l’emissione di altre particelle. Nel caso di fotomol-tiplicazione della corrente elettronica questo effetto causa una sua amplificazione. Il fotomoltiplicatore è costituito da un tubo in vetro al cui interno c’è il vuoto e alcuni componenti che permettono l’emissione secondaria e l’effetto fotoelettrico. Nell’ingresso

(12)

Figura 1.4: Emissione di elettroni da un materiale tramite effetto fotoelettrico

del tubo c’è un fotocatodo, che è colpito dai fotoni generati dallo scintillatore, che trami-te effetto fotoelettrico genera elettroni. Questi elettroni sono focalizzati da un elettrodo verso lo stadio di moltiplicazione, composto da una serie di dinodi caricati con poten-ziali man mano crescenti. Il primo elettrone emesso per effetto fotoelettrico subisce una accelerazione a causa del campo elettrico generato dalle differenze di potenziale tra i dinodi,acquisendo ulteriore energia cinetica. Quando l’elettrone colpisce il primo dinodo provoca l’emissione secondaria di diversi elettroni di minore energia, poi con un effetto a cascata questo effetto viene applicato anche agli altri dinodi. Al termine della sequenza di elettrodi gli elettroni colpiscono un anodo, ed un rapido impulso elettrico indica il rilevamento del fotone. I fotomoltiplicatori devono essere schermati magneticamente, in quanto un campo magnetico esterno (anche quello terrestre) può deviare il percorso degli elettroni al suo interno. Solitamente la schermatura è costituita da uno strato di Mu-metal.

1.2.2

Fotomoltiplicatori al silicio

I fotomoltiplicatori al silicio (SiPM) sono rivelatori costituiti da un substrato di silicio, sulla quale sono impiantate matrici di fotodiodi multipixel a semiconduttore, i quali la-vorano tramite effetto valanga. Per i SiPM si hanno dai 10 ai 10000 pixel ogni millimetro quadro.

Funzionamento

I fotodiodi a semiconduttore sono chiamati SPAD (Single Photon Avalanche Diode) e fungono da contatori binari, quindi o rivelano, o non rivelano la particella, questa modalità viene chiamata Geiger ed è accompagnata da una resistenza di quenching. La modalità Geiger è caratterizzata da una tensione di polarizzazione inversa VBIAS sempre

maggiore della tensione di breakdown, in modo tale da avere un guadagno di 106 , molto

(13)

Figura 1.5: Matrice di SPAD connessi in parallelo

La funzione della resistenza di quenching è quella di spegnere la valanga rendendo la tensione effettiva minore della tensione di breakdown. Gli SPAD sono giunzioni p-n, e vengono polarizzati inversamente, sono caratterizzati da strati di silicio drogati in modo differente, come si vede in Figura (1.6).

Figura 1.6: Struttura di uno SPAD

Gli strati dello SPAD sono drogati in modo asimmetrico, ogni strato verrà descritto nel seguente elenco:

1. Un primo strato che funge da protezione;

2. Strato drogato n+ caratterizzato da un alto numero di ioni donatori;

3. Depletion region tra lo strato n+ e lo strato p, dove il campo elettrico è molto

intenso. In questa zona avviene la moltiplicazione.

(14)

5. Strato poco drogato denominato con π dove vengono create le coppie elettone-lacuna secondarie. Questo strato è caratterizzato da un basso campo elettrico, ed ha uno spessore dell’ordine del µm ;

6. Strato p+ che funge da substrato.

Il funzionamento generale è il seguente: se l’energia di un fotone incidente è maggiore di quella del gap tra la banda di conduzione e quella di valenza, allora a causa dell’effet-to fodell’effet-toelettrico viene generadell’effet-to una coppia di elettrone-lacuna primaria all’interno della depletion region tra n+ e p. Il campo elettrico l’elettrone raggiunge la zona n+, mentre

la lacuna raggiunge la zona p. Quando l’elettrone passa nel p implant il campo elettrico molto intenso provoca la valanga e avviene la moltiplicazione. Fotoni incidenti con una lunghezza d’onda compresa nello spettro del visibile sono indicati per i SiPM utilizzati per questo lavoro di tesi.

Caratteristiche dei SiPM

I SiPM posseggono alcuni vantaggi e svantaggi in confronto ai fotomoltiplicatori tradi-zionali:

1. Vantaggi:

(a) Hanno bisogno di poca tensione per funzionare correttamente; (b) I campi magnetici non influenzano il loro funzionamento;

(c) Si possono conteggiare i fotoni in ingresso.

2. Svantaggi:

(a) Rumore termico statistico (o di buio) alto, infatti il rumore viene amplificato esattamente come i segnali corretti;

(b) La superficie attiva è piccola.

I Fotomoltiplicatori al silicio sono caratterizzati da un’ alta efficienza nel rilevamento dei fotoni, questa caratteristica è data dal rapporto tra il numero di fotoni rivelti e il numero di fotoni incidenti.

Quando un SiPM rivela un segnale, nella depletion region avviene la conversione di un fotone in una o più coppie elettrone-lacuna; il numero medio di coppie primarie generate viene chiamato efficienza quantica (QE), questo valore dipende dalla lunghezza d’onda del fotone λ. Oltre a questo fattore i SiPM sono caratterizati da altri due fattori:

1. Fill factor (eg);

(15)

Per quanto riguarda il fill factor, si puó dire semplicemente che dipende in modo diretto dal seguente rapporto:

eg =

AreasensibileSiP M

AreatotaleSiP M

(1.7)

Per quanto riguarda la probabilitù di breakdown, invece, dipende sia dal tipo di carica (elettrone o lacuna) sia dal valore del campo elettrico E. Questi due fattori, insieme alla QE possono essere messi in relazione per ricavare il valore di efficienza nel rilevamento dei fotoni PDE:

P DE = QE · eg· pBD (1.8)

La PDE puó calare a causa di alcuni fenomeni:

1. Il tempo di recupero di una cella dopo una valanga potrebbe causare la mancata rivelazione di altri fotoni;

2. La riemissione o l’assorbimento di fotoni sulla finestra d’ingresso possono causare una mancata rivelazione.

Figura 1.7: Caratteristica della PDE in funzione della lunghezza d’onda

1.3

Scintillatori

Uno scintillatore è un materiale che emette un impulso di luce dopo il passaggio di una particella carica. Vengono accoppiati a fotomoltiplicatori, e quando la particella attraversa il materiale scintillatore, questo emette fotoni,che verranno poi elaborati dal fotomoltiplicatore accoppiato per dare un segnale finale di tipo elettrico.

(16)

Figura 1.8: Accoppiamento tra fotomoltiplicatore e scintillatore

1.3.1

Funzionamento

La scintillazione inizia al passaggio di una particella carica, questa eccita gli atomi e le molecole dello scintillatore che diseccitandosi permettono l’emissione della luce (il segnale di uscita è proporzionale all’energia di eccitazione). La proprietà principale degli scintillatori è la luminescenza, ovvero la capacità di assorbire energia e di emettere poi luce. Questa emissione può avvenire con tempistiche differenti a seconda del materiale, nel particolare si hanno due tipi di emissione:

1. Fluorescenza: se l’emissione di luce avviene in tempi molto brevi (10−8s) dopo l’assorbimento;

2. Fosforescenza: se l’emissione di luce avviene in tempi più lunghi (da qualche µs a qualche ora) dopo l’assorbimento.

Per la sperimentazione in fisica delle particelle viene sfruttata la fluorescenza del materiale, perchè fornisce informazioni in tempi brevi, inoltre è anche la caratteristica dominante del materiale. Il numero di fotoni emessi dal materiale in funzione del tempo è descritto dalla seguente equazione:

N = e(−t/τd)· N

0/τd (1.9)

Dove N0 è il numero totale di fotoni emessi. Perció l’andamento della luce emessa cala

esponenzialmente con una costante di decadimento τd. Andando nello specifico esistono

tempi di decadimento differenti, una per la fluorescenza e una per la fosforescenza, messe in relazione per trovare il numero di fotoni emessi al tempo t:

N = e−t/τgA + e−t/τfB (1.10)

Dove A e B invece sono coefficienti relativi al materiale che si sta utilizzando, questi coefficienti variano la percentuale di fotoni emessi per fluorescenza o fosforescenza. Le due componenti relative alla fluorescenza e alla fosforescenza hanno un andamento nel tempo descritto dal grafico in Figura (1.9), dove la componente fosforescente è descritta dalla linea nera (parte lenta) e corrisponde al contributo minimo rispetto al totale, mentre

(17)

la componente fluorescente è descritta dalla linea blu(parte veloce), e corrisponde alla parte che dà maggior contributo al numero totale di fotoni emessi al tempo t. Per uno scintillatore posso calcolare l’effetto di attenuazione sull’intensità della luce iniziale I0

dopo una distanza x per una lunghezza d’onda λ:

I = I0e−x/λ (1.11)

Figura 1.9: Andamento esponenziale dell’emissione di luce di uno scintillatore sia totale sia nelle sue due componenti (veloce e lenta)

L’equazione di Bethe-Block consente di calcolare l’energia media persa per unità di lunghezza da particelle cariche attraverso lo scintillatore:

−dE dx = 2πNAre2mec2ρZz2(ln(2meγ 2v2T m I2 ) − 2β2− σ/2) Aβ2 (1.12)

dove re é il raggio classico dell’elettrone, me la sua massa, NA numero di Avogadro, I

il potenziale di ionizzazione, Z il numero atomico del materiale assorbente, A la massa atomica del materiale, ρ la densità, z la carica della particella entrante ed infine γ è il fattore di Lorentz. Tm è l’energia massima trasferita a un elettrone in una singola

collisione e σ la correzione dell’effetto di densità.

1.3.2

Tipi di scintillatori

Esistono tantissimi materiali scintillanti, ma non tutti sono adatti per costruire appara-ti sperimentali. Un buon scinappara-tillatore deve avere determinate caratterisappara-tiche per essere utilizzato, un’alta efficienza per convertire l’energia di eccitazione in fluorescenza è fon-damentale per una buona misura, esattamente come la proprietà di avere un tempo di

(18)

decadimento piccolo oppure la proprietà di emettere una luce, con un lunghezza d’onda adeguata per un fotomoltiplicatore. Tutti gli scintillatori fanno parte di due famigie principali: scintillatori organici e scintillatori inorganici ( entrambe le tipologie possono essere utilizzate in ambito sperimentale).

Scintillatori organici

Gli scintillatori organici possono essere di tre tipologie diverse:

1. Plastici (i più comuni)

2. Liquidi

3. Cristallini

La caratteristica principale che caratterizza gli scintillatori organici è la velocità di emis-sione della luce. In questi composti la luce di scintillazione deriva da transizioni degli elettroni di valenza liberi delle molecole. Per gli scintillatori cristallini il processo di fluo-rescenza è dovuto all’interazione di una singola molecola con la particella incidente, che eccita stati rotazionali e vibrazionali, provocando transizioni elettroniche degli elettroni di valenza (hanno una risposta di circa un nanosecondo). Per quanto riguarda gli scin-tillatori liquidi (quindi in soluzione) il funzionamento è lo stesso di quello dei cristallini, con la differenza che la fase è liquida. Le prestazioni dipendono dalla purezza e dalla concentrazione della soluzione. Gli scintillatori plastici invece sono simili ai precedenti, ma costituiti da un solvente solido, e di facile lavorazione.

Scintillatori a cristalli inorganici

Negli scintillatori inorganici il tempo di risposta è molto più lungo rispetto gli scintilla-tori organici, il che li rende particolarmente adatti a rivelare radiazione penetrante con un’alta efficienza. La struttura del cristallo forma delle bande energetiche (banda di conduzione e banda di valenza), separate da un gap energetico. La particella da rive-lare cede dell’energia a un elettrone che può passare dalla banda di valenza alla banda di conduzione,perció si forma una coppia elettrone-lacuna. In seguito l’elettrone perde energia e si diseccita, tornando nella banda di valenza ed emettendo un fotone.

(19)

Capitolo 2

Esperienza in laboratorio

2.1

Obiettivi e introduzione

L’obiettivo principale di questa esperienza è quello di confrontare due modelli di SiPM della Hamamatsu: modello A, più vecchio, e modello B, più nuovo. A tal proposito si è confrontata la risoluzione temporale σ per diverse tensioni, ricavata da fit di istogrammi per stabilire quale tra i due modelli fosse il migliore.

2.2

Apparato sperimentale

Per quanto riguarda l’apparato sperimentale sono stati utilizzati numerosi strumen-ti di misura, ed un readout basato su moduli di strumen-tipo Camac(Computer Automated Measurement And Control).

L’apparato sperimentale utilizzato è il seguente:

1. Oscilloscopio LeCroy 454 (500MHz, 2Gb/s):

2. Scheda FEA (ALICE TOF NINO2468, 24 Channel Amplifier-Discriminator);

3. 2 Fotomoltiplicatori PM1 e PM2 R5900 a sinolo pad (hamamatsu);

4. 1 SiPM S12572-050P(X) (modello A) serial A0014 hamamatsu mppc (vecchio SiPM) VOP = 68.05V olt, Dark = 878.8k;

5. 1 SiPM S13360-3050VE (modello B) serial 3444 hamamatsu mppc (nuovo SiPM) VOP = 54.33V olt, Id = 0.21µA;

6. 2 Scintillatori da accoppiare con i due PM (2,5x2,5x1 cm3);

(20)

8. Adattatore per convertire segnali LVDS in NIM;

9. Scheda Logic Unit ;

10. Scheda Dual Timer;

11. Scheda TDC;

12. Scheda CIA;

13. 2 Alimentatori TDK-Lambda ([0-100]Volt, [0-2]Ampere);

14. Multimetro T053.

2.2.1

Telescopio

Il telescopio per raggi cosmici è stato realizzato accoppiando due scintillatori esterni letti da fotomoltiplicatori tramite guide di luce e uno scintillatore tra i due precedenti con i SiPMs.

Figura 2.1: Telescopio utilizzato per l’esperienza:(1) Scintillatore per il PM; (2) Scintillatore con i SiPM attaccati; (3) PM; (4) Guida di luce.

I due scintillatori letti dai PMs caratterizzano il trigger del sistema e definiscono il passaggio del raggio cosmico, mentre lo scintillatore accoppiato con i due SiPM (di tipo A e di tipo B) definisce l’oggetto da studiare.

2.2.2

Trigger

(21)

Figura 2.2: Schema a blocchi del circuito utilizzato.

La Figura(2.3) è relativa al crate CAMAC ed ai moduli di readout al suo interno.

Figura 2.3: Trigger per i due PM: (1)Discriminatore; (2)Fan-inFan-out; (3) Logic Unit; (4)Dual Timer; (5)Scheda di delay; (6) seconda Dual Timer.

I due PM sono alimentati a −800 Volt e sono collegati agli scintillatori attraverso una guida di luce. I segnali dei due PMs sono inviati ciascuno ad un discriminatore che trasforma il segnale analogico in digitale usando una soglia impostabile. La funzione

(22)

principale del discriminatore è quella di campionare solo le tensioni che oltrepassano la linea di soglia del discriminatore stesso (settata a −30mV ) in modo da dare o uno zero logico NIM (0 Volt) oppure un uno logico NIM (−1Volt) e far andare questi due segnali verso la seconda scheda utilizzata, la Logic Unit.L’uscita del discriminatore è a durata fissa (15 ns).

La Logic Unit,ha il principale scopo di fare da AND logico (in questo caso) tra i due segnali che gli arrivano in ingresso. La Logic Unit ha come inputs due segnali NIM dai discriminatori e un comando settabile che permette di cambiare la tipologia di porta logica che si vuole utilizzare all’interno della scheda. Nel nostro caso la porta logica utilizzata è la AND. Posto il fatto che i segnali NIM uscenti dal Discriminatore hanno la stessa width, allora la coincidenza viene fatta tramite la sovrapposizione dei due segnali, che quando si sovrappongono almeno in una zona, allora il segnale in uscita dalla Logic Unit sarà un uno logico, altrimenti sarà uno zero logico. La Logic Unit ha tre uscite, una di queste viene collegata allo start della scheda successiva, la Dual Timer, questa non restituisce un segnale NIM con ampiezza pari al precedente, bensì un segnale di ampiezza fissa dato da una width settata, quindi in uscita dalla Dual Timer avró un segnale di larghezza fissa (2 secondi) che verrà collegato alla Logic Unit per creare un VETO, ossia una condizione che impedisce l’arrivo di un altro segnale durante l’acquisizione dei dati con gli altri moduli.

2.2.3

Coincidenza e misure dei segnali dei PM

Gli strumenti usati per la caratterizzazione dei segnali sono solamente due: la scheda CIA e la scheda TDC.

La seconda uscita di trigger della Logic Unit viene collegata direttamente allo start del TDC, il quale ha 8 canali utilizzabili per il calcolo di tempi. Il TDC ha un fondo scala di 103 ns, e quando arriva un segnale allo start, fa partire gli 8 cronometri. Questi si fermano quando arriva su uno di questi canali un segnale NIM diverso dallo zero (se fermo un cronometro gli altri continuano a contare comunque). La misura che si ottiene è una parola di 12 bit, dove il LSB (Least Significant Bit) vale 25 ps, quindi se la misura è per esempio 10 decimale, ottengo 250ps.

Due canali del TDC sono collegati ai Discriminatori dei PMs ed i segnali arrivano con un ritardo di alcuni nsec rispetto allo start.

L’ultima uscita della Logic Unit è collegata all’ultimo strumento di misura, ovvero la scheda CIA, che svolge il compito di calcolare la carica dei segnali campionati. Il CIA ha 16 canali, ognuno dei quali calcola l’area della curva del segnale che gli arriva in ingresso (l’area di questi segnali corrisponde alla carica) tramite un integrale; gli estremi di integrazione dell’integrale sono dati dal gate del CIA, quindi quando il gate ha un segnale logico NIM = uno allora il CIA integra. Tramite un’altra Dual Timer posso settare l’ampiezza del gate, in questo caso è stata settata a 300 ns (questo valore è stato scelto in base a prove fatte sui fotomoltiplicatori). Se al CIA arriva un segnale

(23)

di coincidenza dalla Logic Unit ad un tempo t, allora il CIA inizierà ad integrare da un istante t + 70ns fino all’istante 300ns + 70ns + t (dove 70ns è il ritardo iniziale del CIA per iniziare ad integrare la carica). Come per il TDC sono stati messi dei delay di allineamento temporale tra i canali del CIA (collegati ai segnali analogici) e il gate del CIA. Con il setup appena spiegato sono state effettuate misure sui due PM e sulla loro coincidenza.

Figura 2.4: Strumenti di misura e Controller del Camac :(1) CIA; (2) TDC; (3)Controller;(4)Cavo Lan per il controllo remoto.

2.2.4

Elettronica relativa ai SiPM

Per quanto riguarda il setup per le misure dei SiPM si fa riferimento al seguente circuito:

(24)

questo circuito permette di dare come input alla scheda FEA-NINO solamente varia-zioni di tensione. Quando lo scintillatore emette i fotoni,e questi arrivano sui SiPM si genera una variazione di corrente sul circuito precedente, e quindi variazioni di tensione sulle resistenze. Il segnale va quindi ad una scheda che contiene il chip NINO, un chip di altissime prestazioni che permette un’amplificazione e discriminazione dei segnali.

Figura 2.6: Scheda FEA utilizzata per le misure con i SiPM; (1) Processore NINO; (2) Circuito differenziale; (3)Uscita del sistema.

Il NINO ha una soglia da impostare (esattamente come i discriminatori, il suo set è stato scelto dopo prove con l’oscilloscopio) e quando la variazione di tensione supera questa soglia, il NINO manda in output un uno logico in formato LVDS. In sostanza le funzioni del NINO sono due, prima di tutto amplifica il segnale di ingresso, poi fa da discriminatore tramite Time Over Treshold (quindi il segnale in uscita non ha una width settata, ma dipende da quello di ingresso), ed infine trasmette il segnale finale in LVDS. Questo segnale verrà poi convertito in NIM e viene indirizzato, con opportuni ritardi, verso due canali del TDC.

Il segnale TOT convertito in NIM viene attenuato (ridotto al 17%) e integrato dal CIA. La misure di carica è meno fedele in quanto viene integrato il TOT invece del segnale analogico orginario, ma nel contempo il NINO ha un’ottima velocità di discriminazione, rendendo la misura del suo tempo più precisa.

(25)
(26)

Capitolo 3

Analisi dei dati

Per l’acquisizione dati è stato utilizzato il programma LabView , utilizzando la scheda Controller del Crate. Il programma LabView prendeva dati in ingresso ogni volta che un cosmico veniva rivelato, scrivendo in un documento .txt sia il valore di carica (in parole da 12 bit) sia il valore del tempo di propagazione (in ps). Tutti i dati sono stati analizzati usando programi di Root. La presa dati è avvenuta per 5 differenti valori di overvoltage, per avere un quadro completo del comportamento di entrambi i SiPM.

3.1

Procedimento

3.1.1

Selezioni e correzioni dei dati

Le selezioni relative ai due PMs quindi sono state effettuate sia per le cariche sia per i tempi ottenuti dalla presa dati . La distribuzione delle perdite di energia delle particelle è una curva Landau come quella in figura (3.1), perciò eventuali misure molto distanti da questa curva sono state subito scartate. Le misure di cariche troppo basse (<450 canali1) sono state scartate. Per quanto riguarda le selezioni dei tempi, è stato stabilito

il tempo td con cui un cosmico dovrebbe passare nei due PMs:

td=

dP M s

c (3.1)

dove c è la velocità della luce, mentre dP M s è la distanza tra i due PMs (circa 3cm). Con

questo calcolo è stato stabilito un range temporale di 200ps entro cui i tempi dei due PMs devono essere presenti.

Dopo aver effettuato il primo filtraggio dei dati è stata effettuata una correzione di time slewing utilizzando il grafico tempi-cariche per ogni PM: questa correzione tiene

(27)

Figura 3.1: Istogramma delle perdite di energia misurate da un PM.

conto della diversa risposta temporale del discriminatore in funzione della carica del segnale.

Figura 3.2: Grafico Tempo-Carica di un PM.

Quando tutti i dati sono stati sottoposti al time slew,per ogni evento il tempo di passaggio del cosmico è stato ottenuto dalla media t0 dei tempi dei due PMs. Tramite

istogrammi sui tempi è stata ricavata la risoluzione temporale media tra i due PMs σP M s.

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caso precedente, eliminando le misure incompatibili con la curva di Landau rappresentata in figura(3.3).

Figura 3.3: Istogramma delle cariche di un SiPM.

Le misure sui SiPM sono state fatte a 5 tensioni di overvoltage,partendo dal valore iniziale di 54.8V (+ 0.5V di overvoltage) per il SiPM B, e dal valore di 68.6 (+ 0.5V di overvoltage) per il SiPM A. Per entrambi i SiPM è stata aumentata la tensione di 1 Volt alla volta fino a raggiungere un valore di overvoltage di +4.5V.

(29)

Figura 3.4: Grafico Tempo-Carica di un SiPM.

Dopo aver fatto la selezione delle cariche, è stata fatta la da sottrazione tra i tempi misurati per i SiPM e t0.

t = tSiP M − t0 (3.2)

In seguito è stata effettuata una correzione di time slewing utilizzando il grafico tempi-cariche per i SiPM (figura 3.4) per correggere la differenza temporale data dal NINO in funzione della carica del segnale. Il risultato della correzione è quello rappresentato nella figura (3.5)

(30)

Figura 3.5: Grafico Tempo-Carica di un SiPM dopo il time slewing.

In questo modo otteniamo i nuovi tempi per i SiPM corretti dal time slew, l’analisi di questi tempi ci permette di ricavare la risoluzione temporale totale del sistema σT OT

ricavata tramite istogramma come in figura.

Figura 3.6: Istogramma dei tempi t dopo il time slewing.

(31)

σP M s a σT OT come descritto dalla formula:

σSiP M =

q

σ2

T OT − σP M s2 (3.3)

Lo stesso procedimento è stato effettuato per tutte e 5 le acquisizioni fatte a diversi valori di tensione e per entrambi i SiPM. Tutte le risoluzioni temporali dei due SiPM a diverse tensioni sono state inserite nella tabella seguente:

σ SiPM B (ps) σ SiPM A (ps) +0.5 OV 151 ± 4 117 ± 4 +1.5 OV 126 ± 5 96 ± 5 +2.5 OV 122 ± 5 114 ± 5 +3.5 OV 121 ± 5 163 ± 5 +4.5 OV 133 ± 5 194 ± 5

L’errore scritto nella tabella è stato stimato tenendo conto degli errori dati da Root e dalle fluttuazioni della risoluzione legate ai differenti range di valori usati per fil-trare i dati. Il plot in figura (3.7) mette in relazione le σSiP M ottenute in funzione

dell’overvoltage.

Figura 3.7: Plot di confronto tra le risoluzioni dei SiPM a diverse tensioni.

Il SiPM A è caratterizzato da una migliore risoluzione rispetto al SiPM B per valori di overvoltage fino a +2.5V, con valori più alti invece è viceversa. Il SiPM B ha però una miglior uniformità nei valori di risoluzione, anche in range di tensione ampi.

(32)

Parte II

Conclusioni

(33)

Lo scopo di questa tesi è stato lo studio della risposta temporale di scintillatori ac-coppiati direttamente a due diversi modelli di SiPM della Hamamatsu: S12572-050P(X) (SiPM A) e S13360-3050VE (SiPM B ). In particolare il SiPM B, grazie a tecniche di produzione più recenti ed avanzate, presenta una maggiore efficienza e guadagno ed al contempo un rumore (dark count ) inferiore. Le misure sono state effettuate mediante un telescopio per raggi cosmici basato su due rivelatori a scintillazione accoppiati a fotomol-tiplicatori (PM), che fornivano il trigger ed il tempo zero dell’evento; il terzo rivelatore a scintillazione sotto studio è stato posto tra i due precedenti ed accoppiato mediante semplice grasso ottico ai SiPM. Le risoluzioni temporali dei due SiPM + scintillatore so-no stati studiati per diverse tensioni di bias. Risultati preliminari mostraso-no che mentre il SiPM A ha raggiunto risoluzioni dell’ordine dei 100 ps il SIPM B non ha raggiunto risoulzioni inferiori ai 120 ps per alcuna tensione. Ad ogni modo, un confronto sull’anda-mento della risoluzione al variare del voltaggio applicato, mostra una zona di lavoro più ampia per i SiPM B ed una maggiore stabilità della risposta temporale per variazioni di tensione. Ulteriori studi sono necessari per andare a confermare questi andamenti; se confermati, nonostante le migliorie dei SiPM B, in termini di risoluzioni temporali i SiPM A saranno da preferire.

(34)

Parte III

(35)

Ringrazio prima di tutto la prof.ssa Gilda Scioli, il dott. Rosario Nania, il prof. Mau-rizio Basile, la dott.ssa Francesca Carnesecchi e Daniele Cavazza, per la loro pazienza e disponibilità, per avermi insegnato tanto e soprattutto per avermi permesso di fare questa esperienza in laboratorio. Un immenso grazie.

Ringrazio la mia famiglia, che mi è seEpre stata vicino per questi tre anni, nonostante le difficoltà. Non mi avete aiutato con la tesi, ma mi avete dato una mano per tutto il resto a modo vostro, grazie infinite.

Ringrazio tutti gli amici dell’università, per il vostro aiuto, per la vostra compagnia e amicizia,grazie per le giornate che mi avete dedicato nonostante i mille impegni. Senza di voi non ce l’avrei Fatta.

Ringrazio gli amici di Casalborsetti, che sono sempre pronti a darmi una mano, per qualsiasi cosa, e che, nonostante la disTanza, sento sempre vicini.

Ringrazio i miei due coinquilini che mi hanno sopportato e supportato per questo mio terzo anno lunghissimo, non pOtevo chiedere di meglio.

Ringrazio il CZ e i suoi proprietari, che mi haNno permesso di lavorare per mante-nermi gli studi qui a Bologna.

Ringrazio i dipendenti e gli ex dipendEnti del CZ, amici veri che mi hanno sempre supportato e che mi sono stati vicini anche nel lavoro, insegnandomi come lavorare.

Ringrazio tutti i miei parenti e parenti acquiSiti.

Ringrazio la musica metal, senza di essa non avrei passato alcun esame, grazie.

Ringrazio Christopher Nolan e il suo film ”Interstellar” che mi ha fatto iscrivere a questo corso di laurea.

(36)

Parte IV

Bibliografia

(37)

[1] http://www.roma1.infn.it/exp/nemo/AHEN/Thesis/IreneDiPalma/Capitolo1.pdf

[3] http://www.fisica.uniud.it/deangeli/test/giornaledifisica3.pdf

[4] Particle Astrophysics (Second Edition), D.H.Perkins, 2009, OUP Oxford

[5] http://hep.fi.infn.it/FOC/didattica/fisica/rivelatori/lezione14.pdf

[6] https://www.azosensors.com/article.aspx?ArticleID=865

[7] https://www.physi.uni-heidelberg.de

[8] http://physicsopenlab.org

[9] Y. Benhammou, P. Depasse, M. Goyot, B. Ille, E. Linard, F. Martin, Y.Musienko, D. Si Mohand,"Investigation of Avalanche Photodiodes”, CMS TN/96-052, (1996).

[10] J.Millman and A. Grabel. "Microelettronica" McGraw -Hill, 1995

[11] Datasheet Gali 5, www.mini-circuits.com

[12] Scheda tecnica MPPC Hamamatsu

[13] L’enigma dei raggi cosmici, A. de Angelis, 2012, Springer.

[14] W.R.Leo , Techniques for nuclear and particle physics experiments, 1994, Sprin-ger

Figura

Figura 1.1: Flusso di raggi cosmici in funzione dell’energia
Figura 1.2: Processi che avvengono nell’atmosfera al passaggio dei raggi cosmici
Figura 1.3: Accoppiamento tra fotomoltiplicatore e scintillatore
Figura 1.4: Emissione di elettroni da un materiale tramite effetto fotoelettrico
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Riferimenti

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