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Preparazione e caratterizzazione di nanoparticelle polimeriche per il rilascio di peptidi ad attivita antimicrobica

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in

Biotecnologie Molecolari e Industriali

Tesi di Laurea

“Preparazione e caratterizzazione di nanoparticelle polimeriche

per il rilascio di peptidi ad attività antimicrobica”

Relatori Candidata

Prof.

ssa

Giovanna Batoni Lucia Grassi

Prof.

ssa

Federica Chiellini

Dott.

ssa

Anna Maria Piras

(2)

II

SOMMARIO

RIASSUNTO ... IV ABSTRACT ... V

1. INTRODUZIONE ... 1

1.1. La resistenza agli antibiotici ... 1

1.1.1. Meccanismi di acquisizione e di insorgenza della resistenza ... 1

1.1.2. Nuovi farmaci antimicrobici in studio ... 3

1.2. I peptidi antimicrobici ... 4

1.2.1. Caratteristiche strutturali e meccanismo d’azione ... 4

1.2.2. Potenzialità in campo biomedico ... 9

1.2.3. Limiti dell’applicabilità terapeutica ... 11

1.3. Sistemi per il drug delivery ... 13

1.3.1. Rilascio mirato e controllato di farmaci ... 13

1.3.2. Nanosistemi per il rilascio modificato di farmaci ... 14

1.4 Nanoparicelle polimeriche ... 17

1.4.1. Polimeri utilizzati nella formulazione di nanoparticelle ... 17

1.4.2. Metodi di preparazione ... 20

1.4.3. Meccanismi di rilascio del farmaco ... 23

1.4.4. Strategie di targeting ... 24

2. SCOPO DELLA TESI ... 27

3. MATERIALI E METODI ... 28

3.1. Materiali ... 28

3.1.1. Solventi e reagenti ... 28

3.1.2. Materiali per colture cellulari ... 30

3.1.3. Materiali per colture microbiche ... 31

3.1.4. Strumentazione ... 32

3.2. Preparazione di nanoparticelle di chitosano bianche e caricate con temporina ... 34

3.3. Liofilizzazione dei campioni nanoparticellari ... 34

3.4. Caratterizzazione chimico-fisica delle nanoparticelle ... 34

(3)

Sommario

III

3.4.2. Analisi di potenziale ζ ... 35

3.5. Valutazione del caricamento della temporina ... 35

3.6. Valutazione della cinetica di rilascio della temporina ... 37

3.7. Saggio di citotossicità ... 37

3.7.1. Congelamento e scongelamento delle cellule ... 37

3.7.2. Colture cellulari ... 37

3.7.3. Valutazione della citotossicità mediante saggio WST-1 ... 38

3.8. Saggi di attività antibatterica ... 39

3.8.1. Coltivazione e conservazione dei ceppi batterici ... 39

3.8.2. Valutazione dell’attività antibatterica delle nanoparticelle ... 39

3.8.3. Valutazione dell’attività antibatterica di analoghi sintetici della temporina ... 40

3.9. Saggio di emolisi ... 41

3.10. Analisi statistica ... 42

4. RISULTATI E DISCUSSIONE ... 43

4.1. Preparazione di nanoparticelle a base di chitosano e tripolifosfato ... 43

4.2. Caratterizzazione delle nanoparticelle ... 46

4.2.2. Valutazione del caricamento della temporina ... 48

4.2.3. Valutazione della cinetica di rilascio della temporina ... 49

4.3. Valutazione della citocompatibilità delle nanoparticelle ... 50

4.4. Valutazione dell’attività antibatterica delle nanoparticelle ... 52

4.4.1. Messa a punto del saggio di batteriocidia ... 52

4.4.2. Cinetica dell’attività battericida delle nanoparticelle ... 54

4.5. Screening di analoghi sintetici della tempo ... 56

5. CONCLUSIONI ... 59

(4)

IV

RIASSUNTO

Le problematiche associate al trattamento delle infezioni sostenute da microrganismi resistenti agli antibiotici hanno orientato l’interesse della ricerca scientifica verso l’identificazione di agenti antimicrobici innovativi. Negli ultimi anni, i peptidi ad attività antimicrobica hanno attirato crescente interesse grazie alla loro azione battericida rapida e ad ampio spettro, alla specificità di

target e alla bassa frequenza nella selezione di ceppi resistenti. Tuttavia, il loro impiego terapeutico

è limitato dalla loro scarsa stabilità nei fluidi biologici e dalla loro potenziale tossicità in vivo. L’incapsulamento di tali peptidi all’interno di nanoparticelle polimeriche potrebbe offrire numerosi vantaggi, tra cui il parziale controllo della farmacocinetica, la riduzione della tossicità sistemica e l’aumento di biodisponibilità ed emivita in circolo.

Il presente lavoro di tesi è incentrato sulla preparazione, caratterizzazione chimico-fisica e valutazione biologica di nanoparticelle a base di chitosano caricate con temporina, un peptide antimicrobico isolato dalla cute della rana rossa europea. Il chitosano è stato selezionato per la formulazione di questi sistemi in quanto risulta altamente biocompatibile e biodegradabile e presenta proprietà antimicrobiche intrinseche. Le nanoparticelle sono state preparate mediante gelificazione ionotropica utilizzando come agente reticolante il tripolifosfato. La caratterizzazione dimensionale ha mostrato un diametro medio inferiore ai 200 nm, mentre l’analisi della carica superficiale ha rilevato una carica netta positiva. L’efficienza di incapsulamento ed il loading della temporina sono state analizzate attraverso il saggio colorimetrico dell’acido bicinconinico, risultando rispettivamente pari a 75% e 4.8%. Lo studio della cinetica di rilascio del farmaco ha evidenziato un profilo di rilascio lineare durante le due settimane in cui è stato svolto il test. La valutazione della citotossicità in vitro, condotta utilizzando la linea cellulare di fibroblasti murini embrionali balb/3T3 clone A31, ha mostrato una buona citocompatibilità dei nanosistemi preparati e una riduzione significativa della tossicità della temporina in forma incapsulata. L’attività antibatterica del sistema è stata valutata per un periodo di quattro giorni su Staphylococcus

epidermidis, un batterio Gram-positivo frequentemente coinvolto in infezioni opportunistiche in

ambiente nosocomiale. I risultati ottenuti hanno dimostrato che le nanoparticelle caricate con temporina sono in grado di assicurare una prolungata attività battericida di intensità statisticamente superiore rispetto a quella esercitata dalle particelle non caricate e dal peptide libero.

L’ultima parte del lavoro di tesi è stata dedicata, infine, all’analisi dell’attività battericida ed emolitica di analoghi sintetici della temporina. Sono stati identificati due peptidi più attivi e meno tossici della temporina parentale, che potranno essere impiegati per la realizzazione di sistemi nanoparticellari con proprietà antimicrobiche ulteriormente ottimizzate.

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V

ABSTRACT

Problems associated with the treatment of antibiotic-resistant bacterial infections have guided research interests towards the identification of novel antimicrobial agents. Over the last years, antimicrobial peptides have attracted increasing attention because of the rapid and broad-spectrum bactericidal activity, the target specificity and the low frequency in selection of resistant strains. However, their therapeutic use is limited by their poor stability in biological fluids and their potential toxicity in vivo. Encapsulation of such peptides into polymeric nanoparticles could offer several advantages, including the partial control of pharmacokinetics, the reduction of systemic toxicity and the increase of bioavailability and plasma half-life.

The present work focuses on preparation, physicochemical characterization and biological evaluation of chitosan-based nanoparticles loaded with temporin, an antimicrobial peptide isolated from the skin of the European red frog. Chitosan was selected for the development of these systems due to its high biocompatibility, biodegradability and its inherent antimicrobial properties.

Nanoparticles were prepared by ionotropic gelation method using tripolyphosphate as cross-linking agent. The dimensional characterization showed a mean diameter lower than 200 nm, while the surface charge analysis revealed a net positive charge. The encapsulation efficiency and the loading of temporin were analyzed by means of the bicinchoninic acid assay, resulting equal to 75% and 4.8% respectively. Studies on drug release kinetics highlighted a linear release profile during two weeks of testing. In vitro evaluation of cytotoxicity, performed using the mouse embryo fibroblast cell line balb/3T3 clone A31, showed a good cytocompatibility of the developed nanosystems and a significant toxicity reduction of encapsulated temporin. The antibacterial activity of the system was evaluated for four days against Staphylococcus epidermidis, a Gram-positive bacterial species increasingly involved in opportunistic nosocomial infections. The results obtained demonstrated that temporin-loaded nanoparticles are able to exert a prolonged bactericidal activity statistically higher than that exerted by unloaded nanoparticles and free peptide.

Lastly, part of the research activity was dedicated to the assessment of the bactericidal and haemolytic activity of synthetic temporin analogues. We have identified two peptides more effective and less toxic than the native temporin, which may be used for manufacturing nanoparticles with improved antimicrobial properties.

(6)

1

1. INTRODUZIONE

1.1. La resistenza agli antibiotici

Fin dalla loro scoperta, gli antibiotici hanno trasformato in maniera profonda la medicina e, assieme a programmi di vaccinazione di massa, hanno contribuito alla drastica riduzione della mortalità e della morbilità associate alle malattie infettive. Tuttavia, il loro uso eccessivo e non sempre razionale ha portato alla comparsa e alla diffusione di ceppi batterici resistenti, rendendo la terapia antibiotica sempre meno efficace [1].

Negli ultimi anni, il fenomeno della resistenza agli antibiotici ha raggiunto proporzioni tali da configurarsi come uno dei principali problemi di salute pubblica a livello globale. Si registra, infatti, lo sviluppo di resistenza verso tutte le classi di antibiotici finora introdotte nella pratica clinica e si assiste all’emergenza di un numero sempre crescente di batteri multiresistenti. Attualmente, la sfida maggiore è costituita dai cosiddetti patogeni ESKAPE, acronimo che include Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumanii, Pseudomonas aeruginosa e le Enterobacteriaceae, e dalla loro diffusione oltre l’ambiente ospedaliero, dove erano inizialmente ristretti [2; 3]

. Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dalla costante diminuzione degli investimenti dell’industria farmaceutica nella ricerca di nuovi antibiotici, motivata principalmente dal loro basso ritorno economico [4].

Tale carenza di opzioni terapeutiche ha spinto alcuni autori a prefigurare il rischio di un ritorno imminente all’epoca “pre-antibiotica”, caratterizzata dall’incapacità di trattare anche le infezioni più comuni e banali. L’individuazione di agenti antimicrobici innovativi, accanto ad una corretta gestione di quelli già esistenti e all’istituzione di piani di controllo delle infezioni, appare quindi di primaria importanza [5].

1.1.1. Meccanismi di acquisizione e di insorgenza della resistenza

Lo sviluppo della resistenza agli antibiotici rappresenta una risposta evolutiva naturale alla forte pressione selettiva causata dall’uso massiccio di questi farmaci. Popolazioni batteriche normalmente suscettibili possono diventare resistenti in seguito a mutazione di

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Introduzione

2

geni localizzati sul cromosoma batterico o attraverso l’acquisizione di nuovo materiale genetico da una sorgente resistente mediante trasferimento genico orizzontale [6].

Tali alterazioni genetiche sono responsabili di un’ampia varietà di meccanismi biochimici volti a prevenire l’azione dell’antibiotico. L’acquisizione di geni codificanti per enzimi che degradano o modificano l’antibiotico, quali β-lattamasi e transferasi, costituisce la principale fonte di resistenza a β-lattamici, aminoglicosidi e cloramfenicolo. Anche il target molecolare dell’antibiotico può subire delle modificazioni con conseguente riduzione dell’affinità di legame con l’antibiotico stesso: ne sono un esempio le alterazioni

a carico delle PBPs (Penicillin-Binding Proteins), delle subunità ribosomiali e della DNA-girasi, che permettono di eludere l’effetto di β-lattamici, macrolidi e fluorochinoni

rispettivamente. Il bersaglio dell’antibiotico può essere, inoltre, sovraespresso o sostituito da una molecola con stesse funzioni biologiche ma incapace di interagire con il farmaco. Infine, la riduzione della permeabilità della membrana esterna e l’espulsione attiva dalla cellula batterica impediscono che l’antibiotico si accumuli nel citoplasma a concentrazioni sufficienti ad espletare la propria azione antibatterica (fig. 1.1) [7].

(8)

Introduzione

3

Un altro fattore che contribuisce in larga misura alla resistenza dei batteri al trattamento farmacologico è la loro capacità di formare biofilm, aggregati cellulari altamente organizzati aderenti a superfici solide ed immersi in una matrice extracellulare autoprodotta. I biofilm esibiscono infatti una suscettibilità agli agenti antimicrobici da 10 a 1000 volte inferiore rispetto a quella mostrata dalle stesse cellule in forma planctonica [9]. Questo incremento della resistenza si può spiegare considerando le peculiari caratteristiche fenotipiche e metaboliche delle cellule formanti il biofilm. Il rallentamento del metabolismo, a cui vanno incontro, determina una minore efficacia degli antibiotici che colpiscono processi cellulari attivi, come la sintesi di parete cellulare, proteine ed acidi nucleici. La presenza della matrice extracellulare riduce la diffusione degli agenti antimicrobici all’interno del biofilm ed ostacola persino l’azione del sistema immunitario, impedendo l’opsonizzazione e la fagocitosi delle cellule batteriche. Inoltre, la stretta vicinanza tra le cellule favorisce il trasferimento genico orizzontale e l’acquisizione degli elementi genetici mobili veicolanti la resistenza [10].

La formazione di queste comunità sessili e la loro estrema refrattarietà ai farmaci antimicrobici, quindi, complicano notevolmente il trattamento di numerose infezioni, spesso correlate all’impiego di dispositivi medici, e sono responsabili della loro persistenza e cronicizzazione [11; 12].

1.1.2. Nuovi farmaci antimicrobici in studio

Negli ultimi due decenni, è stata data una risposta impropria, oltre che limitata, all’aumento dei fenomeni di antibiotico-resistenza, in quanto sono state introdotte sul mercato soltanto forme modificate degli antibiotici già esistenti. Appare, infatti, ormai chiaro come lo sviluppo di resistenza a questi composti sia un processo inevitabile ed inarrestabile: fin dalla scoperta della penicillina, l’impiego in clinica di qualsiasi nuovo antibiotico è andato di pari passo con la comparsa di batteri resistenti alla sua azione. I futuri sforzi scientifici si dovranno focalizzare piuttosto sulla ricerca di molecole ad attività antimicrobica aventi meccanismi d’azione insoliti o target alternativi rispetto a quelli degli antibiotici convenzionali.

(9)

Introduzione

4

A tal proposito, è stata recentemente proposta una strategia terapeutica che prevede l’inibizione dei fattori di virulenza batterici responsabili dell’instaurazione dell’infezione e del danno all’ospite. Gli inibitori di virulenza sono in grado di inattivare in maniera diretta le tossine, impedirne il delivery alle cellule bersaglio per azione sui sistemi di secrezione, bloccare l’adesione del batterio alla cellula ospite o interferire con l’espressione dei geni di virulenza stessi. Inibire la virulenza piuttosto che la vitalità cellulare potrebbe risultare particolarmente vantaggioso, in quanto permetterebbe di esercitare una minor pressione selettiva sui batteri patogeni e di salvaguardare la flora microbica endogena; tuttavia, sono ancora scarse ed insufficienti le informazioni sui reali effetti che questi nuovi agenti antimicrobici potrebbero avere in vivo [13].

Altri approcci mirano a colpire i determinanti della resistenza, come le pompe ad efflusso, in modo tale da ripristinare l’attività e l’efficacia terapeutica di molti degli antibiotici già in uso [14]. Anche l’inibizione dei meccanismi di quorum sensing è stata presentata come potenziale modalità di controllo delle infezioni [15]. Tanto gli inibitori delle pompe ad efflusso quanto quelli del quorum sensing esibiscono però proprietà tossiche e sembrano produrre effetti dannosi sulla flora microbica dell’ospite.

In questo scenario, i peptidi ad attività antimicrobica, sebbene anch’essi non esenti da limitazioni per quanto riguarda l’applicabilità clinica, rappresentano una delle prospettive più incoraggianti e promettenti.

1.2. I peptidi antimicrobici

1.2.1. Caratteristiche strutturali e meccanismo d’azione

I peptidi antimicrobici (Antimicrobial Peptides, AMPs) sono un gruppo abbondante e diversificato di molecole, prodotte da una grande varietà di tipi cellulari e tessuti ed altamente conservate nella scala evolutiva, dai procarioti all’uomo. Fanno parte del sistema immunitario innato degli organismi pluricellulari, costituendo la prima linea di difesa contro numerosi agenti patogeni (batteri, protozoi, funghi e virus) [16].

Ad oggi, sono stati isolati e descritti più di 2000 AMPs (Antimicrobial Peptide Database, http://aps.unmc.edu/ap/main.php), caratterizzati da un notevole grado di variabilità in

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Introduzione

5

quanto a lunghezza, sequenza amminoacidica, presenza di legami disolfuro e struttura secondaria. Sebbene tale eterogeneità renda difficile la realizzazione di una classificazione esaustiva, vengono convenzionalmente riconosciute quattro classi strutturali (fig. 1.2):

- peptidi ad α-elica (cecropine, magainine e temporine);

- peptidi a β-foglietto, stabilizzati da ponti disolfuro intramolecolari (defensine, protegrine e tachiplesine);

- peptidi in forma distesa, contenenti un’alta percentuale di amminoacidi specifici, quali glicina, prolina, triptofano, arginina e/o istidina (indolicina);

- peptidi con struttura a loop, aventi un unico ponte disolfuro (bactenecine, brevinine ed esculentine).

Fig. 1.2 – Classi strutturali dei peptidi antimicrobici. (A) Struttura a loop;

(B) foglietto β; (C) α-elica; (D) struttura distesa [17]

Al di là della particolare sequenza o struttura, tutti gli AMPs condividono una serie di proprietà fisico-chimiche, essenziali per la loro attività antimicrobica: sono generalmente molecole di piccole dimensioni costituite da 12-50 amminoacidi, presentano una carica netta positiva (da +2 a +11), dovuta ad un eccesso di amminoacidi basici rispetto a quelli acidi, e possiedono un’elevata percentuale di residui idrofobici (circa il 30%). Grazie a tali caratteristiche, sono in grado di assumere una conformazione tridimensionale anfipatica, caratterizzata dalla presenza di domini polari ed apolari distinti [18].

L’anfipaticità e la natura cationica degli AMPs svolgono un ruolo chiave nel garantire la corretta interazione peptide-batterio e la permeabilizzazione della membrana

(11)

Introduzione

6

citoplasmatica. La carica netta positiva permette l’iniziale adesione dei peptidi alle componenti superficiali, cariche negativamente, della cellula batterica, quali gli acidi teicoici e teicuronici della parete dei batteri Gram-positivi e il lipopolisaccaride (LPS) della membrana esterna dei batteri Gram-negativi. In seguito a tale interazione elettrostatica, i peptidi raggiungono e si legano alla membrana citoplasmatica sottostante, dotata anch’essa di un’elevata carica negativa per la presenza di fosfatidilglicerolo, cardiolipina e fosfatidilserina e di un elevato potenziale transmembranario. Grazie alle loro porzioni idrofobiche, poi, si inseriscono ed auto-assemblano all’interno del doppio strato lipidico, causando la perdita dell’integrità fisica della membrana stessa [19]

.

In letteratura, sono stati proposti vari modelli per spiegare le diverse modalità d’interazione dei peptidi con la membrana e il loro effetto destabilizzante. Secondo il modello “a botte” (barrel-stave) l’inserimento dei peptidi nel bilayer lipidico provoca la formazione di un poro transmembrana ordinato, nel quale i domini idrofobici dei peptidi interagiscono con i lipidi di membrana, mentre quelli idrofilici sono rivolti verso il lume del poro neoformato (fig. 1.3 A). Anche il modello “toroidale” (toroidal-pore o wormhole) prevede la formazione di strutture porose stabili; in questo caso, però, la regione idrofilica dei peptidi interagisce con le teste dei fosfolipidi e quella idrofobica con le code, in modo tale che le teste polari lipidiche vengano esposte verso il centro del poro, intercalate alle molecole peptidiche (fig. 1.3 B). Infine, nel modello “a tappeto” (carpet-like) i peptidi ricoprono la superficie della membrana in svariati punti e, ad elevate concentrazioni, ne causano la disgregazione con un meccanismo analogo a quello dei detergenti, determinando la formazione e il distacco di micelle lipidiche (fig. 1.3 C) [20; 21].

Tanto la formazione di pori quanto il processo di micellizzazione, comunque, comportano un rapido aumento della permeabilità della membrana con conseguente depolarizzazione, perdita del materiale intracitoplasmatico, lisi e morte cellulare (fig. 1.3 D).

Numerosi studi hanno inoltre evidenziato che alcuni AMPs possono incidere sulla vitalità cellulare con meccanismi alternativi rispetto alla permeabilizzazione della membrana. Tali peptidi sono in grado di traslocare nel citoplasma e di legarsi a bersagli intracellulari, interferendo con la sintesi degli acidi nucleici, delle proteine e della parete cellulare, ostacolando la divisione cellulare ed inibendo enzimi coinvolti nel folding delle proteine o in altre attività metaboliche fondamentali. La loro attività battericida appare generalmente

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Introduzione

7

più lenta rispetto a quella dei peptidi che agiscono a livello della membrana, i quali possono portare a morte cellulare anche entro pochi minuti dall’esposizione [22]

.

Fig. 1.3 – Possibili meccanismi d’azione dei peptidi antimicrobici: modello “a botte”(A), modello

“toroidale” (B) e modello “a tappeto” (C) [23]; microscopia elettronica di ceppi di E. coli trattati (destra) e

(13)

Introduzione

8 1.2.1.1. Le temporine

La pelle di numerose specie di anfibi si è rivelata una ricca fonte di AMPs (bombinine, brevinine, esculentine, temporine), che vengono prodotti e secreti dalle ghiandole granulari della cute in risposta a un danno cellulare o al contatto con i microrganismi ambientali. Tra questi, le temporine, isolate dalle secrezioni della Rana temporaria, hanno suscitato grande intesse come agenti antimicrobici di nuova generazione (tab. 1.1) [25; 26].

Sono peptidi ammidici costituiti da 10-14 residui, aventi carica netta positiva a pH neutro e struttura ad α-elica anfipatica in ambiente idrofobico o a contatto con le membrane. Sebbene il loro meccanismo d’azione non sia stato ancora del tutto chiarito, l’ipotesi più accreditata è che provochino la lisi cellulare attraverso la formazione di pori sulla membrana citoplasmatica [27].

Peptide Sequenza Carica netta

Temporina A FLPLIGRVLSGIL-NH2 +2

Temporina B LLPIVGNLLKSLL-NH2 +2

Temporina C LLPILGNLLNGLL-NH2 +1

Temporina D LLPIVGNLLNSLL-NH2 +1

Temporina E VLPIIGNLLNSLL-NH2 +1

Temporina F FLPLIGKVLSGIL-NH2 +2

Temporina G FFPVIGRILNGIL-NH2 +2

Temporina H LSPNLLKSLL-NH2 +2

Temporina K LLPNLLKSLL-NH2 +2

Temporina L FVQWFSKFLGRIL-NH2 +3

Tab 1.1 – Sequenze amminoacidiche delle varie isoforme di temporina

isolate dalla Rana temporaria (in rosso sono indicati i residui basici) [28]

Le temporine sono risultate attive prevalentemente nei confronti dei batteri Gram-positivi, compresi ceppi di S. aureus meticillina-resistenti e di E. faecium ed E. faecalis vancomicina-resistenti. L’unico membro di questa famiglia ad aver mostrato un effetto battericida sui batteri Gram-negativi è la temporina L (TL), la quale però esercita anche una marcata azione emolitica. A tale riguardo, diversi autori si stanno impegnando nella

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Introduzione

9

progettazione di analoghi sintetici delle temporine aventi una miglior attività antimicrobica contro i Gram-negativi, ma citotossicità ridotta [29-31].

Alcune isoforme hanno la capacità di agire anche contro funghi come Candida albicans (TA), parassiti protozoi come Leishmania spp. (TB), virus e cellule tumorali (TL) [32].

1.2.2. Potenzialità in campo biomedico

Molteplici caratteristiche dei peptidi antimicrobici hanno suggerito un loro potenziale impiego quale nuova classe di farmaci antimicrobici, soprattutto nel contesto delle infezioni sostenute da batteri antibiotico-resistenti e/o da biofilm microbici. Tra queste, la rapidità d’azione, l’attività ad ampio spettro, la specificità del target cellulare, la bassa frequenza nella selezione di ceppi resistenti e la capacità di produrre un effetto sinergico quando combinati con farmaci antimicrobici tradizionali rivestono un’importanza cruciale.

1.2.2.1. Selettività e attività antimicrobica ad ampio spettro

Grazie al loro meccanismo d’azione altamente aspecifico, gli AMPs possiedono una

spiccata attività antimicrobica verso un’ampia varietà di agenti patogeni (batteri Gram-positivi e Gram-negativi, micobatteri, funghi, parassiti, virus) e risultano efficaci

anche contro ceppi multi-farmacoresistenti di interesse clinico. Inoltre, a differenza degli antibiotici convenzionali, mostrano una scarsa attitudine alla selezione di nuovi mutanti resistenti: lo sviluppo di resistenza agli AMPs da parte di microrganismi suscettibili richiederebbe infatti una completa ed eccessivamente dispendiosa riorganizzazione della loro membrana citoplasmatica [33; 34].

Sebbene esibiscano un’attività ad ampio spettro, gli AMPs presentano anche un’elevata specificità nei confronti delle membrane dei microrganismi, così che, alle normali concentrazioni fisiologiche, non risultano tossici per le cellule dell’ospite. Tale selettività d’azione si spiega considerando le differenze strutturali esistenti tra la membrana citoplasmatica di batteri e funghi e quella degli eucarioti superiori; quest’ultima è caratterizzata, infatti, da un elevato contenuto di fosfolipidi zwitterionici, quali fosfatidilcolina e sfingomielina, che a pH fisiologico sono neutri e, pertanto, incapaci di formare legami di natura elettrostatica con gli AMPs cationici. La presenza di colesterolo

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Introduzione

10

nelle cellule degli organismi superiori ostacola ulteriormente l’azione membranolitica, in quanto conferisce maggior resistenza e stabilità al bilayer lipidico [35].

1.2.2.2. Azione anti-biofilm

Recentemente, gli AMPs hanno suscitato un crescente interesse anche come potenziali agenti anti-biofilm. È stato infatti dimostrato che sono in grado di agire nei diversi stadi del processo di formazione del biofilm e con molteplici meccanismi d’azione (fig. 1.4). La maggior parte degli AMPs mostra un’attività efficiente nell’inibire le prime fasi dello sviluppo del biofilm, ma ce ne sono comunque alcuni capaci, sebbene spesso ad alte concentrazioni, di eliminare biofilm preformati. Infatti, agendo preferenzialmente a livello della membrana cellulare piuttosto che su bersagli cellulari specifici, questi peptidi riescono a colpire anche le cellule a ridotta attività metabolica e lento ritmo di crescita che si riscontrano comunemente nei biofilm maturi.

Fig. 1.4 – Principali meccanismi dell’azione degli AMPs contro i biofilm. Riducono l’iniziale adesione delle

cellule microbiche a superfici biotiche e/o abiotiche, alterando le proprietà adesive delle superfici dei dispositivi medici (1) o legandosi alla cellula microbica stessa (2); prevengono la maturazione del biofilm, uccidendo le prime cellule che colonizzano la superficie (3); permettono di eradicare biofilm preformati, penetrando all’interno della matrice extracellulare (4); reclutano le cellule del sistema immunitario, aumentando la risposta immune dell’ospite contro il biofilm (5) [10]

(16)

Introduzione

11 1.2.2.3. Attività immunomodulatoria

Oltre ad avere un’attività antimicrobica diretta, molti AMPs rivestono un ruolo cruciale come modulatori dell’immunità sia innata che adattativa di vari organismi.

Promuovono il rilascio di chemochine e citochine, inducono la degranulazione dei mastociti e stimolano il reclutamento e l’attivazione di monociti, neutrofili, cellule dendritiche e linfociti T al sito dell’infezione. Sono responsabili di un’attivazione selettiva del sistema immunitario dal momento che determinano anche l’inibizione di alcune risposte immuni, potenzialmente dannose, come la produzione delle citochine pro-infiammatorie IL-6 (Interleukin-6) e TNF-α (Tumor Necrosis Factor α), indotta da LPS e responsabile di uno stato infiammatorio sproporzionato e di condizioni patologiche spesso fatali come la sepsi. Tutte queste funzioni complementano l’attività microbicida degli AMPs, favorendo la clearance dei microrganismi e la risoluzione dell’infezione [36; 37]. Considerando la complessità e la mole di attività svolte nella protezione dell’ospite, risulta quindi più opportuno riferirsi a questi peptidi con l’appellativo di “peptidi di difesa dell’ospite” (Host-Defense Peptides, HDPs).

1.2.3. Limiti dell’applicabilità terapeutica

Nonostante il loro grande potenziale terapeutico, sono ancora numerose le difficoltà nell’impiego degli AMPs come farmaci antimicrobici alternativi, soprattutto in relazione ad un loro uso sistemico.

Innanzitutto, sebbene quasi tutti gli AMPs mostrino un’attività antimicrobica efficiente in condizioni non fisiologiche, nella maggior parte dei casi risultano poco stabili e scarsamente attivi in vivo. I fattori che concorrono alla riduzione della loro attività a livello dei fluidi biologici sono svariati: le alte concentrazioni di sali possono interferire con l’interazione elettrostatica peptide-batterio, proteine anioniche e polisaccaridi legano il peptide in maniera aspecifica, limitandone la biodisponibilità, e le proteasi batteriche o dell’ospite sono responsabili della sua degradazione [38]

.

La progettazione e la sintesi di peptidomimetici rappresenta la strategia maggiormente percorsa allo scopo di ottenere molecole dotate di una migliore attività antimicrobica e di una maggior stabilità enzimatica in condizioni fisiologiche. Tali composti vengono

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Introduzione

12

generalmente ottenuti attraverso l’introduzione di D-amminoacidi o amminoacidi non naturali nella sequenza primaria del peptide o mediante modifiche chimiche e strutturali, quali ciclizzazione, alchilazione e coniugazione con acidi grassi [39].

Non sono poi da sottovalutare le problematiche legate alla sicurezza tossicologica degli AMPs, i quali spesso hanno dimostrato di possedere attività emolitica in vitro ed allergenica quando testati in modelli animali dell’infezione. Inoltre, come conseguenza diretta della scarsa stabilità e della rapida clearance renale, molti AMPs risultano efficaci in vivo solo a concentrazioni particolarmente elevate e troppo vicine alle dosi tossiche per poter avere un margine di sicurezza accettabile [33].

Gli alti costi di produzione rappresentano un ulteriore ostacolo tanto alla sperimentazione quanto all’eventuale commercializzazione di questi composti. Si stima che il costo dei peptidi ottenuti per sintesi chimica sia dalle 5 alle 20 volte superiore a quello dei convenzionali antibiotici, ammontando a circa 50-400 dollari al grammo. Di conseguenza, al fine di introdurre queste promettenti molecole nell’arsenale dei farmaci antimicrobici è necessario individuare strategie e metodiche alternative, che permettano una loro produzione su vasta scala in tempi e costi contenuti [40].

Per le ragioni sopracitate, al momento solo un ristretto numero di AMPs è riuscito ad

entrare nella fase clinica della sperimentazione e i pochi ad essere stati approvati dall’FDA (Food and Drug Administration) per uso clinico prevedono unicamente

un’applicazione topica.

In questo contesto, l’impiego di liposomi e nanoparticelle polimeriche come serbatoio degli AMPs potrebbe rivelarsi particolarmente vantaggioso, in quanto consentirebbe di migliorarne proprietà farmacocinetiche, quali biodisponibilità ed emivita in circolo, di aumentarne la sicurezza e di massimizzarne l’efficacia terapeutica.

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Introduzione

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1.3. Sistemi per il drug delivery

1.3.1. Rilascio mirato e controllato di farmaci

La progettazione e realizzazione di sistemi per il rilascio modificato di farmaci attualmente costituisce una delle linee di ricerca di maggior interesse nel settore tecnologico farmaceutico. Tali sistemi offrono numerosi vantaggi rispetto alle forme farmaceutiche convenzionali, in quanto consentono di regolare in modo fine i livelli ematici di farmaco, così da evitare fenomeni di sotto- o sovradosaggio e da ridurre gli effetti collaterali.

Nel caso delle forme farmaceutiche tradizionali, l’andamento della concentrazione plasmatica del farmaco dipende principalmente dalle caratteristiche chimico-fisiche del principio attivo stesso, oltre che dalla via di somministrazione e dalle caratteristiche anatomo-funzionali dei vari distretti corporei. In genere, a seguito di una singola somministrazione, i livelli plasmatici del farmaco si mantengono all’interno dell’intervallo terapeutico per un periodo di tempo relativamente breve, comportando un’azione farmacologica temporanea. Gli effetti terapeutici desiderati si possono, quindi, ottenere soltanto attraverso somministrazioni ripetute che, oltre ad essere piuttosto costose e mal tollerate dal paziente (bassa compliance), possono causare fluttuazioni significative dei livelli ematici del farmaco con conseguente comparsa di effetti tossici o perdita dell’efficacia del trattamento (fig. 1.5 A) [41]

.

Nelle forme farmaceutiche a rilascio modificato, invece, la concentrazione plasmatica e la biodisponibilità dell’agente terapeutico sono condizionate dalle caratteristiche tecnologiche della formulazione. Queste forme di dosaggio sono infatti capaci di controllare la velocità e la durata di liberazione del principio attivo in esse contenuto e, pertanto, di influenzarne il profilo di assorbimento e distribuzione. Nel caso ideale, tali sistemi garantiscono il mantenimento della concentrazione ematica del farmaco all’interno del range terapeutico per un adeguato periodo di tempo, con un’unica somministrazione (fig. 1.5 B) [42; 43]. Diventa quindi possibile ridurre la frequenza di somministrazione e la dose di farmaco, assicurando un incremento nel grado di adesione del paziente alle prescrizioni mediche ed una diminuzione dei costi della terapia. Le formulazioni a rilascio modificato consentono, inoltre, di veicolare il principio attivo verso siti bersaglio specifici e di determinarne la

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Introduzione

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liberazione in funzione delle condizioni locali o in seguito a particolari stimoli, limitando così gli effetti collaterali derivanti da una distribuzione sistemica del farmaco [44].

Fig. 1.5 – Concentrazione ematica di farmaco risultante dalla somministrazione di dosi multiple (A1, A2, …)

di una forma farmaceutica convenzionale rispetto al profilo di concentrazione ematica ideale (B) [45]

Oltre ad aver permesso di ottimizzare la somministrazione di diversi farmaci convenzionali, spesso caratterizzati da un’elevata tossicità o da un ristretto indice terapeutico (chemioterapici, immunosoppressori, antinfiammatori, anestetici), l’introduzione di questi sistemi ha aperto il mercato anche ai farmaci biotecnologici, risolvendo le problematiche connesse alla loro scarsa stabilità e breve emivita in vivo [46].

1.3.2. Nanosistemi per il rilascio modificato di farmaci

Grazie all’impiego delle nanotecnologie in ambito biomedico, è stato possibile sviluppare un gran numero di dispositivi nanostrutturati capaci di controllare la cinetica di rilascio e la distribuzione di principi attivi e/o agenti diagnostici, tra cui liposomi, micelle, nanoparticelle metalliche o polimeriche, dendrimeri e nanotubi di carbonio (fig. 1.6). Le dimensioni nanometriche conferiscono a questi sistemi proprietà chimico-fisiche e

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Introduzione

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farmacocinetiche uniche. I nanosistemi possono infatti transitare all’interno dei piccoli capillari, attraversare le barriera biologiche e penetrare nelle cellule, favorendo l’accumulo dei farmaci a livello dei siti bersaglio e in distretti altrimenti inaccessibili come il sistema nervoso centrale ed il tratto gastrointestinale [47].

Fig. 1.6 – Rappresentazione schematica dei principali nanovettori di farmaci [48]

Tra i diversi nanovettori sviluppati a scopo terapeutico, quelli basati su materiali lipidici e polimerici hanno ottenuto finora i risultati migliori, con numerosi prodotti già in commercio o in sperimentazione clinica. Il loro successo si deve principalmente alla biocompatibilità e biodegradabilità dei materiali utilizzati ed alla versatilità d’impiego, che ne consente l’uso per svariati scopi e per molteplici classi di farmaci.

Micelle e liposomi sono strutture sovramolecolari ottenute dall’aggregazione spontanea in ambiente acquoso di molecole anfipatiche, guidata dall’instaurarsi di interazioni idrofobiche, legami a idrogeno e forze di van der Waals [48].

Le micelle sono preparate comunemente a partire da copolimeri a blocchi, costituiti da un segmento idrofilico (polietilenglicole) coniugato ad una catena polimerica idrofobica (poliesteri, poliortoesteri, poliacrilati, polipeptidi). Questi polimeri tendono ad organizzarsi in strutture ordinate di tipo core-shell, in cui il core è formato dalla frazione idrofobica e può essere caricato con farmaci lipofili, mentre l’involucro esterno di natura idrofilica conferisce solubilità al sistema e previene il riconoscimento da parte del sistema immunitario, prolungando così l’emivita in circolo delle molecole veicolate [49]. Gli agenti terapeutici contenuti all’interno delle micelle possono essere rilasciati per diffusione attraverso la matrice idrofobica o a seguito del disassemblamento della

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Introduzione

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micella stessa, indotto solitamente da particolari stimoli microambientali come variazioni di pH e temperatura [50].

Nella loro accezione più classica, i liposomi sono formati da molecole lipidiche (fosfolipidi, sfingolipidi e lipidi sintetici), che in acqua riarrangiano per formare vescicole composte da una o più membrane a doppio strato delimitanti un nucleo acquoso. Tuttavia, anche questi sistemi vescicolari possono essere realizzati con polimeri anfifilici, generati dalla ripetizione di diversi blocchi idrofobici ed idrofilici, assumendo la denominazione di polimerosomi [51]. Grazie alla loro peculiare struttura, i liposomi possono trasportare tanto i farmaci idrofili, normalmente incapaci di permeare le membrane cellulari, quanto quelli idrofobi, poco solubili nei fluidi biologici. La loro superficie può essere inoltre facilmente funzionalizzata con materiali in grado di migliorarne la stabilità in vivo, come il polietilenglicole (PEG), o con molecole responsabili del riconoscimento selettivo di specifici tessuti e tipi cellulari. Il rilascio dei farmaci caricati nei liposomi avviene a seguito dell’interazione con la superficie cellulare: generalmente si verifica endocitosi del liposoma o fusione della sua porzione lipidica con la membrana citoplasmatica con conseguente trasferimento del principio attivo nello spazio intracellulare. Al momento, questi sistemi vengono ampiamente usati nel trattamento del cancro grazie alla loro capacità di attraversare l’endotelio altamente permeabile dei vasi sanguigni tumorali e di accumularsi a livello dei tessuti malati [52]. Sono stati sfruttati, infatti, dall’industria farmaceutica per la riformulazione di agenti chemioterapici noti, come la doxorubicina (Myocet® e Doxil®) e la daunorubicina (DaunoXome®).

Un’altra promettente classe di vettori nanostrutturati, recentemente presa in considerazione per le applicazioni di drug delivery, è rappresentata dai dendrimeri. Si tratta di composti polimerici iper-ramificati con struttura tridimensionale gerarchica e dimensioni perfettamente controllate, ottenuti dalla ripetizione di unità monomeriche polifunzionali. La presenza di un elevato numero di gruppi terminali periferici e di cavità interne permette ai dendrimeri di trasportare diverse tipologie di farmaci e di interagire facilmente con specifici substrati cellulari [53].

Nell’ambito dei dispositivi a base polimerica, i sistemi nanoparticellari costituiscono sicuramente la categoria di maggior interesse applicativo. In quanto oggetto del presente lavoro di tesi, saranno descritti in maniera più approfondita nei paragrafi successivi.

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Introduzione

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1.4 Nanoparicelle polimeriche

Le nanoparticelle polimeriche sono particelle sferiche solide con diametro medio compreso tra 10 e 1000 nm (includendo così anche le particelle comunemente chiamate sub-micrometriche), prodotte a partire da polimeri di varia natura ed esistenti sotto forma di nanocapsule o di nanosfere. Nelle nanocapsule il principio attivo è racchiuso all’interno di una cavità centrale delimitata da una membrana polimerica, mentre nelle nanosfere è disperso in maniera uniforme nell’intera matrice polimerica [54]

.

La modalità di rilascio del farmaco da questi sistemi è determinata principalmente dalle proprietà chimico-fisiche e meccaniche del materiale polimerico impiegato per la loro preparazione e dalle tecnologie di formulazione. La grande varietà di polimeri a disposizione, assieme alla possibilità di introdurre variazioni nella composizione della matrice polimerica, permette quindi di sviluppare molteplici dispositivi con una diversa capacità di controllo sulla liberazione del farmaco.

1.4.1. Polimeri utilizzati nella formulazione di nanoparticelle

Per poter trovare applicazione in campo farmaceutico, i materiali polimerici devono soddisfare una serie di requisiti. Innanzitutto, è essenziale che siano totalmente biocompatibili, in modo da essere ben tollerati dall’organismo ospite e da evitare l’insorgenza di effetti emo- e citotossici o di reazioni immunogeniche. A tal proposito, risulta di fondamentale importanza che siano liberi da additivi, solventi e residui di sintesi, in quanto il problema della tossicità si associa frequentemente alla liberazione e all’interazione di questi composti solubili con le macromolecole biologiche [55; 56]

. È necessario, inoltre, che siano eliminati dall’organismo a seguito del rilascio del farmaco senza causare fenomeni di accumulo. Pertanto, nella formulazione di nanoparticelle viene preferito l’uso di polimeri biodegradabili, che possono essere scomposti in molecole più semplici adatte alla clearance renale o utilizzabili nelle reazioni metaboliche cellulari. L’impiego di polimeri non biodegradabili può essere accettato solo nel caso in cui abbiano un peso molecolare inferiore alla soglia di escrezione renale [57]. Numerosi polimeri sia naturali che sintetici sono stati utilizzati per la preparazione di nanoparticelle (tab. 1.2).

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Introduzione

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Polimero Esempio Struttura chimica

Polimeri sintetici

Poliesteri Poli(acido lattico) (PLA)

Poli(acido glicolico) (PGA)

Poli(acido lattico-co-glicolico) (PLGA)

Poli(ε-caprolattone) (PCL)

Polianidridi Poli(acido sebacico) (SA)

Polimeri naturali Proteine Collagene Gelatina Albumina Polisaccaridi Cellulosa Alginato Chitina/Chitosano Poliidrossialcanoati Poli(β-idrossibutirrato)

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Introduzione

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Negli ultimi anni, i polimeri di origine naturale hanno attirato crescente interesse come matrici per l’incapsulamento di farmaci grazie alla loro abbondanza in natura, alla buona biocompatibilità e biodegradabilità e alla loro capacità di formare idrogeli. La loro derivazione biologica pone, tuttavia, alcune problematiche legate alla variabilità tra i diversi lotti di produzione e alla possibile contaminazione da parte di agenti patogeni. L’applicabilità di questi materiali dipende, quindi, dall’introduzione di metodi riproducibili ed affidabili per la loro produzione su scala industriale.

Il vantaggio principale dei polimeri di sintesi è rappresentato, invece, dalla loro grande versatilità: in fase di progettazione è possibile modulare molteplici parametri, quali peso molecolare, struttura chimica e presenza di gruppi funzionali, in modo da ottenere materiali con caratteristiche specifiche per l’applicazione a cui sono destinati e da assicurare un controllo rigoroso della farmacocinetica dell’agente terapeutico in essi incorporato.

1.4.1.1. Il chitosano

Il chitosano è un polisaccaride lineare costituito da unità ripetenti di N-acetil-D-glucosamina e D-N-acetil-D-glucosamina unite da legami (1→4)-β-glicosidici. In genere, viene prodotto mediante deacetilazione alcalina della chitina, ampiamente distribuita in natura come componente principale dell’esoscheletro di insetti e crostacei e della parete cellulare di alcuni funghi. A seconda dell’efficienza del processo di deacetilazione, è possibile ottenere lotti di chitosano con differente peso molecolare (50-200 kDa) e grado di deacetilazione (40-98%), caratterizzati da proprietà chimico-fisiche e biologiche variabili. A differenza della chitina, è solubile in acqua in condizioni acide (pH inferiore a 6) per effetto della protonazione dei gruppi amminici (pKa pari a 6.3), che conferisce al polimero

una carica netta positiva (fig. 1.7) [58].

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Introduzione

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Oltre ad essere biocompatibile, non tossico e biodegradabile, il chitosano esplica una serie di interessanti attività biologiche che lo rendono un buon candidato come carrier di farmaci. Grazie alle sue proprietà mucoadesive, prolunga il tempo di permanenza dei farmaci nel sito di assorbimento determinando un aumento significativo della loro biodisponibilità [60]. Esercita, inoltre, una spiccata azione antimicrobica nei confronti dei batteri sia Gram-positivi che Gram-negativi: l’interazione elettrostatica tra i gruppi amminici protonati del chitosano e le componenti superficiali della cellula batterica è infatti responsabile dell’alterazione della permeabilità cellulare e dell’inibizione della crescita batterica. Possiede anche proprietà immunoadiuvanti, emostatiche e cicatrizzanti, che ne giustificano l’impiego nelle applicazioni di ingegneria tissutale e medicina rigenerativa [61; 62].

1.4.2. Metodi di preparazione

I sistemi nanoparticellari possono essere preparati sfruttando metodiche diverse a seconda delle caratteristiche del polimero e del farmaco da incapsulare, del sito d’azione e del regime terapeutico. Le tecniche più comunemente adottate per la formulazione di nanoparticelle destinate all’uso terapeutico prevedono l’impiego di polimeri preformati.

1.4.2.1. Emulsione – evaporazione del solvente

Questo metodo, assai diffuso grazie alla sua semplicità e versatilità, è stato adottato originariamente per l’incapsulamento di farmaci lipofili. Il materiale polimerico e il principio attivo vengono dissolti in un solvente organico volatile, immiscibile con l’acqua (diclorometano, cloroformio ed acetonitrile), e la soluzione così ottenuta viene emulsionata con una fase acquosa contenente opportuni agenti stabilizzanti. Il solvente viene quindi fatto evaporare, generalmente a temperature elevate e pressione ridotta, con conseguente precipitazione del polimero e formazione di nanoparticelle solide.

Nel caso di farmaci idrofili è richiesta, invece, la realizzazione di un’emulsione multipla acqua/olio/acqua (w/o/w). La soluzione acquosa del farmaco viene emulsionata con una fase organica costituita da solvente e polimero, in modo da ottenere un’emulsione primaria w/o. La miscelazione di questa prima emulsione con un eccesso d’acqua, sotto

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Introduzione

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continua agitazione, genera la seconda emulsione w/o/w, dalla quale il solvente può essere allontanato mediante evaporazione o estrazione [63].

Il principale inconveniente di tale metodica risiede nell’uso di solventi organici aggressivi, che, oltre ad essere significativamente tossici, possono compromettere la stabilità chimica e l’attività biologica del farmaco incorporato all’interno delle nanoparticelle [64]

.

1.4.2.2. Coacervazione

La coacervazione è un fenomeno fisico di separazione di fase tipico delle dispersioni polimeriche, che si verifica per effetto di variazioni di pH e temperatura o in seguito all’aggiunta di sali o solventi. Tale processo viene ampiamente sfruttato per la

preparazione di micro- e nanocapsule, costituendo uno degli approcci più comuni anche a livello industriale.

Dopo aver disperso il principio attivo in una soluzione del polimero prescelto, si induce la coacervazione del sistema: una fase liquida arricchita di materiale polimerico si deposita ed accumula sulla superficie delle particelle di farmaco fino a formare uno strato continuo. La solidificazione del coacervato, ottenuta mediante raffreddamento o desolvatazione, permette, infine, di ottenere una membrana rigida e resistente contenente il farmaco [65].

1.4.2.3. Nanoprecipitazione, coprecipitazione e dialisi

Attraverso tutte queste tecniche, la formazione di nanoparticelle avviene come conseguenza dell’allontanamento del solvente dalla soluzione polimerica in presenza di un non-solvente.

Nel metodo della nanoprecipitazione, la soluzione polimerica contenente il farmaco ed eventuali agenti stabilizzanti viene aggiunta per gocciolamento a un non-solvente, miscibile con quello utilizzato per sciogliere il polimero. Le nanoparticelle si formano istantaneamente grazie alla rapida desolvatazione ed aggregazione delle catene polimeriche. L’efficienza di incapsulamento risulta scarsa nel caso dei farmaci idrofili, che tendono a diffondere rapidamente in acqua appena la fase organica in cui sono disciolti (acetone ed etanolo) entra in contatto con un solvente acquoso [66].

Una variante, certamente più vantaggiosa per il caricamento di molecole solubili in acqua, è rappresentata dalla coprecipitazione. Il materiale polimerico viene dissolto in un solvente

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Introduzione

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organico miscibile con l’acqua e iniettato in una soluzione acquosa del principio attivo. Questa procedura non richiede l’uso di solventi aggressivi e consente, pertanto, di incorporare nelle nanoparticelle anche proteine e peptidi senza che ne venga alterata la funzionalità.

Al pari delle metodiche sopracitate, anche la dialisi permette di ottenere particelle con una distribuzione dimensionale molto stretta. Polimero, farmaco e tensiattivo vengono dissolti nel medesimo solvente organico e la soluzione così ottenuta viene posta all’interno di un tubo da dialisi con adeguato cut-off e dializzata contro un non-solvente miscibile con il precedente. Lo spostamento del non-solvente all’interno della membrana semi-permeabile determina la perdita di solubilità e la progressiva precipitazione del polimero sotto forma di nanoparticelle. La formazione di aggregati di grosse dimensioni e la loro interazione con la membrana da dialisi limitano considerevolmente l’applicabilità di questo processo [67]

.

1.4.2.4. Gelificazione ionica

Le nanoparticelle possono formarsi in seguito all’interazione di polielettroliti di carica opposta, generalmente operata in mezzi acquosi. Tra i polimeri maggiormente utilizzati in questo tipo di formulazione, quelli di origine naturale e semisintetica, quali alginato, chitosano, acido ialuronico, pectina e carbossimetilcellulosa, ricoprono un ruolo di primaria importanza. La miscelazione di una soluzione polimerica contenente il farmaco con una soluzione acquosa di ioni polivalenti di carica opposta determina la reticolazione tridimensionale delle catene polimeriche con conseguente formazione di complessi stabili. Grazie alle sue blande condizioni di preparazione, la gelificazione ionica risulta particolarmente adatta per agenti terapeutici labili come proteine e acidi nucleici [63].

1.4.2.5. Spray drying

Rispetto ad altri metodi convenzionali, lo spray drying offre diversi vantaggi, quali la rapidità, la buona riproducibilità e la scalabilità del processo, che non risulta particolarmente oneroso. Il farmaco viene dissolto (o disperso) in un’opportuna soluzione polimerica. L’atomizzazione di tale soluzione (o sospensione) all’interno di una corrente d’aria calda genera gocce di dimensioni nanometriche, dalle quali il solvente evapora rapidamente con conseguente formazione di particelle solide [68].

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Introduzione

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1.4.3. Meccanismi di rilascio del farmaco

Il rilascio del farmaco dalle nanoparticelle avviene attraverso la combinazione di meccanismi diffusivi e degradativi.

Per quanto riguarda le nanocapsule, il rilascio è controllato principalmente dalla diffusione del farmaco attraverso la membrana polimerica che lo riveste o il reticolo microporoso acquoso che intercala le aree dense della membrana. Il principio attivo è rilasciato sotto l’influenza di un gradiente di concentrazione, secondo un meccanismo di diffusione regolato dalla prima legge di Fick:

dx dC DS dt dM (EQ.1)

dove dM/dt rappresenta la velocità di diffusione, dC/dx il gradiente di concentrazione attraverso la membrana, D il coefficiente di diffusione e S l’area superficiale complessiva del sistema. All’equilibrio, la velocità di rilascio risulta costante nel tempo e dipende in gran parte dalla capacità diffusiva del farmaco, quindi dalla sua affinità per la membrana, dalla natura, dallo spessore e dalla porosità di tale membrana [45].

Anche nel caso delle nanosfere, il principio attivo è liberato mediante processi diffusivi; tuttavia, la velocità di rilascio e il gradiente di concentrazione in ciascun punto della matrice polimerica variano in funzione del tempo per effetto della continua diminuzione della quantità di farmaco contenuto all’interno del sistema e della formazione di zone di deplezione. In questo caso, il fenomeno diffusivo è più correttamente descritto dalla seconda legge di Fick:

dx dC dx d D dt dC (EQ. 2)

Per interazione con i fluidi biologici, inoltre, il materiale polimerico può andare incontro a degradazione idrolitica e/o enzimatica. Tale processo contribuisce in maniera significativa alla liberazione dell’agente attivo, influenzando anche la velocità di diffusione attraverso la matrice o la membrana polimerica. La composizione chimica del polimero risulta,

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Introduzione

24

quindi, determinante per permettere la realizzazione della cinetica di cessione del farmaco desiderata con conseguente ottimizzazione del suo profilo di attività [65].

Possono verificarsi, infine, fenomeni di solvatazione e rigonfiamento delle nanoparticelle: l’idratazione di tali sistemi all’interno dei fluidi biologici causa distensione e rilassamento delle catene polimeriche, permettendo all’agente incapsulato di diffondere nell’ambiente esterno [69]. Questo processo è rilevante soprattutto nel caso degli idrogeli, che in presenza di acqua sono in grado di aumentare fino a cinque volte il proprio volume. Il loro rigonfiamento può essere indotto da stimoli specifici, come variazioni di pH, temperatura o forza ionica, garantendo un controllo ancora più stingente del rilascio.

1.4.4. Strategie di targeting

L’impiego di nanoparticelle polimeriche permette il direzionamento specifico dei farmaci verso i distretti dell’organismo in cui risiede il loro target farmacologico, potenziandone l’efficacia terapeutica e riducendo al minimo le interazioni non specifiche. La superficie delle nanoparticelle può essere facilmente funzionalizzata con molecole in grado di riconoscere e legare con elevata selettività ed avidità il sito bersaglio. Tra gli agenti direzionanti più studiati, emergono anticorpi e frammenti anticorpali, aptameri, proteine quali transferrina e lectine, saccaridi, ormoni e folati (fig. 1.8 A) [70].

I sistemi nanoparticellari sono capaci, inoltre, di accumularsi in aree patologiche ben definite, sfruttandone le peculiari caratteristiche fisiologiche e strutturali. L’aumentata permeabilità vascolare, che si riscontra a livello delle masse tumorali e dei tessuti

interessati da processi infettivi o infiammatori, permette infatti ai carriers di dimensioni comprese tra 10 e 500 nm di attraversare l’endotelio ed occupare gli interstizi

cellulari. Nel caso dei tumori solidi, oltre all’irregolare architettura dei vasi sanguigni, anche l’attiva angiogenesi e il ridotto drenaggio linfatico degli spazi interstiziali favoriscono la ritenzione delle nanoparticelle e la liberazione del farmaco in esse contenuto nei tessuti neoplastici. Questo fenomeno di accumulo passivo, comune anche a liposomi e micelle, è conosciuto come effetto EPR (Enhanced Permeability and Retention Effect) (fig. 1.8 B) [71; 72].

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Introduzione

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Chiaramente, è richiesta una permanenza prolungata dei nanovettori nel circolo sistemico per poter garantire un accumulo appropriato del principio attivo nelle regioni d’interesse. A tale scopo, spesso si ricorre alla stabilizzazione della superficie delle matrici polimeriche con macromolecole ad azione antiopsonizzante, come il PEG, che impediscono l’uptake e l’eliminazione da parte del sistema reticoloendoteliale (RES) [73]. D’altro canto, la naturale

tendenza di questi sistemi a localizzarsi a livello del RES rappresenta un’eccellente opportunità per la veicolazione dei farmaci a fegato, milza e midollo osseo.

Fig. 1.8 – Direzionamento attivo (A) e passivo (B) del principio attivo [58]

Il rilascio sito-specifico del farmaco può essere conseguito anche utilizzando nanoparticelle formulate a partire da materiali polimerici in grado di rispondere con alterazioni morfologiche e strutturali a particolari stimoli chimico-fisici.

Polimeri sensibili a variazioni di pH o temperatura possono essere impiegati per liberare il principio attivo in distretti infiammati e tessuti tumorali, caratterizzati comunemente da fenomeni di acidosi e di ipertermia. Risultano inoltre di grande utilità nell’indirizzare i farmaci somministrati per via orale alle diverse porzioni del tratto gastrointestinale, evitando una loro degradazione ad opera dell’acido gastrico e degli enzimi digestivi e facilitando i processi di assorbimento intestinale [74; 75].

Un’altra interessante strategia per orientare i sistemi nanoparticellari verso l’organo bersaglio consiste nell’applicazione di uno stimolo esterno, come il calore o un campo

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Introduzione

26

magnetico. In particolare, nanoparticelle con proprietà ferromagnetiche trovano applicazione in ambito oncologico come strumenti teranostici, capaci di effettuare contemporaneamente diagnosi e terapia delle patologie neoplastiche: possono essere infatti usate sia come agenti di contrasto per l’imaging sia come componente terapeutica vera e propria, sfruttando l’ipertermia magnetica da esse generata per la soppressione delle cellule tumorali [47; 76].

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2. SCOPO DELLA TESI

Il presente lavoro di tesi è stato svolto presso il BIOlab (Laboratorio Materiali Polimerici Bioattivi per Applicazioni Biomediche e Ambientali) del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale e presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa.

Obiettivo generale del progetto è stato lo sviluppo di sistemi nanoparticellari per il rilascio controllato di peptidi ad attività antimicrobica, da utilizzare nel trattamento di infezioni sostenute da specie batteriche antibiotico-resistenti.

In tale ambito, lo studio ha previsto:

- preparazione di nanoparticelle a base di chitosano e tripolifosfato contenenti la temporina 1b, un peptide antimicrobico isolato dalla pelle della Rana temporaria, attraverso la tecnica della gelificazione ionotropica;

- caratterizzazione chimico-fisica della formulazione ottenuta in termini di dimensione e carica superficiale con particolare attenzione alla valutazione del caricamento della temporina all’interno delle nanoparticelle e all’analisi della cinetica di rilascio del peptide;

- valutazione della citotossicità della temporina in forma libera ed in forma incapsulata verso la linea cellulare di fibroblasti murini embrionali balb/3T3;

- valutazione dell’attività antibatterica del sistema nanoparticellare sviluppato su

Staphylococcus epidermidis, un batterio Gram-positivo di notevole interesse clinico. A tale riguardo, la carenza di metodiche analitiche adeguate all’analisi dell’attività antibatterica per periodi di tempo prolungati ha richiesto la messa a punto di un idoneo saggio microbiologico;

- analisi dell’attività battericida ed emolitica di analoghi sintetici della temporina 1b, da poter impiegare per la realizzazione di nanoparticelle a base di chitosano con proprietà antimicrobiche ulteriormente ottimizzate.

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3. MATERIALI E METODI

3.1. Materiali

I prodotti commerciali, se non specificato diversamente, sono stati utilizzati senza alcuna purificazione preliminare.

3.1.1. Solventi e reagenti

Acetone assoluto

Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia) con purezza del 99.5%.

Acido acetico glaciale

Prodotto commerciale (J.T. Baker, Italia) con purezza tra il 99 e il 100%.

Chitosano (CS)

Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia), caratterizzato da peso molecolare medio ponderale Mw di 108 kg/mol (Mw/Mn 2.4) e da grado di deacetilazione pari al 92% [77],

conservato a 25°C.

Dietil etere

Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia) con purezza del 99.8%.

Dimetilsolfossido (DMSO)

Prodotto commerciale (Carlo Erba, Italia) con purezza del 99.8%, utilizzato previa distillazione sotto vuoto a 0.2 mBar, 24°C.

Micro BCA

Prodotto commerciale (Pierce, Italia), contenente soluzioni di acido bicinconinico (BCA) e fiale di albumina sierica bovina (BSA) (2mg/ml). Conservato a temperatura ambiente e utilizzato per la quantificazione di proteine.

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Materiali e metodi

29 Peptidi ad attività antimicrobica

Temporina 1b (T-1b) e suoi analoghi sono stati sintetizzati dalla ditta Proteogenix (Francia) (tab.3.1):

Peptide Sequenza PM (g/mol)

T-1b LLPIVGNLLKSLL-NH2 1391.8

T-1b_A LLPIVANLLKSLL-NH2 1405.8

T-1b_B FLPIVGLLKSLLK-NH2 1439.9

T-1b_C KKLLPIVANLLKSLL-NH2 1662.2

Tab. 3.1 – Principali caratteristiche dei peptidi utilizzati nello studio

L’analisi dei peptidi sintetici tramite HPLC e spettrometria di massa ha rilevato una purezza maggiore del 98%. T-1b è stata disciolta in DMSO per la formulazione delle nanoparticelle. Tutti i peptidi sono stati solubilizzati in acqua milli-Q e conservati in aliquote da 20 μl a -80°C per la realizzazione dei saggi di attività antibatterica.

Sodio tripolifosfato (TPP)

Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia), conservato a 4°C.

Tampone fosfato salino (PBS)

La soluzione 10 mM pH 7.4 è stata preparata disciogliendo 8 g di NaCl, 0.2 g di KCl, 1.44 g di Na2HPO4 e 0.24 g di KH2PO4 in 1 L di acqua deionizzata. Sterilizzato in

autoclave e conservato a 4°C.

Tampone sodio fosfato (SPB)

La soluzione 10 mM pH 7.4 è stata preparata disciogliendo 0.178 g di disodio idrogeno fosfato (Na2HPO4) e 0.138 g di sodio diidrogeno fosfato (NaH2PO4) in 10 ml di acqua

milli-Q. Un volume di 7.74 ml di Na2HPO4 e di 2.26 ml di NaH2PO4 è stato aggiunto a

(35)

Materiali e metodi

30

3.1.2. Materiali per colture cellulari

Antibiotici

Prodotto commerciale (Gibco, Italia), soluzione acquosa di penicillina (10˙000 U/ml) e streptomicina (10˙000 µg/ml), conservata in aliquote da 5 ml a -20°C.

Fibroblasti embrionali murini balb/3T3 clone A31

La linea cellulare (ATCC CCL-163) è stata acquistata presso la American Tissue Culture Collection (ATCC) ed è stata propagata secondo le istruzioni del fornitore.

Glutammina

Prodotto commerciale (Gibco, Italia), soluzione acquosa 200 mM, conservata a -20°C.

Materiale plastico

Il materiale plastico sterile monouso (fiasche, piastre, falcon, criotubi, pipette, siringhe, filtri) è stato fornito dalla Cornig Costar e dalla Greiner Labortechnik.

Plasmocin

Prodotto commerciale (InvivoGen, Italia), soluzione 2.5 mg/ml, conservata a -20°C.

Reagente di proliferazione cellulare WST-1

Prodotto commerciale (Roche, Italia), conservato al buio a -20°C e utilizzato diluito 1:10.

Siero di vitello (Bovine Calf Serum, BCS)

Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia), conservato in aliquote da 50 ml a -20°C.

Tampone fosfato salino senza Ca2+ e Mg2+ (Dulbecco’s Phosphate Buffered Saline, PBS) Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia), soluzione 0.01 M pH 7.4, conservata a 4°C.

Terreno di coltura cellulare (Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium, DMEM) Prodotto commerciale (Sigma-Aldrich, Italia), conservato al buio a 4°C.

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Materiali e metodi

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Terreno di coltura cellulare completo (DMEM completo)

Ottenuto addizionando al terreno DMEM antibiotici all’1%, glutammina al 2%, plasmocin allo 0.02% e siero fetale bovino al 10%. Conservato al buio a 4°C.

Tripsina-EDTA

Prodotto commerciale (Gibco, Italia), soluzione acquosa di EDTA 1 mM e tripsina allo 0.25%, conservata in aliquote da 5 ml a -20°C.

3.1.3. Materiali per colture microbiche

Ceppi batterici

I ceppi batterici di Klebsiella pneumoniae (ATCC 1706), Pseudomonas aeruginosa (ATCC 27853), Staphylococcus aureus (ATCC 33591) e Staphylococcus epidermidis (ATCC 35984) sono stati acquistati presso la American Type Culture Collection (ATCC). Tutti i ceppi sono considerati multifarmaco resistenti (Multi-Drug Resistant, MDR), poiché presentano una resistenza ad almeno tre distinte classi di antibiotici con differente meccanismo d’azione.

Materiale plastico

Il materiale plastico sterile monouso (piastre, falcon, criotubi, pipette, siringhe, filtri) è stato fornito dalla Cornig Costar.

Terreno di coltura cellulare Tryptone Soya Broth (TSB)

Prodotto commerciale (Oxoid, Regno Unito), terreno di coltura liquido, opportunamente diluito in acqua deionizzata, sterilizzato in autoclave e conservato a temperatura ambiente.

Terreno di coltura cellulare Tryptone Soya Agar (TSA)

Prodotto commerciale (Oxoid, Regno Unito), terreno di coltura solido, opportunamente diluito in acqua deionizzata, sterilizzato in autoclave e distribuito in piastre Petri. Le piastre sono state conservate a 4°C.

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