Capitolo I
Tissue Engineering
Il significato della parola “engineering” nel termine “Tissue Engineering”
(Ingegneria dei Tessuti o Ingegneria Tissutale), coniato nel 1987 dalla National Science Foundation (USA), non è di immediata comprensione.
Le principali definizioni di “ingegneria” parlano di
“Utilizzo delle conoscenze scientifiche per la risoluzione di problemi pratici e analisi sistematica di dati fisici al fine di ottenere prodotti finali tangibili”.
Questi concetti, ad una prima analisi, mal si adattano alla Tissue Engineering. Pur parlando di prodotti finali tangibili, tale disciplina sembra inizialmente più legata alla biologia cellulare e alla farmacologia piuttosto che a ciò che nel sentire comune si associa al termine vero e proprio di “ingegneria”.
Quanto detto finora però, non è vero in termini assoluti, in special modo se consideriamo un’altra definizione di ingegneria che deriva dalla parola latina “ingenium” cioè ingegno, creatività.
Secondo alcuni autori, proprio questa incomprensione a livello semantico sta alla base del
fatto che, dopo quasi 20 anni, l’ingegneria tissutale non si sia ancora imposta in modo
definitivo in ambito clinico e commerciale [1]. Infatti accade spesso che nella risoluzione
dei problemi di questo settore, si trascuri l’approccio ingegneristico a favore di approcci di
tipo trial-and-error.
Neanche a livello europeo esiste una definizione universalmente condivisa. Tuttavia una ipotesi di lavoro della Commissione Europea suggerisce che per prodotto ottenuto attraverso l'ingegneria dei tessuti umani si intende ogni prodotto autologo (ottenuto dal paziente stesso) o allogeno (ottenuto da un altro essere umano) che:
contiene, consiste o comporta come risultato tessuti o cellule umane trattati tramite l'ingegneria;
ha proprietà, o è descritto come avente proprietà, di rigenerazione, riparazione o sostituzione di tessuti, nel caso in cui i nuovi tessuti o cellule, in tutto o in parte, siano strutturalmente e funzionalmente analoghi al tessuto originale rigenerato, riparato o sostituito.
1.1. Il danno tissutale
La perdita di una certa porzione di tessuto o la compromissione di un organo a causa di eventi patologici o traumatici è uno dei più devastanti e costosi problemi della pratica clinica moderna [2].
La risposta da parte dell’organismo ad un danno, consiste principalmente nei processi di riparazione che mirano a limitare il danno, spesso non ripristinano la situazione precedente e hanno, a volte, anche effetti dannosi.
I trattamenti chirurgici, fino ad ora praticati, prevedono a seconda dei casi, quattro possibili alternative:
- trapianto di organo tra individui diversi;
- trapianto di tessuto da un sito sano dello stesso individuo, al sito danneggiato;
- sostituzione della funzione lesa attraverso un dispositivo artificiale;
- trattamento farmacologico che compensa la carenza dei prodotti del tessuto danneggiato.
Nonostante gli ottimi risultati ottenuti con queste metodiche, anche in termini di qualità della vita, permangono alcuni problemi irrisolti che vale la pena menzionare.
Il trapianto di organi è attualmente estremamente limitato a causa dell’esiguo numero di
donatori; inoltre il paziente che ha ricevuto un trapianto deve sottoporsi a vita ad un
pesante trattamento immunosoppressivo che eviti una violenta reazione del proprio sistema
immunitario contro il nuovo organo riconosciuto come estraneo.
Il trapianto di tessuto è spesso una soluzione accettabile ma non è assolutamente priva di rischi in quanto il tessuto da impiantare viene prelevato da una regione sana: si risolve un problema in un sito e si rischia di creare un problema altrove.
L’uso di dispositivi artificiali ha avuto, negli anni passati, risultati clinici e commerciali più che soddisfacenti; esempi ne sono le protesi di anca e di ginocchio, le lenti intraoculari, i pacemakers cardiaci, le valvole cardiache artificiali. È da aggiungere che sono tuttavia in fase di miglioramento le caratteristiche di biocompatibilità, il solo fattore che limita la durata di tali dispositivi all’interno dell’organismo. Merita un accenno l’utilizzo di tali dispositivi sui bambini: il dispositivo non è in grado di crescere e adattarsi al loro organismo, sono quindi necessari interventi operatori ripetuti.
Un esempio di assunzione cronica di farmaci trova il suo paradigma nella terapia diabetica:
il paziente deve assumere insulina a causa della ipofunzionalità delle isole di Langerhans del tessuto pancreatico. È noto che questa assunzione esterna può condurre a sbilanci ormonali e può inficiare i meccanismi di feedback.
Per tutti questi motivi si può comprendere come l’ingegneria tissutale può essere una valida soluzione o almeno una alternativa plausibile ai trattamenti sopra citati.
1.2. Paradigmi della Tissue Engineering
La definizione classica, trovata in letteratura, del termine “Tissue Engineering” è la seguente:
“Campo interdisciplinare che applica i principi dell’ingegneria e delle scienze biologiche allo scopo di sviluppare sostituti biologici per ripristinare mantenere o migliorare funzioni di tessuti o organi.” [3]
In senso classico quindi, l’ingegneria dei tessuti, vuole impiegare cellule organo-specifiche per popolare in vitro una struttura artificiale (detta scaffold, letteralmente: impalcatura) che verrà successivamente impiantata in un organismo per sopperire a danni tessutali o di interi organi.
Tale approccio è basato su dei comportamenti emersi durante lo studio di tessuti e cellule
che per sommi capi riassumiamo:
- alcuni tessuti sono capaci di rigenerarsi;
- in condizioni opportune, cellule mature isolate riescono a riorganizzarsi in vitro nella loro struttura istologica naturale;
- l’organizzazione delle cellule in certe strutture necessita di templates in grado di guidare la riorganizzazione;
- diversi tipi di tessuto non possono essere prodotti in grandi volumi per motivi legati al trasporto diffusivo di gas e nutrienti.
L’approccio più comunemente utilizzato in ingegneria tissutale consiste quindi nel combinare determinati tipi cellulari con particolari geometrie di scaffolds realizzati con materiali, naturali o sintetici, biodegradabili tali da fornire in vitro strutture “viventi”. Con questi costrutti artificiali, le cellule proliferano ed elaborano la matrice extracellulare (ECM, Extra-Cellular Matrix).
I processi che si verificano durante la formazione e la maturazione del tessuto sono:
- proliferazione e differenziazione cellulare;
- produzione e organizzazione della ECM;
- degradazione dello scaffold;
- rimodellamento in vivo e crescita del tessuto.
L’approccio classico fino ad ora descritto viene chiamato anche Sistema Aperto in quanto le cellule dell’impianto possono venire in contatto con le cellule dei tessuti circostanti.
Sono stati definiti anche Sistemi Chiusi nei quali le cellule impiantate sono isolate dai tessuti circostanti tramite membrane polimeriche semipermeabili che permettono il passaggio di metaboliti, farmaci e ormoni ma bloccano le molecole più grandi, come le cellule del sistema immunitario. I sistemi chiusi trovano applicazione ad esempio, nel rilascio controllato di farmaci o nei dispositivi extracorporei per assistenza all’attività renale [4].
Il paradigma classico della Tissue Engineering è schematizzato in Figura 1.1 e 1.2. A tale
struttura sono stati spesso sostituiti i cosiddetti “paradigmi incompleti”, all’interno dei
quali alcuni elementi risultano mancanti.
Figura 1.1: Paradigma classico della Tissue Engineering.
Figura 1.2: Paradigma classico della Tissue Engineering.
Figura 1.3: Paradigmi incompleti della TE; a sinistra modello con scaffold cellularizzato, a destra modello per trapianto di cellule.
Figura 1.4: Paradigmi incompleti della TE; a sinistra modello con scaffold che attrae cellule endogene, a destra modello equivalente di tessuto.
Ad oggi, diversi tipi di tessuto sono stati sviluppati nei laboratori di tutto il mondo, tuttavia rimangono ancora problematiche aperte che ostacolano un successivo sviluppo.
Il problema di fondo è duplice e riguarda i trasferimenti di massa all’interno delle strutture tridimensionali e la neovascolarizzazione del nuovo tessuto.
I progressi più recenti in questo interessante e promettente settore della Bioingegneria sono
stati ottenuti con la biologia delle cellule staminali, la scienza dei materiali, le tecnologie di
microfabbricazione e lo sviluppo di sistemi dinamici di coltura cellulare.
Possiamo raggruppare la ricerca nel campo dell’ingegneria dei tessuti attorno a quei componenti che compongono il paradigma, ovvero:
- componente cellulare;
- scaffold;
- sistema di coltura.
1.3. Componente cellulare
Le cellule svolgono un ruolo cruciale nei processi di riparazione e rigenerazione dei tessuti. Le loro caratteristiche biologico-funzionali comprendono: proliferazione, differenziamento, interazioni inter-cellulari, produzione di biomolecole, formazione della ECM. Le fonti cellulari possono essere autologhe
1, singeniche
2, allogeniche
3o xenogeniche
4.
Le cellule ideali da utilizzare in ingegneria tessutale dovrebbero essere dotate di alcune importanti proprietà:
dovrebbero essere facilmente reperibili;
dovrebbero facilmente moltiplicarsi senza subire alterazioni fenotipiche o funzionali;
non dovrebbero essere in grado di trasmettere agenti patogeni interspecie;
dovrebbero essere in grado di differenziarsi in una certa varietà cellulare;
dovrebbero infine causare una risposta immunologica minima.
Alcuni tipi cellulari, come cheratinociti, fibroblasti, condrociti, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, sono in grado di proliferare rapidamente e proprio per questo motivo sono stati maggiormente impiegati nei prodotti di ingegneria tessutale. Attualmente esistono due tipi di “pelle artificiale” approvati dalla FDA (Food and Drugs Administration) e un altro prodotto per la riparazione della cartilagine articolare.
Altri tipi cellulari, come epatociti o cardiomiociti, hanno un impiego decisamente più
1 Autologhe: prelevate dallo stesso individuo.
2 Singeniche: prelevate da un individuo geneticamente identico.
3 Allogeniche: prelevate da un diverso individuo della stessa specie.
4 Xenogeniche: prelevate da un diverso individuo di diversa specie.
modesto poiché proliferano molto lentamente o non proliferano affatto.
Recentemente è stato proposto di utilizzare, come fonte universale di cellule, le cellule staminali che hanno ottime caratteristiche in termini di differenziamento. È noto infatti che cellule derivanti da blastocisti di embrione umano, dopo 4-5 mesi di proliferazione indifferenziata in coltura, riescono a differenziarsi in tutti e tre gli strati di germinazione embrionali: endoderma (e.g. epitelio intestinale), mesoderma (e.g. cartilagine, osso, muscolo), ectoderma (e.g. epitelio squamoso stratificato) [5]. Benché queste linee cellulari si mostrino molto promettenti, forti vincoli etico-morali e legali, ancora oggi motivo di infuocati dibattiti, ne impediscono l’utilizzo e lo studio in molte nazioni, non permettendo in questo modo la comprensione di quei meccanismi che presiedono al controllo del differenziamento cellulare.
Figura 1.5: Ingrandimenti di alcuni tipi di tessuto: a) tessuto epiteliale; b) tessuto muscolare cardiaco;
c) tessuto epatico; d) tessuto adiposo; e) tessuto muscolare liscio; f) tessuto nervoso.
Le cellule staminali adulte del midollo osseo sono la seconda scelta possibile in termini di capacità di differenziamento, in quanto esse possono differenziarsi esclusivamente in tessuti mesenchimali (e.g. osso, cartilagine, adipe, tendini, muscoli). Dato che il loro impiego in medicina sembra non avere forti contrasti etici, si sta aumentando il loro studio anche se il loro isolamento e il controllo del differenziamento risultano tecnicamente molto complessi.
Altra sfida che si presenta nella scelta della componente cellulare dell’ingegneria tessutale
riguarda la reazione del sistema immunitario dell’organismo ricevente verso cellule
riconosciute come estranee (allogeniche o xenogeniche). Una possibile soluzione sarebbe la “clonazione terapeutica” o trasferimento nucleare, procedimento secondo il quale il nucleo di una cellula somatica di un individuo, viene inserito in una cellula uovo non fecondata di un altro individuo dopo avere estratto il nucleo di quest’ultima. Una qualsiasi cellula somatica potrebbe dunque essere riportata alla condizione di totipotenza, potrebbe cioè avere le stesse capacità di differenziamento di una cellula staminale embrionale. La ricerca in questo campo è ancora agli inizi, non sono stati ancora del tutto chiariti infatti le conseguenze relative alla presenza di un DNA mitocondriale allogenico in un clone cellulare.
Figura 1.6: Schema generale del processo di clonazione terapeutica.
1.4. Scaffold
Lo scaffold non è solo un materiale di supporto che fornisce pattern topologici, ma è anche un mezzo per somministrare alle cellule stimoli ben precisi al fine di attivare determinati processi cellulari.
Gli scaffolds possono essere realizzati con materiali di derivazione naturale (e.g. collagene,
alginato, idrossiapatite) o con polimeri di origine sintetica (poliglicolide, polilattide, polilattide-co-glicolide). In genere si preferiscono i materiali naturali poiché riproducono più fedelmente l’ambiente cellulare nativo. Tuttavia i vantaggi, in termini di controllo delle proprietà meccaniche, offerti dai materiali sintetici, rendono la scelta molto difficile e strettamente legata al tipo di applicazione.
In generale, lo scaffold ideale dovrebbe avere una struttura tridimensionale con proprietà meccaniche adeguate, alta porosità con pori interconnessi nel volume, buona biocompatibilità, velocità di degradazione controllata, proprietà di superficie idonee all’adesione, crescita e differenziamento cellulare.
Recentemente, gli studi su geometria, materiali, porosità e caratteristiche superficiali degli scaffolds hanno permesso di ottenere in vitro strutture cartilaginee di forma anche complessa [6].
Figura 1.7: Scaffolds bidimensionali e tridimensionali realizzati con polimeri biodegradabili.
Per quanto riguarda la geometria degli scaffolds, sono stati sviluppati metodi di microfabbricazione e di RP (Rapid Prototyping) che permettono di ottenere geometrie complesse, anche nella scala dei micrometri, partendo da dati acquisiti con tecniche di imaging (e.g. tomografia computerizzata, risonanza megnetica) dal tessuto originale.
Per ciò che concerne il materiale degli scaffolds, si è assistito ad una evoluzione: tra il
1960 e il 1970 si parlava di materiali biologicamente “inerti”, che non davano luogo ad
alcun tipo di risposta da parte dei tessuti biologici (biomateriali di prima generazione); la
seconda generazione di biomateriali (e.g. ceramiche, idrossiapatite) era capace di stimolare
una risposta “bioattiva” da parte dei tessuti biologici; oggi dai biomateriali di terza
generazione ci si aspetta la capacità di integrare le due caratteristiche in modo da stimolare una specifica risposta cellulare a livello molecolare [7]. Questa è l’era dei biomateriali intelligenti (smart biomaterials).
Con questa ultima generazione, i biomateriali diventano capaci di promuovere complessi eventi biologici come l’adesione e la migrazione cellulare o il rilascio controllato di fattori di crescita. Su quest’ultima capacità gli studi sono in aumento in quanto, a parte il costo, la maggiore pecca di queste biomolecole è la loro alta instabilità in vitro: si parla di emivite dell’ordine dei minuti. Questa limitazione ha portato allo sviluppo di metodiche per l’immobilizzazione, la protezione e il rilascio controllato dei fattori di crescita attraverso materiali (polimeri sintetici biodegradabili o biopolimeri) che diventano in grado di influenzare ad esempio l’osteogenesi, la rigenerazione nervosa, la riparazione di ferite, l’angiogenesi. La tecnica più usata consiste nel mimare attraverso lo scaffold, il rilascio dei fattori da parte della matrice extracellulare. Buoni risultati si sono visti nel rilascio di un singolo fattore mentre non è stato ancora ottenuto un rilascio multifattoriale adeguato.
1.5. Sistema di coltura
In passato la coltura cellulare avveniva in condizioni statiche che simulavano solo in parte l’ambiente interno di un organismo. Con tali metodi non era possibile ottenere densità cellulari elevate (ricordiamo che in vivo le densità sono dell’ordine di 10
8cellule per cm
3) poiché la velocità di ricambio del terreno di coltura e le condizioni di diffusione dei nutrienti non erano adeguate.
I sistemi di coltura dinamici, chiamati bioreattori, aggiungono al regime di flusso diffusivo delle colture statiche una componente convettiva che porta sicuramente notevoli vantaggi rispetto alle colture statiche e permette di ottenere densità cellulari di 10
6cellule per cm
3. Parametri come il flusso e la concentrazione delle varie sostanze possono essere attentamente controllati in modo automatico, migliorando così i trasferimenti di gas e di altri metaboliti e regolando il volume della coltura. I bioreattori recentemente progettati riescono a simulare il complesso ambiente fisiologico di un organismo vivente:
temperatura, pH, concentrazioni, stress fisiologici come la pulsatilità del flusso sanguigno,
agiscono positivamente sulla differenziazione, crescita e organizzazione cellulare.
Si possono citare almeno quattro caratteristiche sulle quali è possibile intervenire per migliorare la struttura e la funzione dei prodotti dell’ingegneria tessutale:
- pattern di flusso ⇒ semina efficiente su scaffolds 3-D;
- trasporto di nutrienti e gas ⇒ migliore metabolismo cellulare;
- stimolazione fisica ⇒ meccanotrasduzione
5;
- controllo dei parametri ⇒ controllo on-line tramite PC.
Sono state sviluppate diverse tipologie di bioreattore ma alcuni elementi, in quanto fondamentali, sono comuni a tutti i sistemi. L’elemento base di un bioreattore è la cella di coltura, una camera sterile nella quale sono contenute le cellule. Il mezzo di coltura si trova in una reservoir (vetro, policarbonato, etc.) nella quale, tramite una elettropompa (centrifuga, peristaltica, ecc.), viene immesso in circuito il terreno di coltura arricchito con una miscela CO
2ed O
2(in realtà, a causa dell’alta infiammabilità di quest’ultimo, si usa spesso aria in sua sostituzione). La rilevazione del pH avviene tramite un pH-metro ed è possibile mantenere tale parametro in un range predefinito, agendo sull’apertura e la chiusura di elettrovalvole che regolano l’immissione di CO
2ed aria. Le variazioni di pH possono essere rilevate anche con metodi ottici aggiungendo al mezzo di coltura un indicatore organico di pH (e.g. rosso fenolo).
Tutti i processi sono controllati costantemente da un PC, collegato mediante una scheda di acquisizione ai vari sensori (pH, temperatura, pressione, flusso). Il software di controllo, regolando la portata della pompa, la temperatura del bagnetto termostatato e le elettrovalvole della CO
2e dell’aria, mantiene i parametri all’interno dei range inizialmente stabiliti. La coltura viene quindi mantenuta in condizioni ottimali ed è possibile implementare varie tipologie di test atte ad esempio a valutare gli effetti di farmaci o altre molecole sulla fisiologia cellulare.
5 È ormai noto che il comportamento delle cellule è influenzato dalla meccanotrasduzione: queste sono sensibili alle azioni meccaniche che agiscono sul loro citoscheletro sia in modo diretto che tramite sforzi generati dal flusso di un fluido.
Figura 1.8: Bioreattore a flusso laminare con controllo di pH, temperatura e pressione.
Figura 1.9: Elenco di alcuni fattori che controllano la formazione di un tessuto artificiale.
1.6. Verso la rigenerazione dei tessuti
È noto che a volte la riparazione non è una soluzione funzionalmente ottimale e la sostituzione funzionale è attualmente limitata nel tempo; la sola possibile alternativa rimane a questo punto la rigenerazione dei tessuti.
Per rigenerazione si intende il ripristino della normale struttura e funzione perdute, attraverso la produzione di un nuovo tessuto che replica, in modo esatto, il tessuto danneggiato.
Il problema principale è rappresentato dal fatto che i mammiferi sono in grado di rigenerare autonomamente solo certe parti del loro organismo.
La rigenerazione indotta è quindi la vera essenza dell’ingegneria dei tessuti; ben diversa dalla sostituzione funzionale o dalla riparazione, che spesso ha risultati clinicamente inferiori.
Il processo rigenerativo potrebbe essere ottenuto tramite una stimolazione “innaturale”
delle potenzialità rigenerative delle cellule, grazie ad un certo numero di elementi che possono essere biomolecole, strutture di supporto, segnali molecolari, stimoli meccanici, stimoli elettrici.
Una delle più recenti definizioni di ingegneria tissutale, è suggerita da D.F.Williams:
“L’ingegneria tessutale è la creazione di nuovo tessuto per la ricostruzione terapeutica del corpo umano, attraverso la deliberata e controllata stimolazione di specifiche cellule, per mezzo di una sistematica combinazione di segnali molecolari e meccanici” [1].
Chiaramente, stimolare delle cellule a generare un nuovo tessuto che normalmente non produrrebbero non è un processo banale. Bisogna tener conto inoltre di alcuni punti di fondamentale importanza:
- deve essere generato solo quello specifico tipo di tessuto;
- la formazione deve cessare quando il processo è completo;
- il nuovo tessuto deve ovviamente essere funzionale.
1.7. Tra realtà e speranze
Nelle passate due decadi, gli studi effettuati su un buon numero di tessuti dai vari laboratori hanno permesso la realizzazione di sostituti biologici strutturalmente e funzionalmente complessi. Cinque di questi prodotti sono stati anche approvati dalla FDA.
Tabella 1.1: Esperienze nel campo dell’ingegneria tissutale condotte presso [8].
Tipo di Tessuto Descrizione Impiego
Tessuto cutaneo Fibroblasti del derma neonatale umano su
scaffold biobegradabile Ustioni, ulcere Tessuto cartilagineo Condrociti autologhi su
scaffold biodegradabile Ricostruzione auricolare Tessuto muscolare Mioblasti fetali autologhi
su scaffold biodegradabile Sostituzione diaframma6 Tessuto osteocondriale Osteociti e condrociti su
scaffold biodegradabile Ricostruzione falangi7 Tessuto osseo Osteociti su scaffold
biodegradabile Ricostruzione parti ossee Arteria polmonare Cellule autologhe su
scaffold polimerico biodegradabile
Difetto cardiaco congenito
Tessuto nervoso Cellule di Schwann su
scaffold tubolare Rigenerazione guidata di nervi periferici Tratto Intestinale Cellule intestinali
progenitrici su scaffold tubolare polimerico
Sostituzione di tratti intestinali8
1.8. La sfida più grande
Sicuramente, la sfida più grande nel campo dell’ingegneria tessutale resta la fabbricazione di tessuti complessi di spessore elevato (e.g. tratto gastrointestinale) e lo sviluppo di interi organi (e.g. fegato e reni). I problemi di questi due progetti sono comuni.
In primo luogo, le difficoltà riguardano l’isolamento, la proliferazione e il differenziamento congiunto delle diverse linee cellulari che formano un tessuto complesso o un organo.
Il secondo punto critico è la vascolarizzazione della massa di tessuti tridimensionali
6 Provato solo su animale (agnello).
7 Provato solo su animale (topo).
8 Provato solo in vitro.
complessi, problema ancora non risolto. Porzioni di tessuto impiantate di volume superiore a 2–3 mm
3non ottengono una sopravvivenza cellulare adeguata poiché gli scambi di nutrienti, gas e prodotti di rifiuto sono limitati alla distanze di diffusione (dell’ordine di 100 μm). Tre diversi approcci sono stati utilizzati per la soluzione del problema [9]:
- inserimento dei fattori angiogenici nella struttura dello scaffold;
- semina di cellule endoteliali insieme ad altri tipi cellulari;
- vascolarizzazione della matrice prima della semina delle cellule.
I ricercatori della Harvard Medical School, grazie ad una tecnica di 3-D printing, hanno recentemente proposto uno scaffold tridimensionale polimerico biodegradabile, con una rete intrinseca di canali interconnessi simile alle diramazioni della rete microvascolare.
Epatociti in co-coltura con cellule non-parenchimali sulla struttura, hanno mostrato buone caratteristiche di adesione e sopravvivenza in condizioni di flusso statiche e dinamiche [8].
Con le tecniche della fotolitografia è stato possibile incidere su superfici di silicio e di Pyrex dei microcanali (larghi 10 μm) con patterns che mimano l’architettura delle reti capillari. Su questi scaffolds sono stati coltivati epatociti che anno espresso parziali funzioni epatiche [10]. I templates realizzati con queste tecniche sono stati impiegati anche come stampi per replicare i patterns microvascolari su films polimerici biodegradabili sui quali possono essere seminate cellule endoteliali per dar vita ad una rete microvascolare.
Utilizzando modelli computazionali della circolazione microvascolare che tengano conto della geometria frattale della rete, della reologia del sangue, e dello scambio di gas e nutrienti, si può pensare di alternare strati vascolari microfabbricati a strati epatici per realizzare in vitro un sistema epatico vivente [11].
1.9. Conclusioni
Dopo aver illustrato per sommi capi il panorama dell’Ingegneria Tissutale, proviamo ad analizzare i fattori (scientifici, ma non solo) che hanno frenato finora il progresso di questo interessante settore della Bioingegneria.
Si potrebbe puntare il dito su molteplici fattori ma sicuramente, uno dei più importanti, è la
difficoltà di integrazione dei vari componenti: un sistema produttivo mirato ad ottenere
prodotti di ingegneria tissutale è sicuramente un sistema complesso, coinvolge molteplici
fasi, tempi e procedure di lavorazione e come tale deve essere trattato. Occorre una attenta fase di progettazione che fornisca un unico e coerente sistema capace, non solo del rispetto dei requisiti e delle specifiche proprie della produzione, ma anche di rispettare quelle logiche economiche che rendono cost-effective il processo produttivo. Ovviamente in questo processo di integrazione bisogna tener presente che la qualità dei prodotti è di fondamentale importanza innanzitutto per la loro validazione e successivamente per il loro impiego in ambito clinico.
Un approccio in grado di realizzare una integrazione di questo tipo è quello della System Engineering (Ingegneria dei Sistemi). Degli esempi sono già stati fatti in diverse aree delle Biotecnologie, basti pensare all’ingegnerizzazione di anticorpi, alla tecnologia dei micro- array, all’utilizzo di modelli metabolici per ottimizzare processi di fermentazione [1].
Altri vincoli da considerare sono le imposizioni di tipo regolatorio, etico e morale.
Un report economico pubblicato nel 2004, con riferimento a dati raccolti fino al 2002, fa notare che la situazione economica delle aziende private che operano nell’ingegneria dei tessuti non è tra le più rosee [12]. Le notazioni principali della pubblicazione relative al biennio 2000-2002 possono essere così riassunte:
- Il numero delle aziende nel mondo è aumentato (da 73 a 89) ma il numero di dipendenti è diminuito. Questo mostra uno spostamento del settore verso aziende di dimensioni contenute formate da piccoli gruppi di ricerca.
- Le quote di mercato delle tre principali categorie che compongono il settore (cellulare, metabolico, strutturale) si sono ridistribuite a favore del settore cellulare grazie all’exploit delle cellule staminali.
Figura 1.10: I tre rami della Tissue Engineering.
- Le quotazioni dei titoli delle aziende del settore sono precipitate. Questo
- ente distribuito
declino è dovuto solo in parte alla riduzione dell’interesse degli investitori, il motivo principale e il fallimento di due grandi aziende del settore (Organogenesis e Advanced Tissue Sciences).
Il numero di dipendenti del settore si è distribuito più uniformem
tra Stati Uniti e resto del mondo. Il motivo è stato spesso rappresentato da procedure regolatorie più “morbide” e meno costose.
Figura 1.11: Evoluzione dei settori tra il 2000 e il 2002.
Figura 1.12: Incremento del numero dei dipendenti.