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Lo zero, da ostacolo epistemologico a ostacolo didattico

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Academic year: 2021

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Lo zero, da ostacolo epistemologico ad ostacolo

didattico

Bruno D’Amore

Dipartimento di Matematica, Università di Bologna, Italia Facoltà di Scienza della Formazione, Università di Bolzano, Italia

Alta Scuola Pedagogica, Locarno, Svizzera Dottorato di ricerca, Università Distrital, Bogotà, Colombia

Summary. Is it really true that zero is not a spontaneous concept for children

in pre-schooling age? Is it really true that the difficulty of its conceptual construction is based on the evident fact that it is an epistemological obstacle? In this text we show, through dialogues with children ranging in age from three to six, that the generation of zero both as a digit and a cardinal is fully present and spontaneous. We thus suppose that at the origin of zero learning difficulties are also didactic obstacles, created by the widespread trend to avoid a spontaneous introduction of this concept based on the experience, already present, of children of that age. Therefore it is not zero itself an obstacle, but pseudo-didactic convictions in this regard.

Resumen. ¿El cero es en realidad un concepto no espontáneo para los niños

en edad pre-escolar? ¿Es verdad que la dificultad de su construcción conceptual radica en el evidente hecho que se trata de un obstáculo epistemológico? En este texto se muestra, gracias a coloquios con niños entre tres y seis años, que la génesis del cero, tanto como cifra como cardinal, es del todo presente y espontánea. Y se hipotiza por lo tanto que al origen de las dificultades de aprendizaje del cero existen también obstáculos didácticos, creados por la difundida tendencia de evitar una introducción espontánea de dicho concepto, con base en la experiencia ya vivida por niños de esta edad. No es por lo tanto el cero en sí mismo a constituir un obstáculo, sino las relativas convicciones pseudo-didácticas.

Sunto. Davvero lo zero è concetto non spontaneo per i bambini in età

pre-scolare? Davvero la difficoltà della sua costruzione concettuale risiede nell’evidente fatto che si tratta di un ostacolo epistemologico? In questo testo si mostra, grazie a colloqui con bambini fra i tre ed i sei anni, che la

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generazione dello zero, sia come cifra che come cardinale, è del tutto presente e spontanea. E si ipotizza dunque che all’origine delle difficoltà apprenditive di zero ci siano anche ostacoli didattici, creati dalla tendenza diffusa di evitare un’introduzione spontanea di tale concetto, basata sull’esperienza già esperita dai bambini di quella età. Non è dunque lo zero in sé a costituire ostacolo, ma le convinzioni pseudo-didattiche al riguardo.

Resumo. É verdade que o zero não é um conceito espontâneo para as

crianças de idade pré-escolar? É verdade que a dificuldade de sua construção conceitual se baseia no fato evidente de que se trata de um obstáculo epistemológico? Neste texto mostra-se, por meio de diálogos com crianças entre três e seis anos de idade, que a gênese do zero, como dígito ou como cardinal, é totalmente presente e espontânea. Lança-se, portanto, a hipótese de que na origem das dificuldades de aprendizagem do zero existem também obstáculos didáticos, criados pela difundida tendência de evitar uma introdução espontânea do referido conceito, baseada na experiência já vivida pelas crianças dessa faixa etária. Não é, portanto, o zero em si que constitui um obstáculo, mas as convicções psudo-didáticas a esse respeito.

Résumé. Est-ce-que le zéro est vraiment un concept non spontané pour des

enfants en âge pré-scolaire? Est-il correct considérer que la difficulté de sa construction conceptuelle se trouve dans le fait évident qu’il s’agît d’un obstacle épistémologique? Dans cet article on montre, par le moyen de colloques avec des enfants âgés de 3 à 6 ans, que la génèse du zéro, soit en tant que chiffre soit comme nombre cardinal est tout à fait présente et spontanée. On avance donc l’hypothèse selon laquelle à l’origine des difficultés d’apprentissage du zéro se trouvent aussi des obstacles didactiques, créés par la tendance très répandue de éviter une introduction spontanée de ce concept, fondée sur l’expérience déjà vécue par les enfants de cet âge. Ce n’est pas, donc, le zéro à constituer un obstacle, mais les convinctions pseudo-didactiques sur ce sujet.

Zusammenfassung. Ist die Null wirklich kein spontaner Begriff für Kinder

in Vorschulalter? Ist es richtig der Ansicht zu sein, daß die Schwierigkeit seiner begrifflichen Konstruktion sich in offensichtlicher Tatsache befindet, daß es sich um ein epistemologisches Hindernis handelt? In dieser Artikel zeigt man, durch Kolloquium mit drei- bis sechsjährigen Kindern, daß die Entstehung der Null entweder als Ziffer oder als kardinale Zahl ganz vorhanden und spontan ist. Man stellt also die Hypothese vor, dass die anfänglichen Lehrschwierigkeiten bezüglich auf der Null auch von didaktischen Hindernissen beschaffen sind, die durch die sehr verbreitete Tendenz erschaffen sind, eine spontane Einführung der Null auf der reellen

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Erfahrung dieser Kindern zu vermeiden. Also, schuldig ist nicht die Null, sondern die jeweiligen pseudo-didaktischen Überzeugungen.

1. Lo zero è presente nella vita di tutti i giorni

Comincio con un’illustre osservazione fatta da Alfred North Whitehead: «(…) per le normali attività quotidiane, lo zero non ci serve affatto. Nessuno va al mercato a comprare zero pesci. Lo zero è in un certo senso il più civilizzato di tutti i numeri cardinali e il suo impiego ci viene imposto dalle esigenze legate all’esercizio di una raffinata razionalità»

(cit. in Seife, 2000, pag. 12).

Alfred N. Whitehead [1861-1947]

Ecco come un grande del pensiero scientifico contemporaneo ci introduce a quel raffinato numero naturale che l’essere umano ha impiegato millenni a concepire e creare, per introdurlo nel linguaggio e nel mondo scientifico.

Ma è falso affermare che lo zero non è immediatamente presente nella vita di tutti i giorni:

• i cronometri ed il tempo partono da zero; sull’orologio digitale

vedrete scritto 00:00 allo scoccare della mezzanotte, e solo dopo un minuto troverete 00:01; quando arriverà questa scrittura, sarà passato un lasso di tempo, sessanta secondi; ma all’inizio c’è zero e non uno;

• nella bilancia, in assenza di oggetti sul piatto, ci si aspetta di veder

apparire zero;

• si pensi agli assegni: chiunque apprende in fretta l’uso dello zero

come cifra per arrivare a scrivere numeri grandi;

• …

Certo ci sono delle incongruità:

• il primo ordinale in matematica è zero, ma nella vita comune è uno; • nessuno conterebbe le proprie monete a partire da zero;

ma ha senso esprimere il cardinale di un insieme vuoto, attivando così la percezione anche fisica del concetto di zero.

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2. Costruire la conoscenza di zero

Tuttavia: una cosa è affermare che l’essere umano ha anticamente creato il concetto di zero, ben altra capire come una persona attualmente se ne costruisce la conoscenza…

Jean Piaget [1896 – 1980]

Affermava Jean Piaget (cit. in: Piattelli Palmarini, 1980, pag. 26): «[…] o la matematica è parte della natura, e allora deriva da costruzioni umane, creatrici di nuovi concetti, o la matematica ha origine in un universo platonico e sovrasensibile, e in tal caso bisognerebbe dimostrare attraverso quali mezzi psicologici se ne acquisisce la conoscenza, riguardo alla qual cosa non si è mai avuta alcuna indicazione».

Se vale questo tipo di discussione relativamente al numero naturale generico, la stessa vale per lo zero, numero naturale specifico.

In quali modi, per quali strade un apprendente si costruisce l’oggetto “zero”?

Qui bisogna distinguere subito fra tre grandi categorie di oggetti matematici:

• zero come ordinale, • zero come cardinale, • zero come cifra.

Sono tre oggetti matematici concettualmente ben distinti che, una volta maturata un’opportuna competenza, possono anche coincidere; tutti e tre dovrebbero arrivare a contribuire, ciascuno per suo conto, a far costruire il concetto generale ‘zero’.

L’interesse di questa questione è notevole, visto che illustri Autori arrivano a dichiarare l’impossibilità del bambino di costruirsi l’oggetto “zero”. Ma: di quale zero si tratta? Dello zero cardinale?, dello zero ordinale?, o dello zero cifra? È proprio vero che al bambino sia impossibile costruire uno di questi tre concetti?

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3. Lo zero, ostacolo epistemologico

Vista la storia lunga, controversa e complessa dell’oggetto “zero”, vien subito alla mente che ci troviamo di fronte ad un chiaro esempio di ostacolo epistemologico.

Lo dimostro di seguito, ricordandone brevemente la storia, concordando con questa affermazione di Tobias Dantzig: «Nella storia della cultura, la scoperta dello zero si ergerà sempre come una delle più grandi conquiste individuali del genere umano»

(cit, in Seife, 2000, pag. 18).

[L’unico dubbio che ho, è sull’uso del termine “scoperta”: io credo, infatti, che si tratti di una vera e propria “creazione” da parte dell’essere umano, una creazione socialmente condivisa].

Tobias Dantzig [1884-1956]

Nel loro sistema additivo-posizionale a basi miste (dieci, venti e sessanta) i Sumeri prima ed i Babilonesi poi, ebbero bisogno di un segno speciale per separare le cifre cioè per indicare posti vuoti; come se noi scrivessimo 3 2 per indicare 302; il segno starebbe ad indicare che tra le 3 centinaia e le 2 unità, il posto delle decine è vuoto. In tavolette datate tra il -2000 ed il -3000 manca addirittura lo spazio vuoto (come in quella proveniente da Uruk e conservata al Louvre, numero di inventario AO 17264), il che crea disagio in chi interpreta.

Tra il -1700 ed il -400 si fa sempre più frequente lo spazio vuoto. Mentre, nell’epoca seleucide (tra il -311 e la prima metà del I sec.) appare finalmente un vero e proprio segno apposito per indicare tale spazio vuoto senza equivoci (come nella tavoletta proveniente da Babilonia e conservata al British Museum, numero di inventario BM 32651).

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Segni usati dai Babilonesi per indicare uno spazio vuoto nella scrittura dei numerali in epoca seleucide

Una riflessione è d’obbligo: nel nostro attuale sistema, 0 è una vera e propria cifra, nel sistema babilonese antico il segno introdotto vuol solo dire “assenza” e non ha funzione di numerale. Può sembrare una differenza da poco, ma non lo è: accettare un segno specifico numerale che indica vuoto o nulla o assenza come una vera e propria cifra che indica un segno numerale, è un vero atto di coraggio culturale, filosofico. Non sappiamo quando questo fatto avvenne, ma ci sono documenti del -200 assai chiari in tal senso: appare in essi un segno per indicare l’assenza delle cifre, ma tale segno non è ancora a sua volta una cifra.

Neppure i Greci, i più grandi matematici della storia, concepirono lo zero come numero; i loro numeri partivano da due, dato che per essi “il numero è molteplicità”; dunque uno non è un numero (e zero meno ancora, non ce n’era neppure l’idea).

Spesso si dice che questo fatto è connesso al terrore filosofico che i Greci ebbero del nulla, del vuoto, dell’assenza, concetto che entrava in forte contrasto con la filosofia parmenidea (l’Essere, unità e totalità, eterno, di cui si può predicare solo che “è”) che dominò il loro pensiero filosofico.

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Tolomeo [ca. 85 – 165]

Tuttavia un segno rotondo appare in Tolomeo nel 150 per indicare gradi, primi o secondi nulli nelle misure di ampiezza.

Ma non limitiamoci, come fanno molti, al mondo mediterraneo.

Lo zero appare in modo esplicito, sia come glifo sia come simbolo, nell’aritmetica perfettamente posizionale a base venti dei Maya, la cui civiltà fiorì soprattutto fra il -300 ed il 900 occupando un territorio di poco più vasto dell’attuale Italia. Si tratta di una civiltà stupidamente ignorata in Italia dagli studi a scuola, tipicamente eurocentrici, visto che raggiunse vette culturali incredibili. Attorno al 925 i Maya in massa abbandonarono i loro territori per motivi che, sebbene trovino mille ipotesi, restano sostanzialmente ignoti; i pochi Maya rimasti dovettero subire dapprima la penetrazione dei Toltechi (provenienti dal Messico), per poi riprendere il potere attorno al XV secolo. Al giorno d’oggi si contano ancora 2 milioni di Maya, distribuiti tra il Messico meridionale ed il Guatemala.

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Glifi cefalomorfi del kin Glifo antropomorfo del kin

Nella “piastra di Palenque” appare questo glifo che significa: “zero kin”, l’assenza del giorno

Vari glifi di zero, ricavati da steli e da sculture maya

Zero, in una delle sue diverse versioni nella scrittura numerale Maya; a volte lo si chiama “ombelico”, più spesso “conchiglia”

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Come molti sanno, lo zero fu concepito in modo maturo in India, la terra dell’idea di nirvana, l’ultimo stato della perfezione cui tende l’uomo nelle tre grandi religioni indiane (buddhismo, giainismo e induismo, per quanto differenziato in ciascuna di esse). Più precisamente, lo zero appare come cifra in India con la scrittura Gwalior nel VI secolo, confermata nella scrittura sanscrita Devanagari nel VII (e poi nelle diverse scritture Arabe dell’VIII e IX).

Il primo uso noto di un principio posizionale contenente lo zero in India è nel documento Lokavibhaga del 458.

Nel 510, in India, l’astronomo ryabha a usava la parola sanscrita ‘kha’ nel suo testo astronomico più famoso, l’Aryabha ya, per indicare il posto vuoto in una scrittura posizionale dei numeri naturali. Ma già si era delineato un uso di kha come vero e proprio numerale per indicare la cifra zero.

ryabha a [476-550]

Parole sanscrite che sono state utilizzate nei secoli per indicare zero:

• kha, ambara, k a, antarik a, pagana, abhra, viyat, nabhas: il cielo,

l’atmosfera, lo spazio;

• nya: il vuoto;

• bindu: il punto.

Nel 629 il matematico-astronomo Bh skara scrisse, sempre in sanscrito, un importante libro-commento all’Aryabha ya; in esso calcola la durata del Caturyuga, cioè il periodo di tempo necessario affinché i nove elementi del firmamento (Sole, Luna, pianeti vari) si trovino in congiunzione perfetta. Si tratta di 4.320.000 anni. Per scrivere questo numero a parole e non in cifre, Bh skara, per gli ultimi quattro zeri, scrive proprio: vuotospazioatmosferacielo. [In realtà, studi degli anni ’70

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hanno mostrato che il numero non è semplicemente espresso a parole, ma in notazione che noi oggi chiameremmo polinomiale in perfetto sistema posizionale a base dieci] (Ifrah, 1980, pagine 498-499).

Tra l’altro, intendere zero come numero, porta immediatamente all’idea dei numeri negativi ed all’accettazione di sottrazioni nelle quali il minuendo è minore del sottraendo, come 2-5; ciò, di conseguenza, comporta l’accettazione totale del fatto che, a maggior ragione, 2-2 è un numero, un vero e proprio numero, senza più dubbi.

L’aritmetica dei numeri negativi è soprattutto legata all’opera del matematico indiano Brahmagupta [598-668]: Brahmasphutasiddhanta (letteralmente: Lo schiudersi dell’universo) del 628.

Brahmagupta cercò anche di determinare il valore di 0

0, ma senza molta fortuna… dato che arrivò ad affermare che tale valore è 0; mentre lasciò aperto il problema di decidere quanto valesse

0 1.

Bhaskaracharya [1114-1185]

Solo nel XII sec. Bhaskaracharya [1114-1185] arrivò a scrivere che nulla si modifica se a

0 1 si aggiunge un qualsiasi altro numero «perché nessuna cosa può alterare l’infinito e immutabile Iddio» (il libro si chiama: Bijaganita, cioè: Conta dei semi).

Torniamo a Brahmagupta; questi indica quel posto vuoto con nya, ma qui acquista proprio il valore di nome di un numero che esprime il nulla. Prima di proseguire con la storia, una piccola digressione linguistica. Si noti che il termine indiano ‘ nya’ (‘zero’ o ‘vuoto’) divenne ‘sifr’ in arabo e ‘zephirum’ in latino; mentre la traduzione storpiata di ‘sifr’ divenne ‘cifra’ in latino (insieme ad altri termini medioevali come ‘sifra’, ‘cyfra’, ‘tzyphra’, ‘cifre’, ‘cyfre’,… che si trovano in manoscritti

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e libri d’abaco).

Ancora nel XIII secolo, dire di una persona che era “cifra di angorisma” o “cifra in algorismo” era assai spregiativo; sarebbe come dire oggi: “quella persona vale come zero in un calcolo”.

Più tardi, questo nome latino di ‘zero’ venne interpretato come segno che indica un numero qualsiasi, cioè l’attuale uso di ‘cifra’ in italiano. Analoga sorte toccò al termine adottato alla fine del Medioevo in Francia, ‘cifre’, che divenne ‘chifre’ e poi l’attuale ‘chiffre’: il cambio di significato da ‘zero’ a ‘cifra’ avvenne più tardi, dato che ancora alla fine del XV secolo ci sono testi che parlano di ‘chifre’ nel senso di ‘zero’. Analoga storia in Germania, dove ‘sifr’ diventa ‘zifra’, ‘ziffra’ e poi il moderno ‘Ziffer’ in tedesco (da notare che, in tedesco, ‘zero’ si dice ‘die Null’). ‘Cifra’, in spagnolo, ha avuto più o meno la stessa storia dell’italiano. In portoghese ‘cifra’ ha lo stesso significato dell’italiano, ma a volte la si usa ancora per ‘zero’. In albanese, ‘zero’ è ‘zero’ e ‘cifra’ è ‘shifra’. In svedese, ‘siffra’ sta per ‘senza valore’. In inglese si è mantenuto a lungo il termine ‘cipher’ per ‘zero’, mentre per dire ‘cifra’ si è a lungo usato ‘figure’ o ‘numeral’, prima di ‘digit’.

Ma torniamo alla storia.

Nel 950 in Spagna i Mori scrivevano (uso le cifre attuali): 8 3 per dire quel che noi oggi scriveremmo 8030, e 8 3 per scrivere 8003.

Il monaco Gerberto di Aurillac [ca. 950 – 1003], che poi divenne papa Silvestro II, abile abacista, nel 967 usava dei gettoni di corno per fare i calcoli; ma aveva un gettone speciale per indicare il posto vuoto, che si chiamava sipos (dal greco: ciottolo).

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Leonardo Fibonacci il Pisano [1176-1240]

Leonardo figlio di Bonaccio (Fibonacci) il Pisano, nel 1202, parla ancora di 9 “cifre” indiane (le figure delli Indi) e del “segno” zero. Nega dunque allo zero la dignità di cifra.

Lo zero entra in Europa solo al momento di una revisione scolastica della precedente accettazione di molti diktat aristotelici; questa revisione iniziò nel 1277, quando il vescovo di Parigi Étienne Tempier [? – 1279] convocò un concilio proprio per sconfessare e denunciare punti di vista di Aristotele contrari al cristianesimo. Va anche detto che un suo uso era già diffuso tra i commercianti, ma non a livello accademico.

Alessandro De Villa Dei nel 1240 circa (c’è chi dice 1225) scrive la Canzone dell’Algoritmo (Carmen de Algorismo) letta e riletta nei conventi e nelle università da chiunque si occupasse di arismetrica:

Prima significat unum; duo vero secunda; Tertia significat tria; sic procede sinistre Donec ad extremam venias, quae cifra vocatur.

Il che significa che zero non è considerato al primo posto nella successione dei numeri naturali, ma è la decima cifra, quella che viene per ultima, dopo il 9.

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Forse una reale consapevolezza definitiva che zero va considerato alla stregua di qualsiasi altro numero si ha nel 1484, quando il

medico-matematico Nicolas

Chuquet risolvendo l’equazione 3x2+12=12x trova 16− , il che 16 gli fa asserire che ha senso calcolare 0 , trattando cioè zero come un qualsiasi altro numero.

Nicolas Chuquet [1445-1488]

Il termine zero esattamente come lo nominiamo oggi fa la sua apparizione esplicita nell’opera Aritmetica Opusculum di Filippo Calandri (folio 4, linea 2), stampato a Firenze nel 1491,

(Codice 2669, Biblioteca

Riccardiana di Firenze).

Una storia più che bimillenaria, dunque, per l’accettazione a tutti gli effetti di questo numero comodissimo come cifra, difficile come concezione in qualità di numero.

Ma quando un oggetto nuovo entra nella lingua comune e nelle abitudini quotidiane, scattano meccanismi di accettazione semantica nuovi che presto o tardi ne determinano convenzioni d’uso che entrano a far parte,

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appunto, della lingua di tutti i giorni. Per cui i bambini di oggi non hanno bisogno di ripercorre tutta la lunga strada che ha percorso l’umanità ed entrano a contatto con questa parola, cioè con questo oggetto mentale, in modo spontaneo ed ingenuo, appropriandosene senza fatica.

4. Uso spontaneo dello zero da parte dei bambini fra i 3 ed i 6 anni

Per dimostrare quanto affermato sopra, mi limito a riportare alcuni brani di conversazioni con bambini; in ciascun caso premetto come titolo il “tipo” di zero che appare citato spontaneamente. Naturalmente, tra tutte le conversazioni a disposizione (oltre 60) scelgo le più significative, le più illuminanti. Queste conversazioni sono state condotte o personalmente da me, o registrate da collaboratori in varie città italiane. Zero come cifra e come cardinale

Prima conversazione con M. [femmina, 4 anni e 6 mesi]

[Si gioca a: «Io dico un numero… Tu a che cosa pensi?»]. Ricercatore: Numero quattro.

M: Io ho quattro anni. R: Numero cinque.

M: Non lo so… però anche cinque caramelle. R: Numero due.

M: I piedi che ho. R: Numero dieci.

M [allegrissima, mostrando le mani aperte]: Le dita delle mani. R: Numero uno.

M [dapprima pensierosa, poi si tocca il naso]: Il mio naso. R: Numero sei.

M: I colori. R: Numero otto. M: Otto signori. R: Numero zero.

M: I bambini qui. Ci sono io e poi zero. R: Che vuol dire zero?

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M: Che non c’è niente. Vedi? [Mostra le due mani chiuse a pugno] Non c’è niente.

R: Tu sai come si scrive il numero dieci?

M: Sì. Con uno zero e un uno. [Con le dita finge di scrivere per aria zero e uno].

R: Allora zero vuol dire nulla? M: No, zero vuol dire tanto.

R: Ma come, avevi detto che zero vuol dire niente, adesso vuol dire tanto? M: No, non capisci… Zero vuol dire niente, ma vuol dire tanto. Se tu mi dai zero caramelle mi viene una panciona grande grande.

R: Ma come, non capisco. Come fa zero a voler dire tanto?

M: Quando tu dici dieci c’è zero che vuol dire tanto. Sì, vuol dire tanto quello zero.

R: Allora cento vuol dire tanto tanto?

M: No, non lo so cosa vuol dire quella parola.

R: Cento vuol dire un numero che si scrive con uno e poi zero e poi ancora un altro zero. Allora è tanto o è poco?

M: Io non lo sapevo. Allora cento è più di dieci e allora zero vuol dire tanto tanto.

R: E mille?

M: Come si scrive?

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M: Che allora zero vuol dire tanto tanto tanto perché è più più più di dieci.

Breve commento.

Appare molto evidente la doppia natura dello zero costruito da M., come cifra per accrescere i numeri, come cardinale del vuoto, del nulla. Le due concezioni sono entrambe presenti, distinte e palesi. M. mostra grande destrezza nel maneggiare questi due aspetti, ma la cosa che colpisce è la distinzione esplicita tra essi che riesce a fare.

Zero come cifra e come cardinale Seconda conversazione con M.

Qualche giorno dopo. Questa volta M. ha con sé un cane giocattolo. L’intervistatrice e M. decidono di chiacchierare insieme, dopo aver festeggiato gli undici anni del fratello e del cugino di M. che sono nati lo stesso giorno. R: Come si chiama il cane che hai con te?

M: Tobia.

R: Quanti anni ha Tobia? M: [Mostra tre dita]. R: Tre?

M: [Annuisce]. R: Allora è grande! M: No.

R: Un cane quando è grande? Quanti anni deve avere un cane per essere grande?

M: [Mostra dieci dita, aprendo tutte e due le mani]. R: Quanti sono?

M: Dieci.

R: Ma sono tanti dieci anni? Ma è vecchio un Tobia quando ha dieci anni o è piccolino piccolino?

M: È grande!

R: Ma quando uno è tanto vecchio, tanto tanto vecchio, quanti anni deve avere secondo te?

M: Niente.

R: Niente anni? Ma quando uno è tanto tanto vecchio quanti anni deve avere? È tutto bianco, con la barba lunga…

M: Babbo Natale!

R: Quanti anni ha Babbo Natale? M: Tanti.

R: Quanti? M: Undici.

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R: E se avesse più di undici anni, quanti ne potrebbe avere? Un numero più grande di undici…

M: Cento.

R: E se ne ha di più ancora? Più di undici, più di cento? M: Niente… cento… zero.

R: Zero quanto è?

M: È tanto [accompagna la parola con un gesto delle braccia, come se volesse protenderle verso l’esterno].

R: È tanto, quanto?

M: Tantissimo [di nuovo lo stesso gesto con le braccia]. R: Ma se io ti do zero caramelle, quante te ne do? M: Niente.

R: Allora com’è zero? M: Niente.

R: Fammi un po’ vedere zero.

M: [Mostra le due mani chiuse a pugno] R: E che vuol dire zero?

M: Niente.

R: E quanti anni ha Babbo Natale? M: Undici.

R: E il numero più grande di tutti i numeri; il numero più grande che tu puoi immaginare, qual è?

M: Dodici.

R: È più grande di undici. E ancora più grande? M: Tredici.

R: E il numero più piccolo di tutti? M: Uno.

R: C’è un numero più piccolo di uno? M: No.

R: Tu quanti fratelli hai? M: Uno.

R: E quante sorelle? M: Una.

R: E come si chiama? M: Non ce l’ho.

R: Allora quante sorelle hai? M: Niente.

R: Che numero è niente?

M: Zero [di nuovo mostra i pugni chiusi].

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Breve commento.

Non deve sorprendere il fatto che l’intervistata si contraddica in varie occasioni; una volta il numero più grande è 12 (certamente legato al fatto che il fratello, dopo questi 11 anni appena compiuti, ne compirà 12, pensato dunque come lontano traguardo futuro), poi è 100 e poi è 0. È nella natura dei bambini rispondere sulla base di sollecitazioni interne e non rispondere in maniera compiuta alle domande dell’adulto che li intervista. Le contraddizioni palesi, che potrebbero mettere in crisi se l’intervistato fosse un adulto, fanno parte delle caratteristiche dell’argomentazione infantile. Al di là di questo, però, M. conferma piena coscienza della doppia natura dello zero che si è costruito, come cifra e come cardinale. Anzi, in questa conversazione la cosa appare in modo ancor più palese che non nella precedente.

Zero come cifra e come cardinale

[Si è parlato tanto di numeri in gruppo; ma ora si prosegue con una intervista individuale. Il ricercatore intervista un bambino [B., maschio, 5 anni e 3 mesi] che, in un precedente gioco, aveva dichiarato di conoscere tutti i numeri]. R: Dunque tu conosci tutti i numeri?

B: Tutti tutti non lo so, però tanti sì.

R: E qual è il numero più grande che conosci?

[Il colloquio prosegue ma non interessa in questa occasione]. R: E il più piccolo?

B: Due! R: Ah sì?

B: Sì, io ho due fratelli.

R: Tutti i tuoi compagni hanno due fratelli? B: No, il mio amico Simone c’ha solo una sorella. R: Chi ha più fratelli, tu o Simone?

B: Io ne ho più tanti, di più di lui.

R: Allora, qual è il numero più piccolo di tutti?

B (Pensieroso, non risponde; poi): Ah, ma la Catia non ce li ha mica i fratelli, lei è quella che ne ha meno.

R: Sì? Quanti fratelli ha Catia?

B: Oh, se non ne ha, non ne ha e basta.

R: Tu hai due fratelli, Simone ne ha uno solo, Catia quanti ne ha? B: Be’, zero, no? La Catia ha zero fratelli. Meno di tutti.

R: Qual è secondo te il numero più piccolo di tutti? B: Quella che non ha fratelli, come Catia, zero. R: E li sai scrivere tutti questi numeri?

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B: Certo, ve’ mo qui. [Prende il pennarello e scrive sul foglio correttamente 2, correttamente 1, e fa un grande tondo, esclamando:] Questo è il più grande di tutti!

Breve commento.

B. ha piena consapevolezza del fatto che il naturale 0 sia il minore tra i naturali che esprimono grandezze; ma anche qui emerge lo zero come “grande”, anche se, forse, riferito alle dimensione del segno grafico. Zero come cifra

Intervista a M. [maschio, 5 anni e 6 mesi]

R: (…) Ma se io ti chiedo di scriverli, lo sai fare? M: Certo, me lo ha imparato mia mamma.

R: Dài, proviamo. Cominciamo da trecentoventisei.

M [Scrive 30026; nel frattempo dichiara]: Questo è un tre, questo è zero, questo è zero e questo è ventisei. [Mostra il risultato soddisfatto, ruotando il foglio in modo che il ricercatore lo possa vedere].

R: E sai scrivere anche trecento?

M: Certo, è più facile. [Scrive correttamente 300, poi gira il foglio]. R: Ma è più grande trecentoventisei o trecento?

M: Trecentoventisei, no? Vedi? [E indica la lunghezza della scrittura]. R: E se io ti chiedo di scrivere un numero grande grande grande? M: Come le stelle del cielo?

R: Sì, anche più grande.

M: Scrivo ancora un tre, con tanti tanti numeri dopo. [Scrive un tre seguito da tre tre e poi fa uno scarabocchio verso destra, come a indicare che il suo numero prosegue].

R: E lo posso scrivere solo con un tre seguito da tanti tanti zeri?

M: Certo, come nei soldi, un tre e poi zero zero zero [e con la mano destra accenna a scrivere zeri nell’aria].

R: Se io scrivo trecento [lo scrive sul foglio], tu come lo leggi? M [lo guarda e con sicurezza, alzando una mano]: Trecento, no? R: E se scrivo tremila? [Lo scrive sul foglio].

M: Tremila, no? E se metti altri tanti zeri, è tanto di più.

Breve commento.

Totale consapevolezza dello zero come cifra, prima dell’ingresso nella scuola primaria. La scrittura 30026 per trecentoventisei non deve stupire; essa è ampiamente testimoniata dalla letteratura di ricerca; è il primo passo spontaneo verso la scrittura posizionale. Non è da considerarsi

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come “errore” ma come necessario passaggio verso una scrittura evoluta formale adulta: la dizione orale “trecento-ventisei” viene interpretata alla lettera e trascritta, passando dal registro semiotico lingua naturale al registro semiotico scrittura formale indiano-araba dei numerali.

Zero come cardinale

Intervista a S. [maschio, 3 anni e 10 mesi]

R: A te piacciono i numeri? S: Sì, io li leggo sempre. R: E li sai anche scrivere?

S: Qualcuno sì. Insomma, qualcuno. R: E li conosci i nomi dei numeri?

S: Sì, guarda: uno, due, tre, quattro, cinque e sei. R: Caspita, che bravo. E sai anche andare avanti? S: Sì, ma oggi non ne ho voglia.

R: E chi ti ha insegnato?

S: Nessuno, ho imparato da solo. R: E qual è secondo te il più piccolo?

S: Non lo so… Io avevo un trenino, ma adesso la mamma l’ha dato alla Carla. R: Ah, e quanti vagoni aveva il tuo trenino?

S: Non me lo ricordo, guarda [e indica una scatola piena di giocattoli, tra i quali non c’è affatto alcun trenino, affermando]: Uno, due tre, quattro, cinque e sei [ma non si capisce affatto che cosa stia contando e neppure se stia contando o se sta semplicemente recitando ancora una volta la sequenza dei primi naturali; nel fare ciò apre la mano indicando le dita una alla volta; la cosa procede bene fino a tre, poi c’è qualche perplessità; al momento di pronunciare “sei”, in realtà ha sollevato cinque dita].

R: Ma sei proprio bravo. Dunque, qual è il numero più piccolo? S: Non lo so.

R: Ma tu preferisci avere tre o cinque cioccolatini?

S: Cinque, per forza, no? Cinque sono così [e, correttamente, mostra la mano aperta].

R: Ma allora è più piccolo tre o cinque?

S: Ah, tre, tre cioccolatini, li do a qualcuno, ma cinque me li prendo per me. Te l’avevo detto, no?

R: Allora tre è più piccolo di cinque.

S: Sì, per forza. [Fa un gesto, allargando le braccia, come a dire: È naturale]. R: Allora qual è il più piccolo di tutti?

S: Guarda, tre è più piccolo di cinque. Però il più piccolo di tutti è quando di cioccolatini ne hai uno solo, quello è piccolo, ce n’è meno, meno è impossibile.

(21)

R: Sicuro? E se tu ti mangi l’ultimo cioccolatino, quanti ne restano?

S: Ah, be’, se mangio l’ultimo dopo ce ne sono zero, zero cioccolatini, non ce ne sono più, se mangio io l’ultimo. Ma poi ne compriamo degli altri.

Breve commento.

S. ha meno di 4 anni, ma ha già concettualizzato zero come cardinale dell’insieme vuoto; lo tratta come un numero, alla stessa stregua di altri. Divaga nella narrazione, si perde un po’ nella conta (“costringe” la mano aperta ad avere tante dita quanti sono i numeri citati; dunque, quando arriva a 6, deve avere la mano aperta), ma possiede zero come cardinale. La sua argomentazione più volte si dirige verso mete che sembrano distarlo, ma poi recupera sempre, il che pure è indice di una certa acquisita consapevolezza.

Una intervista illuminante

Il Ricercatore intervista M. [maschio, 5 anni e 7 mesi], partendo da molto lontano e facendosi raccontare quel che in quel momento lo interessa di più, una collezione di riproduzione di trattori, molto diffusa tra i bambini di quella sezione ed in tutto il paese.

M: (…) perché papà mi ha detto che me li compra tutti. R: E mamma è d’accordo?

M: No, perché lei dice che sono tanti. Dimmi i numeri che è tanto, tanto, tanto. R: Dimmelo un po’ tu un numero che è tanto, tanto, tanto.

M: Quindici.

R: Dimmene uno più grande. M: Sedici.

Interviene G. [che passa per caso ed ascolta]: Cento. [G. si ferma]. M: No, cinquantadue.

R: Sì, sono tanti cinquantadue. Sono tanti, tanti, tanti. G: Cinquantadue trattori d’epoca?

M: Sì!

R: Ma sono tanti cinquantadue trattori d’epoca. Per davvero ce l’hai tutti? M: Sì, ce n’ho uno come quello che G. ha stampato la foto.

[Il colloquio prende strade non inerenti i nostri attuali interessi; nel frattempo G. si allontana].

R: A me hanno detto che tu sai leggere, che sai tutti i numeri. È vero? M: Sì!

R: Tutti, tutti li sai? M: Sì, anche in inglese. R: Davvero?

(22)

M: Sì! One… [conta correttamente in inglese fino a dodici]. Li so fino a dodici. R: E in italiano fino a che numero conti?

M: Fino a trentuno. R: Fino a trentuno? M: No, fino a trentadue.

R: Di più non ne conosci? Dopo il trentadue, che viene?

M: Trentatré, trentaquattro, … No. Fino a quarantuno li so. No. Finisco a quarantadue e più avanti non ci arrivo. A cento non ci arrivo.

R: E non sai se c’è un numero più grande di cento? M: C’è centouno.

R: Allora lo sai! Dopo centouno che ci sarà?

M: Centodue, centotre, … [conta correttamente fino a 135, poi salta a:] centocinquanta.

R: Il più grande di tutti qual è? M: Sessanta milioni.

R: Più grande ce n’è un altro? M: Cento milioni.

R: E più grande?

M: Più grande… centoquaranta milioni. R: E più grande ancora?

M: Più grande ancora… duecentottanta milioni. R: Ma il numero più grande del mondo quale sarà? M: [Ci pensa a lungo] Novantamila.

R: E il più piccolo di tutti? M: Zero!

R: E più piccolo di zero? M: Niente.

R: Che vuol dire zero?

M: Zero. Niente. Ma io so sei più sei. Questi qui li so tutti. R: Sei più sei quanto è?

M: Sei più sei dodici. R: E sei più uno?

M: Sessantuno. Ti dico quelli un po’ più facili. Quelli facilissimi li so tutti. Cinque più zero, cinque!

R: Perché cinque più zero fa cinque? M: Me l’ha detto la Vittoria.

R: E allora sei più zero? M: Sei.

R: E sette più zero? M: Sette.

(23)

giocare, ma lui chiede di continuare il dialogo]. R: Mi dici com’è zero?

M: È come una “o”. R: È grande o piccolo? M: È medio.

R: Me lo fai vedere?

M: Lo disegno. [Fa cenno di disegnare sul tavolo con un dito, poi chiede un foglio e una penna per scrivere; esegue un tondo oblungo, uno zero scritto abbastanza grande da riempire il foglio].

R: Ma zero non vale niente? [Fa cenno di no con la testa]. E allora nel dieci? C’è lo zero nel dieci.

M: Sì.

R: Allora zero vale o no?

M: C’è su dieci, su cento, in tutti questi numeri qui. R: Ma in questi numeri vale o no?

M: Sì, però quando sta per primo non vale. R: E quando sta dopo vale?

M: Sì.

R: Quanto vale quando sta dopo? M: Dieci… cento… così.

[Ancora si distrae ed ancora il ricercatore lo invita ad andare a giocare; ma M. insiste per continuare il dialogo].

R: Tu hai una sorellina piccola che tutte le cose che sai tu, forse non le sa perché è piccola. Come faresti a far capire a lei che cos’è zero?

M: Io le dico che non vale niente, però dopo vale. R: Che vuol dire che dopo vale?

M: Che c’è dieci, cento, centouno, centodue, … e tutti gli altri c’è sempre zero. [M prende in mano la penna e la esamina ben bene; si potrebbe supporre che non voglia proseguire; ma poi:] Dimmi ancora delle cose su questi qui.

R: Se io ti chiedo di incominciare a contare, tu da dove incominci? M: Da uno.

R: E zero? È un numero o non è un numero, allora? M: Quando inizia no.

R: Allora quando si inizia a contare non si dice zero. E quando si dice zero? M: Io ho un computerino… che zero non c’è. C’è solo dieci. Fammi vedere il tuo, ce l’hai?

R: Sul mio ci sono tutti i numeri. M: Zero, uno, due, tre, …, è vero?

R: Sì. Ma allora se io inizio a contare e dico zero, uno, due, … sbaglio? [Accenna un sì con la testa, con un sorriso furbetto]. Come si fa a contare? M: Uno, due, tre, …, così.

(24)

[Apre le dita delle mani per aiutarsi, poi si stropiccia accuratamente una mano con l’altra per togliere una macchia che, però, non va via. Poi guarda il ricercatore negli occhi, come a chiedere di continuare].

R: Tuo papà, tua mamma, …, ti hanno raccontato che qui a volte in inverno è tanto freddo? Quest’anno non è stato freddo, ma quando tu eri più piccolo, sì, lo sai? Pensa, la temperatura scendeva sotto zero.

M: Come in Russia?

R: Sì, come in Russia. Cosa vuol dire, secondo te, che la temperatura scende sotto zero?

M: Che scendeva uno, due, tre, … , tutti questi numeri.

R: Sotto zero me lo fai vedere? [Scrive 0, 1, 2, 3 ,4, 5] E come si capisce che questi stanno sotto zero?

M: Perché… Un milione va fatto così [scrive un uno con alcuni zero che lo seguono].

R: I numeri sotto zero sono più grandi o più piccoli di zero?

M: Più grandi. Perché uno. E poi c’è cento, c’è dieci, c’è nove, c’è otto. R: Quando la temperatura scende sotto zero si dice che è meno uno.

M: È vero! Meno uno, meno due, meno tre, meno quattro, … Meno uno una volta ci stava sul termostato di Pescetelli [è il proprietario del locale caseificio, personaggio ben noto del luogo].

R: E lo hai visto? M: Sì.

R: E vuol dire che è freddo o che è caldo? M: Che è freddo.

R: Quel numero vuol dire che è più o meno di zero? M: Più.

[Ulteriore breve distrazione e rapido ritorno al colloquio]. R: Quando dici uno a cosa pensi?

M: Ad una cosa e basta, una cosa da sola. R: Per esempio?

M: Io e basta, da solo; una casa da sola. R: Due?

M: Due. Due case da sole. Tre, tre case da sole. Quattro, quattro case da sole… R: E zero?

M: Niente case. R: Meno uno? M: Tantissime case. R: Una città!

M: Sì, una città. Vado al bagno.

[M si allontana, va in bagno e, all’uscita, trova un compagno con il quale inizia a giocare].

(25)

Breve commento.

M. dimostra totale padronanza dello zero sia come cardinale dell’insieme vuoto sia come cifra; dimostra una non completa padronanza della scrittura dei numeri grandi e della gestione di essi anche solo orale; dimostra di conoscere i numeri negativi, ma non accetta che essi possano essere inferiori a zero, dato che la sua concettualizzazione lo spinge a dare prevalenza a zero come cardinale e non come ordinale, come si vede in forma sorprendentemente chiara. Qui più che altrove la consapevolezza di questa concettualizzazione appare ben fondata.

Interviste collettive

Si è fatta anche l’esperienza di interviste a piccoli gruppi di bambini per verificare non solo le conoscenze su questo tema, ma anche le reciproche interazioni verbali.

Il ricercatore aveva proposto in precedenza alcune esperienze di gioco con i bambini che sono poi stati successivamente intervistati.

(Di tutte queste interviste possediamo riprese video).

Prima intervista collettiva ad A. [maschio, 5 anni], M. [femmina, 4 anni, 6 mesi], Rf. [maschio, 5 anni, 9 mesi]

R: Che cosa è zero? A: Niente.

M: È un numero che non vale niente.

Rf: Se metti prima lo zero e con il numero rimane solo il numero e se metti un numero e poi lo zero fa un numero.

R: Zero che cosa vuol dire? A: Niente, non vale niente.

Rf: Solo se metti un numero, poi lo zero va dietro e si forma un numero. R: Che numero conosci con lo zero?

A: Venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta, settanta, ottanta, novanta, cento e dieci.

R: E sai come si scrive cento? Rf: Sì: uno zero zero.

(Un momento di distrazione).

A: Io so scrivere anche un miliardo. Uno e dieci zeri. R: Allora serve a qualcosa lo zero?

Rf: Se metti un numero dietro, lui si forma con il 5 o 4 o 2 o 1 o 6; si forma tutto con lo zero.

(26)

Rf: Zero caramelle? E non mi dai niente, perché se metti una caramella te ne mangi una.

R: Zero-una caramella? Rf: Niente.

R: Uno-zero caramelle?

Rf: Lo zero ti dà niente e uno sì.

Breve commento.

Rf., il più grande dei tre bambini intervistati, domina la scena anche perché mostra maggiori consapevolezze. Gli altri, più piccoli, subiscono ma fanno cenni d’assenso e sembrano consapevoli e consenzienti circa le prese di posizione di Rf. Molto interessanti la condivisione di conoscenze ed il fatto, certo, ma non documentato qui, della negoziazione di significati tra i tre intervistati. In questa intervista, certamente, A. ed M. hanno costruito conoscenze o le hanno consolidate.

Seconda intervista collettiva a B. [femmina, 5 anni e 6 mesi], S. [maschio, 5 anni, 6 mesi), Rf. (lo stesso di sopra) [maschio, 5 anni, 9 mesi]

Si riporta solo un breve stralcio.

R: Che cosa è lo zero? B: Zero è un numero.

S: È un rotondo come la O, come i tuoi occhiali. R: Se io ti dico: ti do zero caramelle…

B ed S all’unisono: Niente, niente.

R: Però se ti dico: ti do uno-zero caramelle. B: Dieci caramelle.

R: Allora tu preferisci uno-zero caramelle oppure uno-zero-zero caramelle? B: Uno-zero-zero caramelle!

Terza intervista collettiva a L. [femmina, 5 anni e 9 mesi], G. [maschio, 6 anni, 1 mese]

Si riporta solo un breve stralcio.

R: Allora serve lo zero?

L: Serve per scrivere i numeri, per esempio dieci è con lo zero, davanti uno e dietro lo zero.

R: Allora, che cos’è zero?

G: È un tipo di O, però è un numero. R: Voi lo usate il numero zero?

G: Il numero zero lo abbiamo usato quando avevamo fatto un dolce, alla fine di un numero, centocinquanta, c’era zero.

(27)

Breve commento.

Appaiono sia l’idea di zero come cardinale del vuoto, sia come cifra per scrivere particolari numeri.

Ultima testimonianza

Come ultima testimonianza, riporto qui lo stralcio di una conversazione tra bambini di prima primaria [D. (maschio), Ma. (femmina), Mr. (femmina), Mc. (femmina), Gi. (femmina), Gr. (femmina), tutti fra i 6 anni e 2 mesi ed i 6 anni e 6 mesi]; si sta facendo attività di compravendita, negozio del fioraio e negozio del fornaio.

Gi. ha scritto su un foglietto il prezzo di qualcosa: 0,50, affermando che si tratta di 50 centesimi.

D: Il primo zero vale, il secondo no.

Mc: Ma come non vale il cinquanta, scusami. D: Vale solo lo zero.

Mc: Invece i cinquanta valgono. Gi: Zero non si conta.

Gr: Zero non è niente.

Mc: Non esiste la moneta da zero euro, zero soldi vuol dire che è gratis. Pausa, poi:

Mc: Ci sarebbe solo scritto 50 con E di euro. Mr: Non è una E.

Mc: Sì, è una E di euro.

R (ha in mano due monete, una da 1 ed una da 0,50 ): Quale vale di più? In coro: Un euro.

Ma: Un euro è una decina. R: Di cosa?

Ma: Di quelli… (Si blocca). R: Da dieci centesimi?

Ma: Sì, e quello da cinquanta centesimi è cinque. Gi: Perché c’è il cinque.

Gr: C’è lo zero e lo zero non vale niente. Mr: Però anche nel dieci c’è lo zero.

Ma: Questo qui (indica la moneta da 1 ) vale una decina che è dieci, questo vale cinque centesimi (indicando la moneta da 0,05 ).

(28)

Breve commento.

Notevole la spontanea negoziazione di significato tra i bambini per dar senso a due diverse occorrenze di zero nella scrittura 0,50; pur nell’apparente disordine, se si seguono i ragionamenti, si vede come per ciascuno di essi appare diversamente evidente il fatto che il primo zero di 0,50 indica una assenza mentre il secondo zero indica un posto da riempire per distinguere le decine (di centesimi) dalle unità. L’attività del mercatino è poi proseguita e la scrittura 0,50 è stata condivisa alla fine come 50 centesimi o mezzo euro («Ce ne vogliono 2 di monete da 0,50 per fare 1 »). Questa distinzione tra scritture diverse di zero è certamente sofisticata ma è emersa chiaramente da un’esigenza di sistemazione del processo di compravendita, dunque da una esigenza essenziale, non da una proposta avulsa da contesti concreti.

Una nota

Non tutti i bambini intervistati sanno scrivere i numerali da 1 a 9, ma quasi tutti sanno scrivere zero, per lo meno sanno che zero si rappresenta con “un tondo”. Nel rappresentarlo, però, è totale l’uso della forma oblunga corretta 0 e non è affatto diffusa una forma rotonda a mo’ di circonferenza .

La maggior parte dei bambini sa associare lo zero a “niente”, inteso alle volte come assenza di azione o di oggetti («Non si fa niente, zero»; «Zero anatroccoli»; «Zero soldi»; …). Interessante, a questo proposito l’espressione di un bambino che, giocando a fare le somme, al momento di dare risposta alla 5 + 0 dice 5 e mostra una mano con tutte le 5 dita distese e l’altra mano con le dita a pugno per indicare zero (tutte queste affermazioni appaiono esplicitamente nei video a nostra disposizione). Quasi tutti i bambini considerano lo zero un numero.

Molti, riferendosi alla scrittura dei numeri dicono che lo zero serve per scrivere i numeri.

La quasi totalità degli intervistati dimostra di riconoscere lo zero in un numero scritto e mostra di saper scrivere numeri con lo zero; quasi tutti hanno mostrato di intuire il valore posizionale dello zero nella scrittura dei numeri.

Un certo numero di bambini dimostra di essere consapevole delle proprie capacità («Io so come si fa»; «Io so come si scrive»; …).

(29)

5. Zero, ostacolo didattico creato da malintesi?

Che lo zero costituisca un ostacolo epistemologico mette tutti d’accordo: basta guardarne la storia controversa e difficile, lunga e travagliata. Ma il fatto di considerarlo concetto ostico, addirittura non costruibile da bambini in tenera età, spinge gli insegnanti a rinviare la sua introduzione, fino a quando l’uso spontaneo non è annullato dall’introduzione di altri concetti ed altri meccanismi, trasformando quindi questo oggetto matematico in un vero e proprio ostacolo didattico.

Ci sono tanti oggetti matematici che costituiscono ostacolo epistemologico, ma non per questo tali oggetti vengono elusi e non entrano a far parte delle conoscenze auspicate per un bambino anche in tenera età. Paradossalmente, anzi, proprio certi oggetti che sono ostacoli epistemologici vanno introdotti presto, in modo da lasciare tempo di costruirseli con successo, plasmandoli un po’ alla volta, con consapevolezza.

Il caso dello zero è singolare: è ostacolo epistemologico ma, come abbiamo visto e come chiunque può verificare, è già presente, in forma ingenua ma tutto sommato accettabile, in bambini molto piccoli. Tuttavia, una maldestra interpretazione del concetto di difficoltà epistemologica spinge a soffocare conoscenze ingenue non formali, che a mio avviso invece costituiscono la base di ogni apprendimento significativo, reprimendo uno sviluppo spontaneo che porterebbe presto al successo. Si soffoca in nome di difficoltà che solo l’adulto pensa di vedere, basate come sono sull’assenza di prove empiriche. Quando si sono formati altri concetti, che entrano in contrasto con quello, lo si ripresenta in forma diversa, troppo formale, poco spontanea, creando veri e propri ostacoli didattici e rendendo davvero ostico, a quel punto, tale oggetto. Il che retroalimenta la convinzione adulta di difficoltà che, di per sé, non esisterebbe.

La proposta è:

lasciamo esprimere in modo spontaneo, informale, ingenuo ogni concetto matematico che il bambino ha già fin da piccolo, senza bloccarlo, anzi, sfruttando proprio le sue competenze ingenue, informali; e procedere così, con molta oculatezza didattica, facendo in modo che immagini mentali successive di zero si organizzino fino a diventare modelli stabili corretti al momento opportuno, quando il concetto di zero

(30)

si sia ben organizzato nella mente e coincida con il risultato cognitivamente atteso.

Al contrario di quel che dicono gli apocalittici:

prima si comincia e meglio è, ma senza costruzioni formali ed innaturali, peraltro inutili all’inizio.

La ricerca, questa, per esempio, mostra che è possibile o forse necessario.

Bibliografia

Crump T. (1990). The Anthropology of Numbers. New York: Cambridge University Press. [Trad. italiana 1996: L’antropologia dei numeri. Firenze: Le Monnier].

D’Amore B., Matteuzzi M.L.M. (1976). Gli interessi matematici. Venezia: Marsilio.

D’Amore B., Oliva P. (1994). Numeri. Teoria, storia, curiosità, giochi e

didattica nel mondo dei numeri. Milano: Angeli.

Ifrah G. (1981). Histoire universelle des chiffres. Paris: Seghers. [Trad. italiana: 1983: Storia universale dei numeri. Milano: A. Mondadori].

Kaplan R. (1999). Zero. Storia di una cifra. Milano: Rizzoli.

Piattelli Palmarini M (ed.) (1980). Language and Learning. London: Routledge & Kegan Paul.

Seife C. (2000). Zero. The Biography of a Dangerous Idea. Città: Viking Penguin. [Trad italiana 2002: Zero. La storia di un’idea pericolosa. Torino: Bollati Boringhieri].

Per la terminologia didattica usata e non spiegata per brevità:

D’Amore B. (1999). Elementi di didattica della matematica. Bologna: Pitagora.

Ringrazio tutti i collaboratori che hanno partecipato a queste interviste ed in particolar modo Lucia Baldazzi, Ines Marazzani ed Aurelia Martini. I video ed i protocolli completi delle interviste sono a disposizione.

Ringrazio inoltre i referee per le osservazioni fatte alla precedente versione dell’articolo, il che mi ha costretto a rivederlo e proporlo sotto l’attuale forma.

damore@dm.unibo.it - www.dm.unibo.it/rsddm

Parole chiave: zero, apprendimento di zero, ostacoli epistemologici,

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