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Proposte per la mitigazione del rischio di alluvione in Italia

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Academic year: 2021

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Proposte per la mitigazione del rischio di alluvione in Italia Proposals for flood risk mitigation in Italy

Annalisa Bove1, Luciano Masciocco2

1Geologo, Libero Professionista – Socio SIGEA – annalisa.bove@geologipiemonte.it 2Università degli Studi di Torino – Consigliere SIGEA – luciano.masciocco@unito.it

Parole chiave (key words): pericolosità idrologica (hydrological hazard), rischio di alluvione (flood risk), pianificazione territoriale (land use).

1 - Introduzione

L’aumento di intensità nelle piogge registrato nell’ultimo ventennio ha provocato un

aumento della pericolosità idrologica. Tale mutamento delle condizioni climatiche si è unito all’incremento demografico (da 30 a 60 milioni di residenti nell’ultimo secolo) e allo

sviluppo economico del nostro Paese, che hanno portato allo sfruttamento e

all’occupazione di zone pericolose dal punto di vista geomorfologico. In modo particolare si è costruito nei fondovalle e nelle piane alluvionali senza tenere conto della loro

tendenza evolutiva, determinando in questo modo un incremento significativo del rischio di alluvione. Per tali motivi, l’Italia è colpita praticamente ogni anno da inondazioni che arrecano seri danni economici e talvolta perdita di vite umane.

Nella memoria si descrivono i concetti di pericolosità idrologica e di rischio di alluvione, passando poi ad esporre gli interventi e le opere per la mitigazione del rischio idrologico. Successivamente si mettono in luce le criticità della situazione attuale e si propone un piano di intervento organico sul territorio.

2 – Pericolosità idrologica e rischio di alluvione

Per pericolosità idrologica H (Hazard), si intende la probabilità P (Probability) che si verifichi un evento alluvionale di una determinata magnitudo M (Magnitude):

H = P · M

La valutazione della pericolosità idrologica comporta il calcolo della portata di massima piena che può originarsi dal bacino retrostante in una sezione trasversale di un corso d’acqua a seguito di una pioggia di progetto (le direttive delle Autorità di bacino distrettuale indicano solitamente un tempo di ritorno di 200 anni) nonché la delimitazione delle zone che verrebbero occupate da tale flusso. Tali zone dovrebbero considerarsi pericolose e quindi non idonee all’utilizzazione urbanistica.

Se un bene (come ad esempio un’abitazione) è “esposto” in tali zone pericolose, si dice che è a rischio. Il rischio R (Risk) infatti è definito come il prodotto della pericolosità H, quantificata precedentemente, per i due parametri caratteristici del bene esposto: la sua vulnerabilità V (Vulnerability) e il suo valore E (Exposure):

R = H · (V · E)

È intuitivo capire come sarebbe semplice annullare il rischio di alluvione: basterebbe non costruire vicino ai corsi d’acqua o in generale negli impluvi (Fig. 1), annullando in tal modo gli ultimi due fattori dell’equazione del rischio. Purtroppo, molti edifici, ed in alcuni casi interi quartieri, sorgono in zone idrologicamente pericolose: in questi casi, tranne le rare volte in cui si sono dovute evacuare delle abitazioni, si cerca di mitigare il rischio

attraverso la realizzazione di difese e/o interventi (strutturali e non strutturali) che abbassano la vulnerabilità dei beni esposti, ma che non riducono la pericolosità della zona.

Maldestramente, le amministrazioni regionali, con l’avallo delle Autorità di bacino

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opere sarà possibile la realizzazione di nuove edificazioni, ampliamenti o completamenti” (Regione Piemonte, 1999), facendo in questo modo aumentare il rischio di alluvione (per aumento del parametro V “valore del bene esposto”), invece che mitigarlo.

Figura 1 - Gli impluvi, zone ove la concavità delle curve di livello (isoipse) determina la convergenza del flusso delle acque superficiali, sono zone molto pericolose dal punto di vista

idrologico. Occupando tali zone (in blu nello schema), l’uomo crea il rischio idrologico. 3 – Interventi e opere per la mitigazione del rischio di alluvione

Tra le opere di difesa dalle alluvioni, le più comuni e diffuse sono rappresentate dagli argini artificiali in corrispondenza dei beni esposti; ad esempio il centro di Roma, che al tempo dei Papi era regolarmente inondato dalle acque del F. Tevere, fu messo in sicurezza con la costruzione dei cosiddetti muraglioni dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia (Fig. 2).

Figura 2 - Muraglioni del Tevere all’altezza del Ponte Umberto I (Rif. WEB n. 1).

Bisogna tenere sempre presente che gli argini sono rivolti a mitigare il rischio idrologico, abbassando la vulnerabilità dei beni esposti in una zona pericolosa, ma che la zona rimane comunque pericolosa, in quanto gli argini stessi possono cedere o essere aggirati a monte dalla piena (Fig. 3).

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Figura 3 – Nel 2014, il F. Tevere esonda a Ponte Milvio, circa 4,5 km a monte del ponte Umberto I (Rif. WEB n. 2).

La costruzione di argini artificiali perciò dovrebbe sempre essere accompagnata dalla realizzazione di interventi/opere a monte.

Nelle aree di montagna e di collina, il progressivo abbandono del territorio ha lasciato terreni incolti e privi di terrazzi: mentre le acque piovane prima ristagnavano infiltrandosi lentamente nel terreno, oggi esse scorrono rapidamente in superficie, raggiungendo in pochi minuti il fondovalle; qui la corsa delle acque può venire accelerata lungo strade asfaltate (spesso con cunette e/o scoli di scarico privi di manutenzione) e poi lungo l’alveo dei corsi d’acqua in parte cementato, andando ad ingrossare l’onda di piena che minaccia la pianura. Per rallentare questo processo sono necessarie opere di forestazione

protettiva: la cura e la pulizia dei boschi servono poi a evitare che rami e tronchi vengano trascinati dalle acque, ostruendo la luce dei ponti e causando crolli e straripamenti (Fig.4). Al fine di controllare il trasporto di detriti e ridurre la velocità e la forza erosiva dei torrenti di montagna, occorrono briglie e muretti di contenimento, opere che necessitano di

manutenzione (Fig.5). Più a valle deve essere tenuto pulito l’alveo dei fiumi, impedire che diventi luogo di scarico di rifiuti, riducendone cosi la capacità di portata e aumentando i rischi di inquinamento. Spesso è necessario asportare anche ghiaia e sabbia (che tornano utili come inerti per calcestruzzi), ma in maniera controllata, in quanto i prelievi

indiscriminati possono aumentare la capacità erosiva delle acque e rendere instabili p.e. i piloni dei ponti (Fig. 6). Per alleggerire la portata dei fiumi in piena possono essere

predisposte casse di espansione (Fig. 7) e canali scolmatori (Fig. 8). Per quanto riguarda le sponde, queste possono essere rafforzate attraverso la messa in opera di gabbionate metalliche riempite di pietre o con piantagioni (p.e. salici); tali tecniche di bioingegneria ottengono buoni risultati riducendo al minimo l’impatto ambientale. Non è assolutamente consigliabile tombinare corsi d’acqua che attraversano centri abitati, soprattutto se non soggetti ad una costante manutenzione (ordinaria e straordinaria) e sottodimensionati rispetto alle portate di massima piena (Benini, 1990).

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Figura 4 - La cura e la pulizia dei boschi servono poi a evitare che rami e tronchi vengano trascinati dalle acque, ostruendo la luce dei ponti e causando crolli e straripamenti (Rif. WEB n. 3).

Figura 5 - Le briglie sono opere trasversali che hanno la funzione di consolidare alvei montani a forte pendenza, ed in particolare di ridurre od eliminare l'erosione d'alveo ed il trasporto solido (Rif.

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Figura 6 - Prelievi indiscriminati possono aumentare la capacità erosiva delle acque e rendere instabili p.e. i piloni dei ponti.

Figura 7 - Cassa di espansione in linea. Un opportuno modellamento della cassa consente di favorire il ristagno dell’acqua creando una zona umida che diventa un’occasione interessante di

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Figura 8 – Il bacino idrografico del Fiume Adige e, nel cerchio arancione, il canale scolmatore a protezione della città di Verona dalle alluvioni. Nelle foto a sinistra, l'imbocco della galleria a Mori

e, in quella a destra, lo sbocco nel Lago di Garda a Nago-Torbole (da Casati & Pace, 1997, modificato).

4 - Le criticità della situazione attuale

Purtroppo, l’occupazione del territorio da parte dell’urbanizzazione (consumo di suolo) in alcuni casi rende quasi impossibile la realizzazione di interventi efficaci. I casi più

emblematici sono rappresentati dai territori di Genova e di Milano. 4.1 Genova

Genova è sorta in corrispondenza di un’insenatura che costituiva un porto naturale; per secoli, l’estensione dell’abitato è rimasto limitato all’immediato entroterra, lontano dai due

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principali corsi d’acqua della zona: il T. Polcevera a ovest e il T. Bisagno a est: i centri minori del circondario erano situati prudentemente sulle cime dei colli o comunque in zone di spartiacque (Fig. 9).

Figura 9 - I dintorni di Genova nella carta di Giovanni Tommaso Borgonio (realizzata nel 1683 e aggiornata successivamente nel 1772). Si notano le due cinte di mura che proteggono l'abitato

(Rif. WEB n. 5).

Questa configurazione urbanistica si è mantenuta costante praticamente fino al secolo scorso, durante il quale si assiste a un’espansione urbanistica indiscriminata e folle dal punto di vista della prevenzione del rischio idrologico (Fig. 10).

Figura 10 - I fondovalle dei torrenti sono stati occupati dall’espansione urbanistica, facendo di Genova una delle città a più alto rischio idrologico al mondo.

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Oggi il Torrente Bisagno scompare sotto la stazione di Genova Brignole per scorrere tombinato sotto la città e riemergere direttamente in mare (Fig. 11).

Ad oggi risulta essere ancora in fase progettuale il canale scolmatore che dovrebbe

mitigare il rischio idrologico della città di Genova, nella quale rimarranno comunque luoghi idrologicamente molto pericolosi.

Figura 11 - Il Bisagno scorre sotto Genova dalla stazione Brignole (nella foto l’inizio della copertura) fino al mare (Rif. WEB n. 6).

4.2 Milano

La Città metropolitana di Milano, insieme a quella di Napoli, è la zona più densamente abitata d’Italia con circa 420 abitanti per km2 (Fig. 12).

Se in questo modo la provincia di Napoli è diventata il luogo a più alto rischio vulcanico al mondo, ospitando tre vulcani attivi (Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia), la provincia di Milano si è resa un territorio ad alto rischio idrologico, per il semplice motivo che la città è

costruita su due corsi d’acqua, il F. Lambro e il F. Seveso: il cerchio giallo in Figura 12 indica la zona del quartiere di Niguarda, allagato in occasione di ogni evento meteorico intenso, in cui il Fiume Seveso diventa coperto.

Proposte per mitigare il rischio di alluvione

Alla luce dell’attuale situazione di rischio idrologico in Italia e dell’esperienza maturata nel campo del dissesto idrogeologico, si propongono infine alcune misure per la pianificazione territoriale ed alcuni interventi sul territorio per mitigare il rischio di alluvione.

Suggerimenti per una corretta pianificazione territoriale:

1) le norme (sia generali sia tecniche) sulla prevenzione del rischio idrologico devono essere dettate dallo Stato (se non dall’Unione Europea) e non da 20 leggi regionali diverse, interpretate da circa 8000 regolamenti comunali diversi: le inondazioni calabresi non sono diverse da quelle venete (né da quelle boeme): a 30 anni dalla loro istituzione, le Autorità di bacino si sono dimostrate inadatte al raccordo

armonioso delle attività di pianificazione e di prevenzione delle Amministrazioni Locali operanti sul proprio territorio;

2) le norme devono indicare sistemi di valutazione della pericolosità idrologica chiari e univoci per tutto il Paese; ad esempio, per calcolare le portate di massima piena al

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fine di considerare come pericolose le zone inondabili da tali portate: a) fare riferimento ad un’intensità di pioggia di 500 mm/giorno (ordine di grandezza riferibile agli ultimi eventi alluvionali intensi verificatisi sul territorio italiano); b) per tutti i terreni fare riferimento a un coefficiente di deflusso cautelativo pari a 1, in quanto il terreno potrebbe risultare già saturato da piogge precedenti;

3) inoltre, una volta calcolata la piena di progetto, al fine della valutazione e definizione delle zone pericolose dal punto di vista idrologico, bisogna assolutamente riferirsi all'assetto morfologico naturale ed alla sua tendenza evolutiva, senza considerare gli interventi antropici (muri, argini esistenti, argini di progetto, …); di questi, se ne dovrà tener conto solo in caso peggiorativo, in caso cioè di opere che possano aumentare il rischio idrologico (si ricordi Longarone e la diga del Vajont oppure Stava e i bacini di decantazione della miniera di Prestavel).

Figura 12 - La Città metropolitana di Milano si è sviluppata su due corsi d’acqua: il F. Lambro (il cui tracciato (ricalcato in celeste) si può ancora notare nel settore orientale) e il F. Seveso (nel cerchio

giallo la zona in cui scompare sotto il centro cittadino). Interventi sul territorio:

1) sono vivamente sconsigliate le (purtroppo ipotizzate) grandi opere a difesa delle città metropolitane, sia per l’impatto sul territorio sia perché lascerebbero comunque indifesi i settori a monte dei rispettivi bacini idrografici;

2) gli interventi devono essere capillarmente distribuiti sul territorio: qui può essere efficace la divisione del territorio nazionale in quasi 8000 comuni; questi

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riceverebbero sovvenzioni statali per realizzare piccoli interventi di sistemazione, che tra l’altro favorirebbero la ripresa del lavoro su tutto il territorio nazionale; 3) ogni Comune dovrebbe realizzare interventi finalizzati a trattenere nel proprio

territorio il volume di acqua, derivante da una pioggia di progetto di 500 mm/giorno, che risulti eccedente rispetto alle portate ammissibili nel sistema di drenaggio e nel reticolo idrografico di propria competenza;

4) nel territorio comunale urbanizzato,si dovrebbe realizzare un progressivo

adeguamento della rete di smaltimento delle acque meteoriche (acque bianche) alla pioggia di progetto di 500 mm/giorno, integrandola con apposite vasche di

accumulo interrate (per le nuove edificazioni, a livello del singolo lotto, si

dovrebbero prescrivere vasche interrate per l’accumulo temporaneo dell’acqua piovana);

5) nel territorio a vocazione agricola dello stesso comune, si dovrebbero realizzare vasche (in ambiente planiziale) o piccole dighe (in ambiente collinare/montano) per ogni particella catastale: in questo modo, tra l’altro, l’acqua stoccata potrebbe essere utilizzata per l’irrigazione nei periodi intermedi tra gli eventi piovosi. 6) le operazioni di riempimento e svuotamento di tale sistema (telecomandato),

nonché la sua manutenzione, dovrebbero essere affidate all’azienda comunale di gestione del ciclo idrico integrato che, in caso di eventi alluvionali, opererebbe di concerto con la Protezione Civile.

Bibliografia

BENINI G., 1990 - Sistemazioni idraulico forestali. Collana Scienze forestali e ambientali. UTET, Torino, 308 pp., ISBN-10: 880204340X, ISBN-13: 978-8802043401

CASATI P., PACE F., a cura di (1997) - Scienze della terra. Vol. 2: L'Atmosfera, l'Acqua, i climi, i suoli. Città-Studi Edizioni, Milano, 696 pp., EAN: 9788825171570

Riferimenti WEB 1 - http://www.archidiap.com/opera/muraglioni-del-tevere/ 2 - https://www.cinquequotidiano.it/wp-content/uploads/2014/02/ponte-milvio-oggi-768x576.jpg 3 - https://www.youtube.com/watch?v=Ybp39LOac9w 4 - https://distart119.ing.unibo.it/albertonew/sites/default/files/didattica/brigliabarcellonette.jpg 5 - https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:FeudiImperiali_-_Genova.jpg 6 - https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/3e/Ponte_di_Sant%27Agata_3.jpg

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