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Ricerca di MAP in formaggi ovi-caprini e indagine sierologica sulla diffusione della paratubercolosi in allevamenti ovi-caprini della Regione Calabria"

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1 INDICE

RIASSUNTO 3

ABSTRACT 5

Capitolo 1 – INTRODUZIONE 7

Capitolo 2 – AGENTE EZIOLOGICO: M. avium subsp. Paratuberculosis 9

2.1 Caratteristiche di resistenza del MAP 13

2.1.1 Sopravvivenza in feci, suolo ed acqua 2.1.2 Resistenza ad antibiotici, agenti chimici e calore Capitolo 3 – EPIDEMIOLOGIA 16 3.1 Ospiti recettivi 16 3.2 Sensibilità all’infezione 17 3.3 Modalità di trasmissione 18 3.4 Diffusione di MAP 20 Capitolo 4 – PATOGENESI 22 4.1 L’ingresso nell’organismo 22 4.2 Inizio dell’infezione 23 4.3 Progressione dell’infezione 24 Capitolo 5 – SINTOMATOLOGIA 26

5.1 I 4 stadi della paratubercolosi 26

Capitolo 6 - LESIONI ANATOMO PATOLOGICHE 29

Capitolo 7 – DIAGNOSI 31

7.1 Diagnosi diretta 32

7.1.1 Necroscopia 7.1.2 Esame Microscopico 7.1.3 Esame colturale 7.1.4 Metodi di rilevamento mediante polimerase chain reaction (PCR) 7.2 Diagnosi indiretta 36 7.2.1 Test sierologici

7.2.1.1 Fissazione del complemento

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2 7.2.1.3 Immunodiffusione in gel di agar (agid)

Capitolo 8 – PROFILASSI 38

8.1 Profilassi diretta 38

8.1.1 Piani di controllo 8.2 Profilassi indiretta 39

8.2.1 Vaccinazione Capitolo 9 – MAP NELLA FILIERA LATTIERO CASEARIA 41

Capitolo 10 – PARATUBERCOLOSI COME POSSIBILE ZOONOSI 44

Capitolo 11 – SCOPO DELLA TESI 46

Capitolo 12 – MATERIALI E METODI 48

12.1 Raccolta e preparazione dei campioni 49

12.2 Test Elisa 49

12.2.1 Principi 12.2.2 Modalità operativa 12.2.3 Modalità di calcolo 12.2.4 Criteri di Valutazione 12.3 Isolamento colturale formaggi 53

12.3.1 Principi 12.3.2 Modalità operativa 12.3.2.1 Metodica 1 12.3.2.2 Metodica 2 12.3.2.3 Metodica 3 12.4 Ziehl-Neelsen (Zn) 55

12.5 Estrazione dei formaggi e PCR real time 56

12.6 Criteri di valutazione 58

12.7 Estrazione DNA da colonia e PCR 58

12.7.1 Modalità operativa Capitolo 13 – RISULTATI E DISCUSSIONE 61

Capitolo 14 – CONCLUSIONE 67

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RIASSUNTO

La paratubercolosi, conosciuta anche come Malattia di Johne, è una malattia infettiva diffusa in tutto il mondo, che colpisce principalmente ruminanti domestici e selvatici. L’agente eziologico è Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis (MAP) che si trasmette principalmente per via oro-fecale. È una malattia a evoluzione cronica che negli ovi-caprini si manifesta con progressivo dimagramento, emaciazione, comparsa di edemi sottomandibolari.

L’attenzione verso il MAP è in continuo aumento sia per i danni economici che può provocare negli allevamenti ovi-caprini, che per il possibile ruolo eziologico in alcune patologie dell’uomo quali il morbo di Crohn, il diabete mellito di tipo 1, la sclerosi multipla, la sarcoidosi e la tiroidite di Hashimoto.

Il presente lavoro nasce con lo scopo di: verificare la presenza di MAP in prodotti di origine animale (formaggi) destinati al consumo umano, e acquisire dati sulla prevalenza nelle aziende di ovi-caprini da latte della Regione Calabria.

Siamo partiti cercando di verificare la presenza o meno dell’agente patogeno in prodotti caseari di origine ovi-caprina della regione Calabria. Per questo scopo sono stati prelevati campioni di formaggi a latte crudo e pastorizzato presenti sul mercato del territorio Calabrese. Questi campioni sono stati sottoposti all’isolamento colturale e a PCR Real-Time.

In un secondo momento, dopo aver avuto conferma della possibile presenza di Map nei formaggi del territorio calabrese, abbiamo approfondito la nostra indagine andando a stimare, in un primo step, la prevalenza della paratubercolosi negli allevamenti di ovi-caprini da campioni di sangue (analizzati con ELISA) appartenenti ad aziende da latte pervenuti alla sezione diagnostica di Catanzaro nell’ambito dei controlli ufficiali eseguiti dai veterinari delle ASL delle Provincie di Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia, Reggio Calabria e Crotone; e in un secondo step, andando a verificare la presenza o meno dell’agente patogeno in prodotti caseari a latte crudo delle aziende risultate sierologicamente positive, raccogliendo dei campioni di formaggi sottoposti a isolamento colturale e a PCR Real-time.

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La presenza di MAP nei 18 campioni di formaggio analizzati, non è stata rilevata; quattro campioni sono risultati positivi solo alla PCR-Real Time su formaggio, ma non all’isolamento colturale.

Di 28 campioni di sangue provenienti da aziende di allevamento di ovi-caprini, 9 erano positive per la paratubercolosi (32%), con un range di prevalenza intra-aziendale dall’2,1 al 46%.

La presenza di MAP nei 9 formaggi campionati dalle aziende risultate positive all’analisi ELISA della Regione Calabria, non è stata rilevata; due campioni sono risultati positivi solo alla PCR Real-Time su formaggio, ma non all’isolamento colturale.

I dati ottenuti da questo studio hanno dimostrato la presenza di MAP nelle aziende di allevamento di ovi-caprini della Regione Calabria.

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Abstract or Summary

Background. Paratuberculosis, also known as Johne's disease, is an infectious disease, widespread in the world which primarily affects both domestic and wild ruminants. The causative agent is the Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis (MAP), which is transmitted primarily via the fecal-oral route. Paratubercolosis disease has a chronic course. In sheep and goats it is characterized by progressive weight loss and emaciation with a typical submandibular edema. Recently, MAP has received an increased attention for its economic burden (negative effects on the ovine-caprine farms), as well as its potential etiological role in autoimmune human disorders such as Crohn's disease, diabetes mellitus type 1, multiple sclerosis, sarcoidosis and Hashimoto's thyroiditis.

Objectives. The present study has two objectives: to verify the presence of MAP in animal products (essentially cheese) intended for human consumption; to acquire data about the prevalence of MAP in ovine and caprine dairy farms of Calabria Region. Materials and methods. We examined samples of cheese from pasteurized and raw milk present on the market in Calabria in order to detect MAP in dairy products of caprine origin. These samples were processed through culture for isolation and then a Real-Time PCR was performed on the culture isolated in order to confirm a MAP growth.

Further, in the Catanzaro Diagnostic Section of the Zoo-prophylactic Experimental Institute of Mezzogiorno we considered for our study analysis blood samples collected from calabrian milk companies in the context of the regional protocol program of veterinary monitoring. Hence, we evaluated the seroprevalence of paratubercolosis in ovine-caprine farms by ELISA test, and, afterwards, whereas it was demonstrated a serological positivity, we have looked for MAP in the dairy products from raw milk (sample of cheese) of the seropositive farms by culture isolation.

Results. On a total of the 18 cheese analyzed, MAP has not been detected; four samples resulted positive at PCR -Real Time on cheese solely, but showed negative culture isolation.

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Nine of the 28 ovine-caprine farms demonstrated a serological positivity to paratubercolosis (32%) with an intraherd prevalence range of 2-46%.

From the 9 ovine-caprine farms resulted positive using the ELISA test, we have analyzed 9 cheese without revealing the presence of MAP; two samples were positive using the Real-Time PCR on cheese solely, but resulted negative culture isolation. Conclusions. Definitely, our study proved the presence of MAP in the ovine-caprine farms of the Calabria Region.

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1. INTRODUZIONE

La paratubercolosi, conosciuta anche come Malattia di Johne, è una malattia infettiva, diffusa in tutto il mondo, descritta per la prima volta nel 1895, in Germania, da Jhone e Frothingam. È una malattia che colpisce soprattutto ruminanti domestici e selvatici, ma sono recettive all’infezione naturale e sperimentale anche altre specie animali (conigli, volpi, donnola, cornacchia etc.) che in alcuni casi possono manifestare i sintomi della malattia ( Beard et al., 1999; Judge et al., 2005; Hutchings et al., 2010 ).

L’agente eziologico della malattia è il Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis (MAP), un batterio di piccole dimensioni (0,5 x 1,5 μm), acido-resistente, non sporigeno, immobile, aerobio. Il MAP, nei terreni di coltura, necessità dell’aggiunta di sostanze liposolubili come la micobactina J o P, derivate da un altro microrganismo delle stesso genere, il Mycobacterium phlei, in quanto il batterio non è in grado di produrre questo sideroforo chelante il ferro (McIntire e Stanford, 1986; Timoney et al., 1995). Cresce molto lentamente, richiede 4-16 settimane per i ceppi bovini, ma può arrivare fino a 8 mesi per i ceppi ovini (Stevenson, 2010). MAP è dotato di elevata resistenza nell’ambiente, dove può sopravvivere per periodi prolungati ma non moltiplicarsi; è in grado di replicarsi solo nelle specie animali recettive, dove trova un habitat favorevole all’interno dei macrofagi.

La trasmissione di MAP avviene soprattutto per via oro-fecale; essendo l’infezione localizzata elettivamente a livello intestinale, il materiale infettante di importanza primaria è rappresentato dalle feci (Whittington et al., 2000). È anche possibile la disseminazione del batterio in altre sedi oltre l’intestino (Sweeney, 1996), quali la mammella, l’utero e il parenchima testicolare rendendo così possibile la sua eliminazione a partire da questi organi (Bakker et al., 2000). A tal proposito, infatti, un’altra modalità di trasmissione del micobatterio si ha tramite l’assunzione di latte infetto. Un’altra via attraverso la quale può avvenire la trasmissione di MAP è quella verticale.

A causa del lungo periodo di incubazione, che varia da due a cinque anni, la via più comune di introduzione dell’infezione in allevamento è l’acquisto di animali infetti, ma

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è da considerare anche il contatto con ambienti infetti (partecipazione a mercati e fiere, condivisione di pascoli con animali infetti) o attrezzature contaminate.

Una parte degli animali che entrano in contatto con il batterio sono in grado di controllare l’infezione, eliminando il batterio mediante una risposta immunitaria adeguata; la restante parte degli animali sviluppa la malattia (Sigurdardottir et al., 2004).

In molti casi nei piccoli ruminanti, i sintomi clinici più comuni sono: perdita di peso, ipotermia, edema intramandibolare, cachessia, vello opaco e secco, e calo nella produzione lattea (Kruze, 2006). La classica diarrea profusa, descritta come sintomo più comune nei bovini, non sempre si riscontra nei piccoli ruminanti o appare solo tardivamente negli stadi finali della malattia (Fiasconaro et al., 2012).

Le lesioni intestinali di tipo granulomatoso coinvolgono prevalentemente la parte terminale dell’ileo, ma possono estendersi in misura variabile anche ad altri tratti. Macroscopicamente, il reperto caratteristico è l’ipertrofia della parete intestinale, che conferisce alla mucosa intestinale il tipico aspetto che viene definito “a scala di corda” o “aspetto encefaloide”, perché richiama le circonvoluzioni cerebrali (Gezon et al., 1988; Fiasconaro et al., 2012).

L’attenzione verso il MAP è in continuo aumento sia per i danni economici che può provocare negli allevamenti ovi-caprini, che per il possibile ruolo eziologico in alcune patologie dell’uomo quali il morbo di Crohn, il diabete mellito di tipo 1, la sclerosi multipla, la sarcoidosi e la tiroidite di Hashimoto.

La paratubercolosi, nel comparto lattiero caseario, viene considerata una patologia particolarmente importante dal punto di vista economico. Numerosi studi hanno dimostrato che l’eliminazione di MAP avviene anche attraverso la secrezione lattea (Grant, 2001; Florou, 2008; Favila-Humara 2010), e che la quantità di batteri eliminata è in funzione dello stadio evolutivo della malattia. Conseguentemente, potrebbe essere presente in prodotti della lavorazione casearia ed essere una possibile fonte di rischio per l’uomo.

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2. AGENTE

EZIOLOGICO:

M.avium

subsp.

paratuberculosis

Collocazione tassonomica

L’agente eziologico della paratubercolosi, conosciuta anche come”malattia di Johne” è il Mycobacterium avium subsp.paratuberculosis (MAP). Secondo il Bergey’s manual (1994), il gruppo dei micobatteri viene descritto come un unico genere (

Mycobacterium) formato da microrganismi allungati, bastoncellari, di dimensioni 0.5 x

1,5 μm, solitamente riuniti a palizzata o a grappolo (Timoney et al., 1995). Sono immobili, aerobi, non sporigeni, a crescita lenta, fortemente acido-resistenti. Presentano una parete formata da quattro classi di polimeri: peptidoglicano, arabinogalattano, acidi micolici e lipoarabinomannano.I quattro strati della parete cellulare, soprattutto quello formato da acidi micolici, conferiscono a Map alcool acido resistenza, che costituisce la base per il riconoscimento dei micobatteri secondo la colorazione di Ziehl-Neelsen. Tali sostanze rappresentano circa il 60% del peso secco e conferiscono al batterio notevole idrofobicità, resistenza ad acidi, disinfettanti, anticorpi ed essiccamento (Scatozza & Farina, 1988). La proprietà dell’alcool acido resistenza non è esclusiva dei micobatteri ma è condivisa da altri microorganismi, quali ad esempio Nocardia, Corynebacterium e Rhodococcus (Pfyffer et al., 2003) patogeni che risultano essere solo parzialmente acido-resistenti. Negli ultimi anni sono state isolate forme di Micobatteri solo debolmente colorate con lo Ziehl-Neelsen perché prive di una vera parete, chiamati sferoplasti (Wall et al., 1993).

Per molti anni le sole specie di micobatteri coltivabili note sono state M. tuberculosis,

M. bovis e M. avium (ritenuto inizialmente non patogeno). In seguito furono isolati i

primi micobatteri “atipici” e nel 1959 Runyon propose una loro classificazione in quattro gruppi, basata sulla velocità di crescita e sulla pigmentazione delle colonie (Runyon, 1959).

La classificazione di Runyon può, in linea generale, essere ancora oggi ritenuta valida ed utile come primo approccio identificativo. Da essa restano esclusi i micobatteri del

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M. tuberculosis complex e le specie M. ulcerans e M. leprae; tutte le altre risultano

distribuite in quattro gruppi (tab. 1).

Tabella 1: Classificazione dei micobatteri non tubercolari secondo Runyon, (sono stati aggiunti il M.tuberculosis complex e le specie M.ulcerans e M.leprae non comprese in alcun raggruppamento).

Al I gruppo di Runyon appartengono i ceppi a lenta crescita fotocromogeni, capaci cioè di produrre pigmento solo dopo esposizione alla luce. I più importanti dal punto di vista clinico sono M. kansasii e M. marinum. Al II gruppo appartengono i ceppi a lenta crescita scotocromogeni (o cromogeni veri) in grado di produrre pigmento anche al buio. Ne fanno parte patogeni come M. scrofulaceum, M. szulgai, (che se coltivato a 25°C è però fotocromogeno) e M. xenopi (che alcuni Autori assegnano al III gruppo). Il III gruppo comprende stipiti a lenta crescita non cromogeni fra i quali sono clinicamente importanti le specie M. avium e M. intracellulare. Il IV gruppo è costituito

Micobatteri esclusi da classificazione

M. tuberculosis complex e le specie M.ulcerans e M.leprae I gruppo(Fotocromogeni) M.asiaticum;M.Kansasii;M.marinum;M. simiae II gruppo(Scotocromogeni) M.flavescens;M.gordonae;M.scrofulace um; M.szulgai;M.xenopi

III gruppo(Non cromogeni) M.avium;M.intracellulare;M.gastri; M.haemophilum;

M.malmoense;

M.nonchromogenicum; M.terrae; M.triviale

IV gruppo a rapida crescita M.chelonae;M.fortuitum;M.phlei;M.sme gmatis; M.vaccae

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da micobatteri a rapida crescita e comprende i potenziali patogeni M. fortuitum e M.

chelonae.

Questi ceppi, definiti “atipici”, e chiamati in letteratura con l’acronimo MOTT (

Mycobacteria Other Than Tuberculosis) cioè “micobatteri non tubercolari”,

differiscono dai micobatteri tipici ( M. tuberculosis complex) per l’aspetto delle colonie sui terreni, per il tempo di crescita e perché non causano malattia negli animali da esperimento ( Zavanella, 2012).

Questi criteri di classificazione sono stati confermati successivamente da alcuni studi di sequenziamento ( Thorel et al., 1990) ed in molti casi si è assistito alla ulteriore suddivisione di alcune specie in due o piu entità tassonomiche ( Tortoli et al., 2008); attualmente al genere Mycobacterium appartengono 129 fra specie e sottospecie. La recente sistematica colloca il genere Mycobacterium all’interno della famiglia delle

Mycobacteriaceae facente parte della classe delle Actinobacteridae.

Map si trova nel gruppo 3, in cui sono presenti i batteri a lenta crescita non cromogeni. Il Map cresce molto lentamente ( 6-8 settimane a 37°C) in terreni di coltura in cui è necessaria l’ aggiunta di sostanze liposolubili come la micobactina J o P, derivate da un altro microrganismo delle stesso genere, il Mycobacterium phlei, poiché il batterio non è in grado di produrre questo sideroforo chelante il ferro (McIntire e Stanford, 1986; Timoney et al., 1995). La micobactina J sarebbe superiore alla P nel favorire lo sviluppo del batterio, come si deduce dall’importante crescita e dalla presenza di un maggior numero di colonie, che appaiono piccole, lisce, rilevate, biancastre, con margine assottigliato e irregolare, di diametro fino a 1-2 μm in colture di 12 settimane ( Redaelli, 1998).

Da un punto di vista clinico risulta utile una classificazione volta a raggruppare specie non facilmente differenziabili, nonché simili per il loro ruolo patogeno, in cluster noti anche con il termine di “complex”.

Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis rientra nel complesso Mycobacterium avium complex (MAC) ( Thorel et al., 1990) insieme ad altre sottospecie quali: avium, silvaticum e hominissuis ( Mijis et al., 2002). I micobatteri inclusi nel MAC sono agenti

patogeni, ubiquitari nell’ambiente, in grado di provocare malattie negli animali ( Thoen

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M.avium subsp.avium (Maa): frequente nell’ambiente. Agente della tubercolosi negli

uccelli, ma può essere coinvolto nelle infezioni di una grande serie di animali ( bovini, ovini, caprini, maiali, gatti, canguri) ( Hampson et al., 1989; Thorel, 1990). Le principali infezioni degli esseri umani sono polmoniti negli adulti, adenopatie sottomandibolari nei bambini e setticemia in pazienti affetti da sindrome da immunodeficienza acquisita (Wolinsky, 1979; Wendt et al., 1980; Portaels, 1987;).

M.avium subsp. Silvaticum (Mas): non viene isolato nell’ambiente. Patogeno obbligato

di animali, provoca tubercolosi negli uccelli e una sindrome simil-paratubercolare nei mammiferi (vitelli, capre, cervi) (Legrand et al., 2000).

M.avium subsp. Paratubercolosis ( Map): non è isolabile dall’ambiente. Patogeno

obbligato determina paratubercolosi nei ruminanti domestici e selvatici. Questo microrganismo è stato anche implicato come possibile agente eziologico della malattia di Crohn nell'uomo e fin’ora è stato isolato da campioni di tessuto intestinale, latte materno, e sangue (Naser et al., 2000; Bull et al., 2003). Tuttavia, vi è una mancanza di prove definitive per dimostrare l’infezione data da M. paratuberculosis in pazienti affetti da Crohn ( Freeman e Noble, 2005; Parrish et al., 2009). Così, il rapporto tra M.

paratuberculosis e morbo di Crohn rimane instabile.

Map si differenzia dalle altre sottospecie di M. avium sia per la necessità della presenza di mycobactina nei terreni di coltura ( Thorel et al., 1990) che per la presenza della sequenza di inserzione IS900 (Green et al., 1989).

Studi di epidemiologia molecolare mediante PCR ( Polymerase Chain Reaction) e RFLP ( Restriction Fragment Lenght Polymorphism) hanno condotto alla differenziazione di Map, sulla base di polimorfismi delle sequenze d’inserzione IS1311 e IS900, in due tipologie (Bauerfeind et al., 1996; Stevenson e Sharp,1997; Marsh et al., 1999; Collins

et al., 2002; Stevenson et al., 2002):

tipo I ( denominato anche S, sheep): isolato più frequentemente negli ovini e nei caprini, forma colonie lisce e uniformi spesso pigmentate di colore giallo-arancio. Comprende ceppi che crescono più lentamente rispetto a quelli di tipo C (Stevenson, 2010).

tipo II ( denominato anche C, cattle) : isolato principalmente nel bovino, forma colonie rugose e più irregolari, non pigmentate. Comprende ceppi che crescono

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abbastanza bene su terreni solidi o liquidi con aggiunta di micobactina, e sono rilevabili in 4-16 settimane ( Stevenson, 2010).

Successivamente in uno studio condotto nel 2005 è stata dimostrata l’esistenza di un terzo ceppo, denominato ceppo tipo III o anche ceppo intermedio (De Juan et al., 2005), considerato da alcuni autori un sottotipo I, ed isolato raramente da bovini, ovini, e caprini.

Uno studio condotto nel 2007 (Verna et al., 2007), ha cercato di dimostrare la differente virulenza dei due ceppi; in seguito ad inoculazione dei ceppi di Map in agnelli, è stato messo in evidenza come le lesioni indotte dal ceppo di tipo S siano state più gravi di quelle indotte dal tipo C.

Alcuni studi hanno evidenziato casi di Paratubercolosi bovina sostenuti dal ceppo ovino (Whittington et al., 2001). Studi sperimentali più recenti, hanno dimostrato l’assenza di patogenicità dei ceppi ovini per i bovini (Steward et al., 2007); mentre per quanto riguarda le capre, queste si infettano con entrambi i ceppi, forse in dipendenza anche dalle specie animali con cui maggiormente convivono, ma sembra che il tipo II sia di più frequente isolamento ed abbia una maggiore patogenicità rispetto al tipo I (Dohmann et al., 2003).

M. avium subsp. Hominissuis (Mah): è un patogeno ambientale, opportunista, isolato di recente dall’uomo e dal suino in tutto il mondo ( Mijs et al., 2002) e occasionalmente anche da bovini, cani, uccelli, cervi e cavalli.

2.1 Caratteristiche di resistenza del MAP

2.1.1 Sopravvivenza in feci, suolo ed acqua

Tra i micobatteri il M. avium subsp.Paratuberculosis è il più resistente agli agenti fisici e chimici ( Schulze-Rbbecke e Buchholtz, 1992; Sung, 1998).

Essendo eliminato principalmente attraverso le feci, numerosi studi sono stati compiuti non solo sulla resistenza nel materiale fecale, ma anche nel terreno, dato che l’utilizzo del letame come concime naturale costituisce un fattore di rischio per la diffusione ambientale di Map e conseguente probabile trasmissione alle specie

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selvatiche. Per ciò che riguarda le feci, in condizioni sperimentali, è stato dimostrato che la sopravvivenza di Map nel liquame è abbastanza elevata ed in particolare è di 98 giorni a 15°C, ma può raggiungere anche 252 giorni a 5°C ( Yorgensen, 1999).

Studi scientifici suggeriscono che sia in grado di resistere nelle acque e nel terreno per un periodo di tempo che varia tra 300 e 600 giorni ( Pickup et al. 2005; Whittington et

al. 2005). Molti autori hanno verificato la notevole resistenza del micobatterio

nell’acqua: fino a 485 giorni in acqua del rubinetto a temperature tra 4 e 20°C (Larsen

et al., 1956; von Reyn, 1994); per più di 9 mesi da acqua stagnante sterilizzata (ph 5.5)

(Lovell et al. 1944); per cui l’acqua è da considerarsi come una fonte di infezione. Non solo l’acqua, ma anche il pascolo deve essere considerato una fonte di contagio per oltre un anno dalla disseminazione di batteri nel terreno ( Lovell, 1944). Molti fattori del terreno riducono la sopravvivenza del micobatterio: terreni asciutti, esposti alla luce del sole ( Larsen, 1956), con PH pari o superiore a 7. Anche terreni poco ferrosi sembra che possano influire sulla sopravvivenza di Map, anche se quest’ultimo dato non è stato provato in maniera convincente (Johnson, 1997; 1998; 1999; Dhand

et al.,2009).

Si è dimostrato che il microrganismo tende a rimanere negli strati più superficiali del terreno, riuscendo ad aderire alle particelle del suolo; in particolar modo uno studio effettuato su differenti tipi di suolo, tramite l’utilizzo di lisimetri, ha dimostrato che il batterio riesce a muoversi meglio in terreni sabbiosi che in quelli argillosi ( Salgado et

al., 2011).

La capacità di resistenza è stata anche testata a basse temperature: refrigerando campioni di feci a -18°C e -70°C si è constata una sopravvivenza fino a 18 mesi ( Raizman et al., 2011).

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2.1.2 Resistenza ad antibiotici agenti chimici e calore

Il Map è resistente ai comuni disinfettanti; è più resistente di altri batteri al trattamento dell’acqua mediante clorazione (Taylor e Falkinham, 2000). In uno studio condotto su campioni di acqua trattati con cloro il Map non è stato completamente inattivato da concentrazioni di cloro superiori a 2g/ml per un tempo di contatto di 30 minuti ( Whan et al., 2001). Inoltre uno studio di Grant nel 2006 ha dimostrato la sopravvivenza e la moltiplicazione del micobatterio all’interno di protozoi acquatici (es.

Acanthamoeba spp.) che ne aumentano ulteriormente la loro resistenza.

Per quanto riguarda la sensibilità del micobatterio agli antimicrobici sono stati fatti diversi studi, nei quali è risultato sensibile a differenti antibiotici ed in particolar modo ai macrolidi, quali claritromicina e azitromicina; anche l’amikacina insieme a rifampicina e fifabutina sono risultate efficaci nei confronti di tale microrganismo ( Collins, 2010).

Altri farmaci immunosoppressori come la ciclosporina A, la ripamicina e il tacrolimus hanno permesso un’inibizione della crescita in vitro; il talidomide ed un suo enantiometro, l’HPD, hanno dimostrato la stessa efficacia ( Greenstein et al., 2008). Map è un microrganismo molto resistente al calore, ed è in grado di sopravvivere ai trattamenti termici come la pastorizzazione del latte.

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3. EPIDEMIOLOGIA

La paratubercolosi è una malattia a diffusione cosmopolita (Cocito et al., 1994) e sembra coinvolgere un numero sempre crescente di animali. Anche se la paratubercolosi è presente in molti Paesi, essa è probabilmente sottostimata per le difficoltà di diagnosi e il lungo periodo di incubazione che la caratterizza.

3.1 Ospiti recettivi

La Paratubercolosi è una malattia tipica, ma non esclusiva dei ruminanti, in quanto anche altre specie animali sono recettive all’infezione naturale e sperimentale e in alcuni casi possono manifestare i sintomi della malattia. Mentre il ruolo epidemiologico dei ruminanti selvatici è dimostrato, altrettanto non si può dire per le specie animali non ruminanti, non essendo ancora completamente chiarita la loro capacità di diffondere MAP nell’ambiente in dosi infettanti.

Tra i ruminanti domestici vengono colpiti i bovini, le capre e le pecore, mentre tra i ruminanti selvatici la malattia è stata riscontrata nell’alce, nel bisonte, nel cervo, nel muflone, nell’antilope, nel bufalo e nei camelidi (Steheman et al., 1996; Ferroglio, 2000). La malattia è stata riscontrata anche nei camelidi presenti in Africa, Asia centrale, in alcune repubbliche dell’ex Unione Sovietica (Mackintosh e Griffin, 2010) e in Cile (Salgado et al., 2009). L’elevata sieroprevalenza riscontrata in uno studio recente, tra i cammelli del Sultanato di Oman, dimostra come tali soggetti possano fungere da ospiti importanti della malattia (Hussain et al., 2015).

Tra i non ruminanti MAP è stato isolato dalla volpe, dall’ermellino, dalla donnola, dal tasso, dal topo selvatico, dal ratto, dalla cornacchia e dal corvo (Beard et al., 1999; Hutchings et al., 2010). Il coniglio (Oryctolagus cuniculus) sembrerebbe una specie particolarmente sensibile, è un portatore asintomatico dell’infezione ed elimina un numero tale di batteri nelle feci che un solo pellet fecale è in grado di costituire una dose infettante per un bovino, rappresentando quindi un grande rischio di trasmissione di M. avium subsp. paratuberculosis ai ruminanti domestici (Judge et al., 2005; Stevenson et al., 2009).

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Nei ruminanti selvatici, le lesioni macroscopiche ed i sintomi clinici sono simili a quelli dei bovini e delle pecore infette. Al contrario, le lesioni macroscopiche sono molto rare nei non ruminanti della fauna selvatica e sono state osservate solo in conigli infetti (Hutchings et al., 2010.)

3.2 Sensibilità all’infezione

È ormai ben stabilito che la resistenza alle infezioni di MAP aumenta con l’età (Hagan, 1938; Larsen et al.,1975). È molto probabile che la resistenza all’infezione evidenziata negli adulti, non sia dovuta all’incapacità di MAP di entrare nei tessuti, ma piuttosto al contenimento o all'eliminazione di MAP, una volta penetrata la mucosa intestinale (Payne e Rankin, 1961; Larsen et al., 1975).

I soggetti maggiormente sensibili all’infezione sono soprattutto gli animali più giovani che si possono infettare in seguito all’ingestione di grandi quantità di micobatteri, a causa della contaminazione della mammella con le feci e la presenza di MAP nel colostro e nel latte (Bakker et al., 2000; Manning e Collins, 2001; Kennedy e Benedictus, 2001). Peraltro, nei giovani soggetti, i cui prestomaci sono ancora immaturi, il colostro e il latte contaminato vengono trasportati direttamente in abomaso attraverso la doccia esofagea e l’ambiente acido di questo organo favorisce la solubilità del ferro legato alla lattoferrine aumentandone la biodisponibilità per il MAP (Clarke, 1997).

I neonati sono probabilmente i più suscettibili all’infezione a causa dell’alta permeabilità della barriera intestinale nelle prime 24 ore di vita, quando anche le macromolecole come le immunoglobuline del colostro, possono penetrare la mucosa per assorbimento (Hagan, 1938; Larsen et al., 1975). L’escrezione del batterio con il latte avviene soprattutto negli ultimi stadi dell’infezione, anche se è documentata la presenza di MAP nel latte di animali con la forma subclinica (Sweeney et al., 1992a; Streeter et al., 1995), con una prevalenza attorno al 19%, 11% e 3% per gli animali eliminatori fecali rispettivamemente forti medi e bassi (Sweeney et al., 1992a). Un recente studio longitudinale condotto su biopsie sequenziali dei linfonodi intestinali e mesenterici, eseguite su pecore naturalmente esposte all’infezione ha rivelato che, in condizioni di esposizione continua o ripetuta, le nuove infezioni sono insorte in un’età

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compresa tra 9 e 36 mesi (Dennis et al., 2011). Oltre all'età dell'animale al momento dell’esposizione, anche la concentrazione della dose di MAP ingerita influenza il corso dell'infezione. In generale, gli animali che ingeriscono una dose maggiore di MAP avranno una maggiore probabilità di essere infettati, ed è prevedibile che passino alla fase clinica più rapidamente, rispetto a quelli che hanno ingerito una dose più bassa. È da tempo ipotizzato che la sensibilità al MAP possa avere una valenza genetica. Sono presenti attestazioni convincenti, nei bovini ed ovini, che dimostrano che la predisposizione genetica è in grado di influenzare gli esiti dell’esposizione al MAP. Sulla base di numerosi studi pubblicati risulta che l'ereditarietà della paratubercolosi nei bovini da latte è stimata intorno al 9% - 12% (Kirkpatrick, 2010), mentre l'ereditarietà dell’infezione da MAP nelle pecore merino è risultata ammontare intorno al 18%, rispetto al 7% delle pecore Romney (Hickey et al., 2003).

3.3 Modalità di trasmissione

La trasmissione di MAP avviene soprattutto per via oro-fecale; essendo l’infezione localizzata elettivamente a livello intestinale, il materiale infettante di importanza primaria è rappresentato dalle feci. Gli animali infetti possono eliminare con le feci, in maniera continua o intermittente, notevoli quantità di micobatteri. La quantità di batteri eliminati con le feci dipende dallo stadio dell’infezione; gli animali infetti possono eliminare oltre 5 mila miliardi al giorno di micobatteri con le feci (Chiodini et

al., 1984; Whittington et al., 2000).

È anche possibile la disseminazione del batterio in altre sedi oltre l’intestino (Sweeney, 1996), quali la mammella, l’utero e il parenchima testicolare rendendo così possibile la sua eliminazione a partire da questi organi (Bakker et al., 2000).

Nelle fasi avanzate di infezione, MAP diffonde a vari organi ed apparati e può essere presente in altri liquidi biologici come il latte, il seme e l’espettorato.

Nel 1996 Chiodini descrisse come il micobatterio attraverso il sistema linfatico e circolatorio poteva diffondersi in altri apparati, in particolare quello mammario ed in quello genitale (Chiodini, 1996). A tal proposito, infatti, un’altra modalità di

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trasmissione del micobatterio si ha tramite l’assunzione di latte infetto. Il parto e la lattazione, a causa dello stress e del calo delle difese immunitarie, sono i momenti in cui la replicazione del batterio e la sua eliminazione fecale sono maggiori.

MAP è stato rilevato anche nel seme di toro, ma la possibilità di trasmissione dell’infezione attraverso inseminazione, sia naturale che artificiale, è abbastanza rara (Bolske e Herthnek, 2010).

Le principali fonti di infezione sono rappresentate da:  colostro e latte materno

 mammelle, cute, superfici e attrezzi contaminati da feci  insilati e fieno contaminati

 acqua contaminata  pascoli contaminati  animali infetti

L’inadeguatezza strutturale degli abbeveratoi e la conseguente mancata protezione dalla contaminazione fecale, così come la pratica della fertirrigazione, possono rappresentare fattori di rischio per la diffusione dell’infezione in allevamenti infetti. Un’altra via attraverso la quale può avvenire la trasmissione di MAP è quella verticale. Per il bovino esistono diversi studi riguardo la trasmissione intrauterina (Seitz et al., 1989; Sweeney et al., 1992b; Whittington e Windsor, 2009), mentre per gli ovini ci sono pochi studi scientifici. Lambeth e colleghi riportano alcuni dati relativi ad una trasmissione intrauterina e transmammaria di MAP negli ovini (Lambeth et al., 2004). Verin et al. nel 2008 hanno condotto una ricerca su 13 pecore gravide, di età compresa tra 2 e 3 anni, sierologicamente positive per MAP, dimostrando l’avvenuta trasmissione transplacentare, lattea o entrambe.

Nel cervo, la frequenza dell’infezione transplacentare, che si avvicina al 90%, è anche più alta rispetto a quella riportata per bovini e pecore (Van Kooten, 2006).

A causa del lungo periodo di incubazione, la via più comune di introduzione dell’infezione in allevamento è l’acquisto di animali infetti. Tali animali possono non mostrare per anni segni clinici, e spesso risultare negativi alle prove sierologiche e alle colture fecali. Per tale motivo possono essere venduti ad altri allevamenti a scopo di

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rimonta e, successivamente, quando inizia l’eliminazione del microrganismo, fungono da disseminatori dell’infezione in tutto il gregge.

3.4 Diffusione di MAP

La diffusione dell’infezione e la sua vera prevalenza, negli animali e negli allevamenti di molti Paesi, risulta, tuttora, non del tutto conosciuta; tendenzialmente, è in aumento a causa della mancata applicazione di misure di controllo dovuta ad una scarsa sensibilità al problema (Salem et al., 2013).

Secondo uno studio danese la prevalenza nella specie bovina in Europa è in genere superiore al 20% e la percentuale di aziende infette in molti paesi supera il 50% (Nielsen e Toft, 2009); in caprini e ovini sarebbe maggiore del 20% (Nielsen e Toft, 2009).

Già oltre 25 anni fa in Spagna il 31, 4% degli allevamenti ( n=226) e il 2-5% degli ovini (n= 4504) risultarono positivi per la paratubercolosi al test ELISA e AGID ed in quell’occasione fu anche evidenziato che pecore affette da paratubercolosi subclinica e positive al test ELISA producevano meno latte rispetto a pecore ELISA negative ( Chiodini et al., 1994; Aduriz et al., 1995).

In Norvegia è stata riscontrata una prevalenza di infezione tra gli allevamenti di caprini del 50%, mentre tra gli animali la prevalenza rilevata è stata del 4,7-9% (Saxegaard e Fodstad, 1985).

Nel corso di uno studio condotto in Francia è stata stimata, tra gli allevamenti di caprini, una prevalenza apparente del 55,2% e una prevalenza reale del 62, 9%, mentre tra gli animali è stata rispettivamente del 2,9 e del 6,6% (Mercier et al., 2010). Una prevalenza apparente di allevamento del 52% è stata trovata in Spagna nel corso di uno studio su 23 greggi di capre con campionatura casuale ( Reviriego et al., 2000), mentre, sempre sulle capre, una prevalenza apparente del 3,6% è stata riscontrata negli allevamenti caprini del Portogallo (Mendes et al., 2004).

In Australia la prevalenza stimata varia dal 2,4% al 4,4% (Sergeant e Baldock, 2002) , mentre nella Grecia Settentrionale la prevalenza di MAP in allevamenti di ovi-caprini è risultata essere del 21,1% ( Dimarelli-Malli et al., 2009).

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In Italia è difficile dare un quadro della reale diffusione di MAP, a livello nazionale, negli allevamenti ovi-caprini. Mancano, infatti, indagini epidemiologiche in grado di fornire dati ufficiali riferibili a campioni significativi dell’intera popolazione nazionale. Malgrado l’Italia disponga di una capillare ed efficiente rete di Enti ed Istituzioni deputate alla diagnosi delle malattie infettive e allo studio della loro diffusione, ricerche epidemiologiche, frutto di metodi diversi e iniziative sostanzialmente non coordinate, hanno sempre riguardato più che altro aspetti locali piuttosto che nazionali. L’assenza di una funzionale rete di trasferimento delle informazioni epidemiologiche e le difficoltà che spesso si incontrano nella diffusione delle nuove acquisizioni frutto della ricerca condizionano negativamente il controllo di tutta una serie di patologie, in modo particolare di quelle cosiddette “emergenti” come la paratubercolosi. I pochi studi effettuati sono stati condotti in allevamenti ovi-caprini, in Sardegna, dove la sieroprevalenza tra i capi è risultata pari al 15% ( Maestrale et al., 2010); nelle Marche, risultata essere pari a 6,29% ( Attili et al., 2001); nel Lazio, pari al 3% ( De Grossi et al., 2009); in Sicilia, pari al 3,4% (Maresca et al., 1999); in Umbria, pari a 4,8% ( Villari et al., 2009).

Contrariamente a quanto detto sugli allevamenti ovi-caprini, ci sono molte indagini che accertano la prevalenza di MAP negli allevamenti bovini.

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4. PATOGENESI

4.1 L'ingresso nell’organismo

La via d’ingresso del micobatterio è orale. Una volta che il batterio si trova all’interno dell’organismo i principali siti di replicazione sono due. Alcuni dei primi studi, effettuati nei vitelli utilizzando sostanziose dosi di MAP, hanno dimostrato che il batterio si replica primariamente a livello tonsillare, infatti il MAP fu trovato nel tessuto linfoide retrofaringeo poco dopo l'esposizione (Payne e Rankin, 1961; Waters et al., 2003). Dalle tonsille il micobatterio può diffondersi per via ematica oppure per via linfatica ai linfonodi mesenterici e all'ileo (Raymond e Sweeney, 2011). Tuttavia, da successivi studi, emerse l'ileo come il principale sito di replicazione (Buergelt et al., 1978).

Le cellule epiteliali specializzate, situate nelle placche del Peyer dell'intestino tenue, note come cellule M, facilitano la traslocazione di MAP attraverso l'epitelio intestinale. Le placche del Peyer presentano il massimo sviluppo anatomico-funzionale alla nascita per poi regredire con l’età (Vialard, 2003), questo spiega il motivo per cui la maggior recettività della malattia si ha, come precedentemente detto, principalmente negli animali giovani.

Il MAP è assorbito dalle cellule M e rilasciato nella sottomucosa dell'epitelio intestinale, dove viene sequestrato dai macrofagi tramite fagocitosi.

Sperimentalmente, i microrganismi di MAP sono stati trovati all'interno dei macrofagi della sottomucosa cinque ore dopo l'inoculo diretto nell’ileo dei vitelli (Momotani et al., 1988).

A questo punto, una volta penetrati nei macrofagi, l’evoluzione dell’infezione è influenzata da diversi fattori come l’età, le condizioni generali di salute dell’animale, fattori genetici, la dose infettante e soprattutto dalla risposta immunitaria dell’ospite che sembra avere il ruolo predominante nella patogenesi (Clarke, 1997). Se i macrofagi riescono ad uccidere i microrganismi di MAP fagocitati, l'infezione potrebbe essere contrastata.

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Tuttavia, MAP è dotato di una estrema capacità di sopravvivenza all'interno dei macrofagi, ed è questa caratteristica che è al centro della natura cronica progressiva della paratubercolosi (Raymond e Sweeney, 2011).

4.2 Inizio dell’infezione

Come la maggior parte dei patogeni intracellulari, l'uccisione di MAP da parte dei macrofagi è fondamentale per l’iniziale fase di difesa dell'organismo ospitante volta a contrastare l’infezione da MAP. L’attivazione dei macrofagi attraverso le citochine come l'interferone-gamma, prodotte dai linfociti T-helper tipo Th1, migliora la capacità di uccisione di MAP (Zurbrick et al., 1988). Questo meccanismo comporta, in alcuni soggetti esposti all’infezione, l’eliminazione della stessa, facendo in modo che non progredisca nella forma clinica della malattia di Johne. Invece, altri animali esposti non riescono ad eliminare il MAP, e poichè questi microrganismi persistono all'interno dei macrofagi, l’animale può sviluppare la malattia o rimanere per un lungo periodo portatore asintomatico. Sebbene il meccanismo di sopravvivenza intracellulare non sia completamente noto, sembrerebbe che il MAP impedisca la maturazione e l'acidificazione del vacuolo fagocitico all'interno del macrofago, evitando così l'esposizione degli organismi di MAP agli effetti battericidi degli enzimi lisosomiali e dei radicali derivati dall’ossigeno (Hostetter et al., 2003).

In genere, all'inizio dell'infezione le difese dell'organismo ospitante sono in grado di contenerla, permettendone solo un lento avanzamento e una lenta diffusione di MAP all’interno dell'intestino e del tessuto linfoide intestinale associato. Questa iniziale infezione "controllata", si traduce in una lunga "fase di eclissi" che può durare due o più anni (Raymond e Sweeney, 2011). Durante questo periodo, l'animale non mostra segni clinici esteriori di infezione, non c’è disseminazione fecale di MAP, e gli anticorpi sierici non sono generalmente rilevabili; il ritardo nella rilevabilità della risposta immunitaria umorale è uno dei motivi della scarsa sensibilità dei test sierologici mirati alla diagnosi precoce dell’infezione (Tiwari et al., 2006). In questa fase dell'infezione, l'unico metodo affidabile per identificare la malattia negli animali è mediante campionamento di linfonodi dell’ileo o mesenterici, allo scopo di rilevare il MAP mediante coltura o reazione a catena della polimerasi (Raymond e Sweeney, 2011).

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Sebbene, nelle prime fasi, l’infezione possa essere controllata, questo avviene a scapito dell’organismo ospitante.

La presenza degli antigeni di MAP all'interno della sottomucosa intestinale e nei linfonodi mesenterici stimola una risposta infiammatoria, causata dallo sforzo da parte dell’organismo ospitante di contenere l'infezione. Altri macrofagi e linfociti sono attratti nell'area, e ne consegue la formazione di granulomi contenenti cellule giganti multinucleate, linfociti e macrofagi. Nella fase precoce dell’infezione, queste lesioni sono limitate e localizzate, e questo agevola il contenimento di MAP (Gonzalez et al., 2005). I macrofagi contenenti organismi acido-resistenti sono sparsi in queste prime lesioni focali.

Con l’avanzare dell’infezione, i microrganismi si diffondono e le lesioni si aggravano fino alla manifestazione clinica della malattia.

Quindi, i granulomi sono una risposta dell’organismo che cerca di ridurre l’invasione ad altri distretti, ma esiste anche un’ipotesi secondo la quale proprio all’interno dei granulomi il micobatterio sia in grado di infettare altri macrofagi ed essere trasportato in altre parti dell’intestino e in altri distretti (Coussens et al., 2010).

4.3 Progressione dell’infezione

La risposta infiammatoria granulomatosa, mentre distrugge la struttura e la funzione della mucosa, particolarmente quella del piccolo intestino e dei linfonodi associati, serve a confinare i macrofagi carichi di MAP nell'intestino e nel tessuto linfatico associato all’intestino. Grazie a questo processo MAP e organismo ospitante possono coesistere per molti anni, senza segni esteriori di malattia nell’organismo ospitante, ma in questo periodo il MAP, pur essendo contenuto, è ancora vivo (Raymond e Sweeney, 2011). Con il tempo, e per ragioni che sono poco conosciute, l'infezione comincia a prendere il sopravvento. L'immunità cellulo-mediata responsabile del contenimento dell'infezione inizia a diminuire, e l'infezione comincia a progredire più rapidamente. Questa perdita di "controllo" dell'infezione è spesso associata al passaggio da una risposta immunitaria di tipo Th1, dove le citochine associate all'attivazione dei macrofagi (interferone gamma) predominano, ad una risposta

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immunitaria di tipo Th2 caratterizzata da una predominanza di citochine iL-4 e iL-10, associate alla produzione di anticorpi IgG1 ed accompagnata dalla diminuzione della specifica immunità cellulo-mediata (Chiodini, 1996; Stabel, 2000a; Stabel, 2000b; Stabel et al.,2007).

La causa dell’innesco dell'interruttore della risposta immunitaria non è chiara; secondo studi recenti il meccanismo responsabile della riduzione della risposta di tipo 1 è stato correlato a fattori genetici dell’ospite o ad una costante esposizione delle cellule immunitarie all’antigene rilasciato dai macrofagi infetti o all’intensa moltiplicazione di MAP (Coussens, 2004).

Dopo questa perdita di "controllo" immunologico dell'infezione, l'animale infetto comincia a spargere il MAP in quantità sempre crescenti con le feci, e MAP si diffonde ad altri tessuti come l’utero , la ghiandola mammaria e altri organi interni e tessuti muscolari (Kopecky et al., 1967; Streeter et al., 1995; Sweeney et al., 1992b). In questa fase, l'animale può ancora non mostrare i segni clinici esteriori della malattia, e, in molti casi, gli anticorpi, rilevabili mediante tecnica ELISA, si sviluppano solo dopo l’inizio della disseminazione fecale di MAP (Sweeney et al., 2006). Anche se questi animali non mostrano segni clinici esteriori della malattia di Johne, alcuni studi hanno mostrato una riduzione della produzione di latte che può insorgere fino a 300 giorni prima che l'animale inizi a produrre anticorpi contro MAP rilevabili tramite tecnica ELISA (Nielsen et al., 2009).

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5. SINTOMATOLOGIA

5.1 I 4 stadi della paratubercolosi

Una parte degli animali che entrano in contatto con il batterio sono in grado di controllare l’infezione, eliminando il batterio mediante una risposta immunitaria adeguata; la restante parte degli animali sviluppa la malattia (Sigurdardottir et al., 2004).

I soggetti di uno stesso gregge esposti all’infezione da MAP, possono conseguentemente presentare forme d’infezione di diverso grado, identificabili in quattro stadi:

1. FORMA SILENTE 2. FORMA SUBCLINICA 3. FORMA CLINICA

4. FORMA TERMINALE DELLA MALATTIA

Forma silente: corrisponde alla fase iniziale dell’infezione; l’animale non presenta segni clinici d’infezione, non ci sono effetti subclinici misurabili, e non ci sono test diagnostici in grado di rilevare l’infezione (Tiwari et al., 2006).

In questa fase i normali test diagnostici impiegati non sono in grado di identificare gli infetti. Gli animali positivi possono essere messi in evidenza solo con tecniche dirette come colture o esami istopatologici da tessuto intestinale o linfonodi; economicamente, l’utilizzo di queste tecniche, non è conveniente (Tiwari et al., 2006). In questo stadio, gli animali pur non presentando sintomi, possono eliminare MAP con le feci, ma spesso le concentrazioni non sono sufficienti al rilevamento attraverso le attuali metodiche (Tiwari et al., 2006).

Secondo uno studio condotto da Stabel nel 2008, su animali infettati naturalmente e sperimentalmente, in questa forma d’infezione, la produzione di anticorpi è presente ma non vengono rilevati con il metodo ELISA.

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Forma subclinica: gli animali non mostrano diarrea o altri sintomi tipici, ma eliminano con le feci una quantità di MAP tale da poter contaminare l’ambiente esterno ed infettare altri soggetti.

L’eliminazione è di tipo intermittente, e per questo la maggior parte degli animali a questo stadio può risultare ancora negativo ai test colturali (Tiwari et al., 2006).

In alcuni animali si possono rilevare degli anticorpi, in particolar modo in quei soggetti che stanno per entrare nello stadio successivo dell’infezione (forma clinica). In ogni caso, l’eliminazione fecale del batterio avviene prima di una risposta anticorpale rilevabile (Tiwari et al., 2006).

Spesso la forma asintomatica della malattia negli ovini è spesso accompagnata da lesioni intestinali evidenziabili con l’esame istologico in un’alta percentuale di pecore positive al test ELISA. (Maestrale et al., 2010).

Forma clinica: gli animali infetti mostrano i primi sintomi di malattia, dopo un lungo periodo d’incubazione, che varia da due a cinque anni. In questo stadio gli animali appaiono emaciati, con appetito che rimane normale, e diarrea intermittente che si può prolungare per settimane; si ha una graduale perdita di peso ed un calo nella produzione lattea. Molti animali risultano positivi alla coltura fecale e hanno un aumento degli anticorpi rilevabili attraverso ELISA e AGID (Fecteau e Whitlock, 2010). Ci sono elevate probabilità per gli animali gravidi di trasmettere l’infezione al feto o di infettare il piccolo attraverso la secrezione lattea (Fecteau e Whitlock, 2010).

Forma terminale della malattia: gli animali si presentano cachettici, con diarrea profusa che porta a morte per disidratazione. Segno caratteristico legato all’ipoproteinemia è l’edema intermandibolare (Fecteau e Whitlock, 2010).

Gli animali che presentano le prime due forme, sono quelli più subdoli, perché sono infetti ma di difficile identificazione; per questo motivo rappresentano un elemento di diffusione di MAP all’interno del gregge.

La descrizione della sintomatologia clinica negli ovi-caprini è stata scarsamente trattata dalla letteratura scientifica e spesso i sintomi sono assimilati erroneamente a quelli riscontrati nel bovino; infatti, la classica diarrea profusa non sempre si riscontra nei piccoli ruminanti o appare solo tardivamente negli stadi finali della malattia (Fiasconaro et al., 2012). La diarrea, di colore verde oliva, intermittente o continua, è

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conseguente alle gravi lesioni infiammatorie infiltrative a carico della mucosa intestinale e alla liberazione di istamina e sostanze istamino-simili (ipersensibilità immediata locale) che alterano la permeabilità vasale a livello dell’organo (Fiasconaro

et al., 2012).

In molti casi nei piccoli ruminanti, i risultati clinici più comuni sono: perdita di peso, ipotermia, edema intermandibolare, cachessia, vello opaco e secco, e calo nella produzione lattea (Kruze, 2006). In corso di malattia conclamata, inoltre, si riscontrano spesso alterazioni ematologiche quali eritropenia, diminuzione della emoglobina, leucocitosi con inversione del rapporto neutrofili/linfociti, e ipoalbuminemia (Whitlock e Buergelt, 1996). Inoltre, le capre affette da malattia di Jhone, molto spesso presentano anemia, più grave di quanto ci si possa normalmente aspettare da un’anemia da malattia cronica (Raymond e Sweeney, 2011).

La paratubercolosi deve essere differenziata dalle altre cause di perdita cronica del peso come parassitismi, ascessi interni da Corynebacterium psuedotubercolosis, artrite encefalite caprina (CAEV), pneumopatia cronica ovina (Maedi-Visna) e da malnutrizione (Stehman, 1996).

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6. LESIONI anatomo-patologiche

L’infezione da Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis, cosi come tutte le altre specie appartenenti alla stessa famiglia, provoca lesioni di tipo granulomatoso all’intestino ed ai linfonodi mesearici.

Macroscopicamente, l’autopsia eseguita su diversi soggetti cachettici rivela ascite ed un’estesa atrofia gelatinosa generalizzata dei depositi di grasso ( Fiasconaro et al., 2012). Il reperto caratteristico è l’ipertrofia della parete intestinale, conseguente alla raccolta di ammassi di cellule epitelioidi replete di micobatteri. Questa infiltrazione conferisce alla mucosa intestinale il tipico aspetto che viene definito “a scala di corda” o “aspetto encefaloide”, perché richiama le circonvoluzioni cerebrali ( Gezon et al., 1988; Fiasconaro et al., 2012).

Negli ovini, l’ispessimento della mucosa, reperto meno frequente rispetto ai bovini, è stato osservato in più dell’85% dei casi; nei caprini questo evento si riscontra con minore frequenza e di grado minore (Vialard, 2003).

Le pliche possono apparire arrossate ed è possibile la presenza di emorragie petecchiali.

I linfonodi mesenterici sono aumentati di 2-3 volte il volume normale ed in sezione si presentano edematosi con focolai necrotici di 0,5-5 mm, di color biancastro, spesso calcificati ( Fiasconaro et al., 2012).

La tendenza delle lesioni, sia intestinali che linfatiche, all’evoluzione caseo-calcifica nella pecora, ma ancor più nella capra, costituisce una sostanziale differenza rispetto alle lesioni nella specie bovina. Questo tipo lesioni si riscontrano non solo a livello enterico ma anche a livello della glissoniana (Marcato, 2002; Vialard, 2003).

Istologicamente, a livello intestinale, la lamina propria e la sottomucoa appaiono invase da un’infiltrazione di grandi macrofagi epitelioidi, che contengono numerosi micobatteri acido-resistenti. Si notano anche rare cellule giganti di tipo Langhans e un lieve grado d’infiltrazione linfocitaria. I villi sono atrofici. Nei linfonodi si rilevano infiltrazioni prevalentemente diffuse di macrofagi epitelioidi con sparse cellule giganti e la corticale ne può essere invasa e in gran parte sostituita (Marcato, 2002).

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Sia nella pecora che nella capra, si hanno delle lesioni costituite da piccoli granulomi nelle aree interfollicolari del tessuto linfoide o nello spessore della lamina propria della mucosa della valvola ileo-cecale, definite “lesioni focali” (Corpa et al., 2000). Queste lesioni sono formate da cellule mononucleate e in particolare da macrofagi con grandi nuclei e citoplasma finemente schiumoso. Tale aspetto potrebbe rappresentare il primo stadio di infezione o essere presente in animali con mallattia latente. Nelle pecore queste lesioni sono state associate ad alti livelli di gamma-interferon, indicatore di un’efficace risposta cellulo-mediata ( Corpa et al., 2000). Oltre a questa forma iniziale, le lesioni istologiche vengono classificate in due forme: paucibacillare e multibacillare.

La forma multibacillare, o lepromatosa, è caratterizzata da un’enterite granulomatosa con macrofagi colmi di batteri acido-resistenti; la forma paucibacillare, o tubercoloide, presenta infiltrati linfocitici diffusi nella lamina propria con micobatteri in scarsa quantità o non visibili. Quest’ultima forma è stata descritta più frequentemente nelle pecore, che in animali di altra specie, e potrebbe rappresentare uno stadio più precoce della malattia per poi evolvere in una forma multibacillare ( Dennis et al., 2011), oppure potrebbe rappresentare l’aspetto istopatologico dell’infezione in animali in cui prevale una risposta immunitaria di tipo Th1, che favorisce il controllo immunologico cellulo-mediata dell’infezione da Map (Perez et al., 1999).

Sono necessari ulteriori studi per poter affermare, con certezza, che questi aspetti istopatologici possano rappresentare stadi differenti dello stesso processo o essere il risultato di meccanismi patogenetici diversi correlati ad una differente risposta immunitaria.

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7.DIAGNOSI

La principale difficoltà che si riscontra nella diagnosi di questa malattia è legata alle caratteristiche patogenetiche di MAP. A seguito dell’infezione, si ha inizialmente una risposta di tipo cellulo-mediata, che declina nelle fasi successive, contemporaneamente allo sviluppo dell’immunità umorale e alla comparsa di escrezione fecale ( Chiodini et al., 1984). In particolar modo, nella fase iniziale dell’infezione, periodo molto lungo, corrispondente ad una risposta di tipo cellulo-mediata, l’animale è infetto ed elimina il batterio, ma non essendo ancora avvenuta la sieroconversione, non si riesce ad evidenziare la risposta anticorpale, rendendo così difficile la diagnosi sierologica della stessa.

I test di laboratorio utilizzati per la diagnosi di paratubercolosi comprendono esami diretti (ricerca dell’agente che causa la malattia) ed indiretti (ricerca di una risposta immunologica all’infezione, come per esempio gli anticorpi). Poiché sensibilità e specificità dei test non raggiungono mai il 100%, i dispositivi di controllo consistono nel ripetere i test a intervalli di 6 mesi o 1 anno e nell’eliminazione dei positivi ai test sierologici e alle colture fecali.

I due test che attualmente meglio si prestano all’applicazione in piani di risanamento e certificazione sono la coltura fecale ed il test ELISA, entrambi con specificità assoluta (rispettivamente 100% e 98-99%), ma con marcati limiti di sensibilità (Whitlock et al., 2000). Secondo uno studio di Collins effettuato su 142 bovine infette da MAP in forma subclinica, il test ELISA risulterebbe avere una sensibilità del 45,8%, di poco inferiore rispetto al test colturale delle feci del 51,4% (Collins, 2001). Una strada per ovviare alla mancanza di sensibilità dei test è ripetere il test o associare più test da eseguire in serie o in parallelo.

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7.1 Diagnosi diretta

7.1.1 NECROSCOPIA

La paratubercolosi non può essere diagnosticata con un esame superficiale dell’intestino per segni di ispessimento; gli intestini devono essere aperti dal duodeno al retto per visualizzare la mucosa. L’ispezione della mucosa, specialmente nel tratto terminale dell’ileo, può mettere in evidenza, ove presente, l’aspetto tipico e caratterizzante di questa patologia che viene definito “a scala di corda”. Possono essere osservate iperemia mucosale, erosioni e petecchie. I linfonodi mesenterici sono di solito ingrossati e edematosi (Fiasconaro et al., 2012).

Strisci dalla mucosa interessata dalle lesioni e tagli dalla superficie dei linfonodi dovrebbero essere colorati con il metodo Ziehl-Neelsen ed esaminati al microscopio. Non è sempre possibile rinvenire i microrganismi acido-resistenti per cui la diagnosi in questi casi deve essere confermata dall’istologia sulle lesioni multiple intestinali e sui campioni di linfonodi. I campioni istologici dovrebbero essere esaminati sia con la colorazione ematossilina-eosina che con la colorazione di Ziehl-Neelsen ( OIE, 2008).

7.1.2 ESAME MICROSCOPICO

Gli strisci eseguiti da feci o da mucosa intestinale, dopo colorazione di Ziehl-Neelsen vengono esaminati al microscopio. L’osservazione al microscopio è una pratica rapida, economica e non richiede attrezzature particolari, ma, data la sua bassa sensibilità ( circa 1.000.000 di Micobatteri/grammo di feci), è opportuno applicare tale metodica unicamente su campioni prelevati da animali colpiti dalla forma clinica. Sicuramente non è idonea ad individuare i soggetti eliminatori subclinici nell’ambito dei piani di controllo. All’osservazione appaiono corti bacilli rosso splendenti che formano aggregati caratteristici; in particolar modo il risultato è considerato positivo quando si rilevano uno o più aggregati di almeno tre bacilli di piccole dimensioni ( 0,5 x 1,5 μm), fortemente acido resistenti (OIE,2008). La presenza di singoli bacilli acido resistenti in assenza di aggregati è un risultato inconcludente. La positività all’esame microscopico fornisce quindi un forte sospetto, ma non garantisce l’identificazione di un animale infetto. La positività va confermata con test sierologico, colturale o PCR. Analogamente

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non si può affermare che è sano un animale risultato negativo all’esame microscopico perché l’animale potrebbe non essere ancora eliminatore oppure l’animale potrebbe essere un eliminatore intermittente. Lo svantaggio di questo test, oltre a presentare una bassa sensibilità, risulta essere la bassa specificità che non permette l’identificazione di specie (Redaelli, 1998).

7.1.3 ESAME COLTURALE

La coltura di MAP su terreno è una delle metodiche più importanti ed è considerata il “gold standard” per il rilevamento di MAP; permette una diagnosi più affidabile, in quanto, pur presentando una sensibilità limitata e molto variabile in funzione dello stadio di infezione ( 23-70%) dimostra una specificità del 100% quando confermata con metodiche PCR ( Nielsen e Toft, 2008). La metodica è basata sulla coltura di micobatteri su specifici terreni nei quali è aggiunta la micobactina, fattore di crescita specifico, a partire da campioni fecali o tissutali. Sono disponibili due metodi principali per la coltura: il metodo che utilizza acido ossalico e NaOH per la decontaminazione e Lowenstein-Jensen agar (LJ) come terreno di crescita; il metodo con cloruro esadecilpiridinio (HPC) per la decontaminazione in combinazione con terreno Herrolds con tuorlo d’uovo (Herrolds Egg Yolk Medium, HEYM) per la crescita. Entrambi contengono micobactina. Altri mezzi di coltura utilizzabili sono: il Dubos, Middlebroke7H10 modificato, Middlebrook 7H9,7H10 e 7H11 (OIE, 2008).

Questi terreni risultano in grado di supportare la crescita di MAP, ma nessuno di questi sembra essere in grado di supportare la crescita di tutti i ceppi. Secondo alcuni autori, per isolare tutti i ceppi si dovrebbero utilizzare i terreni in parallelo (De Juan et al., 2006). L’incubazione avviene a 37°C e le colonie, in alcuni casi, sono visibili dopo 4 settimane, più frequentemente dopo 10-16 settimane. È stato gradualmente dimostrato che la sensibilità di questi metodi dipende in larga misura dal modo in cui viene preparato l’inoculo per la semina nel terreno di coltura e dall’assenza di contaminazione del campione (Slana et al, 2008b).

Sebbene la coltura sia il metodo maggiormente impiegato, le tecniche di coltivazione non sono standardizzate e l’abilità dei differenti laboratori varia. Un aspetto riconosciuto come critico nei metodi colturali è la preparazione del campione.

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L’approccio più comune per l’isolamento di MAP nel latte/formaggi è basato sulla centrifugazione di una buona parte della matrice e sull’utilizzazione, per la ricerca, del sedimento. Dopo la centrifugazione nel sedimento può essere rinvenuto più del 69,4% delle cellule di MAP. Le provette vengono incubate per almeno quattro mesi e osservate settimanalmente a partire dalla sesta settimana (OIE, 2008). Il MAP, nei terreni di coltura, è in forte competizione con batteri/funghi che possono essere presenti nei campioni. Il successo dell’isolamento del micobatterio da tali campioni dipende dall’inattivazione efficiente di questi microrganismi indesiderati. Il metodo ottimale di decontaminazione deve avere il minimo effetto inibitorio sulla crescita di MAP. Protocolli di decontaminazione di routine hanno mostrato di ridurre il numero di microorganismi di MAP isolati per campione di circa 2,7 log e 3,1 log rispettivamente, per le feci e tessuti (OIE, 2008).

La soglia di rilevazione della metodica è di circa 10-100 micobatteri per grammo di feci, quindi molto più sensibile rispetto all’osservazione microscopica.

Il risultato dell’esame colturale è qualitativo e semiquantitativo, in quanto permette di numerare le colonie cresciute e classificare l’animale nelle varie categorie in base al livello di escrezione del microrganismo ( Whitlock et al., 2000).

Il principale vantaggio di questo test, rispetto a quelli di tipo indiretto, è quello di individuare gli animali con escrezione in atto, i più pericolosi dal punto di vista epidemiologico. È necessario prendere in considerazione i numerosi inconvenienti che ne derivano quali i lunghi tempi d’attesa per la risposta , i frequenti inquinamenti che ne inficiano il risultato, i costi elevati, e la necessità di attrezzature e personale specializzato e dotato di esperienza.

7.1.4 METODI DI RILEVAMENTO MEDIANTE POLIMERASE CHAIN REACTION

(PCR)

Una delle maggiori difficoltà che s’incontrano nel lavorare con MAP è legata alla sua lenta crescita e la sua tendenza a formare aggregati, rendendo problematica la conta delle colonie. Per superare le difficoltà associate ai metodi di coltura tradizionali, alcuni laboratori, hanno iniziato ad utilizzare moderne tecniche biomolecolari per individuare la presenza di MAP in diversi substrati.

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